MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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05.06.2013 Views

dall’inizio in un continuo richiamo alla determinatezza di cose ed eventi, alla corposità delle sensazioni, alla volumetria giottesca di luoghi e personaggi. Con questo Dante prende le distanze, se mai sia stato possibile avvicinare due attitudini letterarie tanto differenti, da quegli autori a lui precedenti che avevano parlato di viaggi ultraterreni: tanto visionari e indeterminati questi, quanto realistico e minuziosamente descrittivo il nostro Poeta. cammin: questa bella parola, di sapore iniziatico e sapienziale, palesa la similarità della Weltanschauung dantesca con l’analogo pensiero esistenziale delle filosofie buddhista e taoista. nostra: come si vede, da subito l’esperienza individuale si apre all’intera umanità e si precisa nel suo valore paradigmatico e nel suo obbiettivo, che è quello di “removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis” (Ep. XIII, 15). vita: la pregnanza del primo verso, che si conclude con la parola-chiave “vita”, parola di ampio respiro e di vaste risonanze sia poetiche sia semantiche, detta la necessità di un’analisi più approfondita riguardo alla peculiarità di questo momento isolato da Dante, leggibile evidentemente su più piani. Intanto, il piano personale: il Poeta, si evince dalla lettura della Vita Nuova, sconvolto dalla perdita di Beatrice, ripensa tutta la propria vita alla luce di ciò che è stato e ciò in cui ha creduto, vacillando nelle sue convinzioni religiose e scivolando pericolosamente verso l’averroismo razionalistico professato dall’amico Cavalcanti. Quindi, il piano per così dire epocale: come l’Ortis di Foscolo è, in effetti, emblema della crisi di un’intera generazione, così il Dante in cammino dipinge i turbamenti di un medioevo ormai troppo maturo e non più a suo agio, come sentirà Petrarca, nelle strettoie dell’aristotelismo. Infine, il piano istituzionale: mai come adesso, ed il pullulare di neonati movimenti pauperistici ne è la prova, la Chiesa indulge alla corruzione; mai come adesso l’Impero si crogiola nella sua debolezza, permettendo che il proprio dominio, abbandonato in balia dei piccoli potentati locali, sia devastato dalle lotte intestine e lasci così progressivamente sbiadire la sua identità culturale. Insomma il pericolo in cui si trova Dante è lo stesso in cui si dibatte il cristiano, malsicuro sulla via tracciata da una Chiesa, quella di Bonifacio VIII, da lui sentita come infida e contaminata dall’auri sacra fames; ed è lo stesso che vede il cittadino dell’Impero, un tempo certo del proprio status politico e sociale, trasformarsi in uno sbandato senza patria. – 102 –

Il “giallo” della data. Questo primo verso, a dispetto della premurosa volontà del Poeta di fornire al lettore una datazione precisa, crea immediatamente il “caso” relativo alla cronologia iniziale del viaggio. L’anno parrebbe il 1300 (anche se un cultore di astrologia, Giovangualberto Ceri, in seguito a suoi calcoli esposti in Dante e l’astrologia, Firenze 1995, sia convinto che ci si debba spostare in avanti di una unità), sempre che si parli in termini di calendario usuale; se, infatti, si sceglie l’uso fiorentino di contare gli anni ab incarnatione (e Dante, in Pd. XVI, 34 segg., ci informa che, effettivamente, quello era il computo che egli soleva applicare), si potrebbe ipotizzare la data del 25 marzo del 1300, cioè il primo giorno del 1301 in Firenze. Generalmente si accoglie la tesi 1300, che verrebbe ad incontrarsi con due elementi interessanti: la corrispondenza numerologica (1300 è composto da multipli di 10, allegoria della perfezione divina, e di 3, figurazione della Trinità) e la coincidenza del viaggio con l’indizione, da parte di Bonifacio VIII, del primo Giubileo. Inoltre sembra significativa la scelta di un anno particolare, iniziatore di secolo, laddove a “secolo” si potrebbe dare il significato di “epoca”: un anno palingenetico, insomma, che ben si adatterebbe al sogno di rinnovamento morale e politico che presto Dante materializzerà nell’enigmatica figura del Veltro. Per quanto riguarda il giorno, si pensa generalmente all’8 aprile, venerdì santo del 1330, ma non pochi preferiscono il 25 marzo (l’incarnazione) o addirittura, con minori argomenti, il 5 maggio. Almeno sull’orario, per fortuna, Dante è stato esplicito anche se non puntuale: è sera, come rivelano gli indicatori già del v. 17 e la notte ch’io passai di v. 21. v. 2: mi ritrovai: il racconto ritorna, con quel “mi”, al livello individuale, ma subito, ancora una volta, c’è qualcosa che identifica una condizione comune: il verbo “ritrovai” che, pur qualificando una situazione vissuta in quel momento da Dante, indica una attitudine prettamente umana, quella assenza di volontà (il Poeta vi ritornerà con fermi argomenti teologici nel Paradiso) per cui l’uomo si “ritrova” nel peccato suo malgrado, senza il contributo dell’azione; tale pericolo, sempre in agguato, deve ammonire l’uomo a vegliare costantemente contro la forza, quella sì, sempre attiva ed efficiente, del Male. per: nella stessa funzione di indicare uno stato in luogo circoscritto (“entro”) è usato da Cavalcanti in Io non pensava: “l’anima sento per lo cor tremare”). – 103 –

Il “giallo” della data. Questo primo verso, a <strong>di</strong>spetto della premurosa<br />

volontà del Poeta <strong>di</strong> fornire al lettore una datazione precisa, crea imme<strong>di</strong>atamente<br />

il “caso” relativo alla cronologia iniziale del viaggio. L’anno<br />

parrebbe il 1300 (anche se un cultore <strong>di</strong> astrologia, Giovangualberto<br />

Ceri, in seguito a suoi calcoli esposti in Dante e l’astrologia, Firenze<br />

1995, sia convinto che ci si debba spostare in avanti <strong>di</strong> una unità),<br />

sempre che si parli in termini <strong>di</strong> calendario usuale; se, infatti, si sceglie<br />

l’uso fiorentino <strong>di</strong> contare gli anni ab incarnatione (e Dante, in Pd. XVI,<br />

34 segg., ci informa che, effettivamente, quello era il computo che egli<br />

soleva applicare), si potrebbe ipotizzare la data del 25 marzo del 1300,<br />

cioè il primo giorno del 1301 in Firenze. Generalmente si accoglie la<br />

tesi 1300, che verrebbe ad incontrarsi con due elementi interessanti: la<br />

corrispondenza numerologica (1300 è composto da multipli <strong>di</strong> 10, allegoria<br />

della perfezione <strong>di</strong>vina, e <strong>di</strong> 3, figurazione della Trinità) e la coincidenza<br />

del viaggio con l’in<strong>di</strong>zione, da parte <strong>di</strong> Bonifacio VIII, del<br />

primo Giubileo. Inoltre sembra significativa la scelta <strong>di</strong> un anno particolare,<br />

iniziatore <strong>di</strong> secolo, laddove a “secolo” si potrebbe dare il significato<br />

<strong>di</strong> “epoca”: un anno palingenetico, insomma, che ben si adatterebbe<br />

al sogno <strong>di</strong> rinnovamento morale e politico che presto Dante<br />

materializzerà nell’enigmatica figura del Veltro. Per quanto riguarda il<br />

giorno, si pensa generalmente all’8 aprile, venerdì santo del 1330, ma<br />

non pochi preferiscono il 25 marzo (l’incarnazione) o ad<strong>di</strong>rittura, con<br />

minori argomenti, il 5 maggio. Almeno sull’orario, per fortuna, Dante è<br />

stato esplicito anche se non puntuale: è sera, come rivelano gli in<strong>di</strong>catori<br />

già del v. 17 e la notte ch’io passai <strong>di</strong> v. 21.<br />

v. 2: mi ritrovai: il racconto ritorna, con quel “mi”, al livello in<strong>di</strong>viduale, ma<br />

subito, ancora una volta, c’è qualcosa che identifica una con<strong>di</strong>zione comune:<br />

il verbo “ritrovai” che, pur qualificando una situazione vissuta in<br />

quel momento da Dante, in<strong>di</strong>ca una attitu<strong>di</strong>ne prettamente umana,<br />

quella assenza <strong>di</strong> volontà (il Poeta vi ritornerà con fermi argomenti<br />

teologici nel Para<strong>di</strong>so) per cui l’uomo si “ritrova” nel peccato suo malgrado,<br />

senza il contributo dell’azione; tale pericolo, sempre in agguato,<br />

deve ammonire l’uomo a vegliare costantemente contro la forza, quella<br />

sì, sempre attiva ed efficiente, del Male.<br />

per: nella stessa funzione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care uno stato in luogo circoscritto<br />

(“entro”) è usato da Cavalcanti in Io non pensava: “l’anima sento per lo<br />

cor tremare”).<br />

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