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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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smarrita: in una situazione in cui sembra non esservi alcuna via d’uscita, il<br />

verbo “smarrire” suggerisce almeno una speranza, che presto si farà<br />

certezza grazie ad un intervento salvifico; infatti l’espressione non ha il<br />

senso definitivo <strong>di</strong> “perdere”, ma in<strong>di</strong>ca una con<strong>di</strong>zione provvisoria che<br />

si avvia, nonostante le apparenze, alla soluzione, che coincide con il<br />

viaggio stesso. Una soluzione molto più gravida <strong>di</strong> conseguenze che<br />

non la semplice salvezza <strong>di</strong> un poeta fiorentino.<br />

v. 3: ah: il sospiro lamentoso del Poeta, che peraltro è variamente letto<br />

(“Eh” dal Witte, “Ahi” da altri) non rappresenta una semplice interiezione,<br />

ma ha la precisa funzione <strong>di</strong> attrarre il lettore nella sfera della<br />

sensibilità del poeta-che-ricorda, anticipando emotivamente quel senso<br />

dell’ineffabile che <strong>di</strong>venterà concetto con “dura”.<br />

dura: per la prima volta, ed è emblematico il fatto che compaia già in questa<br />

sede, Dante ci pone <strong>di</strong> fronte all’idea dell’ineffabile, verso cui il linguaggio<br />

pare inadeguato; il Poeta, che riprenderà l’argomento con tonalità<br />

molto più elevate ed immagini necessariamente più complesse all’inizio<br />

della terza Cantica, trae tale concetto dal mondo mistico, ma lo personalizza<br />

attraendolo nella sua Weltanschauung lirica.<br />

v. 4: esta: più volte ricorrente e comunque <strong>di</strong> uso comune come <strong>di</strong>mostrativo<br />

sia <strong>di</strong> vicinanza (“questo”) sia <strong>di</strong> lontananza relativa (“codesto”), il<br />

termine rappresenta una forma arcaica (da “iste” latino).<br />

selva selvaggia: appare qui una prima figura etimologica, ampiamente in<br />

uso nel Me<strong>di</strong>oevo e fruita da Dante con estrema misura, affinché la<br />

poesia non debba soffrirne; tale schema retorico, chiamato “paronomasia”<br />

ovvero annominatio, consiste nell’avvicinare parole nascenti<br />

dallo stesso tema e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> suono simile, con sicuro effetto retorico.<br />

selvaggia e aspra e forte: mi sembra che i tre aggettivi, inframmezzati da<br />

quelle congiunzioni che contribuiscono a dare il senso <strong>di</strong> un respiro<br />

affannoso, proprio <strong>di</strong> chi sia preda dello sgomento, tentino <strong>di</strong> costituire<br />

un climax ascendente: infatti selvaggia (dato naturale, esterno) rappresenta<br />

una constatazione paesaggistica, aspra (dato fisico) connota la<br />

<strong>di</strong>fficoltà dell’attraversamento, forte (dato emotivo-morale) definisce<br />

l’angoscia che attanaglia irrime<strong>di</strong>abilmente il Poeta nella selva.<br />

v. 6: nel pensier: dopo il momentaneo ritorno al tempo del dramma (esta)<br />

Dante riprende le vesti dell’io narrante.<br />

– 105 –

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