MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...
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l’abisso tra la gloria <strong>di</strong> Dio e le limitate facoltà umane, l’incapacità <strong>di</strong><br />
comprendere il senso pieno del trasumanar ecc.) l’in<strong>di</strong>cibile dell’Inferno<br />
rappresenta un dato psicologico-morale, concretizzato nell’espressione<br />
“pien <strong>di</strong> sonno” che compen<strong>di</strong>a allo stesso tempo (e qui ci riallacciamo al<br />
<strong>di</strong>scorso sul coinvolgimento quasi fisico del lettore) il torpore peccaminoso<br />
che affliggeva Dante in quel momento della sua vita, l’inevitabile stato <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sagio che accompagna l’uomo nei nuclei problematici della sua esistenza,<br />
la realtà storica che vedeva instabilità, corruzione, ingiustizia. In una parola:<br />
sonno. Sonno dell’anima, sonno del cuore, ma anche sonno delle istituzioni.<br />
Un sonno da cui, evidentemente, non è agevole per il momento svincolarsi,<br />
come si evince dall’impossibilità <strong>di</strong> Dante-umanità-istituzioni <strong>di</strong> praticare il<br />
“corto andar” della “piaggia” che, naturalmente, è “<strong>di</strong>serta”. Tale impotenza,<br />
come si legge nel Convivio, risulta da una semplice constatazione:<br />
l’uomo può giungere alla felicità morale se persegue la vita attiva, mentre<br />
la beatitu<strong>di</strong>ne può essere attinta esclusivamente con la rigorosa ricerca della<br />
contemplazione, che però implica un continuo esercizio ascetico, un costante<br />
sforzo <strong>di</strong> liberazione dalle passioni. Un cammino. Il cammino del pellegrino<br />
attraverso i tre regni per conquistarsi (e conquistarci) il “colle”, vicino<br />
alla vista ma irrime<strong>di</strong>abilmente lontano per l’uomo ancora involto nella sua<br />
materialità, da sempre ostacolo alla libera esplicazione dello Spirito.<br />
“Forse... questo colle... è... un miraggio antipodale, la sagoma illusoria <strong>di</strong><br />
una promessa” (v. Sermonti, L’Inferno <strong>di</strong> Dante, Milano 1994, p. 7).<br />
NOTE:<br />
vv. 1-9: Dante, smarrita la via del bene, si ritrova, senza sapere come, in<br />
una selva oscura, che gli procura angoscia ma che, come comprenderà<br />
in seguito, lo condurrà ad una svolta esistenziale.<br />
v. 1: mezzo: tale espressione, che ha i suoi precedenti in Salmi, 89,10 (“Gli<br />
anni della nostra vita sono settanta”), in Isaia, 38,10 (“nel mezzo dei<br />
miei giorni scenderò alle porte dell’inferno”), nello stesso Convivio (IV,<br />
XXXIII, 6-10), enuncia efficacemente la solennità del momento che<br />
Dante, ormai trascrittore della sua esperienza, ha vissuto e <strong>di</strong> cui vuol<br />
rendere partecipe il lettore. Tale sforzo <strong>di</strong> attrazione si evidenzia sin<br />
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