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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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tazione allegorica <strong>di</strong> un’espressione troppo allusiva per essere liquidata<br />

invocando, come alcuni fanno, la primazia del senso letterale su quello<br />

allegorico. Illuminante mi sembra la lettura <strong>di</strong> J. Freccero (Dante: la<br />

poetica della conversione, Bologna, 1989), che parte dall’osservazione<br />

per cui non è affatto normale che si proceda in salita tenendo un piede<br />

sempre più basso dell’altro. Questa <strong>di</strong>sarmonia tra i due pie<strong>di</strong>, che conferisce<br />

un’andatura clau<strong>di</strong>cante peraltro perfettamente conforme alle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> profonda prostrazione e debilitazione <strong>di</strong> Dante, è per noi<br />

una “spia allegorica”: il piede “alto”, il destro, raffigura l’intellectus,<br />

la conoscenza razionale, mentre il sinistro (“basso”) rappresenta<br />

l’affectus, costituito da volontà, passioni, desideri. Così, mentre il piede<br />

destro procede spe<strong>di</strong>to, certo della via da intraprendere, il sinistro,<br />

appesantito dai desideri materiali, si mostra ancora impacciato nel<br />

seguirlo; l’andatura incerta sarà quin<strong>di</strong> lo specchio <strong>di</strong> un “<strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o interiore”,<br />

per cui la facoltà razionale riesce a scorgere la verità ma si trascina<br />

<strong>di</strong>etro il gravame del cuore, che, imbolsito dalla concupiscenza,<br />

patisce nel seguirla.<br />

v. 31: Ed ecco: l’espressione, <strong>di</strong> carattere formulare e <strong>di</strong> repertorio scritturale,<br />

ha lo scopo <strong>di</strong> attirare l’attenzione del lettore su un evento imminente<br />

e rilevante, ma anche <strong>di</strong> creare l’effetto del “coup de théatre”; nel<br />

poema, con questa stessa finalità, la troveremo quattor<strong>di</strong>ci volte, sempre<br />

ad inizio <strong>di</strong> verso. Analogamente l’ellissi del verbo nei due versi 31-32<br />

crea un’atmosfera stringente, come se il Poeta, preso dallo spavento,<br />

abbia smarrito anche le facoltà logiche anche a livello linguistico-strutturale.<br />

quasi al cominciar de l’erta: si <strong>di</strong>rebbe che il vizio, specialmente quello<br />

meno appariscente, o in realtà meglio mascherato, insegua l’uomo fin<br />

“quasi” alle soglie della salvezza.<br />

v. 32: lonza: la denominazione deriva dal latino me<strong>di</strong>oevale “leuncia” o<br />

“luncea” attraverso il francese antico “lonce”. Per quanto riguarda la<br />

natura dell’animale, possiamo ritenere che si tratti <strong>di</strong> una lince, o <strong>di</strong> una<br />

pantera, o <strong>di</strong> un ghepardo: certamente è un felino dall’aspetto gradevole<br />

ed insieme spaventoso, il cui nome ricorre in vari testi del periodo. In<br />

particolare, un documento del 1285 attesta l’esposizione <strong>di</strong> una “lonza”<br />

nel Palazzo del Podestà <strong>di</strong> Firenze; nei bestiari è rappresentata come un<br />

animale crudele e sempre in calore. Ne parla ancora, comparativamente,<br />

– 113 –

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