MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...
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LICEO CLASSICO “ORAZIO”<br />
ROMA<br />
Miscellanea<br />
<strong>di</strong> Saggi e Ricerche<br />
D’AVINO - ARCURI - BOTTONI - CARINI<br />
CASTELLANO - D’ADAMO DEL PRETE - DE NICHILO<br />
FIERRO - JANKOWSKI - MAIONE - ROBUSTELLI<br />
a cura <strong>di</strong> Mario Carini<br />
N. 2<br />
ANNO SCOLASTICO<br />
<strong>2004</strong>-2005
Stampa: Tipolito Istituto Salesiano Pio XI<br />
Via Umbertide, 11 - 00181 Roma<br />
Tel. 06.7827819 - E-mail: tipolito@pcn.net<br />
Finito <strong>di</strong> stampare: Marzo 2006
INDICE<br />
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7<br />
Note biografiche sugli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />
SEZIONE DOCENTI<br />
GIUSEPPE D’AVINO, Discorsi agli studenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17<br />
ANNA PAOLA BOTTONI, Una interpretazione metacognitiva della <strong>di</strong>dattica progettuale 26<br />
MARIO CARINI, Mitologie sul nazismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34<br />
MARINA CASTELLANO, Proposta <strong>di</strong> analisi critica del I canto dell’Inferno . . . . . . . . . . . . . . 99<br />
ANGELA D’ADAMO DEL PRETE, Il tema della morte in letteratura: un percorso inter<strong>di</strong>sciplinare<br />
per una terza liceale (anno scolastico 1999/2000) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143<br />
ADRIANA DE NICHILO, Tipologia B: la prima prova dell’esame <strong>di</strong> stato . . . . . . . . . . . . . . . . . 166<br />
LICIA FIERRO, Noterelle a margine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171<br />
CLAUDIO JANKOWSKI, Sceneggiatura per una fiaba, idea per un balletto . . . . . . . . . . . . . . . 180<br />
ANNA MARIA ROBUSTELLI, Christina Rossetti, “il cui cuore si spezzava per un po’<br />
d’amore” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182<br />
SEZIONE DIDATTICA<br />
(collaborazioni degli studenti)<br />
Fu vera storia? (Una ricerca della classe 3ª I del <strong>Liceo</strong> Linguistico, anno scolastico<br />
<strong>2004</strong>-2005, a cura della prof.ssa Donatella Arcuri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203<br />
Antologia <strong>di</strong> racconti a cura del prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski: Il romanzo <strong>di</strong> Enea <strong>di</strong><br />
Fabrizio Cosmi; Made in America <strong>di</strong> Lorenzo Pani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218<br />
Laboratorio teatrale 2005-2006, classe 2ª G, <strong>di</strong>retto dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski:<br />
L’opera del men<strong>di</strong>cante <strong>di</strong> John Gay (testo integrale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266<br />
Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio Arbitro reinterpretato da Federico Fellini (Saggio <strong>di</strong> studenti<br />
curato dalla prof.ssa Maria Paola Maione) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299
PREFAZIONE<br />
È il secondo anno successivo che la Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche prende<br />
vita e la cultura trasmessa ogni giorno, nelle aule scolastiche del nostro istituto, fa<br />
animare anche le pagine <strong>di</strong> questa pubblicazione. È facile rintracciare in essa la<br />
cura, l’attenzione e l’amore per la ricerca, lo stu<strong>di</strong>um, inteso nell’accezione etimologica<br />
del termine, ossia la passione che ogni docente vi pone, testimonianza <strong>di</strong><br />
quel continuo e incessante desiderio <strong>di</strong> apprendere che accomuna insegnanti e<br />
alunni.<br />
È proprio per questo che abbiamo deciso <strong>di</strong> inserire, accanto ai lavori realizzati<br />
per i nostri alunni, le ricerche svolte assieme agli alunni e i contributi elaborati<br />
da loro personalmente. Se i nostri allievi devono essere i fruitori attivi e partecipi<br />
<strong>di</strong> ogni processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e istruzione, attivato all’interno della nostra<br />
scuola, essi ancor più possono esprimere pienamente la loro partecipazione <strong>di</strong>venendo<br />
soggetti attivi, parte integrante e promotori essi stessi <strong>di</strong> tale processo. Quest’anno<br />
abbiamo deciso, infatti, <strong>di</strong> inaugurare, nell’ambito delle iniziative progettuali,<br />
il “Progetto Giovani”, uno spazio laboratoriale in cui i nostri alunni possano<br />
ideare, pianificare, realizzare le attività: dunque costruire concretamente, giorno<br />
per giorno, i segmenti delle azioni del loro sapere, accompagnati, nel percorso che<br />
rende operative le conoscenze (secondo quello che è il senso dell’etimologia <strong>di</strong><br />
cognoscere, ossia noscere cum, “apprendere con”), dai docenti.<br />
La Miscellanea, in questa prospettiva, rappresenta emblematicamente questo<br />
sforzo comune: alunni e docenti impegnati quoti<strong>di</strong>anamente insieme a vincere<br />
l’inerzia e la pigrizia intellettuale, e ogni forma d’ignoranza che la nostra società<br />
mistifica come informazione accessibile, accattivante ma profondamente superficiale<br />
e pressappochista.<br />
L’amore per il sapere che vogliamo trasmettere ai nostri giovani e che essi, in<br />
questo numero della presente pubblicazione, hanno <strong>di</strong>mostrato non solo <strong>di</strong> avere<br />
accolto, ma anche <strong>di</strong> essersi impegnati a fare proprio, si traduce nel desiderio <strong>di</strong><br />
imparare a ricercare. Oggetto della nostra ricerca, in ultima analisi, deve essere<br />
l’uomo. All’inizio dell’anno scolastico, rivolgendomi agli studenti del primo anno<br />
nelle giornate dell’accoglienza, ho citato loro la figura <strong>di</strong> Diogene che cercava<br />
l’uomo, ritenendo che anche nella realtà <strong>di</strong> oggi noi tutti dovremmo ricercare<br />
l’uomo. È solo riscoprendo le profonde ragioni che hanno animato l’umanesimo,<br />
che è possibile affrontare con successo le sfide educative del nostro tempo, contro le<br />
fallaci suggestioni <strong>di</strong> effimere mode culturali. E ai principi <strong>di</strong> un rinnovato umanesimo<br />
deve essere orientata la nostra ricerca, che da essi attinge valore e significato.<br />
La ricerca <strong>di</strong>venta, così, con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita: si dovrebbe parlare, infatti, del<br />
nostro “essere in ricerca”, per esprimere l’atteggiamento <strong>di</strong> chi si apre alla Verità,<br />
<strong>di</strong> chi percepisce la sua limitatezza nei confronti del Sapere. Troppo spesso, infatti,<br />
–5–
coinvolti in <strong>di</strong>namiche sempre più efficientiste, finiamo col perdere l’attenzione<br />
per quella che si potrebbe definire “la cultura del limite”, l’habitus mentale dell’uomo<br />
che nella sua ricerca quoti<strong>di</strong>ana sperimenta tutte le sue potenzialità senza<br />
<strong>di</strong>menticare mai la finitezza del suo agire.<br />
In un’epoca in cui, <strong>di</strong> fronte al trionfo del tecnicismo, si avverte lo smarrimento<br />
nelle coscienze del senso del nostro essere, una pubblicazione come questa ha il<br />
pregio <strong>di</strong> chiarire ulteriormente quale sia il senso del nostro essere nella scuola:<br />
dare il nostro sapere alle nuove generazioni, che saranno il futuro, per promuovere<br />
la loro formazione intellettuale e spirituale, nel segno <strong>di</strong> un neoumanesimo.<br />
Giuseppe D’Avino<br />
Dirigente Scolastico del <strong>Liceo</strong> Classico “<strong>Orazio</strong>”<br />
–6–
INTRODUZIONE<br />
Il presente volume, secondo della serie Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche, si<br />
presenta correlato all’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005, anche se comprende alcuni lavori<br />
realizzati nel corrente anno. Esso non si <strong>di</strong>fferenzia nell’impianto generale dal<br />
primo, ma contiene alcune novità. Anzitutto, la Miscellanea si arricchisce <strong>di</strong> nuove<br />
e assai gra<strong>di</strong>te collaborazioni <strong>di</strong> Colleghi docenti; si inaugura, poi, proprio con<br />
questo secondo volume una sezione appositamente de<strong>di</strong>cata agli studenti, nella<br />
quale troveranno posto, da questo numero e per i successivi, le loro ricerche presentate<br />
dai rispettivi professori. Si amplieranno, così, i contenuti <strong>di</strong> questa pubblicazione,<br />
che intende dare voce a tutte le componenti della comunità scolastica,<br />
presentando anche quanto prodotto dall’attività <strong>di</strong>dattica dei docenti nel corso<br />
dell’anno. In proposito, segnaliamo all’attenzione dei lettori che nella “Sezione<br />
<strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)”, oltre alle ricerche compiute dagli alunni<br />
delle prof.sse Arcuri e Maione e ai racconti elaborati nel laboratorio <strong>di</strong> scrittura<br />
condotto dal prof. Jankowski, è riportato il testo integrale de L’opera del men<strong>di</strong>cante<br />
<strong>di</strong> John Gay, che lo stesso prof. Jankowski porterà in scena con gli studenti del suo<br />
laboratorio teatrale a fine anno scolastico. Gli spettatori avranno così un comodo<br />
ausilio per assistere alla rappresentazione <strong>di</strong> quest’opera. Anche la “Sezione docenti”<br />
presenta una serie <strong>di</strong> lavori <strong>di</strong> vario genere (com’è, del resto, nel carattere <strong>di</strong><br />
una Miscellanea), che testimoniano l’ampiezza dell’impegno e degli interessi culturali<br />
del corpo insegnante nel nostro istituto: si va dall’esegesi dantesca alla letteratura<br />
italiana e straniera, dalla storia alla paraletteratura, dalla filosofia alla <strong>di</strong>dattica.<br />
Il volume contiene, nell’or<strong>di</strong>ne, i seguenti lavori. Nella “Sezione docenti”<br />
appaiono: i Discorsi agli studenti del prof. Giuseppe D’Avino, tenuti dal nostro<br />
Dirigente Scolastico in occasione dell’accoglienza agli studenti del <strong>Liceo</strong> Classico<br />
e del <strong>Liceo</strong> Linguistico, nei giorni 12 e13 settembre 2005; Una interpretazione<br />
metacognitiva della <strong>di</strong>dattica progettuale della prof.ssa Anna Paola Bottoni; la mia<br />
ricerca Mitologie sul nazismo; la Proposta <strong>di</strong> analisi critica del I canto dell’Inferno<br />
della prof.ssa Marina Castellano; Il tema della morte in letteratura: un percorso<br />
inter<strong>di</strong>sciplinare per una terza liceale (anno scolastico 1999/2000) della prof.ssa<br />
Angela D’Adamo Del Prete, Collega che lo scorso anno ha concluso il suo servizio<br />
nel nostro istituto lasciandoci un in<strong>di</strong>menticabile ricordo <strong>di</strong> impegno, de<strong>di</strong>zione,<br />
competenza culturale, spesi a strenua <strong>di</strong>fesa dei valori e delle ragioni della scuola<br />
pubblica; le riflessioni sulla prova scritta dell’esame <strong>di</strong> maturità, dovute alla<br />
prof.ssa Adriana de Nichilo, Tipologia B: la prima prova dell’esame <strong>di</strong> stato;<br />
le Noterelle a margine, riflessioni sull’esteriorità e l’interiorità dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />
della prof.ssa Licia Fierro; la Sceneggiatura per una fiaba, idea per un balletto del<br />
prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski; il saggio Christina Rossetti, “il cui cuore si spezzava per<br />
un po’ d’amore” della prof.ssa Anna Maria Robustelli.<br />
–7–
Segue la “Sezione <strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)” con: Fu vera<br />
storia?, una ricerca della Classe 3ª I del <strong>Liceo</strong> Linguistico a cura della prof.ssa<br />
Donatella Arcuri; Il romanzo <strong>di</strong> Enea <strong>di</strong> Fabrizio Cosmi e Made in America <strong>di</strong><br />
Lorenzo Pani, due racconti <strong>di</strong> studenti, frutto dell’attività <strong>di</strong> scrittura creativa svolta<br />
dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski nella classe 1ª G, anno scolastico <strong>2004</strong>-2005; il testo<br />
integrale de L’opera del men<strong>di</strong>cante <strong>di</strong> John Gay, <strong>di</strong> cui il prof. Jankowski, come<br />
ho già detto, sta curando l’allestimento con gli studenti del suo laboratorio teatrale<br />
(classe 2ª G), per il corrente anno scolastico; Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio Arbitro<br />
reinterpretato da Federico Fellini, un saggio degli studenti della classe 3ª C curato<br />
dalla prof.ssa Maria Paola Maione.<br />
Si spera che anche i contenuti <strong>di</strong> questo secondo volume, com’è stato per il<br />
primo che ha guadagnato lusinghieri consensi, possano riscuotere interesse e<br />
trovare apprezzamento tra i lettori, <strong>di</strong>modoché la Miscellanea continui ad apparire<br />
anche nei prossimi anni e venga auspicabilmente a configurarsi come uno degli<br />
irrinunciabili appuntamenti culturali, a tutti aperto, del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>.<br />
Concludo esprimendo la mia riconoscenza al Preside prof. D’Avino, che ha<br />
fortemente sostenuto e valorizzato questa pubblicazione, anche con il suo personale<br />
apporto, inserendola tra le attività previste dal POF, a tutti coloro che hanno<br />
collaborato con i loro preziosi contributi, permettendo l’uscita <strong>di</strong> questo secondo<br />
volume, e, infine, alle maestranze della Tipografia dell’Istituto Pio XI, che hanno<br />
curato con la consueta perizia la stampa del testo.<br />
Roma, 14 gennaio 2005 Mario Carini<br />
–8–
NOTE BIOGRAFICHE SUGLI AUTORI 1<br />
DONATELLA ARCURI: insegna Storia e Filosofia in questo <strong>Liceo</strong> dallo scorso<br />
anno scolastico. Membro del Comitato Scientifico della rivista “Sud Contemporaneo”,<br />
è autrice <strong>di</strong> racconti brevi e <strong>di</strong> saggi <strong>di</strong> argomento storico e<br />
filosofico.<br />
ANNA PAOLA BOTTONI: laureatasi nel 1987 in lettere antiche (in<strong>di</strong>rizzo filologia<br />
classica) presso l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Roma “La Sapienza”, ha<br />
seguito i corsi <strong>di</strong> perfezionamento post lauream in Archivistica e Biblioteconomia,<br />
Didattica della Scrittura, Didattica Generale e Museale, Didattica<br />
Modulare e dell’Orientamento (Università degli Stu<strong>di</strong> “Roma Tre”). Ha maturato<br />
una lunga esperienza <strong>di</strong> insegnamento presso il liceo classico dell’Istituto<br />
Paritario “Maria Ausiliatrice” <strong>di</strong> Roma, nell’ambito del quale si è occupata<br />
della <strong>di</strong>dattica laboratoriale e progettuale. Insegna attualmente nei licei ginnasi<br />
statali (classe <strong>di</strong> concorso A052).<br />
MARIO CARINI: laureato in lettere antiche e in giurisprudenza, vincitore <strong>di</strong> concorso<br />
a cattedre nel 1985 (materie letterarie e latino nei licei e negli istituti<br />
magistrali) e nel 1987 (materie letterarie, latino e greco nel liceo classico), è<br />
attualmente docente <strong>di</strong> materie letterarie, latino e greco presso i licei ginnasi<br />
statali. Ha pubblicato il volume Due città per un poeta, saggi su Magno<br />
Felice Enno<strong>di</strong>o, Tringale e<strong>di</strong>tore, Catania 1989 (onorevole menzione al XLII<br />
Certamen Capitolinum, anno 1991). Suoi scritti sono apparsi sulle riviste:<br />
“Quaderni Catanesi <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Classici e Me<strong>di</strong>evali”, “Atene e Roma”, “Nuova<br />
Secondaria”, “Aufidus”, “Cultura e Scuola”, “Rassegna <strong>di</strong> Cultura e Vita<br />
Scolastica”, “Civiltà dei Licei”, “Abstracta”, “Linea Treno”, “Nuovi Stu<strong>di</strong><br />
Fanesi”, “Intersezioni”, “Annali del <strong>Liceo</strong> classico A. <strong>di</strong> Savoia”, “Rivista <strong>di</strong><br />
cultura classica e me<strong>di</strong>oevale”, “Bullettino dell’Istituto <strong>di</strong> Diritto Romano<br />
«Vittorio Scialoja»”.<br />
MARINA CASTELLANO: nata a Napoli il 10 aprile 1961, vive a Roma, dove si<br />
è laureata in Lettere classiche nel 1984; vincitrice nei concorsi per Materie<br />
Letterarie, Italiano e Latino e Storia e Filosofia nel 1987, da questa data<br />
intraprende l’insegnamento dell’Italiano e del Latino nel <strong>Liceo</strong> Scientifico e,<br />
dal 1992, in quello Classico. Autrice <strong>di</strong> un’introduzione ad un saggio su<br />
Silone (S. Scalabrella, Il paradosso Silone, Stu<strong>di</strong>um, Roma 1998) pubblicata<br />
1 Le informazioni ci sono state cortesemente fornite dagli autori (n.d.c.).<br />
–9–
anche sul trimestrale “Stu<strong>di</strong>um” e <strong>di</strong> una e<strong>di</strong>zione critica del Cato maior<br />
ciceroniano (Il bello della vecchiaia, Cato Maior de senectute, Pagine, Roma<br />
2005), ha in preparazione un manuale <strong>di</strong> grammatica greca ed un’e<strong>di</strong>zione<br />
critica <strong>di</strong> canti scelti della Divina Comme<strong>di</strong>a. Ha al suo attivo una esperienza<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione e<strong>di</strong>toriale scolastica e la produzione <strong>di</strong> alcuni articoli scritti per<br />
trimestrali e mensili <strong>di</strong> attualità politica.<br />
ANGELA D’ADAMO DEL PRETE: nata a Vasto (Ch) il 25/12/41, ha conseguito<br />
la licenza liceale nel liceo classico L. Valerio Pudente <strong>di</strong> Vasto nell’anno<br />
1960; ammessa su concorso ad uno dei quattro posti gratuiti ban<strong>di</strong>ti per Lettere<br />
e Filosofia dal Collegio Marianum della Università Cattolica <strong>di</strong> Milano,<br />
si è laureata nella suddetta Università nell’ottobre 1964 con cento<strong>di</strong>eci e lode<br />
in Lettere e Filosofia (in<strong>di</strong>rizzo classico) con una tesi sull’Officium Passionis<br />
<strong>di</strong> San Francesco d’Assisi, relatore il prof. Ezio Franceschini docente <strong>di</strong> Letteratura<br />
latina me<strong>di</strong>evale, correlatore il prof. Piero Zerbi, docente <strong>di</strong> Storia<br />
della Chiesa. Un articolo estratto dalla sua tesi è stato pubblicato sulla rivista<br />
“Quaderni <strong>di</strong> spiritualità francescana”, Assisi, n. 25 (1965). Negli anni 1964 e<br />
1965 ha conseguito l’abilitazione in italiano, storia, geografia, latino e greco<br />
(abilitazioni decentrate). È <strong>di</strong>ventata <strong>di</strong> ruolo nelle scuole me<strong>di</strong>e inferiori<br />
per effetto della legge 460, insegnando nelle scuole me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Guidonia e<br />
Mentana. Nell’anno 1968 ha vinto un concorso a cattedre per l’insegnamento<br />
<strong>di</strong> italiano, latino, storia e geografia nei licei e negli istituti magistrali. Dal<br />
1970/71 ha insegnato nel liceo classico <strong>Orazio</strong> <strong>di</strong> Roma dove ha ricoperto<br />
il ruolo <strong>di</strong> delegata sindacale CGIL fino all’anno 1994. È poi stata eletta<br />
RSU sempre in rappresentanza della CGIL Scuola fino all’anno <strong>2004</strong>/05.<br />
Attualmente è in pensione.<br />
ADRIANA de NICHILO: si è laureata in Lettere presso l’Università “La<br />
Sapienza” <strong>di</strong> Roma nel 1975. Della sua tesi <strong>di</strong> laurea è stato pubblicato un<br />
estratto: Le lettere <strong>di</strong> Andrea Calmo e la civiltà veneziana del Rinascimento,<br />
in FM. Annali dell’Istituto <strong>di</strong> Filologia Moderna dell’Università <strong>di</strong> Roma,<br />
Roma, E<strong>di</strong>ter, 1977. Nel 1978 ha conseguito il Diploma <strong>di</strong> Bibliotecario<br />
presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università “La<br />
Sapienza” <strong>di</strong> Roma. Della sua tesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ploma è stato pubblicato un estratto<br />
intitolato Spunti per un’indagine storico-critica sulla teoria delle classificazioni.<br />
Le opere mnemotecniche parigine <strong>di</strong> Giordano Bruno, in “Annali della<br />
Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università <strong>di</strong> Roma”<br />
(1975-1976). Nel 2003 ha conseguito il Master <strong>di</strong> II livello <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>atore<br />
per l’orientamento. Vincitrice <strong>di</strong> concorso a cattedra, insegna italiano e latino<br />
nei Licei dal 1985. Oltre a quelli menzionati, ha pubblicato vari saggi e<br />
recensioni su volumi miscellanei e riviste specializzate, tra cui citiamo: La<br />
–10–
lettera e il comico, in Le Carte Messaggere. Retorica e modelli <strong>di</strong> comunicazione<br />
epistolare: per un in<strong>di</strong>ce dei libri <strong>di</strong> lettere del Cinquecento, a c. <strong>di</strong><br />
A. Quondam, Roma, Bulzoni, 1981 e Una risorsa versatile per la <strong>di</strong>dattica:<br />
la lettera, in Letteratura a scuola, vol. II Letteratura e scrittura, a c. <strong>di</strong> M.<br />
Costantino, Milano, Franco Angeli, 2002. Ha anche pubblicato due volumi <strong>di</strong><br />
poesia intitolati Sotto l’albero <strong>di</strong> limoni e Marea.<br />
LICIA FIERRO: laureatasi in filosofia all’Università <strong>di</strong> Napoli, sotto la guida <strong>di</strong><br />
vari maestri tra cui Aldo Masullo, svolge da molti anni con passione l’insegnamento<br />
<strong>di</strong> storia e filosofia nei licei classici. Collabora a giornali locali<br />
con articoli su varie tematiche culturali. Nel nostro Istituto ha svolto molteplici<br />
attività <strong>di</strong> collaborazione con la Dirigenza, ricoprendo incarichi <strong>di</strong> funzioni<br />
previste dal vigente or<strong>di</strong>namento. Ha organizzato i cicli <strong>di</strong> conferenze,<br />
su temi <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento culturale (La globalizzazione, anno scolastico<br />
2001/2002; La giustizia, anno scolastico 2002/2003; Fe<strong>di</strong> e ateismo nella<br />
civiltà contemporanea, anno scolastico 2003/<strong>2004</strong>), che hanno visto la partecipazione<br />
<strong>di</strong> prestigiosi esponenti della società civile, quali i giuristi Pietro<br />
Rescigno, Giovanni Conso (già ministro della Giustizia nel governo Ciampi<br />
e Presidente della Corte Costituzionale), Francesco Paolo Casavola (Presidente<br />
emerito della Corte Costituzionale), il giornalista Maurizio De Luca, il<br />
Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna, il filosofo Paolo Flores<br />
d’Arcais, il leader del movimento No Global Vittorio Agnoletto, il fisico<br />
Carlo <strong>di</strong> Castro, il vice Direttore Generale della Banca d’Italia Pierluigi<br />
Ciocca. Ha coor<strong>di</strong>nato la partecipazione delle sezioni classica e linguistica<br />
del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> al ciclo <strong>di</strong> 24 trasmissioni de “Il Grillo” (programma <strong>di</strong><br />
Rai Educational). L’ultima trasmissione, con la partecipazione dello storico<br />
Nicola Tranfaglia, è stata registrata a Torino.<br />
CLAUDIO JANKOWSKI: laureato in lettere, in pedagogia, nel D.U.E.C. (Roma<br />
Tre), ha stu<strong>di</strong>ato presso lo Stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Arti sceniche <strong>di</strong> Alessandro Fersen nel<br />
biennio 1974/76. Ha lavorato in teatro come regista interessandosi <strong>di</strong> scenografia,<br />
pittura e costruzione <strong>di</strong> maschere e <strong>di</strong> effetti speciali, lavoro quest’ultimo<br />
che ha alternato costantemente alla sua attività alla quale ha de<strong>di</strong>cato seminari,<br />
corsi e mostre. È stato aiuto-regista <strong>di</strong> alcuni importanti registi italiani<br />
ed assistente degli scenografi Roberto Francia e Bruno Garofalo. Ha collaborato<br />
tra gli altri con: Footsbarn Travelling Theatre, Alexander Jodorowski,<br />
Lindsay Kemp, Klaus Kinski, il Teatro Stabile <strong>di</strong> Roma. È stato assistente del<br />
prof. Ferruccio Di Cori nei suoi corsi <strong>di</strong> psico-dramma. Svolge costantemente<br />
attività <strong>di</strong>dattica e ha <strong>di</strong>retto corsi <strong>di</strong> teatro in Italia e in Belgio. Ha fondato<br />
nel 1993 il Teatro Stu<strong>di</strong>o Jankowski, che ha tra gli obiettivi quello <strong>di</strong> promuovere<br />
l’incontro del teatro e della drammaturgia italiana e polacca attraverso<br />
–11–
un lavoro <strong>di</strong> interscambio e ricerca. A partire dal 1973 ha curato in Italia la<br />
regia <strong>di</strong> numerosi spettacoli teatrali, da testi <strong>di</strong> Beckett (“Ultimo nastro <strong>di</strong><br />
Krapp”, “Atto senza parole”, “Atto senza parole II”, “Di Joe”, “Giorni felici”,<br />
“Aspettando Godot”), Ionesco (“Delirio a due”, “Il re muore”), Euripide<br />
(“Medea”), Brecht (“Il men<strong>di</strong>cante”, “Quanto costa il ferro?”, “L’anima<br />
buona del Sezuan”), Goering (“Battaglia navale”), Racine (“Fedra”), Aristofane<br />
(“Gli uccelli”), Hoffmann (“La principessa Brambilla”), Gombrowicz<br />
(“Iwona principessa <strong>di</strong> Borgogna”), Shakespeare (“La tempesta”, “Sogno <strong>di</strong><br />
una notte <strong>di</strong> mezza estate”), Gozzi (“La donna serpente”), Goldoni (“Arlecchino<br />
servitore <strong>di</strong> due padroni”), Jarry (“Ubu re”), Witkiewicz (“La nuova<br />
liberazione”), etc. Tra le ultime regie realizzate: “Giulio Cesare” <strong>di</strong> W. Shakespeare<br />
(Roma 2001, Laboratorio), “Operetta” <strong>di</strong> W. Gombrowicz (Roma<br />
2002, Teatro Greco), “Ubu sulla collina” <strong>di</strong> A. Jarry (Roma 2002, Teatro<br />
Tor<strong>di</strong>nona, Laboratorio). Ha inoltre scritto e messo in scena: “L’altra faccia <strong>di</strong><br />
Samuel Beckett” (Roma 1974, Teatro dei Dioscuri), “Baba Yaga” (Marino<br />
1976, Teatro V. Colonna).<br />
MARIA PAOLA MAIONE: laureata in lettere con in<strong>di</strong>rizzo classico all’università<br />
“La Sapienza” <strong>di</strong> Roma, ha <strong>di</strong>scusso la tesi <strong>di</strong> laurea su argomenti del teatro <strong>di</strong><br />
Eschilo presso la cattedra <strong>di</strong> “Storia del teatro e della drammaturgia antica”,<br />
<strong>di</strong>retta dal prof. A. Martina, in collaborazione con la cattedra <strong>di</strong> letteratura<br />
greca del prof. L.E. Rossi. Ha frequentato i corsi della Scuola Speciale per<br />
Archivisti e bibliotecari e ha lavorato come vincitrice <strong>di</strong> borse <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o nelle<br />
biblioteche degli Istituti della Provincia <strong>di</strong> Roma. Ha frequentato la Scuola <strong>di</strong><br />
Specializzazione post-universitaria in filologia Classica e in Filologia Moderna<br />
presso l’università “La Sapienza”, conseguendo il relativo <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong><br />
Perfezionamento post-lauream con una tesi sul Romanzo Italiano del ’900<br />
presso la cattedra del prof. E. Ghidetti, con il quale ha collaborato anche per<br />
interviste allo scrittore Vasco Pratolini sulla pubblicazione del suo romanzo<br />
“Lo Scialo”. È docente <strong>di</strong> Materie letterarie, Latino e Greco nei licei classici<br />
statali come vincitore <strong>di</strong> concorso or<strong>di</strong>nario e presta servizio nel <strong>Liceo</strong> Classico<br />
<strong>Orazio</strong> dal 1987. I suoi interessi si concentrano, in particolare, nello<br />
stu<strong>di</strong>o delle lingue e letterature greca, latina e italiana, inoltre, in attività e approfon<strong>di</strong>menti<br />
<strong>di</strong> archeologia e storia dell’arte, per i quali ha seguito corsi e<br />
collabora saltuariamente con l’Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche<br />
e con la Soprintendenza per il Polo Museale Romano. Fa parte <strong>di</strong> associazioni<br />
culturali locali che si occupano <strong>di</strong> archeologia, visite guidate, teatro e<br />
poesia, e tiene collaborazione con alcuni centri-stu<strong>di</strong>o cinematografici.<br />
ANNA MARIA ROBUSTELLI: è docente <strong>di</strong> lingua e letteratura inglese in<br />
un <strong>Liceo</strong> classico <strong>di</strong> Roma. Nel 1992 ha pubblicato l’antologia poetica<br />
–12–
Quadrangolo, e<strong>di</strong>zione Fermenti, insieme ad altre poete. Altre sue poesie<br />
sono apparse in <strong>di</strong>verse riviste nel corso degli anni. Dal 1993 al 2002, con<br />
altre donne, ha gestito il Centro Donne e Poesia alla Casa Internazionale<br />
delle Donne in Via della Lungara 19 a Roma, che organizzava annualmente<br />
un Premio <strong>di</strong> Poesia al femminile. Con questa associazione ha presentato e<br />
recensito le opere <strong>di</strong> numerose poete italiane e straniere in incontri, seminari,<br />
conferenze e recital che si sono avvicendati nel tempo.<br />
–13–
Sezione docenti
GIUSEPPE D’AVINO<br />
Discorsi agli studenti<br />
(per l’inaugurazione dell’anno scolastico 2005-2006)<br />
1. Agli studenti del <strong>Liceo</strong> Classico (Aula Magna, 12 settembre 2005)<br />
Cari studenti, cari genitori, anzitutto, in questo nostro primo incontro,<br />
voglio precisare che, nonostante le numerose domande che ci sono pervenute,<br />
abbiamo finito per accogliere tutti i trecentocinquanta e più alunni che<br />
ci hanno chiesto <strong>di</strong> entrare in questa scuola. Altre scuole, anche quelle<br />
storiche, <strong>di</strong> norma hanno detto <strong>di</strong> no e hanno mandato un’aliquota <strong>di</strong> quelli<br />
che desideravano entrare, in altre scuole. Noi abbiamo preferito accoglierli,<br />
anche perché se tutti <strong>di</strong>ciamo <strong>di</strong> no, significa mandare molti dei nostri<br />
alunni del nostro quartiere in scuole private o agli Industriali o ai Tecnici<br />
o ai Professionali, in quanto poi le famiglie desiderano iscriverli al liceo.<br />
Abbiamo fatto fronte al rinnovamento dei locali, degli spazi, in centrale e<br />
in succursale. E ci siamo riusciti, con grande sforzo, soprattutto l’estate, in<br />
modo tale da sistemare al meglio tutte le classi, quattor<strong>di</strong>ci, nel liceo. Se voi<br />
pensate che il primo anno ne uscirono quattro e ne entrarono sette, poi ne<br />
uscirono cinque e ne entrarono un<strong>di</strong>ci, l’anno scorso ne sono uscite sei e ne<br />
sono entrate tre<strong>di</strong>ci, quest’anno ne usciranno sei e ne sono entrate tra oggi e<br />
domani quattor<strong>di</strong>ci, vi rendete conto <strong>di</strong> quale sia stata negli anni l’espansione<br />
della nostra scuola. Qui voi non siete tutti, qui siete soltanto gli iscritti<br />
al <strong>Liceo</strong> Classico, mentre domani faremo l’accoglienza agli alunni iscritti al<br />
Linguistico.<br />
Io, in genere, quando parlo ai ragazzi <strong>di</strong>co: “Che cosa volete essere?”, e<br />
a volte faccio l’esempio della carta bianca. Ognuno <strong>di</strong> voi è come se oggi<br />
iniziasse il suo <strong>di</strong>ario, se non lo ha iniziato prima alle elementari: un <strong>di</strong>ario<br />
nuovo, una pagina nuova. Ognuno <strong>di</strong> voi può scrivere il bene e il male, il<br />
giusto e l’ingiusto, il ragionevole e l’irragionevole, il bello e il brutto, il<br />
buono e il cattivo, in questo <strong>di</strong>ario che poi <strong>di</strong>venta un <strong>di</strong>ario della propria<br />
vita. Oggi, invece, trovandomi <strong>di</strong> fronte a ragazzi che faranno il Classico,<br />
sono andato a ripescare una statuetta che ho a casa, quella <strong>di</strong> un filosofo che<br />
si chiama Diogene. È un filosofo che si presenta molto male in arnese, è<br />
vecchio, ha un piccolo mantello che gli fa anche da coperta la notte, una<br />
–17–
lampada in mano, un bastone, e cammina macilento. Quella lampada in<strong>di</strong>ca<br />
la sua ricerca. Ci sono tanti aneddoti su questo filosofo, è dell’inizio del IV<br />
secolo a.C.. E, tra l’altro, visse in una botte, perché rifiutava tutte le como<strong>di</strong>tà<br />
<strong>di</strong> allora, della vita e della società. Questa lampada in<strong>di</strong>ca una ricerca,<br />
un po’ come Socrate. Socrate <strong>di</strong>ceva che ricercava il perché delle cose.<br />
Invece Diogene cercava, <strong>di</strong>ce, l’uomo: “Cerco l’uomo”. E allora, in questa<br />
realtà <strong>di</strong> oggi, noi dovremmo ricercare l’uomo. L’uomo che è intelligenza,<br />
l’uomo che è misura, l’uomo che è equilibrio, l’uomo che è ragionevolezza,<br />
l’uomo che è prudenza, l’uomo che è sapienza, l’uomo che è bontà, l’uomo<br />
che è solidarietà, l’uomo che è <strong>di</strong>sponibilità, l’uomo che è ricerca, l’uomo<br />
che è attesa. Noi cerchiamo l’uomo e il <strong>Liceo</strong> Classico ancora ha, come<br />
fondamentale in<strong>di</strong>rizzo, la ricerca dell’uomo.<br />
Quando nel Trecento cominciò l’Umanesimo, e cominciò in Italia, andavano<br />
a ricercare l’uomo nelle pagine dei classici, nelle pagine dei pagani,<br />
nelle humanae litterae. Erano alla ricerca <strong>di</strong> un qualcosa che era andato<br />
perduto durante gli anni bui del Me<strong>di</strong>o Evo. Ma subito dopo questa ricerca<br />
scoppiò, <strong>di</strong>rompente, il Rinascimento. Ebbene, noi viviamo in qualche<br />
modo, e in questa scuola lo possiamo vivere, l’Umanesimo del 2005.<br />
Voi siete la generazione del futuro. Ma voi non siete già futuro. Voi non<br />
siete il nostro futuro, voi sarete il nostro futuro. Questo è l’errore, a volte<br />
demagogico, quando si <strong>di</strong>ce ai ragazzi: “Voi siete il nostro futuro”. Il futuro<br />
è qualche cosa che voi dovete creare, voi non siete ancora il futuro se non<br />
realizzerete voi stessi come futuro. E allora cerchiamo l’uomo.<br />
Il nuovo Umanesimo: pensate che in quei secoli nelle università si<br />
parlava latino, qualunque professore poteva andare nelle università (allora<br />
cominciavano a esistere, poi si <strong>di</strong>ffusero) e parlare una lingua comune a<br />
tutti, il latino. Le conoscenze erano quelle identiche un po’ per tutti, logicamente<br />
soprattutto in Europa, se non in Europa. Quin<strong>di</strong> cercavano questo<br />
linguaggio comune, ci si incontrava e ci si capiva con quella lingua. Oggi<br />
non c’è ancora un’unica lingua in tutto il mondo. Però c’è un Umanesimo<br />
nuovo. Mi è capitato <strong>di</strong> trovarmi in un aeroporto parlando con spagnoli,<br />
portoghesi, francesi contemporaneamente. Mi è capitato <strong>di</strong> incontrare<br />
questo nuovo Umanesimo, quello <strong>di</strong> incontrare altra gente, gente che viene<br />
qui, gente italiana che va dovunque. C’è questo linguaggio nuovo, quello<br />
<strong>di</strong> Internet è una forma <strong>di</strong> nuovo linguaggio. Al linguaggio delle lettere si è<br />
sostituito il linguaggio dell’algebra, della chimica, della fisica, che sono<br />
linguaggi universali. È quello che in fondo abbiamo creato negli ultimi<br />
secoli: un nuovo Umanesimo con un nuovo linguaggio. Ma adesso ci vuole<br />
–18–
un Rinascimento. Dobbiamo rinascere, dobbiamo essere nuovamente gli<br />
umanisti del Duemila. Non è possibile più la decadenza, i <strong>di</strong>svalori, la<br />
delusione, il pessimismo, la negatività. Voi potete creare l’ottimismo nel<br />
nostro tempo, voi giovani, ma dovete essere ottimisti. Voi potete creare, voi<br />
giovani, la sapienza nostra del futuro, ma dovete essere voi oggi stu<strong>di</strong>osi.<br />
Voi potete insegnare a noi adulti come si è giusti, come si è generosi, come<br />
si è buoni, ma dovete cominciare da oggi a essere giusti, buoni, generosi.<br />
Non c’è domani, non si aspetta il domani. Come si <strong>di</strong>ce a volte, la <strong>di</strong>eta la<br />
comincio domani. Non si aspetta domani. Si comincia oggi, da questo<br />
primo giorno <strong>di</strong> scuola.<br />
E allora io vi chiedo <strong>di</strong> essere e non <strong>di</strong> avere. Troppe volte si <strong>di</strong>ce:<br />
“Mamma mi dài, papà mi dài, ho bisogno <strong>di</strong> questo, ho bisogno <strong>di</strong> quello,<br />
ho bisogno <strong>di</strong> quell’altro”. Ma, una volta tanto, chie<strong>di</strong>amo ai nostri educatori,<br />
genitori e docenti: “Papà, professore, io voglio essere, voglio essere<br />
qualcuno che è uomo, soprattutto”. Quin<strong>di</strong>, chie<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> essere. E allora io<br />
mi ponevo anche questa domanda: essere, ma c’è un modello? Di modelli<br />
ce ne sono tanti. Ma io andavo pensando ai modelli dell’antichità. Quasi<br />
tutti i ragazzi, anche quelli che vengono dalle scuole me<strong>di</strong>e l’hanno letto:<br />
pensate ad Achille. Achille voleva essere, però in qualche modo ha sbagliato,<br />
ha sbagliato perché voleva essere un grande eroe, ha preferito essere<br />
una breve, rapida cometa, e poi morire. Poteva fare chissà quante altre cose,<br />
se avesse accettato <strong>di</strong> essere e rimanere in vita. Ulisse è in qualche modo<br />
l’uomo dell’eterno ritorno. Ulisse parte da Itaca, cammina cammina cammina,<br />
e poi ritorna a Itaca. Certamente è un valore, tornare ai propri valori e<br />
alla propria casa, con tutte le <strong>di</strong>fficoltà che ha dovuto affrontare. Ulisse è<br />
l’uomo che ritorna. Però c’è anche il nuovo. E il nuovo viene rappresentato<br />
da Enea. Enea, <strong>di</strong>strutta Troia, si porta sulle spalle il padre, porta le statuine<br />
degli dei Penati, porta dei suoi avi il ricordo e va verso il futuro, perché c’è<br />
un <strong>di</strong>o che gli ha detto: “Tu sarai il fondatore <strong>di</strong> una nuova civiltà”. E allora<br />
è lì che s’incontra il nuovo e l’antico, la tra<strong>di</strong>zione degli dei Penati, gli dei<br />
della casa, si incontra con la nuova famiglia, con la nuova terra, con la<br />
nuova civiltà, che poi sarà la civiltà <strong>di</strong> Roma. Enea è quello che unisce il<br />
passato al futuro, Enea sa che dentro <strong>di</strong> sé c’è il futuro e per raggiungere<br />
quel futuro deve anche lui attraversare tribolazioni e fatiche. E allora io vi<br />
chiedo: voi volete essere Ulisse, volete essere Achille, volete essere Enea?<br />
O volete essere Amleto? “Essere o non essere, questo è il problema”... Ma<br />
voi non dovete avere il problema <strong>di</strong> essere o non essere, la negatività no.<br />
Voi dovete, volete essere. E quin<strong>di</strong> cade anche Amleto. O don Chisciotte,<br />
–19–
don Chisciotte che vive nell’utopia e quando finalmente riconquista la<br />
ragione muore, perché è incapace <strong>di</strong> affrontare il realismo, la realtà quoti<strong>di</strong>ana.<br />
L’utopia si inserisce nella realtà e l’utopia illustra, dà forza alla<br />
realtà, e la realtà <strong>di</strong>venta ottimista, positiva, perché io penso al futuro, penso<br />
che cosa posso, che cosa devo essere nel futuro.<br />
E allora dovete scegliere. Che cosa preferite? Io porto anche un<br />
esempio per la collettività. Il film “La vita è bella” <strong>di</strong> Roberto Benigni,<br />
l’avete visto tutti quanti. Bene, il segreto <strong>di</strong> quel film è che a un certo momento<br />
Benigni capisce, e lo trasmette nel film, che il bambino rappresenta<br />
l’innocenza dell’umanità. Rappresenta l’innocenza dell’uomo, rappresenta<br />
la bellezza, la positività <strong>di</strong> quella innocenza, quel bambino rappresenta<br />
l’uomo dell’eden, rappresenta l’uomo che sarà, e allora i suoi occhi non devono<br />
essere offuscati dal male della violenza, dell’Olocausto e delle torture<br />
del Lager. E Benigni si fa in un certo senso attore, marionetta, maschera,<br />
perché il bambino non perda la sua innocenza. Perciò la vita è “bella”, la<br />
vita è bella perché quando il bambino risorge dal Lager non si è accorto che<br />
è vissuto nella miseria, nella tortura, nella sofferenza. Ha attraversato il<br />
Lager rimanendo innocente, con gli occhi della bellezza, della bella innocenza.<br />
E allora ecco il segreto anche <strong>di</strong> quel film. Così come quello della<br />
“Strada” <strong>di</strong> Fellini. Avete visto “La strada” <strong>di</strong> Fellini? “La strada” <strong>di</strong> Fellini<br />
termina con l’ultima scena che fa vedere le coste del mare, la vela che va<br />
verso il sole. O “La vita è un miracolo” <strong>di</strong> Kusturica. Anche lì, attraverso le<br />
lotte della Boemia, della guerra, la vita risorge in continuazione. E allora, in<br />
qualche modo rinascete.<br />
Dobbiamo fondare il Rinascimento in questa scuola. Ma io vi <strong>di</strong>co subito<br />
che c’è anche la tribolazione <strong>di</strong> Ulisse, perché nella vita sempre ci sono<br />
ostacoli e <strong>di</strong>fficoltà da superare. Se voi volete essere, volete sapere, attraverserete<br />
e supererete gli ostacoli che la vita vi porrà. E allora, nella scuola,<br />
<strong>di</strong>ciamolo, primo obiettivo è stu<strong>di</strong>are! Bisogna stu<strong>di</strong>are! Dovete stu<strong>di</strong>are,<br />
se no non c’è ragione d’essere in questa scuola se voi non avete intenzione<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are! (Applausi) Secondo, bisogna faticare! Dovete stare tre ore<br />
in me<strong>di</strong>a al giorno a stu<strong>di</strong>are! (Applausi) E ricordate che le lauree che si<br />
regalano su Internet, è una vergogna! Le lauree che si comprano, è una vergogna!<br />
Non è giusto! Noi dobbiamo avere dottori preparati, avvocati preparati,<br />
ingegneri preparati, docenti preparati, genitori preparati. Voi sarete<br />
questi un domani! (Vivissimi applausi) E vi <strong>di</strong>co, anche per non meritare<br />
solo applausi, che qualcuno <strong>di</strong> voi cadrà sul campo, è bene che lo sappiate.<br />
E non è ricorrendo all’aiuto dei genitori o alle raccomandazioni che si può<br />
–20–
essere promossi. È stando a tavolino giorno per giorno, dal primo giorno<br />
<strong>di</strong> scuola! (Applausi) Io vedo che i genitori, e ne sono contento, mi hanno<br />
applau<strong>di</strong>to. Ho visto molti dei ragazzi, degli studenti, che mi hanno applau<strong>di</strong>to.<br />
E allora io vi prego, applau<strong>di</strong>temi quando entrate in ritardo e io vi<br />
fermo alla portineria, non io personalmente ma i miei, applau<strong>di</strong>temi quando<br />
<strong>di</strong>co ai professori <strong>di</strong> darvi i compiti e <strong>di</strong> farvi stu<strong>di</strong>are, applau<strong>di</strong>temi quando<br />
<strong>di</strong>co che non mi piace la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tempo dell’autogestione inutile. Applau<strong>di</strong>temi<br />
allora, se ne siete capaci. (Vivissimi applausi)<br />
E adesso potrei portare altri esempi, ieri sera me ne ero segnati alcuni da<br />
ricordare. Però permettete che ricor<strong>di</strong> una pagina, un episo<strong>di</strong>o del Vangelo.<br />
Ci sono due cose che mi hanno sempre colpito: l’episo<strong>di</strong>o, il racconto della<br />
casa costruita sulla roccia. 1 Quando la casa è costruita sulla roccia, resiste<br />
alla pioggia, al soffio dei venti e allo straripare dei fiumi, quella costruita<br />
sulla sabbia crolla. E a proposito <strong>di</strong> pioggia, venti e fiumi, avete visto che<br />
<strong>di</strong>sastro, la più grande potenza mon<strong>di</strong>ale non sapeva e non sa salvare i suoi<br />
figli invasi dall’acqua <strong>di</strong> Katrina. 2 È il colmo, una nazione che riesce a mandare<br />
i satelliti su Marte poi non riesce a mandare un camion <strong>di</strong> viveri ad aiutare<br />
i più poveri. E allora la casa, <strong>di</strong>ce il Vangelo, se è costruita sul fango,<br />
arriva la tempesta, i venti, e tutto <strong>di</strong>strugge. La casa costruita sulla roccia,<br />
quella rimane. E la roccia sono i valori cui ho accennato prima e che vi<br />
danno i vostri genitori. Vi <strong>di</strong>cevo, mi ricordo che una volta il papà <strong>di</strong>ceva ai<br />
figli: “Guarda, io non ti ho dato ricchezze, ma sono stato sempre onesto”.<br />
Oggi qualunque decisione si prende, sembra sempre che sia <strong>di</strong>sonesta,<br />
sempre ci deve stare qualcosa sotto. Dobbiamo essere onesti, quando saremo<br />
professionisti, impiegati, etc. E allora dobbiamo costruire sulla roccia.<br />
E dobbiamo produrre come l’albero che, a un certo momento, se produce<br />
viene coltivato e conservato, e l’albero che non produce va tagliato. Io<br />
proprio ieri, nel giar<strong>di</strong>no che ho, ho tagliato un’ortensia, sono tre anni<br />
che cerco <strong>di</strong> farla vivere, ma non c’è stato niente da fare e ieri l’ho tagliata.<br />
L’albero che non dà frutti va tagliato.<br />
1 Mt 7,24-27.<br />
2 Riferimento all’uragano Katrina che il 30 agosto 2005 ha devastato la città <strong>di</strong> New<br />
Orleans, causando immani <strong>di</strong>struzioni, centinaia <strong>di</strong> morti e un milione <strong>di</strong> sfollati. Ne sono<br />
seguite forti polemiche verso l’operato dell’amministrazione Bush, perché per giorni migliaia <strong>di</strong><br />
superstiti sono rimasti senza soccorsi, stipati in accampamenti <strong>di</strong> fortuna e alla mercé <strong>di</strong> bande<br />
<strong>di</strong> delinquenti e saccheggiatori. Vd. sulla vicenda: Marco De Martino, Waterloo d’acqua per<br />
il presidente, in «Panorama», 15 settembre 2005, pp. 84-89; Naomi Klein, Nuova New Orleans,<br />
in «L’Espresso», 22 settembre 2005, pp. 34-37.<br />
–21–
E adesso mi rivolgo ai genitori e ai professori. I ragazzi sono come noi<br />
li facciamo. Quanti <strong>di</strong> noi hanno trovato l’uomo... E allora capite il messaggio.<br />
Chiuderò con la scultura <strong>di</strong> Michelangelo. 3 Voi vedete lo schiavo<br />
che è immerso nella materia, perché Michelangelo <strong>di</strong>ceva che la scultura<br />
avviene non aggiungendo marmo a marmo, ma con il “torre”, cioè il togliere,<br />
perché già esiste all’interno del marmo la figura che io voglio far nascere.<br />
E allora questo schiavo immaginatevelo nel blocco intero <strong>di</strong> marmo.<br />
Lo schiavo già esiste dentro il marmo, nel cuore del marmo, e lo scultore<br />
Michelangelo lo ha visto con la luce della sua intelligenza e lo vuole tirar<br />
fuori. E lo schiavo aiuta lo scultore. Vedete, vi ho messo anche <strong>di</strong>etro le<br />
immagini, il braccio che quasi vuol scrollare da sé la materia sorda, il caos<br />
materiale che lo circonda. Lo schiavo vuole uscire alla luce, e già parte del<br />
suo corpo è arrivato alla luce. Vedete il ginocchio, parte del tronco, il<br />
braccio <strong>di</strong> destra, e poi chi si mette dal lato sinistro, vede il braccio sinistro.<br />
E allora tutti quanti noi già esistiamo in potenza, noi già siamo quello che<br />
saremo se ci mettiamo <strong>di</strong> lei, ma spetta ai professori, spetta ai genitori tirar<br />
fuori da quello che siete oggi i nuovi professionisti, gli uomini <strong>di</strong> domani,<br />
come Michelangelo ha tirato fuori da questo blocco il suo schiavo. E noi<br />
genitori torniamo a casa e chie<strong>di</strong>amoci, e noi docenti an<strong>di</strong>amo a casa e<br />
doman<strong>di</strong>amoci, ed io <strong>di</strong>rigente vado a casa e mi domando: ma l’uomo che<br />
io cercavo a <strong>di</strong>eci, a quin<strong>di</strong>ci, a <strong>di</strong>ciott’anni, c’è? Non c’è? Dov’è andato a<br />
finire? Io auguro a tutti quanti voi, ragazzi, <strong>di</strong> trovare l’uomo che è in voi.<br />
Auguri e buon anno. (Vivissimi applausi)<br />
2. Agli studenti del <strong>Liceo</strong> Linguistico (Aula Magna, 13 ottobre 2005)<br />
Allora, ben arrivati, buongiorno a tutti, buenos días, bonjour, guten Tag,<br />
good morning. Siete tutti quanti del Linguistico e quelli del Linguistico,<br />
anche se a volte non sempre mi vedono dall’altra parte, mi stanno nel cuore<br />
come e più <strong>di</strong> quelli della Centrale, perché gli alunni del Linguistico e gli<br />
alunni della Centrale, e quin<strong>di</strong> quelle che chiamiamo succursale e sede centrale,<br />
non sono più realtà <strong>di</strong>stinte, separate, ma sono due braccia dell’unico<br />
corpo. Uno è il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> con due braccia, con due in<strong>di</strong>rizzi. Il fatto che<br />
io stu<strong>di</strong> in una stanzetta <strong>di</strong> questo liceo, la succursale, e l’altro figlio stu<strong>di</strong>a<br />
3 Allude all’immagine proiettata sullo schermo rappresentante uno dei Prigioni <strong>di</strong> Michelangelo.<br />
–22–
in un’altra stanzetta, sede centrale, non significa che non sia la stessa cosa,<br />
non significa che il padre non sia unico, non significa che coloro che si interessano<br />
<strong>di</strong> far andare bene tutta quanta la casa, cioè il liceo, non curino tutti<br />
i figlioli che stanno nella casa. Per cui io vi assicuro che state nella mia<br />
intenzione, nella mia mente, nei miei interessi e nel mio cuore come quelli<br />
della centrale. Il fatto che a volte possa stare più qui che in succursale,<br />
questo può succedere, anche in casa a volte il figlio va a fare un lavoro un<br />
po’ più lontano, ma non viene amato meno <strong>di</strong> quelli che abitano in famiglia<br />
in continuazione. Io ho avuto mia figlia che è stata in Francia sei mesi, ma<br />
non per questo l’amavo meno del fratello. Io stesso ho avuto mio fratello,<br />
ho avuto mio padre nel Venezuela – tra l’altro qui c’è proprio il console del<br />
Venezuela – a Caracas tanti anni, ma non per questo lui amava meno noi e<br />
noi amavamo meno lui. Anzi, a volte è più presente chi è lontano, è più<br />
presente alla mente e al cuore <strong>di</strong> chi è vicino. E allora ecco che voi siete due<br />
braccia della stessa comunità.<br />
Siete voi che scrivete le pagine della vostra vita. E allora bisogna <strong>di</strong>re sì<br />
a tante cose. E allora ci dobbiamo chiedere, casomai: ma tra tutti questi che<br />
io chiamo figli (e forse per la mia età dovrei chiamarli nipoti), fra tutti<br />
questi che io chiamo figli, chi è il migliore? Il migliore non <strong>di</strong>pende dal<br />
fatto che si stia in centrale o in succursale, il migliore <strong>di</strong>pende da quello che<br />
siamo noi, uno per uno, dalle scelte che facciamo noi. Io ricordo quello che<br />
sta scritto nel Vangelo, una cosa interessantissima. C’erano due figli. 4 Uno<br />
<strong>di</strong>ce sì al padre che gli chiede <strong>di</strong> fare un servizio, ma non lo fa. L’altro figlio<br />
<strong>di</strong>ce no, ma lo fa. Chi dei due è il migliore? E allora un giorno lessi un’interpretazione,<br />
un commento che <strong>di</strong>ceva che il migliore è il terzo. Cioè<br />
quello che <strong>di</strong>ce sì e lo fa. E allora io vorrei <strong>di</strong>re a voi: ma voi volete essere il<br />
primo, quello che <strong>di</strong>ce “sì papà, sì professore, però poi dopo non lo faccio”?<br />
A volte anche tra noi adulti, tra noi docenti, c’è chi <strong>di</strong>ce “sì sì, preside”, ma<br />
poi non fa. Oppure voi volete essere l’altro figlio, quello che <strong>di</strong>ce “no no”,<br />
però poi lo fa? Oppure volete essere il migliore, quello che <strong>di</strong>ce sì e lo fa?<br />
Allora il vostro linguaggio sia sì. Ma a che cosa dovete <strong>di</strong>re sì veramente e<br />
a che cosa dovete <strong>di</strong>re no veramente? “Sì” a che cosa? Sì all’accoglienza, sì<br />
all’onestà, sì alla giustizia, sì alla solidarietà, sì all’equità, sì alla <strong>di</strong>sponibilità,<br />
sì alla presenzialità, alla partecipazione, all’interesse, all’amore. Questo<br />
è il sì che vale. E sia no alla meschinità, no alle piccolezze, no ai sotterfugi,<br />
4 Mt 21,28-32.<br />
–23–
no alla slealtà, no all’ingiustizia, no al tra<strong>di</strong>mento, no all’ipocrisia, no a<br />
tante altre cose piccole, meschine, <strong>di</strong> cui il mondo è invaso. Dite no a quello<br />
che non è bene, <strong>di</strong>te sì, sempre, a quello che è bene per voi! E allora sarete<br />
gran<strong>di</strong>. E allora il migliore dei figli non sarà perché sta qui o sta lì, il migliore<br />
dei figli non è neppure perché sta in quella classe o in quell’altra<br />
classe: il più piccolo <strong>di</strong> voi può essere il più grande del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>, come<br />
il più grande, il più grosso o anche il più intelligente può essere l’ultimo del<br />
liceo. Siete voi che scrivete le pagine della vostra vita. E allora bisogna <strong>di</strong>re<br />
sì a tante cose. Ma la prima cosa a cui bisogna <strong>di</strong>re sì in una scuola, è bene<br />
che lo chiariamo subito, è lo stu<strong>di</strong>o. Dovete stu<strong>di</strong>are! Ogni cosa ha una sua<br />
essenzialità. Una se<strong>di</strong>a serve per far sedere la gente, un tavolo serve per<br />
scrivere, per appoggiare le cose, questo altoparlante serve se permette la<br />
<strong>di</strong>ffusione del suono. Un albero <strong>di</strong> mele serve se dà le mele, un fico serve se<br />
dà un fico. Ma una scuola serve se fa stu<strong>di</strong>are. E allora io non mi arrampico<br />
su qualcosa che è contraria alla sua finalità. Se io ho scelto il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>,<br />
se io ho scelto questo in<strong>di</strong>rizzo, è perché voglio stu<strong>di</strong>are. E quello che avete<br />
scelto voi forse è anche più bello, più grande, più interessante e più moderno<br />
<strong>di</strong> altri stu<strong>di</strong>. Perché è più interessante? È più interessante perché<br />
sono le lingue, soprattutto, quello che caratterizza il Linguistico. È più<br />
bello, perché vi mettete a contatto <strong>di</strong> altre culture, <strong>di</strong> altre civiltà. È più<br />
grande soprattutto per voi, perché significa che voi avete un carattere<br />
aperto. Cioè chi vuole apprendere, già <strong>di</strong> per sé ha un carattere aperto, ma<br />
chi vuole apprendere come pensano gli altri, è aperto, chi vuole apprendere<br />
come è la civiltà degli altri è aperto, chi vuol conoscere i costumi degli altri<br />
è aperto, chi vuol conoscere la civiltà e il modo <strong>di</strong> essere degli altri è aperto.<br />
E allora chi sceglie il Linguistico non lo sceglie soltanto perché <strong>di</strong>ce che un<br />
giorno gli servirà una lingua, per lavorare <strong>di</strong> più e per guadagnare <strong>di</strong> più.<br />
Certo, c’è anche quello perché la nostra vita si regge nel reale, nel concreto<br />
e nel quoti<strong>di</strong>ano. Ma voi state qui e imparate le lingue per conoscere gli<br />
uomini, per conoscere gli altri da voi. Ecco, io desidero che ciascuno <strong>di</strong> voi<br />
apra le finestre del proprio cuore, oltre che dei propri occhi, della propria<br />
mente, apra queste finestre agli altri. Chiunque sta fuori <strong>di</strong> me, auspico che<br />
sia dentro <strong>di</strong> me. Chiunque parla la sua propria lingua, potrà essere capito<br />
da me, ma nella sua struttura mentale, nella sua struttura linguistica, nella<br />
sua struttura comportamentale, nella sua struttura <strong>di</strong> civiltà, <strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong><br />
legge. Noi dobbiamo essere aperti. Voi, avendo scelto il Linguistico, sentite<br />
questa esigenza. E allora voi sarete gran<strong>di</strong> se manterrete fedeltà, se <strong>di</strong>venterete<br />
fedeli a questo in<strong>di</strong>rizzo, a questo modo <strong>di</strong> concepire il Linguistico.<br />
–24–
Ecco perché la vostra scelta mi fa piacere. Ecco perché io vedo un giorno<br />
voi in mezzo agli altri, e non vi vedo soltanto in uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ingegneria, in<br />
uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> me<strong>di</strong>co, in uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> commercialista, in uno stu<strong>di</strong>o professionale<br />
qualunque. Io vi vedo sparsi in qualche modo nei paesi dell’Europa,<br />
a contatto dei tedeschi, dei francesi, degli spagnoli, <strong>di</strong> qualunque altra nazione.<br />
Voi potete parlare con gli altri, potete portare l’altezza dell’Italia agli<br />
altri e portare all’Italia la ricchezza degli altri popoli. E allora, cari ragazzi,<br />
andate avanti. Voi siete come dei navigatori, dei gran<strong>di</strong> navigatori. Mentre<br />
alcuni <strong>di</strong> quelli che ieri ho accolto navigheranno nelle pagine <strong>di</strong> Catone, <strong>di</strong><br />
Cicerone, <strong>di</strong> Plinio, voi navigherete nelle pagine <strong>di</strong> Thomas Mann, <strong>di</strong> Musil,<br />
<strong>di</strong> Balzac, <strong>di</strong> Hugo, <strong>di</strong> Cervantes. Voi navigherete nelle civiltà <strong>di</strong> tanti popoli.<br />
Aprite le frontiere del vostro cuore. Aprite le frontiere della succursale,<br />
aprite le frontiere del liceo. Aprite le frontiere della vostra umanità. Siate<br />
pronti e aperti, al mondo, ma soprattutto, a voi e alla vostra vita. (Applausi)<br />
–25–
ANNA PAOLA BOTTONI<br />
Una interpretazione metacognitiva<br />
della <strong>di</strong>dattica progettuale<br />
La progettualità investe i più <strong>di</strong>sparati ambiti dell’agire, concretandosi<br />
in alcune prassi <strong>di</strong> uso quoti<strong>di</strong>ano: si producono progettazioni in ambito<br />
lavorativo, sociale, educativo, per limitarsi solo a qualche esemplificazione.<br />
Elemento presente e ricorrente come connotativo <strong>di</strong> una progettualità operativa<br />
è quello <strong>di</strong> riuscire a tradurre in<strong>di</strong>cazioni e orientamenti, in<strong>di</strong>viduati<br />
come possibili obiettivi, in procedure esecutive, scelte per verificare e assicurare<br />
la fattibilità del risultato, ipotizzato come prodotto finale. Uno degli<br />
aspetti peculiari delle <strong>di</strong>namiche progettuali risiede, infatti, nella scelta delle<br />
procedure da adottare, intese come operazioni capaci non solo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />
soluzioni in grado <strong>di</strong> semplificare l’esecuzione del compito, ma soprattutto<br />
idonee a stabilire una costante e continua interazione fra il soggetto-produttore<br />
e i passaggi implicati nella produzione, palesati nella possibilità <strong>di</strong> controllare<br />
tutte le fasi dell’elaborazione e <strong>di</strong> apportare eventuali mo<strong>di</strong>fiche o<br />
integrazioni nella previsione del risultato finale, costantemente monitorato.<br />
Una siffatta strategia operativa, che consente <strong>di</strong> pianificare agevolmente,<br />
con realistiche probabilità prognostiche, il risultato finale, ha trovato, soprattutto<br />
negli ultimi anni, sempre maggior impiego in campo <strong>di</strong>dattico sia sul<br />
versante dell’appren<strong>di</strong>mento che su quello dell’insegnamento.<br />
Gli alunni sono sempre più sollecitati a imparare a progettare e ad imparare<br />
per progetti. L’acquisizione dei contenuti <strong>di</strong>sciplinari <strong>di</strong>venta, infatti,<br />
solo una delle tante operazioni veicolari, finalizzate alla conquista <strong>di</strong> un metodo<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o personale ed autonomo, necessaria alla costruzione <strong>di</strong> saperi,<br />
in<strong>di</strong>viduati in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> sperimentabilità e trasferibilità in altri<br />
campi del reale, intrinseca ad ogni azione progettuale.<br />
Analogamente le proposte <strong>di</strong>dattiche si traducono, da parte del docente,<br />
nell’ideazione <strong>di</strong> progetti, <strong>di</strong>venuti ormai parte integrante anche nelle programmazioni<br />
curriculari, e nell’attuazione dei medesimi nei laboratori, autentiche<br />
“officinae” culturali.<br />
Nella <strong>di</strong>dattica progettuale che intreccia due livelli <strong>di</strong> competenze basilari,<br />
la conoscenza delle informazioni essenziali che definiscono i campi <strong>di</strong><br />
conoscenza, e la capacità <strong>di</strong> programmare in modo articolato un percorso<br />
–26–
formativo costituito anche sui <strong>di</strong>versi contenuti <strong>di</strong>sciplinari, è possibile,<br />
tuttavia, che uno dei fattori, affettivo, sociale e razionale implicati in essa e<br />
riconosciuti come competenze, <strong>di</strong>venti preponderante, dando luogo a rischi<br />
<strong>di</strong> “derive”. 1 Isabelle Bordallo e Jean-Paul Ginestet, nel loro saggio Didattica<br />
per progetti (I ed. 1993), in<strong>di</strong>viduano derive produttiviste, nel caso in<br />
cui la <strong>di</strong>mensione sociale produca una forzata identificazione fra prodotto e<br />
obiettivo; derive spontaneiste, qualora la <strong>di</strong>mensione affettiva subor<strong>di</strong>ni ad<br />
un approccio <strong>di</strong> tipo emotivo, da parte dell’alunno, il risultato del progetto;<br />
derive tecniciste, infine, quando la pianificazione, dettagliata e accurata, <strong>di</strong>venta<br />
esclusiva prerogativa del docente. 2<br />
Sempre gli stessi autori evidenziano la presenza, anche se con <strong>di</strong>verso<br />
spessore, <strong>di</strong> due <strong>di</strong>fferenti scuole <strong>di</strong> pensiero pedagogico, nella strutturazione<br />
della <strong>di</strong>dattica progettuale. 3 Sono rispettivamente e in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo in<strong>di</strong>cate,<br />
infatti, la teoria del behaviorismo e quella del costruttivismo: nel primo<br />
caso viene valutata l’efficacia <strong>di</strong> un processo d’appren<strong>di</strong>mento prendendo in<br />
considerazione la vali<strong>di</strong>tà del risultato ottenuto, nell’altro viene incentrata<br />
l’attenzione sui progessi d’appren<strong>di</strong>mento attivati dal soggetto-agente.<br />
È proprio con Piaget, uno degli esponenti più autorevoli del costruttivismo,<br />
che viene posto l’accento sui “meccanismi cognitivi”. 4 Egli è infatti<br />
considerato uno dei principali artefici della psicologia dello sviluppo cognitivo,<br />
avendo analizzato alcuni punti fondamentali in<strong>di</strong>viduati nei seguenti: il<br />
sapere come costruzione personale, l’appren<strong>di</strong>mento attivo, l’appren<strong>di</strong>mento<br />
collaborativo, l’importanza del contesto e la valutazione intrinseca<br />
(la valutazione integrata con il processo <strong>di</strong> costruzione della propria conoscenza,<br />
ossia l’autovalutazione). È nell’ambito del modello <strong>di</strong>dattico del<br />
cognitivismo che si matura una sempre più attenta analisi sulle modalità<br />
dell’appren<strong>di</strong>mento metacognitivo.<br />
La metacognizione, termine usato per la prima volta negli anni Settanta<br />
da Flavel, si può intendere come “l’insieme delle conoscenze che l’in<strong>di</strong>-<br />
1 Per “derive” inten<strong>di</strong>amo le possibili conseguenze e implicazioni insite in ogni processo<br />
<strong>di</strong>dattico, in cui uno dei fattori che contribuiscono alla realizzazione <strong>di</strong> esso <strong>di</strong>venta preponderante,<br />
rischiando <strong>di</strong> alterare inevitabilmente l’equilibrio tra le altre componenti, tutte necessarie<br />
allo stesso modo per una corretta realizzazione dello stesso intervento <strong>di</strong>dattico.<br />
2 Isabelle Bordallo - Jean-Paul Ginestet, Didattica per progetti, trad. <strong>di</strong> Carlo Baccini, La<br />
Nuova Italia, Milano 1999, pp. 17-18.<br />
3 Ibid., p. 28.<br />
4 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1970; Id., Epistemologia<br />
genetica, Laterza, Roma-Bari, 1971.<br />
–27–
viduo possiede in riferimento al funzionamento della mente, ma anche ai<br />
processi <strong>di</strong> controllo che sovrintendono alle attività cognitive durante la loro<br />
esecuzione”. 5<br />
Nelle tappe che contrad<strong>di</strong>stinguono la riflessione sulla metacognizione<br />
correlandola ora al sistema della memoria ora alle <strong>di</strong>verse fasi dello sviluppo<br />
ora sulla motivazione, emerge la necessità <strong>di</strong> attribuire, soprattutto negli ultimi<br />
anni, particolare rilievo ai processi <strong>di</strong> costruzione della conoscenza, alle<br />
modalità dello svolgimento <strong>di</strong> un compito, quin<strong>di</strong> al “come” piuttosto che al<br />
“cosa”. Si tratta <strong>di</strong> favorire nell’alunno la consapevolezza delle strategie che<br />
usa per realizzare un determinato compito.<br />
In un recente saggio, Apprendere con stile <strong>di</strong> Manuela Cantoia, Letizia<br />
Carruba e Barbara Colombo, 6 le autrici, trattando della “metacognizione”<br />
(che intendono come “pensiero del pensiero”), ritengono però preferibile<br />
parlare <strong>di</strong> “atteggiamento metacognitivo” per delineare la complessità <strong>di</strong> un<br />
appren<strong>di</strong>mento che pervade i <strong>di</strong>versi aspetti dell’esperienza dell’alunno,<br />
in<strong>di</strong>pendentemente dai risultati raggiunti e dai livelli <strong>di</strong> prestazione.<br />
Già Brown nel 1983 riteneva tuttavia che la metacognizione non consistesse<br />
solo nella consapevolezza del funzionamento dei processi cognitivi,<br />
ma nella capacità <strong>di</strong> progettare, controllare, porsi interrogativi e auto<strong>di</strong>rigersi.<br />
Ritroviamo nei processi <strong>di</strong> controllo metacognitivi, delineati da<br />
Brown, tutte le attività procedurali, presenti nelle fasi <strong>di</strong> un progetto: previsione<br />
del livello che si pensa <strong>di</strong> raggiungere, pianificazione intesa come<br />
l’organizzazione delle azioni che determinano l’obiettivo, monitoraggio inteso<br />
come il controllo che si esercita sull’attività che si svolge, valutazione<br />
intesa come la capacità <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care, da parte dell’in<strong>di</strong>viduo, 7 sui progetti<br />
l’adeguatezza dei percorsi adottati.<br />
Nelle attività progettuali che promuovono una riflessione metacognitiva<br />
è possibile riconoscere una duplice componente: quella riguardante l’alunno<br />
che, da ascoltatore-fruitore passivo <strong>di</strong> conoscenze, <strong>di</strong>venta soggetto-impren<strong>di</strong>tore<br />
<strong>di</strong> esse, capace <strong>di</strong> riconoscere i processi e le strategie <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />
attivate per la realizzazione dell’obiettivo <strong>di</strong> produzione (da intendersi<br />
come un risultato la cui vali<strong>di</strong>tà è sperimentabile o acquisibile, ma sempre<br />
5 J.H. Flavel - H.M. Wellman, Perspectives on the Development of memory and Cognition,<br />
Erlbaum, New York, 1977.<br />
6 Manuela Cantoia - Letizia Carruba - Barbara Colombo, Apprendere con stile. Metacognizione<br />
e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma <strong>2004</strong>, pp. 12-13.<br />
7 Con in<strong>di</strong>viduo inten<strong>di</strong>amo sia il docente che il <strong>di</strong>scente.<br />
–28–
trasferibile in altri contesti); quella relativa al docente che, nelle operazioni<br />
<strong>di</strong> pianificazione in grado <strong>di</strong> qualificare come progetto la propria azione <strong>di</strong>dattica,<br />
riflette non solo sui contenuti della sua proposta culturale ma anche<br />
sulla loro “proponibilità”, ossia sulle modalità <strong>di</strong> attuazione, sui tempi, sulle<br />
fasi e sulle competenze che si intendono attivare nell’alunno. Tali prassi <strong>di</strong>dattiche<br />
consentono all’insegnante <strong>di</strong> rendere accertabile, in ogni fase del<br />
suo agire <strong>di</strong>dattico, i processi che sta attivando, e <strong>di</strong> poter intervenire per<br />
consolidare, sviluppare e potenziare le procedure logiche <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione,<br />
sistematizzazione, gerarchizzazione e selezione delle conoscenze da parte<br />
del <strong>di</strong>scente.<br />
È evidente come una siffatta proposta <strong>di</strong>dattica abbia tra le sue finalità<br />
quella <strong>di</strong> ridurre i rischi <strong>di</strong> improvvisazione, sommarietà, pressappochismo<br />
insiti in ogni processo comunicativo, suscitatore <strong>di</strong> domande (la problematizzazione<br />
dei contenuti proposti) e latore <strong>di</strong> un flusso continuo e scambievole<br />
<strong>di</strong> informazioni (l’attivazione dei processi conoscitivi degli alunni, al<br />
tempo stesso rielaboratori <strong>di</strong> domande), in cui l’elemento relazionale è,<br />
nella sua <strong>di</strong>mensione interattiva, preponderante. Solo attraverso l’esercizio<br />
costante della consapevolezza dei proce<strong>di</strong>menti attivati è possibile salvaguardare<br />
rigore metodologico, controllare l’adeguamento degli alunni alla<br />
proposta culturale, verificare, cioè, se sono stati raggiunti gli obiettivi minimi<br />
prefissati, valutare nel complesso e in ogni singola fase l’azione <strong>di</strong>dattica,<br />
mo<strong>di</strong>ficarne la pianificazione, in altri termini riqualificarla.<br />
Credo, inoltre, che un atteggiamento metacognitivo consenta più agevolmente<br />
al docente, per la flessibilità, riprogettabilità e soprattutto per il<br />
continuo monitoraggio <strong>di</strong> quanto è stato realizzato, <strong>di</strong> porsi nella prospettiva<br />
del <strong>di</strong>scente, il quale deve fare attenzione ai processi logici attivati dai<br />
singoli. Se una prova <strong>di</strong> verifica esclusivamente contenutistica ci consente<br />
<strong>di</strong> accertare l’acquisizione e l’utilizzo <strong>di</strong> alcune delle conoscenze da noi<br />
proposte, da parte dei nostri allievi, non ci permette però <strong>di</strong> verificare il<br />
“come” sono state apprese (ossia l’attivazione <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti mnemonici,<br />
analogici ecc.) né <strong>di</strong> ipotizzare per quanto tempo resteranno in loro possesso<br />
e se incontrandole in altri ambiti saranno capaci <strong>di</strong> riconoscerle; le<br />
fasi <strong>di</strong> revisione, invece, del proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>dattico attivato (prove opportunamente<br />
strutturate come, ad esempio, la richiesta <strong>di</strong> ricostruire la lezione,<br />
in<strong>di</strong>cando le varie fasi, dalla problematizzazione dell’argomento da<br />
trattare a quella attuativa della spiegazione, a quella risolutiva dell’applicazione)<br />
permettono <strong>di</strong> accertare se l’alunno non solo ha compreso quanto ha<br />
imparato, ma se ha imparato a comprendere. Si profila, così, l’opportunità<br />
–29–
<strong>di</strong> poter rafforzare la nostra azione <strong>di</strong>dattica, <strong>di</strong> rendere più solida l’acquisizione<br />
dei contenuti proposti non solo ricorrendo alla continua (e a volte,<br />
purtroppo, inutile) ripetizione <strong>di</strong> essi ma ancorandoli all’utilizzo <strong>di</strong> un determinato<br />
passaggio logico necessario per trasformare la lettura <strong>di</strong> un dato<br />
da informazione a padronanza: si potranno <strong>di</strong>menticare alcune nozioni legate<br />
al quid <strong>di</strong> quanto imparato ma non il quomodo e soprattutto il cur <strong>di</strong><br />
ciò che è stato oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. È, inoltre, comunemente riscontrabile<br />
come l’acquisizione <strong>di</strong> padronanze abbia un ruolo rassicurante, in quanto<br />
risultato stabile <strong>di</strong> un impegno conoscitivo, e sia in grado <strong>di</strong> motivare interessi<br />
personali, promuovendo la curiositas, alla base <strong>di</strong> ogni investigazione,<br />
lettura e interpretazione del reale.<br />
Abbiamo cercato, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come nella <strong>di</strong>dattica progettuale<br />
la componente metacognitiva non sia solo un proce<strong>di</strong>mento a senso unico,<br />
rivolto alla promozione <strong>di</strong> processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento degli alunni ma una<br />
possibilità offerta al docente <strong>di</strong> poter controllare e intervenire costantemente<br />
nella sua azione <strong>di</strong>dattica, <strong>di</strong> riprogettarla o meglio riqualificarla. È preferibile<br />
parlare <strong>di</strong> riqualificazione, ossia l’opportunità <strong>di</strong> mantenere quanto già<br />
svolto orientandolo nella prospettiva <strong>di</strong> un possibile miglioramento, dopo<br />
aver in<strong>di</strong>viduato i cosiddetti punti <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza del proprio agire<br />
<strong>di</strong>dattico.<br />
In<strong>di</strong>ssolubilmente legata alle <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> ogni azione progettuale è la<br />
prospettiva dell’agire in fieri, del pensare in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire, <strong>di</strong> pianificare<br />
la fattività operativa in modo teleologico, cioè <strong>di</strong> orientare le nostre<br />
azioni, scegliendo e apportando mo<strong>di</strong>fiche, al raggiungimento dell’obiettivo<br />
<strong>di</strong> produzione. L’orientamento è sempre preceduto dall’analisi della componente<br />
situazionale, dalla valutazione dei fattori noti, dalla considerazione<br />
delle possibili variabili e da tutti gli elementi esterni <strong>di</strong> incidenza: è possibile<br />
così, in<strong>di</strong>viduarlo nelle fasi <strong>di</strong> verifica e nel monitoraggio dell’azione progettuale.<br />
In tale fase l’orientamento costituisce indubbiamente un aspetto<br />
consequenziale dell’articolazione strutturale del progetto; tuttavia esso, attuando<br />
un ripensamento e un riadeguamento in termini <strong>di</strong> scelte selettive, in<br />
quanto operate fra altre proposte <strong>di</strong> pari efficacia realizzativa, evidenzia un<br />
orientamento <strong>di</strong> tipo decisionale, originato dalla propensione, spesso spontanea,<br />
verso deliberazioni che rivelano, pur nella volontà <strong>di</strong> perseguire<br />
quanto appare razionalmente elemento ottimizzante, la natura più autentica<br />
delle nostre attitu<strong>di</strong>ni.<br />
La scoperta delle proprie inclinazioni, non può maturarsi solo in risposta<br />
a suggestioni emotive, ma sostanziarsi sulla conoscenza delle proprie ca-<br />
–30–
pacità, sulla consapevolezza <strong>di</strong> poter contare su alcuni elementi <strong>di</strong> certezza<br />
(definiamoli pure padronanze o competenze), che si percepiscono come<br />
propri o comunque rispondente ad un modello conoscitivo e comportamentale<br />
che si è scelto <strong>di</strong> introiettare.<br />
L’aspetto metacognitivo della <strong>di</strong>dattica progettuale, quin<strong>di</strong>, sviluppando<br />
la <strong>di</strong>mensione dell’orientamento inteso come conoscenza del sé in termini <strong>di</strong><br />
costruzione e proiezione futura e, al tempo stesso, promuovendo la conoscenza<br />
del compito da affrontare in termini <strong>di</strong> ideazione e progettazione del<br />
prodotto da realizzare, permette all’alunno <strong>di</strong> acquisire una giusta percezione<br />
<strong>di</strong> sé come soggetto consapevole pensante (in quanto sa come pensa) e<br />
soggetto consapevole agente (in quanto sa come agisce): ciò pertanto lo<br />
rende capace <strong>di</strong> accettare anche i propri limiti e i propri errori. Anche le fasi<br />
<strong>di</strong> monitoraggio, revisione e riprogettazione, in<strong>di</strong>spensabili per una buona<br />
conduzione e risoluzione <strong>di</strong> un progetto, vedono nell’acquisizione degli<br />
eventuali errori commessi (“devianze” dall’ideazione originaria), nella valutazione<br />
realistica delle risorse, uno degli aspetti imprescin<strong>di</strong>bili della <strong>di</strong>dattica<br />
progettuale.<br />
È possibile riuscire a fare introiettare, così, all’alunno il cosiddetto<br />
locus of control, lo spazio metaforicamente inteso, in cui lo stesso alunno<br />
colloca le cause dei suoi successi o insuccessi. Secondo Gardner, verrebbero<br />
così promossi i meccanismi <strong>di</strong> autoefficacia e autostima attraverso una<br />
corretta lettura degli eventi, siano essi i voti <strong>di</strong> profitto (i risultati in ambito<br />
curricolare), siano essi l’elaborazione <strong>di</strong> un prodotto o l’esecuzione <strong>di</strong> un<br />
compito assegnato (nell’ambito progettuale), consequenziali all’applicazione<br />
consapevole <strong>di</strong> un proprio personale stile cognitivo. 8 Sarebbe auspicabile,<br />
quin<strong>di</strong>, recuperare uno degli aspetti originari, già sottolineati da Flavel<br />
sulla metacognizione, la conoscenza <strong>di</strong> sé, il “metasapere”, un livello <strong>di</strong><br />
astrazione generale che appartiene specificamente ad ogni in<strong>di</strong>viduo (anche<br />
il “sapere <strong>di</strong> non sapere” socratico è un “metasapere”, in quanto nel riconoscimento<br />
dei propri limiti viene posta la base per apprendere <strong>di</strong> più ed<br />
estendere il proprio sapere sulla conoscenza <strong>di</strong> se stesso e del proprio funzionamento).<br />
Anche i metacognitivisti più recenti hanno ripreso, dunque,<br />
un’idea comparsa nella filosofia greca. 9<br />
8 H. Gardner, “Formae mentis”. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano<br />
1987.<br />
9 Ci riferiamo a J.D. Novak - D.B. Gowin, Learning how to learn, Cambridge University<br />
Press, New York, 1995.<br />
–31–
Finora abbiamo quin<strong>di</strong> chiarito la correlazione fra alcuni aspetti del metacognitivismo<br />
e le fasi che contrad<strong>di</strong>stinguono la <strong>di</strong>dattica progettuale,<br />
tanto che, considerata l’evidente connessione <strong>di</strong> queste strategie, si potrebbe<br />
parlare <strong>di</strong> una vera e propria metaprogettualità.<br />
È possibile stabilire un’ulteriore relazione fra le competenze acquisibili<br />
attraverso l’applicazione <strong>di</strong> uno stile <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento metacognitivo e quelle<br />
conseguibili attraverso la realizzazione <strong>di</strong> azioni <strong>di</strong>dattiche progettuali.<br />
Pren<strong>di</strong>amo ora, brevemente, in considerazione come ad alcuni obiettivi<br />
più specifici della <strong>di</strong>dattica metacognitiva corrispondano alcune delle competenze<br />
maturate attraverso l’attuazione delle <strong>di</strong>verse fasi procedurali costitutive<br />
<strong>di</strong> ogni operazione progettuale.<br />
Agli obiettivi metalinguistici, ad esempio, corrisponde lo sviluppo delle<br />
competenze linguistiche, agli obiettivi metagenetici quello delle competenze<br />
documentarie, a quelli metalogici, infine, l’implementazione delle<br />
competenze procedurali. Forniamo alcune esemplificazioni: se per obiettivo<br />
metalinguistico inten<strong>di</strong>amo la consapevolezza, da parte dell’alunno, nell’utilizzare<br />
i linguaggi specifici delle <strong>di</strong>scipline o determinati registri espressivi,<br />
assumendo come proprie le ragioni <strong>di</strong> tale scelta, analoga consapevolezza<br />
del processo attuato genera competenze comunicative, padronanza,<br />
cioè nell’utilizzo degli strumenti linguistici, aspetto imprescin<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> ogni<br />
fase progettuale. Facendo riferimento agli obiettivi metagenetici come la<br />
possibilità <strong>di</strong> ricostruire le fonti da cui si originano i processi conoscitivi attuati,<br />
si ha modo <strong>di</strong> riscontrarli nelle competenze documentarie, nelle competenze<br />
cioè che abilitano l’alunno a rintracciare le informazioni, i materiali<br />
originari e spesso costitutivi del progetto stesso. Gli obiettivi metalogici sostanziano<br />
ogni operazione metacognitiva, in quanto impongono una riflessione<br />
sui passaggi logici attuati, ben espressi nelle competenze procedurali<br />
che attestano l’attenzione sulle singole fasi del progetto, evidenziandone i<br />
motivi della scelta e i risultati raggiunti sul piano delle acquisizioni personali<br />
cognitive e su quello operativo.<br />
Prima <strong>di</strong> concludere, tuttavia, si impone necessariamente una riflessione<br />
che centri l’attenzione su uno degli aspetti più problematici della <strong>di</strong>dattica<br />
metaprogettuale: la <strong>di</strong>fficoltà dell’interazione <strong>di</strong> un versante teorico della<br />
<strong>di</strong>dattica (concetti, costrutti, principi) e <strong>di</strong> un versante metodologico <strong>di</strong> processi<br />
cognitivi e operativi. Si tratta, in altri termini, <strong>di</strong> stabilire un giusto<br />
rapporto tra le <strong>di</strong>scipline, facendo riferimento al costrutto epistemologico e<br />
storico <strong>di</strong> esse, e i contesti <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, caratterizzati dagli stili e dalle<br />
tecniche <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento.<br />
–32–
Facciamo riferimento, quin<strong>di</strong>, alla contrapposizione spesso dualistica<br />
che si viene a creare tra una <strong>di</strong>dattica concettuale, che si propone come<br />
“modello esperto” per lo sviluppo dell’attività <strong>di</strong>dattica, e la <strong>di</strong>dattica metacognitiva<br />
che non si qualifica come “modello <strong>di</strong> progettazione”, ma come<br />
un insieme <strong>di</strong> operazioni finalizzate a promuovere processi autorisolutivi<br />
(l’appren<strong>di</strong>mento non si identifica, cioè, nella conoscenza intesa come acquisizione<br />
dei concetti fondamentali, ma nell’acquisizione graduale della<br />
possibilità stessa <strong>di</strong> apprendere, trasferendo ciò che è noto in altri contesti<br />
operativi). Il problema è, quin<strong>di</strong>, nell’accettazione o meno <strong>di</strong> “modelli culturali<br />
referenziali” come possibile interpretazione dei fenomeni del reale o<br />
nella valorizzazione della <strong>di</strong>versità cognitiva, che implica l’assenza <strong>di</strong> un<br />
modello unitario o <strong>di</strong> criteri ispiratori comuni, nella convinzione che solo la<br />
consapevolezza delle operazioni mentali e dei contenuti conoscitivi elaborati<br />
possa produrre appren<strong>di</strong>menti significativi, ossia conoscenze durature.<br />
Ci chie<strong>di</strong>amo, dunque, se un appren<strong>di</strong>mento come quello metacognitivo, finalizzato<br />
a promuovere processi autoriflessivi in tutti i settori <strong>di</strong>sciplinari,<br />
possa ritenersi veicolare alla costruzione unitaria dei saperi o possa incorrere<br />
nel rischio <strong>di</strong> elaborare informazioni ricollegabili fra <strong>di</strong> loro in modo<br />
analogico, ma frammentario, per quanto riguarda, ad esempio, l’aspetto <strong>di</strong>acronico<br />
della <strong>di</strong>sciplina.<br />
Credo, dunque, che una delle possibili strategie risolutive sia quella <strong>di</strong><br />
cercare <strong>di</strong> operare una me<strong>di</strong>azione fra le due <strong>di</strong>fferenti proposte <strong>di</strong>dattiche:<br />
quella della <strong>di</strong>dattica per concetti e quella della <strong>di</strong>dattica metaprogettuale. È<br />
necessario ristabilire, infatti, il ruolo referenziale della <strong>di</strong>sciplina, sia pure<br />
nell’essenzializzazione dei suoi nuclei costituivi, inserendola in una precisa<br />
struttura <strong>di</strong>acronica, a cui accostarsi tramite uno stile cognitivo capace <strong>di</strong><br />
promuovere un appren<strong>di</strong>mento consapevole, significativo e <strong>di</strong> lunga durata,<br />
pensabile, progettabile e applicabile in contesti operativi concreti. L’introduzione<br />
<strong>di</strong> prassi <strong>di</strong>dattiche, alternative alle meto<strong>di</strong>che tra<strong>di</strong>zionali, avviene<br />
spesso, purtroppo, in modo poco sistematico, producendo l’avvicendamento<br />
e spesso la sovrapposizione <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento utilizzate in modo<br />
settoriale e pertanto limitanti in quanto raramente riconducibili, da parte<br />
dell’alunno, ad una finalità unitaria, quale la trasmissione dei saperi. In conclusione,<br />
dunque, l’operazione ultima, l’elaborazione <strong>di</strong> un prodotto, sia<br />
esso il risultato <strong>di</strong> una azione conoscitiva o l’attuazione <strong>di</strong> azioni concrete,<br />
non sarà valutabile per se stessa, ma soltanto insieme con tutti i processi<br />
cognitivi attivati nel continuo e costante confronto, però, con la <strong>di</strong>sciplina<br />
oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />
–33–
MARIO CARINI<br />
Mitologie sul nazismo<br />
1. La storia come mito. Nella sua operetta Come si deve scrivere<br />
la storia (l’unico trattato <strong>di</strong> teoria della storiografia che ci sia pervenuto<br />
dall’antichità) 1 Luciano <strong>di</strong> Samosata (120-180 circa d.C.), esortando alla<br />
obiettività e alla veri<strong>di</strong>cità, ammoniva a non imitare quegli storici che, celebrando<br />
le imprese partiche <strong>di</strong> Lucio Vero (161-165), facevano goffamente<br />
ricorso al pathos tragico, ai miti e alle lo<strong>di</strong> iperboliche, condendo le loro<br />
narrazioni <strong>di</strong> particolari fantastici e inverosimili, e perciò alla lunga ri<strong>di</strong>coli<br />
o stucchevoli. La riflessione lucianea contro questo tipo <strong>di</strong> storiografia<br />
“retorica” si incentra dunque su come non si deve scrivere la storia: una<br />
ricca esemplificazione mostra le deprecabili commistioni <strong>di</strong> storia e poesia<br />
tragica, <strong>di</strong> storia ed encomio, <strong>di</strong> storia e gusto dell’esorbitante, quali <strong>di</strong>fetti<br />
da evitare, non tanto perché riducono la storia a “poesia pedestre” quanto<br />
perché allontanano lo storiografo dal perseguimento del suo fine, ossia raccontare<br />
la verità senza darsi pensiero della bellezza. Altrettale storiografia<br />
“retorica” è quella <strong>di</strong> taluni testi moderni, che vogliono presentare i fatti<br />
sotto la cortina dell’enigma e del mistero. Giornalisti travestiti da storici,<br />
che vanno più alla ricerca del facile sensazionalismo che della verità, vedono<br />
nei risvolti della storia, ossia in episo<strong>di</strong> non chiaramente ricostruibili<br />
dalle fonti a <strong>di</strong>sposizione, la presenza del mistero, dell’enigma, che invariabilmente<br />
rimanda a un complotto segreto. Essi vi ricamano azzardate,<br />
spesso inverosimili teorie e creano miti (usiamo il termine nell’accezione<br />
che ha µυ ∼ θος <strong>di</strong> “racconto favoloso”), laddove il supposto “mistero” ha<br />
origine da nient’altro che da una carenza effettiva delle fonti documentarie,<br />
se non da una <strong>di</strong>fettosa lettura dei fatti e dei documenti a <strong>di</strong>sposizione o dall’attribuzione<br />
<strong>di</strong> valore a coincidenze che in realtà sono meramente casuali.<br />
Avvertenza: il presente lavoro è una ricerca condotta ai confini tra storia, storia alternativa<br />
(o “ucronia”) e paraletteratura. Ovviamente esso non implica affatto da parte dell’autore adesione<br />
o simpatia, né in toto né in parte, per dottrine e regimi, quali il nazismo e il fascismo, che<br />
la storia ha condannato, in quanto oppressori della libertà dei popoli, responsabili dello scatenamento<br />
<strong>di</strong> un conflitto mon<strong>di</strong>ale e (soprattutto il nazismo) del genoci<strong>di</strong>o del popolo ebraico.<br />
1 Vd. in Luciano Canfora, Teorie e tecnica della storiografia classica, Laterza, Roma-Bari<br />
1974, pp. 41-80.<br />
–34–
Ricorrere al mistero, però, e creare inevitabilmente miti, riesce talvolta<br />
più comodo che tentare <strong>di</strong> ricostruire faticosamente e seriamente il fatto,<br />
chiarendo la logica interna al comportamento dei personaggi, logica che<br />
peraltro che può riuscire assai più affascinante <strong>di</strong> qualsiasi spiegazione più<br />
o meno implausibile, spacciata per verità illuminante il “mistero”. Ed è proprio<br />
l’attribuzione del carattere <strong>di</strong> “strano”, “inquietante”, “pro<strong>di</strong>gioso” a<br />
fatti e a coincidenze <strong>di</strong> fatti, uno dei pericoli da cui il lettore <strong>di</strong> saggi “pseudostorici”<br />
deve guardarsi. Ciò vale tanto più oggi che una moda, imperante<br />
ma deteriore, vede la ricostruzione del passato in chiave <strong>di</strong> “misteri”,<br />
“enigmi” e sette segrete (il “mistero” delle pirami<strong>di</strong>, il “mistero” <strong>di</strong> Stonehenge,<br />
l’“enigma” del Graal, l’Arca perduta dell’Alleanza, i Rosa-Croce, il<br />
Priorato <strong>di</strong> Sion, etc.) e reinterpreta perfino le ra<strong>di</strong>ci cristiane della civiltà<br />
occidentale in chiave neognostica, attribuendo ad<strong>di</strong>rittura una <strong>di</strong>scendenza<br />
segreta al Cristo e alla Maddalena, che si sarebbe perpetuata fino ai giorni<br />
nostri 2 (è il tema <strong>di</strong> un fortunatissimo thriller, Il co<strong>di</strong>ce da Vinci <strong>di</strong> Dan<br />
Brown, che ha originato una proliferazione <strong>di</strong> romanzi analoghi, ridando<br />
vigore al genere “fantareligioso”). Sottintendere che <strong>di</strong>etro la realtà storica<br />
quale è stata ricostruita dagli storici accademici vi sia una realtà altra,<br />
prodotto <strong>di</strong> oscure, sinistre cospirazioni e <strong>di</strong> poteri occulti (non visibili ma<br />
appena percepibili da una miriade <strong>di</strong> minuscoli in<strong>di</strong>zi e coincidenze apparentemente<br />
trascurabili, che lo storico-detective, troppo alla Sherlock<br />
Holmes, coglie e interpreta a suo arbitrio), rischia non solo <strong>di</strong> fuorviare il<br />
lettore propinandogli una lettura forzata, con tra<strong>di</strong>mento del buon senso e<br />
della logica, ma anche <strong>di</strong> degradare la storia a successione <strong>di</strong> “enigmi” e <strong>di</strong><br />
complotti segreti. La storia dei popoli, che sarebbero tenuti sotto il dominio<br />
della menzogna, <strong>di</strong>verrebbe così il risultato dell’azione <strong>di</strong> forze occulte,<br />
incarnate in organizzazioni segrete, tese alla sovversione mon<strong>di</strong>ale o, più<br />
semplicemente, alla conservazione dei lucrosi e inconfessabili interessi dei<br />
complottar<strong>di</strong>. 3 Ma quale lezione trarre da una interpretazione in chiave<br />
2 Come intende da ultimo <strong>di</strong>mostrare, allegando le supposte prove, il saggio <strong>di</strong> Laurence<br />
Gardner, La linea <strong>di</strong> sangue del Santo Graal, Newton & Compton, Roma 2005; ma già prima la<br />
tesi <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scendenza segreta del Cristo, speculando sui vangeli apocrifi, era stata esposta in<br />
Michael Bargent - Richard Leigh - Henry Lincoln, Il santo Graal. Una catena <strong>di</strong> misteri lunga<br />
duemila anni, trad. <strong>di</strong> Roberta Rambelli, Fabbri E<strong>di</strong>tori, Milano 2005 (I ed. London 1982).<br />
3 È questo l’assunto con cui, ad esempio, Serge Hutin ricostruisce le vicende dal Me<strong>di</strong>oevo<br />
fino a oggi, prendendo per buoni testi come i famigerati Protocolli dei Savi Anziani <strong>di</strong> Sion, che<br />
sono notoriamente un falso creato dalla polizia zarista per giustificare l’antisemitismo: vd.<br />
Serge Hutin, Governi occulti e società segrete, trad. <strong>di</strong> Miriam Magry, E<strong>di</strong>zioni Me<strong>di</strong>terranee,<br />
Roma 1996², pp. 58-64.<br />
–35–
antiaccademica ed “eterodossa” o “esoterica” della storia? Come giu<strong>di</strong>care il<br />
cammino dell’umanità, se ogni acca<strong>di</strong>mento fosse davvero il risultato dell’agire<br />
<strong>di</strong> forze occulte? Una lettura chiara e or<strong>di</strong>nata delle fonti documentarie<br />
che si accompagni ad un’indagine intellettualmente onesta e non viziata da<br />
tesi pregiu<strong>di</strong>ziali, svela, però, quasi sempre l’artificio e il falso che allignano<br />
<strong>di</strong>etro ogni tesi illusoriamente sensazionalistica. 4<br />
Alla creazione <strong>di</strong> miti è, poi, funzionale in primo luogo quella <strong>di</strong> documenti<br />
falsi. Non v’è bisogno <strong>di</strong> ricordare quanto il campo delle ricerche<br />
storiche abbon<strong>di</strong> notoriamente delle opere <strong>di</strong> abilissimi falsari (talvolta<br />
anche insospettabili). 5 Ciò è perché, come nota Eco, commentando una<br />
4 Un famoso esempio <strong>di</strong> quanto an<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>cendo è l’assassinio del presidente Kennedy (a<br />
Dallas, 21 novembre 1963). Decine <strong>di</strong> pubblicazioni, inchieste televisive e alcuni film fortunati<br />
(tra cui ricor<strong>di</strong>amo quello <strong>di</strong> Oliver Stone, JFK-Un caso ancora aperto, 1991, ispirato dall’indagine<br />
del procuratore <strong>di</strong>strettuale <strong>di</strong> New Orleans Jim Garrison, poi pubblicata col titolo JFK Sulle<br />
tracce degli assassini, trad. <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Mussolini, Sperling & Kupfer, Milano 1992³; segue le<br />
conclusioni <strong>di</strong> Garrison anche Gianni Bisiach, Il Presidente, la lunga storia <strong>di</strong> una breve vita,<br />
Newton Compton, Roma 1990; per le varie teorie del complotto vd. anche Guido Gerosa, La trage<strong>di</strong>a<br />
<strong>di</strong> Dallas, Mondatori, Milano 1972) hanno messo in crisi i risultati del Rapporto Warren,<br />
l’inchiesta ufficiale commissionata dalla presidenza Johnson (che ha ispirato il famoso saggio <strong>di</strong><br />
William Manchester, Morte <strong>di</strong> un presidente, trad. <strong>di</strong> Laura Grimal<strong>di</strong> e Vincenzo Mantovano,<br />
Mondadori, Milano 1967), facendo prevalere nella pubblica opinione la tesi della cospirazione<br />
(dovuta alla CIA, alla mafia italoamericana, ai circoli anticastristi, a uomini d’affari <strong>di</strong> New<br />
Orleans e ad<strong>di</strong>rittura al presidente Lyndon B. Johnson, tutti agenti in sinergia o alternativamente)<br />
su quella del gesto isolato <strong>di</strong> uno squilibrato mitomane. Ad<strong>di</strong>rittura non è mancato chi, speculando<br />
su curiose coincidenze riscontrate nelle morti violente dei presidenti americani eletti negli<br />
anni terminanti con lo zero a partire dal 1840, non ha escluso né la reincarnazione né l’azione <strong>di</strong><br />
oscure forze extraumane (Pierfrancesco Prosperi, La serie maledetta, Armenia E<strong>di</strong>tore, Milano<br />
1980, pp. 148-152). Recentemente, però, un ampio e assai documentato saggio <strong>di</strong> Diego Verdegiglio<br />
(Ecco chi ha ucciso Kennedy, Mancosu E<strong>di</strong>tore, Roma 1998) ripropone molto seriamente<br />
la tesi che Lee Harvey Oswald abbia agito effettivamente da solo, facendo luce e dando una accettabile<br />
risposta a tutte le presunte incongruenze rilevate dalle indagini precedenti (pp. 403-405).<br />
5 Di celebri falsificazioni, svelate dall’acribia degli stu<strong>di</strong>osi, è piena la storia. Si pensi, ad<br />
esempio, al caso dell’archeologo Helbig e della celebre fibula Praenestina, considerata lungamente<br />
uno dei primi documenti della lingua latina, prima che Margherita Guarducci ne <strong>di</strong>mostrasse<br />
la falsità (falsità ormai accettata dalla recente manualistica, vd. La letteratura latina,<br />
storia letteraria e antropologia romana: profilo e testi, a cura <strong>di</strong> Maurizio Bettini e altri, vol. I<br />
Dalle origini alla crisi della repubblica, La Nuova Italia, Firenze 1996, rist., p. 23). Nell’ambito<br />
del nazismo famoso è l’inganno in cui cadde il settimanale «Stern» con i falsi <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> Hitler (la<br />
più costosa frode nella storia dell’e<strong>di</strong>toria fu opera del falsario Konrad Kujau, che rivendette per<br />
nove milioni <strong>di</strong> marchi i “<strong>di</strong>ari” al reporter <strong>di</strong> «Stern» Gerd Heidemann, appassionato cacciatore<br />
<strong>di</strong> cimeli nazisti; ma non è escluso che lo Junkers 352 che all’alba del 21 aprile 1945 cadde<br />
nella foresta <strong>di</strong> Heidenholz, presso il confine cecoslovacco, contenesse l’archivio personale <strong>di</strong><br />
Hitler, e anche i suoi <strong>di</strong>ari autentici: vd. l’avvincente ricostruzione della vicenda in Robert<br />
Harris, I <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Luca Vanni, Mondadori, Milano 2001), cui attribuì veri<strong>di</strong>cità<br />
–36–
significativa rassegna <strong>di</strong> falsi storici (come il racconto <strong>di</strong> Cosma In<strong>di</strong>copleuste,<br />
la lettera del Prete Gianni, i manifesti dei Rosa-Croce, i Protocolli<br />
dei Savi Anziani <strong>di</strong> Sion, etc.), il falso possiede a prima vista un’irresistibile<br />
potere <strong>di</strong> suggestione per la sua apparente verosimiglianza, che viene<br />
incontro a determinate attese dei singoli e della società, anche se il lento e<br />
costante lavoro <strong>di</strong> verifica del sapere riesce a smascherarlo. 6<br />
Avviene, poi, che, per rispondere alla richiesta del favoloso da parte <strong>di</strong><br />
certo pubblico ingenuo, a determinati miti, con ingegnose variazioni sul<br />
ad<strong>di</strong>rittura il famoso storico sir Hugh Trevor-Roper, pagandone un po’ lo scotto in termini <strong>di</strong><br />
reputazione. Anche nell’ambito del fascismo si ipotizza oggi (per la verità, molto ar<strong>di</strong>tamente)<br />
l’esistenza <strong>di</strong> un carteggio segreto tra Mussolini e Churchill, proseguito fin durante la repubblica<br />
<strong>di</strong> Salò (quando l’uomo <strong>di</strong> Predappio, ridotto ormai a vassallo <strong>di</strong> Hitler, aveva perso ogni<br />
ipotetico potere <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione), così come negli anni Cinquanta si favoleggiò del ritrovamento<br />
dei “<strong>di</strong>ari” del Duce (dovuti invece alla penna delle vercellesi Rosa e Amalia Panvini, che ne<br />
patirono le inevitabili conseguenze giu<strong>di</strong>ziarie: sulla vicenda vd. Andrea Bedetti, I <strong>di</strong>ari <strong>di</strong><br />
Mussolini, in «Historia», n. 438, agosto 1994, pp. 10-19). Ha mostrato <strong>di</strong> credere all’esistenza<br />
dei <strong>di</strong>ari del Duce e del fantomatico carteggio lo storico Renzo De Felice, a cui però la prematura<br />
morte ha impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> concludere le preannunciate ricerche in proposito: vd. Renzo De<br />
Felice, Rosso e Nero, a cura <strong>di</strong> Pasquale Chessa, Bal<strong>di</strong>ni & Castol<strong>di</strong>, Milano 1995³, pp. 144-148.<br />
Sul carteggio Churchill-Mussolini: Franco Ban<strong>di</strong>ni, Il carteggio delle illusioni, in «Storia Illustrata»,<br />
n. 237, agosto 1977, pp. 56-65; Fabio Andriola, Mussolini-Churchill carteggio segreto,<br />
E<strong>di</strong>zioni Piemme, Casale Monferrato 1996 (secondo l’autore il carteggio, continuato fino al 21<br />
aprile 1945, sarebbe stato consegnato a Umberto II <strong>di</strong> Savoia dal capitano <strong>di</strong> P. S. Aristide Tabasso,<br />
che durante la guerra fu agente dell’Intelligence Service); Roberto Festorazzi, Churchill-<br />
Mussolini le carte segrete, Datanews E<strong>di</strong>trice, Roma 1998 (che in<strong>di</strong>ca nell’ex partigiano e ingegnere<br />
Luigi Carissimi Priori il custode del carteggio). Era e resta invece scettico Frederick<br />
W. Deakin, È tutto falso, parola <strong>di</strong> Winston!, in «Storia Illustrata», n. 343, giugno 1986, pp. 8-<br />
18; anche Antonio Spinosa, Churchill. Il nemico degli italiani, Il Giornale - Biblioteca Storica,<br />
Milano 2001, pp. 290-291, sfata la fantasiosa ipotesi che Churchill sia venuto, dopo la guerra,<br />
sul lago <strong>di</strong> Como per recuperare le fantomatiche carte. Ma un telegramma ine<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Mussolini,<br />
spe<strong>di</strong>to alla fine <strong>di</strong> maggio 1940 a Vittorio Emanuele III, <strong>di</strong>mostrerebbe che il Duce teneva<br />
contati riservati con gli inglesi: vd. Giovanni Carioti, Mussolini-Churchill, un nuovo in<strong>di</strong>zio, in<br />
«Corriere della Sera», 20 maggio 2005. In un suo recentissimo romanzo Folco Quilici immagina<br />
che un aereo SM. 75 GA, precipitato nel lago Bajkal, trasportasse i <strong>di</strong>ari e le carte segrete<br />
<strong>di</strong> Mussolini da affidare all’imperatore del Giappone, tramite l’ambasciatore Hidaka, alla vigilia<br />
del crollo della RSI: La fenice del Bajkal (Mondadori, Milano 2005) <strong>di</strong> Quilici è la storia dello<br />
sfortunato tentativo <strong>di</strong> recupero messo in atto da una spe<strong>di</strong>zione italiana (sul romanzo vd.<br />
Corrado Ruggeri, L’aereo che doveva salvare Mussolini. Un mistero sepolto in fondo al lago,<br />
in «Corriere della Sera», 1° <strong>di</strong>cembre 2005).<br />
6 Umberto Eco, La forza del falso, in Sulla letteratura, Bompiani, Milano 2002, pp. 318-<br />
323. Nel romanzo Il pendolo <strong>di</strong> Foucault il semiologo ha svelato l’inanità logica e sostanziale<br />
che sussiste <strong>di</strong>etro l’ipotesi della grande congiura universale e del sapere esoterico segretamente<br />
tramandato dall’antichità. Vd. anche le riflessioni <strong>di</strong> Eco sulla sindrome del complotto, sempre<br />
palesatasi nella storia dell’umanità e ultimamente riguardo al terrorismo islamico, nell’intervista<br />
<strong>di</strong> Gianni Riotta, Il Grande Vecchio alleato <strong>di</strong> Osama, in «Corriere della Sera», 12 luglio 2005.<br />
–37–
tema, se ne aggiungano altri, ossia nuove versioni e teorie, elaborate sempre<br />
coerentemente con il carattere dell’inaspettato e dello strano. Le menti <strong>di</strong><br />
mitomani e visionari generano, col decorso del tempo, ingombranti superfetazioni<br />
<strong>di</strong> ipotesi bizzarre, mitologie intessute <strong>di</strong> inquietanti misteri, che<br />
servono soltanto a far nebbia laddove pretenderebbero <strong>di</strong> illuminare. 7<br />
Le vicende del nazismo sono il campo nel quale più <strong>di</strong> frequente sono<br />
germogliati, come il famoso lapazio manzoniano nel campo mal coltivato,<br />
miti e falsificazioni, giacché la fantasia e l’immaginazione <strong>di</strong> certi giornalisti<br />
pseudostorici qui più che altrove spera <strong>di</strong> attirare la curiosità del lettore<br />
presentando i fatti in chiave sensazionalistica. Ne viene alimentato oltremodo<br />
un interesse incessante, talvolta al limite della morbosa curiosità, per<br />
vicende e personaggi dell’epoca hitleriana. 8<br />
In questo lavoro non inten<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> certo mettere in <strong>di</strong>scussione il giu<strong>di</strong>zio<br />
storico e morale sul Terzo Reich, che gli stu<strong>di</strong>osi hanno definitivamente<br />
stabilito, nonostante le recenti tendenze al “revisionismo”. 9 Invece,<br />
7 Non a caso il titolo <strong>di</strong> un commento <strong>di</strong> Pierluigi Battista alle illazioni sugli attentati <strong>di</strong><br />
Londra del luglio 2005 è La mitologia complottista (in «Corriere della Sera», 12 luglio 2005,<br />
con plauso a Tony Blair per non aver ceduto alle suggestioni “<strong>di</strong>etrologiche” degli attentati lon<strong>di</strong>nesi).<br />
Nota lo stu<strong>di</strong>oso Daniel Pipes la pericolosità delle teorie del complotto per i <strong>di</strong>sastri che<br />
possono causare, se ad adottarle è uno stato (intervista <strong>di</strong> Ennio Caretto, «Le teorie del complotto?<br />
Ispirarono Hitler e Stalin», in «Corriere della Sera», 14luglio 2005.<br />
8 Ricor<strong>di</strong>amo, ad esempio, il furto, nella sede dell’archivio federale <strong>di</strong> Mosca, del <strong>di</strong>stintivo<br />
d’oro del partito nazista appartenuto a Hitler (ritrovato sul corpo <strong>di</strong> Magda Goebbels): vd.<br />
Armando Torno, Caccia ai cimeli nazisti: rubato a Mosca il <strong>di</strong>stintivo <strong>di</strong> Hitler, in «Corriere<br />
della Sera», 5 luglio 2005. Immagini ine<strong>di</strong>te dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler sono state recentemente rinvenute<br />
a Mosca, come informa Armando Torno, Spade sguainate, <strong>di</strong>avoli, scheletri. Ecco la foto<br />
dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler, in «Corriere della Sera», 8 agosto 2005.<br />
9 Come ha posto in chiaro lo storico Renzo De Felice, in<strong>di</strong>cato peraltro come il capofila dei<br />
“revisionisti”, reinterpretare i fatti storici significa arricchire l’analisi <strong>di</strong> ulteriori motivazioni atte<br />
a spiegare il comportamento e le scelte <strong>di</strong> un determinato personaggio, non già sostituire il<br />
giu<strong>di</strong>zio morale ormai consolidato dalla tra<strong>di</strong>zione (ciò vale in specie per le <strong>di</strong>ttature totalitarie<br />
che hanno insanguinato il secolo scorso, e soprattutto allorché si giunge, sull’onda <strong>di</strong> un revisionismo<br />
estremo, a negare ad<strong>di</strong>rittura la realtà dell’Olocausto e delle camere a gas, come ha cercato<br />
affannosamente <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare il “maestro dei negazionisti”, Robert Faurisson: vd. l’intervista a<br />
Faurisson <strong>di</strong> Antonio Pitamitz, “Le camere a gas non sono mai esistite!”, in «Storia Illustrata»,<br />
n. 261, agosto 1979, pp. 15-35, e la risposta a Faurisson <strong>di</strong> Enzo Collotti, “Le camere a gas sono<br />
esistite!”, in «Storia Illustrata», n. 262, settembre 1979, pp. 19-29). Sul Faurisson come moderno<br />
pseudostorico o “mitologo” lancia i suoi strali ironici Paul Veyne, I greci hanno creduto ai loro<br />
miti?, trad. <strong>di</strong> Caterina Nasalli Rocca <strong>di</strong> Corneliano, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 178-179. A un<br />
altro noto storico revisionista, David Irving, le affermazioni sulla falsità delle camere a gas sono<br />
costate l’arresto in Austria l’11 novembre scorso (Alessio Alticheri, Arrestato lo storico che nega<br />
la Shoah, in «Corriere della Sera», 18 novembre 2005; l’arresto <strong>di</strong> Irving è stato però stigmatizzato<br />
da più parti, in nome della libertà d’espressione e contro il rischio <strong>di</strong> attribuire agli antisemiti<br />
–38–
prenderemo in esame alcune delle ipotesi più inquietanti, avanzate da detectives<br />
della storia e cacciatori <strong>di</strong> scoop, su particolari aspetti del nazismo.<br />
De<strong>di</strong>cheremo così <strong>di</strong>stinti paragrafi ad alcune delle mitologie che sono state<br />
create sul nazismo, ivi compresa la commistione tra nazismo e narrativa<br />
dell’ucronia, e tra nazismo e fantascienza: la sopravvivenza del capo (<strong>di</strong> cui<br />
a lungo nel dopoguerra si favoleggiò) e dei gregari (destinati, in certi casi, a<br />
essere protagonisti <strong>di</strong> vere e proprie cacce ai fantasmi), le armi segrete (ivi<br />
compresa la “bomba atomica tedesca”), le ipotesi formulate dagli scrittori <strong>di</strong><br />
ucronia (se Hitler avesse vinto la guerra), Hitler nella narrativa <strong>di</strong> fantascienza.<br />
Sicché l’articolo tratterà non delle mitologie del nazismo (la razza<br />
ariana, le tra<strong>di</strong>zioni celtiche, la cultura esoterica, etc.), ma delle mitologie<br />
sul nazismo che l’inesauribile fantasia degli speculatori ha saputo escogitare.<br />
Vedremo, dall’esame dei materiali riportati nella nostra ricerca, come<br />
la lezione del Samosatense permanga sempre attuale anche in questo campo<br />
<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> storici.<br />
2. Sopravvivenza del capo e dei gregari: le fughe impossibili.<br />
Le vicende del nazismo continuano a suscitare ampio e rinnovato interesse,<br />
soprattutto allorché nuovi particolari arricchiscono le versioni ufficiali e<br />
l’aureola del martirio: vd. Antonio Carioti, Traverso: contro <strong>di</strong> lui idee e non manette, ibid.;<br />
Pierluigi Battista, Se si fa finta <strong>di</strong> non vedere censure e manette per l’intellettuale nemico, in<br />
«Corriere della Sera», 28 novembre 2005; Alessio Alticheri (intervista alla storica americana<br />
Deborah Lipstadt), Irving? Un bugiardo, ma è ingiusto arrestarlo, in «Corriere della Sera», 2 <strong>di</strong>cembre<br />
2005). Irving, che rischia <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> carcere per apologia <strong>di</strong> nazismo, sembrerebbe<br />
però aver riveduto le sue posizioni negazioniste (R.E., L’avvocato <strong>di</strong> Irving «Lo storico ha<br />
scoperto le camere a gas naziste», in «Corriere della Sera», 24 novembre 2005). Sulla triste<br />
realtà delle camere a gas non possono più esservi dubbi, dopo le <strong>di</strong>chiarazioni rese agli alleati<br />
dallo stesso comandante <strong>di</strong> Auschwitz Rudolf Höss, che ha descritto accuratamente i meccanismi<br />
dello sterminio: vd. il verbale dell’interrogatorio in Richard Overy, Interrogatori. Come gli<br />
alleati hanno scoperto la terribile realtà del Terzo Reich, trad. <strong>di</strong> Nicoletta Lamberti, Mondadori,<br />
Milano 2003, pp. 316-320. Peraltro la feroce determinazione <strong>di</strong> Hitler nel perseguire l’annientamento<br />
del popolo ebraico fu esplicitamente rivelata nel colloquio con Himmler del 22 febbraio<br />
1942 (vd. Hitler’s Secret Conversations 1941-1944, with an introductory essay by H.R. Trevor-<br />
Roper, transl. by Norman Cameron and R.H. Stevens, Signet Books, The New American Library,<br />
New York 1961, p. 320). Un approfon<strong>di</strong>to stu<strong>di</strong>o sull’organizzazione dei centri <strong>di</strong> sterminio e<br />
sulle operazioni che vi si svolgevano è nel fondamentale saggio <strong>di</strong> Raul Hilberg, La <strong>di</strong>struzione<br />
degli Ebrei d’Europa, trad. <strong>di</strong> Fre<strong>di</strong>ano Sessi e Giuliana Guastalla, vol. II, Einau<strong>di</strong>, Torino 1995,<br />
pp. 967-1041; vd. anche il sintetico ma esauriente saggio <strong>di</strong> Enzo Collotti, La soluzione finale,<br />
Newton Compton, Roma 1995 (con ampia bibl.); dei crimini nazisti in Europa fa un impressionante<br />
resoconto lord Russell <strong>di</strong> Liverpool in Il flagello della svastica, trad. <strong>di</strong> Luciano Bianciar<strong>di</strong>,<br />
Feltrinelli, Milano 1971 8 .<br />
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provvedono a far luce sui retroscena. 10 Pren<strong>di</strong>amo il caso della fine <strong>di</strong><br />
Hitler, magistralmente ricostruita da sir Hugh R. Trevor-Roper, lord Dacre<br />
of Glanton, professore <strong>di</strong> storia moderna all’università <strong>di</strong> Oxford, in un<br />
saggio, apparso nel 1947, che è <strong>di</strong>venuto un classico della storiografia moderna<br />
(The last days of Hitler). 11 Pur avendo a <strong>di</strong>sposizione poche testimonianze<br />
e per <strong>di</strong> più assai dubbie e contrad<strong>di</strong>ttorie (il ra<strong>di</strong>omessaggio alla<br />
nazione del grande ammiraglio Karl Dönitz, letto la sera del 1° maggio<br />
1945, che annunciava che il Führer era caduto combattendo a Berlino alla<br />
testa delle sue truppe; la deposizione della giornalista svizzera Carmen<br />
Mory, secondo la quale Hitler si era rifugiato con Eva Braun nella campagna<br />
bavarese; la testimonianza del dottor Karl-Heinz Späth, asserente<br />
sotto giuramento <strong>di</strong> aver prestato le ultime cure a Hitler mortalmente ferito<br />
al Tiergarten <strong>di</strong> Berlino; quella <strong>di</strong> un aviatore tedesco <strong>di</strong> nome Peter Baumgart,<br />
che affermava <strong>di</strong> aver trasportato Hitler e la Braun in Danimarca il 28<br />
aprile 1945), Trevor-Roper riuscì, grazie a una magistrale indagine condotta<br />
con lucida acribia e inflessibile determinazione, a sgombrare il<br />
campo dalle menzogne e dagli equivoci e ricostruì con ragionevole certezza,<br />
giovandosi dei pochi testimoni fededegni, 12 le ultime vicende del<br />
Führer, accertandone il suici<strong>di</strong>o il 30 aprile 1945 me<strong>di</strong>ante veleno e colpo<br />
<strong>di</strong> pistola. Dopo la morte, i cadaveri <strong>di</strong> Hitler e <strong>di</strong> Eva Braun furono deposti<br />
in una fossa scavata nel giar<strong>di</strong>no della Cancelleria e dati alle fiamme.<br />
10 È stato <strong>di</strong> recente risolto, ad esempio, il mistero del suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Goering (com’è noto l’ex<br />
capo della Luftwaffe si avvelenò nella sua cella il 15 ottobre 1946, alla vigilia dell’esecuzione,<br />
ma non si era mai scoperto come avesse fatto a procurarsi il veleno): ha pubblicamente confessato<br />
<strong>di</strong> avergli passato il cianuro, nascosto a sua insaputa in una penna, il settantottenne americano<br />
Herbert Lee Stevers, che allora era <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a alla prigione <strong>di</strong> Norimberga, vd. Monica<br />
Ricci Sargentini, Ex soldato americano «Sono stato io a dare il cianuro a Göring», in «Corriere<br />
della Sera», 8 febbraio 2005.<br />
11 Hugh Trevor-Roper, Gli ultimi giorni <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Celestino Terzi, Rizzoli, Milano<br />
1999, rist. della VI e<strong>di</strong>zione, 1987.<br />
12 Si tratta <strong>di</strong> Hans Baur, pilota personale <strong>di</strong> Hitler, che rimase con lui sino alla fine; Arthur<br />
Axmann, successore <strong>di</strong> Baldur von Schirach a capo della Hitlerjugend, che entrò nella camera<br />
<strong>di</strong> Hitler e ne vide il cadavere insanguinato, con un foro alla tempia destra; <strong>di</strong> Erich Kempka,<br />
l’autista <strong>di</strong> Hitler, che portò fuori dal bunker i corpi <strong>di</strong> Hitler e della Braun; <strong>di</strong> Heinz Linge,<br />
cameriere personale <strong>di</strong> Hitler, che aiutò Kempka; <strong>di</strong> Otto Günsche, aiutante <strong>di</strong> campo <strong>di</strong> Hitler<br />
per le SS, che assistette al rogo dei due cadaveri; <strong>di</strong> Hermann Karnau, guar<strong>di</strong>a nel giar<strong>di</strong>no della<br />
Cancelleria, che vide i corpi bruciare; <strong>di</strong> Harry Mengershausen, ufficiale del RSD (Reichssicherheits<strong>di</strong>enst,<br />
servizio <strong>di</strong> sicurezza), che seppellì i resti nel giar<strong>di</strong>no della Cancelleria. Trevor-<br />
Roper <strong>di</strong>mostrò che le loro testimonianze erano convergenti e non preparate, dato che alcuni <strong>di</strong><br />
essi resero le <strong>di</strong>chiarazioni mentre erano prigionieri dei sovietici (Linge e Mengershausen) e<br />
non avevano avuto modo <strong>di</strong> incontrare gli altri (vd. Trevor-Roper, cit., p. 48 e ss.).<br />
–40–
I russi provvidero poi a identificare definitivamente i resti dei cadaveri<br />
confrontando le protesi dentarie <strong>di</strong> Hitler e della Braun con le ra<strong>di</strong>ografie<br />
in possesso del loro dentista personale, il dottor Hugo Blaschke, prelevate<br />
nel suo stu<strong>di</strong>o il 9 maggio. 13 La versione <strong>di</strong> Trevor-Roper è stata sostanzialmente<br />
accettata dagli storici ed è quella generalmente seguita nel capitolo<br />
finale delle più famose ricostruzioni del Terzo Reich e nelle biografie<br />
<strong>di</strong> Hitler, come le opere <strong>di</strong> Shirer, 14 <strong>di</strong> Bullock, 15 <strong>di</strong> Fest. 16<br />
Rimane, però, sconcertante il comportamento dei sovietici. Già il 9 giugno<br />
il maresciallo Þukov, comandante dell’esercito sovietico, e il generale<br />
Berzarin, comandante della piazza <strong>di</strong> Berlino, cominciarono a mostrarsi<br />
stranamente reticenti sulla sorte <strong>di</strong> Hitler, affacciando ad<strong>di</strong>rittura l’ipotesi<br />
(Berzarin) che potesse essersi rifugiato in Spagna. Tali <strong>di</strong>cerie influenzarono<br />
anche il generale Eisenhower, che vi dette cre<strong>di</strong>to. È noto peraltro che lo<br />
stesso Stalin non credette al suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler e più volte, come ad esempio il<br />
17 luglio alla conferenza <strong>di</strong> Potsdam, colloquiando con il segretario <strong>di</strong> stato<br />
americano James F. Byrnes, affacciò la sorprendente ipotesi che il capo dei<br />
nazisti fosse riuscito a fuggire da Berlino asse<strong>di</strong>ata per rifugiarsi in Spagna o<br />
in Argentina. Non sappiamo quanto il <strong>di</strong>ttatore sovietico realmente credesse<br />
alla possibilità <strong>di</strong> un Hitler re<strong>di</strong>vivo: probabilmente, allarmando gli alleati, si<br />
proponeva <strong>di</strong> ottenere da loro maggiori concessioni, 17 o forse già cominciava<br />
a sospettare certe strane connivenze tra gli angloamericani e i superstiti<br />
apparati dell’intelligence nazista, come l’organizzazione Gehlen, che rese<br />
13 In mancanze del dottor Blaschke, irreperibile, furono la sua assistente Käte Heusermann<br />
e l’odontotecnico Fritz Echtmann, convocati dai russi, a effettuare il riconoscimento dei corpi<br />
sulla base delle protesi dentarie.<br />
14 William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, trad. <strong>di</strong> Gustavo Glaesser, vol. II, Einau<strong>di</strong>,<br />
Torino 1962³, pp. 1718-1727. Vd. anche Giuseppe Mayda, La morte <strong>di</strong> Hitler, in Enzo Biagi,<br />
La seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, vol. VII La fine della Germania, Gruppo E<strong>di</strong>toriale Fabbri,<br />
Milano 1983, rist., pp. 2474-2490.<br />
15 Alan Bullock, La morte <strong>di</strong> Hitler, in Storia della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong>retta da<br />
sir Basil Liddell Hart e Barrie Pitt, vol. VI, Rizzoli - Purnell, Milano 1967, pp. 312-321; Id.,<br />
Hitler, stu<strong>di</strong>o sulla tirannide, trad. <strong>di</strong> Cesare Salmaggi e Bice Vivenza, Mondatori, Milano 1979<br />
(I ed. 1955), pp. 491-502.<br />
16 Joachim Fest, Hitler, vers. it. a cura <strong>di</strong> Francesco Saba Sar<strong>di</strong>, Rizzoli, Milano 1976², pp.<br />
912-919, versione sostanzialmente immutata anche nell’ultima e<strong>di</strong>zione dell’opera (La Biblioteca<br />
<strong>di</strong> Repubblica, Milano 2005, pp. 1056-1065). Del medesimo vd. anche La <strong>di</strong>sfatta. Gli ultimi<br />
giorni <strong>di</strong> Hitler e la fine del Terzo Reich, trad. <strong>di</strong> Umberto Gan<strong>di</strong>ni, Garzanti, Milano 2005².<br />
17 Giunse persino ad accusare gli inglesi <strong>di</strong> proteggere Hitler e la Braun, donde l’incarico<br />
dell’inchiesta a Trevor-Roper per sventare qualsiasi sospetto assodando la verità sulla fine del<br />
leader nazista.<br />
–41–
preziosi servigi nell’imminenza e durante la Guerra Fredda. 18 Oppure ancora,<br />
intendeva forse iniziare una campagna politica, preludente a una eventuale<br />
cacciata dal potere, contro Franco, il <strong>di</strong>ttatore spagnolo, e Perón, quello<br />
argentino, suoi avversari <strong>di</strong>chiarati (tanto più che entrambi si erano già messi<br />
sotto la protezione degli Stati Uniti).<br />
Teoricamente non sarebbe stato impossibile trasferire Hitler fuori da<br />
Berlino asse<strong>di</strong>ata dalle truppe dell’Armata Rossa. 19 Qualche giorno prima<br />
del suici<strong>di</strong>o, il 26 aprile, atterrò sul lungo viale dell’Unter den Linden un<br />
bombar<strong>di</strong>ere “Arado”, con a bordo il generale dell’aviazione Robert Ritter<br />
von Greim, che lo pilotava personalmente, e la famosa pilota collaudatrice<br />
Hanna Reitsch. La Reitsch riuscì poi a ripartire dal bunker in aereo, sfuggendo<br />
indenne al fuoco nemico. Hitler avrebbe potuto essere portato in<br />
salvo su un aereo e poi, a bordo <strong>di</strong> un sommergibile oceanico, 20 avrebbe<br />
potuto raggiungere terre ospitali come la Spagna (ove trovarono rifugio non<br />
pochi fascisti e nazisti provenienti da tutta Europa) o il Sudamerica. 21 Al<br />
riguardo, Joscelyn Godwin nel suo saggio Il mito polare (Arktos. The Polar<br />
Myth in Science, Symbolism, and Nazi Survival, 1993) 22 riferisce la fantasiosa<br />
tesi del cileno Miguel Serrano, teosofo e occultista, il quale credeva<br />
18 Denuncia le connivenze alleate con l’organizzazione Gehlen Michael Zezima, Salvate<br />
il soldato potere. I falsi miti della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, trad. <strong>di</strong> Daniele Ballerini, Il Saggiatore,<br />
Milano <strong>2004</strong>, pp. 160-163.<br />
19 Prova a immaginare una ipotetica fuga <strong>di</strong> Hitler da Berlino Roger Spiller, Il Führer alla<br />
sbarra, in Se Lenin non avesse fatto la rivoluzione, a cura <strong>di</strong> Robert Cowley, Rizzoli, Milano<br />
2002, pp. 371-393 (vd. oltre al § 4).<br />
20 Va ricordato che sottomarini tedeschi, durante e soprattutto verso la fine della guerra,<br />
raggiunsero le coste del Sudamerica: così accadde al sottomarino U-977, che riuscì a navigare<br />
in immersione per 66 giorni, dalla base <strong>di</strong> Christiansund in Norvegia fino a Gibilterra, e da lì<br />
facendo rotta per il Mar della Plata in Argentina. Consegnatisi poi alle autorità locali, il comandante<br />
Heinz Schaeffer e l’equipaggio, interrogati da ufficiali angloamericani, dovettero <strong>di</strong>fendersi<br />
dall’accusa <strong>di</strong> aver trasportato Hitler. Vd. la narrazione della vicenda ricostruita dallo<br />
stesso Heinz Schaeffer, Non ho trasportato Hitler, in «Historia», n. 12, novembre 1958, pp. 44-<br />
51. Ritiene che l’U-977 abbia trasportato alti <strong>di</strong>gnitari nazisti, non escluso lo stesso Hitler, Gary<br />
Hyland, I segreti perduti della tecnologia nazista, trad. <strong>di</strong> Milvia Faccia, Newton & Compton,<br />
Roma <strong>2004</strong>², p. 116.<br />
21 Che già ospitava colonie <strong>di</strong> tedeschi risalenti ad<strong>di</strong>rittura alla fine dell’Ottocento: ad<br />
esempio, arrivati in Paraguay da Berlino, la sorella <strong>di</strong> Friedrich Nietzsche, Elisabeth (che sarà in<br />
seguito ossequiata dal regime nazista), e suo marito Bernhard Förster avevano fondato nel 1887<br />
una comunità composta da quattor<strong>di</strong>ci famiglie tedesche selezionate in base a una presunta<br />
purezza razziale ariana: vd. su questa colonia “protonazista” Stefano Malatesta, L’incre<strong>di</strong>bile<br />
storia della “Nueva Germania”, in «La Repubblica», 20 maggio 1992.<br />
22 Vd. Joscelyn Godwin, Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e<br />
nell’occultismo, trad. <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o De Nar<strong>di</strong>, E<strong>di</strong>zioni Me<strong>di</strong>terranee, Roma 2001, pp. 84 e 152-155.<br />
–42–
fermamente che Hitler fosse fuggito in Antartide, in una base segreta – la<br />
leggendaria Base 211 – costruita dai nazisti dopo le loro spe<strong>di</strong>zioni del<br />
1938-1939.<br />
Quin<strong>di</strong> già pochi mesi dopo la fine della guerra cominciarono a circolare<br />
voci su presunti avvistamenti del Führer nei luoghi più <strong>di</strong>sparati. 23<br />
Le testimonianze che costruirono la leggenda <strong>di</strong> un Hitler re<strong>di</strong>vivo, fortunosamente<br />
scampato al crollo del Terzo Reich, peccavano però tutte per<br />
l’assoluta mancanza <strong>di</strong> riscontri, ed è ben noto che uno dei principali criteri<br />
della ricerca storica è quello <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> fonti <strong>di</strong> documentazione<br />
cre<strong>di</strong>bili. Vale anche nel campo degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> storia contemporanea quello<br />
che vale nel campo dell’indagine penale, pur con qualche significativa<br />
<strong>di</strong>fferenza: unus testis nullus testis. Come ammonisce un eminente giurista,<br />
Franco Cordero (Franco Cordero, Procedura penale, Giuffré e<strong>di</strong>tore,<br />
Milano 1995³, pp. 605-606), è questione aperta fin dove il narrante racconti<br />
una verità autentica. A maggior ragione, sono altamente rischiose le ricostruzioni<br />
storiografiche compiute sulla base dei soli dati narrativi (Cordero,<br />
cit., p. 607), specialmente quando la fonte sia una sola. Una testimonianza<br />
unica, anche quando sia data in buona fede (dunque non frutto <strong>di</strong> menzogna<br />
o equivoco), è sempre suscettibile <strong>di</strong> errore: è noto che sia il tempo che le<br />
particolari con<strong>di</strong>zioni mentali <strong>di</strong> chi narra, nel momento in cui rievoca il<br />
fatto, provvedono ad affievolire se non a mutare sostanzialmente i dati mnemonici<br />
(sulla lenta ma inesorabile <strong>di</strong>struzione o deformazione del materiale<br />
mnestico che opera il decorso del tempo vd. Cesare Musatti, Elementi <strong>di</strong><br />
psicologia della testimonianza, Rizzoli, Milano 1991, I ed. 1931, pp. 182-<br />
193). Occorre notevole dose <strong>di</strong> cautela quando si incontra un solo documento<br />
o testimonianza attestante un determinato fatto. Essa non è certo da scartare a<br />
priori, ma va raccolta e vagliata con estrema prudenza ed è necessario confermarla<br />
con adeguati riscontri. Vale sempre la regola (riferita dal Trevor-Roper<br />
nella introduzione alla III e<strong>di</strong>zione del suo saggio, 1956) per cui lo storico<br />
deve chiedersi, <strong>di</strong> fronte ad una affermazione asserita come autentica, chi sia<br />
stato il primo a farla e quale possibilità abbia avuto costui <strong>di</strong> assistere ai fatti<br />
che narra (Trevor-Roper, cit., p. 14). Ciò a maggior ragione per la storia del<br />
nazismo, perché i campi d’indagine che riguardano persone e fatti <strong>di</strong> questa<br />
epoca sono stati notoriamente e abbondantemente frequentati da mitomani,<br />
visionari in buona o cattiva fede e falsari, come ha dovuto sperimentare lo<br />
stesso sir Hugh Trevor-Roper, imbattutosi nel clamoroso falso dei “<strong>di</strong>ari” <strong>di</strong><br />
23 Eloquente il titolo “Non è morto”, in «Corriere d’Informazione», 8-9 ottobre 1945.<br />
–43–
Hitler e, prima ancora, durante la sua indagine sulla fine del Führer, nelle ambigue<br />
testimonianze della giornalista svizzera Carmen Mory (già internata a<br />
Dachau e poi arruolatasi nella Gestapo) e del me<strong>di</strong>co Karl-Heinz Späth. 24<br />
Torna fuori perio<strong>di</strong>camente la falsa foto del cadavere (intatto) <strong>di</strong> Hitler riverso<br />
tra le rovine della Cancelleria: si tratta invece <strong>di</strong> un anonimo sosia, a cui una<br />
strana vicenda, non ancora ben chiarita da una seria indagine, riservò quella<br />
sorte. 25 Anche una rivista <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione storica anni ad<strong>di</strong>etro non ha resistito<br />
alla tentazione <strong>di</strong> presentare in copertina uno scoop sensazionale, sia pur in<br />
forma dubitativa (l’immagine <strong>di</strong> Hitler vi campeggia <strong>di</strong>etro l’ambiguo ma efficace<br />
titolo Una ipotesi sorprendente. È morto nel suo letto?). L’autore dello<br />
scoop, Horst Newmann, pretendeva <strong>di</strong> aver scovato il re<strong>di</strong>vivo Hitler in<br />
Africa, identificandolo con un vecchio che sarebbe morto <strong>di</strong> morte naturale<br />
nel 1964 nella “Terra <strong>di</strong> Nessuno”, una striscia <strong>di</strong> terra fra l’Angola e l’Africa<br />
del Sud Ovest che nel 1945 era libera da qualsiasi giuris<strong>di</strong>zione. Il vecchio<br />
avrebbe rivelato in punto <strong>di</strong> morte la sua identità a un missionario, tale padre<br />
Barata, e questi avrebbe raccontato il fatto al capo della polizia locale, il portoghese<br />
Manuel Faria. Quin<strong>di</strong> si tratta <strong>di</strong> una testimonianza <strong>di</strong> second’or<strong>di</strong>ne,<br />
<strong>di</strong> quelle da cui mette in guar<strong>di</strong>a Trevor-Roper. 26 L’articolo <strong>di</strong> «Historia», a<br />
nostro giu<strong>di</strong>zio, ci sembra un esempio <strong>di</strong> come non si deve fare un’indagine<br />
storica, a meno che non si voglia scadere nel facile sensazionalismo. Nessun<br />
riscontro viene riportato a suffragare la testimonianza personale dell’autore<br />
dell’articolo e del presunto straor<strong>di</strong>nario ritrovamento <strong>di</strong> Hitler in Africa, a<br />
parte il fatto che a un vecchio moribondo, stante in chissà quali con<strong>di</strong>zioni<br />
mentali, si può far <strong>di</strong>re ciò che si vuole.<br />
24 Al riguardo ricor<strong>di</strong>amo che nel 1966 si affacciò alla ribalta delle cronache una ragazza<br />
<strong>di</strong> ventinove anni, tale Gisela Heuser, che pretendeva <strong>di</strong> essere riconosciuta quale figlia naturale<br />
<strong>di</strong> Hitler.<br />
25 Vd. Enzo Biagi, Berlino, nel bunker dell’apocalisse, in «Corriere della Sera», 20 settembre<br />
1992. Sulla falsa foto del cadavere <strong>di</strong> Hitler: Carlo De Risio, Hitler, è una patacca lo<br />
scoop <strong>di</strong> Mosca, in «Il Tempo», 18 settembre 1992.<br />
26 Vd. Horst Newmann, In un angolo dell’Angola..., in «Historia», n. 119, ottobre 1967,<br />
pp. 18-29. Nell’articolo è riprodotta una foto <strong>di</strong> Hitler con una graziosa fanciulla bionda, che la<br />
<strong>di</strong>dascalia in<strong>di</strong>ca essere forse «la misteriosa Gisela, alla quale egli spesso scriveva e che potrebbe<br />
essere stata una sua figlia illegittima» (p. 21). Lungi dall’essere stata una sua figlia illegittima<br />
(e si vede quanto sia facile aggiungere leggende a leggende), la fanciulla si può chiaramente<br />
identificare con Geli Raubal, la nipote morta suicida nel 1931, proprio in casa del futuro<br />
<strong>di</strong>ttatore. Altra ricostruzione piuttosto fantasiosa è quella <strong>di</strong> Édouard Bobrowski, Il dossier della<br />
sparizione <strong>di</strong> Hitler, in I gran<strong>di</strong> enigmi della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, presentati da Bernard<br />
Michal, dossier n. 1, E<strong>di</strong>zioni Ferni, Ginevra 1972, pp. 223-246 (che lascia irrisolti gli interrogativi,<br />
non escludendo una ipotetica fuga del <strong>di</strong>ttatore).<br />
–44–
L’inchiesta <strong>di</strong> Trevor-Roper non ha, d’altra parte, chiarito tutti i particolari<br />
della morte <strong>di</strong> Hitler, sicché saltano fuori perio<strong>di</strong>camente nuove rivelazioni,<br />
più o meno fantasiose. Anzitutto non è stata fatta chiarezza<br />
sulle cause della morte <strong>di</strong> Hitler: si è avvelenato o si è sparato? O ha usato<br />
entrambi i mezzi, la pistola e il veleno (come asserì Axmann, che ne vide<br />
il corpo riverso e col capo insanguinato)? E poi dov’è stato sepolto? Che<br />
fine hanno fatto il suo corpo e quello della Braun? 27 I sovietici negarono<br />
la morte col colpo <strong>di</strong> pistola (rifiutando dunque le deposizioni <strong>di</strong> Erich<br />
Kempka, che asserì <strong>di</strong> aver visto sul pavimento della camera <strong>di</strong> Hitler due<br />
pistole, una Walther 7.65 e una Walther 6.35, e <strong>di</strong> Arthur Axmann, che<br />
invece ne vide una sola: deposizioni contrad<strong>di</strong>ttorie, ma ciò non implica<br />
che entrambe siano false), 28 sposando fermamente la tesi dell’avvelenamento.<br />
Come spiega Trevor-Roper, Stalin non poteva accettare il suici<strong>di</strong>o<br />
con la pistola, perché tale fine rappresentava un Heldentod, una morte da<br />
eroe. Attribuendo a Hitler la morte da codardo, il Feiglingtod, il <strong>di</strong>ttatore<br />
sovietico avrebbe stornato il possibile sorgere <strong>di</strong> un culto da martire per<br />
27 Stando alle ultime rivelazioni uscite fuori dagli archivi russi, all’indomani della caduta<br />
dell’URSS, i sovietici avrebbero sottoposto i corpi <strong>di</strong> Hitler e della Braun a due autopsie, a Berlino<br />
e presso Magdeburgo, e qui avrebbero poi seppellito segretamente i resti, in un’area sterrata<br />
al km. 30-32 della Klausenerstrasse. Nel 1970, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Leonid Breþnev, leader sovietico e<br />
segretario del PCUS, che temeva un trafugamento delle ossa da parte <strong>di</strong> gruppi neonazisti tedeschi,<br />
i resti sarebbero stati bruciati e le ceneri <strong>di</strong>sperse nel fiume Ehle. Vd. Gianfranco Modolo, In<br />
Germania la tomba <strong>di</strong> Hitler. Stalin or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> nasconderla, in «Corriere della Sera», 14 luglio<br />
1992. Secondo un’altra fonte, invece, i resti <strong>di</strong> Hitler sarebbero stati inviati a Mosca, ove sarebbero<br />
nascosti in una cassaforte segreta: Fiammetta Cucurnia, A Mosca i resti <strong>di</strong> Hitler?, in «La<br />
Repubblica», 1° maggio 1992. La giornalista avrebbe visto personalmente, nell’Archivio <strong>di</strong> Stato a<br />
Mosca, un frammento del cranio <strong>di</strong> Hitler con il foro del proiettile: Fiammetta Cucurnia, Ho visto<br />
il teschio <strong>di</strong> Hitler, in «La Repubblica», 24 febbraio 1993. Vd. anche Alex Saragosa, Misteri della<br />
Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, in «Quark», n. 51, aprile 2005, pp. 92-99. Gli ultimi memoriali usciti<br />
confermano la ricostruzione <strong>di</strong> Trevor-Roper: quello <strong>di</strong> Traudl Junge, l’ultima segretaria <strong>di</strong> Hitler<br />
(Traudl Junge, Fino all’ultima ora, a cura <strong>di</strong> Melissa Müller, trad. <strong>di</strong> Francesca Gimelli, Mondadori,<br />
Milano 2003), quello dell’ex crocerossina Erna Flegel (vd. l’intervista <strong>di</strong> Luke Har<strong>di</strong>ng,<br />
«Hitler mi strinse la mano e si sparò», in «Corriere della Sera», 3 maggio 2005) e quello dell’ex<br />
attendente del generale Guderian, il nobile Bernd Freytag von Loringhoven (vd. Dino Messina, A<br />
tu per tu con Hitler sull’orlo dell’abisso, in «Corriere della Sera», 20 novembre 2005).<br />
28 Riportiamo le parole <strong>di</strong> Axmann, alla base <strong>di</strong> ogni successiva ricostruzione storica e<br />
ancor oggi impressionanti: «Come entrammo, scorgemmo il Führer seduto su un piccolo <strong>di</strong>vano<br />
e <strong>di</strong> fianco a lui Eva Braun con la testa appoggiata sulla sua spalla. Il Führer era solo piegato un<br />
po’ in avanti: tutti capimmo che era morto. La sua mascella pendeva leggermente. Sul pavimento<br />
c’era una pistola. Da entrambe le tempie colava del sangue, e anche la bocca era tutta insanguinata.<br />
Non c’era però molto sangue sparso intorno... Credo che Hitler si sia prima avvelenato<br />
e poi si sia sparato in bocca: il colpo doveva aver provocato l’emorragia alle tempie»<br />
(Hugh Trevor-Roper, cit., p. 47).<br />
–45–
il capo nazista, che si sarebbe tradotto in un nuovo movimento anticomunista.<br />
Nuove ipotesi sono sostanzialmente più o meno ingegnose variazioni sul<br />
tema. Citiamo in proposito la ricostruzione <strong>di</strong> Henry Ludwigg (L’assassinio<br />
<strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Riccardo Landau, Longanesi & C., Milano 1967). Questo<br />
giornalista sfrutta un vieto argumentum ex silentio (tutti i testimoni della fine<br />
<strong>di</strong> Hitler hanno visto il Führer morto, nessuno però lo ha visto mentre si uccideva)<br />
per imbastire, armeggiando con dettagli e particolari, una sua poco<br />
plausibile versione: Hitler ed Eva Braun sarebbero stati costretti a prendere il<br />
veleno da Goebbels, che poi avrebbe sparato alla testa <strong>di</strong> Hitler per inscenare<br />
il suici<strong>di</strong>o e quin<strong>di</strong> la morte da eroe. Eva Braun però si sarebbe opposta (così<br />
come Claretta Petacci si oppose, con slancio <strong>di</strong>sperato, ai giustizieri <strong>di</strong> Mussolini)<br />
e ne sarebbe nata una colluttazione, traccia della quale (secondo Ludwigg,<br />
cit., pp. 276-281) sarebbe il vaso <strong>di</strong> fiori rovesciato sul pavimento<br />
della camera <strong>di</strong> Hitler. Il movente sarebbe stato il desiderio <strong>di</strong> Goebbels che<br />
Hitler, perduta ormai la partita, morisse da eroe e <strong>di</strong>ventasse un esempio <strong>di</strong><br />
grandezza per i tedeschi. Questa ipotesi, a nostro giu<strong>di</strong>zio, è poco convincente,<br />
dato che molte testimonianze provano, invece, la fanatica determinazione<br />
<strong>di</strong> Hitler, che non mostrava certo dubbi o titubanze <strong>di</strong> qualsiasi genere,<br />
a resistere fino alla fine e a non lasciarsi prendere vivo dai nemici. 29 Inoltre<br />
Goebbels, che sempre si mostrò devotissimo al suo Führer, avrebbe accettato<br />
qualunque decisione <strong>di</strong> questi, fuga compresa.<br />
Un celebre coroner degli Stati Uniti, Thomas Noguchi, mette però in<br />
dubbio in un suo libro 30 il riconoscimento del corpo <strong>di</strong> Hitler e della Braun<br />
effettuato tramite le ra<strong>di</strong>ografie dentarie. Confrontando le ricerche <strong>di</strong> due<br />
me<strong>di</strong>ci specialisti statunitensi, Raeder Sognaees e Lester Luntz, i quali negano,<br />
documenti alla mano, 31 che le ra<strong>di</strong>ografie presentate dai sovietici<br />
come prelevate dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Blaschke, fossero quelle <strong>di</strong> Hitler e della<br />
Braun, Noguchi giunge alla conclusione che il corpo identificato come<br />
29 Nella decisione <strong>di</strong> finire i suoi giorni nel bunker, confluirono motivi wagneriani, nichilismo<br />
germanico e romanticherie decadentistiche, secondo Joachim Fest, Hitler. Una biografia,<br />
vers. it. <strong>di</strong> Francesco Saba Sar<strong>di</strong>, cit., pp. 1038-1039. Del medesimo vd. anche Un suici<strong>di</strong>o per<br />
sottrarsi alla storia, in «La Repubblica», 19 aprile 2005.<br />
30 Thomas Noguchi (in collaborazione con Joseph Dimona), Hitler è fuggito?, in La parola<br />
al coroner, trad. <strong>di</strong> Paola Frezza, Rizzoli, Milano 1986.<br />
31 Sognaees aveva trovato cinque ra<strong>di</strong>ografie della testa <strong>di</strong> Hitler eseguite nel 1944, quin<strong>di</strong><br />
ante mortem, e aveva <strong>di</strong>mostrato che la Braun non aveva un ponte dentario in plastica, come<br />
invece asserito dai sovietici, vd. Noguchi, cit., pp. 175-176.<br />
–46–
quello <strong>di</strong> Eva Braun non apparteneva affatto alla moglie <strong>di</strong> Hitler. “E se un<br />
cadavere era stato sostituito, perché non potevano esserlo stati entrambi?”:<br />
questo l’interrogativo posto alla fine da Noguchi, dopo aver ricordato che<br />
effettivamente nessuno udì lo sparo nella camera <strong>di</strong> Hitler e che i russi<br />
avrebbero rinvenuto, secondo un sensazionale articolo della rivista «Time»<br />
apparso nel depoguerra, un passaggio segreto conducente dal bunker a una<br />
tramvia sotterranea.<br />
La fine <strong>di</strong> Hitler <strong>di</strong>venta ancor più inaspettata e si carica <strong>di</strong> suggestioni inquietanti<br />
nella ricostruzione del chirurgo e me<strong>di</strong>co legale Hugh Thomas, il<br />
quale, nel respingere completamente le conclusioni (definite “una favola”) <strong>di</strong><br />
Trevor-Roper, presenta a sua volta una serie <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong>fficilmente confutabili.<br />
32 Secondo Thomas, la versione del colpo <strong>di</strong> pistola in bocca e quella dell’avvelenamento<br />
per cianuro sarebbero entrambe inatten<strong>di</strong>bili: la prima,<br />
perché non sono state rilevate tracce <strong>di</strong> sangue, conseguenti a schizzi ematici,<br />
sulla parete <strong>di</strong>etro il <strong>di</strong>vano sul quale stava seduto Hitler; la seconda, perché i<br />
testimoni non hanno rilevato l’odore <strong>di</strong> mandorle amare tipico del cianuro né<br />
la bava alla bocca sintomo <strong>di</strong> questo veleno. Inoltre, osserva Thomas, i cadaveri<br />
non potevano stare seduti assieme sul <strong>di</strong>vano (così come appaiono nei<br />
racconti dei testimoni) perché il cianuro genera terribili convulsioni e spasimi<br />
e per tali convulsioni i due suici<strong>di</strong> sarebbero dovuti finire a terra. Thomas<br />
prova, confermando Noguchi, la <strong>di</strong>fformità tra la dentatura della Braun nelle<br />
ra<strong>di</strong>ografie ante mortem e quella che appare nelle lastre prese dai sovietici sul<br />
cadavere, perché la donna non portava ponti dentari (p. 170). I ponti dentari<br />
del cadavere <strong>di</strong> Hitler corrispondono a quelli del <strong>di</strong>ttatore – nota ancora<br />
Thomas –, ma lo smalto <strong>di</strong> porcellana che ricopriva il metallo fu ritrovato sorprendentemente<br />
intatto (p. 176): avrebbe invece dovuto esser danneggiato, se<br />
non sciolto, dal calore delle fiamme (per la cremazione dei corpi nel giar<strong>di</strong>no<br />
della Cancelleria vennero usati duecento litri <strong>di</strong> benzina). Il me<strong>di</strong>co ricorda<br />
ancora che nei campioni <strong>di</strong> tessuto prelevato dai sovietici sul cadavere <strong>di</strong><br />
Hitler non furono trovati residui <strong>di</strong> cianuro, a parte la fiala spezzata in bocca<br />
(p. 197). A conclusione del suo stu<strong>di</strong>o Thomas, che cerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare con<br />
una minuziosa analisi come le deposizioni rilasciate a Trevor-Roper siano palesemente<br />
false, avanza la tesi della frode me<strong>di</strong>co-legale (che sarebbe stata<br />
perpetrata dai sovietici) e presenta una sua versione dei fatti, a cui riesce <strong>di</strong>fficile,<br />
però, prestare fede. Secondo Thomas Hitler sarebbe stato strangolato dal<br />
32 Hugh Thomas, I giorni del bunker. La vera storia della fine <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Flavia<br />
Buzza, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1997.<br />
–47–
suo cameriere Heinz Linge, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Eva Braun che ne era <strong>di</strong>venuta l’amante,<br />
e al cadavere sarebbe stato versato in bocca il cianuro dal dottor<br />
Stumpfegger (pp. 228-238). Tutti, poi, compresa la Braun, si sarebbero allontanati<br />
dal bunker. È una versione che si fatica ad accettare, sia perché riduce<br />
la fine del <strong>di</strong>ttatore a un me<strong>di</strong>ocre feuilleton sia perché presuppone nella<br />
Braun una libertà <strong>di</strong> iniziativa e un coraggio <strong>di</strong> cui mai <strong>di</strong>ede prova nel suo<br />
rapporto col Führer sia, infine, perché mancano riscontri, e persino semplici<br />
voci, che attestino una sopravvivenza della Braun oltre il 30 aprile 1945.<br />
Non sopravvissuto alla storia, Hitler sopravvive nella narrativa <strong>di</strong> spionaggio<br />
e fantastica, posto al centro <strong>di</strong> complotti che oscure potenze tramano<br />
per riportare alla ribalta della storia il nazismo. A garantire la sopravvivenza <strong>di</strong><br />
Hitler oltre lo spazio e il tempo, si è fatto ricorso, nella fantasia dei romanzieri,<br />
anche alla clonazione. È quanto prevede, sognando la letterale rinascita del<br />
Führer, il <strong>di</strong>abolico piano escogitato dal re<strong>di</strong>vivo dottor Mengele: me<strong>di</strong>ante la<br />
clonazione il <strong>di</strong>ttatore rivivrà nel corpo <strong>di</strong> novantaquattro bambini, tutti portatori<br />
dei geni <strong>di</strong> Hitler, e da lui fatti adottare ad ignari genitori sparsi nel<br />
mondo. Così è la trama del romanzo <strong>di</strong> Ira Levin, I ragazzi venuti dal Brasile<br />
(The Boys from Brazil, 1976), 33 che vede però un agente israeliano sventare il<br />
progetto e il folle dottor Mengele finire sbranato dai cani <strong>di</strong> uno dei suoi bambini<br />
creati in laboratorio. Eva Braun, invece, sopravvive nel romanzo Il settimo<br />
segreto <strong>di</strong> Irving Wallace (The Seventh Secret, 1986): l’indagine per far<br />
luce sulla misteriosa scomparsa del padre (uno storico <strong>di</strong> Oxford che si era recato<br />
a Berlino per cercare notizie sulla morte <strong>di</strong> Hitler), conduce la protagonista<br />
del romanzo, la giovane Emily Ashcroft, sulle tracce <strong>di</strong> una organizzazione<br />
neonazista che nasconde un incre<strong>di</strong>bile segreto. In un gigantesco e segretissimo<br />
bunker posto sotto la città <strong>di</strong> Berlino, sorvegliato da centinaia <strong>di</strong><br />
guar<strong>di</strong>e armate, vive Eva Braun, rimasta sola dopo la morte del <strong>di</strong>ttatore (l’autore<br />
la pone al 1963 per il morbo <strong>di</strong> Parkinson), il quale si sarebbe rifugiato là<br />
per attendere l’olocausto nucleare e organizzare una impossibile rinascita del<br />
Terzo Reich. 34 Nel romanzo vi è anche una figlia <strong>di</strong> Hitler e della Braun, la<br />
quale, appena conosciuti i suoi natali, è presa dall’orrore e si suicida.<br />
Provvedono ad ammantare <strong>di</strong> mistero la sopravvivenza del nazismo<br />
anche le organizzazioni segrete, la più famosa delle quali è certamente<br />
33 Ira Levin, I ragazzi venuti dal Brasile, trad. <strong>di</strong> Adriana Dell’Orto, Club degli E<strong>di</strong>tori,<br />
Milano 1977, su licenza della Mondadori.<br />
34 Irving Wallace, Il settimo segreto, trad. <strong>di</strong> Olivia Crosio, Sperling & Kupfer, Milano<br />
1987.<br />
–48–
l’organizzazione “Odessa” (acronimo <strong>di</strong> Organisation der SS-Angehörigen,<br />
organizzazione degli ex appartenenti alle SS), che sarebbe stata costituita<br />
nel 1947 alla scopo <strong>di</strong> facilitare la fuga dei ricercati nazisti dall’Europa (le<br />
vicende dell’organizzazione hanno ispirato al romanziere Frederic Forsyth<br />
un famoso romanzo tra spionaggio e fantapolitica, Dossier Odessa). 35<br />
L’“Odessa” scelse l’Italia come crocevia per gli itinerari dei nazisti in fuga<br />
(è noto che Roma e Genova sono state tappe importanti per la via <strong>di</strong> fuga<br />
dei nazisti e fascisti ricercati in tutta Europa). Per quasi tutti la meta privilegiata<br />
era il Sudamerica, dov’erano fiorite da tempo prospere colonie<br />
tedesche, come a Bariloche in Argentina. 36 Secondo alcune versioni la CIA<br />
avrebbe fornito uomini e mezzi per assicurare ai nazisti la salvezza in<br />
Sudamerica, ricevendone in cambio preziose in<strong>di</strong>cazioni sui tesori da quelli<br />
accumulati durante gli anni del Terzo Reich e arruolandoli tra le file dello<br />
spionaggio americano in funzione antisovietica: uomini come Eichmann,<br />
Barbie, Mengele, Priebke e molti altri sarebbero espatriati grazie ai passaporti<br />
falsi forniti da agenti americani. 37 La salita al potere del generale Juan<br />
35 The Odessa File, 1972, trad. <strong>di</strong> Marco Tropea, Mondadori, Milano 1989, II rist. Nel<br />
romanzo l’organizzazione trama un <strong>di</strong>abolico piano per dotare il presidente Nasser <strong>di</strong> missili<br />
con testate chimiche e batteriologiche, con cui bombardare Israele. Il nazista che appare nelle<br />
pagine del romanzo, Eduard Roschmann, è realmente esistito: era il comandante del ghetto <strong>di</strong><br />
Riga e, dopo la guerra, riuscì a fuggire in Sudamerica grazie proprio alla “Odessa”. Sarebbe<br />
morto in Paraguay nel 1977. Su Roschmann vd. Simon Wiesenthal, Giustizia, non vendetta,<br />
trad. <strong>di</strong> Carlo Mainol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano <strong>2004</strong>, rist., pp. 128-136.<br />
36 Svela la rete <strong>di</strong> complicità e silenzi che avvolse la fuga dei nazisti il saggio <strong>di</strong> Giovanni<br />
Maria Pace, La via dei demoni, Sperling & Kupfer, Milano 2000 (sugli ambienti ecclesiastici<br />
coinvolti vd. le pp. 3-32). Nell’opera <strong>di</strong> aiuto ai nazisti in fuga si sarebbe <strong>di</strong>stinto monsignor<br />
Alois Hudal, rettore del Collegio germanico <strong>di</strong> Santa Maria dell’Anima a Roma, il quale<br />
avrebbe preparato la cosiddetta “via romana”, assieme a Walter Rauff, capo dell’SD (il servizio<br />
<strong>di</strong> sicurezza nazista) nell’Italia del Nord, e sarebbe stato coinvolto nella fuga <strong>di</strong> Bormann, come<br />
si legge in Storia segreta della Gestapo, presentata da Jean Dumont, vol. IV, E<strong>di</strong>zioni Ferni,<br />
Ginevra 1972, pp. 165-169 e 193-194 (notizie da vagliare con cautela). Peraltro, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
Pio XII, mons. Hudal protestò fermamente nell’ottobre 1943 con il governatore tedesco <strong>di</strong><br />
Roma, generale Stahel, per gli arresti degli ebrei: vd. Anthony Rhodes, Il Vaticano e le <strong>di</strong>ttature<br />
1922-1945, trad. <strong>di</strong> Paolo Colacicchi, Mursia, Milano 1975, p. 361; Andrea Tornielli, Pio XII,<br />
ed. spec. per «Famiglia Cristiana» su lic. E<strong>di</strong>zioni Piemme, Bergamo 2002, pp. 238-239.<br />
37 Sulla ricerca dei criminali nazisti nel dopoguerra vd.: La caccia ai criminali nazisti, suppl.<br />
a «Storia Illustrata», n. 186, 1973. Sulla fuga <strong>di</strong> Mengele e le complicità del governo argentino<br />
e della CIA: Leonardo Coen, Passaporto per il dottor Mengele, in «La Republica»,<br />
22 febbraio 1992; vd. anche Maurizio Molinari, «Così la Cia ha protetto i criminali nazisti»,<br />
in «La Stampa», 28 aprile 2001. Non crede alla morte <strong>di</strong> Mengele, annunciata nel 1979, Simon<br />
Wiesenthal, Giustizia, non vendetta, cit., pp. 139-152. Sulle protezioni <strong>di</strong> cui ha goduto Erich<br />
Priebke in Sudamerica vd. Mary Pace, Dietro Priebke, E<strong>di</strong>zioni Piemme, Casale Monferrato 1997.<br />
–49–
Domingo Perón, il quale ebbe peraltro a <strong>di</strong>chiarare la sua ammirazione per<br />
le realizzazioni sociali del fascismo italiano, <strong>di</strong>ede poi ai nazisti la possibilità<br />
<strong>di</strong> trovare un comodo rifugio in Argentina.<br />
Il caso Bormann è emblematico degli errori a cui possono condurre la<br />
suggestionabilità <strong>di</strong> testimoni “veritieri” e l’approssimazione <strong>di</strong> ricercatori<br />
dell’enigma nel campo degli stu<strong>di</strong> storici o, piuttosto, <strong>di</strong> giornalisti alla<br />
caccia dello scoop sensazionale. Per decenni occuparono le cronache dei<br />
giornali presunte “rivelazioni” sulla presenza <strong>di</strong> Martin Bormann (già segretario<br />
<strong>di</strong> Rudolf Hess, 38 arricchitosi amministrando la cassa del partito, il<br />
Reichsleiter con i suoi intrighi 39 <strong>di</strong>venne la personalità più importante del<br />
regime nazista dopo Hitler, <strong>di</strong> cui fu segretario, e fu condannato a morte in<br />
contumacia dai giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Norimberga per crimini <strong>di</strong> guerra e crimini contro<br />
l’umanità) in varie località dell’Europa e del Sudamerica.<br />
Le tracce <strong>di</strong> Martin Bormann in realtà si perdono la notte del primo<br />
maggio 1945, quando a Berlino il gerarca, sopravvissuto ai suici<strong>di</strong> nel bunker,<br />
si unisce a un gruppo <strong>di</strong> fuggiaschi che speravano <strong>di</strong> superare <strong>di</strong>etro un carro<br />
armato l’accerchiamento delle truppe sovietiche. Sono con lui il me<strong>di</strong>co delle<br />
SS Ludwig Stumpfegger e Arthur Axmann, successore <strong>di</strong> Baldur von Schirach<br />
in capo alla Hitlerjugend, l’organizzazione giovanile nazista. I tre, con<br />
pochi altri compagni, si riparano <strong>di</strong>etro un carro armato, che però viene centrato<br />
dall’artiglieria nemica ed esplode. A seguito dell’esplosione il gruppo si<br />
<strong>di</strong>sperde e da allora <strong>di</strong> Martin Bormann non si sa più nulla.<br />
Arthur Axmann, catturato dai Russi, testimoniò sotto giuramento <strong>di</strong><br />
aver veduto i corpi <strong>di</strong> Bormann e Stumpfegger apparentemente senza segni<br />
<strong>di</strong> vita e senza traccia <strong>di</strong> ferite, presso la stazione ferroviaria <strong>di</strong> Lehrt.<br />
I giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Norimberga non vollero però credere alla versione della sua<br />
morte e lo processarono in contumacia assieme agli altri gerarchi del Terzo<br />
Reich, condannandolo a morte per crimini contro la pace e crimini contro<br />
38 Rudolf Hess, già delfino del Führer, fuggito misteriosamente in Inghilterra per trattare la<br />
pace nel luglio 1941, <strong>di</strong>chiarato ufficialmente pazzo dagli organi del regime nazista, scampa alla<br />
forca a Norimberga e, rinchiuso per oltre quarant’anni nel carcere <strong>di</strong> Spandau, vi muore misteriosamente<br />
nel 1990. Hess, membro <strong>di</strong> circoli esoterici, come la Thule Gesellschaft, era <strong>di</strong>scepolo<br />
del professor Karl Haushofer, docente <strong>di</strong> geopolitica, e vantava buoni amici in Inghilterra,<br />
come il duca <strong>di</strong> Hamilton. Sui rapporti tra Hess e i circoli esoterici vd. Giorgio Galli, Hitler e il<br />
nazismo magico, Rizzoli, Milano 1989, pp. 59-61.<br />
39 Per chiarire la doppiezza del personaggio, va ricordato che egli, dopo aver determinato<br />
con pretestuose accuse <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento la caduta in <strong>di</strong>sgrazia <strong>di</strong> gerarchi del calibro <strong>di</strong> Goering e<br />
<strong>di</strong> Himmler, aveva tentato a sua volta <strong>di</strong> intavolare trattative col generale sovietico Èujkov<br />
durante l’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Berlino.<br />
–50–
l’umanità. Da allora cominciarono a circolare le più fantasiose versioni<br />
sulla presunta fuga <strong>di</strong> Bormann: che sarebbe stato portato in salvo dai<br />
sovietici, ai quali avrebbe reso in passato preziosi servizi <strong>di</strong> spionaggio,<br />
per vivere tranquillamente in URSS fino al 1970; che si sarebbe rifugiato<br />
nel bunker <strong>di</strong> Adolf Eichmann, non lontano dalla Cancelleria, venendo poi<br />
<strong>di</strong> là prelevato da due sacerdoti e scortato fino a Merano 40 travestito in<br />
abito talare. Vi prestò fede anche il più famoso cacciatore <strong>di</strong> nazisti, Simon<br />
Wiesenthal, che ricevette centinaia <strong>di</strong> segnalazioni su Bormann vivo nel<br />
suo Centro <strong>di</strong> Documentazione a Vienna.<br />
Si accavallarono per decenni sulle peregrinazioni e i presunti “avvistamenti”<br />
<strong>di</strong> Bormann versioni fantastiche, testimonianze dubbie spacciate per<br />
atten<strong>di</strong>bilissime da giornalisti <strong>di</strong>sposti a tutto per agguantare uno scoop, e<br />
vere e proprie leggende <strong>di</strong> mitomani. Una delle ricostruzioni più dettagliate<br />
(ed è curioso che chi riporta questa e consimili versioni sia a conoscenza dei<br />
particolari più minuti, quasi avesse egli stesso partecipato <strong>di</strong> persona alle peripezie<br />
del fuggiasco) racconta che Bormann, messosi in salvo fortunosamente<br />
da una Berlino in fiamme con l’aiuto <strong>di</strong> un volontario spagnolo della<br />
legione Azul, si sarebbe imbarcato a bordo <strong>di</strong> un U-Boot, salpato dalla baia<br />
<strong>di</strong> Flensburg per <strong>di</strong>rigersi in Irlanda. Da Dublino il fuggiasco si sarebbe trasferito<br />
via mare a Santander in Spagna, ove sarebbe rimasto quasi un anno.<br />
Quin<strong>di</strong> nell’aprile del 1946 si sarebbe recato in Italia, a Genova (vi sarebbe<br />
giunto il 4 aprile), e poi in treno a Milano (il 16 aprile): da qui qualche<br />
giorno dopo sarebbe partito per Roma, ove, protetto da monsignor Hudal, si<br />
sarebbe rifugiato in un convento francescano a 35 chilometri dalla capitale,<br />
trovandovi un incarico da bibliotecario e, dopo una permanenza claustrale <strong>di</strong><br />
alcuni anni (interrotta soltanto nel 1948 per far visita alla tomba della moglie<br />
Gerda Buch, morta <strong>di</strong> cancro in un ospedale <strong>di</strong> Merano nel 1946), si sarebbe<br />
imbarcato a Napoli per giungere finalmente a Buenos Aires nel luglio del<br />
1951. Quin<strong>di</strong> si sarebbe spostato variamente in Argentina, Paraguay e Cile. 41<br />
40 Anche Merano sarebbe stata un crocevia <strong>di</strong> nazisti in fuga nel dopoguerra: vi sarebbero<br />
transitati Mengele, Eichmann, Bormann, Wolff (il capo delle SS in Italia), Priebke e altri, ottenendo<br />
denari, documenti falsi e coperture per il successivo espatrio in Sudamerica. Vd. Pierangelo<br />
Giovannetti, I ragazzi <strong>di</strong> Merano, in «Famiglia Cristiana», n. 42, 2003, pp. 66-69.<br />
41 Le peripezie del fuggiasco Bormann, che <strong>di</strong>sinvoltamente passa dalla <strong>di</strong>visa nazista alla<br />
tonaca pretesca e al saio francescano, sono narrate (per la verità con buona dose <strong>di</strong> fantasia) da<br />
Fabrice Laroche, I «gran<strong>di</strong> evasi» del Reich, in Storia segreta della Gestapo, cit., pp. 186-193;<br />
insiste nel presentare la vicenda Bormann in chiave <strong>di</strong> intrigo internazionale Philippe Bernert,<br />
Martin Bormann, il re<strong>di</strong>vivo, in Gran<strong>di</strong> enigmi della storia dal torrione della Bastiglia al<br />
bunker <strong>di</strong> Hitler, a cura <strong>di</strong> Gilbert Guilleminault, Peruzzo e<strong>di</strong>tore, Milano 1966, pp. 164-189;<br />
–51–
Ma il fuggitivo nella sua nuova patria non avrebbe saputo darsi pace. Dopo<br />
l’arresto <strong>di</strong> Eichmann nel 1960 (com’è noto venne rapito davanti alla sua<br />
casa in Argentina da agenti del Mossad), Bormann, spaventato dal proposito<br />
del nuovo presidente Arturo Fron<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> far rintracciare e arrestare i nazisti<br />
rifugiati, avrebbe trovato ancora ricovero in un convento servendovi come<br />
<strong>di</strong>acono. Questa e consimili storie ingarbugliate, fatte circolare a bella posta,<br />
hanno creato nel corso degli anni la leggenda <strong>di</strong> un Martin Bormann re<strong>di</strong>vivo<br />
e protetto, ad opera della CIA, dalla condanna a morte in contumacia comminatagli<br />
a Norimberga.<br />
Nel <strong>di</strong>cembre 1972 avviene, però, un colpo <strong>di</strong> scena: proprio qualche<br />
giorno dopo la pubblicazione <strong>di</strong> un voluminoso “Dossier Bormann” sul<br />
Daily Express, vengono rinvenuti a Berlino, presso il Parco Giochi Ulap,<br />
un teschio e alcuni frammenti ossei da due sterratori che lavorano alle tubature.<br />
Il teschio è riconosciuto per quello <strong>di</strong> Bormann dal dentista Fritz Echtmann,<br />
che aveva curato il gerarca: quin<strong>di</strong>, dopo che nel 1973 una sentenza<br />
del tribunale <strong>di</strong> Francoforte ha accertato in via definitiva la morte <strong>di</strong> Bormann<br />
a Berlino la notte del primo maggio 1945 (sulla base dei reperti rinvenuti),<br />
il mistero appare finalmente risolto. Tanto più che, a convalidare<br />
definitivamente la verità giu<strong>di</strong>ziaria, sopraggiunge l’esame del DNA effettuato<br />
sui medesimi resti nel 1999, con la conferma che si tratta proprio <strong>di</strong><br />
Martin Bormann. Dunque non sembra esservi più dubbio alcuno: Bormann<br />
è morto a Berlino la notte del primo maggio 1945, probabilmente suicidatosi<br />
dopo aver constatato l’impossibilità <strong>di</strong> sfuggire all’accerchiamento dei<br />
Russi.<br />
Senonché una recentissima pubblicazione viene a rimettere in dubbio<br />
ciò che sembrava definitivamente acquisito dagli storici. Si tratta dello<br />
straor<strong>di</strong>nario racconto <strong>di</strong> Christopher Creighton, Salvate Bormann (trad. <strong>di</strong><br />
Brunello Lotti, Rizzoli, Milano 1996), presentato come il resoconto autentico<br />
della rischiosissima operazione <strong>di</strong> salvataggio <strong>di</strong> Martin Bormann.<br />
Questa sarebbe stata compiuta dai commandos inglesi per incarico <strong>di</strong><br />
Churchill, che intendeva avere dal gerarca le chiavi d’accesso dei conti<br />
esteri in cui erano depositati i tesori accumulati dai nazisti: secondo l’autore,<br />
il cui vero nome è John Ainsworth-Davis, figlio <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co dell’e-<br />
vd. anche Gian Franco Vené, Bormann: il fantasma inafferrabile, in La caccia ai criminali<br />
nazisti, cit., pp. 114-125 (più prudente nelle conclusioni); invece Richard Garrett, Bormann è<br />
fuggito?, in I gran<strong>di</strong> misteri insoluti, a cura <strong>di</strong> John Canning, trad. <strong>di</strong> Marco Veronesi, Mondadori,<br />
Milano 1991, dà cre<strong>di</strong>to al mito della sopravvivenza del gerarca nazista.<br />
–52–
sercito inglese, Bormann sarebbe stato salvato dagli alleati e portato ad<strong>di</strong>rittura<br />
ad assistere al processo <strong>di</strong> Norimberga, da una saletta riservata. Ma<br />
v’è <strong>di</strong> più: la rischiosissima operazione sarebbe stata organizzata da Ian<br />
Fleming (il padre del celeberrimo agente 007), del quale Creighton sarebbe<br />
stato il braccio destro. Il nome in co<strong>di</strong>ce della missione sarebbe stato<br />
“operazione James Bond”, e avrebbe fornito lo spunto proprio a Fleming<br />
per creare il personaggio del celeberrimo agente segreto. Osserviamo,<br />
però, che mancano anche in questo caso riscontri alla storia, che già <strong>di</strong> per<br />
sé ci appare poco convincente, a cominciare dalla presentazione che il<br />
Creighton fa <strong>di</strong> se stesso e della sua straor<strong>di</strong>naria carriera, rappresentandosi<br />
come una specie <strong>di</strong> emulo della Primula Rossa. 42 Avvezzo fin da giovanissimo<br />
alle frequentazioni altolocate (avrebbe avuto in gioventù familiarità<br />
ad<strong>di</strong>rittura con lord Louis Mountbatten, col duca <strong>di</strong> York, il futuro<br />
re Giorgio VI, con Winston Churchill e perfino con Joachim von Ribbentrop,<br />
da lui conosciuto al liceo <strong>di</strong> Metz) sarebbe entrato a se<strong>di</strong>ci anni nella<br />
sezione M del controspionaggio inglese, 43 con i buoni uffici <strong>di</strong> Desmond<br />
Morton, il fondatore stesso della sezione M nonché amico <strong>di</strong> famiglia, e si<br />
sarebbe qui <strong>di</strong>stinto per la precoce attitu<strong>di</strong>ne a imprese rischiosissime (a<br />
soli se<strong>di</strong>ci anni avrebbe guidato un attacco <strong>di</strong> commandos alla base <strong>di</strong> sottomarini<br />
tedeschi <strong>di</strong> Donegal, in Irlanda, uccidendovi personalmente<br />
quattro nemici), compiendo poi una complessa attività <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinformazione<br />
(che lo avrebbe condotto nel territorio della Germania, ad incontrare ad<strong>di</strong>rittura<br />
von Ribbentrop, Kaltenbrunner, Rommel e perfino Hitler, <strong>di</strong> cui<br />
avrebbe guadagnato la personale fiducia). All’inizio del 1943 Creighton<br />
viene arruolato da lord Mountbatten nell’unità segreta COPP (Combined<br />
Operations Pilotage Party). Nel febbraio del 1945, assieme a Ian Fleming,<br />
suo superiore, travestito con la <strong>di</strong>visa delle Waffen SS, incontra in Germania<br />
von Ribbentrop, che gli propone <strong>di</strong> scambiare la consegna <strong>di</strong> Martin<br />
Bormann contro il versamento <strong>di</strong> venticinque milioni <strong>di</strong> franchi svizzeri e<br />
la personale salvezza del capo della <strong>di</strong>plomazia nazista in Sudamerica (ma<br />
la progettata fuga <strong>di</strong> von Ribbentrop non andrà in porto). Il piano è ingegnoso<br />
e complesso: il ministro nazista sarà prelevato a Berlino da una<br />
42 Il celebre avventuriero, creato dalla fantasia della baronessa Orczy, che coraggiosamente<br />
salva i nobili francesi dalla ghigliottina durante il Terrore rivoluzionario. È lo stesso Creighton a<br />
confessare la sua ammirazione per le imprese <strong>di</strong> sir Percy Blackeney alias la Primula Rossa.<br />
43 La sezione resa celebre dai romanzi <strong>di</strong> Ian Fleming, che vi pone a capo l’ammiraglio<br />
Miles Messervy (“M”, il capo dell’agente 007).<br />
–53–
squadra <strong>di</strong> commandos e trasportato <strong>di</strong> notte, su kayak, lungo i fiumi della<br />
Sprea e dell’Havel, in <strong>di</strong>rezione nordovest, fino all’Elba, per essere qui<br />
consegnato alle truppe alleate. Dopo essersi ancora incontrati con von Ribbentrop<br />
e Bormann nel marzo 1945 (è stupefacente l’irrisoria facilità con<br />
cui i due inglesi entrano ed escono dalla Germania ormai ridotta a campo<br />
<strong>di</strong> battaglia), l’operazione inizia il 24 aprile 1945. Paracadutatisi <strong>di</strong> notte a<br />
Berlino, i commandos (un folto gruppo <strong>di</strong> centocinquanta persone, comprendente<br />
molte donne e i giovani membri <strong>di</strong> una brigata ebraica <strong>di</strong> Combattenti<br />
per la libertà) s’imbarcano sulla riva del Müggelsee, navigano<br />
lungo la Sprea per 19 chilometri e attraccano i kayak al ponte <strong>di</strong> Weidendamm,<br />
ove costituiscono una base abilmente mimetizzata. Quin<strong>di</strong><br />
Creighton e Fleming, in compagnia del tenente della marina americana<br />
Barbara Brabenov, tanto avvenente quanto bravissima coa<strong>di</strong>utrice nell’impresa,<br />
si incontrano con Bormann tra le rovine della Cancelleria e, dopo<br />
essersi accordati per prelevarlo il primo maggio, vi rimangono fino al 29<br />
aprile (riuscendo pro<strong>di</strong>giosamente a scampare all’attenzione <strong>di</strong> tedeschi e<br />
russi). La notte del primo maggio i tre, portandosi <strong>di</strong>etro un prigioniero tedesco,<br />
tale Günther, un perfetto sosia <strong>di</strong> Bormann, prelevano il gerarca e,<br />
confusi tra soldati tedeschi che continuano a non accorgersi <strong>di</strong> loro, si accodano<br />
a un carro armato. Sulla Friedrichstrasse il carro è colpito dall’artiglieria<br />
russa e salta in aria. A questo punto Creighton uccide il sosia <strong>di</strong><br />
Bormann, per far credere alla morte del gerarca, mentre quello vero viene<br />
imbarcato sul kayak. La fila dei kayak naviga lungo la Sprea e poi l’Havel,<br />
in <strong>di</strong>rezione nordovest, passa sotto i ponti Charlotten, Dischinger e Pichelsdorf,<br />
superando ogni tipo <strong>di</strong> sbarramento. Dopo vari giorni <strong>di</strong> navigazione<br />
notturna e sosta <strong>di</strong>urna i kayak giungono l’un<strong>di</strong>ci maggio ad Havelberg,<br />
sulla riva dell’Elba, dove Bormann è finalmente consegnato agli alleati. Il<br />
nazista è quin<strong>di</strong> portato in Inghilterra, sottoposto a una operazione <strong>di</strong> plastica<br />
facciale e relegato nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Highgate, dove vive in<strong>di</strong>sturbato<br />
dal 1945 al 1956 (ma nel 1946 è portato dagli inglesi ad assistere al processo<br />
<strong>di</strong> Norimberga), rendendo preziosi servigi alla CIA e al servizio segreto<br />
inglese, soprattutto nella ricerca dei suoi ex camerati in fuga. Quin<strong>di</strong><br />
Bormann muore in Paraguay nel 1959. Ma le peripezie non sono finite:<br />
dopo qualche tempo le sue spoglie sono riesumate da agenti inglesi e portate<br />
a Berlino, dove casualmente vengono rinvenute nel 1972, sotto il<br />
Parco Giochi Ulap.<br />
Come si vede, si tratta <strong>di</strong> un resoconto più simile a un romanzo <strong>di</strong><br />
avventure alla 007 che a una pagina <strong>di</strong> storia, a cui, a nostro avviso, riesce<br />
–54–
oltremodo <strong>di</strong>fficile attribuire il crisma dell’autenticità. D’altronde, tanta<br />
ricchezza <strong>di</strong> particolari non riesce a convincerci della veri<strong>di</strong>cità del racconto,<br />
tanto che esso ci sembra costruito ex post. 44 I punti che, già a una<br />
prima lettura, ci fanno molto dubitare sono i seguenti. 1) La biografia dell’autore<br />
è basata su imprese mirabolanti, compiute fin dall’adolescenza.<br />
Un talento così precoce da <strong>di</strong>ventare agente segreto a se<strong>di</strong>ci anni non può<br />
non destare sospetti. 2) Lord Louis Mountbatten, cugino del re, succedette<br />
il 27 ottobre 1941 a Sir Roger Keyes al comando delle Combined Operations,<br />
le operazioni dei commandos, ma non risulta da nessuna parte l’unità<br />
segreta COPP, nella quale sarebbe stato arruolato Creighton. Non ne fa<br />
menzione, ad esempio, il Comandante <strong>di</strong> Brigata Peter Young, che fu uno<br />
dei primi a formare il corpo dei commandos nel 1940 e partecipò anche a<br />
numerose azioni, nel suo serio e documentato saggio sull’attività <strong>di</strong> questo<br />
corpo speciale dell’esercito inglese (Peter Young, Commando, 1971). 45<br />
Lord Mountbatten non avrebbe potuto creare un’unità segreta e tenerne<br />
accuratamente celata l’esistenza, quando proprio lui sollecitava una maggior<br />
collaborazione tra i servizi interni dell’Ammiragliato inglese, da cui i<br />
commandos <strong>di</strong>pendevano (così Young, cit., p. 56). 3) Nessuna delle persone<br />
citate da Creighton come partecipanti alla “operazione James Bond” è<br />
menzionata da Young nel suo saggio che rievoca le imprese dei commandos<br />
durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale (incursioni nelle isole Lofoten<br />
e Spitzbergen, a Bar<strong>di</strong>a, in Siria, a Sphakia, a Tobruk, a Beda Littoria, all’isola<br />
<strong>di</strong> Vaags, a St. Nazaire, a Cape Barfleur, al faro <strong>di</strong> Casquet, a St. Honoré,<br />
all’isola <strong>di</strong> Sark, a Dieppe). Per portare in salvo Bormann da Berlino<br />
asse<strong>di</strong>ata dai russi vennero scelti commandos, a parte l’autore, che non<br />
avevano praticamente esperienza. Il che è molto curioso. 4) Ian Fleming<br />
stesso, il quale durante la guerra fu realmente un agente del servizio segreto<br />
inglese M-I5, non ha lasciato alcun resoconto dell’impresa, neppure<br />
una in<strong>di</strong>retta allusione, nelle sue carte e nei suoi romanzi, ammesso che<br />
questa sia stata realmente compiuta. 5) Poco convincente è la folta presenta<br />
<strong>di</strong> donne, che nel resoconto <strong>di</strong> Creighton risultano molto più capaci e professionali<br />
dei loro colleghi uomini, in una rischiosissima missione <strong>di</strong> commando.<br />
Ma alle operazioni dei commandos non partecipavano donne. Non<br />
44 Esprime le sue giuste perplessità su questo resoconto Silvio Bertol<strong>di</strong>, La grande truffa <strong>di</strong><br />
Martin Bormann, in «Sette», suppl. «Corriere della Sera», nn. 33/34, 1996, pp. 50-52.<br />
45 Peter Young, Commando, trad. <strong>di</strong> Camilla Occhi Bozzuffi, Ermanno Albertelli E<strong>di</strong>tore,<br />
Parma 1971.<br />
–55–
è poi vero che nella prima guerra mon<strong>di</strong>ale furono arruolate ausiliarie nell’aviazione,<br />
come l’autore fa <strong>di</strong>re alla <strong>di</strong>rettrice del corpo delle ausiliarie<br />
dell’Ammiragliato britannico, Donna Vera Laughton Mathews (vd. p. 87).<br />
6) Grottesco è poi il particolare <strong>di</strong> Bormann che assiste a Norimberga al<br />
processo contro i suoi ex camerati, quale spettatore in incognito, ascoltandone<br />
le condanne a morte senza alcuna apparente emozione. Come potè<br />
entrare e uscire dal palazzo del tribunale senza essere riconosciuto da alcuno?<br />
Inutile, poi, ricordare che nel palazzo non sono state ritrovate salette<br />
riservate con falsi specchi, che affacciavano nella sala delle u<strong>di</strong>enze. 7)<br />
Perché Creighton non cita, tra le persone del gruppo che lasciò la Cancelleria<br />
con Bormann, anche Arthur Axmann, che era ben presente tra i fuggiaschi<br />
e la cui testimonianza nell’affare Bormann ha sempre goduto <strong>di</strong><br />
ampia cre<strong>di</strong>bilità da parte <strong>di</strong> russi e americani? 8) Il racconto della fuga<br />
dalla Cancelleria presenta singolari analogie con la narrazione (questa sì,<br />
indubitabilmente accettata come autentica dagli storici) <strong>di</strong> Gerhard Boldt,<br />
che era primo ufficiale <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nanza del capo <strong>di</strong> stato maggiore tedesco generale<br />
Guderian e fu tra gli ultimi a uscire dal bunker <strong>di</strong> Hitler (Gerhard<br />
Boldt, Die letzten Tage der Reichskanzlei, 1964). 46 Boldt fuggì da Berlino<br />
col suo gruppo esattamente come Creighton, ossia usando una barca e remando<br />
con la pagaia al centro della Sprea, fino a raggiungere il Wannsee.<br />
Egli s’imbarcò sul canotto proprio la notte del primo maggio e dallo stesso<br />
punto d’imbarco del gruppo <strong>di</strong> Creighton, il ponte <strong>di</strong> Pichelsdorf (ed è<br />
strano che i due gruppi non si siano incontrati, visto che la Sprea quella<br />
notte doveva essere affollata <strong>di</strong> barche). A cosa si devono questa e altre<br />
strane coincidenze? 47 9) Alcune domande conclusive: perché l’autore non<br />
pubblica le lettere (gli originali) <strong>di</strong> Fleming e <strong>di</strong> lord Mountbatten, che asserisce<br />
<strong>di</strong> avere e che confermerebbero certamente la sua narrazione?<br />
Perché non pubblica (o non si adopera per far pubblicare) il voluminoso<br />
46 Gerhardt Boldt, Ero con Hitler, trad. <strong>di</strong> Mario Monti, Longanesi & C., Milano 1967. Il<br />
racconto <strong>di</strong> Boldt è stato recentemente confermato da un suo compagno <strong>di</strong> fuga, Bernd Freytag<br />
von Loringhofen (Nel bunker <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Margherita Botto, Einau<strong>di</strong>, Torino 2005, pp.<br />
129-134).<br />
47 Ricorrono nei due resoconti, quello <strong>di</strong> Creighton e quello <strong>di</strong> Boldt, situazioni analoghe,<br />
come si evince da un confronto testuale: Creighton, p. 225: «Procedendo in silenzio, costeggiammo<br />
la sponda occidentale; ma in alcuni punti il fiume era molto stretto e spesso fummo<br />
costretti a passare a pochi metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dai soldati sovietici, la maggior parte dei quali, a<br />
giu<strong>di</strong>care dalle loro voci rauche, erano ubriachi fra<strong>di</strong>ci»; Boldt, p. 158: «La notte era serena,<br />
stellata e fresca. Presso Kladow, passammo così rasente alla sponda da poter u<strong>di</strong>re chiaramente<br />
le voci dei soldati russi e il ronzio dei motori». Si tratta solo <strong>di</strong> coincidenze casuali?<br />
–56–
verbale d’interrogatorio <strong>di</strong> Bormann, compilato a Birdham fra il maggio<br />
1945 e l’inizio del 1946, a cui egli stesso <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> attingere (lo chiama “trascrizione<br />
Birdham”)? 48<br />
Sono domande, queste, che generano consistenti sospetti sulla vicenda<br />
narrata da Creighton. Siamo <strong>di</strong> fronte, forse, a un’ultima speculazione<br />
romanzesca sul “caso Bormann”, ideata prima del definitivo accertamento<br />
della verità, ossia della sua morte avvenuta a Berlino la notte del primo<br />
maggio 1945? Se l’autore non presenta riscontri seri e accettabili, si ha il<br />
legittimo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> considerare un’invenzione <strong>di</strong> sana pianta quella che<br />
viene presentata come una storia autentica.<br />
3. I segreti delle “armi segrete”. Tra le ultime armi a cui Hitler affidò<br />
invano la sua speranza <strong>di</strong> rovesciare le sorti della guerra, nel 1944, vi furono<br />
(oltre i caccia a reazione) 49 le V-1 e le V-2, progettate dallo scienziato<br />
Wernher von Braun e costruite nella base <strong>di</strong> Peenemünde, sull’isola<br />
<strong>di</strong> Usedom nel mar Baltico. 50 Probabilmente furono queste le decantate<br />
armi segrete, che la propaganda nazifascista esaltò negli ultimi mesi della<br />
seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, ma che non influirono sulle sorti della guerra (dal<br />
48 Questo fantomatico verbale d’interrogatorio, che non è mai stato citato da altri, è definito<br />
da Creighton «uno dei più importanti documenti storici del secolo XX» (p. 279). A maggior<br />
ragione, dopo che Creighton ne ha rivelato l’esistenza, dovrebbe essere messo subito a <strong>di</strong>sposizione<br />
degli storici. Va detto che la scomparsa <strong>di</strong> Bormann ha fornito lo spunto per narrazioni <strong>di</strong><br />
spy-stories, come quella <strong>di</strong> Harry Patterson, Scambio Valhalla, trad. <strong>di</strong> Flora Dreher, Sonzogno,<br />
Milano 1979.<br />
49 Gli ultimi aerei tedeschi furono caccia (come il Messerschmitt Me. 262A-1b Schwalbe e<br />
lo Heinkel He. 162A-2 Salamander, capaci <strong>di</strong> superare gli 800 km/h; il Messerschmitt Me.<br />
163B-1a Komet raggiungeva i 900 km/h) e bombar<strong>di</strong>eri a reazione (come l’Arado Ar. 234<br />
Blitz), velocissimi e nettamente superiori agli aerei nemici. Furono però prodotti in pochi esemplari<br />
e non poterono influire sulle sorti della guerra (schede e particolari tecnici in: Enzo Biagi,<br />
La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, vol. VII La fine della Germania, cit., pp. 2363-2363).<br />
50 Assai significativa la vicenda <strong>di</strong> Wernher von Braun, scienziato tedesco naturalizzato<br />
americano nel 1955 (1912-1977). Figlio <strong>di</strong> un nobile bavarese e già allievo dello scienziato<br />
Hermann Oberth, stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> propellenti per razzi, von Braun ne continuò le ricerche e a soli<br />
venticinque anni <strong>di</strong>venne il capo del programma missilistico tedesco, impegnandosi a costruire<br />
le nuove armi richieste da Hitler. Negli ultimi mesi del conflitto fu processato dalle SS per<br />
tra<strong>di</strong>mento; catturato dagli americani nel maggio 1945, accettò <strong>di</strong> collaborare con gli Stati Uniti<br />
e creò i razzi Juno, Jupiter e Saturno, che aprirono la strada ai voli spaziali. Sul fondamentale<br />
contributo <strong>di</strong> von Braun alla conquista dello spazio e segnatamente alla missione Apollo 11 che<br />
portò tre astronauti americani sulla Luna il 20 luglio 1969, vd. Enzo Biagi - Antonio De Falco -<br />
Guido Gerosa - Gino Gullace - Gian Franco Venè - Lorenzo Vincenti, La luna è nostra, storie e<br />
drammi <strong>di</strong> uomini coraggiosi, Rizzoli, Milano 1969, pp. 18-23.<br />
–57–
13 giugno 1944 furono lanciate complessivamente 9300 V-1 sull’Inghilterra,<br />
dal successivo 8 settembre 1389 V-2: nonostante queste ultime, potendo<br />
raggiungere la velocità <strong>di</strong> 6500 chilometri all’ora, fossero praticamente<br />
inintercettabili, i danni che le V-1 e le V-2 riuscirono a causare sulle città<br />
colpite furono relativamente modesti; invece, la risposta degli alleati all’offensiva<br />
nazista fu il lancio sulla Germania <strong>di</strong> 187.655 tonnellate <strong>di</strong><br />
bombe). 51 Ma Hitler possedeva anche armi <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> massa? È<br />
probabile che a <strong>di</strong>sposizione del Führer vi fossero ingenti quantitativi <strong>di</strong> gas<br />
vescicanti e asfissianti (certamente ampie scorte <strong>di</strong> iprite, fosgene e cloro<br />
risalenti alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale, nonché il famoso Zyklon B, utilizzato<br />
nelle camere a gas dei campi <strong>di</strong> sterminio) e forse nervini, pronti per essere<br />
installati sulle testate dei razzi V-1 e V-2. Ne abbiamo un riscontro in una<br />
nota, risalente al febbraio 1943, dell’ambasciatore a Berlino Dino Alfieri al<br />
sottosegretario agli Esteri Bastianini (entrambi, poi, furono tra i “congiurati”<br />
del 25 luglio): Alfieri, assunte informazioni atten<strong>di</strong>bili, dà notizia che<br />
Hitler aveva or<strong>di</strong>nato “una larghissima dotazione <strong>di</strong> gas <strong>di</strong> vario genere, lacrimogeni,<br />
asfissianti, o <strong>di</strong>struttori <strong>di</strong> ogni elemento”. 52 Questi gas il Führer<br />
non ebbe fortunatamente a usarli, o perché gliene mancò il tempo o perché<br />
volle risparmiare al popolo tedesco la terribile rappresaglia che gli alleati<br />
avrebbero certamente messo in atto, qualora fossero stati attaccati con armi<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> massa.<br />
Hitler non ebbe a <strong>di</strong>sposizione la bomba atomica, com’è noto, sia<br />
perché scienziati tedeschi come Otto Hahn, scopritore con Fritz Strassman<br />
51 Sulle armi segrete: John Vader, Le V-1, in Storia della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong>retta<br />
da sir Basil Liddell Hart e Barrie Pitt, vol. V, cit., pp. 257-265; B.P. Boschesi, La caccia alle<br />
Vergeltungswaffen <strong>di</strong> Hitler, in Le gran<strong>di</strong> battaglie segrete della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale,<br />
Mondadori, Milano 1973, pp. 144-155; Nino Nava, Le armi segrete, E<strong>di</strong>zioni Ferni, Ginevra<br />
1973; Giorgio Bonacina, Il silenzio delle V-1, in «Storia Illustrata», n. 196, marzo 1974,<br />
pp. 84-90.<br />
52 Dino Alfieri, Due <strong>di</strong>ttatori <strong>di</strong> fronte, Rizzoli, Milano 1948, p. 278. Citiamo testualmente<br />
le ancora impressionanti parole dell’Alfieri dall’appunto per il sottosegretario Bastianini (datato<br />
Berlino, 19-2-1943): “Dopo la serie delle sorprese e delle sfortunate vicende militari sul fronte<br />
russo, il Führer tenterà in primavera una nuova offensiva. Ma se essa non dovesse avere<br />
efficacia <strong>di</strong> risultati, verrebbe fatto uso – da parte tedesca – <strong>di</strong> gas asfissianti allo scopo <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>struggere le armate sovietiche. Questi gas, racchiusi in gran<strong>di</strong> fiale, possono essere lanciati<br />
dagli aeroplani; essi posseggono un fortissimo potere <strong>di</strong>struttivo anche sulla terra, che rimane<br />
completamente inari<strong>di</strong>ta almeno per un anno. Fra la Russia e la Germania esisterebbe così una<br />
netta zona <strong>di</strong> separazione, dove la vita degli uomini e degli animali non sarebbe in nessun modo<br />
possibile”. Anche il Duce avrebbe giu<strong>di</strong>cato assai atten<strong>di</strong>bili le informazioni dell’Alfieri, perché<br />
confermategli da altra fonte (Dino Alfieri, cit., p. 278).<br />
–58–
della fissione nucleare nel 1938, 53 Werner Heisenberg (<strong>di</strong>rettore nel 1940<br />
dell’Istituto <strong>di</strong> Fisica Kaiser Wilhelm <strong>di</strong> Berlino) e il suo assistente Carl<br />
Friedrich von Weizsäcker rallentarono volutamente le ricerche sull’applicazione<br />
militare della fissione dell’atomo 54 sia perché gli alleati infersero al<br />
programma nucleare tedesco colpi durissimi, <strong>di</strong>struggendo la fabbrica <strong>di</strong><br />
deuterio (o “acqua pesante”, elemento fondamentale per il funzionamento<br />
<strong>di</strong> un reattore nucleare) Norsk-Hydro <strong>di</strong> Vermork, nella regione norvegese<br />
del Telemark, prima con un’ar<strong>di</strong>ta azione <strong>di</strong> commandos inglesi nel febbraio<br />
1943 e poi con un bombardamento aereo nel successivo novembre. 55 La<br />
verità sembrerebbe però alquanto <strong>di</strong>versa dalla storia ufficiale (che assegna<br />
53 Molti scienziati tedeschi, anche a seguito dell’emigrazione forzata dei loro colleghi ebrei<br />
per via delle leggi razziali, erano <strong>di</strong>ventati decisi antinazisti. “Se Hitler avrà un’arma come la<br />
bomba atomica, io mi toglierò la vita”, così Hahn avrebbe detto ad alcuni intimi (citato in: a<br />
cura <strong>di</strong> Giorgio Bonacina, L’atomica <strong>di</strong> Hiroshima (I documenti terribili, n. 2), Mondadori,<br />
Milano 1972, p. 103). I timori che Hitler potesse avere presto a <strong>di</strong>sposizione una bomba atomica<br />
spinsero gli scienziati profughi come l’ungherese Leo Szilard e Albert Einstein a scrivere nell’agosto<br />
del 1939 una lettera al presidente americano Roosevelt per chiedergli <strong>di</strong> sostenere la<br />
ricerca sulle applicazioni militari della reazione nucleare (testo della lettera in L’atomica <strong>di</strong><br />
Hiroshima, cit., pp. 101-103).<br />
54 Secondo Jeremy Bernstein, i fisici tedeschi come Heisenberg e Hahn, catturati dagli<br />
americani e rinchiusi a Farm Hall vicino Cambridge, non sarebbero comunque stati in grado<br />
<strong>di</strong> realizzare una bomba nucleare, per l’arretratezza delle loro ricerche al riguardo (Jeremy<br />
Bernstein, L’inesistente bomba <strong>di</strong> Hitler, in Diario <strong>di</strong> Repubblica, Roma 2005, p. 262). Le vicende<br />
degli scienziati tedeschi impegnati nelle ricerche nucleari sotto il nazismo, hanno ispirato<br />
un recente romanzo a metà tra rievocazione e spy story, In cerca <strong>di</strong> Klingsor <strong>di</strong> Jorge Volpi,<br />
trad. <strong>di</strong> Bruno Arpaia, Mondadori, Milano 2001: il protagonista, il giovane fisico statunitense<br />
Francis P. Bacon, riceve nel 1948 l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> scoprire chi sia il consulente segreto <strong>di</strong> Hitler, nel<br />
campo delle ricerche nucleari, celato sotto il nome in co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Klingsor. L’inchiesta che ne<br />
segue fa luce sulle ambiguità (che <strong>di</strong>ventano complicità col regime hitleriano) <strong>di</strong> fisici tedeschi<br />
come Heisenberg, stretti tra il desiderio <strong>di</strong> servire la patria, il timore che gli alleati potessero<br />
usare una bomba atomica contro la Germania, l’avversione al nazismo e la superbia personale<br />
(emblematico, nel romanzo, è il colloquio tra Heisenberg e il fisico danese Niels Bohr, avvenuto<br />
a Copenhagen nel settembre 1941, nel quale il primo tenta <strong>di</strong> convincere Bohr a far sospendere<br />
le ricerche alleate sull’energia nucleare, ma non dà alcuna garanzia su quelle tedesche).<br />
55 Sui particolari <strong>di</strong> queste operazioni <strong>di</strong> sabotaggio vd. B.P. Boschesi, I “commandos”<br />
dell’acqua pesante, in Le gran<strong>di</strong> battaglie segrete della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, cit., pp. 28-<br />
35; Nino Nava, La battaglia per l’acqua pesante, in Le armi segrete, cit., pp. 166-196). Non fu<br />
invece possibile per i nazisti realizzare l’inverso, ossia sabotare il programma <strong>di</strong> armamenti<br />
nucleari americano (il Progetto Manhattan), nonostante avessero infiltrato agenti dell’Abwehr<br />
(il servizio segreto del Terzo Reich) sul territorio degli Stati Uniti. Catturato e condannato a<br />
morte, Erich Gimpel, il capo della missione nazista, fu poi graziato dal presidente Truman nel<br />
settembre 1945. Sulla vicenda vd. Giuseppe Mayda, Eric Gimpel, spia n. 176: doveva sabotare<br />
il “Progetto Manhattan”, in Lo spionaggio nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, numero speciale <strong>di</strong><br />
«Storia Illustrata», n. 144, novembre 1969, pp. 52-57.<br />
–59–
il primato nella corsa all’arma atomica agli Stati Uniti, grazie alla realizzazione<br />
del Progetto Manhattan, a cui concorsero peraltro anche scienziati<br />
italiani), 56 stando ad alcune recenti e azzardate versioni sulla bomba atomica<br />
tedesca (vd. Luigi Cozzi, L’atomica <strong>di</strong> Hitler, in «La grande storia mysteriosa»,<br />
n. 1, 2005, pp. 45-66). Gli scienziati nazisti avrebbero realizzato un<br />
ru<strong>di</strong>mentale ma devastante or<strong>di</strong>gno atomico, che sarebbe stato fatto deflagrare<br />
sull’isola baltica <strong>di</strong> Rügen il 12 ottobre 1944, secondo la testimonianza<br />
del giornalista Luigi Romersa, inviato dal Duce per assistere all’esperimento<br />
della “grande bomba <strong>di</strong>sintegratrice”. Amico personale <strong>di</strong> Wernher von<br />
Braun, corrispondente <strong>di</strong> guerra ed esperto <strong>di</strong> aeronautica, Romersa, come<br />
ricorda nel suo libro (Luigi Romersa, Le armi segrete <strong>di</strong> Hitler, Mursia, Milano<br />
2005; ma vd. in proposito le scettiche considerazioni <strong>di</strong> Antonio Carioti,<br />
L’atomica <strong>di</strong> Hitler. Ossessione infinita, in «Corriere della Sera», 3 ottobre<br />
2005), fu accompagnato da due ufficiali tedeschi all’isola <strong>di</strong> Rügen la notte<br />
tra l’11 e il 12 ottobre 1944, e qui il giorno dopo, nel folto <strong>di</strong> un bosco e al<br />
riparo <strong>di</strong> un bunker corazzato, assistette all’esplosione sperimentale della<br />
superbomba, avendo modo <strong>di</strong> constatarne i terribili effetti: per chilometri<br />
56 Le tappe che portarono alla costruzione della bomba atomica, usata dagli americani a<br />
Hiroshima il 6 agosto 1945 e a Nagasaki il successivo 9, furono: il primo esperimento <strong>di</strong> bombardamento<br />
dell’uranio, realizzato nel 1934 a Roma da Enrico Fermi e dalla sua équipe (tra i<br />
“ragazzi <strong>di</strong> via Panisperna” v’era anche Ettore Majorana, la cui misteriosa scomparsa nel 1938,<br />
è stata spiegata da Leonardo Sciascia – in La scomparsa <strong>di</strong> Majorana, Einau<strong>di</strong>, Torino 1975,<br />
pp. 70-71 – con la suggestiva ipotesi che lo scienziato siciliano, genio della fisica secondo<br />
Fermi, prima degli altri avesse compreso i pericoli della guerra nucleare restandone mortalmente<br />
angosciato; avvalora l’ipotesi <strong>di</strong> Sciascia Tullio Chersi, Forse non volle realizzare la<br />
bomba atomica, in «Storia Illustrata», n. 237, agosto 1977, pp. 88-93), la scoperta della fissione<br />
nucleare realizzata dagli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassman nel 1938, la prima pila<br />
atomica costruita da Fermi in Usa nel 1942, l’avvio successivo del Progetto Manhattan (Manhattan<br />
Engineer District) guidato da Robert Oppenheimer, il primo esperimento <strong>di</strong> esplosione<br />
nucleare avvenuto il 16 luglio 1945 nel deserto <strong>di</strong> Alamogordo (New Mexico). Sulla prima<br />
bomba atomica: Giorgio Bonacina, La prima bomba atomica, in «Storia Illustrata», n. 4, aprile<br />
1965, pp. 548-561; Louis Allen, Le incursioni nucleari, in Storia della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale,<br />
<strong>di</strong>retta da sir Basil Liddel Hart e Barrie Pitt, vol. VI, cit., pp. 488-500; a cura <strong>di</strong> Giorgio<br />
Bonacina, L’atomica <strong>di</strong> Hiroshima, cit.; Egi<strong>di</strong>o Sterpa, Hiroshima, in I gran<strong>di</strong> fatti rivissuti<br />
sui giornali dell’epoca, vol. VI, E<strong>di</strong>toriale Nuova, Milano 1979, pp. 81-88; Giuseppe Mayda,<br />
Il Progetto Manhattan, in Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, vol. VIII Hiroshima e<br />
la resa dei conti, cit., pp. 2665-2688; Id., Hiroshima e Nagasaki, ibid., pp. 2689-2712; Silvio<br />
Bertol<strong>di</strong>, Vincitori e vinti, Bompiani, Milano 1985, pp. 113-134; Piergiorgio O<strong>di</strong>fred<strong>di</strong>, Quei<br />
testimoni dell’atomica, in «La Repubblica», 30 settembre <strong>2004</strong>. L’inizio dell’era nucleare<br />
ha avuto almeno il merito <strong>di</strong> richiamare i governanti a un maggior senso <strong>di</strong> responsabilità: vd. le<br />
riflessioni <strong>di</strong> Luca e Francesco Cavalli Sforza, Se la scienza è madre del terrore, in Diario <strong>di</strong><br />
Repubblica, cit., pp. 258-259).<br />
–60–
dall’epicentro dell’esplosione il paesaggio circostante apparve completamente<br />
<strong>di</strong>strutto, restando <strong>di</strong> piante, animali e case poche tracce annerite e<br />
calcinate a causa dell’immane calore. 57<br />
Il racconto <strong>di</strong> Romersa, ammesso che sia veritiero, non ha però trovato<br />
ancora conferma in fonti e documenti ufficiali. Sempre secondo il Cozzi,<br />
che nel suo articolo dà fede alla testimonianza <strong>di</strong> Romersa (Luigi Cozzi,<br />
cit., pp. 50-51), già dal 1942 sarebbe stato in funzione nei sotterranei del<br />
castello <strong>di</strong> Lichterfelde presso Berlino un ciclotrone o acceleratore <strong>di</strong> particelle,<br />
atto a creare l’uranio arricchito, componente essenziale per la costruzione<br />
<strong>di</strong> una bomba atomica: la macchina sarebbe stata costruita dall’inventore<br />
barone Manfred von Ardenne (che poi avrebbe trasmesso ai sovietici i<br />
piani per la costruzione della bomba all’idrogeno, venendo quin<strong>di</strong> insignito<br />
del Premio Stalin nel 1955) e mostrata al Duce, assieme a misteriose armi<br />
57 Riportiamo le parole del Romersa, che rievocano con grande suggestione questa Hiroshima<br />
nazista in miniatura: “La pioggia scrosciava ormai violenta. Dal cristallo che copriva la<br />
feritoia del rifugio, vedevo soltanto alberi, prato, terra e foglie marce. A un tratto, una voce<br />
proveniente da un altoparlante sistemato nel soffitto del bunker, comunicò l’ora esatta sulla<br />
quale regolammo i nostri orologi. Di lì a poco, un boato improvviso scosse le pareti del ricovero,<br />
seguì un bagliore accecante mentre una densa cortina <strong>di</strong> fumo si <strong>di</strong>stese sulla campagna.<br />
Con gli occhi incollati alle feritoie guardavamo la nube che avanzava compatta. Ne fummo inghiottiti.<br />
Dopo il brontolio <strong>di</strong> alcune altre esplosioni, cessò ogni rumore... Un silenzio profondo,<br />
pauroso, dava la sensazione <strong>di</strong> essere staccati dal mondo. Uno degli ufficiali, un colonnello<br />
dell’Heerswaffenamt, il servizio addetto alla preparazione degli armamenti, ruppe il silenzio e<br />
<strong>di</strong>sse, vantando la potenza della bomba appena esplosa, che quando l’or<strong>di</strong>gno sarebbe stato<br />
lanciato sulle truppe d’invasione o su una città nemica, per via del suo soffio infuocato i nemici<br />
sarebbero stati costretti a me<strong>di</strong>tare se fosse più giusto mettere fine alla guerra in maniera<br />
ragionevole o continuare a uccidersi per nulla (...). Verso le se<strong>di</strong>ci, nella foschia apparvero<br />
alcune ombre che si <strong>di</strong>rigevano verso il nostro rifugio. Erano soldati con addosso curiosi<br />
scafandri. Entrarono nel bunker e richiusero frettolosamente la porta. «Alles kaputt», <strong>di</strong>sse uno<br />
dopo essersi tolto il cappuccio. Anche a noi venne dato una specie <strong>di</strong> mantello bianchiccio,<br />
ruvido e filamentoso. Non saprei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> cosa fosse fatto, forse <strong>di</strong> amianto. Calzammo stivali<br />
dello stesso tessuto e uscimmo in fila, preceduti dai soldati. A mano a mano che avanzavamo, la<br />
terra appariva più sconvolta. C’erano freddo e umi<strong>di</strong>tà dappertutto ma nel bosco pareva fosse<br />
passata una ventata <strong>di</strong> fuoco. Degli alberi esistevano soltanto i tronchi e i rami spogli; niente<br />
foglie. Le casette viste poche ore prima erano sparite, ridotte a mucchi <strong>di</strong> pietre fumanti e calcinacci.<br />
Camminando, urtai con un piede la carogna <strong>di</strong> una capra carbonizzata. Più ci si avvicinava<br />
al luogo dell’esplosione, più la rovina assumeva aspetti tragici. L’erba aveva preso<br />
uno strano colore scamosciato (Luigi Romersa, Le armi segrete <strong>di</strong> Hitler, Mursia, Milano 2005,<br />
pp. 49-51). Il fatto che dopo l’esplosione non sia stato misurato il livello <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>oattività del sito<br />
(Romersa nulla <strong>di</strong>ce al riguardo), ci fa sospettare che non <strong>di</strong> bomba atomica dovette trattarsi,<br />
bensì <strong>di</strong> una bomba al fosforo, sia pur enormemente potente. Anche l’equipaggiamento fornito<br />
al Romersa, un mantello forse <strong>di</strong> amianto, non sarebbe stato in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>fenderlo dalla ra<strong>di</strong>oattività.<br />
–61–
segrete, durante un suo viaggio in Germania, presso Klessheim, nell’aprile<br />
del 1944 (Luigi Cozzi, cit., pp. 49-50). Ancora: il fisico Kurt Diebner<br />
avrebbe costruito nel 1944, nel suo laboratorio presso Stadtilm in Turingia,<br />
un reattore nucleare a piscina (Luigi Cozzi, cit., pp. 54-55). Ma <strong>di</strong> tutti<br />
questi laboratori segreti e reattori nucleari non è stata trovata alcuna traccia<br />
dalle truppe d’occupazione in Germania e sull’isola <strong>di</strong> Rügen non sono mai<br />
stati riscontrati segni <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>oattività o <strong>di</strong> mutazioni genetiche sugli esseri<br />
viventi (oggi l’isola conta circa novantamila abitanti).<br />
Dando cre<strong>di</strong>to alle fantasiose versioni sulle “armi segrete”, anche l’ostinata<br />
scelta <strong>di</strong> Hitler <strong>di</strong> rimanere nel bunker della Cancelleria, chiudendosi<br />
virtualmente in una trappola mortale mentre i sovietici erano già in<br />
città, acquisterebbe nuovo senso. Hitler sarebbe, pertanto, entrato nel<br />
bunker non già per finirvi la sua vicenda umana e politica, ma per aspettare<br />
in tutta tranquillità l’esito <strong>di</strong> un devastante attacco atomico a Londra e New<br />
York (per colpire la città americana erano già pronti modernissimi vettori<br />
intercontinentali, le V-9 e V-10, secondo il Cozzi, cit., pp. 59-60), 58 tale<br />
che gli avrebbe dato se non la vittoria almeno il cambiamento delle alleanze<br />
con la <strong>di</strong>struzione del patto tra Roosevelt, Churchill e Stalin e il rivolgimento<br />
del fronte in <strong>di</strong>rezione antisovietica (secondo quello che era il<br />
programma originario tracciato nel Mein Kampf). Nessuno, però, dei tanti<br />
testimoni degli ultimi giorni del Führer fa menzione dell’attesa <strong>di</strong> questi<br />
per un eventuale attacco atomico contro i nemici né è plausibile che il solo<br />
Hitler fosse a conoscenza <strong>di</strong> tale straor<strong>di</strong>nario evento e lo serbasse gelosamente<br />
segreto <strong>di</strong> fronte agli ufficiali responsabili del suo Stato Maggiore,<br />
come Keitel e Jodl.<br />
Da ultimo il figlio del Duce, Romano Mussolini, in un suo recentissimo<br />
memoriale ha asserito che Hitler possedeva l’atomica e che le prime bombe<br />
furono fabbricate dagli scienziati tedeschi per cadere poi nelle mani degli<br />
americani ed essere impiegate a Hiroshima e Nagasaki (Romano Mussolini,<br />
Ultimo atto. Le verità nascoste sulla fine del duce, Rizzoli, Milano 2005,<br />
58 Un’analoga missione, ossia un raid a New York, sarebbe stata effettivamente progettata<br />
dalla nostra aeronautica tra il gennaio e il maggio 1943, sempre secondo Luigi Romersa, che ne<br />
fornisce i dettagli: per la missione, bloccata dall’avvenuto armistizio, venne costruito appositamente<br />
un nuovo quadrimotore, l’SM95, con autonomia <strong>di</strong> oltre 12000 chilometri, in grado <strong>di</strong><br />
effettuare il viaggio <strong>di</strong> andata e ritorno, partendo dalla Francia, senza scali interme<strong>di</strong>. Ma, per<br />
volontà del Duce, che intendeva dare all’incursione un carattere meramente (e bizzarramente)<br />
propagan<strong>di</strong>stico, l’aereo avrebbe dovuto sganciare non bombe su New York, bensì... “arance<br />
siciliane, appese a paracadute tricolori” (così il Romersa, cit., p. 165).<br />
–62–
p. 110). 59 A parte l’implicita e <strong>di</strong>scutibile svalutazione delle ricerche americane<br />
(guidate da scienziati come Oppenheimer, Teller e Fermi, i quali certamente<br />
non avevano bisogno <strong>di</strong> rubare i segreti dei tedeschi nel campo dell’energia<br />
nucleare), il Mussolini non porta però prove a riscontro delle sue<br />
affermazioni, ma si basa su quanto sentito <strong>di</strong>re dal padre e su una significativa<br />
(a suo <strong>di</strong>re) successione <strong>di</strong> date contigue: la morte <strong>di</strong> Hitler, il 30 aprile<br />
1945, avrebbe <strong>di</strong> poco preceduto lo sgancio dell’atomica su Hiroshima, il<br />
successivo 6 agosto. Assai recentemente, però (il che mostra che in questo<br />
campo non può mai <strong>di</strong>rsi l’ultima parola), il ritrovamento <strong>di</strong> un curioso<br />
schizzo uscito fuori dagli archivi segreti tedeschi sembrerebbe accre<strong>di</strong>tare<br />
l’ipotesi che gli scienziati nazisti fossero già in grado <strong>di</strong> costruire un or<strong>di</strong>gno<br />
atomico “sporco”, ossia una bomba convenzionale la cui esplosione<br />
avrebbe potuto spargere per notevole ampiezza materiale ra<strong>di</strong>oattivo (vd.<br />
Paolo Valentino, Hitler e l’atomica, un <strong>di</strong>segno riapre il giallo, in «Corriere<br />
della Sera», 4 giugno 2005).<br />
Secondo un’altra fantasiosa ipotesi i tedeschi avrebbero iniziato a costruire,<br />
già durante il conflitto se non prima, prototipi <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi volanti. È<br />
quanto si afferma nel saggio <strong>di</strong> Gary Hyland, I segreti perduti della tecnologia<br />
nazista (trad. <strong>di</strong> Milvia Faccia, Newton & Compton, Roma <strong>2004</strong>³). 60<br />
Secondo questo autore, che collega i primi progettisti <strong>di</strong> velivoli a propul-<br />
59 Il Mussolini nel suo libro afferma <strong>di</strong> aver sentito suo padre (che avrebbe visto personalmente<br />
i laboratori nei quali venivano messe a punto le armi segrete) e il fratello Vittorio, <strong>di</strong><br />
ritorno dal convegno <strong>di</strong> Klessheim nell’aprile del 1944, parlare <strong>di</strong> un “supercannone” a lunghissima<br />
gittata, capace <strong>di</strong> “polverizzare la capitale inglese insieme alle V-2” e <strong>di</strong> un “gas dall’effetto<br />
devastante”, che Hitler sperava <strong>di</strong> non dover adoperare contro i nemici (Romano Mussolini, cit.,<br />
p. 109). In verità la storia della balistica ha visto più volte la costruzione <strong>di</strong> supercannoni, ispirati<br />
forse agli ingegneri dalle intuizioni degli scrittori <strong>di</strong> fantascienza (si pensi al cannone da trecento<br />
tonnellate, caricato con proiettili <strong>di</strong> gas refrigerante, che Herr Schultze, il tecnocrate malvagio del<br />
romanzo I 500 milioni della Begum <strong>di</strong> Jules Verne, punta su France-Ville). La prima guerra mon<strong>di</strong>ale<br />
vide all’opera la Grosse Berthe, l’enorme cannone delle officine Krupp che nel 1917 bombardò<br />
Parigi da una <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> 125 chilometri. Più recentemente si ricorda il supercannone commissionato<br />
negli anni Ottanta da Saddam Hussein all’ingegnere canadese Gerald Bull (misteriosamente<br />
ucciso nel 1990), un’arma colossale (la sola canna era lunga 156 metri e pesava 1665<br />
tonnellate) in grado <strong>di</strong> lanciare in orbita proiettili con testate chimiche, batteriologiche e nucleari.<br />
Le sorti del cannone (parti del quale erano state costruite nelle acciaierie <strong>di</strong> Terni e furono provvidenzialmente<br />
sequestrate dalla magistratura italiana) si intrecciarono con lo scandalo della<br />
Banca Nazionale del Lavoro, filiale <strong>di</strong> Atlanta (USA), che aveva concesso finanziamenti occulti<br />
al <strong>di</strong>ttatore iracheno per realizzare la colossale arma (sulla vicenda vd. Fabrizio Tonello, Progetto<br />
Babilonia, Garzanti, Milano 1993).<br />
60 Aveva già fatto cenno ai <strong>di</strong>schi volanti nazisti il padre della “fantarcheologia” in Italia,<br />
ossia Peter Kolosimo, (Ombre sulle stelle, Sugar e<strong>di</strong>tore, Milano 1970¹º, pp. 337-341).<br />
–63–
sione elettromagnetica, tali W.O. Schumann e Hans Kohler, attivi nella Germania<br />
degli anni Venti, alla società segreta del Vril e alla Società <strong>di</strong> Thule<br />
(Thule Gesellschaft), mescolando bizzarramente la storia della tecnologia<br />
alle dottrine esoteriche, un gruppo <strong>di</strong> progettisti e ingegneri tedeschi, da Arthur<br />
Sack ad Alexander Lippisch a Rudolf Schriever a Richard Miethe, si<br />
sarebbero avvicendati nella costruzione <strong>di</strong> aerei <strong>di</strong> forma lenticolare sempre<br />
più perfezionati: il Flügelrad (“ruota volante”), il Flugkreisel (“trottola volante”),<br />
lo Haunebu o Mark I, a cui sarebbero seguiti il Mark II, III, IV e V,<br />
tutti dotati <strong>di</strong> motori a reazione sempre più potenti e capaci <strong>di</strong> raggiungere e<br />
superare la velocità del suono (il Mark V, collaudato il 14 febbraio 1945,<br />
avrebbe raggiunto i 12000 metri <strong>di</strong> altezza in meno <strong>di</strong> tre minuti, secondo la<br />
testimonianza <strong>di</strong> un certo George Klein). 61 Poi, però, l’incalzare degli eventi<br />
e il crollo del Terzo Reich non resero possibile avviare la costruzione in<br />
serie <strong>di</strong> questi velivoli dalle straor<strong>di</strong>narie prestazioni per un impiego al<br />
fronte: i modelli sarebbero stati <strong>di</strong>strutti e i loro costruttori si sarebbero trasferiti<br />
in Russia o negli Stati Uniti (come Richard Miethe, passato agli americani<br />
<strong>di</strong>etro raccomandazione <strong>di</strong> von Braun) per proseguirvi in totale segretezza<br />
i loro stu<strong>di</strong> (altra versione leggendaria vuole che i prototipi si siano<br />
<strong>di</strong>retti nella misteriosa Base 211, la Neues Berlin, che i nazisti avrebbero<br />
creato nel 1940 in Antartide). 62<br />
Non vi sono, però, prove per avvalorare un racconto del genere: mancano<br />
modelli <strong>di</strong> prototipi, e non sono stati rintracciati neppure modellini.<br />
I ritrovamenti si limitano soltanto ad alcuni schizzi, presentati nel libro <strong>di</strong><br />
Hyland ma <strong>di</strong>segnati non si sa bene da chi e quando. Eppure l’ipotesi che i<br />
cosiddetti UFO siano (o siano stati) in realtà prototipi <strong>di</strong> velivoli <strong>di</strong> nuova<br />
concezione sperimentati dai tedeschi durante la guerra e poi perfezionati da<br />
russi e americani, ci sembra in definitiva meno implausibile, meno irragionevole<br />
della loro presunta e mai provata origine extraterrestre (vd. Sebastiano<br />
Fusco, Gli Ufo <strong>di</strong> Hitler, in «La grande storia mysteriosa», n. 1, 2005,<br />
pp. 41-44: l’articolo riporta anche la fotografia <strong>di</strong> un velivolo <strong>di</strong>scoidale con<br />
l’insegna della U.S. Air Force). Mancano, comunque, prove concrete, fotografie,<br />
documenti autentici e testimonianze atten<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> chi effettivamente<br />
progettò questi or<strong>di</strong>gni o <strong>di</strong> chi assistette ai voli dei prototipi. Perciò è più<br />
che lecito anche in questo caso dubitare, così come si deve dubitare del favoloso<br />
“raggio della morte” che vari inventori, tra cui il nostro Guglielmo<br />
61 Gary Hyland, cit., p. 74. L’autore dubita, però, della veri<strong>di</strong>cità della testimonianza del Klein.<br />
62 Sulla costruzione e le attività della base, Gary Hyland, cit., p. 37 e ss.<br />
–64–
Marconi (sulle orme del <strong>di</strong>scusso americano <strong>di</strong> origine croata Nikola<br />
Tesla), 63 avrebbero progettato negli anni Trenta e che perio<strong>di</strong>camente viene<br />
rispolverato dai giornalisti amanti del sensazionalismo (ne è un esempio<br />
Renzo Baschera, Un segreto tra Marconi e Mussolini: il «raggio della<br />
morte», in «Historia», n. 172, aprile 1972, pp. 30-40). Il “raggio della<br />
morte” che Marconi in realtà avrebbe sperimentato – un impulso elettromagnetico<br />
<strong>di</strong> limitata potenza (150 Watt) – non sarebbe stato capace <strong>di</strong> bloccare<br />
i motori <strong>di</strong> veicoli e aerei né tanto meno <strong>di</strong> uccidere esseri viventi: è più ragionevole<br />
ipotizzare che lo scienziato stesse lavorando al progetto <strong>di</strong> un<br />
radar e facesse credere <strong>di</strong> approntare una terribile arma segreta per ottenere i<br />
finanziamenti da Mussolini (così sostiene Federico Di Trocchio, Il raggio<br />
della morte, in «Focus Extra», n. 8, inverno 2002, pp. 38-43).<br />
4. Le ipotesi dell’ucronia: se Hitler avesse vinto la guerra. Il processo<br />
del secolo. In un suo famoso saggio teorico, il Croce metteva in<br />
guar<strong>di</strong>a dall’immaginare le conseguenze <strong>di</strong> un evento che storicamente non<br />
è accaduto, biasimando quale trastullo dell’intelletto il “giocherello che<br />
usiamo fare dentro noi stessi, nei momenti <strong>di</strong> ozio o <strong>di</strong> pigrizia, fantasticando<br />
intorno all’andamento che avrebbe preso la nostra vita se non avessimo<br />
incontrato una persona che abbiamo incontrata, o non avessimo commesso<br />
uno sbaglio che abbiamo commesso” (B. Croce, La storia come pensiero<br />
e come azione, Laterza, Roma-Bari 1978 4 , p. 19). A queste possiamo<br />
collegare le riflessioni che svolge Edwin H. Carr a proposito dell’esclusione<br />
degli elementi accidentali dalla gerarchia delle cause determinanti <strong>di</strong><br />
un evento storico e quin<strong>di</strong> dall’interpretazione razionale <strong>di</strong> quell’evento<br />
(Edwin H. Carr, Sei lezioni sulla storia, trad. <strong>di</strong> Carlo Ginzburg, Einau<strong>di</strong>,<br />
Torino 1982¹¹, pp. 107-111). In risposta, però, alle parole <strong>di</strong> Croce contro<br />
“l’introduzione in istoria del vietato «se»”, alcuni recenti interventi, apparsi<br />
anche come introduzioni a raccolte <strong>di</strong> saggi, sembrano recuperare il valore<br />
delle costruzioni <strong>di</strong> storia alternativa (implicanti la valorizzazione proprio<br />
<strong>di</strong> quegli elementi accidentali anche minimi a cui in genere gli storici, attenti<br />
più al contesto e in nome della razionalità del reale, assegnano un<br />
ruolo marginale se non irrilevante). Citiamo, anzitutto, gli interventi dello<br />
63 Tesla avrebbe ideato un sistema <strong>di</strong> trasmissione <strong>di</strong> particelle elettriche concentrate in<br />
raggi <strong>di</strong> energia, somiglianti a fulmini globulari: annunciò la sua scoperta nel 1934, ma nessun<br />
governo si mostrò interessato a quella che apparve la propaganda <strong>di</strong> un ciarlatano (vd. Gary<br />
Hyland, cit., pp. 44-45).<br />
–65–
storico Franco Car<strong>di</strong>ni (Franco Car<strong>di</strong>ni, La storia con i se, in «Storia e Dossier»,<br />
n. 133, <strong>di</strong>cembre 1988, pp. 60-65), dello storico e politologo Sergio<br />
Romano (Sergio Romano, pref. a Se la storia fosse andata <strong>di</strong>versamente.<br />
Saggi <strong>di</strong> storia virtuale, a cura <strong>di</strong> John Collings Squire, ed. it. a cura <strong>di</strong><br />
Gianfranco de Turris, trad. <strong>di</strong> Manuela Frassi, TEA, Milano 2002, pp. V-<br />
XIV; Id., La storia con i «se», in I confini della storia, Rizzoli, Milano<br />
2005, pp. 21-25), dello storico inglese Robert Cowley (Robert Cowley, intr.<br />
a La storia fatta con i se, a cura <strong>di</strong> Robert Cowley, trad. <strong>di</strong> Renzo Peru e<br />
Orietta Putignano, BUR, Milano 2003, rist., pp. 7-10; Id., intr. a Se Lenin<br />
non avesse fatto la rivoluzione, nuove ipotesi <strong>di</strong> storia fatta con i se, trad.<br />
<strong>di</strong> Giorgio Maini, Rizzoli, Milano 2002, pp. 7-10). 64 Questi interventi<br />
hanno avuto il merito <strong>di</strong> mettere in luce che costruire ipotesi alternative,<br />
elaborare ciò che sarebbe potuto accadere “se...”, non è un mero trastullo<br />
dell’intelligenza, quanto una ribellione, condotta in nome della ragione ma<br />
anche della fantasia, alla supposta necessità e ineluttabilità degli eventi<br />
storici, al presunto determinismo che ne regola e spiega l’acca<strong>di</strong>mento e<br />
che talora è frutto <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zio se non <strong>di</strong> dogmatismo.<br />
Il merito dei costruttori <strong>di</strong> ipotesi <strong>di</strong> storia alternativa, com’è stato rilevato<br />
dagli stu<strong>di</strong>osi sopra citati, è anzitutto quello <strong>di</strong> mostrare come l’evento<br />
storico sia la somma <strong>di</strong> una infinita serie <strong>di</strong> combinazioni <strong>di</strong> particolari e<br />
dettagli, in apparenza trascurabili, che concorrono nella loro totalità a determinare<br />
quello specifico acca<strong>di</strong>mento, sicché si può affermare (come<br />
peraltro si è fatto), senza tema <strong>di</strong> apparire esagerati, che una lieve mo<strong>di</strong>fica,<br />
anche minima, nei particolari può decidere il corso della storia. Prendendo<br />
spunto da queste considerazioni, storici e saggisti si sono provati a immaginare<br />
<strong>di</strong>varicazioni temporali nel corso della storia dall’antichità fino ai<br />
nostri giorni, come effetto del verificarsi <strong>di</strong> un evento possibile non accaduto<br />
o del non verificarsi <strong>di</strong> un evento effettivamente accaduto. 65 Analogamente<br />
all’utopia è nata così l’ucronia (dal greco ου ,<br />
, “non”, e χρóνος,<br />
64 Aggiungiamo anche Maurizio Assalto, La storia? Facciamola con i se, in «La Stampa»,<br />
24 ottobre 2001.<br />
65 A mostrare come le riflessioni sulla storia alternativa interessino politologi e stu<strong>di</strong>osi,<br />
citiamo la serie <strong>di</strong> articoli La storia fatta con i se apparsa recentemente sul «Corriere della<br />
Sera»: Sergio Romano, Eisenhower salvò i francesi a Dien Bien Phu, in «Corriere della Sera»,<br />
4 luglio <strong>2004</strong>; Luciano Canfora, Se Alcibiade fosse tornato e avesse salvato Socrate, in «Corriere<br />
della Sera», 11 luglio <strong>2004</strong>; Sergio Romano, Se Cavour ci avesse ripensato accordandosi<br />
con i Borbone, in «Corriere della Sera», 22 agosto <strong>2004</strong>; Sergio Romano, Se Napoleone avesse<br />
vinto la battaglia <strong>di</strong> Waterloo, in «Corriere della Sera», 20 novembre <strong>2004</strong>; Giorgio Rumi, Cro-<br />
–66–
“tempo”) o “storia virtuale” o “controfattuale”, ossia la storia non quale si è<br />
effettivamente verificata ma quale si sarebbe potuta svolgere se vi fosse<br />
stata nel passato una variazione degli eventi, <strong>di</strong> eventi anche minimi, che<br />
l’hanno determinata.<br />
Pur potendosi ascrivere all’ucronia ascendenti illustri 66 (precorritrici<br />
dell’ucronia potrebbero certamente essere le riflessioni <strong>di</strong> Tito Livio 9,17-<br />
19 sull’esito <strong>di</strong> una eventuale guerra in Italia se Alessandro Magno, dopo<br />
aver conquistato l’impero persiano, avesse deciso <strong>di</strong> attaccare la potenza<br />
romana), essa è fatta comunemente risalire, per la sua origine, a un filosofo<br />
francese dell’Ottocento, Charles Renouvier (1815-1903), che pubblicò nel<br />
1876 in forma definitiva la sua Uchronie (l’Utopie dans l’Histoire), un<br />
saggio, presentato come apocrifo, sulla storia occidentale dalla morte <strong>di</strong><br />
Marco Aurelio all’avvento <strong>di</strong> Carlo Magno, narrata però con una variante:<br />
alla morte <strong>di</strong> Marco Aurelio (180 d.C.) succede non il degenere figlio Com-<br />
naca da una strana Italia se avesse vinto Radetzky, in «Corriere della Sera», 8 <strong>di</strong>cembre <strong>2004</strong>;<br />
Aurelio Lepre, Se il Duce della marcia su Roma si fosse chiamato d’Annunzio, in «Corriere<br />
della Sera», 24 luglio 2005; Eva Cantarella, Se Marco Antonio e Cleopatra avessero sconfitto<br />
Ottaviano, in «Corriere della Sera», 1° agosto 2005; Luciano Canfora, Senza il complotto <strong>di</strong><br />
Olimpiade il «Grande» sarebbe stato Filippo, in «Corriere della Sera», 7 novembre 2005; Alberto<br />
Melloni, La rivoluzione <strong>di</strong> Martin Lutero che fu utile anche ai cattolici, in «Corriere della<br />
Sera», 8 novembre 2005; Giovanni Belardelli, Senza Cavour e gli altri, oggi l’Italia sarebbe<br />
una confederazione <strong>di</strong> Stati, in «Corriere della Sera», 11 novembre 2005; Sergio Luzzatto,<br />
Eliminare il Terrore giacobino? Le rivoluzioni vogliono i Robespierre, in «Corriere della Sera»,<br />
12 novembre 2005; Sergio Romano, 4 marzo 1861: Lincoln non giura. Immaginate il mondo<br />
senza gli Usa, in «Corriere della Sera», 14 novembre 2005. Aggiungiamo alla serie anche la<br />
risposta <strong>di</strong> Sergio Romano al lettore Mario Taliani, Italia 1943-1945: se il fascismo non fosse<br />
caduto, in «Corriere della Sera», 27 agosto 2005 (il commentatore immagina due possibili alternative<br />
conseguenti a un mancato 25 luglio: una martellante campagna <strong>di</strong> bombardamenti alleati<br />
che avrebbe raso al suolo le città italiane, con il rapido crollo del fronte interno e del regime<br />
fascista, o la personale conduzione delle trattative, da parte del Duce, per un’onorevole uscita<br />
dell’Italia dalla guerra, con sconfitta finale dei tedeschi e il tranquillo ritiro <strong>di</strong> Mussolini a vita<br />
privata, consenzienti gli alleati). L’ex coor<strong>di</strong>natore nazionale per la sicurezza e l’antiterrorismo<br />
USA Richard A. Clarke ha delineato le prospettive future della guerra al terrorismo, immaginando<br />
altri devastanti attacchi in America (Las Vegas e altre località americane) e l’intero<br />
Me<strong>di</strong>o Oriente ridotto a campo <strong>di</strong> battaglia: vd. Richard A. Clarke, Storia della prima guerra<br />
globale, in «Corriere della Sera», 11 luglio 2005.<br />
66 Ripercorre la storia dell’ucronia, citando esempi precedenti al Renouvier, Gianfranco de<br />
Turris, Tutti i futuri del mondo, postfazione a Se la storia fosse andata <strong>di</strong>versamente. Saggi <strong>di</strong><br />
storia virtuale, cit., pp. 291-326. L’ucronia ha originato una vera e propria tra<strong>di</strong>zione narrativa,<br />
che vanta, per esempio, autori come Kingsley Amis (Mo<strong>di</strong>ficazione H.A.), Paul Menard (1938<br />
La <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> Parigi) e i nostri Guido Morselli (Roma senza papa, Contropassato prossimo)<br />
e Roberto Pazzi (La malattia del tempo). Un’ampia antologia <strong>di</strong> racconti sul tema della storia<br />
alternativa è I mon<strong>di</strong> del possibile, a cura <strong>di</strong> Piergiorgio Nicolazini, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1993.<br />
–67–
modo, ma l’usurpatore Avi<strong>di</strong>o Cassio e, tra le varie conseguenze, la filosofia<br />
stoica assume nell’impero romano un ruolo dominante al posto del cristianesimo.<br />
Nella visione liberale e illuministica dell’autore, lo stoicismo, <strong>di</strong>venuto<br />
a sua volta una religione filosofica, crea un mondo pacificato e assicura<br />
la libertà e la giustizia alle nazioni assai prima dell’età moderna.<br />
Immaginare la storia alternativa significa però, anzitutto, <strong>di</strong>stinguere<br />
tra ucronia (o “storia virtuale” o “controfattuale”) e “fantastoria”, poiché<br />
il gioco dell’intelletto non può spingersi oltre i limiti della razionalità.<br />
L’ucronia, come finzione storica, deve rispettare non solo la continuità<br />
spazio-temporale relativa alla successione delle epoche storiche (dall’antichità<br />
all’età contemporanea) ma, soprattutto, la regola della plausibilità,<br />
in base alla quale l’autore, che ha a <strong>di</strong>sposizione infiniti futuri possibili nel<br />
suo gioco combinatorio (quasi passeggiasse nel borgesiano Giar<strong>di</strong>no dei<br />
sentieri che si biforcano), ricostruisce un periodo storico, fin nei particolari<br />
più minuti, inserendo una variante e calcolando gli effetti, se non necessariamente<br />
almeno plausibilmente, consequenziali a quella variazione. Ovviamente,<br />
più lontana nel tempo sarà la variazione del fatto, maggiore sarà la<br />
deviazione del corso successivo dall’asse cronologico degli eventi, qual è<br />
stato fissato dalla storia reale. Un fatto nuovo inserito dallo storico “alternativo”<br />
nell’antichità sarà ovviamente suscettibile <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare ra<strong>di</strong>calmente<br />
la storia della civiltà umana, determinando la non esistenza <strong>di</strong> fenomeni storici<br />
<strong>di</strong> enorme portata (ad esempio, la vittoria <strong>di</strong> Antonio e Cleopatra ad<br />
Azio avrebbe avuto, tra i suoi vari effetti, la mancata fondazione dell’impero<br />
romano da parte <strong>di</strong> Augusto o, almeno, uno stato romano assai <strong>di</strong>verso<br />
da come lo stu<strong>di</strong>amo sui manuali <strong>di</strong> storia) e la concomitante nascita <strong>di</strong> altri<br />
del tutto imprevisti, che inducono a porsi interrogativi paradossali e inquietanti<br />
(senza l’impero romano, vi sarebbe stato il Me<strong>di</strong>oevo? Che fine<br />
avrebbe fatto la cultura classica? E senza il <strong>di</strong>ritto romano, quale sarebbe<br />
stato il <strong>di</strong>ritto moderno? Gli stati nazionali sarebbero potuti sorgere? In conclusione,<br />
quale sarebbe oggi il volto della civiltà in Europa e nel mondo?).<br />
Viceversa, il fatto nuovo inserito in un’epoca recente potrebbe apportare<br />
poche variazioni (sia pur <strong>di</strong> grande portata) alla storia dell’umanità, ma<br />
tali da non dover necessariamente e irrevocabilmente implicare mo<strong>di</strong>fiche<br />
ra<strong>di</strong>cali e definitive al corso degli eventi. Ad esempio, una vittoria temporanea<br />
<strong>di</strong> Hitler o del Giappone nel corso del conflitto, secondo alcuni stu<strong>di</strong>osi,<br />
avrebbe potuto soltanto ritardare la vittoria finale delle forze alleate, a<br />
prezzo però <strong>di</strong> ulteriori, spaventose per<strong>di</strong>te umane (ad esempio, il fallimento<br />
dello sbarco in Norman<strong>di</strong>a il 6 giugno 1944, secondo Stephen E.<br />
–68–
Ambrose, 67 o la mancata decifrazione del sistema crittografico Enigma<br />
usato dai tedeschi, secondo David Kahn, 68 o ancora la vittoria giapponese<br />
nella battaglia navale <strong>di</strong> Midway nel 1942, secondo Theodore F. Cook jr., 69<br />
avrebbero certamente assegnato alle forze del Patto Tripartito un indubbio<br />
vantaggio, annullato però dall’olocausto nucleare della Germania e del<br />
Giappone, prospettiva comune a tutti e tre i casi). Come si vede, gli storici<br />
preferiscono elaborare ipotesi razionalmente plausibili, mentre è soltanto<br />
nei futuri immaginati dai narratori <strong>di</strong> storia alternativa che si dà (ma non per<br />
tutti) la vittoria definitiva del Terzo Reich e l’instaurazione dell’“era hitleriana”.<br />
Senza considerare che v’è anche chi, come Eric-Emmanuel Schmitt<br />
(vd. oltre), ha provato a immaginare la biografia <strong>di</strong> un Hitler artista, quale<br />
sarebbe probabilmente <strong>di</strong>ventato se non fosse stato il <strong>di</strong>ttatore che abbiamo<br />
conosciuto.<br />
Dicevamo che la storia alternativa deve obbe<strong>di</strong>re alla regola della<br />
plausibilità, ossia della verosimiglianza. In tal senso sarà una esercitazione<br />
<strong>di</strong> storia virtuale immaginare quali sarebbero state tutte o la maggior parte<br />
delle probabili conseguenze, se nel 275 a.C. Pirro avesse vinto i Romani a<br />
Maleventum o se nel 49 a.C. Cesare si fosse accordato con Pompeo, evitando<br />
il passaggio del Rubicone e lo scatenamento della guerra civile, non<br />
cosa sarebbe successo se Annibale avesse avuto a <strong>di</strong>sposizione un or<strong>di</strong>gno<br />
nucleare. Porre un’ipotesi del genere (come pure è stato seriamente fatto<br />
in una scuola <strong>di</strong> guerra inglese) 70 significa scar<strong>di</strong>nare ogni regola della<br />
storia e dell’immaginazione, inquinando la riflessione sui dati storici con<br />
elementi allotrî, con la pura fantasticheria, se non la fantascienza. Converrà,<br />
allora, chiamare testi siffatti non “storia alternativa” o “virtuale”,<br />
ma semplicemente “storia fantastica” o “fantastoria”, una sorta <strong>di</strong> “fantasy”<br />
(invariabilmente costruita sulla base degli elementi narrativi che<br />
Propp ha rilevato nel patrimonio favolistico russo) camuffata da storia.<br />
Anche la narrativa <strong>di</strong> storia virtuale riflette questa <strong>di</strong>stinzione: vi sono<br />
scrittori <strong>di</strong> narrativa che costruiscono accuratamente e verosimilmente<br />
storie alternative (come mere ipotesi che potrebbero certamente essere accettate,<br />
per plausibilità e coerenza logica, dagli storici accademici) e altri<br />
67 Stephen E. Ambrose, L’insuccesso del «giorno più lungo», in La storia fatta con i se,<br />
cit., pp. 357-364.<br />
68 David Kahn, Enigma irrisolto, in Se Lenin non avesse fatto la rivoluzione, cit., pp. 331-342.<br />
69 Theodore F. Cook jr., La sconfitta Americana a Midway, in La storia fatta con i se, cit.,<br />
pp. 323-354.<br />
70 Così asserisce Robert Cowley, intr. a La storia fatta con i se, cit., p. 9.<br />
–69–
che inseriscono nei loro mon<strong>di</strong> paralleli elementi puramente fantastici, innestando<br />
la fantascienza nella ricostruzione storica (con risultati talora<br />
stridenti, se non grossolanamente bizzarri). 71 Per fare un esempio in ambito<br />
strettamente narrativo, è un romanzo <strong>di</strong> ucronia Fatherland <strong>di</strong> Robert<br />
Harris, ambientato in una assai cre<strong>di</strong>bile Germania nazista del 1964; non è<br />
un testo <strong>di</strong> ucronia, ma piuttosto <strong>di</strong> “fantastoria”, l’ampio ciclo dell’Invasione<br />
<strong>di</strong> Harry Turtledove (vd. al § 5), che, pur accurato nella ricostruzione<br />
<strong>di</strong> ambienti e personaggi della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, inserisce in quel<br />
contesto l’attacco alla Terra <strong>di</strong> una potentissima razza <strong>di</strong> alieni rettiliformi.<br />
Neppure possiamo considerare testi <strong>di</strong> ucronia, piuttosto che <strong>di</strong> fantascienza,<br />
anche se provvisti <strong>di</strong> spunti riflessivi assai interessanti, quei romanzi<br />
e racconti in cui la storia alternativa è frutto <strong>di</strong> una manipolazione<br />
del passato dovuta a un viaggio temporale (tema pre<strong>di</strong>letto dagli scrittori<br />
<strong>di</strong> SF). Pensiamo a un testo come Fuga nel tempo <strong>di</strong> Chad Oliver (A star<br />
above it, 1955): 72 qui il protagonista, un inquieto storico <strong>di</strong> Harvard, dall’anno<br />
2080 si fa trasferire nel Messico del 1445, per poter <strong>di</strong>stribuire cavalli<br />
e fucili, da lui sottratti all’epoca della guerra <strong>di</strong> Secessione, agli Aztechi,<br />
settant’anni prima della venuta dei Conquistadores. È per amore che<br />
lo stu<strong>di</strong>oso non esita a cambiare il corso della storia: infatti, in un precedente<br />
viaggio nel passato, si è innamorato <strong>di</strong> una ragazza in<strong>di</strong>ana e vuole<br />
preservare il futuro della sua <strong>di</strong>scendenza e della civiltà che lo ospita, destinata<br />
a essere cancellata dagli Spagnoli. Gli uomini della Commissione<br />
Sicurezza del Tempo devono allora eliminare un evento potenzialmente <strong>di</strong>struttivo<br />
della civiltà occidentale, quale essa si è evoluta. In<strong>di</strong>cativo della<br />
problematica morale sollevata dal racconto è il <strong>di</strong>alogo tra Hughes, lo stu<strong>di</strong>oso<br />
che si è trasferito tra gli Aztechi vivendo sotto i panni <strong>di</strong> un gran sacerdote,<br />
e Wade, l’uomo che gli dà la caccia per riaggiustare il corso della<br />
storia che il primo, vittima del suo romantico sogno, tenta <strong>di</strong> compromettere<br />
irrime<strong>di</strong>abilmente. Al suo avversario che lo accusa <strong>di</strong> essere il più<br />
grande assassino della storia, perché il suo atto determinerà l’impossibilità<br />
della civiltà umana <strong>di</strong> svilupparsi quale si è evoluta fino al 2080, Hughues<br />
71 Sulle elaborazioni del romanzo storico in chiave fantastica vd. Li<strong>di</strong>a De Federicis, Letteratura<br />
e storia, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 55-65; sull’ucronia in rapporto alle utopie della<br />
fantascienza vd.: Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, trad. <strong>di</strong> Lia Guerra, Il<br />
Mulino, Bologna, pp. 167-169; Renato Giovannoli, La scienza della fantascienza, Bompiani,<br />
Milano 1991, pp. 268-270.<br />
72 Chad Oliver, Fuga nel tempo, in Destinazione universo, a cura <strong>di</strong> Piero Pieroni, Vallecchi,<br />
Firenze 1963, pp. 399-342.<br />
–70–
ibatte che i cavalli e i fucili rappresentano l’unica possibilità che proprio<br />
la Storia dà agli Aztechi, tramite lui, <strong>di</strong> sopravvivere agli Spagnoli. Sarà<br />
dunque Wade, uccidendo i cavalli e lasciando che le vicende storiche abbiano<br />
il loro effettivo corso, a uccidere in realtà ogni <strong>di</strong>scendente degli Aztechi<br />
fino alla fine del tempo. Qual è il criterio per decidere quale delle<br />
due civiltà, se quella Azteca o quella occidentale, meriti <strong>di</strong> sopravvivere?<br />
Così Hughues al suo interlocutore, ponendo un classico esempio <strong>di</strong> relativismo.<br />
Naturalmente le vicende del nazismo hanno rappresentato un campo<br />
assai stimolante per le costruzioni <strong>di</strong> storici e narratori, che si sono <strong>di</strong>vertiti<br />
a immaginare le modalità strategiche <strong>di</strong> una vittoria dell’Asse nel secondo<br />
conflitto mon<strong>di</strong>ale o l’instaurazione <strong>di</strong> un’era nazista, a seguito <strong>di</strong> quella<br />
vittoria, tra i futuri possibili dell’umanità. 73 Tra gli storici va ricordato John<br />
Keegan, il quale ha provato seriamente a immaginare un piano strategico<br />
alternativo che avrebbe potuto assicurare al Führer ragionevoli possibilità<br />
<strong>di</strong> vittoria: se Hitler avesse rimandato l’operazione Barbarossa al 1942,<br />
optando nel 1941 per un attacco all’Iraq e all’Iran, la sua strategia sarebbe<br />
potuta riuscire vincente. L’isola <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong>, in mano agli italiani, poteva costituire<br />
una base <strong>di</strong> partenza per uno sbarco delle truppe dell’Asse in Siria,<br />
dove avrebbero travolto le deboli guarnigioni <strong>di</strong> Vichy. Dalla Siria e dal<br />
Libano i tedeschi sarebbero potuti avanzare in Iraq e Iran, quin<strong>di</strong>, impadronitisi<br />
dei ricchi giacimenti <strong>di</strong> petrolio, entrare in Afghanistan e In<strong>di</strong>a, infliggendo<br />
colpi durissimi all’impero coloniale inglese e minacciando l’Unione<br />
Sovietica da sud. Un’altra via perseguibile sarebbe stata la conquista dell’Arabia<br />
Sau<strong>di</strong>ta e dei suoi giacimenti petroliferi, se l’avanzata dell’Afrika<br />
Korps in Egitto fosse stata coronata da successo. Con la conquista della<br />
regione me<strong>di</strong>orientale Hitler avrebbe potuto risolvere il problema dell’approvvigionamento<br />
petrolifero e probabilmente vincere la guerra o portarla<br />
almeno a una situazione <strong>di</strong> stallo (John Keegan, Come Hitler avrebbe<br />
potuto vincere la guerra, in La storia fatta con i se, cit., p. 307-317).<br />
73 Un’accurata rassegna delle ucronie riguardanti il nazismo è quella <strong>di</strong> Gian Filippo Pizzo,<br />
Il sogno e l’incubo del Quarto Reich, testo accessibile sul sito Delos Views all’in<strong>di</strong>rizzo www.<br />
delos.fantascienza.com/ Ampie in<strong>di</strong>cazioni anche in Per una bibliografia ucronica italiana, all’in<strong>di</strong>rizzo<br />
www.giampietrostocco.it/bibliografia.htm I testi <strong>di</strong> storia alternativa riguardanti anche<br />
nazismo e fascismo sono analizzati in Gianfranco de Turris, Tutti i futuri del mondo, postfazione a<br />
Se la storia fosse andata <strong>di</strong>versamente. Saggi <strong>di</strong> storia virtuale, cit., pp. 291-326. Riconduce l’ucronia<br />
nazista al tema degli universi paralleli Daniela Guardamagna, Analisi dell’incubo. L’utopia<br />
negativa da Swift alla fantascienza, Bulzoni, Roma 1980, pp. 132-133.<br />
–71–
Il primo romanzo che presenta una ucronia nazista è La notte della<br />
svastica <strong>di</strong> Katharine Burdekin (Swastika Night, 1937), 74 scritto nel 1937,<br />
quando Hitler teneva saldamente il potere e una vittoria hitleriana era tra i<br />
possibili orizzonti della storia. La Burdekin presenta un mondo dove il<br />
nazismo, uscito vincitore da una ipotetica Guerra dei Vent’anni nel Novecento,<br />
domina da secoli, ambientando la trama nell’anno del Signore Hitler<br />
720. Il primo Führer, trasfigurato in mito, è venerato in chiese con la pianta a<br />
svastica, a lui si innalzano statue gigantesche, cori e preghiere, che lo esaltano<br />
come un <strong>di</strong>o onnipotente, mentre la Terra, piombata in una nuova notte<br />
me<strong>di</strong>evale e ridotta a un immenso lager, è dominata dal Sacro Impero Germanico.<br />
La società è fondata su base rigidamente razziale. I nuovi feudatari,<br />
i Signori della Stirpe, sono i padroni dell’umanità e opprimono le stirpi<br />
inferiori, tra le quali gli inglesi godono <strong>di</strong> una qualche considerazione. Gli<br />
ebrei sono scomparsi e il loro posto è stato preso dai cristiani, che vivono<br />
come sub-umani reietti dalla società. Gli uomini non sanno leggere né scrivere,<br />
il mondo è piombato in una nuova notte me<strong>di</strong>evale e gli stessi nazisti<br />
sono istupi<strong>di</strong>ti da una dottrina dogmatica che ottenebra le menti. La donna,<br />
soggiogata in una vera e propria schiavitù, ha perduto ogni autonomia e<br />
appartiene allo stato, che la utilizza ai soli scopi <strong>di</strong> ricreazione e <strong>di</strong> procreazione.<br />
L’assoggettamento della donna, che ricorda quello esistente nelle<br />
società islamiche, ha determinato l’arresto della civiltà allo sta<strong>di</strong>o agricolopastorale.<br />
In questo mondo ridotto alla galera e al bordello, agiscono i tre<br />
personaggi principali della storia: Alfred, giovane meccanico inglese, Hermann,<br />
ottuso e istintivo nazista che riconosce suo malgrado la superiorità intellettuale<br />
del primo e ne <strong>di</strong>venta amico, il cavaliere teutonico del Sacro Impero<br />
Germanico von Hess che, <strong>di</strong>sgustato dal crudele dominio dei suoi camerati,<br />
affida ad Alfred, nel quale vede una sorta <strong>di</strong> figlio spirituale, il “libro<br />
<strong>di</strong> von Hess”, un’antichissima cronaca scritta da un suo avo (forse Rudolf<br />
Hess, che fu il delfino <strong>di</strong> Hitler), che smaschera la grottesca mitizzazione del<br />
primo fondatore del nazismo (falsificato anche nell’immagine, poiché è ritratto<br />
come un gigante dalla folta capigliatura bionda e con lunghi baffi spioventi)<br />
e ricostruisce la storia del passato, cancellata dalla riscrittura propagan<strong>di</strong>stica<br />
del regime. 75 Il possesso del libro <strong>di</strong> von Hess costerà la vita ad<br />
74 Katharine Burdekin, La notte della svastica, trad. <strong>di</strong> Daniela Della Bona, E<strong>di</strong>tori Riuniti,<br />
Roma 1993.<br />
75 Ha ben osservato il Pagetti, pref. a K. Burdekin, La notte della svastica, cit., p. XI, che<br />
l’immaginario impero nazista escogitato dalla Burdekin, non è lo spazio della forza, ma della<br />
–72–
Alfred, che però da ultimo riesce ad affidare il libro a suo figlio, in modo che<br />
le future generazioni possano conoscere la verità per affrancarsi dal dominio<br />
nazista e riconquistare la libertà.<br />
L’inglese John W. Wall, con lo pseudonimo <strong>di</strong> Sarban, è l’autore <strong>di</strong><br />
Caccia alta (The sound of his horn, 1952), 76 un inquietante romanzo <strong>di</strong><br />
ucronia nazista. Il protagonista narrante, Alan Quer<strong>di</strong>lion, un giovane ufficiale<br />
della Marina britannica prigioniero durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale,<br />
fuggendo da un lager in Germania orientale subisce uno strano incidente,<br />
che gli fa perdere coscienza. Si risveglia in un ospedale per scoprire<br />
che i tedeschi hanno vinto la guerra e l’Europa intera è piombata sotto i nazisti,<br />
che vi hanno istituito una signoria <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>evale. Al vertice della<br />
società stanno i Cavalieri nazisti, oligarchi capricciosi e immensamente potenti,<br />
segue la servizievole classe degli amministratori del Partito “<strong>di</strong>abolicamente<br />
coscienziosi”, 77 quin<strong>di</strong> le masse dei popoli soggiogati e abbrutiti,<br />
ridotte a proletariato schiavo. Il <strong>di</strong>vertimento preferito dei Cavalieri è quello<br />
<strong>di</strong> organizzare battute <strong>di</strong> caccia con selvaggina umana: in un ambiente rurale<br />
e me<strong>di</strong>evaleggiante, tra boschi e brughiere si vedono donne in costume<br />
piumato o da cervo correre terrorizzate con la muta <strong>di</strong> cani alle calcagna,<br />
prima <strong>di</strong> essere abbattute dalle frecce o dai proiettili in una orribile gara <strong>di</strong><br />
caccia. 78 Crudeltà e sa<strong>di</strong>smo dominano questo romanzo e i suoi personaggi,<br />
tra i quali svetta il feroce conte Johann von Hackelberg, Gran Maestro Forestale<br />
del Reich, che organizza per i suoi convitati battute <strong>di</strong> caccia umana al<br />
chiaro <strong>di</strong> luna e offre opulenti banchetti nel suo castello, al lume delle torce<br />
che reggono fanciulle costrette a fungere da statue viventi. A completare<br />
il quadro, giovani schiavi ridotti al mutismo dal taglio delle corde vocali<br />
servono ai convitati lauti manicaretti con abbondante birra, in un festino<br />
debolezza maschile: «retrocessa a una economia rurale <strong>di</strong> tipo feudale, dominata da una casta<br />
<strong>di</strong> sprezzanti Cavalieri Teutonici, l’Europa dell’utopia nazista è una terra desolata, solcata da<br />
misere figure maschili, prive <strong>di</strong> qualsiasi pur terrificante grandezza». Del medesimo stu<strong>di</strong>oso<br />
vd. anche: Carlo Pagetti, “Nell’anno del Signore Hitler 720”: Swastika Night <strong>di</strong> Katharine<br />
Burdekin, in Citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un assurdo universo, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1989, pp. 117-127.<br />
76 Sarban (John W. Wall), Caccia alta, trad. <strong>di</strong> Rita Botter Pierangeli, De Carlo E<strong>di</strong>tore,<br />
Milano 1974. Sul romanzo rapido cenno in Jacques Sadoul, Storia della fantascienza, trad. <strong>di</strong><br />
Giusi Riverso, Garzanti, Milano 1975, p. 213.<br />
77 Così Kingsley Amis, intr. a Sarban, Caccia alta, cit., p. 8.<br />
78 Per la verità l’idea della caccia alla preda umana è già in altri precedenti racconti del<br />
terrore, come il famoso La selvaggina più pericolosa <strong>di</strong> Richard Connell (The most dangerous<br />
game), che si può leggere in: Alfred Hitchcock presenta 25 racconti del terrore vietati alla TV,<br />
Garzanti, Milano 1971².<br />
–73–
concluso dal <strong>di</strong>vertimento preferito del conte: una vicina arena simile a<br />
un circo romano accoglie ragazze in costume <strong>di</strong> gatto che si azzuffano tra<br />
<strong>di</strong> loro e squarciano con artigli d’acciaio daini e altri animali, <strong>di</strong>vorandone<br />
le carni crude. Si tratta <strong>di</strong> un romanzo tra il terrore e la fantascienza, ricco<br />
<strong>di</strong> immagini evocative e simboliche, ma l’ambigua conclusione sembra in<strong>di</strong>care<br />
che tutta la storia non sarebbe altro che frutto <strong>di</strong> una allucinazione del<br />
protagonista (così come avviene nel finale del famoso film espressionista<br />
Il gabinetto del dottor Caligari <strong>di</strong> Robert Wiene).<br />
Philip K. Dick, maestro della narrativa <strong>di</strong> fantascienza, ci dà un esempio<br />
notevole <strong>di</strong> storia alternativa, nella quale in verità gli elementi <strong>di</strong> fantascienza<br />
sono assenti o ridotti al minimo, ricostruendo in maniera realistica e<br />
avvincente nel romanzo La svastica sul sole (The Man in the High Castle,<br />
1962) 79 la storia <strong>di</strong> un ipotetico dopoguerra nel quale le potenze dell’Asse risultano<br />
vincitrici. Hitler ha vinto la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e con lui l’ha<br />
vinta il Giappone. L’America è ridotta a colonia dai tedeschi e l’Africa è un<br />
immenso lager. Quanto all’Italia, alleata dell’Asse, essa è ridotta a sub-nazione.<br />
I tedeschi si mostrano padroni arroganti e spietati e fa una certa impressione<br />
leggere che le loro navi-razzo (derivate dalle V-2) solcano in<strong>di</strong>sturbate<br />
i cieli d’America, da New York a San Francisco. La società americana,<br />
o meglio quello che ne resta, è regolata da ferrei principi razziali ed asservita<br />
ai nazisti: ebrei e negri sono ridotti in schiavitù, e Dick, con una punta <strong>di</strong> sarcasmo<br />
corrosivo, precisa che proprio negli stati del sud i nazisti riscuotono le<br />
maggiori simpatie. Ma è anche da notare che la vita delle città americane descritta<br />
da Dick, con la loro plumbea atmosfera <strong>di</strong> paura, <strong>di</strong> delazione, <strong>di</strong><br />
complicità, somiglia non poco a quella <strong>di</strong> certi cupi momenti nella storia dei<br />
paesi del “socialismo reale”. In questo universo totalitario si muovono i<br />
pochi personaggi del romanzo: R. Childan, Ray Calvin, il camionista italiano<br />
Joe Cinnadella, l’irreprensibile poliziotto giapponese Tagomi, tutti alla ri-<br />
79 Philip K. Dick, La svastica sul sole, trad. <strong>di</strong> R. Minelli, La Tribuna e<strong>di</strong>trice, Piacenza<br />
1965. Coglie il valore del romanzo nella rappresentazione dell’ansia <strong>di</strong> libertà insita nell’uomo<br />
e prevalente su qualsiasi sistema politico, Gian Franco Vené, intr. a Philip K. Dick, La svastica<br />
sul sole, cit., pp. 9-10. Sul romanzo: Jacques Sadoul, Storia della fantascienza, cit., p. 252; Robert<br />
Scholes - Eric S. Rabkin, Fantascienza. Storia scienza visione, trad. <strong>di</strong> Giovanna Orzalesi<br />
Liborio, Pratiche e<strong>di</strong>trice, Parma 1988, pp. 108-111; Fabio Giovannini - Marco Minicangeli,<br />
Storia del romanzo <strong>di</strong> fantascienza, Castelvecchi, Roma 1998, p. 87. Su Philip K. Dick: Vittorio<br />
Curtoni, Philip Dick: in lotta con l’universo impazzito, in «Abstracta», n. 52, ottobre 1990,<br />
pp. 73-77; Emmanuel Carrère, Philip Dick 1928-1982. Una biografia, trad. <strong>di</strong> Stefania Papetti,<br />
Teoria, Roma-Napoli 1996; FOCUS. Philip K. Dick. Storia e letteratura controfattuale, a cura <strong>di</strong><br />
Isabella Nitti, testo leggibile all’in<strong>di</strong>rizzo http://magazine.enel.it/boiler/arretrati/arretrati/boiler<br />
–74–
cerca <strong>di</strong> un misterioso personaggio, lo scrittore Hawthorne Abendsen.<br />
Questi, perseguitato dalla polizia nazista e costretto a vivere in un remoto rifugio,<br />
è l’autore <strong>di</strong> un libro proibito, The Grasshopper lies heavy (La cavalletta<br />
non si alzerà più), che altro non è, come Dick rivela nel finale, se non la<br />
storia del mondo narrata come se avessero vinto le truppe angloamericane e<br />
sovietiche, ossia quella che realmente viviamo oggi (anche se Dick vi apporta<br />
qualche variazione). Il gioco tra realtà e finzione si fa alla fine scoperto<br />
perché Dick sembra <strong>di</strong>rci (confondendo, secondo il suo stile, il piano della<br />
realtà e quello della illusione) con le ultime parole dello stesso Abendsen,<br />
che la storia quale questi l’ha immaginata è quella reale, mentre quella narrata<br />
è immaginaria: i nazisti hanno dunque perso la guerra e la storia fortunatamente<br />
non si è mo<strong>di</strong>ficata. Il libro <strong>di</strong> Abendsen, infatti, non è altro che un<br />
lunghissimo oracolo scritto con il complicato sistema esagrammatico dell’I<br />
Ching, il metodo <strong>di</strong>vinatorio dell’astrologia cinese, e rappresenta la Verità<br />
Interiore. Il romanzo <strong>di</strong> Dick, che testimonia una tematica cara all’autore,<br />
ossia la <strong>di</strong>sintegrazione delle categorie conoscitive del reale, 80 si sviluppa<br />
quin<strong>di</strong> come una tipica “fabula aperta” e sembra chiamare il lettore a scegliere<br />
fra due conclusioni egualmente possibili ma antitetiche (ciò che è descritto<br />
nel romanzo è immaginario o no? I nazisti hanno o no conquistato<br />
l’America? Qual è la realtà, quella narrata da Dick o quella <strong>di</strong> Abendsen?).<br />
Un’ultima curiosità: sembra che i tedeschi pre<strong>di</strong>ligano collezionare vecchi<br />
oggetti d’antiquariato americano stile liberty.<br />
Len Deighton, noto autore <strong>di</strong> storie <strong>di</strong> spionaggio, in La grande spia<br />
(SS-GB, 1978) 81 colloca l’azione a Londra nel 1941, dopo la capitolazione<br />
dell’Inghilterra <strong>di</strong> fronte alle armate naziste, alleate dei sovietici. Il re<br />
Giorgio VI è stato imprigionato, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Himmler, nella Torre <strong>di</strong><br />
Londra e Churchill fucilato da un plotone della Luftwaffe a Berlino. Scotland<br />
Yard è ora guidata da un generale delle SS e il suo più famoso investi-<br />
80 Donde l’ambiguità gnoseologica delle esperienze narrate da Dick: “Il senso della vita si<br />
traduce nello sforzo vano, ma necessario <strong>di</strong> interpretare una catena <strong>di</strong> eventi che sono già stati<br />
manipolati, rimontati, non solo dalle forze imperscrutabili del potere costituito (Time Out of<br />
Joint), ma dalle allucinazioni in<strong>di</strong>viduali, che trasformano ogni paesaggio in uno scenario paranoico<br />
(Eye in the Sky), rendendolo simile a un sogno, a una favola, a un mito, alla fantasia <strong>di</strong> un<br />
universo alternativo, a una storia mai avvenuta, e che tuttavia può esistere nella testa <strong>di</strong> qualcuno,<br />
a una leggenda, a un film, a un romanzo <strong>di</strong> fantascienza che non rispetta né le regole del<br />
genere, né quelle delle coor<strong>di</strong>nate storiche in cui i lettori sono felicemente (o infelicemente) inseriti”<br />
(Carlo Pagetti, La svastica americana, intr. a Philip K. Dick, La svastica sul sole, trad. <strong>di</strong><br />
Maurizio Nati, Fanucci, Roma 2005, p. 9).<br />
81 Len Deighton, La grande spia, trad. <strong>di</strong> Maria Giulia Castagnone, Rizzoli, Milano 1991².<br />
–75–
gatore, Douglas Archer, deve far luce sull’oscuro omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un antiquario<br />
a Shepherd Market. Le indagini porteranno Archer a scoprire che la vittima<br />
era uno scienziato impegnato nelle ricerche sull’energia nucleare e coinvolgeranno<br />
il poliziotto in un complotto per far fuggire il re e consegnare i<br />
piani della bomba atomica agli americani. È un romanzo che si ricorda più<br />
per il plumbeo clima <strong>di</strong> ambiguità e rassegnata <strong>di</strong>sperazione in cui l’autore<br />
immerge una città avvilita dall’occupazione tedesca, che per la trama in sé,<br />
piuttosto convenzionale.<br />
Robert Harris ha ambientato Fatherland (Fatherland, 1992) 82 nell’aprile<br />
del 1964, in un’Europa dominata dai nazisti e nei giorni delle celebrazioni<br />
per il settantacinquesimo compleanno <strong>di</strong> Hitler. L’impero del Reich si<br />
estende dall’Atlantico fino agli Urali, Mosca è stata conquistata ma resistono<br />
i guerriglieri sovietici, ed Hitler è in procinto <strong>di</strong> incontrarsi con il vecchio<br />
presidente americano Joseph Kennedy (nella controstoria <strong>di</strong> Harris avrebbe<br />
guidato lui gli Stati Uniti al posto del figlio John), antisemita e fautore <strong>di</strong> una<br />
politica <strong>di</strong> pacificazione con la Germania. Un solerte poliziotto, Xavier<br />
March, della squadra omici<strong>di</strong> della Kriminalpolizei <strong>di</strong> Berlino, indaga sulla<br />
misteriosa fine <strong>di</strong> un alto gerarca del Reich, trovato annegato nel lago Havel,<br />
alla periferia <strong>di</strong> Berlino. Scoprirà le tracce <strong>di</strong> una catena <strong>di</strong> delitti, che riconduce<br />
ai vertici del potere nazista, ove qualcuno, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Hitler, vuole<br />
mettere a tacere per sempre gli ultimi pericolosi testimoni della conferenza<br />
segreta <strong>di</strong> Wansee del 16 gennaio 1942, nella quale Heydrich e gli altri gerarchi<br />
decisero la “soluzione finale”, ossia il genoci<strong>di</strong>o ebraico. Il poliziotto,<br />
dopo durissime peripezie (finisce denunciato dal figlio un<strong>di</strong>cenne e torturato<br />
dalla Gestapo), riuscirà a consegnare i documenti sullo sterminio degli Ebrei<br />
a una giornalista americana: le prove dello sterminio <strong>di</strong>vulgate all’opinione<br />
pubblica mon<strong>di</strong>ale serviranno a mandare a monte l’incontro fra Hitler e<br />
Kennedy, campione <strong>di</strong> un’America isolazionista ma <strong>di</strong>ffidente nei confronti<br />
del Terzo Reich. Alla trama, piuttosto esile, fa riscontro però un’estrema<br />
accuratezza e abilità nel rappresentare in modo plausibile l’ambientazione e<br />
l’atmosfera della Germania e dell’Europa venti anni dopo la vittoria nazista<br />
(che Harris ricostruisce in modo verosimile, vd. le pp. 91-92): un mondo<br />
claustrofobico, chiuso in sé stesso, dominato dai miti della razza e dalle celebrazioni<br />
delle opere e degli eroi del regime, ma soffocato dalla censura e as-<br />
82 Robert Harris, Fatherland, trad. <strong>di</strong> Roberta Rambelli, Mondadori, Milano 1992. Vd.<br />
l’intervista a Robert Harris <strong>di</strong> Paolo Filo della Torre, Se Hitler avesse vinto la guerra, in «La<br />
Repubblica», 5 giugno 1992.<br />
–76–
se<strong>di</strong>ato dalla pervasiva e ossessiva presenza della polizia segreta. La Polonia<br />
è scomparsa dalla carta d’Europa, a Oxford le SS hanno istituito un’accademia.<br />
Tutti vivono nella paura e nel reciproco sospetto, mentre si ignora<br />
l’esito della guerra all’est, ove ancora resistono i guerriglieri sovietici, e<br />
milioni <strong>di</strong> Ebrei sono misteriosamente scomparsi, nell’in<strong>di</strong>fferenza generale.<br />
Harry Turtledove, già docente <strong>di</strong> storia antica poi mutatosi in scrittore<br />
<strong>di</strong> fantascienza e fantasy, si è cimentato nella “storia parallela” <strong>di</strong>ventando<br />
uno degli autori più apprezzati in questo genere per gli intrecci e la scrupolosa<br />
ricostruzione degli ambienti. Nel racconto Il terrore e la fede (The Last<br />
Article) 83 mette in scena la conquista dell’In<strong>di</strong>a da parte delle armate del<br />
Terzo Reich, dopo lo sfondamento in Egitto, Siria, Iraq, Iran e Pakistan: invano<br />
il Mahatma Gandhi perora, con il metodo della non violenza, la causa<br />
della libertà del suo popolo <strong>di</strong> fronte al feldmaresciallo Walther Model, che<br />
lo fa gettare in carcere <strong>di</strong>menticando i meriti del leader in<strong>di</strong>ano nella lotta<br />
contro gli inglesi. A Turtledove si deve poi un romanzo, ancora nel genere<br />
della storia parallela del nazismo, In presenza del nemico, mentre i suoi<br />
ampi cicli dell’Invasione e della Colonizzazione appartengono piuttosto alla<br />
“fantastoria”, perché inserisce nella storia alternativa tipici motivi della fantascienza<br />
(vd. al § 5). In presenza del nemico (In the Presence of Mine Enemies,<br />
2003) 84 offre, in una trama ricca <strong>di</strong> analogie con la storia del Novecento,<br />
una prospettiva assolutamente inaspettata nella storia “alternativa”<br />
del Terzo Reich. Il quadro iniziale è quello lugubre <strong>di</strong> sempre: i nazisti,<br />
dopo la terza guerra mon<strong>di</strong>ale, dominano nel 2010 sull’Europa dalla Spagna<br />
alla Russia, hanno ridotto gli Stati Uniti a paese vassallo, e godono dell’alleanza<br />
dell’impero italiano, <strong>di</strong> quello giapponese e dell’Unione del Sud<br />
Africa. L’azione si svolge nella capitale Berlino, ove svettano torreggianti<br />
grattacieli sormontati dalle aquile naziste, l’Arco <strong>di</strong> Trionfo alto più <strong>di</strong> cento<br />
metri e le colossali statue <strong>di</strong> Hitler, <strong>di</strong> Heisenberg, il padre della bomba atomica<br />
tedesca, e dei <strong>di</strong>gnitari nazisti, mentre la gigantesca Adolf Hitler Platz<br />
accoglie un milione <strong>di</strong> persone nelle manifestazioni <strong>di</strong> regime. Qui sopravvivono,<br />
camuffati da zelanti e ossequiosi nazisti, sparuti gruppi <strong>di</strong> ebrei,<br />
sopravvissuti all’Olocausto, e il protagonista, Heinrich Gimpel, è uno <strong>di</strong><br />
questi. La loro vita è da incubo: in una società oppressa dal terrore poli-<br />
83 Harry Turtledove, Il terrore e la fede, in Millemon<strong>di</strong> estate 1989 (suppl. a «Urania»,<br />
n. 1103), Mondadori, Milano 1989, pp. 175-211.<br />
84 Harry Turtledove, In presenza del nemico, trad. <strong>di</strong> Fabio Grano, Fanucci E<strong>di</strong>tore, Roma<br />
2005.<br />
–77–
ziesco e ossessionata da un feroce antisemitismo inculcato ai bambini da sa<strong>di</strong>ci<br />
maestri, ove banche dati controllano le ascendenze ariane dei citta<strong>di</strong>ni<br />
del Reich e l’eutanasia per anziani e incurabili è una prassi normale, devono<br />
imparare a <strong>di</strong>ssimulare la loro identità, tramandando ai loro figli soltanto<br />
oralmente il ricordo delle loro tra<strong>di</strong>zioni. Gimpel, nonostante le sue precauzioni,<br />
viene denunciato alla Gestapo come ebreo dalla moglie <strong>di</strong> un suo<br />
amico che è stata da lui respinta, ma, dopo un estenuante interrogatorio, invece<br />
<strong>di</strong> essere giustiziato o inviato in un lager, viene inspiegabilmente liberato.<br />
Tanta strana mitezza da parte della polizia si deve al particolare momento<br />
che attraversa il grande Reich: il Führer in carica, Kurt Haldweim<br />
(terzo dopo Hitler e Himmler) è morto ed è stato eletto a capo dell’impero<br />
nazista Heinz Buckliger, un uomo animato da idee riformiste e incre<strong>di</strong>bilmente<br />
nuove per gli apparati sclerotizzati del partito nazista. I suoi coraggiosi<br />
<strong>di</strong>scorsi, nei quali auspica cambiamenti alla politica del regime, scuotono<br />
l’assopita coscienza della popolazione e mettono in moto un processo<br />
rivoluzionario che culmina in una grande manifestazione popolare (guidata<br />
dal pittoresco Gauleiter <strong>di</strong> Berlino, Rolf Stolle, che appoggia ancor più ra<strong>di</strong>calmente<br />
le riforme <strong>di</strong> Buckliger) alla quale lo stesso Gimpel prende parte,<br />
a <strong>di</strong>fesa del programma <strong>di</strong> riforme contro un Putsch or<strong>di</strong>to dagli elementi<br />
più retrivi e fanatici delle SS. Le centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> manifestanti a Berlino,<br />
che trovano in Stolle il loro leader naturale e nella Wehrmacht un insperato<br />
sostegno, hanno ragione dei panzer delle SS e degli ufficiali putschisti,<br />
ne catturano il capo che viene giustiziato dalla folla inferocita e affermano<br />
entusiasticamente e definitivamente gli ideali <strong>di</strong> libertà e democrazia<br />
per tutti i popoli (ebrei compresi) soggetti al Reich, che (si presume)<br />
da quel momento avrà i giorni contati. Come ognun vede, si tratta della versione<br />
nazista del crollo dell’Unione Sovietica: il Führer riformista Buckliger<br />
può agevolmente identificarsi sia con Krusciov (il primo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong><br />
Buckliger, nel quale denuncia gli errori e i crimini <strong>di</strong> Hitler e Himmler, ricorda<br />
quello del segretario generale del PCUS al 20° congresso del partito<br />
comunista, che avviò la destalinizzazione nel 1956) sia con Gorbaèëv (le<br />
cui riforme all’insegna della glasnost e della perestrojka determinarono il<br />
crollo dell’impero sovietico), mentre il rubicondo ed energico Stolle richiama<br />
la figura <strong>di</strong> Boris Eltsin, il successore <strong>di</strong> Gorbaèëv e primo presidente<br />
della Russia eletto a suffragio universale, che emerse nel tentato golpe<br />
dell’agosto 1991 come autentico leader popolare e statista. Ma il romanzo<br />
<strong>di</strong> Turtledove contiene riferimenti ad altri personaggi della storia del Novecento:<br />
il predecessore <strong>di</strong> Buckliger, Kurt Haldweim, che è <strong>di</strong> origine au-<br />
–78–
striaca, non può non alludere nel trasparente anagramma all’ex segretario<br />
generale dell’ONU e presidente dell’Austria Kurt Waldheim (1918-), che a<br />
suo tempo fu accusato <strong>di</strong> crimini <strong>di</strong> guerra commessi quand’era in Yugoslavia<br />
come ufficiale delle SS, 85 mentre il Gauleiter della Baviera, Strauss, ci<br />
ricorda nel nome e nella rapida descrizione che ne fa Turtledove, Franz<br />
Josef Strauss (1915-1988), leader della CSU e presidente della Baviera. 86<br />
Cogliamo, poi, un’incongruenza nella pur accurata ricostruzione storica <strong>di</strong><br />
Turtledove: il malvagio O<strong>di</strong>lo Globoènik, che nel romanzo riveste i panni<br />
dell’usurpatore complice dei nazisti “antidemocratici”, fu realmente un feroce<br />
persecutore <strong>di</strong> ebrei a Lublino nonché organizzatore della famigerata<br />
Risiera <strong>di</strong> San Sabba, ma nel 2010, anno in cui si svolge il romanzo, avrebbe<br />
avuto la veneranda età <strong>di</strong> 106 anni (troppi per fare il Führer). 87 In conclusione,<br />
il romanzo, come il vaso <strong>di</strong> Pandora, si chiude su una prospettiva <strong>di</strong><br />
speranza (il messaggio ci sembra essere che anche nella più triste <strong>di</strong>ttatura è<br />
possibile la nascita della democrazia), 88 mentre la tenacia con cui Gimpel,<br />
badando a non tra<strong>di</strong>rsi, <strong>di</strong>fende le tra<strong>di</strong>zioni del suo popolo, trasmettendole<br />
alle sue giovanissime figlie (che subiranno la turpe violenza psicologica<br />
della polizia), è premiata dall’esito dei drammatici avvenimenti berlinesi. 89<br />
85 L’attività <strong>di</strong> Waldheim nei Balcani è esaminata da Simon Wiesenthal, Giustizia non<br />
vendetta, trad. <strong>di</strong> Carlo Mainol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano <strong>2004</strong>, rist., pp. 388-403 (con forti sospetti<br />
sui silenzi <strong>di</strong> Waldheim riguardo alla deportazione degli ebrei <strong>di</strong> Salonicco).<br />
86 V’è da <strong>di</strong>re che questa analogia riesce piuttosto strana, perché al leader bavarese non<br />
sono mai stati mossi addebiti sul suo comportamento durante l’ultimo conflitto, ma forse Turtledove<br />
ha voluto maliziosamente far scontare a Strauss la troppo tiepida opposizione del suo<br />
gruppo parlamentare all’amnistia per i crimini nazisti nella votazione al Bundestag del 3 luglio<br />
1978, su cui Wiesenthal, cit., pp. 207-209.<br />
87 Su O<strong>di</strong>lo Lotario Globoènik, nato a Trieste nel 1904 e morto suicida nel carcere <strong>di</strong> Villach<br />
nel 1945, tenente generale delle SS e Gauleiter <strong>di</strong> Vienna, scrupoloso pianificatore della<br />
«Aktion Reinhard» (il programma <strong>di</strong> annientamento degli ebrei polacchi) e organizzatore del<br />
campo <strong>di</strong> sterminio della Risiera <strong>di</strong> San Sabba, vd. Ferruccio Fölkel, La Risiera <strong>di</strong> San Sabba,<br />
BUR, Milano 2000, pp. 84-102 (l’autore, fra l’altro, esprime dubbi sulla morte <strong>di</strong> Globoènik).<br />
88 Trasparente è la visione deterministica, improntata ad un idealistico ottimismo, <strong>di</strong> questo autore<br />
(in apparente contrad<strong>di</strong>zione con la illimitata libertà creativa <strong>di</strong> orizzonti possibili, tipica degli<br />
scrittori <strong>di</strong> ucronie), dato che anche in un contesto storico immaginato come alternativo le vicende<br />
si evolvono e si concludono con l'affermazione dell'ideale della democrazia sul totalitarismo<br />
(a meno che il romanzo non vada interpretato come una durissima satira sull'Unione Sovietica).<br />
89 Che camuffarsi da nazista sia davvero stato per qualche ebreo un terribile espe<strong>di</strong>ente per<br />
sopravvivere, è mostrato dalle memorie <strong>di</strong> Sally Perel, il quale riuscì a convincere i nazisti della<br />
sua arianità così bene, che nella Hitlerjugend veniva in<strong>di</strong>cato quale perfetto esemplare <strong>di</strong><br />
“ariano baltico” dagli ignari professori <strong>di</strong> dottrina razziale (vd. Sally Perel, Europa Europa,<br />
trad. <strong>di</strong> Francesco Bruno, Guanda, Parma 1992, pp. 98-99).<br />
–79–
Da citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> pieno <strong>di</strong>ritto a preda della improvvisa furia antisemita: questo<br />
il destino <strong>di</strong> una tranquilla famiglia <strong>di</strong> ebrei americani nel recentissimo<br />
romanzo <strong>di</strong> storia alternativa Il complotto contro l’America <strong>di</strong> Philip Roth<br />
(The Plot Against America, <strong>2004</strong>). 90 Nelle pagine <strong>di</strong> esso prende lentamente<br />
ma inesorabilmente forma l’incubo <strong>di</strong> un antisemitismo che pervade tutta la<br />
società statunitense allorché, come immagina l’autore, nel 1940 viene eletto,<br />
al posto del democratico Franklin Delano Roosevelt, il famoso trasvolatore<br />
Charles Lindbergh, campione dell’America isolazionista e filonazista. Una<br />
possibile alternativa della storia (Lindbergh, che godeva <strong>di</strong> una larghissima<br />
popolarità, avrebbe potuto realmente ottenere la vittoria nelle elezioni americane<br />
del 1940) genera il terrore tra le famiglie degli ebrei americani, soggette<br />
a una <strong>di</strong>scriminazione prima surrettizia che presto si trasforma in sanguinaria<br />
persecuzione. La tranquilla vita degli ebrei americani è così sconvolta prima<br />
da occulte <strong>di</strong>scriminazioni che presto <strong>di</strong>vengono palesi ingiustizie (ad esempio,<br />
l’allontanamento dagli alberghi prenotati, come succede alla famiglia <strong>di</strong><br />
Philip, il piccolo narratore della storia, o il trasferimento coatto in remoti<br />
luoghi <strong>di</strong> lavoro), e poi da violenze e massacri; quando, poi, due anni dopo<br />
l’elezione il presidente Lindbergh scompare misteriosamente col suo aereo<br />
Spirit of St Louis nell’Atlantico e il vicepresidente Wheeler, che ne prende il<br />
posto, decide <strong>di</strong> scendere in guerra a fianco dell’Asse, <strong>di</strong> fronte alla prospettiva<br />
<strong>di</strong> una “soluzione finale” in terra americana gli ebrei, come Herman Roth<br />
e la sua famiglia, sono costretti a fuggire dalle loro case e a rivivere nel terrore<br />
il loro destino <strong>di</strong> profughi perseguitati. Colpisce il ritratto che Roth fa <strong>di</strong><br />
un’America profondamente corrotta nei suoi valori, dominata dall’egoismo e<br />
dal pregiu<strong>di</strong>zio più bieco, e desta impressione il fastoso ricevimento che alla<br />
Casa Bianca il presidente offre in onore <strong>di</strong> von Ribbentrop, il capo della <strong>di</strong>plomazia<br />
hitleriana. 91 Il romanzo, che rievoca nello sfondo della storia alter-<br />
90 Philip Roth, Il complotto contro l’America, trad. <strong>di</strong> Vincenzo Mantovani, Einau<strong>di</strong>, Torino<br />
2005. Sul romanzo: Antonio Monda, America 1940: un romanzo cambia il corso della storia,<br />
in «La Repubblica», 29 settembre <strong>2004</strong>; Id., Controstoria d’America, in «La Repubblica»,<br />
15 marzo 2005.<br />
91 Va ricordato che Charles Lindbergh e la moglie più volte manifestarono la loro ammirazione<br />
per la Germania nazista e furono ospiti d’onore alle Olimpia<strong>di</strong> <strong>di</strong> Berlino del 1936, ove vennero<br />
sontuosamente accolti da Goering, il capo della Luftwaffe e numero due del regime, e da<br />
Goebbels, il ministro della propaganda. Il popolarissimo trasvolatore, tenutosi in quell’occasione<br />
lontano dai corrispondenti americani, si lasciò abbindolare dalla propaganda nazista e, <strong>di</strong>venuto<br />
poi succube dei tedeschi, giunse persino ad accettare da Hitler nell’ottobre del 1938 un’altissima<br />
onorificenza, la Croce <strong>di</strong> servizio dell’Aquila tedesca (Ver<strong>di</strong>enstkreuz Deutscher Adler). Rievoca<br />
l’episo<strong>di</strong>o l’allora giovane corrispondente da Berlino del «Chicago Tribune», il futuro storico<br />
–80–
nativa dolenti spunti autobiografici, 92 è stato interpretato come una metafora<br />
della o<strong>di</strong>erna società americana, in cui alligna l’antisemitismo (ma la reviviscenza<br />
<strong>di</strong> questa triste espressione del più abietto o<strong>di</strong>o umano è un problema<br />
che oggi riguarda tutto l’Occidente) e la cui guida è affidata ai fondamentalisti<br />
e ai “neocon”, e il Lindbergh rappresentato da Roth in tuta da pilota sarebbe<br />
un riferimento all’attuale presidente Bush, anch’egli appassionato <strong>di</strong> volo. 93<br />
Il processo <strong>di</strong> San Cristobal, del critico e stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> letterature comparate<br />
George Steiner (The Portage to San Cristobal of A.H., 1979), 94 risponde alla<br />
domanda: che cosa avrebbe detto Hitler trent’anni dopo, se fosse stato catturato<br />
e processato? L’autore esplora una possibilità della storia alternativa, la<br />
sopravvivenza del capo del nazismo: una sopravvivenza da reietto dell’umanità,<br />
nelle più inospitali e remote palu<strong>di</strong> della foresta amazzonica. Qui, dopo<br />
trent’anni, una missione <strong>di</strong> agenti israeliani lo rintraccia e lo cattura, riportandolo<br />
dopo una estenuante marcia al mondo civile. Il romanzo si conclude con<br />
la sorprendente arringa <strong>di</strong> Hitler stesso, che fornisce finalmente la spiegazione<br />
del suo inarrestabile o<strong>di</strong>o contro gli ebrei: la necessità <strong>di</strong> servirsi dell’o<strong>di</strong>o<br />
antisemita quale strumento per assolvere ad una missione destinata a restare<br />
segreta, ossia creare, mercé il sopravvenuto sostegno e la solidarietà della comunità<br />
mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> fronte agli orrori del genoci<strong>di</strong>o ebraico, una nuova patria,<br />
Israele, per gli ebrei <strong>di</strong> tutto il mondo. Hitler sarebbe stato dunque un emulo<br />
<strong>di</strong> Theodor Herzl, se non ad<strong>di</strong>rittura un provvidenziale Messia per gli ebrei? È<br />
una tesi sicuramente provocatoria, che tra<strong>di</strong>sce il gusto del paradosso nel suo<br />
autore. Che Hitler, d’altronde, potesse essere catturato e finire alla sbarra (con<br />
conseguente e scontata condanna analoga a quelle <strong>di</strong> Norimberga) era una<br />
possibilità tutt’altro che remota e venne presa in seria considerazione dagli alleati<br />
durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale: si scontrarono al riguardo le opinio-<br />
William L. Shirer, in Gli anni dell’incubo 1930-1940, trad. <strong>di</strong> Alessandro Sarti, CDE, Milano<br />
1987, pp. 169-172 (con un amaro commento sull’ignoranza e l’insensibilità <strong>di</strong> Lindbergh). Invitato<br />
dal comitato America First a Des Moines (Iowa), l’11 settembre 1941, Lindbergh vi tenne un<br />
infuocato <strong>di</strong>scorso accusando gli ebrei <strong>di</strong> voler trascinare in guerra gli Stati Uniti: sul <strong>di</strong>scorso,<br />
sulle polemiche che ne seguirono e sulle accuse <strong>di</strong> antisemitismo a Lindbergh, vd. A. Scott Berg,<br />
Lindbergh, l’aquila solitaria, trad. <strong>di</strong> Carla Lazzari, Mondadori, Milano 1999, pp. 399-405.<br />
92 Nell’intervista a Livia Manera Philip Roth ricorda l’angoscia che lo attanagliava quando,<br />
bambino, ascoltava i <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> Hitler alla ra<strong>di</strong>o (Livia Manera, Lindbergh e Hitler. Ecco gli<br />
incubi che la mia America non <strong>di</strong>mentica, in «Corriere della Sera», 2 ottobre <strong>2004</strong>).<br />
93 Così David Gates, Usa a stelle e svastiche, in «L’Espresso», 30 settembre <strong>2004</strong>, p. 119.<br />
Respinge invece l’analogia tra l’antisemita Lindbergh e il presidente Bush Pierluigi Battista,<br />
La guerra preventiva <strong>di</strong> Philip Roth, in «Corriere della Sera», 19 marzo 2005.<br />
94 George Steiner, Il processo <strong>di</strong> San Cristobal, trad. <strong>di</strong> Donatella Abbate Ba<strong>di</strong>n, Rizzoli,<br />
Milano 1982.<br />
–81–
ni <strong>di</strong> Churchill e Roseevelt, inclini alla soluzione spiccia dell’esecuzione imme<strong>di</strong>ata<br />
<strong>di</strong> Hitler e degli altri capi nazisti, 95 con quella insolitamente garantista<br />
<strong>di</strong> Stalin, che voleva rispettare le forme del processo legale. Ma il Führer,<br />
posto che venisse processato, avrebbe avuto le energie e la luci<strong>di</strong>tà necessaria<br />
per <strong>di</strong>fendersi? Tutti i testimoni degli ultimi giorni <strong>di</strong> Hitler nel bunker <strong>di</strong> Berlino<br />
(da ultimo reso sullo schermo in modo eccellente dall’attore Bruno Ganz<br />
nel film La caduta <strong>di</strong> Oliver Hirschbiegel) 96 sono stati concor<strong>di</strong> nell’affermare<br />
che il capo nazista era ridotto a un vecchio catatonico, pallido e tremante,<br />
probabilmente malato <strong>di</strong> Parkinson e sostenuto dai farmaci eccitanti che gli<br />
somministrava il suo me<strong>di</strong>co personale professor Theo Morell. E tale lo<br />
immagina Roger Spiller nel suo saggio Il Führer alla sbarra (Roger Spiller,<br />
Il Führer alla sbarra, in Se Lenin non avesse fatto la rivoluzione, cit., pp. 371-<br />
393), affermando però che il regime carcerario avrebbe probabilmente giovato<br />
alla sua salute.<br />
Eric-Emmanuel Schmitt nel romanzo La parte dell’altro (La part de<br />
l’autre, 2001), 97 immagina quale sarebbe stata la vicenda umana <strong>di</strong> Hitler<br />
(in questo caso <strong>di</strong> un Hitler sottratto ai riflettori della Storia) se per ipotesi<br />
fosse stato ammesso all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Vienna l’8 ottobre 1908:<br />
al posto del <strong>di</strong>ttatore sanguinario e megalomane e <strong>di</strong> un conflitto mon<strong>di</strong>ale<br />
costato cinquantacinque milioni <strong>di</strong> morti (<strong>di</strong> cui sei milioni <strong>di</strong> ebrei) e immani<br />
rovine, vi è un sensibile studente che compie il suo percorso <strong>di</strong> giovane<br />
artista, si arruola e sperimenta la vita della trincea durante la prima<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale, quin<strong>di</strong>, nauseato dalla guerra, si trasferisce a Parigi, frequenta<br />
i pittori surrealisti a Montparnasse e acquisisce celebrità e ricchezza.<br />
Quin<strong>di</strong> si sposa ma la moglie gli muore presto <strong>di</strong> tubercolosi, si risposa con<br />
una giovane ebrea americana, già sua amante, nonostante l’opposizione dei<br />
95 Dai resoconti del Gabinetto <strong>di</strong> Guerra britannico si desume che Churchill avrebbe preferito<br />
mandare subito Hitler alla se<strong>di</strong>a elettrica, per evitare un “processo farsa”: vd. Luigi Ippolito,<br />
E Churchill <strong>di</strong>sse: «Gandhi? Muoia <strong>di</strong> fame», in «Corriere della Sera», 2 gennaio 2005.<br />
96 Il regista Hirschbiegel ha dovuto <strong>di</strong>fendersi dall’accusa <strong>di</strong> aver troppo “umanizzato” il<br />
<strong>di</strong>ttatore tedesco. Sulle polemiche e <strong>di</strong>scussioni seguite al film citiamo: Wlodek Goldkorn,<br />
Nostro fratello Hitler, in «L’Espresso», 28 ottobre <strong>2004</strong>, pp. 130-136 (sul rischio che il <strong>di</strong>ttatore<br />
tedesco <strong>di</strong>venti un’icona pop); Maurizio Porro, «Troppo buono con Hitler? Accuse ingiuste», in<br />
«Corriere della Sera», 13 aprile 2005 (intervista a Bruno Ganz); Ian Buruma, Hitler: la <strong>di</strong>sfatta<br />
<strong>di</strong> un uomo banale, in «Corriere della Sera», 14 aprile 2005; Pasquale Chessa, Adolf Hitler: male<br />
assoluto oppure umano, troppo umano?, in «Panorama», 21 aprile 2005, pp. 126-134; Tullio Kezich,<br />
Hitler, «mostro gentile» spaventa ancora il mondo, in «Corriere della Sera», 30 aprile 2005.<br />
97 Eric-Emmanuel Schmitt, La parte dell’altro, trad. <strong>di</strong> Alberto Bracci Testasecca, E<strong>di</strong>zioni<br />
e/o, Roma 2005.<br />
–82–
genitori <strong>di</strong> lei, e ha due gemelli. Tiene poi corsi all’Accademia In<strong>di</strong>pendente<br />
<strong>di</strong> Berlino, assiste in Francia alla guerra vittoriosa che nel 1938 la Germania<br />
intraprende contro la Polonia, appoggia le idee sioniste del suocero; infine,<br />
dopo una lunga e fortunata carriera, si ritira negli Stati Uniti, a Los Angeles<br />
e vi muore il 21 giugno 1970, lo stesso giorno in cui un astronauta tedesco<br />
mette piede sulla Luna. Questa la vita immaginaria <strong>di</strong> Hitler se avesse avuto<br />
un destino da artista affermato, una vita alquanto <strong>di</strong>versa (ma quanto migliore?)<br />
negli esiti, per lui e per l’umanità, <strong>di</strong> quella del suo doppio apparso<br />
nella storia. Ponendo a confronto le due vite, quella reale <strong>di</strong> Hitler e quella<br />
immaginaria dell’artista Adolf H., l’autore ha voluto mostrare come l’uomo<br />
sia il prodotto <strong>di</strong> scelte e circostanze che ne guidano il destino: come afferma<br />
Schmitt (p. 444) “nessuno ha il potere sulle circostanze, ma tutti hanno<br />
il potere delle proprie scelte”. E il mostro non è un essere necessariamente<br />
<strong>di</strong>verso da noi, bensì un essere come noi che prende decisioni <strong>di</strong>verse.<br />
Schmitt evoca anche il quadro storico del Novecento ignaro della <strong>di</strong>ttatura<br />
hitleriana e delle sue conseguenze: sarebbe continuato il fascismo, non sarebbe<br />
nato lo stato d’Israele, l’Unione Sovietica, vittima del <strong>di</strong>sastro economico,<br />
sarebbe crollata negli anni Sessanta, gli Stati Uniti non sarebbero mai<br />
<strong>di</strong>venuti una superpotenza, la Germania, guidata da un governo conservatore<br />
<strong>di</strong> destra, sarebbe <strong>di</strong>ventata la nazione più potente del mondo anche<br />
grazie alla bomba atomica che gli scienziati tedeschi avrebbero costruito,<br />
Berlino avrebbe dettato la cultura e la moda d’Europa al posto <strong>di</strong> Parigi.<br />
Ricor<strong>di</strong>amo da ultimo che anche sul fascismo si sono esercitati i narratori<br />
<strong>di</strong> storia virtuale: oltre al romanzo <strong>di</strong> Giovanni Orfei, 1943 Come<br />
l’Italia vinse la guerra, Fazi E<strong>di</strong>tore, Roma 2003 (che immagina la decifrazione,<br />
compiuta dal servizio segreto italiano, del co<strong>di</strong>ce crittografico usato<br />
dagli alleati e la conseguente conquista del Me<strong>di</strong>o Oriente da parte delle<br />
truppe dell’Asse: vd. la recensione <strong>di</strong> Enrico Mannucci, Che cosa sarebbe<br />
successo se l’Italia avesse vinto la guerra, in «Sette», suppl. «Corriere della<br />
Sera», n. 36, 2003), sono da ricordare il racconto La morte del Duce <strong>di</strong> Pier<br />
Carpi (cronaca delle monumentali esequie tributate dall’Italia e dal mondo<br />
all’ottuagenario Mussolini, già inaspettato trionfatore del secondo conflitto<br />
mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong>venuto poi campione della pace e del terzomon<strong>di</strong>smo in un<br />
mondo <strong>di</strong>viso dalla Guerra Fredda) 98 e l’ampio romanzo Occidente <strong>di</strong> Mario<br />
Farneti (qui il Duce, provvidenzialmente astenutosi dall’entrata in guerra a<br />
98 Vd. Pier Carpi, La morte del Duce, in Se<strong>di</strong>ci mappe del nostro futuro, a cura <strong>di</strong> Vittorio<br />
Curtoni, Gianfranco de Turris e Gianni Montanari («Galassia», n. 165), La Tribuna, Piacenza 1972.<br />
–83–
fianco <strong>di</strong> Hitler, avrebbe ad<strong>di</strong>rittura sconfitto la Russia sovietica, creando<br />
uno sterminato nuovo impero romano sotto il segno del littorio: Mario Farneti,<br />
Occidente, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 2001). 99 Il Farneti ha dato un seguito<br />
alla saga dell’impero fascista con Attacco all’Occidente (E<strong>di</strong>trice Nord,<br />
Milano 2002): dopo la morte del Duce, l’impero è retto da un triumvirato<br />
<strong>di</strong> gerarchi in attesa <strong>di</strong> definire la successione, mentre un movimento estremista<br />
palestinese riesce a destabilizzare il Me<strong>di</strong>o Oriente progettando l’invasione<br />
dell’Europa. Personaggi realmente esistiti (ed esistenti nell’Italia<br />
o<strong>di</strong>erna) agiscono insieme a quelli immaginari in una girandola <strong>di</strong> vicende<br />
che critici italiani e stranieri hanno lodato come un ottimo esempio <strong>di</strong> romanzo<br />
ucronico.<br />
5. Nazismo e fantascienza. 100 Già ben prima che i nazisti salissero<br />
al potere, le visioni da incubo che avrebbe riservato all’Europa la loro dominazione,<br />
furono curiosamente anticipate da alcuni scrittori <strong>di</strong> narrativa<br />
fantastica. Immaginando utopie negative, essi creavano inconsapevolmente<br />
99 Anche l’eventuale processo a cui gli alleati (o il popolo italiano) avrebbero potuto sottoporre<br />
Benito Mussolini, un classico esempio <strong>di</strong> storia “controfattuale”, ha fornito materia per<br />
allestire numerosi saggi e pamphlets, <strong>di</strong> tono fortemente polemico e a carattere più o meno speculativo<br />
se non apertamente apologetico. Ricor<strong>di</strong>amo, tra questa pubblicistica <strong>di</strong> varia qualità,<br />
anzitutto, lo pseudomemoriale <strong>di</strong>fensivo, autentico <strong>di</strong>vertissement letterario condotto sul filo del<br />
grottesco paradosso, <strong>di</strong> Indro Montanelli, Il buonuomo Mussolini (presentante un Duce che si<br />
sarebbe ingegnato a voler perdere la guerra per far grande l’Italia), E<strong>di</strong>zioni Riunite, Milano<br />
1947 (poi in I libelli, Rizzoli, Milano 1975); Cassius (pseudonimo dell’inglese Michael Foot), Un<br />
inglese <strong>di</strong>fende Mussolini, trad. anon., E<strong>di</strong>zioni Riunite, Milano 1947 5 , I ed. London 1943 (nel<br />
quale il capo del fascismo si <strong>di</strong>fende chiamando in causa statisti inglesi come Chamberlain,<br />
Halifax, Hoare e soprattutto Churchill); Yvon de Begnac, Palazzo Venezia, storia <strong>di</strong> un regime,<br />
E<strong>di</strong>zioni La Rocca, Roma 1951, pp. 45-103 (che al cap. III rappresenta Mussolini recitante la sua<br />
apologia davanti al popolo italiano, come Socrate davanti ai giu<strong>di</strong>ci ateniesi); Processo a Mussolini,<br />
arringa in tre u<strong>di</strong>enze <strong>di</strong> Notorius, Paneuropa, Milano 1959; Mino Caudana, Processo a<br />
Mussolini, voll. 3, Centro E<strong>di</strong>toriale Nazionale, Roma 1965² (amplissima analisi dell’operato del<br />
Duce, ove preoccupazione dell’autore è quella <strong>di</strong> preservare Mussolini da qualsiasi responsabilità<br />
per tutte le vicende del Ventennio); Paolo Pavolini, Il processo Mussolini, Bompiani, Milano<br />
1975 (ove l’autore, nel processo al Duce che ha come ironica scenografia il Castelvecchio <strong>di</strong> Verona,<br />
coinvolge nelle responsabilità del regime fascista e dei suoi esiti Vittorio Emanuele III, Badoglio<br />
e perfino Bonomi). Anche recentemente, a seguito delle <strong>di</strong>chiarazioni dell’on. Massimo<br />
D’Alema, presidente dei Ds (in Bruno Vespa, Vincitori e vinti, Rai Eri - Mondadori, Milano<br />
2005, p. 266), per il quale sarebbe stato più giusto processare Mussolini, la possibilità <strong>di</strong> un processo<br />
al Duce ha sollevato nuove <strong>di</strong>scussioni tra gli storici (vd. Pasquale Chessa, Il Duce in tribunale?<br />
Gli storici si <strong>di</strong>vidono, in «Panorama», 10 novembre 2005, pp. 38-40)<br />
100 In questo paragrafo ho utilizzato, apportandovi qualche mo<strong>di</strong>fica, un mio precedente<br />
articolo, Il mito del Quarto Reich, in «Abstracta», n. 42, novembre 1989, pp. 58-67.<br />
–84–
anticipazioni casuali, ma pur sempre significative, come riflesso <strong>di</strong> un clima<br />
europeo che, all’indomani del primo grande conflitto mon<strong>di</strong>ale, presentava<br />
elementi politici e sociali torbi<strong>di</strong> e inquietanti. Già alla fine dell’Ottocento<br />
(che aveva visto nella guerra franco-prussiana il primo conflitto condotto<br />
in epoca moderna con nuove armi <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong>struttività e, insieme,<br />
con la propaganda dell’o<strong>di</strong>o ideologico-razziale verso il rispettivo nemico)<br />
appare, come singolare e peraltro insospettabile anticipazione dell’universo<br />
concentrazionario nazista, il romanzo I cinquecento milioni della Begum<br />
<strong>di</strong> Jules Verne (1878): 101 non può, infatti, non ricordare al lettore Auschwitz<br />
o Treblinka, la mostruosa Città dell’Acciaio che Herr Schultze, chimico<br />
tedesco assertore della superiorità della razza germanica, costruisce con i<br />
capitali ere<strong>di</strong>tati dalla Begum <strong>di</strong> Ragginhara e <strong>di</strong>rige con bieca <strong>di</strong>sciplina,<br />
per produrvi terribili armi destinate a <strong>di</strong>struggere la città dell’o<strong>di</strong>ato rivale, il<br />
filantropo Sarrasin. E agli internati <strong>di</strong> un lager somigliano le abbrutite masse<br />
<strong>di</strong> schiavi senza nome (<strong>di</strong>stinti soltanto da un numero) che in Metropolis<br />
<strong>di</strong> Thea von Harbou (1912) sono asserviti al funzionamento delle macchine,<br />
nel sottosuolo della gigantesca città del futuro, che dà il titolo al romanzo. 102<br />
Il racconto S.S. <strong>di</strong> Matthews P. Shiel (1895) sembra, poi, anticipare curiosamente,<br />
anche nel titolo, l’incubo degli scherani <strong>di</strong> Himmler, il nuovo or<strong>di</strong>ne<br />
europeo fondato sulla superiorità della razza ariana, sull’eutanasia e sui programmi<br />
eugenetici: una epidemia <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> in Europa maschera i delitti<br />
rituali <strong>di</strong> una setta segreta, la S.S. (“Società <strong>di</strong> Sparta”), che, in nome del<br />
miglioramento razziale, toglie <strong>di</strong> mezzo gli anziani, i malati incurabili e gli<br />
invali<strong>di</strong>. 103 Peraltro, a sottolineare le analogie del racconto, va ricordato che<br />
Hitler stesso avrebbe voluto organizzare il Reich alla maniera <strong>di</strong> Sparta, con<br />
lo Herrenvolk ariano in funzione dominante rispetto alla massa dei popoli<br />
europei asserviti, moderni iloti, al giogo tedesco, come ricorda Otto Strasser,<br />
101 Vd. l’intr. <strong>di</strong> Giansiro Ferrata a Jules Verne, I 500 milioni della Begum, a cura <strong>di</strong> Giansiro<br />
Ferrata e Mario Spagnol, Mondadori, Milano 1970, pp. VII-XXV. Sul romanzo <strong>di</strong> Verne:<br />
Carlo Formenti, Verne, il visionario che raccontò gli incubi del nazismo, in «Corriere della<br />
Sera», 10 marzo 2005 (ov’è rilevata l’analogia tra la città-fabbrica <strong>di</strong> Schultze e i lager nazisti).<br />
102 Thea von Harbou, Metropolis, trad. <strong>di</strong> Luigi Cozzi, Compagnia del Fantastico - Gruppo<br />
Newton, Roma 1996. Dal romanzo della von Harbou il marito, il famoso regista Fritz Lang,<br />
trasse nel 1926 l’omonimo film, capolavoro del cinema espressionista tedesco.<br />
103 Matthews P. Shiel, S.S., trad. <strong>di</strong> Attilio Carapezza, in 150 anni in giallo, a cura <strong>di</strong> Giuseppe<br />
Lippi, Mondadori, Milano 1989, pp. 105-134. Sui programmi eugenetici nazisti vd. da<br />
ultimo Giovanni Sale S.I., Legge sulla sterilizzazione, lotta al comunismo e Terzo «Reich», in<br />
«Civiltà Cattolica», n. 3727, 1° ottobre 2005, pp. 14-23.<br />
–85–
già antico sodale del Führer, in un libro rivelatore che apparve all’indomani<br />
della liberazione <strong>di</strong> Roma. 104<br />
Più tar<strong>di</strong>, dopo la catastrofe della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e la sparizione<br />
dell’uomo che aveva dominato il destino dell’Europa per un decennio,<br />
la figura <strong>di</strong> Hitler entra anche in un campo del tutto estraneo alle scienze storiche:<br />
la fantascienza (science-fiction, SF). All’interno <strong>di</strong> questo genere, infatti,<br />
si può agevolmente in<strong>di</strong>viduare un filone <strong>di</strong> racconti, ad opera <strong>di</strong> autori<br />
come Asimov, Leiber, Bradbury, Slesar, Fast, che trattano in modo più o<br />
meno esplicito del <strong>di</strong>ttatore nazista. Un Hitler, sia chiaro, che mantiene tutti i<br />
tratti della personalità e dell’ideologia che lo hanno reso tragicamente celebre,<br />
la megalomania, il brutale culto della forza e del principio razziale,<br />
l’o<strong>di</strong>o per gli ebrei. Ma la sua figura è collocata nella storia alternativa o in<br />
universi paralleli, ove gli autori danno la possibilità che il terzo Reich sia sopravvissuto<br />
alla guerra o sia stato rifondato. È una sorta <strong>di</strong> “quarto Reich”<br />
non <strong>di</strong>ssimile da quello che la nostra storia ha conosciuto ma del tutto fantastico,<br />
elaborato in romanzi storici “rovesciati” (il protagonista è reale, lo<br />
sfondo no) e affascinante proprio perché chimerico. Il gioco della fantasia<br />
rassicura in qualche modo il lettore e lo tranquillizza dall’angoscia <strong>di</strong> calcolare<br />
tra i futuri possibili anche un remotissimo ritorno delle ban<strong>di</strong>ere con la<br />
croce uncinata. La storia <strong>di</strong>viene mito e il <strong>di</strong>vertimento esorcizza la paura inconfessata<br />
(e il te<strong>di</strong>o) del lettore, l’hypocrite lecteur, che nelle invenzioni e<br />
nelle suggestioni dei narratori <strong>di</strong> fantascienza coglie i simboli in<strong>di</strong>cativi del<br />
suo tempo (ricor<strong>di</strong>amo le parole del critico e poeta Sergio Solmi, che fu tra i<br />
primi a riconoscere <strong>di</strong>gnità letteraria e poesia a questo genere). 105<br />
Che cosa ha autorizzato gli scrittori <strong>di</strong> fantascienza ad assumere nel<br />
loro campionario un soggetto così particolare? Il proce<strong>di</strong>mento che essi realizzano<br />
è piuttosto insolito nella letteratura rigorosamente <strong>di</strong> SF, che è narrativa<br />
<strong>di</strong> anticipazione. In questo caso si tratta invece <strong>di</strong> riplasmare il passato,<br />
ricrearlo fantasticamente, contravvenendo ad uno dei più consolidati<br />
canoni della SF, la profezia del futuro o la metaforica mutazione del presente<br />
(le utopie e le antiutopie <strong>di</strong> Orwell e Huxley).<br />
Che lo scrittore <strong>di</strong> SF sia portato a manipolare il dato storico e a ricreare<br />
perciò la realtà del passato, non deve sorprendere. La trasgressione della<br />
104 Otto Strasser, Hitler segreto, trad. <strong>di</strong> Tommaso Pignatelli, Donatello De Luigi, Roma<br />
1944, p. 225.<br />
105 Sergio Solmi, pref. a Le meraviglie del possibile, a cura <strong>di</strong> Sergio Solmi e Carlo Fruttero,<br />
Einau<strong>di</strong>, Torino 1973, p. XX.<br />
–86–
ealtà operata dall’immaginario anche per il passato è conseguenza dell’essere<br />
la SF un particolare genere narrativo ove la struttura della fabula obbe<strong>di</strong>sce<br />
vistosamente all’intenzione <strong>di</strong> straniamento: si raccontano vicende<br />
strane e nuove, ambientate oltre i limiti del tempo e dello spazio, perché ciò<br />
fa parte <strong>di</strong> una scommessa che ha per posta l’accattivato <strong>di</strong>vertimento del<br />
lettore, colpendone il senso della fiaba e dell’immaginazione. Ed ecco<br />
quin<strong>di</strong> che lo scrittore <strong>di</strong> SF può utilizzare anche la figura <strong>di</strong> Hitler nel suo<br />
giuoco fantastico e insieme poetico: un Hitler estrapolato dalla storia vissuta<br />
e ridotto, forse talvolta con visione uni<strong>di</strong>mensionale, ad archetipo del<br />
male. Ma egli <strong>di</strong>viene, poi, ciò che lo scrittore <strong>di</strong> SF vuole che sia: anzitutto<br />
il superomistico dominatore <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> impazziti, <strong>di</strong> universi paralleli, <strong>di</strong><br />
terre devastate da conflitti atomici e popolate da orride creature; oppure il<br />
sopravvissuto, una mummia tremante scampata fortunosamente al <strong>di</strong>sastro<br />
del Terzo Reich e in attesa consapevole della vendetta dei figli delle vittime<br />
sulla sua follia genocida. Nelle strutture dei racconti che abbiamo esaminato<br />
si colgono in genere queste due possibilità: a) Hitler è morto ma il Reich gli<br />
sopravvive (vittoria dei nazisti su russi e americani e soggezione dell’umanità<br />
alla svastica); b) l’impero nazista è crollato ma il suo capo sopravvive<br />
nascosto in un misterioso rifugio (es., un tranquillo paesino del Messico per<br />
Slesar): è il tema della caccia al grande criminale della storia e della vendetta<br />
dei perseguitati sugli ex persecutori. Allusioni e riferimenti storici<br />
sono ovviamente <strong>di</strong>sseminati nel testo e noi cercheremo <strong>di</strong> coglierne i più<br />
significativi.<br />
Iniziamo questa breve rassegna con Isaac Asimov. Il “buon dottore” in<br />
Storia (History, 1940), 106 immagina che Hitler sia morto in esilio nel Madagascar,<br />
proprio nel paese che aveva all’inizio previsto come meta per gli<br />
ebrei deportati. È un riferimento secondario in una conversazione fra il<br />
marziano Ullen e il terrestre Johnnie Brewster, che si svolge in un futuro<br />
lontanissimo, ma il fatto che nello stesso racconto Ullen citi un libro, L’era<br />
hitleriana, suggerisce che il Terzo Reich nell’epoca immaginata dall’autore<br />
deve essere stato qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un effimero episo<strong>di</strong>o della storia. Il che<br />
è quanto ci si sarebbe potuti attendere realmente perché, nel momento in<br />
cui Asimov scriveva il suo racconto, ossia il 1940, la vittoria delle truppe<br />
tedesche sembrava davvero imminente.<br />
106 Isaac Asimov, Storia, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in Asimov Story n. 2 («Urania»,<br />
n. 626), Mondadori, Milano 1973.<br />
–87–
Harry Harrison in Terzo Reich parallelo (Down to Earth, 1963) 107 narra<br />
<strong>di</strong> due <strong>di</strong>sgraziati astronauti che cambiano, per una <strong>di</strong>storsione temporale,<br />
universo e atterrano su una terra dominata dalle truppe naziste. Gli ultimi<br />
resistenti combattono <strong>di</strong>speratamente nelle regioni libere d’America una<br />
battaglia impari. I due astronauti, Gino Lombar<strong>di</strong> e Dan Glazer, riescono a<br />
fuggire fortunosamente da quell’orribile realtà, ma per ritrovarsi non proprio<br />
a casa loro. Mentre infatti si avvicina l’incrociatore venuto a recuperare gli<br />
astronauti ammarati, essi lanciano un grido strozzato: è la ban<strong>di</strong>era americana,<br />
con le sue strisce bianche e rosse e le cinquanta stelle bianche su<br />
campo nero ad avvertirli che sono entrati in un altro, chissà quanto <strong>di</strong>ssimile,<br />
universo.<br />
Asimov riprende lo stesso tema in Spazio vitale (Living space, 1957): 108<br />
in un pianeta desertico un astronauta incontra un altro proveniente da una<br />
terra dominata dai nazisti. L’incontro avviene nell’anno 2364 dell’“era<br />
hitleriana”.<br />
Una certa compassione non mancano <strong>di</strong> suscitare i tre vecchi scienziati<br />
ebrei del racconto Nella mente <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> Howard Fast (The mind of God,<br />
1972). 109 Spendono milioni <strong>di</strong> dollari e anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> per progettare una macchina<br />
del tempo, con cui mandare un uomo in<strong>di</strong>etro nel passato: nel 1897,<br />
in un paesino austriaco, Braunau. Lì l’uomo dovrà tagliare la gola ad un<br />
bambino <strong>di</strong> otto anni, <strong>di</strong> nome Adolf. Sfortunatamente egli perde ogni ricordo<br />
della sua missione e torna nel presente senza aver concluso nulla.<br />
Nessun uomo, infatti, come spiega desolatamente uno dei tre, Goldman,<br />
può guardare nel futuro e sapere l’ora della sua morte. Cosicché, quando<br />
hanno inviato il loro compagno nel passato, il futuro si è chiuso davanti a<br />
lui, separandolo da tutti i suoi ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> dolori e sofferenze, che, nel 1897,<br />
appartengono appunto al futuro. Come bambini che stuzzicano l’ignoto essi<br />
comprendono che non potranno mai più cambiare nulla del loro passato e <strong>di</strong><br />
quello <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> esseri che hanno conosciuto la sventura dei campi <strong>di</strong><br />
sterminio. Il mondo dovrà perciò conoscere, nelle infinite possibilità <strong>di</strong> rivisitazione<br />
del passato, gli orrori del periodo nazista. Di fronte a un passato<br />
107 Harry Harrison, Terzo Reich Parallelo, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in Aa. Vv., Contatto<br />
col nemico («Urania», n. 359), Milano 1964.<br />
108 Isaac Asimov, Spazio vitale, trad. <strong>di</strong> Riccardo Valla, in La terra è abbastanza grande,<br />
E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1975.<br />
109 Howard Fast, Nella mente <strong>di</strong> Dio, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in La mano («Urania»,<br />
n. 649), Mondadori, Milano 1974.<br />
–88–
incancellabile, all’invincibile necessità della storia, la rassegnazione e la<br />
malinconia dei tre vecchi sono l’inevitabile risposta ad una domanda<br />
(perché Dio ha permesso il nazismo e l’olocausto?) che si perde nell’insondabilità<br />
metafisica.<br />
Soffuso <strong>di</strong> una vena <strong>di</strong> poesia, tipica dello stile <strong>di</strong> questo autore, è il racconto<br />
<strong>di</strong> Ray Bradbury, Breve storia del quarto Reich (Darling Adolf,<br />
1974). 110 Hitler è qui impersonato da un attore <strong>di</strong> mezza tacca, ingaggiato<br />
per interpretare il Führer da un produttore americano. Ma il gioco prende la<br />
mano all’attorucolo che comincia a credere <strong>di</strong> essere realmente la reincarnazione<br />
del <strong>di</strong>ttatore tedesco. Si comporta in modo arrogante verso il regista e<br />
il produttore, farnetica <strong>di</strong> grandezza della Germania e <strong>di</strong> rinascita del Reich<br />
e pretende una costosissima ricostruzione del raduno <strong>di</strong> Norimberga, con<br />
fiaccolata e cineprese come un tempo quelle <strong>di</strong> Leni Riefenstahl. Improvvisamente<br />
accade il peggio: altri tre attori dello stesso film, somigliantissimi a<br />
Goebbels, Goering ed Hess, rapiscono Hitler e lo portano a Norimberga,<br />
nello sta<strong>di</strong>o della città, ove hanno realmente organizzato un gran<strong>di</strong>oso<br />
raduno, chiamando a raccolta una folla <strong>di</strong> re<strong>di</strong>vivi nazisti. È l’ora <strong>di</strong> un’incre<strong>di</strong>bile,<br />
insperata resurrezione? No, e qui sta la trovata del racconto. Di<br />
fronte a una folla isterica e delirante, pronta a lacerare l’aria con l’assordante<br />
grido “Sieg Heil!” e ad osannare il ritrovato Führer, proprio l’attore<br />
che impersona Hitler riporta tutti alla vera realtà, spezzando la magia dell’illusione.<br />
Egli confessa, infatti, <strong>di</strong> non essere altro che un attore ingaggiato<br />
per recitare la parte <strong>di</strong> Hitler e <strong>di</strong> essere per giunta stanco <strong>di</strong> quel ruolo: non<br />
è colpa sua se è stato portato in quel posto da tre esaltati che hanno organizzato<br />
quell’assurda, folle, mascherata. Ma perché la finzione continui a restare<br />
tale, prega il regista <strong>di</strong> terminare la scena; poi, tutti andranno a casa.<br />
Sembra chiedere l’autore al lettore: se il vero Hitler avesse provvidenzialmente<br />
sospeso la sua recita <strong>di</strong> fronte alle masse osannanti, quanti orrori sarebbero<br />
stati risparmiati al mondo? È indubbiamente un racconto suggestivo<br />
sia per l’atmosfera in cui è ambientato, perennemente sospesa tra finzione e<br />
realtà, sia per le citazioni e le tematiche a cui l’autore rimanda. Non è possibile,<br />
in questo caso, non ricordare il rapporto tra il cinema e il nazismo, un<br />
rapporto che fu molto stretto, se si pensa alla cura minuziosa, quasi ossessiva,<br />
con cui i nazisti filmarono ogni momento della loro storia (dalle adu-<br />
110 Ray Bradbury, Breve storia del quarto Reich, trad. <strong>di</strong> Antonangelo Pinna, in Molto dopo<br />
mezzanotte («Urania», n. 732), Mondadori, Milano 1977.<br />
–89–
nate ai campi <strong>di</strong> sterminio), lasciando documenti che <strong>di</strong>vennero terribili capi<br />
d’accusa, ed è indubbio che l’uso della propaganda più moderna contribuì<br />
non poco ad influenzare la psicologia delle masse. Ma la figura <strong>di</strong> Hitler<br />
come grande istrione, maestro <strong>di</strong>abolico nel suggestionare ed ipnotizzare la<br />
folla, è stata in<strong>di</strong>viduata e, a livello allegorico, prefigurata in personaggi del<br />
cinema tedesco espressionista, come il dottor Caligari <strong>di</strong> Robert Wiene<br />
(1919) o il dottor Mabuse <strong>di</strong> Fritz Lang (1922), il supercriminale che, ipnotizzando<br />
le sue vittime, tiene in pugno una città intera. Il rapporto tra il<br />
dottor Caligari e il sonnambulo Cesare, suo succubo nel film <strong>di</strong> Wiene, è,<br />
secondo alcuni critici, lo stesso che si stabilisce tra Hitler e il popolo<br />
tedesco. Un altro interessante riferimento si può cogliere alla fine del racconto.<br />
L’uscita dalla scena <strong>di</strong> Hitler ricorda il finale <strong>di</strong> un famoso film <strong>di</strong><br />
Billy Wilder, Viale del Tramonto (Sunset Boulevard, 1950). Come Gloria<br />
Swanson, dopo aver ucciso il suo amante William Holden, prima <strong>di</strong> essere<br />
portata via dai poliziotti, chiede al regista De Mille <strong>di</strong> riprenderla in un’ultima<br />
sequenza, così l’attore Hitler, dopo aver ucciso le speranze <strong>di</strong> una rinascita<br />
del Reich nella folla <strong>di</strong> esagitati neonazisti, chiede al regista <strong>di</strong> terminare<br />
la sequenza del raduno, e se ne va. L’analogia più vistosa si ha però<br />
con il famoso film Il <strong>di</strong>ttatore (The great <strong>di</strong>ctator, 1940) <strong>di</strong> Chaplin. Il <strong>di</strong>scorso<br />
del piccolo barbiere ebreo, sosia del feroce <strong>di</strong>ttatore Hynkel-Hitler,<br />
con i suoi accenti <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> umanità è in sostanza identico a quello dell’attore<br />
nel racconto <strong>di</strong> Bradbury. Ma mentre nel racconto, con l’agnizione<br />
finale, l’attore, rivelando che non è Hitler, elimina il personaggio e quin<strong>di</strong> le<br />
possibili conseguenze del gioco illusorio, nel film non vi è, al contrario, alcuno<br />
smascheramento. Il barbiere Charlot, non rivelando <strong>di</strong> essere solo un<br />
sosia del <strong>di</strong>ttatore, persuade il popolo alla pace e riesce a debellare una<br />
guerra già in atto: resta in pie<strong>di</strong> la finzione del personaggio Hynkel-Hitler,<br />
ma caricata <strong>di</strong> una valenza positiva (il tiranno ferocemente guerrafondaio si<br />
rivela grottescamente, tra le ovazioni del popolo, un convinto pacifista). E<br />
ciò non deve sorprendere perché Chaplin, come del resto la maggior parte<br />
dell’opinione pubblica europea e soprattutto americana (si ricor<strong>di</strong> che Chaplin<br />
girò il film in America) sperava, nel 1940, che la pace fosse ancora<br />
possibile. Il racconto è interessante anche perché presenta tematiche estremamente<br />
attuali, come la persuasione occulta operata dai mass-me<strong>di</strong>a e la<br />
loro incidenza nel creare miti anche pericolosi.<br />
Altri autori, noti per l’innesto nella fantascienza <strong>di</strong> una vena satirica e<br />
paro<strong>di</strong>stica, deformano in storie surreali i tratti del personaggio Hitler. È il<br />
caso <strong>di</strong> Fritz Leiber che in L’ingegner Dolf (Catch that Zeppelin!, 1974) 111<br />
–90–
ci offre un ritratto decisamente anomalo e sorprendente <strong>di</strong> Hitler: è un ingegnere<br />
tedesco specializzato nella costruzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigibili, che vive in un improbabile<br />
futuro dominato dai sovietici ed è totalmente integrato nel sistema<br />
<strong>di</strong> vita americano.<br />
Ron Goulart, nel romanzo Heil Hibbler (Hail Hibbler, 1980), 112 con<br />
la vena visionaria che gli è propria, immagina che nel 1944 lo scienziato nazista<br />
Adolf Hibbler, grottesca paro<strong>di</strong>a del <strong>di</strong>ttatore, sia fuggito da Berlino.<br />
Vissuto per decenni in un rifugio del Mato Grosso, in Brasile, in una sorta<br />
<strong>di</strong> animazione sospesa dentro una bara <strong>di</strong> ghiaccio, riportato in vita, realizza<br />
il mici<strong>di</strong>ale “raggio della morte” al soldo <strong>di</strong> un oscuro e malvagio tecnocrate.<br />
Il tema della vendetta si presenta nel racconto Quarto Reich <strong>di</strong> Henry<br />
Slesar (The rise and the Fall of the Fourth Reich, 1973): 113 due scienziati<br />
tedeschi riportano miracolosamente un Hitler vecchissimo alla giovinezza<br />
per fargli pagare le sue nefandezze.<br />
Forse il più sorprendente tra i testi <strong>di</strong> questa serie, è il romanzo Il<br />
signore della svastica <strong>di</strong> Norman Spinrad (The Iron Dream, 1972). 114 In un<br />
rovesciamento totale delle parti, storia e ucronia, fantasia e realtà, autore,<br />
narratore e personaggio si confondono e si <strong>di</strong>stinguono continuamente come<br />
in una sorta <strong>di</strong> caleidoscopio. Spinrad fa <strong>di</strong>ventare Hitler uno scrittore <strong>di</strong><br />
fantascienza <strong>di</strong> origine austriaca, emigrato in America, e <strong>di</strong> lui presenta<br />
anche una (falsa) scheda biobibliografica (da notare che i titoli dei romanzi<br />
attribuiti ad Hitler scrittore sono identici agli slogan nazisti più noti: La<br />
razza superiore, Domani il mondo, L’or<strong>di</strong>ne millenario, etc.). Il signore<br />
della svastica è dunque presentato come un romanzo scritto da Hitler<br />
stesso. Come ci narrano le note biografiche premesse al testo, Hitler, nato in<br />
Austria nel 1889, emigrò nel 1919 a New York e dopo qualche anno <strong>di</strong>venne<br />
uno scrittore ed illustratore <strong>di</strong> SF <strong>di</strong> successo, fino a vincere il premio<br />
Hugo 115 con il romanzo postumo Il signore della svastica. Stando a questa<br />
111 Fritz Leiber, L’ingegner Dolf, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in Aa. Vv., Pistolero fuori<br />
tempo («Urania», n. 676), Mondadori, Milano 1975.<br />
112 Ron Goulart, Heil Hibbler, trad. <strong>di</strong> Vittorio Curtoni («Urania», n. 926), Mondadori,<br />
Milano 1982.<br />
113 Henry Slesar, Quarto Reich, trad. <strong>di</strong> Giulia Rosella Sanità, in Aa. Vv., Quarto Reich e<br />
altri racconti («Urania», n. 729), Mondadori, Milano 1977.<br />
114 Norman Spinrad, Il signore della svastica, trad. <strong>di</strong> L. Costa, Longanesi, Milano 1976.<br />
Sul romanzo: Carlo Formenti, Il Führer alla guerra dei mon<strong>di</strong>, in «Corriere della Sera», 31<br />
luglio 2005.<br />
115 È il più importante riconoscimento assegnato annualmente negli USA agli scrittori <strong>di</strong><br />
fantascienza.<br />
–91–
falsa biografia Hitler sarebbe morto nel 1953. Il testo narra le imprese <strong>di</strong><br />
Feric Jaggar, sorta <strong>di</strong> superuomo o Vero Uomo dal genotipo purissimo<br />
(come ossessivamente ricorda l’autore Spinrad-Hitler), il quale, in una terra<br />
devastata dagli effetti <strong>di</strong> un conflitto atomico, muove alla conquista dell’impero<br />
Heldon armato <strong>di</strong> una pro<strong>di</strong>giosa mazza ferrata. Come si nota, vi è un<br />
sorprendente scambio dei ruoli convenzionali tra autore, narratore e personaggio.<br />
Norman Spinrad, che inventa Hitler romanziere e scrive attribuendo<br />
a questi il romanzo Il signore della svastica, immagina il personaggio <strong>di</strong><br />
Feric Jaggar, che in sostanza rappresenta ciò che Hitler (il <strong>di</strong>ttatore) si considerava,<br />
il capo supremo <strong>di</strong> un mondo che sarebbe dovuto finire sotto il<br />
dominio della svastica, ed insieme anche il superuomo <strong>di</strong> razza ariana. Le<br />
avventure <strong>di</strong> Feric, ricalcate grossolanamente proprio sui principi del Mein<br />
Kampf, sono grottesca paro<strong>di</strong>a della vicenda <strong>di</strong> Hitler e la narrazione, a<br />
focalizzazione esterna, risulta non<strong>di</strong>meno preve<strong>di</strong>bile, in quanto il lettore ha<br />
modo <strong>di</strong> rendersi conto che il romanzo ripercorre, pur trasponendolo in un<br />
mondo e in un’epoca <strong>di</strong>versa, il cammino del Führer. Così seguiamo le avventure<br />
<strong>di</strong> Feric Jaggar, un monocorde e grottesco susseguirsi <strong>di</strong> battaglie e<br />
massacri <strong>di</strong> ripugnanti umanoi<strong>di</strong>, inframmezzate dalla progettazione <strong>di</strong> piani<br />
per la conquista del pianeta (materia abituale delle riflessioni dei capi<br />
nazisti). Nella storia del Vero Uomo Feric il lettore, dunque, non fatica a<br />
scorgere la grottesca paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Hitler: punti del romanzo, infatti,<br />
contengono precise allusioni in questo senso. La nascita, anzitutto: Feric<br />
nasce a Borgravia, paese al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> Heldon e aspira a essere citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong><br />
questo stato, così come Hitler era nato a Braunau, in Austria, ma aspirava<br />
alla citta<strong>di</strong>nanza tedesca. Borgravia è stata separata da Heldon dal vergognoso<br />
trattato <strong>di</strong> Karmak, così come l’Austria e la Germania furono <strong>di</strong> fatto<br />
separate dai trattati <strong>di</strong> Saint-Germain e <strong>di</strong> Versailles. Feric incontra Bogel<br />
(chiara allusione a Goebbels), il suo futuro braccio destro, in una taverna<br />
chiamata “Il nido dell’aquila”. Le prime riunioni naziste avvenivano nella<br />
famosa birreria <strong>di</strong> Monaco Bürgerbraukeller e “Nido dell’aquila” era il<br />
nome <strong>di</strong> uno dei famosi rifugi <strong>di</strong> Hitler. L’incontro <strong>di</strong> Feric Jaggar con Stag<br />
Stopa, capo <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> giovani ban<strong>di</strong>ti, i Ven<strong>di</strong>catori Neri, e la sua<br />
liquidazione ad opera dello stesso Feric, ricorda la vicenda <strong>di</strong> Ernst Roehm,<br />
il capo delle S.A. fatto sopprimere da Hitler nella “notte dei lunghi coltelli”<br />
(1934). Stopa riconosce in Feric Jaggar il predestinato duce <strong>di</strong> Heldon e<br />
mette a sua <strong>di</strong>sposizione i Ven<strong>di</strong>catori Neri, come Roehm mette al servizio<br />
<strong>di</strong> Hitler le S.A. Il programma del partito della rinascita umana, fondato da<br />
Feric (lotta per la purezza del gene umano autentico, per lo sterminio dei<br />
–92–
Dominatori antiumani, per la dominazione <strong>di</strong> Heldon sul mondo) ricorda da<br />
vicino quello del partito nazista. Non mancano poi le adunate esultanti dell’armata<br />
<strong>di</strong> Feric, con le complicate evoluzioni dei soldati, schierati a forma<br />
<strong>di</strong> svastica. E le analogie potrebbero continuare. Anche i nomi dei personaggi<br />
richiamano i capi nazisti. Ludolf Best, il giovane attendente <strong>di</strong> Feric,<br />
ricorda Rudolf Hess; il teorico del partito, Parmerob, il filosofo nazista<br />
Rosenberg; Lar Waffing, comandante dell’armata aerea e della polizia, è il<br />
feldmaresciallo Hermann Goering. E Feric Jaggar? Ovviamente Spinrad<br />
non poteva utilizzare il nome <strong>di</strong> Hitler, che aveva prestato all’ipotetico<br />
romanziere autore del Signore della svastica. Non si può però fare a meno<br />
<strong>di</strong> notare che i tratti più appariscenti del personaggio rappresentano una<br />
commistione <strong>di</strong> quelli del superuomo nietzscheiano e, più in generale, degli<br />
eroi delle saghe nor<strong>di</strong>che. Il nome stesso, Feric, evoca questi accostamenti.<br />
Viene in mente Siegfried, l’eroe della saga dei Nibelunghi. L’arma magica<br />
che dà il supremo potere a Feric, e che solo il predestinato al dominio su<br />
Heldon può maneggiare, ricorda in effetti molto da vicino la spada che il<br />
nano Mime forgia per Siegfried e con la quale l’eroe abbatte il drago Fafnir.<br />
Ma l’arma che dona all’eroe l’invincibilità e che questi può possedere solo<br />
dopo una prova iniziatica è motivo topico <strong>di</strong> racconti e leggende <strong>di</strong> varie<br />
aree culturali (come quelle, per esempio, del ciclo arturiano, che contengono<br />
il mito della leggendaria spada Excalibur). I riferimenti storici non si<br />
fermano qui. Il nome Feric richiama da ultimo il tedesco Friedrich e ricor<strong>di</strong>amo<br />
che il grande sovrano Federico II <strong>di</strong> Prussia (1712-1786), fondatore<br />
della Germania moderna, era forse il personaggio storico più amato dal<br />
Führer, che si illuse <strong>di</strong> possedere lo stesso destino <strong>di</strong> grandezza. Egli lesse la<br />
biografia <strong>di</strong> Federico II <strong>di</strong> Prussia <strong>di</strong> Thomas Carlyle, e sperò fino all’ultimo,<br />
nella Berlino asse<strong>di</strong>ata dai russi, in un clamoroso rovesciamento <strong>di</strong><br />
fronte che avrebbero dovuto assicurargli le <strong>di</strong>visioni del generale Wenck,<br />
così come il sovrano <strong>di</strong> Prussia si era miracolosamente salvato dalla sconfitta.<br />
Si ricor<strong>di</strong> anche che il ritratto <strong>di</strong> Federico II campeggiava <strong>di</strong>etro la<br />
scrivania <strong>di</strong> Hitler nella sede della Brieunerstrasse a Monaco. Il vincitore<br />
della guerra dei Sette Anni, instancabile sul campo <strong>di</strong> battaglia, idolatrato<br />
dai suoi soldati, tirannico con gli altri e con se stesso, ha in effetti qualche<br />
tratto che richiama Hitler e quin<strong>di</strong> Feric Jaggar.<br />
Feric lotta per liberare la sua terra da una mostruosa progenie <strong>di</strong> mutanti<br />
e umanoi<strong>di</strong>, che ricordano gli ibri<strong>di</strong> esseri effigiati da Hieronymus Bosch<br />
nel Giar<strong>di</strong>no delle delizie o nell’Inferno musicale: sono esseri dalle forme<br />
più strane, pappagalloi<strong>di</strong>, uomini rospo, ameboi<strong>di</strong> giganti, strumenti <strong>di</strong> una<br />
–93–
misteriosa e perversa razza <strong>di</strong> dominatori, i Dom. Questi suggestionano le<br />
menti degli umani e dei sub-umani me<strong>di</strong>ante una rete psichica che ne coarta<br />
le azioni e la volontà, il dominogramma. Alla testa delle sue truppe (e si<br />
noti che Spinrad-Hitler descrive con cura minuziosa l’abbigliamento, i<br />
giubbotti neri, le cinture borchiate, i bracciali, le sciarpe, le ban<strong>di</strong>ere con la<br />
svastica, come quelle degli o<strong>di</strong>erni skinheads), Feric Jaggar muove all’assalto<br />
dei Dom e ne <strong>di</strong>strugge il più possibile. I Dom sono a loro volta manovrati<br />
dall’impero Zind, il successivo obiettivo della guerra <strong>di</strong> Feric. Il romanzo<br />
termina con la vittoria finale <strong>di</strong> Feric Jaggar e dei “figli della svastica”, che<br />
ora possono guardare alla prossima conquista: le stelle.<br />
Ad evitare accuse <strong>di</strong> apologia nazista, Spinrad aggiunge al testo la nota,<br />
datata al 1959, <strong>di</strong> un certo professor Homer Whipple, il quale spiega i significati<br />
psicoanalitici del romanzo. L’arma <strong>di</strong> Feric sarebbe un simbolo fallico<br />
e il romanziere uno psicotico feticista, che avrebbe prestato al protagonista<br />
della storia le sue oscure nevrosi (ritorna il tema del personaggio come<br />
“doppio” dell’autore). Sul piano storico Heldon rappresenterebbe la Germania,<br />
quale la voleva Hitler (beninteso, l’Hitler romanziere se fosse <strong>di</strong>venuto<br />
uomo politico – come spiega Spinrad), l’impero Zind l’Unione Sovietica o<br />
ad<strong>di</strong>rittura la comunità ebraica internazionale, i Dom i socialdemocratici o i<br />
democratici in generale. E Feric Jaggar, <strong>di</strong>ce Homer Whipple, è in sostanza<br />
il suo autore: uno psicopatico narcisista con ossessioni paranoi<strong>di</strong>. Conclude<br />
significativamente Homer Whipple la sua nota, <strong>di</strong>cendo che “siamo fortunati<br />
che un mostro come Feric Jaggar non possa che rimanere per sempre<br />
nelle pagine della fantascienza, sogno febbrile <strong>di</strong> un autore <strong>di</strong> fantascienza<br />
nevrotico chiamato Adolf Hitler” (p. 247). È un romanzo senza dubbio così<br />
vicino al pensiero del suo autore, probabilmente una sorta <strong>di</strong> rivisitazione in<br />
chiave paro<strong>di</strong>stica e grottesca del Mein Kampf, che alla fine della lettura,<br />
come scrive Jacques Sadoul, si rimane <strong>di</strong>sorientati. 116<br />
Passiamo ai romanzi <strong>di</strong> storia alternativa con elementi <strong>di</strong> fantascienza.<br />
Se ne deve uno a Stan Lee, il celebre creatore dei supereroi della Marvel<br />
Comics, come Spiderman e Devil: Alien Factor (Stan Lee - Stan Timmons,<br />
The Alien Factor, 2001). 117 Scritto con Stan Timmons, il romanzo <strong>di</strong> Lee<br />
immagina che, nel 1942, nella Francia occupata dai nazisti, precipiti dal<br />
116 Tanto più che Norman Spinrad è <strong>di</strong> origine ebraica. Vd. Jacques Sadoul, Storia della<br />
fantascienza, cit., p. 313.<br />
117 Stan Lee – Stan Timmons, Alien Factor, trad. <strong>di</strong> Antonella Pieretti («Urania», n. 1457),<br />
Mondadori, Milano 2003.<br />
–94–
cielo un’astronave extraterrestre. I tedeschi catturano un superstite dell’equipaggio,<br />
ma gli alleati sono decisi a impe<strong>di</strong>re che i segreti della tecnologia<br />
aliena cadano nelle mani degli uomini del Terzo Reich. La vicenda,<br />
ambientata in una Francia occupata accuratamente ricostruita, procede con<br />
un ritmo narrativo tipicamente cinematografico.<br />
Il connubio tra nazisti e alieni genera vere e proprie saghe <strong>di</strong> avventura.<br />
Già docente universitario <strong>di</strong> storia antica e storia bizantina alla California<br />
State University, passato a scrivere romanzi <strong>di</strong> fantascienza, Harry<br />
Turtledove, già ricordato come autore <strong>di</strong> Nelle parti del nemico (§ 4), ha<br />
creato una fluviale epopea costruita tra storia parallela e fantascienza, il<br />
ciclo dell’Invasione. Nel 1942, in piena seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, la Terra<br />
è invasa da un razza <strong>di</strong> potentissimi alieni rettiliformi, che minacciano <strong>di</strong><br />
sterminare l’umanità. Alle nazioni in lotta non resta che allearsi per tentare<br />
<strong>di</strong> sopravvivere al massacro scatenato da questo inaspettato e crudelissimo<br />
nemico. Lottano così fianco a fianco, in una imprevista e grottesca alleanza,<br />
i soldati tedeschi, gli angloamericani, le truppe dell’Armata Rossa<br />
e i partigiani ebrei polacchi, nella speranza <strong>di</strong> evitare lo sterminio. Agiscono<br />
nel corso della saga personaggi storici realmente esistiti come Hitler,<br />
Stalin, Roosevelt e Churchill, i generali americani Marshall e Patton, Otto<br />
Skorzeny, il capitano delle SS passato alla storia come il “liberatore” <strong>di</strong><br />
Mussolini, il ministro degli esteri nazista von Ribbentrop, quello del Giappone,<br />
Togo, e quello sovietico Molotov, gli scienziati Albert Einstein,<br />
Werner Heisenberg, Kurt Diebner ed Enrico Fermi, insieme a molti altri<br />
personaggi storici e <strong>di</strong> fantasia, umani e alieni. Nel primo capitolo della<br />
saga, Invasione anno zero (Worldwar: in the Balance, 1994) 118 Turtledove<br />
immagina che nel 1942 tra i belligeranti in pieno conflitto piombi l’invasione<br />
<strong>di</strong> una flotta aliena che intende conquistare Tosev 3 (il nome della<br />
Terra secondo la lingua della Razza extraterrestre). Gli alieni cominciano a<br />
invadere il Giappone, poi attaccano gli altri paesi, bombardando le città europee<br />
con i loro inattaccabili velivoli, e stabiliscono basi sul pianeta. Ma<br />
gli umani, che non tardano ad accorgersi del mortale pericolo, depongono<br />
ogni reciproca ostilità e si alleano in una lotta per la sopravvivenza. Nel romanzo,<br />
ove si susseguono interminabili sequenze <strong>di</strong> battaglie tra umani e<br />
alieni, con descrizioni <strong>di</strong> massacri e devastazioni, trovano posto anche episo<strong>di</strong><br />
curiosi in cui agiscono i personaggi storici, rappresentati fedelmente<br />
118 Harry Turtledove, Invasione anno zero, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, TEA, Milano <strong>2004</strong>,<br />
su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord.<br />
–95–
da Turtledove nei loro effettivi caratteri: Churchill <strong>di</strong>venta l’anima appassionata<br />
della resistenza non più antinazista ma antialiena, Molotov risponde<br />
imperturbabile con il suo celebre Nyet ad Atvar, il comandante<br />
della flotta aliena, che gli chiede la sottomissione dell’Unione Sovietica,<br />
Fermi, nel suo laboratorio <strong>di</strong> Chicago, interroga scrupolosamente due<br />
alieni prigionieri sulla fissione nucleare. La saga <strong>di</strong> Turtledove prosegue<br />
con Invasione fase seconda (Worldwar: tilting the Balance, 1994), 119 poi<br />
con Invasione atto terzo (Worldwar: upsetting the Balance, 1996), 120 e si<br />
completa con Invasione atto finale (Worldwar: striking the Balance,<br />
1996). 121 Alla saga dell’Invasione il prolifico Turtledove ha dato un seguito<br />
con quella della Colonizzazione, ulteriore vasto affresco <strong>di</strong> storia parallela,<br />
che svolge il tema della progressiva colonizzazione della Terra da parte<br />
della razza aliena, a seguito della parziale vittoria sugli umani nella seconda<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale e la conseguente conquista del Sudamerica, dell’Africa,<br />
dell’Asia meri<strong>di</strong>onale e dell’Australia. Tutta la storia dell’umanità<br />
nel Novecento ne risulta mo<strong>di</strong>ficata, a partire dal Terzo Reich che è<br />
riuscito a sopravvivere al conflitto in virtù dell’insperata alleanza con le<br />
potenze alleate, della scoperta dell’energia atomica e dell’uso della tecnologia<br />
aliena, molto più avanzata della terrestre: sicché gli USA, l’URSS e<br />
la Germania hanno costituito basi sulla Luna e anche da lì combattono la<br />
battaglia per la liberazione del pianeta. Ne sono apparsi finora tre grossi<br />
volumi. Il primo è Colonizzazione fase 1 (Colonization Book One: Second<br />
Contact, 1998), 122 il secondo Colonizzazione fase 2 (Down to Earth,<br />
2000), 123 il terzo e finora ultimo volume Colonizzazione fase 3 (Colonization<br />
Book Three: Aftershocks, 2001). 124 Anche in questa saga si trovano,<br />
fianco a fianco, personaggi storici e alieni: tra gli altri, Molotov, Himmler,<br />
nuovo cancelliere del Reich, Mao, il maresciallo Þukov e Gromyko.<br />
119 Harry Turtledove, Invasione: fase seconda, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, Euroclub, Milano<br />
1998, su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord.<br />
120 Harry Turtledove, Invasione atto terzo, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, TEA, Milano <strong>2004</strong>,<br />
su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord.<br />
121 Harry Turtledove, Invasione atto finale, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, TEA, Milano <strong>2004</strong>,<br />
su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord).<br />
122 Harry Turtledove, Colonizzazione Fase 1, trad. <strong>di</strong> Carlo Borriello, Fanucci E<strong>di</strong>tore,<br />
Roma 2002.<br />
123 Harry Turtledove, Colonizzazione Fase 2, trad. <strong>di</strong> Carlo Borriello, Fanucci E<strong>di</strong>tore,<br />
Roma 2003.<br />
124 Harry Turtledove, Colonizzazione Fase 3, trad. <strong>di</strong> Paola Cartoceti, Fanucci E<strong>di</strong>tore,<br />
Roma <strong>2004</strong>.<br />
–96–
Ma la fantascienza, così come la storia alternativa, riserva spazio anche<br />
ad altre figure del nazismo. Una inaspettata presenza è quella <strong>di</strong> Hermann<br />
Goering, che appare, per la verità in secondo piano, in alcuni testi. L’istrionico<br />
Reichsmarschall, ad esempio, è tra i personaggi del romanzo I simulacri<br />
<strong>di</strong> Philip K. Dick (The simulacra, 1964): 125 in un mondo futuro, che ha<br />
scoperto i viaggi nel tempo, Goering viene portato fuori dalla sua epoca per<br />
convincerlo ad evitare il genoci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sei milioni <strong>di</strong> ebrei, ma sfortunatamente<br />
vi è chi non vuole mo<strong>di</strong>ficare il passato. Nel curioso romanzo Il<br />
fiume della vita <strong>di</strong> Philip José Farmer (To your scattered bo<strong>di</strong>es go, 1971) 126<br />
il corpulento personaggio compare, invece, tra la folla innumerevole che<br />
popola le rive <strong>di</strong> un misterioso, immenso fiume, situato su un pianeta sconosciuto:<br />
sono i defunti della terra, reincarnatisi in corpi giovani e glabri, e<br />
portati su quel pianeta da alieni sconosciuti. Oltre a Goering, che nell’al<strong>di</strong>là<br />
immaginato da Farmer deve render conto ai trapassati del genoci<strong>di</strong>o<br />
ebraico, ma conserva i suoi sentimenti antisemiti, nel romanzo vi è Richard<br />
Francis Burton, l’esploratore inglese che scoprì il lago Tanganica nel 1858,<br />
e che, anche nell’al<strong>di</strong>là, esplora l’immenso fiume misterioso.<br />
Uno scrittore <strong>di</strong> romanzi horror tra il fantascientifico e il soprannaturale,<br />
James Herbert, nel romanzo La reliquia (The Spear, 1978) 127 immagina<br />
che in Inghilterra una organizzazione neonazista, capeggiata da un<br />
Himmler re<strong>di</strong>vivo, trami per impossessarsi della lancia <strong>di</strong> Longino, il Sacro<br />
Graal, che possiede una straor<strong>di</strong>naria energia vitale. O<strong>di</strong>lo Globoènik, il<br />
feroce Gauleiter della Carinzia, appare in Fatherland <strong>di</strong> Robert Harris (è il<br />
Globus – con tale nomignolo veniva realmente chiamato dai suoi camerati –<br />
comandante della Gestapo, persecutore del protagonista Xavier March) e ne<br />
In presenza del nemico <strong>di</strong> Harry Turtledove (qui è il Führer usurpatore, capo<br />
del complotto contro il nazista “riformista” Buckliger).<br />
Conclu<strong>di</strong>amo la rassegna con qualche considerazione. Dobbiamo anzitutto<br />
chiederci perché una figura come Hitler sia entrata nel campo della SF.<br />
125 Philip K. Dick, I simulacri, trad. <strong>di</strong> Roberta Rambelli, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1980.<br />
126 Philip José Farmer, Il fiume della vita, trad. <strong>di</strong> Gabriele Tamburini, E<strong>di</strong>trice Nord,<br />
Milano 1981³. La fantascienza riserva spazio anche alla figura del Duce, come nel bizzarro<br />
romanzo Questo è l’Inferno <strong>di</strong> Larry Niven e Jerry Pournelle (Inferno, 1976, trad. <strong>di</strong> Maurizio<br />
Nati, Armenia E<strong>di</strong>tore, Milano 1978), ove lo spirito guida Benito conduce il protagonista, l’io<br />
narrante, attraverso i gironi dell’inferno dantesco: una presenza davvero curiosa e immotivata in<br />
tale contesto, anche perché vi manca il suo più potente e malvagio alleato dell’Asse.<br />
127 James Herbert, La reliquia, trad. <strong>di</strong> Marco e Dida Paggi («Urania», n. 862), Mondadori,<br />
Milano 1980.<br />
–97–
Anche se il dominio degli stu<strong>di</strong> storici <strong>di</strong>fficilmente si adatta alla fantasiosa<br />
creatività degli scrittori, e in particolare <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> SF, non<strong>di</strong>meno cre<strong>di</strong>amo<br />
che questo personaggio presenti <strong>di</strong> per sé alcuni tratti che autorizzano<br />
l’elaborata, e spregiu<strong>di</strong>cata, commistione <strong>di</strong> fantasia e realtà. La stessa<br />
vicenda della sua vita ha i toni del romanzo: dalle oscure origini <strong>di</strong> artista<br />
mancato e caporale dell’esercito austriaco al ruolo <strong>di</strong> agitatore politico nella<br />
repubblica weimariana, fino a quello <strong>di</strong> capo <strong>di</strong> un autentico impero concentrazionario<br />
che abbraccia tutta l’Europa e rovina nella catastrofe finale,<br />
la vita <strong>di</strong> Hitler è un susseguirsi <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> incre<strong>di</strong>bili e sconvolgenti. E, a<br />
<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> molti altri personaggi storici, la sua stessa fine è avvolta quasi<br />
in una sorta <strong>di</strong> mistero: nella Berlino in fiamme, asse<strong>di</strong>ata dalle truppe sovietiche,<br />
sotto le macerie della Cancelleria, Hitler si uccide ma il suo corpo<br />
non viene ritrovato. I sovietici hanno affermato (e fu per molti anni la versione<br />
ufficiale) che il corpo del Führer venne quasi completamente <strong>di</strong>strutto<br />
dal rogo e dagli scoppi delle granate nella zona della Cancelleria. Poi, con<br />
l’apertura degli archivi sovietici, è venuta fuori la documentazione sull’autopsia,<br />
sulla sepoltura e sulla cremazione successiva dei cadaveri <strong>di</strong> Hitler e<br />
della Braun. Ma questa ennesima versione non ha però mai del tutto convinto<br />
gli storici, al punto che qualcuno lascia la porta timidamente aperta al<br />
dubbio. È vero che certa storiografia <strong>di</strong> taglio giornalistico si è impadronita<br />
dell’argomento per suffragare fantasiose e spregiu<strong>di</strong>cate “rivelazioni” sulla<br />
sopravvivenza <strong>di</strong> Hitler, ma naturalmente tali ipotesi, che sconfinano nel<br />
mito, restano pura fantasia. E anche senza necessariamente postulare un’impossibile<br />
fuga, la figura <strong>di</strong> questo moderno Cagliostro della storia (l’accostamento<br />
non è casuale: anche il corpo del famoso mago e avventuriero,<br />
morto nel 1795 nella fortezza <strong>di</strong> San Leo, non venne mai ritrovato) rimane<br />
ancora un enigma destinato, proprio per le straor<strong>di</strong>narie e terribili vicende<br />
che con lui hanno segnato la vita <strong>di</strong> intere generazioni, ad affascinare la curiosità<br />
del lettore e a stimolare inquietanti interrogativi. Ai quali i testi che<br />
abbiamo presentato vogliono dare altrettante risposte.<br />
–98–
MARINA CASTELLANO<br />
Proposta <strong>di</strong> analisi critica<br />
del I canto dell’Inferno<br />
Per entrare subito nel vivo delle vaste problematiche offerte già dalla<br />
lettura delle prime terzine del canto muoviamo da un’osservazione <strong>di</strong> Sanguineti<br />
a proposito della nuclearità <strong>di</strong> due termini presenti già nel terzo<br />
verso: selva e paura, che ricorreranno più volte nello svolgimento del canto<br />
ma che già inizialmente in<strong>di</strong>cano le linee <strong>di</strong>rettrici dei motivi su cui si<br />
muove l’intera cantica, precisando imme<strong>di</strong>atamente l’assoluto parallelismo<br />
tra motivo paesistico-itinerale e motivo psicologico. Si potrebbe ad<strong>di</strong>rittura<br />
<strong>di</strong>re che il paesaggio costituisce la metafora dell’iter psicologico. Tre quin<strong>di</strong><br />
le <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> questo avvio <strong>di</strong> canto: paesaggio, cammino, psicologia; ma<br />
non basta, in quanto non è enucleabile un concetto <strong>di</strong> cammino senza una<br />
determinazione temporale, che leghi questo al paesaggio che muta ed alla<br />
psicologia che attraversa <strong>di</strong>versi stati. Infatti Dante, grazie alle sue capacità<br />
<strong>di</strong> possente sintesi, ci fornisce anche la quarta <strong>di</strong>mensione scolpendola in<br />
quel “già” <strong>di</strong> v. 17, pregnante evocazione <strong>di</strong> un percorso temporale scan<strong>di</strong>to<br />
passo dopo passo dall’azione fisica e morale. Come ha notato, da poeta,<br />
Ungaretti, proprio nello stesso periodo storico Giotto scopriva, unificandoli<br />
nel compen<strong>di</strong>o figurativo, il volume, lo spazio, la durata terrena dell’uomo,<br />
il tempo. Ed è proprio il tempo che passa a concretizzare il passaggio psicologico<br />
tra “paura” e “bene sperar” nelle due succedenti visioni paesistiche,<br />
rispettivamente, della “valle” e del “colle”. Il tutto è risolto dall’apparizione<br />
<strong>di</strong> Virgilio, “figura”, come <strong>di</strong>rebbe Auerbach, del “colle”: il poeta latino<br />
restituisce a Dante il suo tempo, cioè lo pone in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> entrare nel<br />
tempo della “speranza dell’altezza” che presto <strong>di</strong>venterà il tempo dell’“altro<br />
viaggio”. Mi sembra che queste semplici considerazioni, del resto niente<br />
affatto nuove, siano sufficienti a leggere con una certa <strong>di</strong>ffidenza (che in me<br />
si risolve in ferma <strong>di</strong>ssidenza) quanto affermava Croce sulla “stentatezza”, e<br />
quin<strong>di</strong> l’impoeticità, <strong>di</strong> questo avvio <strong>di</strong> canto: la selva è la selva e le fiere<br />
sono le fiere, anzi questa e quelle connettono il proprio significato letterale<br />
a quello psicologico attraverso il senso etico, che rappresenta in effetti la<br />
finalità <strong>di</strong>chiarata del viaggio stesso. Senza poi contare che la stessa paura<br />
che Dante <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> avvertire si fa sempre poesia, laddove la stessa realtà<br />
–99–
della sensazione è accompagnata dalla ben nota fenomenologia fisiologica,<br />
che si fa immagine reale, concreta e visibile, anche piuttosto caricata dal<br />
Poeta (tremar le vene e i polsi, lago del cor ecc.).<br />
Ma il canto presenta anche un’altra tematica <strong>di</strong> chiaro interesse, coagulata<br />
intorno alla parola nostra, che lo Spitzer definisce “possessive of<br />
human solidarity”: già dal primo verso, a quanto pare, Dante cerca <strong>di</strong> coinvolgerci<br />
in questo suo-nostro viaggio, soprattutto <strong>di</strong> chiarire alla nostra<br />
intelligenza la portata universale <strong>di</strong> questa sua esperienza, che riguarda tutti,<br />
e a cui in qualche modo dobbiamo tutti prender parte. Non è più il momento<br />
(lo vedremo dal canto VI, politico nel senso più greco della parola, come si<br />
cercherà <strong>di</strong> precisare in quella sede) <strong>di</strong> rimanere inerti, ognuno nel proprio<br />
guicciar<strong>di</strong>niano “particulare”: in una situazione <strong>di</strong> sbandamento politico, <strong>di</strong><br />
corruzione a livello <strong>di</strong> curia papale, <strong>di</strong> instabilità sociale, l’uomo, ogni<br />
uomo, è chiamato da Dante all’impegno personale, che parte dal momento<br />
etico in<strong>di</strong>viduale per risolversi sul piano storico religioso. Quel nostra<br />
muove certamente da una constatazione cronologica (trentacinque anni<br />
rappresentavano “il mezzo” dell’aspettativa <strong>di</strong> vita dell’uomo me<strong>di</strong>oevale),<br />
ma si precisa subito in una “chiamata alle armi” contro un nemico che è<br />
interiore (il peccato) ma che tarla quelle istituzioni (Chiesa e Impero) necessarie<br />
al benessere, ad ogni benessere dell’umanità; e sarà Dante stesso a<br />
guidare questo esercito virtuale che porrà le basi morali <strong>di</strong> una palingenesi<br />
globale. Dante ha bisogno dei suoi lettori; essi sono il suo esercito, il prototipo<br />
dell’uomo nuovo. Come si vede, secoli prima dell’Illuminismo, che<br />
avrebbe conferito all’intellettuale il ruolo <strong>di</strong> educatore del popolo, e del<br />
Romanticismo, che lo avrebbe visto come vate della liberazione nazionale,<br />
Dante aveva già ben chiaro il compito cui l’uomo <strong>di</strong> cultura era chiamato,<br />
un compito ben più arduo e totalizzante: messaggero <strong>di</strong> Dio (compagna la<br />
Ragione), esorcista contro il Male che semina i vizi sulla Terra, stabilizzatore<br />
politico, equilibratore sociale, insomma guida morale dell’umanità<br />
verso il suo Principio Primo passando necessariamente attraverso quei<br />
principi da Lui scaturenti che si sommano nei concetti <strong>di</strong> pace e giustizia.<br />
Anche interessante mi sembra l’altra tematica espressa da Dante nella<br />
seconda terzina, quella del sermo deficit (ahi quanto a <strong>di</strong>r qual era è cosa<br />
dura, io non so ben ri<strong>di</strong>r) soprattutto per la possibilità <strong>di</strong> chiarire meglio la<br />
<strong>di</strong>fferenza che intercorre tra questo concetto e quello ricorrentemente<br />
espresso nel Para<strong>di</strong>so. Mentre l’ineffabile del Para<strong>di</strong>so aveva come background<br />
una serie <strong>di</strong> giustificazioni teologiche che penetravano la realtà del<br />
rapporto tra uomo e Dio (la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> livello tra intelletto e memoria,<br />
– 100 –
l’abisso tra la gloria <strong>di</strong> Dio e le limitate facoltà umane, l’incapacità <strong>di</strong><br />
comprendere il senso pieno del trasumanar ecc.) l’in<strong>di</strong>cibile dell’Inferno<br />
rappresenta un dato psicologico-morale, concretizzato nell’espressione<br />
“pien <strong>di</strong> sonno” che compen<strong>di</strong>a allo stesso tempo (e qui ci riallacciamo al<br />
<strong>di</strong>scorso sul coinvolgimento quasi fisico del lettore) il torpore peccaminoso<br />
che affliggeva Dante in quel momento della sua vita, l’inevitabile stato <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sagio che accompagna l’uomo nei nuclei problematici della sua esistenza,<br />
la realtà storica che vedeva instabilità, corruzione, ingiustizia. In una parola:<br />
sonno. Sonno dell’anima, sonno del cuore, ma anche sonno delle istituzioni.<br />
Un sonno da cui, evidentemente, non è agevole per il momento svincolarsi,<br />
come si evince dall’impossibilità <strong>di</strong> Dante-umanità-istituzioni <strong>di</strong> praticare il<br />
“corto andar” della “piaggia” che, naturalmente, è “<strong>di</strong>serta”. Tale impotenza,<br />
come si legge nel Convivio, risulta da una semplice constatazione:<br />
l’uomo può giungere alla felicità morale se persegue la vita attiva, mentre<br />
la beatitu<strong>di</strong>ne può essere attinta esclusivamente con la rigorosa ricerca della<br />
contemplazione, che però implica un continuo esercizio ascetico, un costante<br />
sforzo <strong>di</strong> liberazione dalle passioni. Un cammino. Il cammino del pellegrino<br />
attraverso i tre regni per conquistarsi (e conquistarci) il “colle”, vicino<br />
alla vista ma irrime<strong>di</strong>abilmente lontano per l’uomo ancora involto nella sua<br />
materialità, da sempre ostacolo alla libera esplicazione dello Spirito.<br />
“Forse... questo colle... è... un miraggio antipodale, la sagoma illusoria <strong>di</strong><br />
una promessa” (v. Sermonti, L’Inferno <strong>di</strong> Dante, Milano 1994, p. 7).<br />
NOTE:<br />
vv. 1-9: Dante, smarrita la via del bene, si ritrova, senza sapere come, in<br />
una selva oscura, che gli procura angoscia ma che, come comprenderà<br />
in seguito, lo condurrà ad una svolta esistenziale.<br />
v. 1: mezzo: tale espressione, che ha i suoi precedenti in Salmi, 89,10 (“Gli<br />
anni della nostra vita sono settanta”), in Isaia, 38,10 (“nel mezzo dei<br />
miei giorni scenderò alle porte dell’inferno”), nello stesso Convivio (IV,<br />
XXXIII, 6-10), enuncia efficacemente la solennità del momento che<br />
Dante, ormai trascrittore della sua esperienza, ha vissuto e <strong>di</strong> cui vuol<br />
rendere partecipe il lettore. Tale sforzo <strong>di</strong> attrazione si evidenzia sin<br />
– 101 –
dall’inizio in un continuo richiamo alla determinatezza <strong>di</strong> cose ed<br />
eventi, alla corposità delle sensazioni, alla volumetria giottesca <strong>di</strong><br />
luoghi e personaggi. Con questo Dante prende le <strong>di</strong>stanze, se mai sia<br />
stato possibile avvicinare due attitu<strong>di</strong>ni letterarie tanto <strong>di</strong>fferenti, da<br />
quegli autori a lui precedenti che avevano parlato <strong>di</strong> viaggi ultraterreni:<br />
tanto visionari e indeterminati questi, quanto realistico e minuziosamente<br />
descrittivo il nostro Poeta.<br />
cammin: questa bella parola, <strong>di</strong> sapore iniziatico e sapienziale, palesa la similarità<br />
della Weltanschauung dantesca con l’analogo pensiero esistenziale<br />
delle filosofie buddhista e taoista.<br />
nostra: come si vede, da subito l’esperienza in<strong>di</strong>viduale si apre all’intera<br />
umanità e si precisa nel suo valore para<strong>di</strong>gmatico e nel suo obbiettivo,<br />
che è quello <strong>di</strong> “removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere<br />
ad statum felicitatis” (Ep. XIII, 15).<br />
vita: la pregnanza del primo verso, che si conclude con la parola-chiave<br />
“vita”, parola <strong>di</strong> ampio respiro e <strong>di</strong> vaste risonanze sia poetiche sia semantiche,<br />
detta la necessità <strong>di</strong> un’analisi più approfon<strong>di</strong>ta riguardo alla<br />
peculiarità <strong>di</strong> questo momento isolato da Dante, leggibile evidentemente<br />
su più piani. Intanto, il piano personale: il Poeta, si evince dalla<br />
lettura della Vita Nuova, sconvolto dalla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Beatrice, ripensa<br />
tutta la propria vita alla luce <strong>di</strong> ciò che è stato e ciò in cui ha creduto,<br />
vacillando nelle sue convinzioni religiose e scivolando pericolosamente<br />
verso l’averroismo razionalistico professato dall’amico Cavalcanti.<br />
Quin<strong>di</strong>, il piano per così <strong>di</strong>re epocale: come l’Ortis <strong>di</strong> Foscolo è, in effetti,<br />
emblema della crisi <strong>di</strong> un’intera generazione, così il Dante in cammino<br />
<strong>di</strong>pinge i turbamenti <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>oevo ormai troppo maturo e non<br />
più a suo agio, come sentirà Petrarca, nelle strettoie dell’aristotelismo.<br />
Infine, il piano istituzionale: mai come adesso, ed il pullulare <strong>di</strong> neonati<br />
movimenti pauperistici ne è la prova, la Chiesa indulge alla corruzione;<br />
mai come adesso l’Impero si crogiola nella sua debolezza, permettendo<br />
che il proprio dominio, abbandonato in balia dei piccoli potentati locali,<br />
sia devastato dalle lotte intestine e lasci così progressivamente sbia<strong>di</strong>re<br />
la sua identità culturale. Insomma il pericolo in cui si trova Dante è lo<br />
stesso in cui si <strong>di</strong>batte il cristiano, malsicuro sulla via tracciata da una<br />
Chiesa, quella <strong>di</strong> Bonifacio VIII, da lui sentita come infida e contaminata<br />
dall’auri sacra fames; ed è lo stesso che vede il citta<strong>di</strong>no dell’Impero,<br />
un tempo certo del proprio status politico e sociale, trasformarsi<br />
in uno sbandato senza patria.<br />
– 102 –
Il “giallo” della data. Questo primo verso, a <strong>di</strong>spetto della premurosa<br />
volontà del Poeta <strong>di</strong> fornire al lettore una datazione precisa, crea imme<strong>di</strong>atamente<br />
il “caso” relativo alla cronologia iniziale del viaggio. L’anno<br />
parrebbe il 1300 (anche se un cultore <strong>di</strong> astrologia, Giovangualberto<br />
Ceri, in seguito a suoi calcoli esposti in Dante e l’astrologia, Firenze<br />
1995, sia convinto che ci si debba spostare in avanti <strong>di</strong> una unità),<br />
sempre che si parli in termini <strong>di</strong> calendario usuale; se, infatti, si sceglie<br />
l’uso fiorentino <strong>di</strong> contare gli anni ab incarnatione (e Dante, in Pd. XVI,<br />
34 segg., ci informa che, effettivamente, quello era il computo che egli<br />
soleva applicare), si potrebbe ipotizzare la data del 25 marzo del 1300,<br />
cioè il primo giorno del 1301 in Firenze. Generalmente si accoglie la<br />
tesi 1300, che verrebbe ad incontrarsi con due elementi interessanti: la<br />
corrispondenza numerologica (1300 è composto da multipli <strong>di</strong> 10, allegoria<br />
della perfezione <strong>di</strong>vina, e <strong>di</strong> 3, figurazione della Trinità) e la coincidenza<br />
del viaggio con l’in<strong>di</strong>zione, da parte <strong>di</strong> Bonifacio VIII, del<br />
primo Giubileo. Inoltre sembra significativa la scelta <strong>di</strong> un anno particolare,<br />
iniziatore <strong>di</strong> secolo, laddove a “secolo” si potrebbe dare il significato<br />
<strong>di</strong> “epoca”: un anno palingenetico, insomma, che ben si adatterebbe<br />
al sogno <strong>di</strong> rinnovamento morale e politico che presto Dante<br />
materializzerà nell’enigmatica figura del Veltro. Per quanto riguarda il<br />
giorno, si pensa generalmente all’8 aprile, venerdì santo del 1330, ma<br />
non pochi preferiscono il 25 marzo (l’incarnazione) o ad<strong>di</strong>rittura, con<br />
minori argomenti, il 5 maggio. Almeno sull’orario, per fortuna, Dante è<br />
stato esplicito anche se non puntuale: è sera, come rivelano gli in<strong>di</strong>catori<br />
già del v. 17 e la notte ch’io passai <strong>di</strong> v. 21.<br />
v. 2: mi ritrovai: il racconto ritorna, con quel “mi”, al livello in<strong>di</strong>viduale, ma<br />
subito, ancora una volta, c’è qualcosa che identifica una con<strong>di</strong>zione comune:<br />
il verbo “ritrovai” che, pur qualificando una situazione vissuta in<br />
quel momento da Dante, in<strong>di</strong>ca una attitu<strong>di</strong>ne prettamente umana,<br />
quella assenza <strong>di</strong> volontà (il Poeta vi ritornerà con fermi argomenti<br />
teologici nel Para<strong>di</strong>so) per cui l’uomo si “ritrova” nel peccato suo malgrado,<br />
senza il contributo dell’azione; tale pericolo, sempre in agguato,<br />
deve ammonire l’uomo a vegliare costantemente contro la forza, quella<br />
sì, sempre attiva ed efficiente, del Male.<br />
per: nella stessa funzione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care uno stato in luogo circoscritto<br />
(“entro”) è usato da Cavalcanti in Io non pensava: “l’anima sento per lo<br />
cor tremare”).<br />
– 103 –
selva: si tratta <strong>di</strong> un luogo-simbolo enormemente pregnante, <strong>di</strong> antica<br />
ascendenza allegorica, come si vedrà, e scelto da Dante a racchiudere<br />
una vera e propria “selva” <strong>di</strong> significati. Il senso allegorico che appare<br />
imme<strong>di</strong>atamente è quello, è evidente, del peccato: se l’immagine è<br />
mutuata da Virgilio (la selva intricata dell’Averno), da testi me<strong>di</strong>oevali<br />
(la foresta in cui, nel Trésor, Brunetto Latini racconta <strong>di</strong> essersi smarrito<br />
al ritorno dalla Spagna) ed anche dalla <strong>di</strong>mestichezza <strong>di</strong> Dante con<br />
il paesaggio rustico della Toscana <strong>di</strong> allora, l’allegoria è <strong>di</strong> <strong>di</strong>retta derivazione<br />
agostiniana (Conf. X, 35), scritturale (Eccl. 7,27) e... dantesca<br />
(Conv. IV, XXIV, 12: “la selva erronea <strong>di</strong> questa vita”). Ma, come<br />
spesso accade nella Divina Comme<strong>di</strong>a, l’allegoria morale si accontenta<br />
<strong>di</strong> un ruolo da comprimaria per lasciare spazio alla metafora ideologica<br />
e politica: così, la selva incarnerà la lotta per il potere tra Chiesa ed<br />
Impero, causa <strong>di</strong> decadenza e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne (Sanguineti), ma anche la<br />
Firenze corrotta, meschina ed avida (la “trista selva” <strong>di</strong> Purg. XIV, 74)<br />
forgiata a propria immagine e somiglianza dalla gretta borghesia<br />
mercantile che da decenni deteneva il potere economico della città.<br />
oscura: determinante questa assenza <strong>di</strong> luce, riba<strong>di</strong>ta a v. 60 dal “tacere” del<br />
sole; la luce, infatti, è il luogo dell’armonia, nella quale, per citare<br />
Guar<strong>di</strong>ni, “il significato si rivela”. Qui, infatti, nulla può essere rivelato,<br />
proprio per la mancanza della luce-Dio, che non può essere attinta<br />
senza il cammino teoretico: “...Dante, dalla sua oscurità, non la può<br />
raggiungere <strong>di</strong>rettamente. Deve prima attraversare tutta l’esistenza, riconoscersi<br />
nelle immagini della storia <strong>di</strong>venute manifeste nella luce<br />
dell’eternità e, superandosi, giungere alla libertà” (R. Guar<strong>di</strong>ni, Stu<strong>di</strong> su<br />
Dante, Brescia, 1979, pp. 281-2).<br />
che: benché non causi mutamenti determinanti nell’intelligenza generale del<br />
passo, la locuzione sembra passibile <strong>di</strong> varie sfumature interpretative:<br />
causale (“perché”), consecutiva (“così che”), modale (“nella con<strong>di</strong>zione<br />
in cui”).<br />
<strong>di</strong>ritta: dopo tanta simbologia, l’aggettivo ci rammenta che Dante è, soprattutto,<br />
poeta e profondo conoscitore della letteratura contemporanea:<br />
non gli saranno state certamente estranee le selve dei romanzi cavallereschi,<br />
dove l’eroe, al culmine del dramma, doveva scegliere la via <strong>di</strong>ritta,<br />
cioè la destra, quella del bene. Anche in Dante, come nell’immaginario<br />
poetico collettivo, la selva avrà rappresentato il luogo dell’avventura,<br />
così come sarà per Ariosto e, in modo molto più complesso,<br />
per Tasso.<br />
– 104 –
smarrita: in una situazione in cui sembra non esservi alcuna via d’uscita, il<br />
verbo “smarrire” suggerisce almeno una speranza, che presto si farà<br />
certezza grazie ad un intervento salvifico; infatti l’espressione non ha il<br />
senso definitivo <strong>di</strong> “perdere”, ma in<strong>di</strong>ca una con<strong>di</strong>zione provvisoria che<br />
si avvia, nonostante le apparenze, alla soluzione, che coincide con il<br />
viaggio stesso. Una soluzione molto più gravida <strong>di</strong> conseguenze che<br />
non la semplice salvezza <strong>di</strong> un poeta fiorentino.<br />
v. 3: ah: il sospiro lamentoso del Poeta, che peraltro è variamente letto<br />
(“Eh” dal Witte, “Ahi” da altri) non rappresenta una semplice interiezione,<br />
ma ha la precisa funzione <strong>di</strong> attrarre il lettore nella sfera della<br />
sensibilità del poeta-che-ricorda, anticipando emotivamente quel senso<br />
dell’ineffabile che <strong>di</strong>venterà concetto con “dura”.<br />
dura: per la prima volta, ed è emblematico il fatto che compaia già in questa<br />
sede, Dante ci pone <strong>di</strong> fronte all’idea dell’ineffabile, verso cui il linguaggio<br />
pare inadeguato; il Poeta, che riprenderà l’argomento con tonalità<br />
molto più elevate ed immagini necessariamente più complesse all’inizio<br />
della terza Cantica, trae tale concetto dal mondo mistico, ma lo personalizza<br />
attraendolo nella sua Weltanschauung lirica.<br />
v. 4: esta: più volte ricorrente e comunque <strong>di</strong> uso comune come <strong>di</strong>mostrativo<br />
sia <strong>di</strong> vicinanza (“questo”) sia <strong>di</strong> lontananza relativa (“codesto”), il<br />
termine rappresenta una forma arcaica (da “iste” latino).<br />
selva selvaggia: appare qui una prima figura etimologica, ampiamente in<br />
uso nel Me<strong>di</strong>oevo e fruita da Dante con estrema misura, affinché la<br />
poesia non debba soffrirne; tale schema retorico, chiamato “paronomasia”<br />
ovvero annominatio, consiste nell’avvicinare parole nascenti<br />
dallo stesso tema e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> suono simile, con sicuro effetto retorico.<br />
selvaggia e aspra e forte: mi sembra che i tre aggettivi, inframmezzati da<br />
quelle congiunzioni che contribuiscono a dare il senso <strong>di</strong> un respiro<br />
affannoso, proprio <strong>di</strong> chi sia preda dello sgomento, tentino <strong>di</strong> costituire<br />
un climax ascendente: infatti selvaggia (dato naturale, esterno) rappresenta<br />
una constatazione paesaggistica, aspra (dato fisico) connota la<br />
<strong>di</strong>fficoltà dell’attraversamento, forte (dato emotivo-morale) definisce<br />
l’angoscia che attanaglia irrime<strong>di</strong>abilmente il Poeta nella selva.<br />
v. 6: nel pensier: dopo il momentaneo ritorno al tempo del dramma (esta)<br />
Dante riprende le vesti dell’io narrante.<br />
– 105 –
v. 7: amara: Dante ricorre qui ad una metafora tratta dall’ambito del gusto,<br />
al fine <strong>di</strong> rendere con maggiore densità la realtà sensibile che ha vissuto<br />
ed in cui intende attrarre il lettore; spesso il Poeta si avvarrà <strong>di</strong> tale possibilità<br />
espressiva, specialmente quando sarà assolutamente necessario<br />
il coinvolgimento totale <strong>di</strong> chi legge (è il caso, ad esempio, <strong>di</strong> Pd. XVII,<br />
117, “a molti fia sapor <strong>di</strong> forte agrume”, dove stringe l’urgenza <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re<br />
l’impegno dell’intellettuale anche <strong>di</strong> fronte al pericolo <strong>di</strong> “perder<br />
vita”, in ogni senso). Per dovere <strong>di</strong> cronaca, si segnala l’ipotesi, ormai<br />
datata, secondo cui “amara” non sia riferibile a “selva” bensì a “paura”.<br />
morte: solo un pensiero estremo può concludere degnamente l’escalation<br />
emotiva aperta dall’“ah” <strong>di</strong> v. 4; e certamente niente è più amaro della<br />
morte, specialmente quando quella fisica evoca all’immaginazione una<br />
morte ben più temibile, la dannazione indotta dal peccato, che è morte<br />
spirituale. Colonna sonora <strong>di</strong> questa prima, sal<strong>di</strong>ssima sequenza è il<br />
sistema fonematico, nella stu<strong>di</strong>ata prevalenza dei suoni aspri (tn, r, rt).<br />
v. 8: ma: come spesso in Dante, anche stavolta l’avversativa viene rivestita<br />
<strong>di</strong> un valore enfatico che va ben oltre la semplice retorica: qui si<br />
adombra un accenno <strong>di</strong> salvezza “ch’era follia sperar” in una situazione<br />
apparentemente chiusa e <strong>di</strong>sperante. Si fa strada, insomma, una Presenza<br />
che ad inizio canto sembrava inimmaginabile: Dio, che nel momento<br />
più arduo, nonostante ci si senta sconsolatamente soli, manifesta<br />
il Suo esserci che restituisce l’uomo a se stesso, alla propria capacità<br />
<strong>di</strong> agire e reagire (donde lo sciamare <strong>di</strong> “io”, prima mai osati, dei vv. 8,<br />
9, 10).<br />
ben: si è molto congetturato sulla realtà del “ben” che Dante trovò nella<br />
selva: i più hanno pensato all’incontro con Virgilio, che porta alla conoscenza<br />
del male (Inferno), al ravve<strong>di</strong>mento (Purgatorio) e quin<strong>di</strong> alla<br />
salvezza (Para<strong>di</strong>so); Di Salvo ritiene invece non trattarsi <strong>di</strong> persona o<br />
evento, bensì del proposito, nato nel cuore del Poeta, <strong>di</strong> liberarsi dal<br />
peccato. Credo più plausibile quest’ultima ipotesi, che raffigura in<br />
Dante la svolta coscienziale già in<strong>di</strong>viduata dal “ma” del nostro verso e<br />
che anticipa enigmaticamente ma con certezza <strong>di</strong> positività l’esito <strong>di</strong><br />
quella che è, ricor<strong>di</strong>amolo, una “comedìa”.<br />
v. 9: altre cose: il significato dell’espressione è, evidentemente, strettamente<br />
collegato a quello <strong>di</strong> “ben”: chi preferisce per questo l’interpretazione<br />
“materiale” deve necessariamente vedere nelle “altre cose” le tre<br />
– 106 –
fiere, anche se va osservato che Dante si imbatterà in esse fuori dalla<br />
selva, ciò che non collima con lo stato in quel luogo espresso da “v’”.<br />
Propendere per un significato più ampio <strong>di</strong> “ben”, come presa <strong>di</strong> coscienza,<br />
momento esperienziale, implica invece comprendere nelle “tre<br />
cose” tutto ciò che accade e che si mostra a Dante sino all’apparizione<br />
<strong>di</strong> Virgilio. Da segnalare, a margine, la lezione “alte”, <strong>di</strong> pregnanza<br />
semantica e poetica <strong>di</strong> gran lunga inferiore ad “altre”, qui accolta.<br />
vv. 10-27: Dante cerca <strong>di</strong> darsi una spiegazione razionale <strong>di</strong> quanto è successo<br />
e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> uscire da quella situazione angosciosa, confortato<br />
dal giorno nascente e dalla vista rassicurante <strong>di</strong> un colle illuminato dal<br />
sole; tuttavia perdura nel suo animo come una sensazione negativa, che<br />
prefigura quanto sta per accadergli.<br />
v. 10: io...io: nello stesso verso, Dante passa con <strong>di</strong>sinvoltura dall’io narrante<br />
all’io personaggio, dando luogo così ad una <strong>di</strong>alettica che, accompagnando<br />
tutta la lettura, non consentirà mai <strong>di</strong> sentire il viaggio come<br />
semplice visione, ma lo manifesterà sempre nel suo pieno fieri.<br />
v. 11: sonno: ancora un termine fisico applicato alla sfera morale: il sonno<br />
(ve<strong>di</strong> Intr. al I canto) qui evocato dal Poeta è, infatti, quello indotto dal<br />
peccato, quella caduta <strong>di</strong> tensione che spesso, più ancora della volontà<br />
del male, provoca l’inavvertito scivolamento nel peccato. Anche in<br />
questo caso Dante si appoggiava saldamente ad una vetusta tra<strong>di</strong>zione<br />
allegorica, <strong>di</strong> cui si scorgono chiaramente i precedenti: San Paolo,<br />
Lettera ai Romani, 13,11; S. Agostino, Enarratio in Psalmos, LXII,<br />
4 (“Somnum animae est oblivisci Deum”); Boezio, De consolatione<br />
philosophiae, I, 2 (“...lethargum patitur, communem illusarum mentium<br />
morbum”); B. Latini, Trésor, II, 39 (“Il savio, che opera secondo sua<br />
scienza, è simile a colui che veglia; e quegli, che non opera secondo sua<br />
scienza, è simile a colui che dorme, e all’ubriaco”); S. Tommaso,<br />
Summa theologica, I, 84,8 (“Nel sonno non si può avere perfetto il<br />
giu<strong>di</strong>zio della ragione”).<br />
Alcuni, basandosi sul senso letterale del termine “sonno”, hanno inferito<br />
che Dante voglia presentare il suo viaggio come una visione mistica:<br />
ma ciò contrad<strong>di</strong>ce con forza al continuo, quasi insistentemente puntiglioso,<br />
richiamarsi del Poeta al corpo come elemento materiale (cfr. n.<br />
al verso 28).<br />
– 107 –
v. 12: verace via: l’espressione rappresenta una variatio <strong>di</strong> “<strong>di</strong>ritta via”; ma<br />
mentre questa appartiene all’ambito morale, “verace” suggerisce un più<br />
intimo contatto con la sfera religiosa, dove Dio è verità. Come appare<br />
evidente, qui Dante ha ben presente la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Cristo in Gv.<br />
14,6: “Ego sum via et veritas et vita”.<br />
v. 13: colle: come appare dal “ma” che, aprendo il verso, chiude la scena<br />
angosciosa precedente, troviamo qui il primo in<strong>di</strong>zio materiale della<br />
salvezza imminente, o almeno della possibilità, per Dante-umanità-<br />
Istituzioni, <strong>di</strong> coltivare una sia pur labile speranza: è il colle, simbolo<br />
della vita virtuosa, quella cui porta la “<strong>di</strong>ritta-verace” via, che Dante<br />
ha “smarrito”, ma non perso, e che gli si pone come obbiettivo. Come<br />
presto gli sarà chiaro, il percorso fisico che conduce al colle non è<br />
affatto agevole, ma arduo ed ad<strong>di</strong>rittura impraticabile se non preceduto<br />
da un durissimo percorso iniziatico-morale che lo guiderà dapprima alla<br />
conoscenza delle profon<strong>di</strong>tà del peccato, quin<strong>di</strong> all’esercizio <strong>di</strong> una<br />
asperrima penitenza, infine alla non meno dolorosa penetrazione della<br />
accecante gloria <strong>di</strong> Dio.<br />
v. 14: valle: notevole la “quasi rima” con la quale Dante lega “colle” <strong>di</strong> v.<br />
13 con “valle” <strong>di</strong> v. 14, quasi a creare tra i due termini, <strong>di</strong> per sé pressoché<br />
omofoni, una forte opposizione. In effetti i due elementi paesaggistici<br />
rappresentano realtà profondamente antitetiche: mentre la valle,<br />
infatti, <strong>di</strong>pinge un Dante ignaro <strong>di</strong> sé ed intorpi<strong>di</strong>to dal sonno spirituale<br />
che porta al peccato, il colle già lo in<strong>di</strong>vidua come uomo autocosciente<br />
e pronto all’azione per riconquistare la sua identità morale. Significativa<br />
mi sembra anche la <strong>di</strong>versa esposizione alla luce scelta dal Poeta<br />
per <strong>di</strong>fferenziare nettamente l’una e l’altra realtà etico-ambientale:<br />
oscura la valle ed evocatrice <strong>di</strong> insicurezza e <strong>di</strong> paura; risplendente <strong>di</strong><br />
sole, invece, il colle, e garanzia <strong>di</strong> stabilità morale nella certezza dell’approvazione<br />
<strong>di</strong> Dio (“mena dritto”).<br />
v. 16: in alto: l’“uomo nuovo” in Dante, già preconizzato dall’apparizione<br />
del colle, si concretizza tutto in questo guardare in alto, quasi a rispondere<br />
il suo “sì” all’azione salvifica <strong>di</strong> Dio. Il poeta, benché ancora lontano<br />
dal pieno compimento, su <strong>di</strong> sé e su tutta l’umanità, <strong>di</strong> questa<br />
azione, è però già <strong>di</strong>sponibile a farsene strumento. Egli è già risorto dal<br />
peccato.<br />
– 108 –
In altre occasioni ancora Dante si troverà a guardare in alto, come<br />
vedremo: nel Purgatorio, proprio ai pie<strong>di</strong> del ripi<strong>di</strong>ssimo monte, quasi<br />
cercando un’ispirazione per risolvere il problema dell’ascensione,<br />
ostico allo stesso Virgilio-Ragione; nel Para<strong>di</strong>so, per ringraziare i beati<br />
o per porre loro questioni teologiche.<br />
Da ricordare, infine, il modello scritturale, in questo caso il Salmo<br />
122,1: “Alzai i miei occhi verso il monte da dove arriverà il mio aiuto”.<br />
v. 17: vestite: cfr. Aen. VI, 640: “largior hic campos aether et lumine vestit”.<br />
pianeta: da uomo del suo tempo, Dante seguiva il modello astronomico<br />
elaborato da Tolomeo sulla scorta <strong>di</strong> Aristotele, secondo cui il sole rappresentava<br />
il quarto pianeta del sistema; anche la chiarissima simbologia<br />
del sole-Dio appartiene inequivocabilmente al mondo me<strong>di</strong>oevale,<br />
benché se ne possano rintracciare le lontane ascendenze nell’antichità<br />
orientale. Tuttavia è solo nel Me<strong>di</strong>oevo che l’immagine solare <strong>di</strong> Dio<br />
<strong>di</strong>venta “letteraria”, così da costituire un τóπος della scrittura mistica e<br />
francescana; lo stesso Dante si <strong>di</strong>ffonde sull’argomento in Cv III, XII,<br />
7: “Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno <strong>di</strong> farsi essemplo <strong>di</strong><br />
Dio che ‘l sole; lo quale <strong>di</strong> sensibile luce sé prima e poi tutte le corpora<br />
celestiali e le elementali allumina; ...”<br />
v. 18: altrui: Dante è decisamente uscito dallo stato <strong>di</strong> torpore che lo aveva<br />
obnubilato al punto <strong>di</strong> farlo “ritrovare” nella selva: ormai il suo<br />
sguardo, cui era stata data la possibilità <strong>di</strong> scorgere il “colle”, è talmente<br />
limpido da poter constatare, come una volta, la portata vastissima dell’amore<br />
<strong>di</strong> Dio. In “altrui” sembra <strong>di</strong> sentire, allo stesso tempo, un moto<br />
<strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne da parte <strong>di</strong> Dante-umanità, una consapevolezza dell’attuale<br />
stato <strong>di</strong> indegnità <strong>di</strong> Dante-peccatore, un senso <strong>di</strong> sollievo, da<br />
parte del Dante-trascrittore, per essere ormai anch’egli parte del gruppo<br />
degli “altrui”.<br />
calle: (= strada); il termine, d’uso comune nella Firenze <strong>di</strong> Dante, rimane al<br />
giorno d’oggi nello spagnolo e nel <strong>di</strong>aletto veneziano.<br />
v. 20: lago del cor: cavità interna dove la me<strong>di</strong>cina me<strong>di</strong>oevale poneva la<br />
<strong>di</strong>mora degli spiriti vitali (E. Colonna, Il reggimento de’ principi, I, III,<br />
9: “In avendo paura... il sangue si muove delle membra <strong>di</strong> fuore e torna<br />
a quelle dentro, donde l’uomo <strong>di</strong>venta pallido”); presto <strong>di</strong>venne,<br />
seguendo la sorte <strong>di</strong> molti fenomeni naturali, τóπος stilnovistico: lo<br />
– 109 –
smarrimento d’amore, infatti, provoca la concentrazione del sangue nella<br />
cavità car<strong>di</strong>aca ed il conseguente pallore tipico della fisionomia dell’amante.<br />
Il fenomeno clinico-poetico è descritto dallo stesso Dante nella<br />
rima Donne io non so, allorché si sente catturato dagli occhi della sua<br />
donna, dai quali “<strong>di</strong>scende una saetta che [gli] asciuga il lago del cor”.<br />
v. 21: notte: da sempre l’immaginario religioso, in particolar modo quello<br />
ebraico-cristiano, ha sentito la notte come momento <strong>di</strong> offuscamento<br />
spirituale: nel Purgatorio, come vedremo, durante la notte le anime<br />
bloccheranno il loro cammino penitenziale, impraticabile in assenza<br />
della luce-Dio (cfr. n. al verso 17). Qui, specificatamente, il periodo notturno<br />
<strong>di</strong> Dante è “il tempo in che nella ignoranza era stato” (Jacopo Alighieri):<br />
un tempo ormai passato, come abbiamo avuto modo <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re,<br />
ma rievocato da Dante a monito costante del pericolo sempre in agguato<br />
e sul quale deve soffermarsi la me<strong>di</strong>tazione del cristiano.<br />
Comunque, la notte è solo un brutto ricordo, superato ormai dall’alba,<br />
rassicurante emblema dell’imminente avvento della Grazia salvifica:<br />
Dante ancora non conosce forme e modalità <strong>di</strong> questa, che è tuttavia<br />
intuita attraverso la presenza del sole.<br />
pièta: dal greco πα´ θος , trasmesso ai Romani come pietas (che però si connota<br />
<strong>di</strong> una polisemia contestualizzata al co<strong>di</strong>ce culturale romano) in<strong>di</strong>ca<br />
un sentimento, o meglio una sensazione, che Dante proverà più volte nel<br />
corso del suo cammino infernale e che si potrebbe definire come uno<br />
stato <strong>di</strong> angustia morale, <strong>di</strong> turbamento <strong>di</strong> fronte ad un’umanità, nella<br />
quale il Poeta include se stesso, tanto sor<strong>di</strong>da e vile e tanto capace <strong>di</strong><br />
peccare contro quello stesso Dio che l’ha dotata <strong>di</strong> “intelletto e amore”.<br />
v. 22: E come...: è la famosa bellissima prima similitu<strong>di</strong>ne delle molte (cinquecentonovantasette)<br />
presenti del poema. Perfetta nella sua architettura<br />
retorica si compone, strutturalmente, <strong>di</strong> tre versi per parte con un<br />
effetto <strong>di</strong> armonia potenziato dal perfetto péndant tra le singole espressioni<br />
(“lena affannata” - “ancor fuggiva”; “uscito fuor” - “si volse a<br />
retro”; “l’acqua perigliosa - che non lasciò giammai persona viva”).<br />
Tuttavia, nonostante il rigore retorico che anima la comparazione, non<br />
si ha neanche per un attimo la sensazione <strong>di</strong> stentatezza o <strong>di</strong> macchinosità<br />
talvolta ingenerato da simili artifici letterari: Dante riesce infatti a<br />
celare il tecnicismo del suo gioco <strong>di</strong> poeta <strong>di</strong>etro immagini <strong>di</strong> possente<br />
realismo e <strong>di</strong> forte impatto psicologico.<br />
– 110 –
v. 23: pelago: latinismo (dal neutro pelagus)<br />
v. 24: si volge: nel De rerum natura (II, 1) Lucrezio scrive: “Dolce è mirar<br />
da ben sicuro porto / l’altrui fatiche all’ampio mare in mezzo”.<br />
Ma Dante non conobbe il grande poeta latino, sprofondato nell’oblio<br />
comminatogli dal Me<strong>di</strong>oevo cristiano da cui lo avrebbe tratto alla luce<br />
Poggio Bracciolini nel 1417.<br />
guata: intensivo <strong>di</strong> “guardare”, risponde bene all’espressione <strong>di</strong> sentimenti<br />
“intensi”, qui variamente qualificati: “paura”, “compunto”, “lago del<br />
cor”, “tanta pièta”, “lena affannata”; nell’opera si trova sempre a fin <strong>di</strong><br />
verso, in rima.<br />
v. 25: fuggiva: un’espressione efficacissima, allo stesso tempo poetica e realistica<br />
nell’in<strong>di</strong>viduare lo stato d’animo <strong>di</strong> sospensione, <strong>di</strong> trepidazione<br />
(chi non l’ha mai provato?) che permane anche dopo il raggiungimento<br />
della salvezza; un’immagine molto simile si trova in Purg. II, 12: “che<br />
va col core, e col corpo <strong>di</strong>mora”.<br />
v. 26: si volse a retro: nonostante il soggetto dell’azione sia un ente spirituale,<br />
l’immagine si evidenzia per la sua plasticità: Dante sente forte<br />
l’esigenza <strong>di</strong> fermarsi a riflettere sul “passo” che è stato il luogo del suo<br />
passato <strong>di</strong> peccatore e che tanto influisce sul destino morale dell’umanità.<br />
Da questo momento <strong>di</strong> acuta contemplazione prende le mosse la<br />
consapevolezza della profon<strong>di</strong>tà della sua esperienza: vale la pena<br />
osservare a fondo la realtà della vita passata nell’errore, imprimersi<br />
bene nella mente la negatività del passato per concepire un nuovo progetto<br />
per il futuro. Ma il pellegrino Dante ancora non sa (a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />
Dante-narratore) che ben altro percorso necessiterà alla palingenesi<br />
della sua anima, ora che è stato scelto da Dio come promotore <strong>di</strong> quella<br />
µετα´ νοια (conversione) che porterà il mondo sulla “retta via”.<br />
v. 27: che...viva: l’ambiguità semantica e sintattica del verbo “lasciare”<br />
rende problematica l’interpretazione del passo; alcuni ritengono <strong>di</strong> poterlo<br />
rendere con “(passo) che non nessun vivente lasciò mai” (ma così<br />
l’umanità appare invischiata nel peccato senza possibilità <strong>di</strong> redenzione,<br />
a <strong>di</strong>spetto della venuta <strong>di</strong> Cristo). Il Pagliaro ha proposto <strong>di</strong> intendere<br />
“passo” non come “selva” ma come luogo <strong>di</strong> passaggio dalla selva al<br />
– 111 –
colle, cioè, allegoricamente, dalla vita attiva alla vita contemplativa<br />
(Ulisse. Ricerche semantiche sulla D.C. I, 17-23, Firenze, 1966), interpretando<br />
il verso nel senso secondo cui questo passaggio è inagibile ai<br />
viventi, gravati dal peso del corpo: ipotesi limitata però nei suoi presupposti<br />
dall’improbabile significato assegnato a “passo”, che inficerebbe<br />
l’efficacia della similitu<strong>di</strong>ne precedente. Altri vedono in “viva” un pre<strong>di</strong>cativo<br />
dell’oggetto, leggendo “(passo) che non lasciò (spiritualmente)<br />
vivo nessuno”: nella sua semplicità, mi sembra l’ipotesi più accettabile,<br />
se pensiamo che lo stesso Dante, nel passo-selva, stava per perdere la<br />
vita (spirituale: “tant’è amara che poco è più morte”).<br />
vv. 28-60: Ormai ritenendosi al sicuro, Dante intraprende la via del colle,<br />
ma imme<strong>di</strong>atamente è bloccato da una lonza; superato questo ostacolo<br />
grazie al sollievo che gli offrono l’alba e la stagione primaverile, il<br />
Poeta deve affrontare un feroce leone e, subito dopo, una vorace lupa:<br />
la situazione sembra irrime<strong>di</strong>abile.<br />
v. 28: corpo lasso: recentemente la Risset (Dante scrittore, trad. <strong>di</strong> M. Galletti,<br />
Milano, 1984) ha definito la Divina Comme<strong>di</strong>a “epopea del corpo<br />
<strong>di</strong> Dante”: infatti il Poeta fa spesso riferimento alla propria corporeità, a<br />
<strong>di</strong>fferenza degli altri racconti me<strong>di</strong>oevali <strong>di</strong> viaggi compiuti nell’al<strong>di</strong>là,<br />
che narrano sempre esperienze extracorporee (cfr. n. al verso 1).<br />
v. 29: piaggia: dal latino me<strong>di</strong>oevale plagia = leggera salita.<br />
deserta: alcuni autori si soffermano sul pessimismo <strong>di</strong> Dante, che ritiene<br />
assai infrequenti le conversioni dal male al bene, cioè il cammino dalla<br />
selva al colle; altri hanno sottolineato come il senso <strong>di</strong> vuoto interiore e<br />
<strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne che il peccato ha provocato nel Poeta si materializzino<br />
nella desolazione della “piaggia”. Pur tenendo fermo il valore <strong>di</strong> queste<br />
letture, mi sembra da evidenziare anche la valenza positiva della solitu<strong>di</strong>ne<br />
in quanto momento <strong>di</strong> raccoglimento interiore, <strong>di</strong> preparazione ad<br />
un evento rituale-drammatico quale sarà, tra breve, l’apparizione e la<br />
messa in fuga delle tre fiere; analogamente in Purgatorio l’azione liturgica<br />
sarà sempre accompagnata dalla tendenza all’isolamento ed al<br />
silenzio.<br />
v. 30: ‘l piè fermo: dal punto <strong>di</strong> vista letterale, è chiaro il movimento ascensionale<br />
compiuto dal Poeta, mentre meno limpida si presenta l’interpre-<br />
– 112 –
tazione allegorica <strong>di</strong> un’espressione troppo allusiva per essere liquidata<br />
invocando, come alcuni fanno, la primazia del senso letterale su quello<br />
allegorico. Illuminante mi sembra la lettura <strong>di</strong> J. Freccero (Dante: la<br />
poetica della conversione, Bologna, 1989), che parte dall’osservazione<br />
per cui non è affatto normale che si proceda in salita tenendo un piede<br />
sempre più basso dell’altro. Questa <strong>di</strong>sarmonia tra i due pie<strong>di</strong>, che conferisce<br />
un’andatura clau<strong>di</strong>cante peraltro perfettamente conforme alle<br />
con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> profonda prostrazione e debilitazione <strong>di</strong> Dante, è per noi<br />
una “spia allegorica”: il piede “alto”, il destro, raffigura l’intellectus,<br />
la conoscenza razionale, mentre il sinistro (“basso”) rappresenta<br />
l’affectus, costituito da volontà, passioni, desideri. Così, mentre il piede<br />
destro procede spe<strong>di</strong>to, certo della via da intraprendere, il sinistro,<br />
appesantito dai desideri materiali, si mostra ancora impacciato nel<br />
seguirlo; l’andatura incerta sarà quin<strong>di</strong> lo specchio <strong>di</strong> un “<strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o interiore”,<br />
per cui la facoltà razionale riesce a scorgere la verità ma si trascina<br />
<strong>di</strong>etro il gravame del cuore, che, imbolsito dalla concupiscenza,<br />
patisce nel seguirla.<br />
v. 31: Ed ecco: l’espressione, <strong>di</strong> carattere formulare e <strong>di</strong> repertorio scritturale,<br />
ha lo scopo <strong>di</strong> attirare l’attenzione del lettore su un evento imminente<br />
e rilevante, ma anche <strong>di</strong> creare l’effetto del “coup de théatre”; nel<br />
poema, con questa stessa finalità, la troveremo quattor<strong>di</strong>ci volte, sempre<br />
ad inizio <strong>di</strong> verso. Analogamente l’ellissi del verbo nei due versi 31-32<br />
crea un’atmosfera stringente, come se il Poeta, preso dallo spavento,<br />
abbia smarrito anche le facoltà logiche anche a livello linguistico-strutturale.<br />
quasi al cominciar de l’erta: si <strong>di</strong>rebbe che il vizio, specialmente quello<br />
meno appariscente, o in realtà meglio mascherato, insegua l’uomo fin<br />
“quasi” alle soglie della salvezza.<br />
v. 32: lonza: la denominazione deriva dal latino me<strong>di</strong>oevale “leuncia” o<br />
“luncea” attraverso il francese antico “lonce”. Per quanto riguarda la<br />
natura dell’animale, possiamo ritenere che si tratti <strong>di</strong> una lince, o <strong>di</strong> una<br />
pantera, o <strong>di</strong> un ghepardo: certamente è un felino dall’aspetto gradevole<br />
ed insieme spaventoso, il cui nome ricorre in vari testi del periodo. In<br />
particolare, un documento del 1285 attesta l’esposizione <strong>di</strong> una “lonza”<br />
nel Palazzo del Podestà <strong>di</strong> Firenze; nei bestiari è rappresentata come un<br />
animale crudele e sempre in calore. Ne parla ancora, comparativamente,<br />
– 113 –
Brunetto Latini (Trésor, I, V, 193): “I lupi cervieri sono pomellati <strong>di</strong><br />
macchie nere proprio come la lonza” (la sottolineatura è mia). Ma<br />
qualche richiamo è provenuto a Dante anche dalla civiltà classica: la<br />
descrizione della lonza, infatti, sembra ricalcare quella della Venere virgiliana<br />
(Aen. I, 323) che appare coperta <strong>di</strong> una pelle <strong>di</strong> “lince maculata”.<br />
Nell’Etica (VII, 5), infine, Dante trovava un particolare che dovette<br />
suggestionarlo in senso “cromatico”, ma anche allegorico: Omero,<br />
infatti, descrisse come “vario” il cinto con cui Venere ingannò le menti<br />
dei saggi; allo stesso modo la lasciva bellezza del manto della “lonza”<br />
illude l’uomo spingendolo alla ricerca dei beni ingannevoli e lontani<br />
dalla verità. Infatti, al <strong>di</strong> là dell’incertezza sulla realtà naturale della<br />
“lonza”, il vero nucleo problematico è legato al senso allegorico della<br />
bestia, come delle altre due che Dante incontrerà ad impe<strong>di</strong>rgli il cammino<br />
veritativo. Per i commentatori più antichi, essa, parte del trittico<br />
allegorico dei vizi <strong>di</strong> Dante, adombrerebbe il peccato della lussuria: il<br />
suo mantello attraente, il fascino sottile che promana dalle sue movenze<br />
leggere ed eleganti, la sua aggressività velata ben si accorderebbero con<br />
la realtà morale <strong>di</strong> un peccato seducente quanto insi<strong>di</strong>oso. D’Ovi<strong>di</strong>o, invece,<br />
preferisce pensare che il Poeta voglia qui tracciare il quadro dei<br />
tre vizi che gravano su Firenze, riferendosi in questo caso all’invi<strong>di</strong>a; il<br />
Pascoli, con Casella, intende invece la “lonza” come simbolo <strong>di</strong> incontinenza,<br />
figurando così che Dante ambisca tratteggiare il <strong>di</strong>segno delle<br />
partizioni infernali. Infine, imprescin<strong>di</strong>bilmente, è da ricordare l’interpretazione<br />
politica, che vede nella lonza “maculata” la città “partita”,<br />
quella sua amatissima Firenze <strong>di</strong>visa in fazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa coloritura<br />
ideologico-economica. Ma sopra tutte queste pur convincenti letture del<br />
testo svetta altissimo il volo poetico della pagina <strong>di</strong> Borges (Antologia<br />
personale, Milano, 1965, p. 119), dove Dio appare in sogno alla<br />
“lonza” prigioniera a Firenze e le rivela che il suo sacrificio sarà funzionale<br />
alla realizzazione del poema <strong>di</strong> un grande uomo. Solo la potenza<br />
fantastica <strong>di</strong> un poeta poteva restituire ad un passo così vessato e tormentato<br />
dalla pur giusta pignoleria dei critici la sua delicata e soave<br />
bellezza.<br />
leggera e presta: apparentemente una <strong>di</strong>ttologia sinonimica, il binomio<br />
aggettivale nasconde in sé una delicata sfumatura: in “leggero” è riposto<br />
il senso della levità del corpo, mentre in “presta” è sottintesa l’idea della<br />
rapi<strong>di</strong>tà dell’incedere.<br />
– 114 –
v. 34: non mi si partia: la fiera, come detto, non aggre<strong>di</strong>sce Dante, ma ciò<br />
non la rende meno insi<strong>di</strong>osa: la sua pericolosità risiede infatti non tanto<br />
nel persuadere al male, quanto nel non permettere il bene, creando false<br />
apparenze ed ostacolando il cammino verso la verità. Il Poeta conosce<br />
bene la forza seduttiva della lussuria, avendola combattuta già nell’età<br />
giovanile (cfr. Vita Nuova). Quando sarà più sicuro <strong>di</strong> sé, quando il pericolo<br />
sarà ormai lontano ed il viaggio un chiaro itinerario teoretico, egli<br />
potrà persino celebrare la propria liberazione, almeno razionale, dal vizio<br />
della “lonza”: ciò avverrà nel V canto, dove potrà misurare con precisione<br />
la <strong>di</strong>stanza che ormai lo <strong>di</strong>vide dalla realtà morale <strong>di</strong> Francesca.<br />
v. 36: più volte volto: la profonda confusione emotiva in cui Dante si trova<br />
è sapientemente scolpita nella “paronomasia” o annominatio, figura largamente<br />
utilizzata dai letterati me<strong>di</strong>oevali, consistente nell’avvicinare<br />
parole pressoché omofone, con sicuro effetto retorico. Ulteriore gioco<br />
linguistico, stavolta in ambito metrico, è creato dalla rima equivoca<br />
volto-vòlto (vv. 34 e 36).<br />
v. 37-40: Temp’era...: Dante, spaventato ma ripreso il pieno controllo <strong>di</strong> sé,<br />
riesce a dominare la situazione, coltivando persino un speranza <strong>di</strong> imminente<br />
salvezza: a questo scopo interrompe il racconto e ci introduce<br />
alla considerazione del momento temporale, propizio in quanto primigenio,<br />
nuovo e rinnovativo. Siamo infatti al “principio del mattino”,<br />
tempo sempre carico <strong>di</strong> promesse <strong>di</strong> ben per l’uomo che opera rettamente,<br />
ma c’è <strong>di</strong> più: il richiamo astrologico (“quelle stelle” raffigurano<br />
la costellazione dell’Ariete), come si vedrà, è funzionale alla determinazione<br />
<strong>di</strong> una relazione <strong>di</strong>retta tra la realtà fisica della stagione ed il suo<br />
significato morale. Infatti già nella cultura classica la stagione primaverile<br />
era posta come tempo della creazione, come attestano Virgilio<br />
(Georgiche, II,336 segg.: “Crederei che non <strong>di</strong>versi splendessero i<br />
giorni all’origine / del mondo crescente, e non avessero <strong>di</strong>versa con<strong>di</strong>zione:<br />
/ quella fu primavera, ...) e Macrobio (nel commento al Somnium<br />
Scipionis, I,21: “Dicono che al principio <strong>di</strong> quel giorno che risplendé<br />
primo <strong>di</strong> tutti... l’Ariete fosse in mezzo al cielo”). Suggestiva ipotesi,<br />
ripresa dal mondo cristiano e da questo rivisitata, come sempre, secondo<br />
una visione religiosa: il sole che appare sul mondo ancora increato è<br />
l’emblema <strong>di</strong> Dio, che si accinge a compiere il suo primo atto d’amore<br />
(“l’amor <strong>di</strong>vino”... “le cose belle”). Sembra <strong>di</strong> sentire nella voce del<br />
– 115 –
Poeta la stessa commossa gratitu<strong>di</strong>ne del Cantico <strong>di</strong> Francesco e lo<br />
stesso sentimento <strong>di</strong> partecipazione alla suprema bellezza del creato.<br />
Così, Dante ha superato con un certo successo, grazie alla presa <strong>di</strong><br />
coscienza <strong>di</strong> un io rinnovato ed alla virtù palingenetica della primavera,<br />
la prima prova contro il peccato: si tratta però, ricor<strong>di</strong>amolo, <strong>di</strong> una<br />
<strong>di</strong>fficoltà non proprio insormontabile, essendo la lussuria, in realtà,<br />
l’esasperazione <strong>di</strong> un naturale desiderio umano.<br />
dal principio: qui la preposizione “da” è utilizzata con senso temporale<br />
(= circa).<br />
mosse: come vedremo soprattutto nel Para<strong>di</strong>so, “muovere” rappresenta il<br />
tipico verbo attributivo della potenza creativa <strong>di</strong>vina, nel rispetto della<br />
visione aristotelico-tomistica <strong>di</strong> Dio come motore immobile.<br />
v. 42: a la: si tratta <strong>di</strong> uno dei non infrequenti gallicismi presenti nella<br />
Comme<strong>di</strong>a: qui ha valore qualitativo (= dalla).<br />
gaetta pelle: l’aggettivo, tratto sicuramente dalla lingua d’oltralpe, ha tuttavia<br />
derivazione incerta: potrebbe infatti originarsi da gai, “leggiadro,<br />
piacevole” ovvero rappresentare la traduzione <strong>di</strong> caiet, che, nel suo<br />
significato <strong>di</strong> “screziato” <strong>di</strong>pingerebbe forse meglio la realtà materiale<br />
della pelle della “lonza”.<br />
v. 43-44: ma non...leone: con un sapiente gioco retorico, che ci fa allentare<br />
la tensione (“bene sperar”... “dolce stagione”) per poi portarla, improvvisamente,<br />
a valori altissimi (“paura non mi desse”), Dante ci presenta<br />
la seconda fiera, il leone, minaccioso nell’atteggiamento non meno che<br />
nell’aspetto. Il suo gioco, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello della “lonza”, dalla seducente<br />
terribile bellezza, è scoperto: vuole aggre<strong>di</strong>re, fidando nella<br />
sua forza e nell’incedere aggressivo e superbo. A testa alta, secondo<br />
quell’iconografia aral<strong>di</strong>ca che ancor oggi campeggia in alcuni stemmi<br />
o emblemi citta<strong>di</strong>ni, la bestia procede verso Dante “con rabbiosa<br />
fame”, emettendo cioè un ruggito che è una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> assalto,<br />
secondo il rigoroso co<strong>di</strong>ce animale. Dante non sembra reagire a tale<br />
situazione, o forse non ne ha bisogno: e qui scatta, evidentemente, il<br />
momento allegorico. Infatti, come si pensa da parte dei commentatori<br />
antichi in generale e da molti critici <strong>di</strong> oggi, il leone ipostatizza un<br />
vizio che Dante conosceva assai bene, e contro il quale era avvezzo a<br />
combattere da sempre: la superbia, <strong>di</strong> cui ripropone persino il tipico<br />
portamento (“con la test’alta”). Peccato più grave, perché porta al<br />
– 116 –
<strong>di</strong>sprezzo ed alla violenza, ma meno insi<strong>di</strong>oso della lussuria, che si sa<br />
ben mascherare.<br />
v. 46: venisse: accanto a questa lezione è attestata quella che riporta<br />
“venesse”, nel tentativo <strong>di</strong> “esorcizzare” l’eventualità che Dante possa<br />
utilizzare uno schema proso<strong>di</strong>co su cui ancora oggi grava la definizione<br />
<strong>di</strong> “imperfetto” (ma Contini ha recentemente rivisto tale giu<strong>di</strong>zio) tipico<br />
della poesia siciliana, laddove la “è” si trova a rimare con la “i”.<br />
v. 48: parea: l’uso ripetuto <strong>di</strong> verbi inerenti la sfera onirica (“parea”, “sembiava”)<br />
ci ricorda che Dante ancora non si rende ben conto della realtà<br />
della situazione in cui si trova (“pieno <strong>di</strong> sonno”): il provvidenziale<br />
intervento <strong>di</strong> Virgilio, ipostasi della Ragione, lo condurrà al “risveglio”,<br />
riportandolo alla piena autocoscienza sia fisica sia razionale.<br />
tremesse: la lezione a testo è stata restituita nel 1967 da Petrocchi, che,<br />
analizzando i co<strong>di</strong>ci trecenteschi, ha potuto operare svariate correzioni<br />
alle e<strong>di</strong>zioni basate su manoscritti più recenti; in queste si riportava<br />
“temesse”, <strong>di</strong>feso da Pagliaro. Comunque risulta indubbia l’efficacia<br />
tutta “dantesca” del “tremesse”, nel quale la potenza della sensazione si<br />
fonde alla realtà fisica <strong>di</strong> un’atmosfera <strong>di</strong> estrema tensione.<br />
v. 49: lupa: ecco infine l’ultima delle tre fiere, la più spaventosa, quella che<br />
impegna maggiormente le forze fisiche e morali <strong>di</strong> Dante; ed anche<br />
quelle poetiche, <strong>di</strong>rei, visto che ad essa sono de<strong>di</strong>cate ben quattro<br />
terzine contro le due riservate alla “lonza” e le “quasi” due prese dal<br />
leone. L’animale è descritto nella sua sinistra magrezza e nel suo essere<br />
femmina, ciò che aggrava la torbi<strong>di</strong>tà dell’apparizione e le conferisce<br />
un senso <strong>di</strong> squallore quasi pornografico (ricor<strong>di</strong>amo che in latino<br />
lupa era sinonimo <strong>di</strong> “prostituta”); un’apparizione, oltretutto, già <strong>di</strong> per<br />
sé agghiacciante per la sua repentinità, come in<strong>di</strong>cato dall’ellissi del<br />
verbo, efficacemente sostituito dalla congiunzione “ed” <strong>di</strong> inizio verso.<br />
Come era logico aspettarsi, anche per la lupa si porge una lettura allegorica,<br />
anche in questo caso, ovviamente, controversa: l’opinione più<br />
<strong>di</strong>ffusa, anche tra i commentatori antichi, vede questa sembianza bestiale<br />
legata simbolicamente al vizio della cupi<strong>di</strong>gia, o avi<strong>di</strong>tà, o avarizia<br />
(ma nel senso latino!). Qui davvero Dante parla chiaramente,<br />
come <strong>di</strong>mostra l’uso dell’immagine, sempre per in<strong>di</strong>care lo stesso peccato,<br />
in vari altri luoghi della Comme<strong>di</strong>a (Inf. VII, 8; Pg. XIV, 50; Pg.<br />
– 117 –
XX, 10; Pd. IX, 132; Pd. XXV, 6). In effetti non pochi riferimenti lo<br />
autorizzavano a tale operazione: S. Paolo, in 1Tm. 6,10), scriveva infatti:<br />
“La cupi<strong>di</strong>gia... è la ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> tutti i mali”; cfr. anche Ez 20,27, Os<br />
13,5 e infine, Ger. 5,6. Così, sulla base scritturale, colorata però <strong>di</strong><br />
straor<strong>di</strong>naria forza immaginifica, Dante crea una situazione che oscilla<br />
sapientemente tra un energico realismo ed una potente carica simbolica,<br />
ciò che si spiega con il particolare interesse che il Poeta sentiva<br />
nei confronti <strong>di</strong> problema morale così attuale e gravido <strong>di</strong> conseguenze;<br />
infatti egli guardava con sempre crescente preoccupazione a<br />
quella sua società comunale sempre più incline ad una gestione economica<br />
<strong>di</strong> tipologia capitalistica ante litteram. Si venivano sempre più<br />
precisando le linee <strong>di</strong> una nuova organizzazione sociale, il cui fine era<br />
ormai <strong>di</strong>venuto, materialisticamente, l’accumulo <strong>di</strong> ricchezze, che<br />
creavano un sistema gerarchico non più basato sulla nobiltà <strong>di</strong> sangue<br />
o, come avrebbe voluto Dante, <strong>di</strong> sentire, bensì sul possesso. Tutto ciò,<br />
ovviamente, a detrimento <strong>di</strong> quei valori umani universali <strong>di</strong> cui la civiltà<br />
classica prima ed il mondo cortese poi, si erano mantenuti attenti<br />
depositari; potente sincretizzatore <strong>di</strong> quella e <strong>di</strong> questo, Dante non poteva<br />
rassegnarsi alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> quelle inestimabili ricchezze dell’anima<br />
che vedeva <strong>di</strong>sfarsi ogni giorno sotto i colpi del mercantilismo imperante.<br />
E non ha senso parlare <strong>di</strong> un Dante reazionario, avversario del<br />
progresso ed inconsapevole dei mutamenti storici che si producevano<br />
sotto i suoi occhi: a parte il fatto che l’intellettuale non deve essere necessariamente<br />
un “integrato” nella società, non forzatamente deve farsi<br />
“vate” dei suoi tempi, ma può benissimo opporre una sua Weltanschauung<br />
a quella a lui contemporanea (devo citare Foscolo, Leopar<strong>di</strong>,<br />
gli Scapigliati, S. Weil...?), il Poeta, ma sarebbe meglio <strong>di</strong>re l’uomo in<br />
generale, ha il <strong>di</strong>ritto, inalienabile, <strong>di</strong> perseguire un ideale per cui vivere,<br />
e, magari, morire. Quello <strong>di</strong> Dante, per il quale egli si è giocato<br />
“ogne cosa <strong>di</strong>letta”, era l’Or<strong>di</strong>ne: il superiore or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>vino, concretizzabile<br />
sulla terra nelle forme della monarchia universale e nella Chiesa<br />
ecumenica, ognuno con le sue competenze e le sue funzioni, ma entrambi<br />
con lo scopo sublime <strong>di</strong> favorire quell’istinto naturale che porta<br />
l’uomo verso Suo Padre, se non è “torto da falso piacere”.<br />
v. 50: carca... magrezza: interessante proce<strong>di</strong>mento ossimorico, che avvicina<br />
un aggettivo in<strong>di</strong>cante abbondanza (“carca”) ad un sostantivo<br />
denotante privazione (“magrezza”); come sempre, non si tratta <strong>di</strong> un<br />
– 118 –
lusus retorico <strong>di</strong> stampo virtuosistico, ma assolve la funzione <strong>di</strong> illuminare<br />
la contrad<strong>di</strong>zione insita nella cupi<strong>di</strong>gia, che vuole pur possedendo.<br />
v. 51: grame: qui il <strong>di</strong>scorso si allarga dal piano in<strong>di</strong>viduale a quello<br />
sociale: Dante non parla più solo per sé, ma per gli uomini che vivono<br />
la sua stessa epoca così gravida <strong>di</strong> cambiamenti e <strong>di</strong> tensioni talvolta<br />
contrad<strong>di</strong>ttorie; l’aggettivo “grame” proveniva al poeta dalla voce<br />
germanica gram, che significa “affanno”.<br />
v. 52: tanto <strong>di</strong> gravezza: da notare la costruzione latina <strong>di</strong> “tanto” seguito da<br />
un complemento partitivo. Nell’italiano moderno il termine “gravezza”<br />
attiene per lo più alla sfera emotiva, sentimentale: ma qui credo sia<br />
giusto riportarlo all’originario ambito materiale, per accentuare ancora<br />
il senso tutto fisico dell’angoscia provocata dalla cupi<strong>di</strong>gia che “grava”<br />
sul Poeta e sui suoi tempi, tanto da averne alterato il sistema <strong>di</strong> valori.<br />
Dante <strong>di</strong>mostra in questo modo <strong>di</strong> aver ben presente il valore dell’azione<br />
dell’intellettuale, che “legge” i suoi tempi, li interpreta e propone<br />
un modello alternativo; e questa funzione è così importante per lui da<br />
fargli ad<strong>di</strong>rittura mo<strong>di</strong>ficare l’assetto gerarchico istituito dal testo teologico<br />
(1 Gv. 2,16), dove si legge che i tre vizi che dannano l’uomo sono,<br />
nell’or<strong>di</strong>ne, “concupiscentia carnis [la lussuria] ...concupiscentia oculorum<br />
[l’avi<strong>di</strong>tà] ...superbia vitae [la superbia]. Ma l’Evangelista si riferiva<br />
a ben altra epoca, quando il mondo non era stato ancora corrotto<br />
dal veleno che infettava la borghesia commerciale, quell’avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> cui<br />
Dante già constatava gli effetti nefasti e che, quin<strong>di</strong>, poteva ben porre in<br />
cima alla lista dei peccati mortali. La <strong>di</strong>fferenza, insomma, sta nella<br />
prospettiva da cui il vizio viene osservato: il teologo ne considera la<br />
ricaduta sulla coscienza in<strong>di</strong>viduale, l’intellettuale ne verifica il risvolto<br />
storico-sociale.<br />
v. 53: la paura ch’uscia <strong>di</strong> sua vista: sembra un riferimento al problema<br />
della conoscenza (presocratici, Platone) attraverso le immagini<br />
(Telesio); gli atomi si “staccano” (Democrito). Inoltre: ancora una volta<br />
Dante prova paura, così come era successo per il leone (ma non per la<br />
“lonza”, che non spaventa, e se colpisce, lo fa con la forza della seduzione).<br />
Ma si tratta <strong>di</strong> due sensazioni <strong>di</strong>verse, come sta a <strong>di</strong>mostrare la<br />
<strong>di</strong>versa strutturazione delle partiture relative ai due animali: la paura<br />
scaturita dalla vista del leone deriva dal senso autocritico <strong>di</strong> Dante, che<br />
– 119 –
si conosce facile preda <strong>di</strong> quel vizio, ma proprio per questo si trova più<br />
a suo agio nell’affrontarlo, mentre la cupi<strong>di</strong>gia è un male epocale, verso<br />
il quale è necessario affilare ancora le armi. Siamo così giunti al culmine<br />
del climax <strong>di</strong> comportamenti (degli animali e, conseguentemente,<br />
<strong>di</strong> Dante) che aveva visto la luce con la “lonza”: questa, infatti, ostacola<br />
il Poeta ma non gli si fa contro, mentre il leone si fa più aggressivo<br />
nel ruggito e nell’incedere; la lupa, infine, non solo assale Dante, ma lo<br />
respinge anche verso la selva.<br />
v. 54: la speranza de l’altezza: espressione molto sintetica, efficacissima,<br />
che ci mostra un Poeta ormai vinto dallo strapotere della lupa; egli<br />
ha “perso” qualcosa <strong>di</strong> vitale, non “smarrito”, come ad inizio canto,<br />
quando la sua inconsapevolezza non gli aveva ancora mostrato l’“altezza”.<br />
Così la <strong>di</strong>sperazione si concentra in un sostantivo astratto (“altezza”),<br />
che qualifica un profondo stato <strong>di</strong> svuotamento interiore, come<br />
prima il concreto “gravezza” aveva espresso, invece, un’impressione<br />
pesantemente fisica.<br />
v. 55: quei che volentieri acquista: ancora una metafora, meno chiara della<br />
precedente, che evoca una tipologia umana; l’ipotesi tra<strong>di</strong>zionale vede<br />
nel personaggio la figura dell’avaro, che soffre nel perdere, per circostanze<br />
impreve<strong>di</strong>bili, quanto ha accumulato con tanta cura. Ma è possibile<br />
che qui Dante si paragoni proprio al portatore del vizio contro il<br />
quale ha appena pronunciato la sua allegorica requisitoria? Più convincente<br />
l’ipotesi del Contini, che pensa al personaggio del giocatore: “Il<br />
linguaggio allude... al giocatore..., in assoluta coerenza con la con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> Dante che si è ‘giocata’ o vede ‘in gioco’, improvvisamente, la<br />
sua salute” (G.F. Contini, Varianti e altra linguistica, Einau<strong>di</strong>, Torino<br />
1979, p. 429). Comunque sia, l’immagine, oltre a caratterizzare con<br />
piena aderenza lo stato d’animo <strong>di</strong> Dante, che vede svanire quella salvezza<br />
che riteneva acquisita, ha una funzione <strong>di</strong> exemplum: come spesso<br />
ammonisce il Vangelo, è necessario vegliare continuamente contro la<br />
subdola (“lonza”), minacciosa (leone), aggressiva (lupa) minaccia del<br />
peccato.<br />
v. 57: piange e s’attrista: siamo davanti ad una non frequente forma retorica,<br />
quella dello ‘υ´στερον πρóτερον: infatti è logico pensare che ci rattristi<br />
prima <strong>di</strong> piangere.<br />
– 120 –
v. 58: sanza pace: con questa espressione Dante fa scivolare un’ulteriore<br />
pennellata, quella <strong>di</strong> rifinitura, sul ritratto della “bestia morale” che non<br />
solo non trova pace, perché sempre bramosa <strong>di</strong> denaro, ma riesce anche<br />
a toglierla alle sua vittime in quanto le spinge a macchiarsi dei peccati<br />
ad essa correlati, come l’invi<strong>di</strong>a, la violenza, la corruzione.<br />
v. 60: dove ‘l sol tace: efficacissima sinestesia che congloba con potente<br />
sintesi due sensazioni avvertite in quel momento, da Dante, come totalizzanti:<br />
l’angoscia <strong>di</strong> chi ha visto la luce ed ora si ritrova nelle tenebre<br />
e la solitu<strong>di</strong>ne dell’uomo la cui coscienza, da poco ritrovata, non gli<br />
parla più ma tace <strong>di</strong> un silenzio carico <strong>di</strong> sgomento. Dante si sente<br />
abbandonato da quella luce rassicurante che lo aveva portato a “bene<br />
sperar”, e ne ha ben donde: ormai la salvezza, data l’assenza del sole-<br />
Dio, è impossibile senza una guida, che in<strong>di</strong>chi al Poeta, ancora una<br />
volta errante (nel senso dell’errore ma anche dell’errare senza una<br />
meta sicura), una via d’uscita. E stavolta potrà trattarsi solo dell’intervento<br />
<strong>di</strong> un ente che esuli dalla sfera dell’uomo, le cui forze, evidentemente,<br />
si sono rivelate insufficienti a superare l’ostacolo dell’ultima<br />
fiera: quella capace non solo <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la vita <strong>di</strong> un uomo, ma<br />
anche <strong>di</strong> infettare l’intera specie umana e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> alterare le linee<br />
del suo percorso storico, teleologicamente or<strong>di</strong>nato ad incontrare il suo<br />
Principio.<br />
vv. 61-99: Dante, sentendosi perduto, sembra rassegnarsi alla sua sorte:<br />
ma un’ombra, emergendo improvvisamente, gli conferisce nuova speranza.<br />
È Virgilio, il celebre poeta latino che, dopo essersi brevemente<br />
presentato, provoca in Dante, meravigliato e riverente, una richiesta<br />
d’aiuto contro la lupa.<br />
v. 61: rovinava: intendere il termine in senso materiale pone alquante <strong>di</strong>fficoltà<br />
<strong>di</strong> collegamento con l’“a poco a poco” <strong>di</strong> v. 59: mentre questo,<br />
infatti, implica un’idea <strong>di</strong> movimento lento, il verbo lascia invece<br />
immaginare una <strong>di</strong>namica accelerata. Una possibile opzione potrebbe<br />
essere rappresentata dall’unione sintattica tra “venendomi incontro” e<br />
“a poco a poco”: insomma, il moto lento sarebbe da attribuire alla lupa<br />
e non a Dante. Ma probabilmente, più che addentrarci in forzature<br />
formali, faremmo meglio a caricare il verbo “rovinare” <strong>di</strong> un forte<br />
valore morale, come si propone da più parti.<br />
– 121 –
v. 62: mi si fu offerto: da notare l’uso <strong>di</strong> un tempo alquanto inconsueto, il<br />
trapassato remoto, con il quale il Poeta vuol informarci che la misteriosa<br />
apparizione si trovava in quel luogo ancor prima <strong>di</strong> essere da lui<br />
scorta. Anche in questo caso, come si vede, la comparsa <strong>di</strong> un personaggio<br />
si presenta improvvisa, come era accaduto per le tre fiere:<br />
questo ci inserisce in un’atmosfera solenne e carica <strong>di</strong> attesa, benché<br />
in questa circostanza sembra <strong>di</strong> avvertire piuttosto chiaramente che<br />
ciò che sta per avvenire non avrà l’impatto negativo delle esperienze<br />
precedenti, bensì prepara all’uscita dalla trappola.<br />
v. 63: parea: qui il verbo non ha sfumature oniriche (come vedremo nel<br />
Para<strong>di</strong>so) ma risponde al significato <strong>di</strong> “apparire”.<br />
silenzio-fioco: ai nostri occhi <strong>di</strong> lettori moderni che non sanno più leggere<br />
<strong>di</strong> poesia (tanto meno crearla, come si <strong>di</strong>sperava Leopar<strong>di</strong>), il verso<br />
appare ricco <strong>di</strong> insanabili contrad<strong>di</strong>zioni: anticamente, infatti, si ritenne<br />
che “fioco” fosse da relazionare alla voce, che non parla da tanti secoli,<br />
<strong>di</strong> Virgilio che, però, almeno per il momento, non fa motto... Si può allora<br />
ricorrere al significato allegorico, escamotage non <strong>di</strong> basso profilo,<br />
se si pensa al calibro, se non altro storico, <strong>di</strong> chi l’ha suggerito: Pietro,<br />
figlio <strong>di</strong> Dante: “...Dante...vuol significare in che modo la ragione in<br />
questo inizio non gli parlava ancora in modo <strong>di</strong>stinto”. Ma, come recita<br />
la regola d’oro del dantista, l’allegoria deve sempre essere sostenuta dal<br />
senso letterale del testo: Boccaccio, piuttosto ingiustamente, mi sembra,<br />
ritenne che Dante si volesse riferire, con “lungo silenzio”, all’in<strong>di</strong>fferenza<br />
che ai suoi tempi aveva ormai avvolto l’opera <strong>di</strong> Virgilio: cosa<br />
che davvero non si può <strong>di</strong>re, se pensiamo che, anzi, il Poeta latino<br />
costituì un punto <strong>di</strong> riferimento sia letterario sia morale lungo tutto il<br />
corso del me<strong>di</strong>oevo. Il Pagliaro (Ulisse. Ricerche semantiche sulla<br />
Divina Comme<strong>di</strong>a, Messina-Firenze, 1967) <strong>di</strong>ede il suo contributo<br />
correlando “fioco” all’inconsistenza corporea delle anime in generale<br />
(ipotesi negata dal “mi si fu offerto”, che fa pensare ad un’immagine<br />
ben rilevata, ma contemporaneamente sostenuta da “od ombra od omo<br />
certo!”) e “lungo silenzio” alla morte del personaggio, avvenuta molto<br />
tempo prima. Il Mazzoni (Saggio <strong>di</strong> un nuovo commento della Divina<br />
Comme<strong>di</strong>a, Firenze, 1967) propone una lettura alquanto convincente,<br />
anche sotto il profilo allegorico: Dante stenterebbe a <strong>di</strong>stinguere i tratti<br />
(“fioco”) <strong>di</strong> colui che ha <strong>di</strong> fronte a causa dell’assenza del sole (“silenzio”),<br />
qui nella piaggia, dove il buio è fisico ma anche segno tangibile<br />
– 122 –
della morte della speranza, uccisa dal peccato. Altri tentativi <strong>di</strong> <strong>di</strong>panare<br />
l’intricata matassa, nonostante il notevole sforzo esegetico, sono apparsi<br />
meno persuasivi, talvolta forzati.<br />
v. 65: miserere: sembra <strong>di</strong>fficile che Dante, in questo momento <strong>di</strong> concitazione<br />
ed angoscia, si senta in vena <strong>di</strong> citare un testo sacro (con Miserere<br />
inizia, infatti, il Salmo 50): piuttosto credo che qui al Poeta, istintivamente,<br />
sia corsa sulle labbra un’invocazione propria del linguaggio<br />
colloquiale, benché <strong>di</strong> ascendenza liturgica.<br />
v. 66: qual...certo: Dante non è affatto sicuro che la figura che gli compare<br />
davanti sia un essere vivente, ma la sua angoscia è tale da spingerlo ad<br />
aggrapparsi anche a qualcosa <strong>di</strong> indefinito o sconosciuto: segno che il<br />
peccato ha intaccato le sue facoltà razionali, ma anche che egli non si<br />
rassegna a soggiacergli e con tutte le forze, anche con quelle dell’irrazionale,<br />
si <strong>di</strong>batte per sfuggirgli.<br />
v. 67: non...fui: con un andamento che sembra riecheggiare certe movenze<br />
da letteratura popolare, in cui l’antagonista risponde al protagonista<br />
riprendendo la sua stessa espressione, Virgilio, con una flemma che non<br />
avrà certamente contribuito a rassicurare Dante, procede all’autopresentazione.<br />
Innanzitutto tiene a precisare la sua attuale con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “non<br />
più uomo”, che rappresenta in fondo anche la sua situazione morale.<br />
Infatti, privato del corpo (“omo già fui”, sembra <strong>di</strong>re con una punta <strong>di</strong><br />
nostalgia), privato della possibilità <strong>di</strong> nutrire l’anima della luce <strong>di</strong> Dio,<br />
egli vive una sofferenza tutta interiore, che ne fa una figura <strong>di</strong> considerevole<br />
spessore elegiaco, ben tornita da Dante con l’efficace strumento<br />
stilistico del chiasmo. Da questo momento faremo bene a prestare una<br />
delicata attenzione verso questo straor<strong>di</strong>nario carattere, che, <strong>di</strong>gnitoso e<br />
sempre all’altezza della sua missione, porterà dentro <strong>di</strong> sé, senza mai<br />
ostentarlo, un dolore chiuso ed irrime<strong>di</strong>abile: è quella Sehnsucht virgiliana<br />
che si materializza ora in una parola, ora in un gesto, ora (questo<br />
sarà visibile nel Purgatorio) in un momento <strong>di</strong> incertezza. Spesso gli insegnanti<br />
non sanno cosa rispondere a quella domanda che, puntuale,<br />
viene loro rivolta ogni anno dagli allievi che non possono capacitarsi<br />
dell’“ingiustizia” subita dal grande poeta latino: cosa ha fatto per meritarsi<br />
la dannazione eterna? Cosa ha a che spartire con la lussuriosa<br />
Francesca, con l’eretico Farinata, con il suicida Pier delle Vigne? Da-<br />
– 123 –
vanti a quei volti <strong>di</strong> adolescenti sinceramente stupiti ed anche un po’<br />
amareggiati come si può parlare <strong>di</strong> allegoria, <strong>di</strong> simbolo, <strong>di</strong> arte? Si può<br />
e si deve, perché la risposta è contenuta proprio in considerazioni <strong>di</strong> carattere<br />
storico-culturale che rientrano in un <strong>di</strong>scorso generale su Dante,<br />
sulla civiltà classica, sulla prospettiva <strong>di</strong> questa nel mondo me<strong>di</strong>oevale.<br />
Virgilio, al <strong>di</strong> là dell’interpretare la sua figura storica, rappresenta infatti<br />
tutto intero il dramma della civiltà classica, che ha raggiunto le vette<br />
più alte del pensiero e dell’ispirazione poetica, ma non ha saputo leggere<br />
nella storia l’orma costante della presenza <strong>di</strong> Dio; non c’è stato,<br />
insomma, quello “scatto” verso la trascendenza che avrebbe illuminato<br />
il gran<strong>di</strong>oso pensiero dei filosofi pagani <strong>di</strong> una luce totale, riempito i<br />
soavi versi dei poeti classici <strong>di</strong> una sublimità sovrumana. Una civiltà<br />
“monca”, insomma, quella classica, ma non per questo meno ammirevole:<br />
Dante sa <strong>di</strong> aver molto da imparare, e per questo sceglie a sua<br />
guida l’infelice Virgilio, costante monito a non sopravvalutare la ragione<br />
umana, ma anche splen<strong>di</strong>do esempio delle sue vertiginose possibilità.<br />
Tuttavia sorge un legittimo interrogativo: se tanti, e tanto gran<strong>di</strong>,<br />
sono stati gli intellettuali dell’antichità, perché Dante designa ad ipostasi<br />
della cultura classica proprio Virgilio e non, per esempio, Seneca,<br />
o Aristotele, o Livio (autori verso cui, tra l’altro, il debito del Poeta<br />
toscano appare evidente)? Intanto è da evidenziare come nel Me<strong>di</strong>oevo<br />
la figura del Poeta latino fosse avvolta da un grande fascino, soprattutto<br />
perché aveva saputo dar voce a quell’ansia <strong>di</strong> universalismo che pervadeva<br />
la cultura contemporanea: egli racconta infatti la vicenda <strong>di</strong> Enea,<br />
strumento <strong>di</strong> una missione provvidenziale finalisticamente or<strong>di</strong>nata alla<br />
creazione <strong>di</strong> una struttura globale come quella <strong>di</strong> Roma. Dante, assertore<br />
convinto (cfr. De Monarchia) della necessità storica dell’Impero<br />
romano, avrà certamente sentito una qualche affinità tra se stesso l’eroe<br />
troiano, come vedremo nel II canto. Ma non bisogna tralasciare il fatto<br />
che Virgilio fu poeta, come Dante: questa con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> esperienze<br />
culturali farà sì che i due, pur con le ovvie <strong>di</strong>stanze storico-culturali, si<br />
troveranno sempre in sintonia e parleranno, per così <strong>di</strong>re, la stessa<br />
lingua. Infine, in quanto poeta, Virgilio appare, secondo la visione me<strong>di</strong>oevale,<br />
come portatore <strong>di</strong> saggezza: qualità “necessarissima” in un<br />
viaggio che promette insicurezze e pericoli. Comunque anche dal punto<br />
<strong>di</strong> vista poetico Virgilio riveste un ruolo fondamentale: è il “Docente”<br />
delle “visioni”, viaggi immaginari nell’al<strong>di</strong>là spesso raccontati dai<br />
mistici me<strong>di</strong>oevali. Suo compito è quello <strong>di</strong> accompagnare il pellegrino,<br />
– 124 –
<strong>di</strong> istruirlo ed iniziarlo ai significati profon<strong>di</strong> della visione, <strong>di</strong> agevolare<br />
la realizzazione della volontà <strong>di</strong>vina. Tuttavia nel nostro caso si tratta <strong>di</strong><br />
qualcosa <strong>di</strong> ben più articolato <strong>di</strong> una visione, come abbiamo avuto<br />
modo <strong>di</strong> chiarire più sopra; si tratta <strong>di</strong> un vero e proprio viaggio, del<br />
corpo oltre che dell’anima e con la partecipazione attenta ed attiva, e<br />
non estatica, del pellegrino. Questo fondersi <strong>di</strong> valori e significati<br />
implica necessariamente l’impossibilità, per Dante, <strong>di</strong> rappresentare se<br />
stesso ed il suo Docente come figure piatte, senza spessore: entrambi<br />
sono autentici, <strong>di</strong>segnati a tutto tondo, dotati <strong>di</strong> una propria personalità.<br />
Solo a questo punto, dopo aver chiarito i motivi storico-culturali e letterari<br />
della presenza <strong>di</strong> Virgilio nella Divina Comme<strong>di</strong>a, possiamo parlare<br />
<strong>di</strong> allegoria: come innumerevoli generazioni <strong>di</strong> studenti hanno appreso,<br />
senza troppa convinzione, sui banchi del liceo, Virgilio ipostatizza la<br />
Ragione, “summa” delle potenzialità intellettuali dell’uomo, che si è<br />
espressa gran<strong>di</strong>osamente nell’antichità e che nel me<strong>di</strong>oevo, grazie alla<br />
me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> San Tommaso, ha ricomposto la sua integralità con l’in<strong>di</strong>spensabile<br />
apporto della fede: tuttavia bisogna sfuggire alla tentazione<br />
<strong>di</strong> esaurire il ruolo (anzi: i “ruoli”, come apparirà nei suoi svariati interventi<br />
e come cercherò <strong>di</strong> volta in volta <strong>di</strong> chiarire) del Poeta latino nella<br />
esclusiva species allegorica, da considerare invece solo e sempre come<br />
complementare ad una figura autentica, con tutte le sue prerogative<br />
umane, con tutte le sue movenze intellettuali e con tutto il suo sommesso<br />
iter emotivo, uscita dallo scalpello poetico <strong>di</strong> Dante come una<br />
scultura finita, levigata dal dolore e polita con la pomice <strong>di</strong> una tragica<br />
consapevolezza.<br />
Eppure Benedetto Croce ha potuto pensare che questo scorcio del primo<br />
canto, questo “avvio”, sia “stentato”, a causa <strong>di</strong> un uso pesante dell’allegoria,<br />
per l’idealismo crociano “assassina” della poesia. Interpretazione<br />
da tempo superata: era sin troppo facile accorgersi che la complessità<br />
concettuale dei simboli <strong>di</strong> questa prima parte <strong>di</strong> canto si sposa<br />
perfettamente con l’altissimo valore poetico delle allegorie.<br />
omo...omo: da notare il chiasmo, imperfetto per la mancanza del verbo nella<br />
prima tranche della frase.<br />
v. 68: parenti...lombar<strong>di</strong>: Virgilio “latineggia” con grande <strong>di</strong>sinvoltura: qui<br />
si rifà a “parentes”, con il significato <strong>di</strong> “genitori”. In quanto a “lombar<strong>di</strong>”,<br />
si tratta <strong>di</strong> un evidente anacronismo: al tempo <strong>di</strong> Virgilio, infatti,<br />
Mantova era compresa nella Gallia cisalpina, mentre nel 1300 essa rien-<br />
– 125 –
trava nel territorio della Lombar<strong>di</strong>a (il cui nome ricorda la dominazione<br />
longobarda), che press’a poco comprendeva l’Italia settentrionale, almeno<br />
nominalmente. Perché Dante compie un errore tanto grossolano?<br />
In realtà egli non fa altro che, ancora una volta, comportarsi da uomo<br />
del suo tempo, <strong>di</strong> quel Me<strong>di</strong>oevo che, lontano dalla concezione evolutiva<br />
moderna, tendeva a porre la storia su un piano orizzontale. Questo<br />
non certo per ignoranza, quanto per coerenza al principio secondo il<br />
quale la storia umana altro non è che l’impronta <strong>di</strong> Dio sulla Terra:<br />
essendo Dio eterno, quin<strong>di</strong> non passibile <strong>di</strong> evoluzione, ed universale,<br />
la storia non può che conformarglisi, rimanendo così uguale a se stessa,<br />
aderente alla Causa prima.<br />
v. 69: mantovani...ambedui: sembra <strong>di</strong> avvertire una vibrazione affettiva<br />
in questo verso in cui le due parole-chiave si abbracciano in una voluta<br />
sinalefe “patriambedui”. Da notare anche la <strong>di</strong>eresi che indugia, accarezzandola,<br />
sulla cara “patria”.<br />
v. 70: sub Iulio: con la formula che in<strong>di</strong>ca, in latino, un consolato o il periodo<br />
<strong>di</strong> regno <strong>di</strong> un imperatore, Virgilio racconta <strong>di</strong> essere stato contemporaneo<br />
<strong>di</strong> Giulio Cesare, che tuttavia a quell’epoca non rivestiva<br />
ancora alcuna carica pubblica; probabilmente Dante incorre in una inesattezza,<br />
ma mi convince maggiormente l’idea che Virgilio utilizzi<br />
questo modulo i<strong>di</strong>omatico per manifestare l’orgoglio <strong>di</strong> aver partecipato,<br />
almeno come spettatore storico, al compiersi del destino <strong>di</strong> Roma<br />
attraverso la vicenda cesariana: resta il rammarico <strong>di</strong> non aver potuto<br />
stringere rapporti <strong>di</strong> mutua ammirazione con il <strong>di</strong>ctator, ucciso nel 44<br />
a.C. (“ancor che fosse tar<strong>di</strong>”).<br />
v. 71: buono Augusto: Dante conferisce a questo comune aggettivo, ormai<br />
logoro nel nostro italiano, un significato intensissimo, ponendolo su un<br />
livello <strong>di</strong> estrema pregnanza. Infatti in esso (che ritorna, con lo stesso<br />
senso, in Inf. XXII, 52, in Purg. XVIII, 119 e, riferito non più ad un re<br />
bensì ad Apollo, in Pd. I, 13) sono compen<strong>di</strong>ate tutte quelle virtutes che<br />
fanno <strong>di</strong> Augusto un principe “valente”, secondo il pensiero liviano:<br />
prima tra tutte la clementia, garanzia <strong>di</strong> concor<strong>di</strong>a civile, quin<strong>di</strong> il rispetto<br />
degli antiqui mores, la cui eco è giunta all’orecchio del me<strong>di</strong>oevo,<br />
e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> Dante, non soltanto per via storica ma anche tramite<br />
la letteratura cavalleresca, che su <strong>di</strong> essi si modella.<br />
– 126 –
v. 72: falsi e bugiar<strong>di</strong>: nei versi 71 e 72 sta tutta l’ambiguità del periodo<br />
classico, con il suo splendore e con la sua miseria: lo splendore <strong>di</strong> un<br />
tempo in cui ancora esistevano principi “buoni” (cosa darebbe Dante<br />
per inchinarsi ad un Augusto del ’300!), la miseria <strong>di</strong> un cielo senza<br />
Dio, popolato dagli antichi con figure mistificanti la Verità, quegli dèi<br />
che ora l’antico Virgilio riconosce, quasi con rabbia, posticce ed ingannevoli<br />
(“falsi e bugiar<strong>di</strong>”) rappresentazioni dell’uomo.<br />
v. 73: Poeta: Dante riserva il posto d’onore, a capoverso, alla parola, per lui<br />
sacra, <strong>di</strong> “poeta”. Virgilio ha ormai espresso le sue credenziali: essere<br />
vissuto al tempo <strong>di</strong> Cesare e <strong>di</strong> Augusto, credere nella “falsità” degli dèi<br />
antichi, ma soprattutto essere poeta; ciò in particolar modo farà sentire<br />
al sicuro Dante, che conosce l’alta funzione della poesia e la totale affidabilità<br />
morale <strong>di</strong> chi la pratica.<br />
giusto: Virgilio si concede quasi una autocitazione (come farà nei versi<br />
successivi): nella sua Eneide (I, vv. 544-5) egli scriveva infatti: “Rex<br />
erat Aeneas nobis, quo iustior alter / nec pietate fuit nec bello maior et<br />
armis”.<br />
v. 74: figliuol... Troia: stavolta a “capotavola” siede Enea (per cedergli il<br />
posto Dante si produce ad<strong>di</strong>rittura in un enjambement): perché? È possibile<br />
che qui Virgilio voglia introdurre il <strong>di</strong>scorso sul viaggio provvidenziale<br />
<strong>di</strong> Dante, sulla sua missione voluta dal Cielo perché si compiano i<br />
<strong>di</strong>segni prestabiliti ab aeterno: e chi altri può prefigurare Dante se non<br />
Enea, anch’egli investito <strong>di</strong> un compito escatologico, quello <strong>di</strong> dar vita a<br />
quell’Impero che avrebbe poi fatto da culla al cristianesimo? Così, come<br />
ha fatto ben notare Singleton, con l’entrata in scena <strong>di</strong> Virgilio la situazione<br />
iniziale subisce una poderosa svolta, passando dal piano psicologico,<br />
in<strong>di</strong>viduale (Dante-umanità e la sua con<strong>di</strong>zione esistenziale)<br />
a quello storico-sociale (la missione del Poeta “me<strong>di</strong>ata” da Virgilio).<br />
A margine, sottolineo ancora una autocitazione: “...Troiae qui primus<br />
ab oris / Italiam fato profugus laviniaque venit / litora...” (Aen. I, 1-3).<br />
v. 75: poi...combusto: accanto ad una ulteriore autocitazione (“superbum /<br />
Ilium”, Aen. III, 3-4) troviamo il curioso latinismo biblico “combusto”:<br />
Dante quasi istintivamente “ricorda” a Virgilio che, al <strong>di</strong> là della perfezione<br />
linguistica raggiunta dal latino classico, la Verità, quella della<br />
Bibbia, è raccontata con il latino me<strong>di</strong>oevale.<br />
– 127 –
Da notare l’inversione <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>mento rispetto all’inizio: lì si partiva<br />
dal simbolo fantastico che si concretizzava in realtà fisiche (selva, colle,<br />
fiere), qui al contrario tutto muove dalla determinazione oggettiva, ed<br />
ad<strong>di</strong>rittura precisata nei dati biografici, del poeta latino, che <strong>di</strong>venta<br />
simbolo ma che non perde mai, come già sottolineato, la sua <strong>di</strong>mensione<br />
umana, psicologica, nella sua Sehnsucht verso Dio.<br />
v. 76: Ma tu...: dopo la presentazione essenziale ma compen<strong>di</strong>osa del suo<br />
personaggio, Virgilio, forzando sull’avversativa enfatica con cui inizia<br />
il verso, “provoca” Dante, ponendolo <strong>di</strong> fronte alla sua realtà <strong>di</strong> pericolo:<br />
come se volesse avvertirlo che la propria sola presenza non basta<br />
a salvarlo da un male contro il quale, accanto alla forza della ragione,<br />
deve agire in piena coscienza la responsabilità personale.<br />
noia: il termine ha subito nei secoli uno scivolamento semantico, perdendo<br />
parte della carica negativa che aveva nel me<strong>di</strong>oevo: nella lirica provenzale,<br />
infatti, troviamo il genere dell’enueg, elenco poetico <strong>di</strong> ciò che angoscia<br />
o <strong>di</strong>spiace a chi scrive. Così “noia” potrebbe approssimativamente<br />
tradursi come “fonte <strong>di</strong> angoscia”.<br />
v. 77: perché...monte: si tratta del “colle” <strong>di</strong> v. 13, obiettivo dell’umanità<br />
attualmente traviata dal peccato; Dante concretizza il concetto in un<br />
ambiente incantevole, che ricorda i “deliciani”, luoghi nati dall’immaginario<br />
popolare, oppure gli affreschi dei palazzi me<strong>di</strong>oevali, che raffiguravano<br />
raffinati giovani e delicate fanciulle intenti alle più amene e<br />
deliziose occupazioni.<br />
v. 79: quel: quasi per “simpatia”, Dante gratifica Virgilio <strong>di</strong> un “ille”, trasposto<br />
con “quel”, che nell’italiano me<strong>di</strong>oevale non aveva ancora perso<br />
il valore enfatico (“proprio quello”, “quello in persona”, “quel celebre”)<br />
proprio del corrispondente latino.<br />
vv. 79-80: fonte...fiume: grande affrescatore <strong>di</strong> figure, Dante si compiace<br />
<strong>di</strong> completare, quando possibile, il quadro cui aveva dato le prime pennellate;<br />
così avviene anche in questo caso, dove l’immagine dell’acqua,<br />
<strong>di</strong>segnata con “fonte”, si precisa e si compie con “fiume”.<br />
v. 81: lui: da notare l’ellissi della preposizione “a”, fenomeno alquanto consueto<br />
nel volgare me<strong>di</strong>oevale.<br />
– 128 –
vergognosa: certamente, come sostengono i commentatori moderni, la<br />
“vergogna” <strong>di</strong> Dante consiste nella soggezione, o meglio nel timore<br />
reverenziale dell’allievo davanti al suo ideale maestro; tuttavia proprio<br />
per questo non mi sento <strong>di</strong> negargli anche un senso <strong>di</strong> minorità, lo<br />
stesso che proverà Brunetto Latini, nel XV canto, davanti a Dante. Qui<br />
l’Alighieri, incapace <strong>di</strong> salvarsi da solo e quin<strong>di</strong> non “saggio” come la<br />
sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> poeta gli imporrebbe <strong>di</strong> essere (e come Virgilio è),<br />
sente <strong>di</strong> essere inferiore non soltanto a Virgilio, ma anche al ruolo che<br />
ricopre.<br />
v. 82: onore e lume: Virgilio onora il nome della poesia, da lui portata alle<br />
massime vette espressive, e fa luce agli altri poeti, che da lui traggono<br />
la consapevolezza del proprio ruolo <strong>di</strong> intellettuali, l’intensità dell’ideologia<br />
e l’altezza dello stile.<br />
v. 83-84: vagliami...volume: interessante sottolineare come la sottile, acuta<br />
ma sincera captatio benevolentiae <strong>di</strong> Dante si muova in maniera alquanto<br />
articolata: il Poeta, nel proclamare la sua ammirazione (“stu<strong>di</strong>o”<br />
e “amore” in<strong>di</strong>cano una <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> tensione) per il “volume” <strong>di</strong> Virgilio,<br />
<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essersi adoperato per “cercarlo”. Credo infatti che il verbo<br />
vada interpretato nel modo più elementare, data la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> reperire<br />
libri nell’epoca me<strong>di</strong>oevale. Questo blando “ricatto”, seguito dall’altra<br />
iperbole “tu se’ solo colui da cu’ io tolsi / lo bello stilo...”, pone Virgilio<br />
nella delicata situazione <strong>di</strong> chi si sente moralmente coinvolto nell’evento<br />
in fieri; evento nel quale peraltro, come egli ben sa e come presto rivelerà,<br />
è stato implicato da ben altri che dal Poeta fiorentino. Per quanto riguarda<br />
poi l’identità del “volume”, ritengo trattarsi generalmente dell’opera<br />
<strong>di</strong> Virgilio, mentre altri si sono soffermati sul singolare, che farebbe<br />
pensare ad un componimento particolare, come le Bucoliche o, forse meglio,<br />
l’Eneide; per quanto riguarda le Georgiche, sembrano il can<strong>di</strong>dato<br />
più improbabile, come <strong>di</strong>mostra il fatto che alcuni ritengono che Dante<br />
non le abbia mai lette, o ad<strong>di</strong>rittura ne ignorasse l’esistenza.<br />
v. 85: Tu se’...autore: con “maestro” Dante inquadra imme<strong>di</strong>atamente<br />
Virgilio nel ruolo <strong>di</strong> esperto <strong>di</strong> eloquenza, materia base dell’arte poetica;<br />
in quanto ad “autore”, il termine è modellato sul latino auctor, derivato<br />
sostantivale <strong>di</strong> augeo, che dà vita, tra l’altro, ad Augustus; il verbo<br />
risponde al significato <strong>di</strong> “accrescere”, “far aumentare”, “promuovere”.<br />
– 129 –
Così l’“autore” è per il Poeta, in senso attivo, il promotore <strong>di</strong> un’esperienza,<br />
nel caso <strong>di</strong> Dante quella intellettuale-poetica; in senso passivo,<br />
è colui che è depositario <strong>di</strong> auctoritas, cioè, come si trova scritto nel<br />
Convivio, “persona degna <strong>di</strong> essere creduta e obe<strong>di</strong>ta” (IV, vi, 5).<br />
v. 86: tu...tolsi: sempre nel segno <strong>di</strong> una sincera ma non sprovveduta captatio<br />
benevolentiae, Dante sottolinea la sua ammirazione per Virgilio<br />
solennizzando ancora, se ce ne fosse bisogno, l’incontro con l’anafora<br />
“tu...tu”.<br />
v. 87: lo bello stilo: Dante, non senza orgoglio e quasi a guadagnarsi la considerazione<br />
<strong>di</strong> Virgilio, cita latentemente le proprie canzoni allegoricodottrinali,<br />
laddove si valeva dello stile “tragico”, il più nobile, quello<br />
riservato agli argomenti più elevati.<br />
v. 88: ve<strong>di</strong>...volsi: finalmente, dopo essersi in qualche modo <strong>di</strong>chiarato<br />
meritevole <strong>di</strong> aiuto, Dante avanza nei confronti <strong>di</strong> Virgilio la richiesta<br />
che gli urgeva dentro: quella <strong>di</strong> essere liberato dal pericolo incombente,<br />
la “bestia”. Non c’è bisogno <strong>di</strong> argomentazioni retoriche, della ricostruzione<br />
dei fatti, della descrizione fenomenologica: la “bestia”, cioè il<br />
peccato, nella sua patente irrazionalità, parla da sé.<br />
v. 89: saggio: per Dante, uomo del suo tempo e quin<strong>di</strong> aderente alla sua<br />
Weltanschauung, la personalità del poeta coincide con quella del saggio<br />
per eccellenza, <strong>di</strong> colui che vede più in là rispetto agli altri (in fondo, è<br />
la concezione baudelairiana del poeta-veggente): nel Convivio “saggio”<br />
è Giovenale, nella Vita Nuova Guinizelli, nell’Inferno Omero, <strong>Orazio</strong>,<br />
Ovi<strong>di</strong>o, Lucano, nel Purgatorio Stazio.<br />
v. 90: le vene e i polsi: giustamente celebre per la sua efficacia, l’espressione<br />
rappresenta, dal punto <strong>di</strong> vista retorico, una metonimia: Dante<br />
qualifica in un attimo (non c’è tempo da perdere, ed egli ne ha già speso<br />
tanto nella pur necessaria celebrazione del poeta mantovano!) l’intera<br />
realtà del il suo stato psico-fisico, allo scopo <strong>di</strong> guadagnarsi la simpatia,<br />
e quin<strong>di</strong> l’aiuto, <strong>di</strong> Virgilio.<br />
v. 91: a te...: in quel “conviene” c’è tutta la saggezza <strong>di</strong> Virgilio, ma anche il<br />
suo ruolo, a Dante ancora non noto, <strong>di</strong> esecutore della volontà <strong>di</strong>vina:<br />
– 130 –
evidentemente le sue domande precedenti (...perché ritorni a tanta<br />
noia? perché non sali il <strong>di</strong>lettoso monte...?) rappresentavano un rituale<br />
<strong>di</strong> riconoscimento, come se con queste avesse voluto saggiare l’intenzione<br />
<strong>di</strong> Dante <strong>di</strong> ritornare, in qualche modo, sulla “<strong>di</strong>ritta via”. E<br />
questo modo sarà l’“altro viaggio”, lungo e irto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, ma latore<br />
<strong>di</strong> un’esperienza profonda non solo per Dante, ma per l’intera umanità.<br />
v. 92: poi che lagrimar...: che Virgilio stesse sottoponendo Dante ad una<br />
sorta <strong>di</strong> inchiesta è documentato, oltre che da quanto detto sopra, da<br />
queste lacrime, versate dal poeta fiorentino, probatorie della sua determinazione<br />
a risolvere il proprio problema morale: solo dopo queste,<br />
infatti, Virgilio scioglie ogni sua riserva sulla serietà delle intenzioni <strong>di</strong><br />
Dante e gli mostra con le parole ciò che poi nei fatti dovrà affrontare,<br />
ma anche le conseguenze benefiche del viaggio.<br />
v. 94: questa bestia: il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Virgilio, almeno fino al verso 111, è tutto<br />
incentrato intorno alla “bestia” contro la quale Dante-umanità non può<br />
vincere se non tiene “altro viaggio”, cioè se non promuove una palingenesi<br />
a tutti i livelli: morale, politico, religioso; quella che il Poeta si<br />
sobbarcherà, alter Christus, per mostrare all’uomo la via. I vv. 94-111<br />
sono un capolavoro <strong>di</strong> intercambiabilità tra senso allegorico e senso<br />
letterale, l’uno rinforzo dell’altro: quando sembra completa l’immagine<br />
della lupa affamata, ecco che da questa rampolla la figura della cupi<strong>di</strong>gia,<br />
che rende l’uomo sempre avido <strong>di</strong> nuove ricchezze, <strong>di</strong> più vasto potere.<br />
A margine, una nota linguistica: la -e <strong>di</strong> “gride” è la comune terminazione,<br />
nell’italiano del Trecento, della seconda persona del presente<br />
in<strong>di</strong>cativo.<br />
v. 96: lo uccide: Virgilio sembra alludere al pericolo corso da Dante, che<br />
infatti era stato “impe<strong>di</strong>to” dalla lupa (“la bestia per cu’ io mi volsi”),<br />
che lo avrebbe sicuramente ucciso senza il suo intervento: si tratta <strong>di</strong> un<br />
implicito richiamo all’importanza della propria presenza, ma, ancor più,<br />
alla necessità <strong>di</strong> Dante <strong>di</strong> “tenere altro viaggio”.<br />
v. 97: malvagia e ria: per alcuni si tratta <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ttologia sinonimica,<br />
mentre altri rilevano la sfumatura <strong>di</strong> significato tra “malvagia”, semplice<br />
qualificativo, e “ria”, che sembra in<strong>di</strong>care uno stato esistenziale<br />
totalizzante: si tratterebbe allora <strong>di</strong> un climax ascendente.<br />
– 131 –
v. 98: bramosa voglia: questa ridondanza mette bene in luce l’essenziale caratteristica<br />
della cupi<strong>di</strong>gia, che alimenta se stessa in senso esponenziale<br />
(cfr. Ov., Met., VIII, 834, dove il poeta latino si riferisce ad Erisittone:<br />
plusque cupit, quo plura suam demittit in alvum).<br />
v. 99: dopo il pasto...pria: per rinforzare il concetto espresso sopra, Dante<br />
insiste sulla incontentabilità della lupa (ma ora più cupi<strong>di</strong>gia) ripetendo<br />
quasi le sue parole <strong>di</strong> Conv. IV, XII, 6: “in nullo tempo si compie né si<br />
sazia la sete della cupi<strong>di</strong>tate”.<br />
vv. 100-111: Virgilio rassicura Dante profetizzando l’avvento <strong>di</strong> un misterioso<br />
“Veltro”, che riuscirà a riportare la pace e la giustizia nel<br />
mondo, dopo aver cacciato la terribile lupa.<br />
v. 100: animali...ammoglia: alcuni hanno inteso “animali” nel senso figurato<br />
dei vizi che fanno da corollari alla cupi<strong>di</strong>gia; sembra tuttavia più<br />
persuasiva l’interpretazione attributiva della parola, per cui essa verrebbe<br />
a significare “esseri animati”, cioè dotati <strong>di</strong> anima: gli uomini.<br />
Tale lettura, confortata da analoghe occorrenze e da un passo <strong>di</strong> Ep. XI,<br />
14 (cupi<strong>di</strong>tatem unusquisque sibi duxit in uxorem), rivela ancora una<br />
volta l’amaro pessimismo del Poeta, che non vede altra via d’uscita che<br />
la soluzione messianico-palingenetica.<br />
v. 101: Veltro: Dante affida la sua prima ipostasi profetica ad uno splen<strong>di</strong>do<br />
animale: il veltro (dal tardo latino vertagum). Questo, agile ed inesorabile<br />
cane da caccia, nasce figurativamente dall’immagine della lupa, e<br />
come essa <strong>di</strong>spone (almeno in questa prima rapida presentazione: in<br />
seguito noteremo il <strong>di</strong>stanziarsi <strong>di</strong> Dante dall’aspetto letterale per dare<br />
più forza a quello ideologico) <strong>di</strong> un doppio corredo interpretativo: quello<br />
letterale, che vede la lupa, animale temibile per la sua ferocia, infine<br />
preda dell’implacabile veltro; quello allegorico, per cui il più insi<strong>di</strong>oso<br />
dei vizi, la cupi<strong>di</strong>gia, sarà presto debellata da... chi?<br />
Ed eccoci giunti ad uno dei più oscuri misteri <strong>di</strong> cui Dante ha voluto<br />
maliziosamente <strong>di</strong>sseminare il suo capolavoro. Chi sarà mai il personaggio<br />
cui il Poeta demanda l’auspicato ed inevitabile rinnovamento<br />
che, estirpata la tabe della cupi<strong>di</strong>gia, restituirà al mondo pace e giu-<br />
– 132 –
stizia? Inutile <strong>di</strong>re che intere generazioni <strong>di</strong> critici si sono prodotte nelle<br />
più spericolate acrobazie ermeneutiche, incuranti delle comprensibili<br />
derisioni da parte <strong>di</strong> profani e <strong>di</strong> chi crede <strong>di</strong> ravvisare nel veltro nient’altro<br />
che un simbolo dell’istanza <strong>di</strong> una riforma morale, religiosa e<br />
politica da tempo caldeggiata a vari livelli. Se non altro per un’esigenza<br />
<strong>di</strong> chiarezza storica, vale qui la pena <strong>di</strong> ricordare le interpretazioni tra<strong>di</strong>zionali<br />
che si sono susseguite nei secoli relativamente al Veltro, tenendo<br />
ben presenti i vv. 103-105, che ci avvertono del fatto che questi nascerà<br />
“tra feltro e feltro” e che si ciberà non <strong>di</strong> “terra né peltro”, ma <strong>di</strong> “sapienza,<br />
amore e virtute”. Il campo in cui sembrò più plausibile scavare<br />
fu subito quello religioso: da questo si trasse la figura <strong>di</strong> Benedetto XI<br />
(Nicola Boccasini), domenicano (quin<strong>di</strong> amante della sapienza, oltre<br />
che dell’amore per Dio e della virtù), papa dal 1303 al 1304, nato a Treviso<br />
(quin<strong>di</strong> tra Feltre e il Montefeltro), grande inascoltato pacificatore<br />
tra le fazioni italiane (“Di quella umile Italia fia salute”), beatificato nel<br />
1733; si è ovviamente pensato anche a Cristo, nato povero (quin<strong>di</strong> tra<br />
panni ruvi<strong>di</strong> e miseri, come il feltro), sdegnoso delle ricchezze (“non<br />
ciberà...”) ma concentrato nella contemplazione della Trinità (Padre,<br />
Figlio e Spirito Santo = sapienza, amore, virtù): e tuttavia, come chiariscono<br />
le Scritture, nella παρoυσι´α Cristo tornerà per giu<strong>di</strong>care, non per<br />
cacciare la “lupa”. Altro livello d’indagine fu, già in Pietro <strong>di</strong> Dante,<br />
quello politico: inevitabile l’automatica identificazione del Veltro in<br />
Arrigo VII, imperatore (l’urna che conteneva il risultato dell’elezione<br />
era foderata <strong>di</strong> panno [feltro?]), attivo in nome dei principi morali e<br />
religiosi (virtù, sapienza, amore) e, come Dante fermamente sperava,<br />
futuro salvatore d’Italia (cfr. v. 106); una variante fu rappresentata da<br />
Cangrande della Scala, cui il Poeta, riconoscente, de<strong>di</strong>cò il Para<strong>di</strong>so:<br />
questi, signore <strong>di</strong> Verona (e qui si ritorna al territorio compreso tra<br />
Feltre e il Montefeltro), aveva più volte confermato a Dante, fattivamente,<br />
<strong>di</strong>sprezzo per la ricchezza ed amore per le virtù morali (v. 104),<br />
come gli si riconoscerà ampiamente nel XVII canto della terza cantica;<br />
infine si è fatto anche il nome del condottiero Uguccione della Faggiola,<br />
podestà <strong>di</strong> Vicenza ed uomo valente in armi e virtù cavalleresche;<br />
sostenitore <strong>di</strong> Arrigo VII, fu suo vicario a Genova. Avventata è invece<br />
sembrata la lettura Veltro = Dante, per la quale ci si è anche affannati a<br />
cercare spiegazioni per il v. 105 (il Poeta è nato sotto il segno dei Gemelli,<br />
Castore e Polluce, rappresentati con un cappello <strong>di</strong> feltro; oppure:<br />
“feltro” potrebbe in<strong>di</strong>care i cieli che Dante attraverserà).<br />
– 133 –
Di non minore interesse le interpretazioni “sopra le righe”, formulate<br />
peraltro da personaggi autorevolissimi, come Ungaretti, che vede nel<br />
Veltro l’età dell’oro; Salvadori, che lo identifica con la povertà espressa<br />
come valore dagli or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti; Filomusi Guelfi, secondo il quale<br />
esso simboleggerebbe lo Spirito Santo.<br />
Come si vede, malgrado l’autorevolezza e l’indubbio acume <strong>di</strong> molte<br />
delle ipotesi riportate, nessuna <strong>di</strong> queste si rivela pienamente persuasiva.<br />
Il vero nucleo del problema sta nell’impossibilità, malgrado tutto,<br />
<strong>di</strong> pervenire ad una qualsivoglia interpretazione puntuale senza provare<br />
un sottile senso <strong>di</strong> colpa: trattandosi, infatti, <strong>di</strong> una profezia post<br />
eventum, lo stesso Dante non poteva certamente riferirsi ad avvenimenti<br />
o persone ben precise, a meno che non coltivasse dentro <strong>di</strong> sé un’aspettativa<br />
nei confronti degli uni o delle altre. E davvero scommettere sulle<br />
speranze <strong>di</strong> Dante sembra quasi invaderne prepotentemente l’universo<br />
morale. Tutto ciò che, secondo me, è lecito pensare riguarda più che<br />
altro quell’atmosfera <strong>di</strong> attesa, talvolta sotto forma messianica, che<br />
pervadeva i tempi <strong>di</strong> Dante, specialmente nell’ambito popolare: basti<br />
ricordare l’impatto prodotto dalla pre<strong>di</strong>cazione francescana, oppure<br />
l’immensa popolarità del movimento gioachimita, che, contro le leggi<br />
dell’incipiente “capitalismo” tanto temuto da Dante, parlavano <strong>di</strong> rinnovamento<br />
in termini sia coscienziali, sia sociali, sia religiosi. Questa è,<br />
dunque, la speranza-profezia <strong>di</strong> Dante: un Rinnovamento totale, una<br />
palingenesi che, partendo dal centro propulsore, quell’Italia così bisognosa<br />
<strong>di</strong> aria pulita, si <strong>di</strong>ffonda in tutto il mondo, riportandolo ai valori<br />
del cristianesimo primitivo.<br />
v. 103: peltro: con proce<strong>di</strong>mento metonimico, Dante così in<strong>di</strong>ca la moneta,<br />
composta da una lega <strong>di</strong> stagno, argento e piombo. Sembra quasi <strong>di</strong><br />
sentire il suo <strong>di</strong>sprezzo <strong>di</strong> intellettuale “puro” verso qualcosa che invece<br />
è risultato <strong>di</strong> una commistione <strong>di</strong> materiali: la moneta, vessillo ed orgoglio<br />
del potente capitalismo comunale, rappresenta per il Poeta il<br />
simbolo della decadenza morale e del degrado <strong>di</strong> una società che, persi<br />
i valori basilari, non può che sperare nel “Veltro”, restauratore dell’Or<strong>di</strong>ne<br />
<strong>di</strong>vino.<br />
v. 104: sapienza...: Dante indugia con un certo compiacimento su questo<br />
trinomio, i primi due membri del quale rappresentano un crescendo<br />
musicale (sostenuto sia dalla <strong>di</strong>eresi <strong>di</strong> “sapienza” sia dalla sinalefe<br />
– 134 –
“sapienz- a-more”) che si riposa infine sulla salda sicurezza fonetica ma<br />
anche semantica <strong>di</strong> “virtute”. Sono questi, infatti, i tre fondamenti della<br />
religione cristiana, che hanno il loro principio rispettivamente nel<br />
Figlio, nello Spirito Santo e nel Padre.<br />
v. 105: tra feltro...: l’espressione è in stretta <strong>di</strong>pendenza dalla “nazione” (nascita)<br />
del Veltro: se si propende per l’ipotesi <strong>di</strong> un personaggio<br />
proveniente da umili origini, o ad<strong>di</strong>rittura al più povero tra i poveri,<br />
Gesù Cristo, il “feltro” sarà il panno <strong>di</strong> lana non tessuto, indumento <strong>di</strong><br />
scarsissimo valore destinato ai meno abbienti; se invece si pensa ad un<br />
imperatore, il “feltro” costituisce la fodera dell’urna che contiene il<br />
risultato <strong>di</strong> un’elezione; se, infine, il Veltro viene assimilato a papa Benedetto<br />
XI, trevigiano, o al veronese Cangrande della Scala, il termine<br />
può valere come una connotazione geografica (tra Feltre e Montefeltro).<br />
Ultima ipotesi, anche dal punto <strong>di</strong> vista della verosimiglianza, quella<br />
che vede nel Veltro lo stesso Dante; e tuttavia anche per lui si è trovato<br />
un “tra feltro e feltro” la cui plausibilità trovo invero alquanto opinabile.<br />
Il feltro, infatti, sarebbe rappresentato dal materiale <strong>di</strong> cui è tessuto<br />
il berretto dei Dioscuri, sotto il cui segno (i Gemelli), Dante ha avuto<br />
“nazione”. Resta, comunque, la suggestione <strong>di</strong> cui il Poeta ha circonfuso<br />
questi splen<strong>di</strong><strong>di</strong> quanto enigmatici versi, tesi e vibranti <strong>di</strong> una forza<br />
profetica che <strong>di</strong>ce tutta la protesta e la speranza <strong>di</strong> un cristiano deluso<br />
ma <strong>di</strong>speratamente aggrappato ad una fede incrollabile.<br />
v. 106: <strong>di</strong> quella umile...: quasi automaticamente, Dante si ritrova a citare<br />
Virgilio (“humilemque/ videmus Italiam”, Aen. III, 522-3); tuttavia, il<br />
testo latino viene completamente rielaborato dal Poeta italiano, che<br />
impronta <strong>di</strong> un significato morale, e forse anche sociologico, quanto in<br />
origine aveva valenza esclusivamente geografica, anzi, più precisamente,<br />
corografica (Virgilio si riferiva infatti alla bassezza delle coste<br />
italiche). L’Italia è, attualmente, “povera”: in senso morale, perché è<br />
stata abbandonata dall’imperatore e quin<strong>di</strong> degradata, essa che era pur<br />
sempre “il giar<strong>di</strong>n dello imperio” (Purg. VI, 105), a “nave sanza nocchiere<br />
in gran tempesta/ non donna <strong>di</strong> province, ma bordello”(Purg. VI,<br />
77-78). In senso sociologico, perché l’affermarsi della rapace classe<br />
mercantile, arricchitasi a <strong>di</strong>smisura, ha provocato un sempre maggior<br />
impoverimento <strong>di</strong> chi già era povero, anche istillando in lui l’esigenza<br />
<strong>di</strong> “falsi bisogni”.<br />
– 135 –
v. 107: per cui morì...: come si evince dalla lettura del De Monarchia,<br />
che approfon<strong>di</strong>sce le problematiche politiche nell’orizzonte <strong>di</strong> una<br />
prospettiva universalistica, Dante sente con forte urgenza il problema<br />
dell’unità d’Italia, che in lui si identifica con quella dell’Impero,<br />
unica garanzia <strong>di</strong> pace e stabilità. Per questo motivo riunisce, in<br />
una sintesi che amalgama vinti e vincitori, colonizzatori ed autoctoni,<br />
tutti i protagonisti dell’epos romano, quasi fossero gli attori che, calato<br />
il sipario, escono in scena presentandosi al pubblico. Ma Dante<br />
non crede che la “comme<strong>di</strong>a” sia giunta all’ultimo atto. Quell’impero<br />
che costò tanto sangue e tanti sacrifici è ancor oggi una realtà possibile<br />
ed attuabile: anzi è doveroso, per il cristiano, battersi per ristabilirlo,<br />
in quanto esso rappresenta la manifestazione della volontà<br />
<strong>di</strong>vina, che ha orientato tutta la storia del mondo in questo senso e<br />
che non può essere <strong>di</strong>sattesa. Tanto più che, per realizzarlo, due<br />
popoli tanto lontani hanno fuso il loro sangue e le proprie tra<strong>di</strong>zioni,<br />
in nome <strong>di</strong> un progetto pensato ab aeterno, quin<strong>di</strong> sacro e provvidenziale.<br />
Interessante sottolineare la parte <strong>di</strong> prima attrice che Dante ha assegnato<br />
a Camilla, la prima a presentarsi al lettore-spettatore: si tratta solo <strong>di</strong><br />
calcoli proso<strong>di</strong>ci, o <strong>di</strong> rima, oppure il Poeta vuole suggerirci un suo<br />
pensiero, un suo convincimento? Personalmente, seguendo la logica<br />
dantesca e, soprattutto, percependo qui il forte tentativo <strong>di</strong> persuadere il<br />
lettore, anche attraverso il coinvolgimento emotivo, della necessità dell’impero<br />
allora, ora e sempre, credo che il <strong>di</strong>scorso del Poeta si possa<br />
tradurre press’a poco in questo modo: se la donna, tra<strong>di</strong>zionalmente non<br />
partecipe della vita politica e bellica dei popoli, è potuta morire per<br />
l’impero, evidentemente questo reca impresso in sé il segno destinale<br />
della volontà <strong>di</strong>vina. Una donna antica che muore per un ideale: uno<br />
sprone per l’uomo moderno a proseguire la sua opera, fidando nel<br />
sostegno <strong>di</strong> Colui che l’ha voluta.<br />
v. 109: Questi...: con la consueta efficacia realistica, Dante ci mostra qui<br />
un’immagine largamente utilizzata nella pittura del periodo: si tratta del<br />
motivo della caccia infernale, deterrente me<strong>di</strong>oevale al peccato. Per<br />
quanto riguarda il gallicismo “villa”, credo che Dante non voglia qui<br />
porla come un’espressione generica, ma conferirle il suo proprio senso<br />
<strong>di</strong> “città”: proprio in essa, come più volte ricordato, risiedeva, per lui,<br />
il nucleo peccaminoso dei suoi tempi.<br />
– 136 –
v. 111: invi<strong>di</strong>a prima: il significato dell’espressione <strong>di</strong>pende dalla funzione<br />
grammaticale <strong>di</strong> “prima”: se la si considera avverbio, allora Dante ha<br />
voluto riferirsi alla primigeneità del peccato dell’invi<strong>di</strong>a, antico quanto<br />
l’uomo; se al contrario, come mi sembra più plausibile, “prima” è usato<br />
dal Poeta come aggettivo, l’immagine che ne scaturisce è quella dell’invi<strong>di</strong>a<br />
in persona, Lucifero, che, volendo assurgere alla potenza <strong>di</strong> Dio,<br />
incarna la prima terribile esemplificazione <strong>di</strong> quel peccato così rovinoso<br />
per l’umanità. A sostegno <strong>di</strong> tali ipotesi intervengono un passo biblico<br />
(tra cui Sap. 2,24: “Invi<strong>di</strong>a autem <strong>di</strong>aboli mors introivit in orbem terrarum”)<br />
e la consuetu<strong>di</strong>ne metonimica me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care una persona<br />
con la sua caratteristica principale (Dio è chiamato “primo amore”<br />
in Inf. III, 6).<br />
v. 112: Ond’io...: Dante non perde occasione per chiarire il carattere Virgilio,<br />
ma soprattutto il suo ruolo <strong>di</strong> accompagnatore razionale che si propone<br />
non solo come in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> un iter, ma anche nelle vesti <strong>di</strong> guida operativa,<br />
pronta a spiegare ed a risolvere dubbi e problemi del Poeta: in<br />
questo senso va letta l’espressione “penso e <strong>di</strong>scerno” che, lungi dal costituire<br />
un’en<strong>di</strong>a<strong>di</strong>, in<strong>di</strong>ca proprio questa duplice specificità funzionale<br />
<strong>di</strong> Virgilio. Infatti segue la promessa “e io sarò tua guida”, che rassicura<br />
Dante sulla competenza e sulla fattività del maestro. Per quanto riguarda<br />
“me’”, si tratta <strong>di</strong> un’apocope.<br />
vv. 114 segg.: e trarrotti...: Dante affida a Virgilio il compito poetico della<br />
protasi, lasciandogli esporre il piano dell’opera; tuttavia <strong>di</strong>etro, o meglio<br />
accanto a questa scelta che potremo definire “metaletteraria” (parafrasando<br />
il concetto <strong>di</strong> metateatro) si colloca un preciso percorso teologico<br />
tratto <strong>di</strong> peso dal testo tomistico. Il viaggio nei tre regni, infatti,<br />
non è altro che il pellegrinaggio dell’anima attraverso le varie fasi della<br />
sua vita spirituale, ognuna necessaria al raggiungimento del “ben dell’intelletto”<br />
(Dio): l’esperienza visiva del peccato ed il turbamento che<br />
questo provoca (inferno); la determinazione ad uscire dallo stato peccaminoso<br />
attraverso la sofferenza e la riflessione sull’essenza della virtù<br />
(purgatorio); la contemplazione <strong>di</strong> Dio, essenza pura della beatitu<strong>di</strong>ne,<br />
realizzazione della massima aspirazione <strong>di</strong> ogni cristiano (para<strong>di</strong>so).<br />
Da notare la grafia “etterno”, trascrizione me<strong>di</strong>oevale del latino<br />
ecternus. A proposito dell’eternità dell’inferno (infatti è solo questo il<br />
“loco etterno” cui accenna Virgilio), mi sembra <strong>di</strong> ravvisare in questa<br />
– 137 –
definizione una precisa allusione, da parte del poeta latino, al proprio<br />
status <strong>di</strong> dannato senza speranza, quasi a voler virilmente attrarsi la<br />
compassione <strong>di</strong> Dante.<br />
v. 115: <strong>di</strong>sperate strida: Virgilio sente <strong>di</strong> dover preavvertire Dante della<br />
sconvolgente realtà u<strong>di</strong>tiva che gli si sta per presentare, e correttamente<br />
prepone tale esperienza a quella visiva, che infatti giungerà solo in un<br />
secondo momento: è precisamente ciò che accadrà all’inizio del III<br />
canto (v. 22 segg.), quando Dante, varcata la soglia dell’inferno, udrà<br />
“sospiri, pianti e alti guai” non percependo ancora la fonte <strong>di</strong> tali suoni.<br />
Da ciò si evince la rilevanza della <strong>di</strong>mensione sonora, nell’Inferno<br />
come anche nel Para<strong>di</strong>so, dove non c’è paesaggio che fornisca un suo<br />
apporto narrativo-descrittivo.<br />
v. 116: antichi spiriti: qualche problema ha creato l’aggettivo “antichi” in<br />
riferimento agli spiriti infernali: infatti, come vedremo, Dante incontrerà<br />
non solo dannati appartenenti ai tempi passati ma anche, e non<br />
infrequentemente, suoi contemporanei. Qualcuno ha ritenuto che Virgilio<br />
si riferisca alle anime del limbo, “antiche” perché vissute prima<br />
dell’avvento <strong>di</strong> Cristo: ma l’ipotesi è confutata dalla parola magisteriale<br />
della Chiesa, che pone nel limbo le anime dei bambini morti prima <strong>di</strong><br />
essere battezzati. Congettura più accettabile sembra quella del Pagliaro,<br />
secondo il quale Dante conferirebbe all’aggettivo il valore <strong>di</strong> “celebri”:<br />
in effetti, proprio ad uomini e donne celebri appartengono le anime con<br />
le quali Dante verrà a contatto.<br />
v. 117: seconda morte: il verso si presenta alquanto problematico sotto il<br />
profilo esegetico, in quanto riporta un’espressione, “la seconda morte”,<br />
che si presta a varie interpretazioni; a questa è collegato il verbo<br />
“grida”, la cui area semantica non si presenta così ristretta come nell’italiano<br />
moderno. Infatti si può anche intenderlo con il significato <strong>di</strong><br />
“imprecare” contro la “seconda morte” che ovviamente raffigura lo<br />
stato attuale delle anime dei dannati, “morti”, oltre che nella carne,<br />
anche dal punto <strong>di</strong> vista spirituale. Ma tale “seconda morte” potrebbe<br />
anche configurarsi come la sentenza ultima che segue al giu<strong>di</strong>zio universale,<br />
dopo il quale le anime si riapproprieranno del corpo. A questo<br />
punto “grida” offre due possibilità interpretative: o quella precedente,<br />
che ci mostra i dannati imprecanti contro il decreto <strong>di</strong>vino, oppure<br />
– 138 –
quella che legge “grida” nel senso <strong>di</strong> “invoca”. Ma perché i dannati<br />
dovrebbero invocare l’irrevocabile sentenza finale, quella che non lascia<br />
loro scampo e che, inoltre, inasprisce le loro sofferenze a causa<br />
della presenza del corpo? Se si leggono i vv. 109-111 del c. VI ci si<br />
rende conto del dramma estremo <strong>di</strong> queste anime, che possono aspirare<br />
(ed è umanamente legittimo che lo facciano) solo a tale misera<br />
perfezione, laddove per “perfezione” non si intende certo il ricongiungimento<br />
della creatura al Creatore, ma semplicemente la ricomposizione<br />
dell’unità originaria anima-corpo. Tuttavia rimane ancora una<br />
possibile lettura, legata ad un’interpretazione, per <strong>di</strong>r così, apocalittica,<br />
<strong>di</strong> “seconda morte”: tale espressione appare infatti nel testo <strong>di</strong><br />
Giovanni (Ap. 20,6 e 15), che parla <strong>di</strong> un totale annullamento dei malvagi<br />
in uno stagno <strong>di</strong> fuoco, dopo il giu<strong>di</strong>zio universale. Se ammettiamo<br />
tale ipotesi, dobbiamo comunque tenere ben presente il fatto che<br />
Dante, che parla <strong>di</strong> un Inferno eterno e <strong>di</strong> pene inestinguibili, qui sta<br />
riportando nient’altro che una <strong>di</strong>sperata illusione dei dannati: poiché il<br />
giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio è irreversibile (è il “magno volume / u’ non si muta<br />
mai bianco né bruno” <strong>di</strong> Pd. XV, 50-51) ad essi non resta che aggrapparsi<br />
all’attesa <strong>di</strong> un improbabile annichilimento <strong>di</strong> sé, che li precipiti<br />
in un eterno oblio.<br />
v. 118-119: e vederai...: come nei versi precedenti Dante ha evidenziato con<br />
poche sapienti linee quelli che sono gli aspetti principali dell’Inferno, e<br />
cioè l’irreversibilità e l’eternità della dannazione, così in questi caratterizza<br />
rapidamente la realtà del Purgatorio, che consiste nella speranza<br />
della salita al cielo e nella <strong>di</strong>sponibilità a sottoporsi alle pene più dure<br />
al fine <strong>di</strong> conseguire la libertà dal peccato: con felice sintesi Virgilio<br />
racchiude tutte queste in quella simbolica del “foco”, precisamente<br />
riservata ai lussuriosi della settima cornice, ma adattissima a descrivere<br />
l’azione purificatrice delle penitenze purgatoriali. En passant, nota<br />
l’epentesi in “vederai”.<br />
v. 120: quando che sia: nel mondo della dannazione non c’è “quando”,<br />
perché essa è eterna; il purgatorio, invece, vive <strong>di</strong> attesa, <strong>di</strong> un “quando<br />
che sia” che <strong>di</strong>pende dalla volontà <strong>di</strong> Dio ma anche dall’impegno purificatorio<br />
delle anime. Sembra <strong>di</strong> sentire nella voce <strong>di</strong> Virgilio una vibrazione<br />
<strong>di</strong> pianto sommesso, il rimpianto dell’irrevocabilità della sua<br />
lontananza da Dio, in un’attesa eterna ed eternamente inesau<strong>di</strong>ta.<br />
– 139 –
v. 123: con lei ti lascerò: quanta premura, quasi materna, in queste parole <strong>di</strong><br />
Virgilio che, superato momentaneamente lo sconforto, rientra nel ruolo<br />
della guida sempre affidabile e sicura! Ma, anche, quanta allegoria! È<br />
chiaro, infatti, l’impianto tomistico della scena: è la Ragione che, giunta<br />
ai limiti delle sue possibilità, deve cedere il posto ad una “facoltà” più<br />
alta, sovrumana, la Fede, o Verità rivelata, o anche Teologia, rappresentata<br />
da Beatrice. Nel Para<strong>di</strong>so, reggia <strong>di</strong> Dio, l’uomo non ha più nulla<br />
da capire: l’unica sua possibile attività è la contemplazione del Mistero,<br />
fonte <strong>di</strong> ogni beatitu<strong>di</strong>ne ed attingibile solo con la fede.<br />
v. 124: imperador: la politica contemporanea a Dante pone una rigida <strong>di</strong>scriminazione<br />
tra re ed imperatore, il primo governando su un territorio occupato<br />
da un popolo omogeneo per etnia, lingua, tra<strong>di</strong>zioni, il secondo<br />
invece raccogliendo sotto la propria autorità un insieme <strong>di</strong> genti anche<br />
<strong>di</strong>versissime tra loro; è inteso che quest’ultimo, a sua volta, ha giuris<strong>di</strong>zione<br />
specifica, da re, su una ben determinata regione. Come vuole la<br />
concezione figurale me<strong>di</strong>oevale, che nella Divina Comme<strong>di</strong>a ha uno<br />
degli esempi più eclatanti, Dante applica al Cielo ciò che è in terra: così,<br />
Dio è imperatore sull’universo, ma re in Para<strong>di</strong>so, come avrà modo <strong>di</strong><br />
specificare nei versi seguenti (in tutte parti impera e quivi regge, v. 127)<br />
attraverso Virgilio che, da Romano, quin<strong>di</strong> incline alle sottigliezze giuri<strong>di</strong>che<br />
e giuris<strong>di</strong>zionali, non vuol lasciare dubbi in proposito.<br />
v. 125: ribellante: Virgilio usa nei propri confronti una parola forte, volutamente<br />
ambigua, che accentua la sua posizione <strong>di</strong> “colpevole” rispetto<br />
alla giustizia <strong>di</strong>vina, quasi a voler convincere Dante dell’equità della<br />
propria condanna: in realtà il termine è da considerare non nella sua<br />
accezione comune, quanto in quella <strong>di</strong> “estraneo”, “alieno”. La rigida<br />
concezione me<strong>di</strong>oevale, ma neanche troppo <strong>di</strong>versa da quella o<strong>di</strong>erna,<br />
che <strong>di</strong>ce “extra ecclesiam nulla salus”, <strong>di</strong>videva infatti gli uomini in<br />
“cristiani” e “infedeli”, anche in<strong>di</strong>pendentemente dalle leggi della storia.<br />
v. 126: per me si vegna: da notare l’uso del gallicismo “per” (da “par”),<br />
che si accompagna a quello della forma dell’impersonale “si vegna”:<br />
Virgilio nella sua <strong>di</strong>gnitosa <strong>di</strong>sperazione sembra quasi ripu<strong>di</strong>are il suo<br />
“sé” <strong>di</strong> uomo precristiano che gli ha fatto perdere il Para<strong>di</strong>so, a lui che<br />
cantò la virtus e l’humanitas, valori sommi ma assolutamente privi <strong>di</strong><br />
significato senza il superiore suggello della Fede.<br />
– 140 –
v. 128: quivi è la sua città: spesso nel linguaggio me<strong>di</strong>oevale ricorre il<br />
termine “città” in senso metaforico religioso, desunto dal lessico scritturale<br />
ed agostiniano.<br />
v. 129: oh felice...: un ultimo virile sospiro <strong>di</strong> Virgilio sulla propria frustrante<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> dannato senza speranza e tuttavia pregno <strong>di</strong> inane<br />
desiderio <strong>di</strong> Dio; non gli resta che il suo alto compito, quello <strong>di</strong> guidare<br />
Dante, e la coscienza della sua romanità, che gli fa <strong>di</strong>re “elegge”, come<br />
se Dio-imperatore fosse omologo a quell’Augusto che tanto tempo<br />
prima lo ammise alla sua corte, “eleggendolo” poeta dell’Impero.<br />
v. 130: Poeta...: quasi a consolare Virgilio del suo dramma, Dante lo gratifica<br />
del titolo che, se non gli ha potuto garantire la vita eterna, almeno<br />
gli ha conferito un’immortalità intellettuale (“non omnis moriar”, <strong>di</strong>ceva<br />
con convinzione <strong>Orazio</strong>).<br />
v. 131: per quello Dio... più che una generica invocazione, l’espressione è<br />
qui usata da Dante con lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare a Virgilio <strong>di</strong> aver capito<br />
la vera natura del suo “peccato”, che non è stato <strong>di</strong> “ribellione” ma <strong>di</strong><br />
“non conoscenza”.<br />
v. 132: questo male e peggio: Dante ha capito che il “male”, cioè il peccato<br />
(in particolare quello rappresentato dalla lupa) non è semplicemente<br />
riprovevole dal punto <strong>di</strong> vista morale, ma conduce alla morte spirituale;<br />
e, al punto <strong>di</strong> non ritorno in cui egli, ma l’umanità non meno <strong>di</strong> lui, ora<br />
si trova, è chiaro che l’unico modo per sfuggire alla sorte della dannazione<br />
è rappresentato dal viaggio che, sotto la scorta <strong>di</strong> Virgilio, si<br />
accinge ad intraprendere: <strong>di</strong> qui la sua fretta <strong>di</strong> partire.<br />
v. 134: la porta <strong>di</strong> san Pietro: generalmente l’espressione si intende riferita<br />
al Para<strong>di</strong>so, dove effettivamente <strong>di</strong>mora san Pietro: in questo caso,<br />
naturalmente, la locuzione avrebbe valore metaforico, in quanto il<br />
Para<strong>di</strong>so è costituito da spazio e luce, e riecheggerebbe la tra<strong>di</strong>zionale<br />
“ianua coeli” delle Scritture. Tuttavia qualcuno ha pensato alla porta<br />
del Purgatorio, custo<strong>di</strong>ta da un angelo confessore: forse per delicatezza<br />
verso Virgilio, che non può oltrepassare il limite della terra, Dante<br />
ha voluto limitare il tratteggio del suo percorso futuro ai luoghi a lui<br />
accessibili?<br />
– 141 –
v. 136: Allor si mosse...: un solo verso per <strong>di</strong>pingere, o meglio scolpire, una<br />
partenza semplice quanto solenne. I due poeti, profondamente consapevoli<br />
<strong>di</strong> quanto stanno per affrontare, si avviano verso il proprio destino,<br />
ognuno al posto che gli compete: Virgilio, la Ragione, davanti, come<br />
una lampada che illumini le tenebre in cui spesso si perde l’anima dell’uomo;<br />
Dante, il <strong>di</strong>scepolo smarrito, <strong>di</strong>etro, nell’atteggiamento trepido<br />
e riverente <strong>di</strong> chi si affida completamente, senza remore né perplessità,<br />
se non, come si vedrà nel II canto, nei confronti <strong>di</strong> se stesso e delle proprie<br />
capacità.<br />
– 142 –
ANGELA D’ADAMO DEL PRETE<br />
Il tema della morte in letteratura:<br />
un percorso inter<strong>di</strong>sciplinare per una terza liceale<br />
(anno scolastico 1999-2000)<br />
La rappresentazione letteraria della morte rimanda sempre ad un<br />
sistema <strong>di</strong> valori, ad una filosofia, ad una fase particolare della civiltà: ed è<br />
questa precisa relazione che cercherò <strong>di</strong> indagare nella mia ricerca.<br />
Nel mondo antico la rappresentazione della morte tocca uno dei suoi<br />
apici in Tuci<strong>di</strong>de, in Lucrezio e in Tacito: nei primi due autori prende rilievo<br />
il potente affresco della peste <strong>di</strong> Atene, in cui la morte è un fenomeno <strong>di</strong><br />
massa, collettivo, invece nello storico romano sono state oggetto <strong>di</strong> particolare<br />
indagine critica le pagine degli Exitus inlustrium virorum, in cui la<br />
morte esce dall’anonimato e <strong>di</strong>venta la morte delle personalità <strong>di</strong> eccezione.<br />
All’interno del quadro già drammatico della guerra del Peloponneso,<br />
Tuci<strong>di</strong>de rappresenta l’effetto del contagio innanzitutto nella sua sintomatologia<br />
clinica e nell’evolversi degli effetti patologici, registrati con apparente<br />
oggettività e con la stessa esattezza scientifica a cui aspireranno, dopo molti<br />
secoli, i narratori del verismo e del naturalismo; ma l’interesse dello storico<br />
si in<strong>di</strong>rizza soprattutto sui risvolti sociali <strong>di</strong> quell’evento, <strong>di</strong> cui vengono<br />
denunciati il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, la deriva delle leggi, l’imbarbarimento del costume,<br />
l’efferatezza dei comportamenti: come se la humanitas, conquistata con<br />
tanta fatica attraverso processi secolari <strong>di</strong> incivilimento, fosse cancellata<br />
sotto il rovescio dei lutti e delle sofferenze; il male non purifica né rende<br />
più buoni, sembra <strong>di</strong>rci Tuci<strong>di</strong>de, che adotta un metodo storiografico razionalistico<br />
ed un’ottica tutta immanentistica, ispirata a lucido realismo.<br />
L.II, § 52 “L’imperversare dell’epidemia era reso più insopportabile dal<br />
continuo afflusso <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni alla città: la prova più dolorosa colpiva gli sfollati.<br />
Poiché non <strong>di</strong>sponevano <strong>di</strong> abitazioni adatte, e vivevano in baracche soffocanti<br />
per quella stagione dell’anno, il contagio mieteva vittime con furia <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata.<br />
I cadaveri giacevano a mucchi e tra essi, alla rinfusa, alcuni ancora in<br />
agonia. Per le strade si voltolavano strisciando uomini già prossimi a morire, <strong>di</strong>speratamente<br />
tesi alle fontane, pazzi <strong>di</strong> sete. I santuari, che avevano offerto una<br />
sistemazione provvisoria, erano colmi <strong>di</strong> morti: in<strong>di</strong>vidui che erano spirati là<br />
dentro, l’uno dopo l’altro. La violenza del morbo aveva come spezzato i freni<br />
morali degli uomini che, preda <strong>di</strong> un destino ignoto, non si attenevano più alle<br />
– 143 –
leggi <strong>di</strong>vine e alle norme della pietà umana. Le pie usanze che fino ad allora<br />
avevano regolato le esequie funebri caddero travolte in abbandono. Ciascuno<br />
seppelliva come poteva. Molti si ridussero a funerali indecorosi per la scarsità<br />
degli arre<strong>di</strong> necessari, causata dal gran numero dei morti che avevano già avuto<br />
in famiglia: deponevano il cadavere del proprio congiunto su pire preparate per<br />
altri e vi appiccavano la fiamma prima che i proprietari vi facessero ritorno,<br />
mentre altri gettavano sul rogo già acceso per un altro il proprio morto, allontanandosi<br />
subito dopo.<br />
L.II, § 53 Anche in campi <strong>di</strong>versi l’epidemia travolse in più punti gli argini della<br />
legalità fino allora vigente nella vita citta<strong>di</strong>na. Si scatenarono <strong>di</strong>lagando impulsi<br />
prima lungamente repressi, alla vista <strong>di</strong> mutamenti <strong>di</strong> fortuna inaspettati e fulminei:<br />
decessi improvvisi <strong>di</strong> persone facoltose, gente povera da sempre che ora,<br />
in un battere <strong>di</strong> ciglia, si ritrovava ricca <strong>di</strong> inattese ere<strong>di</strong>tà. Considerando ormai<br />
la vita e il danaro come beni <strong>di</strong> passaggio, bramavano piaceri e go<strong>di</strong>menti che<br />
s’esaurissero in fretta, in sod<strong>di</strong>sfazioni rapide e concrete. Nessuno si sentiva trasportare<br />
dallo zelo <strong>di</strong> impegnare in anticipo energie in qualche impresa ritenuta<br />
degna, nel dubbio che la morte giungesse a folgorarlo nel mezzo del cammino.<br />
L’imme<strong>di</strong>ato piacere ed ogni espe<strong>di</strong>ente atto ad appagarlo costituivano gli unici<br />
beni considerati onesti e utili. Nessun freno <strong>di</strong> pietà <strong>di</strong>vina o umana regola:<br />
rispetto e sacrilegio non si <strong>di</strong>stinguevano più da parte <strong>di</strong> chi assisteva al quoti<strong>di</strong>ano<br />
spettacolo <strong>di</strong> una morte che colpiva senza <strong>di</strong>stinzione, ciecamente. Inoltre<br />
nessuno concepiva il serio timore <strong>di</strong> arrivare vivo a rendere conto alla giustizia<br />
dei propri crimini. Avvertivano sospesa sul loro capo una condanna ben più pesante;<br />
e prima che s’abbattesse, era umano cercare <strong>di</strong> godere qualche po’ la vita”<br />
(traduzione <strong>di</strong> Ezio Savino).<br />
Le annotazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne psicologico fatte dallo storico greco a proposito<br />
<strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne collettivo <strong>di</strong>verranno un topos che ritornerà negli<br />
autori successivi: da Boccaccio (Proemio del Decameron) a Defoe (La peste<br />
<strong>di</strong> Londra) a Manzoni (I Promessi Sposi) a Camus (La Peste); ma, ai fini<br />
<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso inter<strong>di</strong>sciplinare, a me interessa l’analoga rappresentazione<br />
proposta da Lucrezio nel De rerum natura con la livida scena dei parenti<br />
delle vittime che si <strong>di</strong>sputano sanguinosamente, con aggressività ferina, un<br />
posto e uno spazio sulla pira su cui bruciare i cadaveri straziati.<br />
“Intanto nei campi i pastori, i bifolchi,<br />
i mandriani, i robusti aratori si ammalavano;<br />
ammucchiati in fondo a capanne sul fieno<br />
nella miseria e nel male giacevano.<br />
Si potevan vedere i gravi corpi degli uomini<br />
riversi sui fanciulli sfiniti e i figli sui padri<br />
e su le madri morire.<br />
E molti venivano in lacrime alla città<br />
pensando chissà mai <strong>di</strong> salvarsi<br />
– 144 –
aumentando il contagio: si mettevano dappertutto,<br />
gremivan le case, e la morte<br />
accumulava a cataste quanti più ne vedeva riuniti.<br />
Corpi assetati si rotolavano per le strade<br />
e vicino alle fontane morivano giunti appena<br />
su la freschezza dell’acqua.<br />
Molti errando coperti <strong>di</strong> cenci cadevano<br />
su liquido sterco stecchiti e chiazzati <strong>di</strong> ulcere.<br />
Miseria, pena, urgenza improvvisa<br />
spingevano a compiere gesti nefan<strong>di</strong>:<br />
alcuni con gran<strong>di</strong> clamori ponevan su roghi<br />
composti da altri le spoglie dei cari<br />
e vi appressavan le faci spesso lottando<br />
in risse cruente a <strong>di</strong>fesa del morto;<br />
intorno ai sepolcri sorgevano aspre contese,<br />
e poi, sfiniti dal pianto, venivano via,<br />
e molti, oppressi d’affanno, s’abbattevan sul letto.<br />
Nessuno poteva trovarsi che non assalisse<br />
in quel tempo e morbo e morte e lutto”<br />
(L.VI De rerum natura, vv. 1246-1285 - Traduzione <strong>di</strong> Enzio Cetrangolo)<br />
Rispetto alla fonte greca questo quadro della peste <strong>di</strong> Atene viene amplificato<br />
ed arricchito <strong>di</strong> particolari che accentuano il pathos e il realismo<br />
della descrizione: è il caso dello “sterco liquido” su cui piombano i corpi<br />
stecchiti e piagati <strong>di</strong> ulcere, del pianto e dello sfinimento spirituale che<br />
rovescia sul letto i superstiti, mentre il riferimento a vere e proprie contese<br />
sanguinose, che si accendono con urla e faci intorno alle pire, contribuisce a<br />
sottolineare i comportamenti egoistici <strong>di</strong> collettività <strong>di</strong>sgregate, per le quali<br />
nessuna legge umana e <strong>di</strong>vina ha ormai valore.<br />
Si chiude con questo crescendo desolato, con un verso ricco <strong>di</strong> liquide e<br />
<strong>di</strong> allitterazioni, rallentato dalle congiunzioni neque... nec... nec (nec poterat<br />
quisquam reperiri, quem neque morbus / nec mors nec luctus temptaret tempore<br />
tali) il poema concepito da Lucrezio proprio per combattere a Roma la<br />
stessa battaglia che Epicuro aveva condotta nel mondo ellenistico in <strong>di</strong>fesa<br />
dell’uomo: una battaglia per sottrarlo alla paura degli dei, al timore della<br />
morte, al timore dell’oltretomba, al timore del prossimo.<br />
De<strong>di</strong>cando il suo poema all’aristocratico Memmio, infatti, Lucrezio si<br />
rivolgeva alla classe <strong>di</strong>rigente nel momento delle guerre civili per invitarla<br />
alla pratica del “lathe biosas”, alla ricerca del piacere catastematico, e al<br />
vincolo della filia (amicizia) <strong>di</strong>sinteressata, capace <strong>di</strong> superare ad un tempo<br />
la grettezza del clientelismo romano, a cui si riducevano troppo spesso i<br />
– 145 –
apporti interpersonali, e l’in<strong>di</strong>vidualismo solitario, implicito nel <strong>di</strong>stacco<br />
dalla vita politica e sociale. Sappiamo che nel secondo secolo si era arrivati<br />
a un provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> espulsione nei confronti <strong>di</strong> due filosofi epicurei,<br />
Alceo e Filisco, che volevano <strong>di</strong>ffondere la loro dottrina a Roma; ma nel<br />
I secolo questa filosofia ebbe successo presso la classe <strong>di</strong>rigente sia tra i<br />
populares che tra gli optimates: epicureo fu Attico che rinunciò al cursus<br />
honorum in nome della cultura; un personaggio <strong>di</strong> rango consolare, Calpurnio<br />
Pisone Cesonino, si presentava come protettore <strong>di</strong> filosofi epicurei;<br />
nella sua villa <strong>di</strong> Ercolano teneva lezione Filodemo <strong>di</strong> Gadara; un altro<br />
cenacolo sorgeva a Napoli, dove sotto la guida <strong>di</strong> Sirone stu<strong>di</strong>arono giovani<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>versa estrazione sociale, fra i quali i <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> varie famiglie nobili<br />
e i futuri poeti Virgilio e <strong>Orazio</strong>; anche Cesare, che entrò tar<strong>di</strong> nella lotta<br />
politica, aderì alla ricerca dell’atarassia e lo fece anche il futuro cesaricida<br />
Cassio. Lo stesso Cicerone appare allarmato dal potenziale eversivo <strong>di</strong><br />
questa dottrina rispetto ai valori tra<strong>di</strong>zionali del mos maiorum, il che equivale<br />
ad ammettere una larga penetrazione sociale dell’epicureismo, sia nelle<br />
sue versioni popolareggianti, me<strong>di</strong>ate dalla cattiva prosa <strong>di</strong> Amafinio e<br />
Cazio, <strong>di</strong> semplice perseguimento dell’edonismo e dei piaceri spiccioli, sia<br />
nella sua pratica più severa e nobile (Tusculanae, IV, 7).<br />
È bene perciò ricordare il punto centrale della filosofia epicurea riguardo<br />
al tema della morte.<br />
“La morte non è nulla per noi, perché ciò che si è <strong>di</strong>ssolto non ha più sensibilità; e<br />
ciò che non ha sensibilità non è nulla per noi”<br />
Con questo aforisma Epicuro cerca <strong>di</strong> fondare la tesi della per<strong>di</strong>ta totale<br />
della coscienza con la morte, poiché tutta la sua dottrina tende alla pacificazione<br />
dell’anima umana. Pertanto egli rifiuta innanzitutto le credenze che<br />
concepiscono l’anima come immortale e prevedono un sistema <strong>di</strong> premi e<br />
castighi eterni commisurati ai comportamenti tenuti dagli uomini durante la<br />
vita terrena; credenze che dovevano essere molto <strong>di</strong>ffuse a Roma nel I secolo<br />
a.C., se si pensa alla pratica dei riti misterici e alla filosofia <strong>di</strong> Platone che<br />
conclude la sua Repubblica con il mito <strong>di</strong> Er relativo al destino ultraterreno<br />
dei morti e ai premi e castighi che ad essi saranno assegnati per la condotta<br />
tenuta sulla terra: dottrina <strong>di</strong> cui avvertiamo un’eco suggestiva nel finale del<br />
De re publica <strong>di</strong> Cicerone, meglio noto come Somnium Scipionis. Anche la<br />
dottrina della metempsicosi, oltre a quella della sopravvivenza dell’anima<br />
dopo la morte e della sua preesistenza, apre in Platone prospettive escatologiche,<br />
quelle che prima Epicuro e poi il suo entusiasta <strong>di</strong>scepolo Lucrezio<br />
– 146 –
vogliono combattere. Ma ciò non basta: anche chi non è preoccupato della<br />
morte per timore <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio ultraterreno pensa ad essa con angoscia, e<br />
ciò fa parte del bagaglio comune <strong>di</strong> esperienza psicologica; perciò il filosofo<br />
greco insiste sulla per<strong>di</strong>ta della coscienza quando c’è la morte, dottrina<br />
riecheggiata da Lucrezio nel L.III del De rerum natura: “...noi possiamo<br />
essere certi che colui che più non esiste non può essere turbato da affanni”<br />
(v. 867). Epicuro, quando ci parla <strong>di</strong> “anima”, cioè <strong>di</strong> psyche, intende qualcosa<br />
<strong>di</strong> corporeo, costituito <strong>di</strong> atomi più leggeri, che si lega al corpo, fatto a<br />
sua volta <strong>di</strong> atomi più pesanti, un principio vitale <strong>di</strong>ffuso in tutte le membra,<br />
cosicché con la morte anche l’anima si <strong>di</strong>ssolverà, esattamente come il<br />
corpo, nella <strong>di</strong>sgregazione degli atomi costituenti l’uno e l’altra. Ne deriva la<br />
fine della coscienza, dell’animus o mens che è situato nel petto vicino al<br />
cuore, e che presiede ai processi interiori <strong>di</strong> gioia e dolore. Di qui l’assioma<br />
che non dobbiamo temere la morte perché non l’incontriamo mai: quando lei<br />
c’è non ci siamo noi, e quando ci siamo noi lei non c’è. È raggiunto così il<br />
primo obiettivo del tetrafarmacon: il superamento della paura della morte.<br />
Ora la cosa che stupisce in Lucrezio è l’entusiasmo per la dottrina del<br />
maestro, più volte esaltato come un uomo superiore, anzi come un <strong>di</strong>o, che<br />
ha liberato i viventi dai lacci delle superstizioni e delle angosce, e nello<br />
stesso tempo la presenza <strong>di</strong> scene poetiche piene <strong>di</strong> immagini <strong>di</strong> orrore e <strong>di</strong>sperazione,<br />
come quella della peste <strong>di</strong> Atene e il lungo passo del V libro<br />
sulla “culpa naturae”, culminante nell’immagine del neonato, che, espulso<br />
dal grembo materno, approda alle plaghe della luce emettendo “un lugubre<br />
vagito”, come è giusto per chi dovrà attraversare tante sofferenze, cosicché,<br />
unico tra gli esseri viventi, ha bisogno che la madre con sonagliuzzi e dolci<br />
vezzeggiamenti “il prenda a consolar dell’esser nato”.<br />
Non voglio addentrarmi sulla intima contrad<strong>di</strong>ttorietà <strong>di</strong> questa grande<br />
poesia che alterna a parti robustamente argomentative visioni poetiche<br />
piene <strong>di</strong> bellezza e <strong>di</strong> estasi contemplativa ed altre percorse da una angosciosa<br />
drammaticità. Questo è, infatti, un problema complesso, che investe<br />
una serie <strong>di</strong> questioni: il “pessimismo” <strong>di</strong> Lucrezio, la sua eventuale visionarietà,<br />
la conclusione luttuosa dei libri II, IV e VI 1 della sua opera, per la<br />
1 Nel finale del L.II appare il mondo che crolla su se stesso, nel finale del L.IV c’è una<br />
rappresentazione <strong>di</strong>sturbata della fenomenologia amorosa, e in particolare una satira misogina<br />
così ra<strong>di</strong>cale da aver rafforzato la leggenda della morte <strong>di</strong> Lucrezio per avvelenamento da un<br />
filtro d’amore; nel VI libro troviamo la descrizione della peste <strong>di</strong> Atene.<br />
– 147 –
quale si è fatto ricorso ad una giustificazione strutturale, quella della “legge<br />
della isocolia”, 2 la fedeltà del poeta all’epicureismo, la completezza stessa<br />
del De rerum natura: c’è infatti tra gli stu<strong>di</strong>osi chi sostiene che non in<br />
questo modo apocalittico doveva concludersi il poema, interrotto dalla<br />
morte improvvisa del suo autore. È certo che Epicuro aveva elaborato una<br />
filosofia materialistica coerente, soprattutto per illuminare le tenebre dell’ignoranza<br />
con la “ratio”, la conoscenza scientifica della natura, e quin<strong>di</strong><br />
offrire agli uomini una morale laica, mentre è <strong>di</strong>fficile ammettere che al<br />
grande poeta Lucrezio, così sensibile alla rappresentazione del dolore e tormentato<br />
dall’interrogativo “cur mors immatura vagatur?”, (perché la morte<br />
si aggira prematura fra i giovani?), sia riuscito appieno l’impegno <strong>di</strong> assicurare<br />
al lettore della sua straor<strong>di</strong>naria opera il raggiungimento dell’atarassia e<br />
la capacità <strong>di</strong> esorcizzare la paura in<strong>di</strong>viduale e collettiva della morte.<br />
Rispetto a questa rappresentazione della morte collettiva nella peste <strong>di</strong><br />
Atene, molto <strong>di</strong>versa negli Annales <strong>di</strong> Tacito appare quella delle nobili<br />
morti degli oppositori del regime imperiale.<br />
Occorre innanzitutto dare un giu<strong>di</strong>zio estetico-letterario su queste famosissime<br />
pagine e poi uno <strong>di</strong> natura politica e filosofica, poiché <strong>di</strong>etro le<br />
morti <strong>di</strong> Cremuzio Cordo, <strong>di</strong> Trasea Peto, <strong>di</strong> Seneca c’è la dottrina dello<br />
stoicismo.<br />
Negli Annales le uccisioni descritte sono al massimo una cinquantina<br />
raggruppate nell’arco <strong>di</strong> tre principati: ma l’effetto che la loro descrizione<br />
produce è moltiplicativo, non sommativo, così che, come per il Terrore giacobino,<br />
la nostra associazione mentale è assolutamente angosciosa: è proprio<br />
grazie a Tacito che Tiberio, Caligola o Nerone hanno per noi l’aspetto orrido<br />
<strong>di</strong> mostri sanguinari. A questo contribuisce lo stile del “barocco funerario”,<br />
come lo definisce in un suo saggio lo stu<strong>di</strong>oso francese Roland Barthes, con<br />
il quale Tacito riesce a <strong>di</strong>ssociare il fatto in sé dall’alone che lo circonda, <strong>di</strong>latandolo<br />
a <strong>di</strong>mensioni gran<strong>di</strong>ose. Sulle stragi <strong>di</strong> guerra o sulle carneficine<br />
servili Tacito quasi sorvola, non le ravviva né dona ad esse un’anima, e ciò<br />
<strong>di</strong>pende dalla sua scarsa sensibilità sociale e dalla sua ideologia conservatrice.<br />
Per comprendere questo limite che Tacito manifesta nelle sue pagine,<br />
2 Questa legge vuole appunto motivare la profonda simmetria strutturale del poema che<br />
alternerebbe questi finali drammatici alle aperture serene e a volte esultanti dei libri <strong>di</strong>spari:<br />
l’Inno a Venere del L.I, l’esaltazione <strong>di</strong> Epicuro rispettivamente nel L.III e L.V – Ci sono critici<br />
che sostengono che al quadro della peste <strong>di</strong> Atene doveva seguire una conclusione luminosa,<br />
che facesse da pendant all’apertura dell’Inno a Venere. Sicura è la mancata revisione finale del<br />
poema, pubblicato, com’è noto, proprio da Cicerone.<br />
– 148 –
asterebbe il confronto con Cesare, che esalta la morte eroica dei suoi milites<br />
ancor più che quella degli ufficiali e dei condottieri, o il raffronto con la novella<br />
Libertà <strong>di</strong> Verga, ispirata alla strage <strong>di</strong> Bronte del 1860, in cui lo scrittore,<br />
senza parteggiare per i rivoltosi, ne rappresenta con straor<strong>di</strong>naria efficacia<br />
la protesta sociale, la furia omicida e il successivo smarrimento, ed infine<br />
la condanna da parte della giustizia “borghese”, da parte dei “cappelli”:<br />
gli assassini <strong>di</strong> un tempo sono <strong>di</strong>ventati vittime e Verga fa propria la loro<br />
protesta: “Perché mi condannate? Ma se c’era la libertà!” Ma questa è una<br />
rappresentazione letteraria con<strong>di</strong>zionata da milleesettecento anni <strong>di</strong> storia,<br />
dallo sviluppo del capitalismo, del liberalismo e della democrazia, dalla lotta<br />
<strong>di</strong> classe. Nell’ottica <strong>di</strong> Tacito, invece, da quando c’è l’impero, i citta<strong>di</strong>ni romani<br />
sono <strong>di</strong>ventati “fango”, una massa anonima, priva <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> valori,<br />
facile preda delle passioni e dei bisogni elementari: che questa folla viva o<br />
muoia, sembra importare poco a Tacito, che la <strong>di</strong>sprezza profondamente. Ora<br />
la politica è agita nel palazzo, tra cortigiani servili, delatori e tiranni folli e<br />
crudeli, secondo gli schemi propri del <strong>di</strong>spotismo <strong>di</strong> ogni età, ed è dunque<br />
l’in<strong>di</strong>vidualismo quello che conta. Per questo la storiografia tacitiana si nutre<br />
<strong>di</strong> biografia, procede per potenti ritratti psicologici e conferisce vera drammaticità<br />
solo alla morte in<strong>di</strong>viduale, quella che esce dall’anonimato.<br />
È la morte terribile <strong>di</strong> Agrippina, quella <strong>di</strong> Britannico, giovinetto fiero<br />
ed innocente, è il suici<strong>di</strong>o eroico della liberta Epicari, più virile, lei donna e<br />
già schiava, che non tanti citta<strong>di</strong>ni romani, senatori ed aristocratici, piegati<br />
alla delazione dalla paura e dalle torture: mentre il poeta Lucano, appartenente<br />
alla potente famiglia degli Annei e nutrito <strong>di</strong> filosofia stoica, arriva a<br />
denunciare ad<strong>di</strong>rittura sua madre, nella vana speranza <strong>di</strong> aver salva la vita,<br />
Epicari invece, benché il suo corpo sia tutto slogato, per non tra<strong>di</strong>re i congiurati<br />
e dubitando <strong>di</strong> se stessa, trova la forza <strong>di</strong> impiccarsi con una fascia al<br />
sostegno della lettiga in cui è adagiata.<br />
Memorabile è soprattutto il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Petronio, arbiter elegantiarum.<br />
“Per caso in quei giorni Cesare s’era recato in Campania e Petronio, che s’era<br />
spinto fino a Cuma, venne colà trattenuto; egli non sopportò l’idea <strong>di</strong> starsene più<br />
a lungo sospeso tra timore e speranza. Tuttavia non si tolse la vita con precipitazione,<br />
ma, secondo il suo capriccio, si fece tagliare le vene, poi richiudere, poi<br />
aprire <strong>di</strong> nuovo, mentre conversava con gli amici, non già su argomenti austeri o<br />
tali che gli procurassero fama <strong>di</strong> grande fermezza; né dagli amici egli voleva sentire<br />
nulla che trattasse dell’immortalità dell’anima o delle massime dei filosofi,<br />
ma solo poesie leggere e versi scherzosi. Ad alcuni schiavi fece dare delle ricompense,<br />
ad altri bastonate; si mise a tavola e si abbandonò al sonno, affinché la<br />
morte, sebbene imposta, sembrasse fortuita. Nemmeno nelle <strong>di</strong>sposizioni testa-<br />
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mentarie egli si lasciò andare, come facevano i più che si toglievano la vita, ad<br />
adulare Nerone, Tigellino o qualunque altro; ma vi descrisse accuratamente la<br />
vita scandalosa del principe, citando con i loro nomi giovani corrotti e donne <strong>di</strong><br />
malaffare, e, per filo e per segno, l’enormità <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>ssolutezza del principe;<br />
quin<strong>di</strong>, postovi il sigillo, mandò ogni cosa a Nerone.<br />
Spezzò poi l’anello del sigillo, perché non dovesse più tar<strong>di</strong> servire a provocare<br />
altre vittime”.<br />
(Annales, L.XVI, cap. 19, traduzione <strong>di</strong> Mario Stefanoni)<br />
Questa uscita <strong>di</strong> scena è consona al personaggio, <strong>di</strong> cui Tacito ci ha<br />
consegnato un mirabile ritratto “paradossale”, come <strong>di</strong> uno scettico gaudente<br />
e raffinato che rivela insospettabili doti <strong>di</strong> governo e <strong>di</strong> energia nel comando<br />
militare. Ma questo tipo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o fa in realtà da contraltare alla ambitiosa<br />
mors degli altri congiurati, per es. <strong>di</strong> Seneca. Infatti se sul piano artistico Tacito<br />
celebra gli exitus inlustrium virorum, conferendo ad essi quella finezza<br />
<strong>di</strong> rappresentazione psicologica e quello stile fatto <strong>di</strong> potenti scorci, <strong>di</strong> ellissi<br />
e <strong>di</strong> concisione nelle acute sententiae, sul piano ideologico lo storico in realtà<br />
anche nell’Agricola esprime il suo aperto <strong>di</strong>ssenso rispetto a scelte che non<br />
con<strong>di</strong>vide: poiché c’è sempre un legame tra le scelte della vita e della morte,<br />
lo stoicismo nell’età imperiale era <strong>di</strong>ventato, anche grazie alla setta dei Sestii,<br />
la filosofia degli oppositori del regime, senatori scontenti, che rimpiangevano<br />
la Libertas repubblicana per conservatorismo, ed avevano creato il<br />
mito politico ed umano <strong>di</strong> Catone Uticense (come risulta chiaro dal poema<br />
lucaneo 3 della Pharsalia). Costoro filosofeggiavano, e all’occorrenza congiuravano<br />
contro il tiranno, per poi suicidarsi e proporsi come martiri del<br />
regime. Tacito ritiene sterile e velleitario questo tipo <strong>di</strong> opposizione, capace<br />
<strong>di</strong> produrre danni alla res publica, a cui i congiurati sottraevano contributi <strong>di</strong><br />
3 Come altri poeti ed intellettuali contemporanei Lucano, nipote <strong>di</strong> Seneca, si era lasciato<br />
lusingare dal programma neroniano <strong>di</strong> rinascita delle humanae litterae e dal mecenatismo dell’imperatore;<br />
<strong>di</strong> questa illusione rimane traccia nell’elogio <strong>di</strong> Nerone che ricorre nei libri iniziali<br />
del Bellum Civile, poema noto anche col titolo <strong>di</strong> Pharsalia. Successivamente gli aspetti illiberali<br />
e maniacali <strong>di</strong> Nerone gli alienarono questi consensi, e Lucano stesso esprime la sua avversione<br />
all’impero facendo <strong>di</strong> Catone Uticense il vero e proprio eroe positivo della storia del I sec.<br />
a.C., mentre in luce sfavorevole appaiono Cesare e in qualche misura Pompeo: da qui nasce la<br />
lunga tra<strong>di</strong>zione che accompagnando la fortuna del poema lucaneo, straor<strong>di</strong>naria per tutto il<br />
Me<strong>di</strong>oevo, giunge fino a Dante che <strong>di</strong> Catone fa il severo custode del Purgatorio: eppure si<br />
trattava <strong>di</strong> un pagano e <strong>di</strong> un suicida! Quanto a Lucano, entrò anche lui nella congiura dei Pisoni<br />
(64 d.C.) e Tacito ne rievoca la morte, macchiata dalla vergogna <strong>di</strong> una denuncia fatta dal poeta<br />
a carico della propria madre, nel vano tentativo <strong>di</strong> sfuggire così alla repressione neroniana ed<br />
alla propria fine.<br />
– 150 –
officia e negotia che invece Agricola, e Tacito stesso, avevano continuato a<br />
prestare all’impero, <strong>di</strong>mostrando quale debba essere la condotta <strong>di</strong> un uomo<br />
onesto e <strong>di</strong> un onesto funzionario al tempo della <strong>di</strong>ttatura.<br />
Dunque se è vero che – imposta o scelta – la morte, o l’uccisione pro<strong>di</strong>toria,<br />
assumono una innegabile grandezza artistica e morale nelle pagine<br />
degli Annales, soprattutto in quelle riservate alla congiura <strong>di</strong> Pisone, è innegabile<br />
che il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Petronio, <strong>di</strong>staccandosi dall’enfasi drammatica <strong>di</strong><br />
chi filosofeggia morendo, incarna una parte delle riserve dello storico,<br />
emerse molto chiaramente proprio nell’elogio del suocero Agricola. 4 Era<br />
stata d’altronde la posizione ideologica dello stesso Tacito, il quale aveva<br />
servito l’impero anche sotto la tirannia <strong>di</strong> Domiziano, senza lasciarsi contaminare<br />
dai crimini e dai delitti che la caratterizzavano.<br />
Quando alla fine del Settecento la borghesia conquista, dopo il potere<br />
economico, anche quello politico, la letteratura e le arti interpretano in<br />
modo nuovo il tema della morte. Dapprima nell’ambito del neoclassicismo,<br />
poi con la rivoluzione romantica ed infine con il trionfo del romanzo in tutta<br />
la sua ricca tipologia, questo tema subisce una rivisitazione in chiave via via<br />
più moderna e più vicina alla nostra sensibilità; l’arte si accompagna necessariamente<br />
all’evoluzione del costume e dell’immaginario collettivo: basti<br />
pensare agli eroi romantici del suici<strong>di</strong>o, quali Werther e Ortis, alle morti<br />
e<strong>di</strong>ficanti <strong>di</strong> Adelchi ed Ermengarda nel Manzoni, alle impassibili ed agghiaccianti<br />
descrizioni della fine <strong>di</strong> papà Grandet in Balzac, <strong>di</strong> Madame<br />
Bovary in Flaubert e <strong>di</strong> Nana in Zola, o allo splen<strong>di</strong>do romanzo già profondamente<br />
“esistenzialistico” <strong>di</strong> Tolstoi: La morte <strong>di</strong> Ivan Illich, su cui si<br />
sarebbe sviluppata la riflessione <strong>di</strong> Heidegger.<br />
Nell’area tedesca dello Sturm und Drang il dolore cosmico e il <strong>di</strong>sgusto<br />
per il filisteismo <strong>di</strong> una società, ancora largamente feudale nel suo assetto,<br />
inducono al suici<strong>di</strong>o “anime belle”, tormentate dall’anelito all’infinito, pur<br />
in assenza <strong>di</strong> motivazioni politiche – ed è il caso <strong>di</strong> Werther –, mentre<br />
in Italia Ortis si uccide anche in conseguenza <strong>di</strong> “una delusione storica”.<br />
Nei romanzi epistolari <strong>di</strong> Goethe e <strong>di</strong> Foscolo, come poi nelle Canzoni<br />
4 Si tratta della monografia intitolata appunto Agricola, in cui la critica ha riconosciuto il<br />
genere misto della biografia e dell’elogio funebre: quello che Tacito fa del proprio suocero, con<br />
intenti anche <strong>di</strong> apologia personale, rispetto a coloro (e dovevano essere molti!) che con l’avvento<br />
<strong>di</strong> Traiano intendevano far pagare a Tacito il suo attivismo politico a fianco <strong>di</strong> Domiziano,<br />
o<strong>di</strong>oso tiranno, in un’epurazione dei ranghi amministrativi e delle carriere militari che appariva<br />
nella logica della transizione ad un regime imperiale “illuminato”.<br />
– 151 –
leopar<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> Bruto e Saffo, questi eroi Romantici esprimono una filosofia<br />
dolorosa e solitaria, in cui emerge il rifiuto delle gran<strong>di</strong> utopie illuministiche<br />
e della Ragione, la quale con il suo slancio costruttivo aveva mo<strong>di</strong>ficato<br />
la storia, il costume, le istituzioni. Ora, ripiegando sull’intimismo e<br />
soprattutto sulla passione amorosa contrastata ed impossibile, rispettivamente<br />
per Carlotta e per Teresa, Werther e Ortis piegano il capo sfiduciati<br />
davanti a pregiu<strong>di</strong>zi e convenzioni, e si immolano sul rogo del Sentimento.<br />
Quel sentimento che Rousseau aveva rivalutato, intendendo però farne una<br />
potente leva in funzione dell’eversione politica e sociale. Si <strong>di</strong>scute se il<br />
carattere <strong>di</strong> tali suici<strong>di</strong> sia quello del naufragio intriso <strong>di</strong> vittimismo, o<br />
quello della protesta, straripante <strong>di</strong> ubris, contro il padre (il signor T* e<br />
Napoleone, secondo l’ipotesi critica psicoanalitica proposta da Amoretti a<br />
proposito del romanzo <strong>di</strong> Foscolo): il mito <strong>di</strong> Prometeo, che è infatti al<br />
centro dell’interesse drammaturgico degli stürmer, sembrerebbe avvalorare<br />
piuttosto la tesi <strong>di</strong> una componente ribellistica e titanica all’interno <strong>di</strong><br />
queste scelte suicide.<br />
In ogni caso il modello letterario eserciterà un’influenza negativa sui<br />
giovani nell’età della Restaurazione, fino al punto da indurre Goethe ad una<br />
sorta <strong>di</strong> sconfessione della sua opera giovanile più fortunata. Dunque non<br />
solo oggi la cronaca deve registrare la fragilità psicologica <strong>di</strong> tanti ragazzi<br />
che rifiutano <strong>di</strong> vivere e che plasmano le loro morti sull’imitazione del loro<br />
ultimo mito me<strong>di</strong>atico; ciò è accaduto evidentemente anche agli esor<strong>di</strong> del<br />
sec. XIX.<br />
Ma, guardando sempre alla società civile, a partire dalla fine del Settecento,<br />
i governi si preoccupano <strong>di</strong> regolamentare le procedure per l’inumazione<br />
dei cadaveri e per la sistemazione dei cimiteri in spazi suburbani, lontani<br />
dalle cinte murarie, (si possono citare la legislazione <strong>di</strong> Maria Teresa<br />
per l’Impero austriaco, e quin<strong>di</strong> anche per la Lombar<strong>di</strong>a, e, più tar<strong>di</strong>, l’e<strong>di</strong>tto<br />
napoleonico <strong>di</strong> Saint Cloud). Haussman, il più grande architetto ed<br />
urbanista del sec. XIX, ri<strong>di</strong>segnando il volto <strong>di</strong> Parigi, concepisce e fa realizzare<br />
il modello dei nuovi cimiteri europei, il Père Lachaise, che appare ai<br />
visitatori con le caratteristiche <strong>di</strong> un grande parco, abbellito da monumenti<br />
funebri, viali, piante ecc., in aperto contrasto con le prospettive escatologiche<br />
del terribile Giu<strong>di</strong>zio Universale tanto temuto dai cristiani. L’opinione<br />
pubblica apre al riguardo un <strong>di</strong>battito nel quale prevale una mentalità<br />
laica. È favorevole alle nuove misure igienico-sanitarie la borghesia europea<br />
che non crede nella sopravvivenza ultraterrena dell’anima e valorizza<br />
– 152 –
la vita terrena in una prospettiva <strong>di</strong> autoaffermazione e <strong>di</strong> perpetuazione del<br />
proprio ricordo nelle opere nobili realizzate; assumono invece posizioni più<br />
tra<strong>di</strong>zionaliste il clero e quella fetta della popolazione che non accetta <strong>di</strong><br />
rinnegare il culto cattolico, la presenza delle tombe nelle chiese, il fasto lugubre<br />
dello stile funerario barocco, e il memento mori delle epigrafi, dei riti<br />
espiatori e del sistema delle indulgenze.<br />
Un’eco <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>battito si avverte nel carme de I Sepolcri <strong>di</strong> Foscolo,<br />
la cui filosofia è tutta mondana ed antiascetica, avendo ere<strong>di</strong>tato il pensiero<br />
materialistico ed ateo <strong>di</strong> La Mettrie, Holbach ed Helvétius, per il quale<br />
l’anima non sopravvive al corpo e la tomba dunque non serve al morto, ma<br />
al vivo, nutrendo in lui “l’illusione” <strong>di</strong> una sopravvivenza del proprio valore<br />
in<strong>di</strong>viduale nella storia e nella poesia.<br />
Non sapendo rassegnarsi al “nulla eterno” 5 a cui in termini materialistici<br />
si riduce la morte, l’uomo deve ritornare al culto del sepolcro, come<br />
nodo d’affetti per cui si vive “con l’amico estinto e l’estinto con noi”, con la<br />
donna amata e con il “passegger solingo” che ode il sospiro che dal “tumulo<br />
a noi manda natura”.<br />
Il pensiero della morte si trasforma perciò in una vigorosa riaffermazione<br />
della vita e dei suoi valori, investiti da un sentimento mitizzante tutto<br />
foscoliano: l’“armonia del giorno”, “la bella d’erbe famiglia e d’animali”,<br />
lo “spirto delle vergini Muse e dell’amore”, la danza delle Ore future con<br />
il loro corteo <strong>di</strong> speranze e promesse. La critica ha infatti osservato che<br />
dall’ardua tessitura concettuale del carme è possibile enucleare una serie <strong>di</strong><br />
petrarcheschi Trionfi, sottratti all’ispirazione profondamente cristiana tipica<br />
del Me<strong>di</strong>oevo: il Trionfo della morte sulla vita (vv. 1-20), quello del sepolcro<br />
sulla morte (vv. 21-210), del tempo sul sepolcro (vv. 211-235), della<br />
poesia eternatrice sul tempo (vv. 236-275). In definitiva sul nucleo originario<br />
del pensiero materialistico si riafferma una concezione idealistica, che<br />
rimanda soprattutto a Vico e al suo culto <strong>di</strong> Omero e del poeta-vate (cfr.<br />
Asor Rosa e Pagliaro). Il carme si chiude infatti con l’immagine del cieco<br />
cantore che abbraccia le urne nella Troade “inseminata” e con l’esaltazione<br />
del sangue <strong>di</strong> Ettore versato per la patria. Presto tutta una generazione <strong>di</strong> patrioti,<br />
a partire da Mazzini, riconoscerà il carattere risorgimentale <strong>di</strong> questa<br />
poesia che il pathos civile e politico sottrae all’ambito dell’autobiografismo,<br />
facendone un modello <strong>di</strong> arte impegnata.<br />
5 Sonetto Alla Sera <strong>di</strong> Foscolo: “Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme / che vanno al<br />
nulla eterno”.<br />
– 153 –
Grande è perciò la <strong>di</strong>stanza dei Sepolcri dalla produzione sepolcrale<br />
inglese tardo-settecentesca, nella quale era prevalso un gusto sentimentale,<br />
espresso talora in forme me<strong>di</strong>tative e malinconiche. È il caso della Elegia<br />
sopra un cimitero campestre <strong>di</strong> Thomas Gray che avvolge nella luce del<br />
crepuscolo la visione <strong>di</strong> tombe modeste, nelle quali sono racchiuse le ceneri<br />
<strong>di</strong> uomini ignorati dalla storia; e queste virtù sconosciute il poeta intende<br />
rievocare e celebrare. Collocandosi al punto più alto del processo storico<br />
della rivoluzione inglese, questa elegia precorre – ed insieme influenza –<br />
una concezione democratica del ruolo del poeta che sarà propria <strong>di</strong> Wordsworth,<br />
<strong>di</strong> Tolstoi e <strong>di</strong> George Eliot:<br />
“I rintocchi della campana salutano il giorno che muore,<br />
l’armento si <strong>di</strong>sperde muggendo per i pascoli,<br />
il conta<strong>di</strong>no volge i passi affaticati verso casa,<br />
e lascia il mondo alle tenebre e a me.<br />
Forse in questo luogo abbandonato giace<br />
Qualche cuore una volta ardente <strong>di</strong> fuoco celeste,<br />
mani che avrebbero potuto impugnare lo scettro del comando,<br />
o destare l’estasi con la lira vibrante <strong>di</strong> vita.<br />
Ma il Sapere non volse mai ai loro occhi<br />
Il suo grande volume ricco delle spoglie del tempo.<br />
Il freddo della povertà represse il loro nobile ardore<br />
E ne gelò in fondo all’anima le vocazioni”<br />
(traduzione <strong>di</strong> D. Caminita - vv. 1/5 e 45/54).<br />
A nessuno sfugge l’ideologia democratica che ispira questi versi. Foscolo<br />
invece, dopo una fase giacobina, coincisa con la <strong>di</strong>scesa dell’armata<br />
francese in Italia e la proclamazione della Repubblica Veneta, in seguito alla<br />
delusione indotta dal tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Napoleone (trattato <strong>di</strong> Campoformio,<br />
1798), ripu<strong>di</strong>a l’ideologia egualitaria e democratica, e si volge all’esaltazione<br />
dei “forti”, cioè <strong>di</strong> un’élite intellettuale e spirituale che opera bene<br />
sulla terra, pratica la virtù, ama il bello ideale e la poesia, vive con la passione<br />
<strong>di</strong> Ortis, prefigurandosi una patria per la cui libertà lottare e morire:<br />
questa tipologia umana – non nobile <strong>di</strong> nascita ma <strong>di</strong> cuore e <strong>di</strong> animo – è<br />
l’unica che “lasci ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> affetti” e che dunque abbia <strong>di</strong>ritto al culto delle<br />
tombe. Questo forte in<strong>di</strong>vidualismo meritocratico – che lega la memoria dei<br />
superstiti alla grandezza e alle passioni del morto – sarebbe pur esso in linea<br />
con il pensiero borghese se non si esprimesse in Foscolo in forme elitarie, e<br />
quin<strong>di</strong> aristocratiche, ispirate all’estetica winckelmanniana della “nobile<br />
semplicità e quieta grandezza”: forme che il poeta raccoglie nei Sepolcri<br />
dalla tra<strong>di</strong>zione romanza e classica, riecheggiando Petrarca, Lucrezio,<br />
– 154 –
Omero, <strong>Orazio</strong> e Pindaro, ad esempio nella densità concettuale delle transizioni,<br />
e nella preziosità sublime del lessico. I frequenti latinismi, i riferimenti<br />
mitologici, gli iperbati, le metonimie, le audaci inversioni, le costruzioni<br />
alla greca, i valori simbolici delle onomatopee, tutto rimanda al gusto<br />
del neoclassicismo romantico <strong>di</strong> cui la lirica foscoliana è, con quella <strong>di</strong><br />
Keats e <strong>di</strong> Hölderlin, l’estrema e più nobile espressione. Vengono dunque a<br />
collocarsi su un piano <strong>di</strong> profonda affinità la tela neoclassica <strong>di</strong> David che<br />
esalta in termini politici e <strong>di</strong> serena compostezza la morte del tribuno<br />
Marat, eroe della rivoluzione francese, e la celebrazione foscoliana dei<br />
gran<strong>di</strong> italiani, le cui “urne”, racchiuse in Santa Croce, potranno affidare “ai<br />
forti” – alle generazioni che verranno – il compito <strong>di</strong> “trarne gli auspici”:<br />
attraverso la mitologia degli uomini gran<strong>di</strong> in tutti i campi dello scibile, da<br />
Galileo a Machiavelli, da Michelangelo ad Alfieri, da Dante a Petrarca si ra<strong>di</strong>cherà<br />
nelle future generazioni l’idea <strong>di</strong> nazione, e prenderà vita il risorgimento<br />
<strong>di</strong> un popolo che allora, nel 1806, anno <strong>di</strong> composizione dei Sepolcri,<br />
era ancora “un volgo <strong>di</strong>sperso che nome non ha”.<br />
Conformemente a questa ideologia laica e mondana, ne I Sepolcri la<br />
condanna del sentimento barocco della morte risalta con evidenza nei versi<br />
destinati ai culti me<strong>di</strong>evali.<br />
“Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi<br />
fean pavimento; né agl’incensi avvolto<br />
de’ cadaveri il lezzo i supplicanti<br />
contaminò; né le città fur meste<br />
d’effigiati scheletri: le madri<br />
balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono<br />
nude le braccia su l’amato capo<br />
del lor caro lattante onde nol desti<br />
il gemer lungo <strong>di</strong> persona morta<br />
chiedente la venal prece agli ere<strong>di</strong><br />
dal santuario” (vv. 104-114).<br />
È un passo <strong>di</strong> gusto lugubre in cui il virtuosismo stilistico del poeta ha<br />
funzione polemica: ne sono in<strong>di</strong>zio quei particolari della “venal prece”, del<br />
“gemer lungo”, “del lezzo dei cadaveri” mescolato al profumo degli incensi,<br />
e la paura delle madri “esterrefatte”, che si destano in preda agli incubi e proteggono<br />
con gesto drammatico i loro nati dalla vista degli scheletri effigiati<br />
nelle sculture delle città. A questa condanna della tra<strong>di</strong>zione cristiana, che<br />
utilizzava in senso terroristico il <strong>di</strong>scorso sulla morte e sull’al<strong>di</strong>là, si contrappone,<br />
subito dopo, la rievocazione del culto antico: il colloquio con il caro<br />
– 155 –
estinto si svolge in un locus amoenus, un paesaggio sereno <strong>di</strong> amaranti, viole<br />
e fontane lustrali. È il grande mito della classicità che illumina questa ed altre<br />
scene più drammatiche de I Sepolcri, specie nel finale, creando un continuum<br />
spirituale tra i moderni e i Greci, per sublimare poeticamente e travestire <strong>di</strong><br />
forme, desunte da un nobile passato, il mondo della potente e spesso utilitaria<br />
borghesia contemporanea. In definitiva questa chiave <strong>di</strong> interpretazione<br />
foscoliana del culto funebre costituisce un corrispettivo stilistico ed estetico<br />
delle gran<strong>di</strong> Tombe <strong>di</strong> Alfieri e <strong>di</strong> Maria Cristina d’Austria, realizzate da<br />
Canova, anch’esse in funzione antibarocca: sublimi e solenni, ma classiche<br />
nella loro monumentale serenità. 6<br />
Il romanticismo, con la sua poliedrica ricchezza <strong>di</strong> motivi e stilemi, privilegia<br />
il tema della morte a tal punto che un raffinato saggista, quale Mario<br />
Praz, ha potuto scrivere il suo libro più famoso intitolandolo La carne, la<br />
morte e il <strong>di</strong>avolo nella letteratura romantica. Naturalmente si può <strong>di</strong>scutere<br />
il criterio storiografico per il quale D’Annunzio e Baudelaire vengono posti<br />
sullo stesso piano <strong>di</strong> Byron e <strong>di</strong> Delacroix, essendo molto più chiara oggi<br />
l’appartenenza dei primi due ad un’area già propriamente decadente, ma le<br />
linee interpretative globali rimangono suggestive e inconfutabili: il gusto<br />
morboso del <strong>di</strong>sfacimento, della putre<strong>di</strong>ne, della violenza e del sangue, della<br />
morte con le sue componenti <strong>di</strong> erotica perversione fa effettivamente parte<br />
della rivoluzione espressiva e tematica dell’irrazionalismo romantico come<br />
poi <strong>di</strong> quello decadente ed estetizzante.<br />
Così i quadri <strong>di</strong> Delacroix fastosamente esaltano la violenza dei soggetti<br />
mortuari con uno stile rutilante e lussureggiante, nel Massacro <strong>di</strong> Scio, negli<br />
stu<strong>di</strong> sulle tigri che si azzannano, persino nella personificazione della Libertà<br />
che erge il suo vessillo su cumuli <strong>di</strong> cadaveri; nell’area del simbolismo novecentesco<br />
le stesse componenti <strong>di</strong> gusto trionferanno in modo più cerebrale ed<br />
intellettualistico. Nella Salomé <strong>di</strong> Moreau, oggetto <strong>di</strong> culto da parte dell’este-<br />
6 Nei monumenti funebri <strong>di</strong> Canova si ripete il tema della “soglia”, che tutti dobbiamo<br />
varcare, e che iconograficamente viene rappresentata in vario modo: nel caso della tomba <strong>di</strong><br />
Clemente XIV nella basilica dei Santi Apostoli a Roma, la porta della sacrestia che il monumento<br />
sovrasta viene genialmente inglobata nell’architettura, con la mano destra del pontefice<br />
che dall’alto la in<strong>di</strong>ca perché il fedele la attraversi; nella tomba <strong>di</strong> Maria Cristina d’Austria nella<br />
chiesa degli Agostiniani a Vienna un corteo aperto da un fanciullo si <strong>di</strong>rige verso la soglia<br />
fatale, che spicca con la sua ombra nel complesso architettonico luminoso, per deporvi le ceneri<br />
contenute in un’urna. La simbologia sembra esprimere il monito ad accettare il destino che può<br />
coglierci in qualunque età, se è vero che ultimo si avanza un vecchio dolente.<br />
– 156 –
tismo, (tema abusato nell’arte del tempo: si pensi a R. Strauss, a D’Annunzio<br />
e a Wilde, a Mallarmé e Flaubert, per citare tutti gli autori che a questo celebre<br />
personaggio biblico si sono ispirati nel giro <strong>di</strong> pochi anni), la tipologia<br />
della donna-vampiro, lussuriosa e perversa, si contamina con la <strong>di</strong>ssacrazione<br />
del soggetto religioso, cosicché l’ostensione della testa <strong>di</strong> Giovanni<br />
Battista implica il sottile brivido dell’eros.<br />
In questo modo il fondo mostruoso dell’animo umano, il “sottosuolo”<br />
per <strong>di</strong>rla con Dostojewskij, gli orrifici fantasmi a <strong>di</strong>mensione onirica e tutto<br />
ciò che si lega al visionario si addensano in un’unica immagine della morte,<br />
come accade nel romanzo <strong>di</strong> Th. Mann La Morte a Venezia dove, sia pure in<br />
forme limpidamente classiche e tra<strong>di</strong>zionali, trova espressione il gusto<br />
bizantino dell’Oriente che propone un volto della città lagunare in linea con<br />
il gusto del decadentismo: sullo sfondo <strong>di</strong> un’epidemia <strong>di</strong> colera, la morte<br />
<strong>di</strong>venta simbolo osceno <strong>di</strong> corruzione e <strong>di</strong> decadenza senile, quando Gustav<br />
von Aschenbach, un severo stu<strong>di</strong>oso, si trasforma in poche settimane in<br />
grottesco pagliaccio, innamorato <strong>di</strong> un enigmatico efebo e si prepara a<br />
morire per lui in un circuito <strong>di</strong> crescente ebbrezza ed abiezione.<br />
“Questa era Venezia, la bella e lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà<br />
trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che<br />
suggerì ai musicisti melo<strong>di</strong>e che cullano in sogni voluttuosi. All’errante sembrava<br />
che i suoi occhi si abbeverassero <strong>di</strong> quella sontuosità, che il suo orecchio fosse<br />
corteggiato da quelle melo<strong>di</strong>e; ricordava anche che la città era malata, ma lo teneva<br />
nascosto per sete <strong>di</strong> guadagno, e scrutava con maggior frenesia la gondola<br />
che ondeggiava davanti a lui. Così lo smarrito non desiderava altro che seguire<br />
senza ritegno l’oggetto che lo infiammava, sognava <strong>di</strong> lui quando era assente<br />
e, come sogliono gli innamorati, rivolgeva parole tenere anche soltanto alla sua<br />
ombra. La solitu<strong>di</strong>ne, il paese straniero e la gioia <strong>di</strong> un’ebbrezza tar<strong>di</strong>va e<br />
profonda lo incoraggiavano e lo spingevano a permettersi senza timore o vergogna<br />
le cose più strane, come era avvenuto una sera che, tornando tar<strong>di</strong> da Venezia, era<br />
salito al primo piano dell’albergo e s’era fermato davanti alla porta <strong>di</strong> Tadzio,<br />
quasi folle, col capo appoggiato allo stipite della porta, e per lungo tempo non era<br />
più riuscito a staccarsene, col rischio <strong>di</strong> essere sorpreso mentre si trovava in una<br />
posa così pazzesca”.<br />
Ma per non andare troppo in là con una ricerca che ci allontanerebbe<br />
dalla letteratura italiana, va ricordato che essa non ha conosciuto nell’Ottocento<br />
le manifestazioni più estreme del romanticismo irrazionalistico; perciò<br />
va dato maggiore rilievo alla presenza ossessiva <strong>di</strong> simboli funerei in<br />
Myricae e ne I Canti <strong>di</strong> Castelvecchio <strong>di</strong> Pascoli. Ben <strong>di</strong>ssimulati dall’apparente<br />
tenuità delle scelte tematiche e stilistiche, questi simboli contribuiscono<br />
– 157 –
al rinnovamento della nostra poesia grazie alla sensibilità morbosa dell’autore<br />
più che per la sua appartenenza consapevole alla poetica del decadentismo:<br />
egli ha rivolto la sua perizia tecnica, maturata ancora una volta nel<br />
limae labor del classicismo, ad una trasformazione dall’interno, più profonda,<br />
anche se meno vistosa, <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> D’annunzio.<br />
NOVEMBRE<br />
Gemmea l’aria, e il sole così chiaro<br />
Che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,<br />
e del prunalbo l’odorino amaro<br />
senti nel cuore.<br />
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante<br />
Di nere trame segnano il sereno,<br />
e vuoto il cielo, e cavo al pié sonante<br />
sembra il terreno.<br />
Silenzio intorno: solo, alle ventate,<br />
o<strong>di</strong> lontano, da giar<strong>di</strong>ni ed orti,<br />
<strong>di</strong> foglie un cader fragile. È l’estate,<br />
fredda, dei morti.<br />
Nella perfezione cristallina dell’ode saffica, nel cuore stesso della precisione<br />
semantica degna <strong>di</strong> un ornitologo e <strong>di</strong> un botanico, Pascoli sa aprire<br />
sospensioni e brivi<strong>di</strong>, sottolineati da sinestesie (un cader fragile), da pause<br />
sapienti, dal ritmo franto delle costruzioni nominali, dall’infittirsi della punteggiatura,<br />
cosicché il ”mazzolin <strong>di</strong> rose e <strong>di</strong> viole” della tra<strong>di</strong>zione i<strong>di</strong>lliaca,<br />
dall’Arca<strong>di</strong>a giù giù fino a Leopar<strong>di</strong>, perde ogni connotazione gioiosa<br />
e si trasfigura in un inquietante “simbolismo mortuario degli oggetti”, come<br />
accade nel Gelsomino notturno:<br />
E s’aprono i fiori notturni,<br />
nell’ora che penso ai miei cari.<br />
Sono apparse in mezzo ai viburni<br />
Le farfalle crepuscolari.<br />
Sono le tenaci presenze fantasmatiche dei cari morti che impe<strong>di</strong>scono al<br />
poeta <strong>di</strong> “andare” e <strong>di</strong> allontanarsi dal “nido” ancestrale, bloccandolo ad una<br />
con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> turbamento, quello <strong>di</strong> un adolescente che rimuove il sesso o<br />
lo sente come sangue e violenza:<br />
È l’alba: si chiudono i petali<br />
Un poco gualciti; si cova<br />
Dentro l’urna molle e segreta,<br />
non so che felicità nuova.<br />
– 158 –
In tutto il componimento, che nonostante le apparenze, si ricollega alla<br />
tra<strong>di</strong>zione degli epitalami, essendo stato composto in occasione delle nozze<br />
<strong>di</strong> un amico, Gabriele Briganti, e del concepimento del suo primo figlio, il<br />
contrappunto vita-morte è proposto attraverso relazioni e metafore assai delicate<br />
quasi impalpabili, come quelle necrofile de I due cugini:<br />
I<br />
Si amavano i bimbi cugini.<br />
Pareva, un incontro <strong>di</strong> loro,<br />
l’incontro <strong>di</strong> due lucherini:<br />
volavano. Nell’abbracciarsi<br />
i tocchi cadevano, e l’oro<br />
mescevano i riccioli sparsi.<br />
Poi l’uno appassì, come rosa<br />
Che in boccio appassisce nell’orto:<br />
ma l’altra la piccola sposa<br />
rimase del piccolo morto.<br />
II<br />
Tu, piccola sposa, crescesti:<br />
man mano intrecciavi i capelli,<br />
man mano allungavi le vesti.<br />
Crescevi sott’occhi che negano<br />
ancora; ed i petali snelli<br />
cadevano: il fiore già lega.<br />
Ma l’altro non crebbe. Dal mite<br />
suo cuore, ora, senza perché,<br />
fioriscono le margherite<br />
e i non ti scordare <strong>di</strong> me.<br />
III<br />
Ma tu... ma tu l’ami. Lo ve<strong>di</strong>,<br />
lo chiami. La senti da lunge<br />
la fretta dei taciti pie<strong>di</strong>...<br />
Tu l’ami, egli t’ama tuttora;<br />
ma egli col capo non giunge<br />
al seno tuo nuovo che ignora.<br />
Egli esita: avanti la pura<br />
Tua fronte ricinta d’un nimbo,<br />
piangendo l’antica sventura<br />
tentenna il suo capo <strong>di</strong> bimbo.<br />
Come ha sostenuto nelle prose del Fanciullino, il poeta riscopre nelle<br />
cose il loro segreto, il loro mistero, ormai <strong>di</strong>ssipato e <strong>di</strong>strutto dalla raziona-<br />
– 159 –
lità e dalla scienza, ed è in quegli stupori tramati <strong>di</strong> brivi<strong>di</strong> sottili e sospensioni<br />
angosciose che può trovare voce una <strong>di</strong>mensione lirica frammentaria e<br />
moderna, in cui il paesaggio rurale, i lavori dei campi e le siepi e le nebbie,<br />
il lampo e il tuono e la stessa notte del X Agosto col suo “pianto <strong>di</strong> stelle<br />
sull’atomo opaco del male” non hanno più niente da spartire né col classicismo<br />
bucolico né con il verismo rusticano.<br />
Ma sul tema della morte l’apporto più interessante dal punto <strong>di</strong> vista sociologico<br />
non può che venire dalla narrativa del realismo e del verismo:<br />
l’arte perfetta <strong>di</strong> Flaubert non solo rappresenta l’agonia <strong>di</strong> Madame Bovary,<br />
suicidatasi con l’arsenico, in tutto il suo sviluppo, dai dolori lancinanti alla<br />
fase <strong>di</strong> una labile quiescenza fino alla respirazione che solleva le costole e<br />
al roteare degli occhi e alla fuoriuscita della lingua, ma intorno al letto della<br />
moribonda <strong>di</strong>spone la pietà, la superficialità, la chiacchiera degli altri personaggi<br />
e la <strong>di</strong>sperazione autentica, quella del marito, la vista della bambina<br />
che si spaventa e viene quin<strong>di</strong> allontanata. È il rituale della società ottocentesca,<br />
in cui soli non si poteva morire, come d’altronde due secoli prima, né<br />
nelle case dei poveri né nelle <strong>di</strong>more regali. E la presenza dei bambini era<br />
ad<strong>di</strong>rittura necessaria: al funerale partecipavano oltre alle beghine e alle<br />
prefiche prezzolate tutti gli orfanelli e le orfanelle degli istituti religiosi,<br />
mentre la comunità interveniva all’elaborazione del lutto da parte dei superstiti<br />
con le visite <strong>di</strong> condoglianza.<br />
Soprattutto nella letteratura meri<strong>di</strong>onale, e dei siciliani in modo specifico,<br />
è documentata la consuetu<strong>di</strong>ne dell’affollamento nella stanza del moribondo:<br />
in Paolo il caldo <strong>di</strong> Vitaliano Brancati, estranei, curiosi e parenti si<br />
accalcano nella stanza del barone Castorini, pigiandosi nel corridoio, sulla<br />
soglia, per seguire le pratiche del me<strong>di</strong>co, le parole dell’agonizzante, le preghiere<br />
delle prefiche che si prolungheranno nella notte durante la veglia funebre<br />
intorno al cataletto, interrotte dall’urlo rituale, dai gemiti e dalle manifestazioni<br />
teatrali del dolore. Un’ere<strong>di</strong>tà dei threnoi della Magna Graecia<br />
in cui il cristianesimo si è inserito con il sacramento dell’Estrema Unzione<br />
(Il Viatico) annunziato da un campanello funebre che gettava angoscia nelle<br />
strade del paese, ricordando a tutti il comune destino. Anche nelle tele dei<br />
pittori ottocenteschi (si pensi a Courbet) il soggetto è presente: prete e chierichetto<br />
procedono verso la casa del morente come in una lugubre processione.<br />
Ma il romanzo <strong>di</strong> Brancati è stato scritto nel 1963 ed è ambientato a<br />
Catania nel secondo dopoguerra: ancora in quel tempo dunque le donne meri<strong>di</strong>onali<br />
e <strong>di</strong> tutte le provincie arretrate del Nord indossavano l’abito nero<br />
– 160 –
del lutto e non lo smettevano mai, tante erano le morti <strong>di</strong> consanguinei che<br />
susseguendosi le legavano a quest’obbligo. La vita me<strong>di</strong>a era meno lunga,<br />
l’esperienza della morte, familiare anche ai bambini, era comune argomento<br />
<strong>di</strong> conversazione, e sofferta con gli altri: una delle pratiche <strong>di</strong> solidarietà<br />
collettiva era quella della “tazza del consolo”, ben documentata anche in<br />
Verga (I Malavoglia, cap. IV): poiché il lutto dei superstiti doveva prolungarsi<br />
per almeno una settimana, imponendo la reclusione in casa, le visite<br />
degli amici e la cessazione delle normali attività lavorative, affini e conoscenti<br />
portavano in dono, a turno, pranzi e cene ai superstiti (ere<strong>di</strong>tà dei<br />
banchetti funebri testimoniati dall’iconografia e dalla letteratura antiche<br />
nell’area me<strong>di</strong>terranea), poiché le donne colpite dal dolore erano costrette in<br />
quel periodo ad interrompere anche le cure domestiche più elementari.<br />
“La casa del nespolo era piena <strong>di</strong> gente; e il proverbio <strong>di</strong>ce Triste quella casa<br />
dove ci è la visita per il marito... Ognuno che passava, al vedere sull’uscio quei<br />
piccoli Malavoglia col viso su<strong>di</strong>cio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e<br />
<strong>di</strong>ceva: – Povera comare Maruzza! Ora cominciano i guai per la sua casa! Gli<br />
amici portavano qualche cosa, com’è l’uso, pasta, ova, vino e ogni ben <strong>di</strong> Dio,<br />
che ci avrebbe voluto il cuor contento per mangiarsi tutto, e perfino compar Alfio<br />
Mosca era venuto con una gallina per mano”.<br />
Era raro che qualcuno morisse in ospedale, e la cosa era vissuta quasi<br />
con vergogna, essendo primario il desiderio del malato <strong>di</strong> morire nel proprio<br />
letto: si veda la “<strong>di</strong>sperazione” dei Malavoglia che rifiutano <strong>di</strong> ricoverare il<br />
vecchio padron ‘Ntoni, ormai <strong>di</strong> peso alla famiglia, e la desolazione <strong>di</strong><br />
quella morte lontana dalle mura della casa del nespolo, in un luogo asettico,<br />
in cui “le bianche mani delle suore <strong>di</strong>stribuiscono un bianco pane tra<br />
bianche lenzuola” (Fantasticheria): e il vecchio, che ha deciso lui <strong>di</strong> farsi<br />
trasferire lì, in quelle anonime corsie, si lascia andare, abbandonando la<br />
lotta. Il ragazzino Menico che gli portava le lumache cotte da succhiare, un<br />
bel giorno non lo trova più.<br />
Con la fine del naturalismo e soprattutto del positivismo, Schopenhauer<br />
e Freud introducono nel linguaggio comune termini nuovi come “pulsioni”,<br />
“complessi” e quella forza cieca che, identificata nella voluntas, si maschera<br />
a livello psicologico con la messa in scena dell’innamoramento e <strong>di</strong> tutte le<br />
forme in<strong>di</strong>viduali e collettive <strong>di</strong> corteggiamento, con la passione romantica,<br />
e con l’idealizzazione amorosa. Questi pensatori demistificano le certezze e<br />
le fe<strong>di</strong> ottocentesche in<strong>di</strong>viduando la molla potente del vivere e morire nel<br />
fermento dell’istinto <strong>di</strong> conservazione: una lotta si combatte dentro <strong>di</strong> noi<br />
– 161 –
tra eros e thanatos, così afferma Freud – o tra voluntas e noluntas, come sostiene<br />
Schopenhauer.<br />
Un grande scrittore <strong>di</strong> cultura mitteleuropea, Italo Svevo, suggestionato<br />
da queste fonti filosofiche, variamente combinate con la teoria dell’evoluzione<br />
<strong>di</strong> Darwin e con la critica nietzscheana condotta contro gli stereotipi<br />
mentali e le convenzioni sociali persistenti, reinterpreta letterariamente il<br />
tema della morte in tutti e tre i suoi romanzi, nei quali rappresenta una nuova<br />
tipologia umana, quella dell’inetto. L’inetto Alfonso Nitti sembra fare apposta<br />
a scegliere i percorsi più fallimentari nel lavoro e nella vita sociale<br />
come nell’amore, cosicché il suici<strong>di</strong>o a cui approda non è che inevitabile<br />
conclusione delle sue fughe e <strong>di</strong> quei ghirigori mentali nei quali vanifica<br />
anche ciò che <strong>di</strong> buono il caso, nuovo deus ex machina del romanzo novecentesco,<br />
sembra avergli offerto: la frequentazione <strong>di</strong> casa Maller, l’infatuazione<br />
<strong>di</strong> Annetta Maller per lui, infine la seduzione. In una delle scene memorabili<br />
del romanzo Una Vita, mentre si trovano in barca nel golfo <strong>di</strong><br />
Trieste, quando ancora le sorti del gioco sono in bilico e sembrano favorire<br />
Alfonso, Macario, cugino <strong>di</strong> Annetta e suo futuro marito, mostra al suo rivale<br />
dei gabbiani che si immergono a carpire la preda nelle acque, osservando che<br />
alcuni in<strong>di</strong>vidui della specie umana nascono come i gabbiani, forniti <strong>di</strong><br />
becchi e artigli, ed altri ne sono invece sprovvisti: Alfonso è tra questi ultimi.<br />
Facile profezia. Preda delle pulsioni <strong>di</strong> morte, l’inetto, un passo dopo<br />
l’altro, si metterà in un tunnel senza uscita.<br />
Ma dove il tema della morte si presenta nella <strong>di</strong>mensione più originale e<br />
sfaccettata è nel capitolo IV de La coscienza <strong>di</strong> Zeno. L’antieroe, protagonista<br />
e narratore omo<strong>di</strong>egetico 7 del romanzo, ricostruisce questa pagina fondamentale<br />
della sua vita già fornendone una chiave <strong>di</strong> lettura come <strong>di</strong> una<br />
vera trage<strong>di</strong>a, tale da rendere sbia<strong>di</strong>ta la precedente esperienza della morte<br />
della madre. Prendono rilievo qui non solo le capacità narrative, apprese su<br />
Flaubert, <strong>di</strong> ricostruire nelle sue fasi strazianti e per scorci potenti la malattia<br />
e l’agonia, ma tutta una serie <strong>di</strong> temi sveviani ed universali: l’ambivalenza<br />
7 Quando la voce narrante in un romanzo è quella dello stesso protagonista si definisce<br />
“omo<strong>di</strong>egetica”; è questo il punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza maggiore con il romanzo ottocentesco, in cui il<br />
narratore “esterno onnisciente” costituisce un vero e proprio personaggio, portatore <strong>di</strong> valori,<br />
fabbro e ideatore <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi, intrecci, prolessi, descrizioni, tutte all’apparenza “vere”, anzi<br />
“oggettive”, incar<strong>di</strong>nate nel principio della causalità. Nel romanzo <strong>di</strong> Svevo, come in quelli <strong>di</strong><br />
Pirandello, anch’essi a narratore omo<strong>di</strong>egetico (Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila),<br />
la destrutturazione del romanzo ottocentesco comincia dal totale soggettivismo e relativismo del<br />
racconto.<br />
– 162 –
del rapporto affettivo con il padre, rivale o<strong>di</strong>ato ed amato insieme, la <strong>di</strong>pendenza<br />
e la ribellione nei confronti dell’autorità (il me<strong>di</strong>co, ennesima figura<br />
maschile in conflitto con il protagonista), la lotta interiore, combattuta al capezzale<br />
del malato, tra la pietas filiale e l’egoistica molla dell’edonismo che<br />
ha in o<strong>di</strong>o il sacrificio: “Al letto <strong>di</strong> mio padre concepii un grande rancore”,<br />
infine il rovesciamento delle parti e dei ruoli tra chi è il più forte: tutti motivi<br />
che solo “la filosofia della crisi” poteva <strong>di</strong>schiudere alla narrativa, motivi<br />
culminanti nella scena dello schiaffo paterno che si abbatte su Zeno.<br />
“Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in pie<strong>di</strong>, alzò la mano alto alto, come<br />
se avesse saputo ch’egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo<br />
peso, e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e <strong>di</strong> là sul pavimento.<br />
Morto! Non lo sapevo morto, ma mi si contrasse il cuore dal dolore della<br />
punizione ch’egli, moribondo, aveva voluto darmi. Con l’aiuto <strong>di</strong> Carlo lo sollevai<br />
e lo riposi in letto. Piangendo, proprio come un bambino punito, gli gridai nell’orecchio:<br />
– Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che voleva obbligarti <strong>di</strong><br />
star sdraiato! – Era una bugia. Poi, ancora come un bambino, aggiunsi la promessa<br />
<strong>di</strong> non farlo più: – Ti lascerò muovere come vorrai. L’infermiere <strong>di</strong>sse: – È<br />
morto. Dovettero allontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io<br />
non potevo provargli la mia innocenza!... Poi al funerale, riuscii a ricordare mio<br />
padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi<br />
convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era<br />
stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo <strong>di</strong> mio padre si accompagnò<br />
a me, <strong>di</strong>venendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo ormai<br />
perfettamente d’accordo, io <strong>di</strong>venuto il più debole e lui il più forte”.<br />
L’inettitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tanti “uomini senza qualità” della narrativa degli anni<br />
20 prende rilievo nel confronto-scontro con la figura paterna, come accade<br />
nelle opere <strong>di</strong> Kafka, La Metamorfosi e La Condanna, in cui è invece il<br />
padre a determinare la morte del figlio, e nel romanzo <strong>di</strong> Federico Tozzi<br />
Con gli occhi chiusi. Parlare <strong>di</strong> complesso e<strong>di</strong>pico è forse riduttivo ma non<br />
improprio, specie per Zeno che così ironizza nel Capitolo VIII intitolato<br />
Psicoanalisi: “Scriverò intanto sinceramente la storia della mia cura. Ogni<br />
sincerità fra me e il dottore era sparita ed ora respiro. Non m’è più imposto<br />
alcuno sforzo. Non debbo costringermi ad una fede né ho da simulare <strong>di</strong><br />
averla. Proprio per celare meglio il mio vero pensiero, credevo <strong>di</strong> dover <strong>di</strong>mostrargli<br />
un ossequio supino e lui ne approfittava per inventarne ogni<br />
giorno <strong>di</strong> nuove. La mia cura doveva essere finita perché la mia malattia era<br />
stata scoperta. Non era altra che quella <strong>di</strong>agnosticata a suo tempo dal defunto<br />
Sofocle sul povero E<strong>di</strong>po: avevo amato mia madre e avrei voluto ammazzare<br />
mio padre.<br />
– 163 –
Né io mi arrabbiai! Incantato stetti a sentire. Era una malattia che mi<br />
elevava alla più alta nobiltà. Cospicua quella malattia <strong>di</strong> cui gli antenati<br />
arrivavano all’epoca mitologica! E non mi arrabbio neppure adesso che<br />
sono qui solo con la penna in mano. Ne rido <strong>di</strong> cuore.”<br />
La descrizione della morte del padre è per Svevo solo un mezzo <strong>di</strong> indagine<br />
per risalire alla propria malattia, riannodando le fila del suo itinerario<br />
tortuoso nel labirinto della “coscienza”: vengono così alla luce le false<br />
costruzioni, gli alibi, le bugie, l’assenza <strong>di</strong> principi e <strong>di</strong> “carattere” che<br />
fanno <strong>di</strong> Zeno, uno “straniero” (Xenos in greco vuol <strong>di</strong>re straniero), un<br />
uomo-onda, che non si può più definire né buono né cattivo, né bello né<br />
brutto ma solo “originale”, proprio come la vita.<br />
Oggi il prolungamento della vita me<strong>di</strong>a in Occidente, favorito dalla me<strong>di</strong>cina<br />
preventiva e dalla sanità pubblica, dalle misure igienico-sanitarie, dal<br />
benessere e dai progressi straor<strong>di</strong>nari della ricerca scientifica, dà all’uomo<br />
l’illusione della propria eternità: si pensa inconsciamente che la morte toccherà<br />
a qualcun altro, e che la propria eventuale malattia sarà curabile, e<br />
d’altronde persone più che adulte spesso non hanno mai materialmente assistito<br />
alla morte <strong>di</strong> qualcuno, o sono state sfiorate dal lutto altrui solo episo<strong>di</strong>camente;<br />
questo ha mo<strong>di</strong>ficato profondamente le strutture psicologiche e<br />
mentali, e ha rimosso nell’immaginario collettivo la realtà della fine. Leggendo<br />
il romanzo <strong>di</strong> Yeoshua, Viaggio alla fine del millennio, ambientato nel<br />
primo millennio dopo Cristo, allorché ci si imbatte in un ricco mercante<br />
ebreo <strong>di</strong> origine africana che, trentacinquenne, pensa già a far testamento e<br />
calcola in termini <strong>di</strong> pochi anni le proprie possibilità <strong>di</strong> sopravvivenza, pur<br />
essendo nel pieno vigore fisico e mentale <strong>di</strong> padre e <strong>di</strong> marito, si rimane<br />
quasi traumatizzati, tanto siamo abituati a considerare in modo retroattivo<br />
il privilegio della nostra generazione <strong>di</strong> poter giungere ottuagenari, se non<br />
centenari all’appuntamento con la morte. E <strong>di</strong> questa si ha pudore: persino<br />
la chiesa, come sempre prontissima a cogliere le trasformazioni in atto, per<br />
rendere meno traumatico l’impatto con l’Estrema Unzione, la fa impartire<br />
collettivamente, in cerimonie serene, ad anziani in buone con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />
salute, e che siano ovviamente consenzienti.<br />
Ma, come hanno <strong>di</strong>mostrato sia Ariès in Storia della morte in Occidente,<br />
sia Norbert Elias in La solitu<strong>di</strong>ne del morente, questo sentire collettivo ha dei<br />
costi: intanto oggi è rarissimo che si muoia nel proprio letto e nella propria<br />
casa, assistiti dai propri cari: tutti hanno fretta, nessuno, neanche i me<strong>di</strong>ci<br />
<strong>di</strong> famiglia, è <strong>di</strong>sponibile al prezzo da pagare in pazienza, de<strong>di</strong>zione, costi<br />
– 164 –
materiali <strong>di</strong> un’assistenza domiciliare. Così il morente <strong>di</strong>venta numero nell’ospedale,<br />
dove il personale me<strong>di</strong>co ed infermieristico, per quanto umano e<br />
gentile, rappresenta il potere: e si impadronisce <strong>di</strong> lui fino all’accanimento<br />
terapeutico. Non è un caso che si <strong>di</strong>scuta proprio oggi <strong>di</strong> eutanasia, e che ai<br />
parenti si presenti a volte lo spettacolo <strong>di</strong> un povero corpo intubato, con<br />
flebo nelle vene, macchine <strong>di</strong> <strong>di</strong>alisi ecc, mentre il coma che può durare<br />
anni, pone seri problemi morali, scientifici e <strong>di</strong> costi sociali. Quando avviene<br />
il decesso oggi si è veramente soli.<br />
E la <strong>di</strong>sperazione dei congiunti non trova più intorno a sé la rete <strong>di</strong> protezione<br />
<strong>di</strong> una solidarietà collettiva, come era fino a qualche decennio fa:<br />
cosicché il dolore e l’angoscia in<strong>di</strong>viduale del superstite si devono rivolgere<br />
ad altre forme <strong>di</strong> sostegno: i farmaci antidepressivi e le sedute <strong>di</strong> terapia<br />
psicologica.<br />
Tutto questo si accompagna ad altre esperienze ancora più impensabili<br />
fino a tre decenni fa: la donazione degli organi. Spesso i congiunti, che decidono<br />
in tal senso, motivano la propria scelta non solo per una generosità altruistica<br />
verso sconosciuti sofferenti, ma anche per una ragione più egoistica:<br />
quella <strong>di</strong> voler pensare che non tutto del proprio caro è scomparso dalla<br />
faccia della terra.<br />
Queste ultime annotazioni aprono forse una riflessione, senza tuttavia<br />
<strong>di</strong>menticare che, mentre noi occidentali ve<strong>di</strong>amo per fortuna allontanarsi lo<br />
spettro della morte, ci sono popolazioni che si trascinano nella polvere alla<br />
ricerca <strong>di</strong> cibo e <strong>di</strong> acqua, morendo a milioni nella denutrizione e nella<br />
mancanza <strong>di</strong> igiene, in età assolutamente immatura.<br />
– 165 –
ADRIANA DE NICHILO<br />
Tipologia B: la prima prova dell’esame <strong>di</strong> stato<br />
La pluriennale e tenace contestazione del “classico” tema ha fatto infine<br />
breccia, se è vero che la stragrande maggioranza degli studenti ha optato per<br />
la “tipologia B” nell’Esame <strong>di</strong> Stato dell’anno scolastico <strong>2004</strong>/2005. C’è<br />
tuttavia da chiedersi quanto <strong>di</strong> questo successo debba essere attribuito<br />
all’impraticabilità della tipologia A (analisi del testo), D (tema <strong>di</strong> carattere<br />
generale) e sostanzialmente anche C (tema <strong>di</strong> carattere storico) che, ad ogni<br />
modo, è sempre stato approdo <strong>di</strong> una scelta piuttosto minoritaria.<br />
La vittoria del saggio breve o dell’articolo <strong>di</strong> giornale ha, tuttavia,<br />
l’amaro sapore “<strong>di</strong> sale” del pane altrui, del cibo dell’esilio, della misericor<strong>di</strong>a<br />
estorta. Non solo per le più che giustificate proteste degli istituti<br />
tecnici e professionali, 1 ma, più in generale, per il depauperamento culturale<br />
che certe scelte denotano. Alberto Asor Rosa (Dire la verità è rischioso oggi<br />
come sette secoli fa in “La Repubblica”, 23 giugno 2005) osanna i “pochi<br />
giovani bennati” che hanno scelto Dante, pur lamentando l’“amplissimo e<br />
debordante apparato <strong>di</strong>dascalico-interpretativo, dal quale, more solito scolastico,<br />
il testo è accompagnato”. Indubbiamente era in<strong>di</strong>spensabile per lo sviluppo<br />
dell’analisi del testo proposta nell’anno scolastico appena trascorso la<br />
conoscenza <strong>di</strong> Dante, del Para<strong>di</strong>so, e preferibilmente del Canto XVII, ma si<br />
chiedeva inoltre qualcosa <strong>di</strong> più negli “Approfon<strong>di</strong>menti” che invitavano a<br />
“richiamare anche altri casi a te noti, <strong>di</strong> scrittori o artisti o pensatori o altri<br />
ancora, che secondo te hanno fatto, con piena consapevolezza questo dono<br />
1 GIULIO BENEDETTI, Viaggio e tsunami: i temi preferiti. Dante non piace, in “Corriere<br />
della Sera”, 21 giugno 2005: “La scelta Ministeriale <strong>di</strong> Dante per l’analisi del testo ha fatto crollare<br />
del 12 per cento dello scorso anno al 6 le scelte dei ragazzi per questa tipologia. I docenti <strong>di</strong><br />
alcuni professionali hanno accusato gli esperti della Moratti <strong>di</strong> aver confezionato una traccia ad<br />
uso esclusivo dei licei. Dal “Pessina” <strong>di</strong> Casatenovo (Lecco) è partita la protesta dei professori<br />
<strong>di</strong> lettere Fabio Luini, Daniele Zangheri e Francesco Raspa. “Come dovrebbe essere noto<br />
– spiegano – Dante non rientra nei programmi degli istituti professionali e anche negli istituti<br />
tecnici esso viene affrontato in terza”. “Siamo <strong>di</strong> fronte, quin<strong>di</strong>, a due possibilità – aggiungono i<br />
prof. –: incompetenza (al Ministero non sanno questa cosa, che <strong>di</strong> fatto esclude da una delle<br />
prove più dei due terzi dei can<strong>di</strong>dati) o deliberata provocazione (lasciate la letteratura ai licei).<br />
In entrambi i casi, la frustrazione <strong>di</strong> chi ha lavorato per due anni con i propri studenti e vede<br />
vanificato il proprio lavoro (anche futuro?) è davvero fortissima”.<br />
– 166 –
[scilicet “svelare il male del mondo, perfino correndo dei rischi personali”]<br />
agli altri uomini.<br />
Accantonando le tipologie A, C e D, meno gra<strong>di</strong>te ai can<strong>di</strong>dati, ed<br />
addentrandoci nelle proposte della tipologia B, si constata una sovrabbondanza<br />
dei materiali forniti, per giunta in alcuni casi piuttosto ardui, 2 <strong>di</strong><br />
modo che la domanda più ricorrente degli esaminan<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte ad essi è<br />
stata: “Ma dobbiamo usarli tutti?”.<br />
Per l’ambito artistico-letterario, sul quale vorrei soffermarmi in particolare,<br />
si spaziava da Omero a Martin Luther King (peraltro “intruso” tra tanti<br />
letterati e, <strong>di</strong> conseguenza, fuorviante); <strong>di</strong> fronte ai brani prescelti ci si<br />
chiede se sei ore possano essere sufficienti per un elaborato decoroso, data<br />
la varietà e complessità degli “stimoli”. I materiali per il tema sul viaggio<br />
(che, tuttavia, era in modo incongruo inserito nell’ambito “socio-economico”<br />
quando la sua etichetta <strong>di</strong> “metafora della vita” spingeva indubbiamente<br />
verso una <strong>di</strong>mensione intimistica) si presentano certamente più omogenei<br />
e maneggevoli. Questa, forse, la ragione profonda <strong>di</strong> una scelta,<br />
mentre l’opzione per le catastrofi naturali si può giustificare con le aspettative<br />
e le conoscenze dei can<strong>di</strong>dati rispetto ad una traccia ampiamente<br />
annunciata.<br />
Per trarre qualche prima conclusione, si può ritenere che l’insi<strong>di</strong>a incombente<br />
(fatta eccezione per le tracce scartate o scelte solo marginalmente) sia<br />
quella della banalità. 3 La traccia sulla libertà era poderosa, ma per essere<br />
svolta adeguatamente richiedeva una preparazione non comune. Perché, poi,<br />
non inserire qualche spunto letterario <strong>di</strong> intonazione “liberticida” per stimolare<br />
negli alunni la capacità argomentativa che è la vera anima della modalità<br />
del saggio breve 4 e dell’articolo <strong>di</strong> giornale?<br />
2 Per il primo ambito nove spunti, per il secondo otto, per il terzo, più equilibratamente,<br />
quattro, per il quarto sette, tutti piuttosto estesi. Arduo, certamente, il brano tratto dal Frammento<br />
sulla natura <strong>di</strong> J.W. Goethe.<br />
3 GASPARE BARBIELLINI AMIDEI, Idee prudenti poche emozioni in “Corriere della Sera”, 23<br />
giugno 2005: “Con molta evidenza gli ideatori delle tracce non volevano grane. Con altrettanta<br />
evidenza i can<strong>di</strong>dati non coltivano spirito <strong>di</strong> avventura, neppure filologica [...]. Un esame che<br />
promuove oltre il 90% può ben dare un buon voto a queste prudenti idee”.<br />
4 AURELIA DE MARTIN PINTER, Il saggio breve. Ipotesi <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong>dattico nel<br />
triennio della scuola superiore, in Letteratura a scuola, vol. II Letteratura e scrittura, Franco<br />
Angeli, Milano 2002 pp. 118-134 “Indubbiamente il saggio breve è un testo <strong>di</strong> tipo argomentativo<br />
(lo studente deve affrontare la tematica scelta da un certo punto <strong>di</strong> vista che deve sostenere<br />
me<strong>di</strong>ante prove adeguate), come del resto le altre forme testuali proposte in sede d’esame”<br />
(p. 119).<br />
– 167 –
La libertà <strong>di</strong> cui si fa <strong>di</strong>fensore Ettore è ben <strong>di</strong>versa dalla libertà <strong>di</strong><br />
Catone e <strong>di</strong> Dante; la machiavelliana ban<strong>di</strong>era della libertà che attende un<br />
principe che la prenda è un’ulteriore variante della medesima aspirazione; la<br />
libertà che Manzoni agogna è <strong>di</strong> fatto una meta <strong>di</strong> popoli e nazioni, in tempi<br />
ben <strong>di</strong>versi.<br />
“Libertà voleva <strong>di</strong>re che doveva essercene per tutti” fa <strong>di</strong>re alla folla<br />
Verga, mentre per Quasimodo la libertà torna ad essere riscatto dal “piede<br />
straniero sopra il cuore”. Per Martin Luther King la libertà non può che<br />
essere l’emancipazione degli afro-americani e per Delacroix...<br />
Come avrebbe potuto ottemperare lo studente, per così <strong>di</strong>re, “me<strong>di</strong>o”<br />
a tale richiesta? Avrebbe potuto tentare il collage <strong>di</strong> citazioni più o meno<br />
arguto e arricchito <strong>di</strong> qualche ulteriore tassello del variegato puzzle oppure<br />
lanciarsi nel panegirico della libertà... o sarebbe più corretto <strong>di</strong>re nel suo<br />
elogio funebre?<br />
Il timore è che la vittoria della tipologia B sia <strong>di</strong> fatto un ripiego, piuttosto<br />
dozzinale e a buon mercato, che, se certamente non fa rimpiangere<br />
l’ottocentesco tema, invita a maggiore rigore nelle scelte e nelle proposte<br />
che debbono tornare ad essere più prossime a ciò che nelle scuole (in ogni<br />
or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> scuola) ed in particolare nell’ultimo anno <strong>di</strong> corso concretamente<br />
si fa e si riesce a fare. La frustrazione dei docenti dei tecnici e dei professionali<br />
è anche la frustrazione dei docenti dei licei che si affannano a spiegare<br />
il Novecento, ma forse privilegiando altri aspetti. Oppure che si affannano a<br />
spiegare Dante, ma forse optando per altri canti o cantiche, visto che non<br />
esiste un canone all’interno del quale operare delle scelte. 5<br />
Credo che provino un senso <strong>di</strong> frustrazione anche i docenti <strong>di</strong> storia e<br />
<strong>di</strong> materie scientifiche, vista la complessità del saggio breve/articolo <strong>di</strong><br />
giornale del terzo ambito o nella forma della tipologia C e D. Il saggio sulle<br />
5 PAOLA FERTITTA, Il canone scolastico “reale”. I classici e le sorprese della <strong>di</strong>dattica, in<br />
“Chichibìo” numero 12/13 - anno III, marzo-giugno 2001: “[...] l’esistenza <strong>di</strong> un canone reale<br />
scolastico, non perfettamente coincidente con i programmi ministeriali <strong>di</strong>mostra che nella<br />
scuola il sapere non viene imposto dall’alto in modo autoritario, ma che ciò che trasforma una<br />
scelta autonoma <strong>di</strong> opere e <strong>di</strong> autori in un canone definito è il concetto stesso <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione,<br />
<strong>di</strong> intesa <strong>di</strong> valori, <strong>di</strong> comunicabilità; l’autonomia scolastica non può e non deve, né a breve né<br />
a lunga <strong>di</strong>stanza, implicare la caduta <strong>di</strong> una certa omogeneità della cultura, non può creare citta<strong>di</strong>ni<br />
che abbiano magari acquistato competenze spen<strong>di</strong>bili nel mondo del lavoro e del mercato,<br />
ma che nella vita quoti<strong>di</strong>ana e nel momento delle scelte politiche e sociali non riescano a con<strong>di</strong>videre<br />
valori o problemi, non riescano a percepire la voce del proprio vicino”. Cfr. anche<br />
MAURIZIO REBAUDENGO, Quale canone per il terzo millennio. Una recensione tra critica e<br />
scuola, in “Chichibìo”, numero 16/17 anno IV, gennaio-aprile 2002.<br />
– 168 –
catastrofi naturali potrebbe aver risollevato l’umore degli insegnanti <strong>di</strong><br />
materie scientifiche i quali, peraltro, continuano (e giustamente) ad insegnare<br />
scienza e non metafisica.<br />
Senza parlare della delusione <strong>di</strong> tanti studenti che, pur addestrati e<br />
spesso abili nelle nuove tipologie <strong>di</strong> scrittura, vorrebbero forse dare anche<br />
prova delle loro conoscenze profonde, acquisite con sacrificio ed ore <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>o sui famigerati libri <strong>di</strong> testo e sui programmi i cui contorni <strong>di</strong>vengono<br />
sempre più sfumati.<br />
In altri termini si rischia nuovamente una sclerosi, su percorsi nuovi e<br />
già vecchi perché stravolti nelle loro ragioni ed anche perché sono state<br />
immotivatamente escluse le altre ipotesi <strong>di</strong> scrittura (lettera, 6 intervista, relazione)<br />
che, pur previste dalla legge <strong>di</strong> riforma, non sono mai state proposte.<br />
Lo storico sorpasso del saggio breve e dell’articolo <strong>di</strong> giornale, in ogni<br />
modo, è pur sempre una vittoria, perché la riforma ha portato una folata<br />
d’aria fresca nell’incancrenita pratica scolastica, ma si paventa che lo scossone<br />
<strong>di</strong>venti uno tsunami che travolga fatica, lavoro, serietà, qualità e conoscenze.<br />
Un saggio (anche se breve) e un buon pezzo sono frutto <strong>di</strong> un serio<br />
lavoro <strong>di</strong> ricerca e documentazione come ogni stu<strong>di</strong>oso o giornalista sa. 7<br />
La variante scolastica edulcorata rischia <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire una rie<strong>di</strong>zione, anche se<br />
più stimolante ed ingegnosa, dell’esercizio del bello scrivere fine a se stesso<br />
e grondante retorica (in senso deteriore). Per arginare questa prospettiva <strong>di</strong><br />
manierismo post-moderno è forse necessario tornare ad ancorare le proposte<br />
<strong>di</strong> elaborati ed i relativi testi o dossier a tematiche inerenti un canone, mai<br />
definito dopo le ultime riforme della scuola, <strong>di</strong> autori ed opere o <strong>di</strong> argomenti<br />
dai quali attingere per le tracce d’esame, come sbocco <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong><br />
un anno (o più) ed effettivamente svolto. Il saggio finale dovrebbe essere<br />
l’esito <strong>di</strong> un percorso; eventualmente anche <strong>di</strong> uno o più itinerari <strong>di</strong> ricerca,<br />
6 ADRIANA DE NICHILO, Una risorsa versatile per la <strong>di</strong>dattica: la lettera, in Letteratura a<br />
scuola, Vol. II Letteratura e scrittura,cit. pp. 135-145: “La lettera, soprattutto informale, ha a<br />
mio avviso anche un altro pregio: consente <strong>di</strong> valutare la gradualità dei processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />
ed i progressi qualitativi nel passaggio dal biennio al triennio, nel segno della continuità.<br />
Inoltre essa si presta ottimamente ad un lavoro inter<strong>di</strong>sciplinare (italiano - lingue straniere -<br />
latino - storia ecc.) e <strong>di</strong> sollecitazione culturale, vista la vastissima e secolare produzione epistolografia<br />
in tutte le lingue ed in tutte le letterature” p. 136.<br />
7 AURELIA DE MARTIN PINTER, op.cit: “Il percorso proposto presuppone naturalmente un<br />
piano <strong>di</strong> lavoro specifico, articolato nel corso del triennio, a cura del docente, da inserirsi nella<br />
programmazione curricolare” p. 121.<br />
– 169 –
lanciati all’inizio dell’anno scolastico e sui quali si siano concentrati gli<br />
sforzi, preferibilmente congiunti in un’ottica inter<strong>di</strong>sciplinare, <strong>di</strong> più<br />
docenti e l’impegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e documentazione degli alunni. In questo caso<br />
ci sarebbe, senza dubbio, il rischio <strong>di</strong> “preconfezionamento” dei compiti,<br />
ma con tante fughe <strong>di</strong> notizie tale dubbio non può che insinuarsi in ogni<br />
caso.<br />
La riflessione può facilmente estendersi alla tipologia A che talora<br />
concerne autori non affrontati, non approfon<strong>di</strong>ti, perché il lavoro <strong>di</strong> docenti<br />
e studenti è privo <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> riferimento o <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni chiare (che,<br />
comunque, quando presenti, sono spesso <strong>di</strong>sattese dalle stesse istituzioni<br />
proponenti).<br />
L’auspicato canone, pur non dovendo essere in nessun modo tassativo e<br />
coercitivo, ma scaturire dalla prassi “reale”, generalizzata ed eletta a norma<br />
orientativa sia per gli esperti ministeriali che elaborano le tracce d’esame,<br />
sia per i docenti, in<strong>di</strong>rizzerebbe e salvaguarderebbe il lavoro svolto.<br />
Lo stanco ripetersi del nuovo è l’insi<strong>di</strong>a che si affaccia e che minaccia<br />
le buone intenzioni <strong>di</strong> riformatori, <strong>di</strong> docenti aperti all’innovazione, <strong>di</strong><br />
studenti avi<strong>di</strong> <strong>di</strong> conoscenza e non inclini a sterili funambolismi.<br />
– 170 –
LICIA FIERRO<br />
Noterelle a margine<br />
PER UNA PUBBLICA DIFESA DELLE RAGIONI INTIME<br />
Il campo dell’esteriorità si lascia determinare. Si <strong>di</strong>ce l’oggetto esterno<br />
a me e lo si colloca nello spazio, si vedono le persone, i luoghi, le cose e si<br />
definiscono come mondo esterno, realtà esterna. Sul piano squisitamente<br />
filosofico tanto il neoplatonismo quanto il cristianesimo hanno portato a<br />
definire questi ambiti in modo netto: la sfera dell’esteriorità è quella del<br />
mondo cui appartengono le cose e gli esseri naturali, quella dell’interiorità<br />
non può che identificarsi con la coscienza, quel mondo chiuso ed unico che<br />
riguarda ogni essere per sé solo, nella profon<strong>di</strong>tà insondabile della sua<br />
essenza. In questa prospettiva l’esistenza interiore si configura come in<strong>di</strong>viduale,<br />
irripetibile. E tale riconoscimento implica il rischio effettivo <strong>di</strong> chiusura,<br />
<strong>di</strong> ripiegamento, <strong>di</strong> concentrazione eccessiva su sé stessi. Chi <strong>di</strong> noi<br />
non ha provato anche una sola volta la tentazione <strong>di</strong> considerare inattingibile<br />
agli altri il proprio mondo interiore? Quello che è intimo <strong>di</strong> solito è<br />
solo “mio”, forse può leggerlo ed in piccola parte chi riesce a rubarne la<br />
chiave, uno <strong>di</strong> cui posso fidarmi, chi stimo degno <strong>di</strong> una figura gran<strong>di</strong>ssima.<br />
Si <strong>di</strong>ce che questo accada nell’amicizia e nell’amore. Rousseau nelle<br />
Confessioni descrive l’impossibilità <strong>di</strong> raggiungere “gli esseri reali”, la sua<br />
necessità <strong>di</strong> nutrirsi <strong>di</strong> un mondo ideale che l’immaginazione popola in<br />
breve <strong>di</strong> esseri fatti ad immagine del suo cuore. L’amico o l’amante, ne<br />
sono convinta, altro non sono che la personificazione <strong>di</strong> quell’immagine<br />
ideale <strong>di</strong> cui così bene parla il filosofo e questo ci permette <strong>di</strong> trovare le<br />
affinità elettive, <strong>di</strong> comunicare, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre ciò che è intimo. Ci sono<br />
gesti, sguar<strong>di</strong>, tanto eloquenti da sfidare e vincere le più ambiziose trattazioni<br />
teoriche o l’impotenza manifesta della parola. I desideri mascherati,<br />
le angosce non esibite, le allusioni appena accennate: tutte vie <strong>di</strong> comunicazione<br />
dell’interiorità che non seguono le strade rettilinee, e ariose dei messaggi<br />
<strong>di</strong>retti. Vi è mai capitato <strong>di</strong> trovarvi in una situazione veramente imbarazzante?<br />
E qual è secondo voi una situazione <strong>di</strong> tal fatta? Un giorno ero<br />
in attesa del mio turno in un posto qualunque, c’era folla, ognuno parlava<br />
del più e del meno. La <strong>di</strong>mensione era quella nota del “ci conosciamo tutti<br />
– 171 –
e nessuno si conosce veramente”, quella del si <strong>di</strong>ce, dei luoghi comuni, insomma<br />
il nostro mondo esterno giornaliero fatto <strong>di</strong> chiacchiera, <strong>di</strong> equivoco,<br />
<strong>di</strong> curiosità (quell’esistenza banale che nessuno meglio <strong>di</strong> Heidegger<br />
ha sondato nelle sue caratteristiche estreme e tragicamente insignificanti).<br />
Ad un certo punto ho visto quei due che prima piano, poi sempre più ad<br />
alta voce si raccontavano esperienze <strong>di</strong> reciproco tra<strong>di</strong>mento, quasi che<br />
ognuno chiedesse conferma e appoggio pubblico alle sue “buone e sacrosante<br />
ragioni”. Poche <strong>di</strong> quelle persone presenti provavano <strong>di</strong>sagio. I più si<br />
esaltavano <strong>di</strong> una curiosità insana, veramente perversa perché <strong>di</strong>ssolvitrice<br />
<strong>di</strong> quel pudore sostanziale <strong>di</strong> cui dovrebbe ammantarsi il privato. Tutti, in<br />
realtà, abbiamo un po’ perduto il senso autentico dell’intimità. Ci sono programmi<br />
televisivi in cui il controllo delle azioni umane (spontanee o costruite)<br />
è senza limite dal risveglio alla notte successiva; ci sono ragazzi<br />
che non trovano il tempo <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> sé ai genitori o agli amici non perché<br />
immersi nello stu<strong>di</strong>o, ma perché <strong>di</strong>spersi in giochi stupi<strong>di</strong> ed occupazioni<br />
inutili. Il mondo interiore è minacciato, asse<strong>di</strong>ato. E se qualcuno prova a<br />
<strong>di</strong>fenderlo rischia nel migliore dei casi <strong>di</strong> apparire uno snob o un superbo.<br />
Trovo più affascinante dei percorsi <strong>di</strong> Internet il viaggio alla scoperta dell’altro.<br />
Mi intriga ascoltare ed essere ascoltata; qualche volta è bellissimo<br />
scrivere perché un rapporto si consoli<strong>di</strong>, in modo che l’introspezione <strong>di</strong>a<br />
frutto, si trasformi in scambio <strong>di</strong> intimità. In una lettera (non è qui il luogo<br />
<strong>di</strong> fare <strong>di</strong>scorsi sull’autenticità dell’Epistolario tra Seneca e S. Paolo) Seneca<br />
scrive a Paolo <strong>di</strong> Tarso: “dato che tu sei la cima e il vertice <strong>di</strong> tutte le<br />
montagne più alte, come dunque non vuoi che io gioisca se sono così<br />
vicino a te da essere considerato un altro te stesso?”. Quando si è raggiunta<br />
una tale affinità, la confidenza torni nel segreto e sfugga trionfante ad ogni<br />
esibizione!<br />
CON QUALI OCCHI GUARDO...<br />
Non è una questione da poco «con quali occhi guardo...» anche se<br />
qualcuno fin da subito potrebbe interrompere la riflessione affermando che<br />
tutti gli uomini sani possiedono gli occhi e con essi guardano il mondo. E<br />
che cosa vedono? Le cose come appaiono, i fenomeni. L’aggettivo greco<br />
phainòmenon già si presta ad essere interpretato almeno in due sensi: ciò<br />
che appare in quanto ne abbiamo una rappresentazione attraverso i sensi,<br />
oppure ciò che appare rispetto ad una realtà “vera” che rimane sottesa, na-<br />
– 172 –
scosta. Nel primo caso la nostra visione del mondo è quella che ci fornisce<br />
l’occhio fisico, nel secondo caso «la verità abita nel profondo» come<br />
<strong>di</strong>ceva Democrito, e può coglierla solo l’occhio della mente. Quello che<br />
vedo fisicamente non corrisponde dunque a ciò che è nella sua essenza.<br />
L’interrogativo <strong>di</strong> partenza impone dunque una serie <strong>di</strong> problemi complessi<br />
se è vero che i filosofi continuano a percorrere la strada del materialismo o<br />
dell’idealismo e risultano <strong>di</strong>visi proprio come gli uomini comuni, come<br />
tutti noi quando si deve attribuire un valore a ciò che si vede, o meglio<br />
bisogna scegliere con quali occhi guardare se stessi, gli altri, il mondo in<br />
cui siamo. Al mattino davanti alla mia scuola c’è una folla <strong>di</strong> giovani e<br />
sembrano tutti dello stesso colore: non <strong>di</strong>co solo della pelle ma anche dei<br />
vestiti. Poi in classe li <strong>di</strong>stingui finalmente e ti accorgi che pure con gli<br />
stessi jeans strappati, ognuno ha il suo modo <strong>di</strong> portarli, <strong>di</strong> starci dentro.<br />
Gli adulti (io stessa qualche volta) storcono gli occhi e <strong>di</strong>cono parole velenose<br />
per deprecare l’orecchino o il piercing e gridano all’omologazione.<br />
Davanti a una Chiesa o al Municipio il giorno <strong>di</strong> un matrimonio è <strong>di</strong>fficile<br />
non capire quali siano gli invitati: sono tutti ugualmente vestiti, portano<br />
con <strong>di</strong>sinvoltura gli stessi abiti firmati o ben copiati, ostentano con orgoglio<br />
l’ultimo modello <strong>di</strong> Louis Vuitton. Nessuno si sconvolge, nessuno<br />
grida allo scandalo. Di certo anche tra quegli adulti, come tra i miei ragazzi,<br />
ci sono persone intelligenti che, consapevoli o inconsapevoli, giocano<br />
nel teatro delle apparenze. Nei salotti della buona borghesia ancora<br />
si sente <strong>di</strong>re «bisogna salvare le apparenze». Dunque i più sanno che è necessario<br />
squarciare il velo per cogliere il nocciolo della realtà. Il fenomeno,<br />
<strong>di</strong>ceva Schopenhauer, è proprio un’illusione, il velo <strong>di</strong> Maya, appunto, dovuto<br />
alla rappresentazione spazio-temporale e alla connessione causale;<br />
queste tre categorie producono un’obiettività fittizia, costituita <strong>di</strong> fatto<br />
dalla proiezione esterna <strong>di</strong> sensazioni e immagini soggettive. Ma c’è un<br />
contenuto intuito solo dal pensiero “noùmenon” che sia accessibile ai<br />
nostri strumenti cognitivi? Kant, il grande filosofo <strong>di</strong> Königsberg, lo nega,<br />
pur riconoscendo <strong>di</strong> questo concetto limite la valenza regolativa del sapere:<br />
esso segna i limiti entro i quali possiamo esser certi della nostra conoscenza.<br />
Il “noùmenon” viene paragonato ad un faro, che, in<strong>di</strong>cando ai naviganti<br />
la propria posizione del tutto inaccessibile, in<strong>di</strong>rettamente li guida<br />
per le uniche rotte possibili. Siamo dunque condannati a conoscere solo ciò<br />
che appare, ciò che si manifesta anche se ci ren<strong>di</strong>amo conto della carica<br />
ingannatrice dell’apparenza? In realtà l’uomo è un essere straor<strong>di</strong>nario,<br />
pensiamo ai poeti, agli artisti, ai mistici. In questa sfera creativa è possibile<br />
– 173 –
la visione non come contemplazione fine a se stessa, ma come apertura,<br />
superamento dell’apparenza, ingresso nella profon<strong>di</strong>tà che si traduce in<br />
nuove forme <strong>di</strong> azione e <strong>di</strong> comunicazione. In un mondo in cui prevale la<br />
tecnica, in cui il corpo si espande oltre misura, c’è bisogno, come <strong>di</strong>ce<br />
Bergson, <strong>di</strong> un “supplemento <strong>di</strong> anima”, la meccanica esigerebbe una<br />
mistica. Il filosofo si pronunciava in questo senso mentre l’Europa combatteva<br />
il cancro del nazismo, già vittorioso in paesi come la Francia e in altre<br />
nazioni. Egli auspicava l’intervento salvifico <strong>di</strong> un genio mistico animato<br />
da un amore profondo ed eccezionale per il genere umano. Personalità<br />
<strong>di</strong> questo tipo sono comparse nell’antica Grecia e nell’In<strong>di</strong>a, anche se in<br />
quest’ultimo paese il bud<strong>di</strong>smo si è risolto in un misticismo contemplativo<br />
non votato all’azione. I mistici cristiani come San Paolo, San Francesco,<br />
Santa Caterina, Santa Teresa, hanno coltivato l’estasi, non come un punto<br />
<strong>di</strong> arrivo ma come punto <strong>di</strong> partenza dell’azione trasformatrice del mondo.<br />
La particolare esperienza dei mistici rappresenta un modo unico <strong>di</strong> “vedere<br />
Dio” e <strong>di</strong> amarlo <strong>di</strong> quell’amore assoluto che trasfuso negli uomini si renda<br />
tangibile al punto <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare le loro relazioni. Non è una <strong>di</strong>mensione<br />
irrazionale, non è la visione dell’assurdo: è una prospettiva. È trascorso ancora<br />
altro tempo, siamo stati capaci <strong>di</strong> ulteriori manipolazioni della natura,<br />
abbiamo costruito macchine infernali, sappiamo lanciare missili a <strong>di</strong>stanze<br />
supersoniche,eppure mai come oggi siamo solo apparentemente felici.<br />
IL DOVERE DELLA SPERANZA<br />
Nella Retorica Aristotele afferma che “la paura è un’agitazione prodotta<br />
dalla prospettiva <strong>di</strong> un male futuro che sia capace <strong>di</strong> generare morte o<br />
dolore”. In realtà gli uomini poco si preoccupano <strong>di</strong> ciò che appare loro<br />
come lontano, specie se nel frattempo fanno esperienza della loro forza e<br />
della loro potenza acquistando ricchezza, rincorrendo il potere, ottenendo il<br />
successo. Da questi due sentimenti uniti,cioè da quello della nostra forza e<br />
da quello della nostra miseria derivano tutte le passioni perché, come affermano<br />
molti stu<strong>di</strong>osi, se insistiamo sulla piccolezza e la miseria rischiamo<br />
<strong>di</strong> uscire da noi stessi, se abbiamo consapevolezza e cre<strong>di</strong>amo nelle nostre<br />
risorse ci apriamo a quella fiduciosa attesa dell’avvenire che si chiama<br />
speranza. Nel 1959 E. Bloch pubblicò un libro dal titolo emblematico “Il<br />
principio speranza”. Qui la speranza <strong>di</strong>venta il principio dell’azione, un<br />
pensiero che si pone come “OLTREPASSAMENTO” del presente proprio<br />
– 174 –
in quanto sa costruire un’alternativa ad esso o sa svilupparne le potenzialità<br />
recon<strong>di</strong>te. Si tratta <strong>di</strong> smascherare le false lusinghe, gli inganni della storia,<br />
tutte le false speranze consolatorie dell’al <strong>di</strong> qua o proiettate nella stratosfera<br />
dell’al <strong>di</strong> là.<br />
Trovo molto interessante questa prospettiva laica che pone l’accento<br />
sulla responsabilità dell’uomo a costruire la speranza intesa come mondo<br />
<strong>di</strong> giustizia, <strong>di</strong> progresso, <strong>di</strong> superamento delle <strong>di</strong>suguaglianze. E mi pare<br />
più che mai attuale il dover insistere sulla “TENSIONE VERSO IL COM-<br />
PIMENTO”, giacché da più parti del mondo si manifestano i segni <strong>di</strong> una<br />
società <strong>di</strong>sperata. La <strong>di</strong>sperazione, per <strong>di</strong>rla con Kierkegaard, è la malattia<br />
mortale, essa nasce nell’uomo dall’impossibilità riferita a sé stesso; essa è<br />
un continuo morire senza mai morire, è un continuo vivere la morte dell’io.<br />
“QUANDO UNO SVIENE SI MANDA PER ACQUA, ACQUA DI<br />
COLONIA, GOCCE DI HOFFMANN; MA QUANDO QUALCUNO<br />
VUOL DISPERARSI BISOGNA DIRE: TROVATE UNA POSSIBILITÀ,<br />
TROVATEGLI UNA POSSIBILITÀ”. Che cosa offriamo ai poveri del<br />
terzo e quarto mondo, che cosa rispon<strong>di</strong>amo ai protagonisti della nuova<br />
<strong>di</strong>aspora? E li ve<strong>di</strong>amo anche quelli <strong>di</strong>sperati e ricchi <strong>di</strong> casa nostra, quelli<br />
con la pancia piena e lo spirito guasto? Qui deve poter agire con forza la<br />
cristiana autentica “PROMESSA DI SALVEZZA” nuovamente simboleggiata<br />
dall’immagine biblica dell’Esodo verso la terra promessa. Non la salvezza<br />
intimistica, in<strong>di</strong>viduale, ma la salvezza attiva, la salvezza comunitaria,<br />
quella auspicata e promossa dal Vaticano II che partendo dall’attenzione<br />
ai segni dei tempi, calava la dottrina cristiana nella “PRESENTE<br />
DIFFICOLTÀ DELL’ESSERE”. La speranza come liberazione dell’uomo<br />
può e deve <strong>di</strong>ventare un concetto unificante. In un contesto <strong>di</strong> miseria e <strong>di</strong><br />
degradazione sociale (gli ammazzamenti giornalieri <strong>di</strong> intere famiglie nella<br />
civilissima Italia) non bisogna tanto preoccuparsi del “NON CREDENTE”,<br />
quanto del “NON UOMO”. Il peccato capitale è il peccato sociale, quello<br />
causato dall’ingiustizia e dalla sopraffazione,dalla violenza, dalla guerra,<br />
dall’egoismo. Qui è l’origine della <strong>di</strong>sperazione,qui bisogna trovare il coraggio<br />
<strong>di</strong> accettare la sfida che Kant poneva alla ragione “CHE COSA<br />
POSSO FARE, CHE COSA DEVO FARE, CHE COSA HO DIRITTO DI<br />
SPERARE”. Giacché io credo che non esistano due mon<strong>di</strong>, uno sacro e<br />
l’altro profano, uno in cui si prega e l’altro in cui se ne fa a meno, allora in<br />
questo mondo unico vivo insieme il Silenzio <strong>di</strong> Dio e la Sua possibile Parola<br />
con la Speranza che sia in Lui il nocciolo delle risposte alle domande<br />
della ragione.<br />
– 175 –
...PER NON PERDERE LA MEMORIA!<br />
È un bel <strong>di</strong>re che gli uomini si <strong>di</strong>fferenziano dagli altri animali per le<br />
capacità logiche!<br />
Molti e importanti stu<strong>di</strong>osi attribuiscono anche ai nostri parenti stretti la<br />
facoltà <strong>di</strong> apprendere e generalizzare sulla base dell’esperienza.<br />
Ma è questo il tema della nostra riflessione? Cosa c’entra? Il fatto è che<br />
l’uomo intanto è tale in quanto non solo apprende,co<strong>di</strong>fica ed elabora, ma<br />
anche conserva, mo<strong>di</strong>fica ed è in grado <strong>di</strong> recuperare quello che pensava <strong>di</strong><br />
aver <strong>di</strong>menticato. Che miracolo, la memoria!<br />
Noi viviamo e quasi senza accorgercene raccogliamo tutto in questa<br />
gran<strong>di</strong>ssima cassaforte. Se uno ci pensa, si rende conto che l’uomo è l’unico<br />
essere a potersi definire historicus proprio perché solo lui, e non gli altri<br />
animali, è in grado <strong>di</strong> recuperare il suo passato, <strong>di</strong> attingerlo, aprendo quello<br />
scrigno con chiavi del tutto originali che ne rendono possibile la lettura. È<br />
necessario, infatti, <strong>di</strong>stinguere la memoria in<strong>di</strong>viduale da quella collettiva.<br />
Sul piano soggettivo essa è alimentata da esperienze e stati d’animo, da rappresentazioni<br />
acquisite o in via <strong>di</strong> acquisizione; sul piano sociale la memoria<br />
collettiva <strong>di</strong>venta necessariamente storia. In tutto il pensiero antico,<br />
specie nella tra<strong>di</strong>zione neo-platonica, si insiste sul valore della memoria<br />
proprio come anàmnesis, come aspetto fondamentale del processo conoscitivo<br />
perché essa fornisce l’immagine <strong>di</strong> quelle verità eterne che “riposano”<br />
nel profondo dopo che l’anima le ha contemplate in un mondo perfetto, l’iperuranio,<br />
prima <strong>di</strong> cadere nel corpo <strong>di</strong>menticandole. Questo è un modo <strong>di</strong><br />
concepire la memoria in senso attivo: grazie all’esperienza, utilizzando le<br />
sensazioni noi siamo capaci <strong>di</strong> recuperare ciò che in origine avevamo solamente<br />
intuito. Sono bellissime le pagine che S. Agostino de<strong>di</strong>ca nelle confessioni<br />
al rapporto tra la memoria e il tempo: “...e là incontro a me stesso,<br />
ricordo quello che ho fatto e dove e quali emozioni abbia provato nel<br />
farlo...”. In realtà la ricerca <strong>di</strong> sé stesso coincide con la consapevolezza che<br />
per quanto si possa spaziare, l’anima non si placherà fino a quando non avrà<br />
riconosciuto che Dio è lì, nella zona più riposta della mente. “E ti sei degnato<br />
<strong>di</strong> prendere <strong>di</strong>mora nella mia memoria dal momento in cui ti ho conosciuto.<br />
Ma perché mai vado a domandarmi in quale parte <strong>di</strong> essa abiti, come<br />
se vi esistesse <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> luoghi? Tu vi abiti, questo è certo, perché io ti ricordo<br />
– dal momento in cui ti ho conosciuto – e ti trovo in essa quando<br />
penso a Te...”. La memoria qui non ha più nulla <strong>di</strong> empirico, <strong>di</strong> acquisito,<br />
essa è memoria innata, la parte più riposta della nostra mente dove splende<br />
– 176 –
la “ratio superior”, la luce <strong>di</strong>vina. La reminiscenza platonica <strong>di</strong>venta in<br />
Agostino un ricordarsi <strong>di</strong> Dio. Il fascino <strong>di</strong> scavare nel profondo alla ricerca<br />
della propria identità ha contagiato nel tempo scienziati, teologi e letterati<br />
oltre che i filosofi. Tutti hanno riconosciuto, ognuno nel suo campo, il carattere<br />
creativo, costruttivo della memoria; essa non è solo un grande magazzino<br />
cui attingere, ma ha una valenza <strong>di</strong>namica del tutto originale. Basti<br />
pensare a Proust e al suo cammino alla ricerca del tempo perduto o allo<br />
stesso Freud quando riconosce alla memoria una funzione terapeutica per il<br />
suo valore <strong>di</strong> verità. Infatti: “nella memoria l’uomo conserva tutte quelle<br />
promesse o potenzialità che sono state tra<strong>di</strong>te o perfino <strong>di</strong>chiarate fuori<br />
legge dall’in<strong>di</strong>viduo maturo e civile, ma che una volta nel suo passato nebuloso<br />
furono realizzate e non sono state mai completamente <strong>di</strong>menticate...”.<br />
Per questo il recupero, l’esplorazione del profondo significa scoperta <strong>di</strong> verità<br />
rigorose “il cui peso dovrà alla fine infrangere la cornice entro la quale<br />
esse furono confinate”. Voglio davvero ricordare? In genere il passato conta<br />
perché ha un significato per me e tuttavia quando provo a “ricostruirmi” incontro<br />
necessariamente gli altri, cosicché <strong>di</strong>venta inevitabile il confronto<br />
con la memoria collettiva, quella che si espande nel più vasto ambito storico-sociale.<br />
J. Chesneaux afferma che la memoria collettiva, il richiamo<br />
alla storia, operano in rapporto col futuro: “il rapporto <strong>di</strong>alettico tra passato<br />
e futuro fatto <strong>di</strong> continuità e <strong>di</strong> rottura, <strong>di</strong> coesione e <strong>di</strong> lotta, è la trama<br />
stessa della storia...”.<br />
Facciamo i conti, dunque, col nostro passato, non chiu<strong>di</strong>amo le porte<br />
della memoria, affrontiamo a livello in<strong>di</strong>viduale e sociale quello che siamo<br />
stati e quello che siamo, perché solo nella consapevolezza sono possibili le<br />
scelte coraggiose.<br />
Come voglio che parlino <strong>di</strong> me? Se questa domanda banalmente semplice<br />
se la fossero posta in passato e se la ponessero oggi i responsabili del<br />
destino dei popoli forse la Luce <strong>di</strong> cui parlava Agostino avrebbe la meglio<br />
fin negli angoli più bui della nostra memoria.<br />
DIMMI CHE SOGNI FAI E TI DIRÒ CHI SEI<br />
Tra la vita e il sogno c’è una relazione forte, come <strong>di</strong> parentela. Gli uomini<br />
lo hanno sempre saputo. Spesso illusione, a volte messaggio che contiene<br />
in sé una sapienza nascosta, il sogno rappresentava già per i Greci una<br />
sorta <strong>di</strong> sfida davanti alla quale i poteri dell’intelletto mostrano <strong>di</strong> essere<br />
– 177 –
inadeguati o del tutto insufficienti. Vari nomi e funzioni avevano i sogni in<br />
quella cultura e l’interpretazione <strong>di</strong> essi va per lo più inserita nel quadro<br />
della <strong>di</strong>vinazione, anche se l’interpretazione dei sogni è figura solo parzialmente<br />
collegabile alla sfera religiosa e comunque resta ai margini della religione<br />
ufficiale. Questi personaggi utilizzavano un vasto patrimonio orale <strong>di</strong><br />
interpretazioni simboliche e poi si possono trovare compen<strong>di</strong>ate nei libri dei<br />
sogni <strong>di</strong> cui ci è rimasto solo quello <strong>di</strong> Artemidoro. Intorno all’interprete dei<br />
sogni si affollava un vasto pubblico: schiavi, conta<strong>di</strong>ni, artigiani, atleti, professionisti.<br />
Sapere per rendere vano il sogno, per esorcizzarlo quando fa<br />
paura, per prevedere il futuro, per dare corpo ai desideri? Gli esperti stu<strong>di</strong>avano<br />
per dare risposte e già intuivano, ad esempio, la maggiore verità del<br />
sogno “visto” al mattino rispetto a quello notturno. Non potendo qui riassumere<br />
le indagini secolari sul team voglio fermarmi soprattutto su Freud il<br />
quale nota che più ci si avvicina all’alba più è complesso il processo <strong>di</strong> elaborazione<br />
primaria del contenuto latente. Perché, secondo l’inventore della<br />
psicoanalisi, il sogno non è una funzione meramente organica, un insieme<br />
casuale <strong>di</strong> immagini. L’attività onirica è sicuramente collegata con la vita<br />
profonda <strong>di</strong> ogni uomo. Durante il sonno, quando la censura dell’Io si affievolisce<br />
e l’in<strong>di</strong>viduo è parzialmente libero dai con<strong>di</strong>zionamenti, allora l’inconscio<br />
emerge e nel sogno bisogni e desideri trovano un appagamento fantasmatico,<br />
ovvero allucinatorio. Le pulsioni, i desideri si esprimono solo<br />
come possono, in modo “improprio”; questo li rende irriconoscibili e spiega<br />
la <strong>di</strong>fferenza tra contenuto manifesto del sogno e pensiero onirico latente.<br />
Nel sogno sussiste lo stesso antagonismo <strong>di</strong> forze psichiche che interviene<br />
nella formazione del sintomo: “...il contenuto onirico manifesto è il surrogato<br />
<strong>di</strong>storto dei pensieri onirici inconsci, e questa <strong>di</strong>storsione è opera <strong>di</strong><br />
forze <strong>di</strong> sbarramento dell’Io, <strong>di</strong> resistenze, che nella vita vigile impe<strong>di</strong>scono<br />
generalmente ai desideri rimossi l’accesso alla coscienza, mentre pur ridotte<br />
nello stato <strong>di</strong> sonno, sono ancora abbastanza forti da imporre loro un travestimento<br />
che li maschera...”. Freud è convinto che attraverso l’analisi dei<br />
sogni noi possiamo scoprire in parte quel mondo <strong>di</strong> impressioni, avvenimenti,<br />
emozioni che abbiamo provato nella prima infanzia e che hanno con<strong>di</strong>zionato<br />
il nostro sviluppo, tutto quello che siamo <strong>di</strong>ventati. Quali desideri<br />
abbiamo potuto mantenere come aspirazioni, quali realizzare, quali rimuovere;<br />
ognuno porta dentro <strong>di</strong> sé una lunga storia fatta per lo più <strong>di</strong> rimozione.<br />
La psicoanalisi come lo stesso Freud più volte confermò, intende<br />
portare il materiale rimosso della vita psichica ad un riconoscimento cosciente:<br />
“...la presunzione della coscienza che rifiuta il sogno con tanto<br />
– 178 –
spregio, fa parte dei più robusti meccanismi protettivi previsti in noi contro<br />
l’infiltrazione dei complessi inconsci; ed è per questo che è così <strong>di</strong>fficile<br />
convincere gli uomini della realtà dell’inconscio e insegnare loro a conoscere<br />
cose nuove, che contrad<strong>di</strong>cono il loro sapere cosciente...”. Rispetto al<br />
sogno come chiave <strong>di</strong> lettura dell’inconscio, non è meno rilevante quel<br />
mondo <strong>di</strong> sogni che costruiamo ad occhi aperti o per sfuggire alla realtà in<br />
cui viviamo, o per darle una <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> cui essa ci appare priva. In questa<br />
<strong>di</strong>rezione uno dei luoghi comuni dominanti è che solo i giovani hanno forti<br />
desideri perché proiettati nel futuro; gli adulti no, loro smettono <strong>di</strong> sognare<br />
calati come sono nella precarietà del presente, impegnati a sopravvivere.<br />
Non credo sia vero. Da bambina, ricordo che spesso mi estraniavo e se mi<br />
chiamavano fingevo <strong>di</strong> rispondere; allora mio padre <strong>di</strong>ceva: “La creatura è<br />
impegnata a modo suo, sta nel mondo dei suoi sogni”. In quella fase non<br />
esisteva lo spartiacque tra desiderio e realtà, tutto sembrava a portata <strong>di</strong><br />
mano, persino il castello delle fate. Poi da gran<strong>di</strong> bisogna <strong>di</strong>stinguere. E uno<br />
si chiede: quali sogni posso veramente realizzare? E lì... tutti a progettare, a<br />
mettere mattone su mattone cercando <strong>di</strong> ingabbiare la vita. E quella fugge<br />
sempre più in là e non si lascia afferrare. La bellezza del vivere sta proprio<br />
in questo continuo sognare che è un perenne, inappagato desiderare. Ogni<br />
giorno mi impegno per quello in cui credo, nel lavoro, nell’amicizia, nella<br />
vita civile, consapevole che le realizzazioni sono piccola cosa. Ma ne vale<br />
la pena: altrimenti dovremmo tutti riconoscere con Pindaro che l’uomo è<br />
solo il sogno <strong>di</strong> un’ombra.<br />
– 179 –
CLAUDIO JANKOWSKI<br />
Sceneggiatura per una fiaba,<br />
idea per un balletto<br />
Un cavaliere ritorna dalla guerra dove è <strong>di</strong>ventato un eroe per aver<br />
ucciso moltissimi nemici. Ritornato in patria incontra una maga (la sua<br />
coscienza) che lo fa temporaneamente impazzire mostrandogli le atrocità<br />
commesse; inorri<strong>di</strong>to da queste il cavaliere chiede <strong>di</strong> essere ammesso al<br />
cospetto del grande saggio per parlare con lui e purificarsi. Alla fine<br />
riprende la strada <strong>di</strong> casa rasserenato e decide <strong>di</strong> trasformarsi in un albero<br />
dopo la morte per ri<strong>di</strong>ventare parte della natura.<br />
____ ____ ____<br />
Nella prima scena si deve vedere un’immagine della guerra descritta<br />
dalla scenografia, dalla musica, dalla danza della ballerina. Finisce la guerra<br />
e l’“eroe” sale a cavallo ed inizia un lungo cammino che lo porterà ad attraversare<br />
tempeste, neve, piogge e luoghi lontani fra i più strani e <strong>di</strong>versi (il<br />
cammino dell’uomo alla ricerca <strong>di</strong> sé) finché non giunge, accompagnato<br />
dalla voce del commentatore, entro i confini della sua terra. Stanco ed affamato<br />
apre una cassa dove aveva riposto l’oro depredato e le provviste ma<br />
tutto si è magicamente trasformato in maschere bagnate <strong>di</strong> sangue ed in<br />
quel momento scopre il proprio destino umano che si rivolta contro la<br />
propria aspirazione <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>ventare un semi<strong>di</strong>o (ragnatela). NOTTE.<br />
MATTINA. A questo punto, mentre è terrorizzato per l’accaduto, gli<br />
viene incontro un uccello (ballerino) che inizia a parlargli ed a in<strong>di</strong>cargli la<br />
giusta strada del pentimento, si uniscono a questo altri animali ed anche<br />
fiori ed alberi cominciano a parlare con lui. (Danza della natura) Il guerriero<br />
incredulo del giu<strong>di</strong>zio espresso dalla natura riprende il cammino<br />
finché giunge nel territorio della strega-maga che vuole a tutti i costi terrorizzarlo<br />
per farlo pentire dei crimini commessi. (Danza della morte e dell’angoscia)<br />
Il cavaliere viene precipitato negli inferi e lì vive scene demoniache,<br />
viene affrontato da mostri e da ricor<strong>di</strong> raccapriccianti riguardanti i<br />
delitti commessi in guerra e la guerra in genere. (Danza dell’inferno e dei<br />
mostri) Il guerriero non più eroe è terrorizzato e chiede <strong>di</strong> poter ritornare<br />
– 180 –
sulla terra. La maga glielo concede convinta del suo pentimento ma prima<br />
<strong>di</strong> fargli ottenere la purificazione lo trasporta in un mondo incantato: il<br />
mondo dei non ancora – vivi, non ancora – morti, dove risiede tutta la gente<br />
che non sa apprezzare la propria vita. (Danza del nulla) Attraverso <strong>di</strong>aloghi<br />
con strane creature il cavaliere capisce che per ottenere la serenità deve<br />
aprire una porta magica e conferire con il grande “Padre”. Aiutato dagli uccelli<br />
apre la porta ed attraverso una luce accecante incontra il Gran Vecchio<br />
che lo spinge a voler cambiare completamente vita ed a voler <strong>di</strong>ventare<br />
parte dell’armonia della natura. Nel mentre il cavaliere chiede al Gran Vecchio<br />
<strong>di</strong> rivelargli la propria identità, il Vecchio si addormenta ed il cavaliere<br />
levatagli la maschera si accorge che il Gran Vecchio altri non è poi che lui<br />
stesso e decide <strong>di</strong> ritornare nel mondo. Saluta la maga che <strong>di</strong>venta una parte<br />
della natura e risale a cavallo prendendo definitivamente la via del ritorno.<br />
Alla fine dopo molti anni in cui avrà vissuto pacificamente ed amorevolmente<br />
con gli altri uomini muore serenamente ed il suo corpo <strong>di</strong>venta un<br />
albero. (Danza finale della vita)<br />
– 181 –
ANNA MARIA ROBUSTELLI<br />
Christina Rossetti,<br />
“Il cui cuore si spezzava per un po’ d’amore” 1<br />
Give me the lowest place: or if for me<br />
That lowest place too high, make one more low<br />
Where I may sit and see<br />
My God and love Thee so. 2<br />
“Her great gift was to take us inside ourselves, to that<br />
Inner space, to describe that moment of truth when<br />
We have to face what we are”. 3<br />
Ancora oggi – quando le poesie delle scrittrici vittoriane trovano attenzione<br />
in alcune se<strong>di</strong> accademiche italiane, oltre che nel più vasto panorama<br />
<strong>di</strong> ricerca angloamericana – Christina Georgina Rossetti (1830-1894) è ricordata,<br />
nelle più note antologie <strong>di</strong> letteratura inglese della scuola secondaria<br />
superiore italiana – quando lo è – come la sorella del più famoso e considerato<br />
pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti e come l’autrice <strong>di</strong> ‘Remember’<br />
and ‘Song’, composizioni pregne <strong>di</strong> una delicata qualità musicale e una vaga<br />
melanconia, che si snodano tra antitesi basate sul ricordo e l’oblio e i ricorrenti<br />
pensieri <strong>di</strong> morte, ma prive <strong>di</strong> quella densità espressiva e simbolica <strong>di</strong><br />
creazioni più tarde. Questo ristagno culturale che circonda la sua figura,<br />
1 Espressione tratta dalla poesia L.E.L., <strong>di</strong> Christina Rossetti.<br />
2 Quartina fatta incidere sulla sua tomba nel Cimitero <strong>di</strong> Highgate a Londra dal fratello<br />
William. È tratta dalla poesia ‘The Lowest Place’, Christina Rossetti. Sisson, C.H. (ed.), Selected<br />
Poems, Carcanet Press Limited, Manchester, 1984.<br />
Datemi il posto più basso: o se per me<br />
Quel posto così basso è troppo alto, fatemene uno più basso<br />
Dove possa sedere e vederti<br />
Dio mio e così amarti.<br />
(Traduzione <strong>di</strong> Anna Maria Robustelli per questa come per le altre poesie citate nell’articolo).<br />
3 Citazione da Kathleen Jones, sua biografa, tratta dal libro Learning not to be first. The<br />
Life of Christina Rossetti, The Windrush Press, Gloucestershire, 1991, p. 56.<br />
“Il suo grande dono è stato <strong>di</strong> portarci dentro noi stessi, in quello spazio interiore, a descrivere<br />
quel momento <strong>di</strong> verità, quando dobbiamo affrontare ciò che siamo”.<br />
– 182 –
finisce con <strong>di</strong>sconoscerne l’intenso conflitto che caratterizzò la sua vita <strong>di</strong>visa<br />
tra una natura appassionata e profonda e la rigida educazione vittoriana<br />
che aveva ricevuto.<br />
È per questa persistente mancanza <strong>di</strong> riconoscimento da parte <strong>di</strong> una<br />
certa cultura “co<strong>di</strong>ficata” italiana che mi sembra giusto contribuire a <strong>di</strong>ffondere<br />
<strong>di</strong> lei un’immagine meno falsamente “poeticizzata” e più intimamente<br />
autentica.<br />
Quasi tutte le scrittrici dell’Ottocento inglese che hanno raggiunto<br />
qualche forma <strong>di</strong> notorietà – poiché possiamo presumere che <strong>di</strong> altre non si<br />
sia mai scoperta l’opera nascosta in qualche sperduto cassetto – non si sono<br />
mai sposate o per lo meno non hanno avuto una vita matrimoniale convenzionale<br />
o stabile. Parliamo <strong>di</strong> Jane Austen, <strong>di</strong> Dorothy Wordsworth, <strong>di</strong><br />
Anne, Charlotte e Emily Brontë, <strong>di</strong> Elizabeth Gaskell, <strong>di</strong> George Eliot, <strong>di</strong><br />
Elizabeth Barrett Browning e <strong>di</strong> Christina G. Rossetti, per citare solo alcune<br />
delle scrittrici più note. Altri tratti che le caratterizzarono e che le <strong>di</strong>stinsero<br />
dalle altre donne del loro tempo sono che, nella maggioranza dei casi, non<br />
ebbero figli, dovettero usare uno pseudonimo per pubblicare o non pubblicarono<br />
mai in vita – come nel caso della sorella <strong>di</strong> William Wordsworth –<br />
poterono in qualche modo permettersi <strong>di</strong> non lavorare e osarono scrivere<br />
in un contesto a loro totalmente ostile, in cui anche gli intellettuali più progressisti<br />
trovavano incomprensibile che una donna potesse avere le capacità<br />
adatte per esprimersi nella scrittura e potesse avere qualcosa <strong>di</strong> rilevante<br />
da <strong>di</strong>re. 4 Il curriculum <strong>di</strong> una donna sposata consisteva nel <strong>di</strong>ventare una<br />
perfetta donna <strong>di</strong> casa, modello che era stato co<strong>di</strong>ficato nel poema The<br />
Angel in the House (1854-56) <strong>di</strong> Coventry Patmore, e una zelante generatrici<br />
<strong>di</strong> figli, 5 in modo tale che, specialmente nel caso <strong>di</strong> appartenenza a una<br />
classe sociale me<strong>di</strong>a e non me<strong>di</strong>o-alta o alta, il coinvolgimento con la routine<br />
familiare l’avrebbe resa incapace <strong>di</strong> adempiere ad altro che non fossero<br />
la cura dei figli, l’accu<strong>di</strong>mento dei parenti più anziani e il ruolo <strong>di</strong> moglie<br />
perfetta.<br />
4 Possiamo ricordare qui che il poeta Robert Southey, amico <strong>di</strong> William Wordsworth,<br />
rispose alla ventenne Charlotte Brontë, che gli aveva mandato alcune sue poesie che “la letteratura<br />
non è un’attività adatta alle donne”.<br />
5 Il che ci riporta a Martin Lutero che, come è stato rilevato da Margaret L. King in Women<br />
in the Renaissance, University of Chicago Press, 1991 (trad. ital. Le Donne nel Rinascimento,<br />
Bari, Laterza, 1991), “auspicava che le donne si consumassero pure <strong>di</strong> stanchezza, perché fare i<br />
figli era ‘questo lo scopo per cui esistono’”.<br />
– 183 –
A parte l’essere mogli-madri, “angeli della casa”, alle donne colte si<br />
offriva la possibilità <strong>di</strong> essere insegnanti, governanti, suore o impegnate<br />
in opere caritatevoli: nei primi due casi erano malpagate e spesso trattate<br />
male (ne sono testimonianza i romanzi <strong>di</strong> Anne Brontë e Charlotte Brontë).<br />
Christina provò per brevi perio<strong>di</strong> della sua vita a fare l’insegnante e la<br />
governante, venendo incontro ad esigenze economiche della sua famiglia<br />
ma poi, provando un profondo <strong>di</strong>sagio psichico e fisico – un po’ come<br />
Emily Brontë – ci rinunciò. Quello che le permise <strong>di</strong> non lavorare fu il fatto<br />
<strong>di</strong> avere una salute malferma. Nell’adolescenza ebbe vari malanni probabilmente<br />
<strong>di</strong> tipo psicosomatico, più tar<strong>di</strong> mali più specifici. 6 È sintomatico che<br />
così come molte donne sono riuscite a trovare il tempo per se stesse, per<br />
scrivere, nel corso dei secoli, perché vivevano in un convento, molte altre<br />
sono riuscite a svolgere questa occupazione in quanto non lavoravano a<br />
causa <strong>di</strong> patologie non meglio identificate.<br />
Quella dei Rossetti fu sempre una famiglia molto unita, i cui membri<br />
si aiutarono a livello affettivo ed economico. Originario <strong>di</strong> Vasto, il padre<br />
Gabriele, poeta e dantista, fu costretto ad espatriare in Inghilterra dopo<br />
essere stato condannato a morte dal Borbone <strong>di</strong> Napoli per la sua partecipazione<br />
ai moti del 1820. Giunto a Londra, aiutato dalla comunità italiana<br />
in esilio e dai loro amici inglesi simpatizzanti della rivoluzione italiana,<br />
cominciò a dare lezioni d’italiano e ottenne una cattedra al King’s College.<br />
Sei anni più tar<strong>di</strong> sposò Frances Polidori, figlia <strong>di</strong> un altro esule italiano,<br />
Gaetano Polidori, che era stato segretario dell’Alfieri. Ebbe quattro figli:<br />
Maria, Dante Gabriel, William e Christina Georgina, tutti educati nella<br />
religione della madre, che era anglicana. Frances era un modello perfetto <strong>di</strong><br />
buona moglie: il figlio Dante Gabriel pensava che avesse delle notevoli doti<br />
intellettuali che erano state sacrificate per il bene della famiglia.<br />
Questo tema ricorrente nella vita delle donne: la cancellazione <strong>di</strong> sé<br />
(‘self-effacing’) sarà proprio anche <strong>di</strong> Christina:<br />
…<br />
I lock my door upon myself,<br />
And bar them out; but who shall wall<br />
Self from myself, most loathed of all?<br />
6 Christina era consapevole che le sue malattie l’avevano lasciata libera <strong>di</strong> occuparsi <strong>di</strong><br />
se stessa. Al suo primo e<strong>di</strong>tore, Alexander MacMillan, confessò: “Non sono, né mi aspetto <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ventare molto robusta, ma sono ben contenta dei privilegi e delle immunità legate alla semiinvali<strong>di</strong>tà”.<br />
– 184 –
…<br />
Myself, arch-traitor to myself;<br />
My hollowest friend, my deadliest foe,<br />
My clog whatever road I go.<br />
… 7<br />
Tuttavia sembra che da bambina avesse un carattere impetuoso e ribelle<br />
come il fratello Dante Gabriel. A <strong>di</strong>fferenza degli altri bambini vittoriani,<br />
inoltre, Christina e i suoi fratelli non crebbero nel clima segregato delle<br />
nursery borghesi. La loro casa era un ambiente per nulla tra<strong>di</strong>zionale, e<br />
aperto alle visite <strong>di</strong> esuli, patrioti, uomini politici, letterati e musicisti. Ai<br />
bambini era permesso <strong>di</strong> restare a giocare nella stessa stanza in cui tutte<br />
queste persone <strong>di</strong>scutevano; inoltre tutti i Rossetti, come avvenne per i<br />
Brontë, si influenzarono reciprocamente e furono sempre molto attaccati gli<br />
uni agli altri.<br />
Certamente un cambiamento ebbe luogo in lei nell’età adolescenziale<br />
che il fratello William collegò a preoccupazioni finanziarie per la famiglia,<br />
a cattiva salute e a emulazione della madre.<br />
La sua espansività fu repressa e lei sviluppò una tendenza alla svalutazione<br />
<strong>di</strong> sé e alla rinuncia. È <strong>di</strong>fficile capire esattamente che cosa ebbe: le ipotesi<br />
formulate dai biografi inclinano a imputare questo stato a mania religiosa,<br />
alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> libertà personale, dato che le adolescenti <strong>di</strong> allora dovevano<br />
essere sempre accompagnate, a un periodo <strong>di</strong> anemia, a sintomi <strong>di</strong> angina<br />
pectoris, all’afflizione della bronchite che, nelle aree industriali era molto<br />
frequente all’epoca, a sintomi <strong>di</strong> isteria e sensazioni <strong>di</strong> soffocamento (quelli<br />
che oggi si chiamano attacchi <strong>di</strong> panico). L’amore per gli animali e soprattutto<br />
7 …<br />
Mi chiudo la porta <strong>di</strong>etro<br />
E li taglio fuori: ma chi proteggerà<br />
Il mio io da me stessa, più <strong>di</strong> tutto aborrita?<br />
…<br />
Io, la peggiore tra<strong>di</strong>trice <strong>di</strong> me stessa,<br />
L’amica più falsa, la nemica più fatale,<br />
La mia pastoia, qualunque strada prenda.<br />
…<br />
(versi tratti dalla poesia ‘God stregthen me to bear myself’ (‘Dio mi rafforzi perché possa<br />
sopportare me stessa’, R.W. Crump (ed.), Complete Poems of Christina Rossetti: A<br />
Variorum E<strong>di</strong>ton, Baton Routge: Louisiana State University Press, 1986).<br />
– 185 –
per quelli in gabbia che poteva vedere nello zoo <strong>di</strong> Regent’s Park, vicino a<br />
casa sua, sembra avvalorare la tesi che lei stessa si sentisse in gabbia come è<br />
evidente in questi versi tratti da ‘A Royal Princess’, una poesia del 1861:<br />
Two and two my guards behind, two and two before<br />
Two and two on either hand, they guard me evermore,<br />
Me, poor dove that must not coo – eagle that must not soar. 8<br />
Come nota la sua ottima biografa Kathleen Jones,“Christina stava<br />
cominciando a sentire la <strong>di</strong>fferenza, non solo dell’artista creativo, ma anche<br />
<strong>di</strong> genere insieme all’isolamento <strong>di</strong> una cultura <strong>di</strong>versa”. 9 In questi anni<br />
scrisse poesie che il nonno Polidori pubblicò e cominciò a partecipare della<br />
ricca atmosfera artistica e letteraria che si andava consolidando sotto l’etichetta<br />
<strong>di</strong> Fratellanza ‘Pre-Raffaellita’, iniziata dal fratello Dante Gabriel. È<br />
significativo che William Holman Hunt, un pittore, che ne fece parte,<br />
grande amico del fratello, la vide come una “ragazza pura e docile”: l’arte<br />
<strong>di</strong> nascondere se stessa si stava indubbiamente perfezionando. Christina, fra<br />
l’altro, molto brava e competitiva quando giocava a scacchi, decise <strong>di</strong><br />
rinunciarvi come esercizio <strong>di</strong> self-denial, rinunciò anche ad andare a teatro<br />
che, come nel Seicento, quando i puritani furono al potere nel periodo della<br />
Guerra Civile e dopo, era considerato fucina <strong>di</strong> immoralità a causa del<br />
comportamento degli attori e delle attrici.<br />
Sua madre, dotata <strong>di</strong> ardente fervore evangelico, contribuì fortemente a<br />
trasformarla in una puritana e lei lavorò strenuamente per tenere un profilo<br />
basso (“to keep her soul low”) durante tutta la sua vita. 10 Comunque, a<br />
8 Due e due i miei guar<strong>di</strong>ani <strong>di</strong>etro, due e due davanti<br />
Due e due su ciascun lato, mi guardano sempre,<br />
Io povera colomba che non deve tubare – aquila che non deve volare in alto.<br />
9 Kathleen Jones, op. cit., p. 15.<br />
10 L’aggettivo “puritano” è comunemente associato ad un atteggiamento negativo concernente<br />
la sfera dei sentimenti o a qualcuno che reprime le proprie emozioni e giu<strong>di</strong>ca in maniera<br />
molto limitativa quelle degli altri, ma nella tra<strong>di</strong>zione angloamericana, dove è nato, è carico <strong>di</strong><br />
connotazioni ben più profonde. Spesso il titolare o la titolare delle emozioni pensa <strong>di</strong> non<br />
averne <strong>di</strong>ritto , considerando la propria piccolezza <strong>di</strong> fronte al padre Dio. Basti ricordare qui che<br />
i primi puritani in terra americana, hanno scritto <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> una rara bellezza, che venivano usati<br />
come strumenti <strong>di</strong> indagine dell’anima per capire se erano degni della grazia <strong>di</strong> Dio. Ma questo<br />
continuo esercizio esplorativo, che ha contribuito a sviluppare la complessità dell’io moderno,<br />
come hanno rilevato stu<strong>di</strong>osi del settore – ha spesso posto questi in<strong>di</strong>vidui in contrad<strong>di</strong>zione con<br />
se stessi. Ad esempio, quando Thomas Shepard narra della morte della moglie, si trova a giustificarsi<br />
<strong>di</strong> fronte al suo Dio, per sentire <strong>di</strong> averla amata più <strong>di</strong> Dio stesso.<br />
– 186 –
<strong>di</strong>ciotto anni, Christina si fidanzò con un membro della Pre-Raphaelite<br />
Brotherhood dal carattere mite e timido, James Collinson, e questo segnò<br />
un periodo felice della sua vita.<br />
Il fidanzamento durò fino al 1850, quando Collinson si riconvertì al<br />
Cattolicesimo dopo una fase <strong>di</strong> ripensamenti religiosi e Christina ruppe il<br />
suo legame con lui.<br />
Seguì un periodo <strong>di</strong> depressione, accompagnato da seri problemi familiari,<br />
che Christina cercò <strong>di</strong> superare cercando conforto nella religione.<br />
È degli anni cinquanta la poesia ‘The Hearth Knoweth its own Bitterness’,<br />
che rivela questa con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> desiderio intenso per qualcosa <strong>di</strong> irrealizzato,<br />
un tema che impronta la parte più originale della poesia <strong>di</strong> Christina<br />
Rossetti:<br />
When all the over-work of life<br />
Is finished once, and fast asleep<br />
We swerve no more beneath the knife<br />
But taste that silence cool and deep;<br />
Forgetful of the highways rough,<br />
Forgetful of the thorny scourge,<br />
Forgetful of the tossing surge,<br />
Then shall we find it is enough?<br />
How can we say ‘enough’ on earth –<br />
‘Enough’ with such a craving heart?<br />
I have not found it since my birth,<br />
But still have bartered part for part.<br />
I have not held and hugged the whole,<br />
But paid the old to gain the new:<br />
Much have I paid, yet much is due,<br />
Till I am beggared sense and soul.<br />
I used to labour, used to strive<br />
For pleasure with a restless will:<br />
Now if I save my soul alive<br />
All else what matters, good or ill?<br />
I used to dream alone, to plan<br />
Unspoken hopes and days to come: –<br />
Of all my past this is the sum –<br />
I will not lean on child of man.<br />
– 187 –
To give, to give, not to receive!<br />
I long to pour myself, my soul,<br />
Not to keep back or count or leave,<br />
But king with king to give the whole.<br />
I long for one to stir my deep –<br />
I have had enough of help and gift –<br />
I long for one to search and sift<br />
Myself, to take myself and keep.<br />
You scratch my surface with your pin,<br />
You stroke me smooth with hushing breath: –<br />
Nay pierce, nay probe, nay <strong>di</strong>g within,<br />
Probe my quick core and sound my depth.<br />
You call me with a puny call,<br />
You talk, you smile, you nothing do:<br />
How should I spend my heart on you,<br />
My heart that so outweighs you all?<br />
Your vessels are by much too strait:<br />
Were I to pour, you could not hold. –<br />
Bear with me: I must bear to wait,<br />
A fountain sealed through heat and cold.<br />
Bear with me days or months or years:<br />
Deep must call deep until the end<br />
When friend shall no more envy friend<br />
Nor vex his friend at unawares.<br />
Not in this world of hope deferred,<br />
This world of perishable stuff: –<br />
Eye hath not seen nor ear hath heard<br />
Nor heart conceived that full ‘enough’:<br />
Here moans the separating sea,<br />
Here harvest fail, here breaks the heart:<br />
There God shall join and no man part,<br />
I full of Christ and Christ of me. 11<br />
11 Il Cuore Conosce le Proprie Amarezze<br />
Quando tutta la fatica della vita<br />
Sarà finita una volta per tutte, e nel profondo sonno<br />
– 188 –
Non ci <strong>di</strong>batteremo più sotto il coltello<br />
Ma gusteremo quel freddo, profondo silenzio;<br />
Dimentichi delle aspre vie maestre,<br />
Dimentichi dello spinoso flagello,<br />
Dimentichi del montante desiderio,<br />
Ne avremo abbastanza allora?<br />
Come possiamo <strong>di</strong>re ‘basta’ sulla terra –<br />
‘Basta’ con un cuore così ardente?<br />
Da quando sono nata mai ne ho avuto abbastanza,<br />
Ma sempre ho barattato una parte per l’altra.<br />
Senza mai tenere e abbracciare il tutto,<br />
Col vecchio pagando per avere il nuovo:<br />
Molto ho pagato, pure molto è dovuto,<br />
Finché mén<strong>di</strong>co il senso e l’anima.<br />
Lavoravo, lottavo<br />
Con piacere con una volontà indomita:<br />
Ora se solo mi resta viva l’anima<br />
Tutto il resto che importa, bene o male?<br />
Sognavo da sola, progettavo<br />
Speranze taciute e giorni a venire: -<br />
Di tutto il passato questo mi resta –<br />
Non mi appoggerò su un figlio d’uomo.<br />
Dare, dare, non ricevere!<br />
Voglio riversare me stessa, la mia anima,<br />
Non tenermi in<strong>di</strong>etro o fare calcoli o rinunciare,<br />
Ma da re a re dare tutto.<br />
Desidero qualcuno che smuova il mio profondo –<br />
Ne ho abbastanza <strong>di</strong> aiuto e dono –<br />
Desidero qualcuno che mi cerchi e son<strong>di</strong>,<br />
Che mi prenda e tenga.<br />
Graffi col tuo spillo la mia pelle,<br />
Mi hai colpito lieve col tuo respiro soffice: -<br />
No trafiggi, no frughi, no scavi dentro,<br />
Frughi il mio fondo vivo e fai risuonare le mie profon<strong>di</strong>tà.<br />
Mi chiami con un richiamo debole,<br />
Mi parli, mi sorri<strong>di</strong>, non fai niente:<br />
Come potrei impegnare il mio cuore con te.<br />
Il cuore che tanto vi sovrasta tutti?<br />
I tuoi vasi sono veramente troppo stretti:<br />
Dovessi io versare, tu non potresti contenere, -<br />
Sopporta con me: devo sopportare l’attesa,<br />
Fontana sigillata nel caldo e nel freddo.<br />
Sopporta con me giorni o mesi o anni:<br />
Profondamente devi chiamare profondamente sino alla fine<br />
Quando l’amico non invi<strong>di</strong>erà più l’amico<br />
Né irriterà l’amico senza volerlo.<br />
– 189 –
Molti sono i versi che si potrebbero mettere in luce in questa poesia, ma<br />
forse il più bello qui per intensità espressiva è quel I long for one to stir my<br />
deep, in cui la monosillabicità della lingua inglese si sposa con un craving<br />
heart che tutto è fuorché vittoriano. Christina sarà stata anche repressa dalla<br />
famiglia e dall’educazione religiosa, ma certamente non era repressa nell’espressione<br />
poetica, nella resa lucida e puntuale <strong>di</strong> ciò che sentiva nel profondo<br />
del suo cuore. Molte parole fanno riferimento al suo profondo:<br />
silence cool and deep/ sound my depth/ deep must call deep/ search and sift/<br />
take myself and keep/ scratch/ stroke me smooth/ pierce/ probe/ <strong>di</strong>g within.<br />
La quarta strofe insiste sul suo desiderio intenso: I long to pour myself,<br />
my soul/ I long for one to search and sift e tutta la poesia è una protesta fatta<br />
da una donna intelligente, colta e sensibile a cui, come a quasi tutte le<br />
persone appartenenti a questo genere, è stato insegnato a dare, a curare, a<br />
donare ma che, dopo essersi perfezionata in questa arte, si è ritrovata profondamente<br />
delusa nelle sue aspettative affettive e <strong>di</strong> affermazione personale<br />
nel mondo.<br />
Come in quasi tutte le sue poesie, alla fine Christina esprime la speranza<br />
che le promesse non realizzate vengano sod<strong>di</strong>sfatte nell’Al<strong>di</strong>là. Kathleen<br />
Jones osserva che la vita era dura e <strong>di</strong>fficile e la morte un genere <strong>di</strong><br />
lieto fine, che segnava il passaggio a un Al<strong>di</strong>là <strong>di</strong> dolcissimo piacere”. 12<br />
Fra le varie occupazioni e preoccupazioni <strong>di</strong> quegli anni (l’insegnamento<br />
in una scuola insieme alla madre, la morte della nonna materna, il continuare<br />
a scrivere poesie) troviamo alcune righe da una lettera <strong>di</strong> Dante Gabriel che<br />
le consiglia <strong>di</strong> trarre ispirazione dalla natura, d’accordo in questo con l’amico<br />
Theodore Watts-Dunton. 13 Giustamente commenta l’acuta biografa già<br />
Non in questo mondo <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong>fferita,<br />
Questo mondo <strong>di</strong> merce deperibile: -<br />
Occhio non ha visto né orecchie u<strong>di</strong>to<br />
Né cuore concepito in pieno quell’’abbastanza’:<br />
Qui mormora il mare che ci separa<br />
Qui va a male il raccolto, qui il cuore si spezza:<br />
Là Dio unirà e nessun uomo separerà,<br />
Io piena <strong>di</strong> Cristo Cristo <strong>di</strong> me.<br />
(Christina Rossetti, Selected Poems, C.H. Sisson ed., pp. 64-66.<br />
12 Kathleen Jones, op. cit., p. 40.<br />
13 Kathleen Jones ci riferisce che questa “mancanza” <strong>di</strong> Christina veniva messa in risalto<br />
dal paragone con Jean Ingelow, una poeta vittoriana che si riferiva spesso alla natura nella<br />
sua poesia; in particolare Theodore Watts-Dunton attribuiva questa “pecca” in lei al fatto che<br />
Christina era cresciuta in città. Op. cit., pp. 61-62.<br />
– 190 –
citata, “l’idea che Christina avrebbe potuto preferire scrivere <strong>di</strong> paesaggi interiori<br />
piuttosto che esteriori non era presa in considerazione”.<br />
Anche il padre Gabriele morì nel 1854.<br />
Christina ormai era <strong>di</strong>venuta consapevole delle sue capacità espressive<br />
e del suo valore come poeta, ma viveva il conflitto tra la volontà <strong>di</strong> affermazione<br />
letteraria e il desiderio <strong>di</strong> annullamento della propria personalità.<br />
Una zia <strong>di</strong> Christina partecipò al gruppo <strong>di</strong> infermiere che andavano in<br />
Crimea con Florence Nightingale, anch’essa una donna che ebbe malattie<br />
psicosomatiche, che dovette lottare contro una famiglia autoritaria e che<br />
rifiutò <strong>di</strong> sposare l’uomo che amava in nome <strong>di</strong> quello in cui credeva. Florence<br />
spiegava l’origine del suo comportamento con il fatto che quest’uomo<br />
avrebbe certamente sod<strong>di</strong>sfatto la sua natura intellettuale e la sua natura<br />
passionale, ma lei aveva anche una natura morale e attiva da sod<strong>di</strong>sfare. È<br />
evidente che queste considerazioni possono valere anche per Christina.<br />
Per un breve periodo <strong>di</strong> tempo Christina fece la governante in una casa<br />
<strong>di</strong> Hampstead Heath. Si ammalò e passò l’inverno in questo stato. Siamo<br />
però alle soglie della sua fase creativa più vivace. Nel febbraio 1859 scrisse<br />
L.E.L., sigla <strong>di</strong> Laetitia Elizabeth Landon, una poeta su cui aveva già scritto<br />
E. Barrett Browning. Un altro possibile riferimento è alla poesia ‘Felicia<br />
Hemans’, sempre della Browning, il cui sottotitolo è ‘To L.E.L.’. L’incrocio<br />
<strong>di</strong> riferimenti tra tutte queste poete vittoriane enfatizza il fatto che Christina<br />
si immedesimava con alcune <strong>di</strong> loro per il senso <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne che avevano<br />
sperimentato e la frustrazione <strong>di</strong> non essersi realizzate. Questa è una delle<br />
più belle poesie <strong>di</strong> Christina e non è certamente una delle più note in Italia:<br />
L.E.L.<br />
‘Whose heart was breaking for a little love.’<br />
Downstairs I laugh, I sport and jest with all;<br />
But in my solitary room above<br />
I turn my face in silence to the wall;<br />
My heart is breaking for a little love.<br />
Though winter frosts are done,<br />
And birds pair every one,<br />
And leaves peep out, for springtide is begun.<br />
I feel no spring, while spring is well-nigh blown,<br />
I find no nest, while nests are in the grove<br />
Woe’s me for mine own heart that dwells alone,<br />
– 191 –
My heart that breaketh for a little love.<br />
While golden in the sun<br />
Rivulets rise and run,<br />
While lilies bud, for springtide is begun.<br />
All love, are loved, save only I; their hearts<br />
Beat warm with love and joy, beat full thereof:<br />
They cannot guess, who play the pleasant parts,<br />
My heart is breaking for a little love.<br />
While bee-hives wake and whirr,<br />
And rabbit thins his fur,<br />
In living spring that sets the world astir.<br />
I deck myself with silks and jewelry,<br />
I plume myself like any mated dove:<br />
They praise my rustling show, and never see<br />
My heart is breaking for a little love.<br />
While sprouts green lavender<br />
With rosemary and myrrh,<br />
For in quick spring the sap is all astir.<br />
Perhaps some saints in glory guess the truth,<br />
Perhaps some angels read it as they move,<br />
And cry one to another full of ruth,<br />
‘Her heart is breaking for a little love.’<br />
Though other things have birth,<br />
And leap and sing for mirth,<br />
When springtime wakes and clothes and feeds the earth.<br />
Yet saith a saint, “Take patience for thy scythe’;<br />
Yet saith an angel: ‘Wait, and thou shalt prove<br />
True best is last, true life is born of death,<br />
O thou, heart-broken for a little love.<br />
Then love shall fill thy girth,<br />
And love make fat thy dearth,<br />
When new spring builds new heaven and clean new earth’. 14<br />
Il tema non è nuovo, ma è il modo con cui è stato espresso che è <strong>di</strong> una<br />
rara intensità. Qui Christina – come ogni vero artista – è riuscita a portare<br />
allo scoperto la sua anima senza reticenze ed a imprimere un ritmo serrato e<br />
incalzante alla sua pena.<br />
– 192 –
14 L.E.L.<br />
‘A cui il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore spezzava il cuore’<br />
Da basso rido, mi <strong>di</strong>verto e scherzo con tutti;<br />
Ma nella mia stanza solitaria <strong>di</strong> sopra<br />
Volgo il volto al muro in silenzio;<br />
Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore mi spezza il cuore.<br />
Sebbene le gelate invernali siano finite,<br />
E gli uccelli tutti si accoppino,<br />
E spuntino le foglie, perché la primavera è tornata.<br />
Io non sento la primavera, ma la primavera è quasi stremata,<br />
Non trovo un nido, ma i ni<strong>di</strong> sono nel bosco:<br />
Provo dolore per il cuore solo.<br />
Che si spezza per il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore.<br />
Mentre nel sole dorati<br />
Ruscelletti sgorgano e scorrono,<br />
Mentre i gigli sbocciano, perché la primavera è tornata.<br />
Tutti amano, sono amati, salvo me; i loro cuori<br />
Battono cal<strong>di</strong> <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong> gioia , battono pieni d’amore:<br />
Quelli che hanno le parti più belle non possono capire,<br />
Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore mi spezza il cuore.<br />
Mentre gli alveari si destano e ronzano,<br />
E il coniglio assottiglia il mantello,<br />
Nella primavera brulicante <strong>di</strong> vita.<br />
Mi vesto <strong>di</strong> sete e gioielli,<br />
Di piume mi copro come una colomba in amore:<br />
Lodano la mia foggia frusciante, e non vedono che<br />
Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore mi spezza il cuore.<br />
Mentre spunta la verde lavanda<br />
Col rosmarino e la mirra,<br />
Poiché nel vigore della primavera la linfa scorre.<br />
Forse qualche santo in gloria indovina la verità,<br />
Forse qualche angelo in moto la legge,<br />
E gridano fra <strong>di</strong> loro impietositi,<br />
‘Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore le spezza il cuore.’<br />
Sebbene altre cose nascano,<br />
E saltino e cantino per la gioia,<br />
Quando la primavera si desta e veste e nutre la terra.<br />
Pure <strong>di</strong>sse un santo, ‘Aspetta con pazienza la falce’;<br />
Pure <strong>di</strong>sse un angelo: ‘Aspetta, e tu saprai che<br />
Il vero bene è l’ultimo, la vera vita nasce dalla morte,<br />
O tu, col cuore spezzato per il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore,<br />
Poi l’amore ti cingerà,<br />
E l’amore ingrasserà la tua carestia,<br />
Quando un’altra primavera costruirà un altro cielo e <strong>di</strong> nuovo pulirà la terra.’<br />
(Christina Rossetti, Selected Poems, op. cit., pp. 98-99).<br />
– 193 –
L’anno 1962 vide la pubblicazione <strong>di</strong> Goblin Market, una delle opere<br />
più riuscite e <strong>di</strong>scusse <strong>di</strong> Christina per l’innovativa scioltezza linguistica, la<br />
vena subliminale <strong>di</strong> sensualità che la percorre e l’elusività del significato.<br />
Lasciamo al lettore il piacere <strong>di</strong> scoprire questo gioiello, che è comunque<br />
una delle opere più conosciute della poeta inglese in Italia. Il poemetto ricevette<br />
recensioni positive sul MacMillan Magazine e sul British Quarterly e<br />
piacque al poeta Swinburne che approfondì la sua amicizia con Christina.<br />
Insieme a Elizabeth Barrett Browning, probabilmente la più nota poeta<br />
vittoriana, Christina godeva ormai <strong>di</strong> una <strong>di</strong>screta notorietà e appariva<br />
lontano e quanto mai fuori luogo il giu<strong>di</strong>zio negativo sull’aspetto formale<br />
delle sue poesie, formulato in anni precedenti da John Ruskin, il critico che<br />
aveva sostenuto con il suo prestigio l’esperimento della Pre-Raphaelite<br />
Brotherhood.<br />
Alla fine degli anni cinquanta era cominciato il suo rapporto <strong>di</strong> amicizia<br />
con l’uomo che sarebbe <strong>di</strong>ventato il secondo grande amore della sua vita,<br />
Charles Cailey, (un ex-allievo <strong>di</strong> suo padre), la cui presenza è resa evidente<br />
in alcune sue poesie. Quello che ci interessa è che la sua relazione con<br />
Cailey le ispirò una serie <strong>di</strong> sonetti, ‘Monna Innominata’ Sonnets, in cui lei<br />
si finse un troubador donna che si rivolge a un uomo che non può avere. Il<br />
capovolgimento della situazione classica dantesca e petrarchesca è intrigante<br />
ed è singolare che queste poesie non siano ancora molto conosciute.<br />
La struttura controllata del sonetto permette a lei, come a tutti quei<br />
poeti nelle cui mani è passato: Dante, Petrarca, W. Shakespeare, J. Donne e<br />
così via, <strong>di</strong> combinare l’espressione <strong>di</strong> un sentimento intenso con la scansione<br />
<strong>di</strong> un ragionamento che deve giungere a conclusione in tempi brevi.<br />
Diamo qui due esempi <strong>di</strong> sonetti <strong>di</strong> questa serie che sono testimonianza<br />
della padronanza espressiva a cui Christina era giunta, precisando che il<br />
secondo componimento risale al periodo in cui “ricordava” il rapporto con<br />
Cayley, dato che anche in questo caso, per motivi religiosi – Cayley era<br />
un agnostico – Christina pose fine al loro fidanzamento, anche se continuò<br />
a frequentarlo come amico con il quale aveva sempre con<strong>di</strong>viso notevoli<br />
affinità.<br />
I loved you first: but afterwards your love,<br />
Outsoaring mine, sang such a loftier song<br />
As drowned the friendly cooings of my dove.<br />
Which owes the other most? My love was long,<br />
And yours one moment seemed to wax more strong;<br />
– 194 –
I loved and guessed at you, you construed me<br />
And loved me for what might or might not be –<br />
Nay, weights and measures do us both a wrong.<br />
For verily love knows not ‘mine’ or ‘thine’;<br />
With separate ‘I’ and ‘thou’ free love has done,<br />
For one is both and both are one in love:<br />
Rich love knows nought of ‘thine that is not mine’;<br />
Both have the strength and both the length thereof,<br />
Both of us, of the love which makes us one. 15<br />
Still sometimes in my secret heart of hearts<br />
I say ‘Cor mio’ when I remember you,<br />
And thus I yield us both one tender due,<br />
Wel<strong>di</strong>ng one whole of two <strong>di</strong>vided parts.<br />
Ah Friend, too wise or unwise for such arts,<br />
Ah noble Friend, silent and strong and true,<br />
Would you have given me roses for the rue<br />
For which I bartered roses in love’s marts?<br />
So late in autumn one forgets the spring,<br />
Forgets the summer with its opulence,<br />
The callow birds that long have found a wing,<br />
The swallows that more lately got them hence:<br />
Will anything like spring, will anything<br />
Like summer, rouse one day the slumbering sense? 16<br />
15 Monna Innominata n. 4<br />
Io ti ho amato per prima: ma dopo il tuo amore,<br />
Sorpassando il mio, ha cantato un canto così elevato<br />
Che ha oscurato il mio gentile tubare <strong>di</strong> colomba.<br />
Chi deve all’altro <strong>di</strong> più? Il mio amore è durato a lungo,<br />
E il tuo per un po’ è sembrato il più forte;<br />
Io ho amato e mi sono chiesta che cosa provavi tu, tu mi hai inventata<br />
E amata per quello che potevo e non potevo essere –<br />
No, pesi e misure ci fanno torto<br />
Poiché è vero che l’amore non conosce “mio” e “tuo”;<br />
Un amore vero finisce se “io” e “tu” sono separati,<br />
Poiché uno è due e due sono uno in amore:<br />
Un amore ricco non ne vuole sapere <strong>di</strong> “tuo” che non sia “mio”;<br />
Entrambi posse<strong>di</strong>amo la forza e la durata <strong>di</strong> questo amore<br />
Di ciò che ci rende entrambi una cosa sola.<br />
(Kathleen Jones, op. cit., p. 117).<br />
– 195 –
All’inizio degli anni sessanta fece anche amicizia con Anna Gilchrist,<br />
un’intellettuale che scrisse biografie <strong>di</strong> W. Blake e Mary Lamb. La figlia <strong>di</strong><br />
Anne, Grace, più tar<strong>di</strong>, tracciò un ritratto <strong>di</strong> Christina all’età <strong>di</strong> trentatrè<br />
anni:<br />
“...aveva gli occhi scuri ed era snella, nella pienezza delle sue capacità<br />
poetiche. Nell’aspetto era italiana, con una carnagione olivastra e profon<strong>di</strong><br />
occhi bruni. Possedeva anche la bella voce italiana <strong>di</strong> cui erano dotati<br />
i Rossetti – una voce fatta <strong>di</strong> strane dolci inflessioni, che assumeva<br />
modulazioni argentine quando la conversazione si faceva sostenuta, e<br />
le comuni parole ed espressioni inglesi ricadevano sull’orecchio con<br />
un’intonazione morbida, straniera, musicale, sebbene lei pronunciasse le<br />
parole stesse con il più puro degli accenti”. 17<br />
Avvenne nel maggio 1865 il suo unico viaggio in Italia insieme alla<br />
madre e al fratello William, passando per la Francia e la Svizzera. Rimase<br />
colpita dalla bellezza dei paesaggi e dalle persone che incontrò. Si sentì<br />
fiera del suo sangue italiano.<br />
Al ritorno i suoi sentimenti per Cayley erano sempre vivi e sembravano<br />
precludere alla possibilità concreta <strong>di</strong> un matrimonio. Scrisse la poesia ‘An<br />
Immurata Sister’, ancora una volta usando parole italiane, che mostra una<br />
rara sensibilità <strong>di</strong> genere. Ne riportiamo solo alcuni versi:<br />
16 Cor mio<br />
Ancora a volte nel segreto profondo del cuore<br />
Dico ‘Cor mio’ quando ti ricordo,<br />
E così do a entrambi quello che è giusto,<br />
Saldando in un tutt’uno due parti <strong>di</strong>vise.<br />
Ah Amico, troppo o poco saggio per tali arti,<br />
Ah nobile Amico, silenzioso e forte e sincero,<br />
Mi avresti dato rose per la ruta<br />
Con cui barattai rose al mercato dell’amore?<br />
In questo tardo autunno si <strong>di</strong>mentica la primavera,<br />
Si <strong>di</strong>mentica l’opulenza dell’estate,<br />
Gli uccelli implumi che da tanto hanno trovato le ali,<br />
Le ron<strong>di</strong>ni che da poco le hanno messe lontano da qui:<br />
Qualcosa come la primavera come l’estate<br />
Risveglierà un giorno i sensi assopiti?<br />
(Kathleen Jones, op. cit., p. 169<br />
17 Kathleen Jones, op. cit., p. 121.<br />
– 196 –
Men work and think, but women feel;<br />
And so (for I’m a woman, I)<br />
And so I should be glad to <strong>di</strong>e,<br />
And cease from impotence of zeal,<br />
And cease from hope, and cease from dread,<br />
And cease from yearnings without gain,<br />
And cease from al this world of pain,<br />
And be at peace among the dead.<br />
…<br />
Sparks fly upward toward their fount of fire,<br />
Kindling, flashing, hovering: –<br />
Kindle, flash, my soul; mount higher and higher,<br />
Thou whole burnt-offering! 18<br />
Accanto alla sua natura appassionata sempre evidente, Christina anticipa<br />
una problematica e una consapevolezza tutta novecentesca, che sono<br />
state indagate nei vari filoni dei Women’s Stu<strong>di</strong>es <strong>di</strong> quel secolo e sono ancora<br />
stu<strong>di</strong>ate: le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> genere nel pensare e nel sentire tra gli uomini<br />
e le donne. 19<br />
18 Gli uomini lavorano e pensano, ma le donne sentono;<br />
E allora (poiché sono una donna io)<br />
E allora vorrei morire,<br />
E non sentirmi impotente <strong>di</strong> fronte al mio entusiasmo,<br />
E non sperare, e non temere,<br />
E non vivere in questo mondo <strong>di</strong> pene,<br />
E essere in pace tra i morti.<br />
…<br />
Scintille volano verso l’alto, verso la fonte del fuoco,<br />
Accendendo, avvampando, volteggiando: -<br />
Accen<strong>di</strong>ti, avvampa, anima mia; sali sempre più in alto,<br />
Tu che ti offri intera per essere bruciata!<br />
(Kathleen Jones, op. cit., pp. 136-37).<br />
19 La psicologa evolutiva americana Carol Gilligan ha messo in evidenza i tratti specifici<br />
della moralità maschile e femminile, in<strong>di</strong>viduando nella donna un’attenzione alla relazione con<br />
gli altri, mentre l’uomo tenderebbe a aderire a un’idea <strong>di</strong> morale che tiene conto <strong>di</strong> un insieme<br />
<strong>di</strong> norme comuni pattuite in precedenza. (Carol Gilligan, In a Different Voice. Psychological<br />
Theory and Women’s Development, Harvard University Press, 1982, (Trad. ital. Carol Gilligan,<br />
Con Voce <strong>di</strong> Donna, Feltrinelli, Milano, 1987).<br />
– 197 –
Non è stato possibile se non dare un quadro frammentario della complessa<br />
e affascinante personalità <strong>di</strong> Christina Rossetti, che si è voluto evidenziare<br />
nei suoi lati più conflittuali e irrisolti. La sua vita continuerà tra<br />
malattie, lutti, momenti <strong>di</strong> impegno sociale e persino politico, nella cerchia<br />
<strong>di</strong>screta <strong>di</strong> amicizie e relazioni che mantenne sempre, e seguita dall’affetto<br />
profondo del fratello William che le sopravvivrà.<br />
Il tema della morte l’aveva sempre accompagnata e, del resto, questo è<br />
uno dei temi più espliciti dell’Ottocento, così come <strong>di</strong> tutti i tempi.<br />
La sua ultima poesia, ‘Passing away’, scritta durante la malattia (il<br />
cancro) che la porterà alla morte, tratta della morte come sollievo dalla sofferenza<br />
della vita:<br />
Sleeping at last, the trouble and tumult over,<br />
Sleeping at last, the struggle and horror past,<br />
Cold and white, out of sight of friend and lover,<br />
Sleeping at last.<br />
No more a tired heart downcast or overcast,<br />
No more pangs that wring or shifting fears that hover,<br />
Sleeping at last in a dreamless sleep locked fast.<br />
Fast asleep. Singing birds in their leafy cover<br />
Cannot wake her, not shake her the gusty blast.<br />
Under the purple thyme and the purple cover<br />
Sleeping at last. 20<br />
20 Morire<br />
Alla fine dormire, cessati l’affanno e il tumulto,<br />
Alla fine dormire, dopo la lotta e l’orrore,<br />
Fred<strong>di</strong> e palli<strong>di</strong>, senza più amici e amore,<br />
Alla fine dormire.<br />
Il cuore stanco non più abbattuto o sopraffatto,<br />
Non più spasimi che lacerano o labili paure che aleggiano,<br />
Alla fine dormire stretti in un sonno senza sogni.<br />
Profondamente addormentati. Gli uccelli canori nei ripari tra le foglie<br />
Non la possono destare, né le raffiche <strong>di</strong> vento scuotere.<br />
Sotto il timo purpureo e il purpureo trifoglio<br />
Alla fine dormire.<br />
(Kathleen Jones, op. cit., p. 234).<br />
– 198 –
Possiamo affiancarla alla poesia giovanile ‘Song’, scritta nel 1848, che<br />
compare in quasi tutte le antologie <strong>di</strong> cui si parlava all’inizio <strong>di</strong> questo articolo,<br />
per cogliere le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> tono:<br />
When I am dead, my dearest,<br />
Sing no sad songs for me;<br />
Plant thou no roses at my head,<br />
Nor shady cypress tree:<br />
Be the green grass above me<br />
With showers and dewdrops wet:<br />
And if thou wilt, remember,<br />
And if thou wilt, forget.<br />
I shall not see the shadows,<br />
I shall not fear the rain;<br />
I shall not hear the nightingale<br />
Sing on as if in pain:<br />
And dreaming through the twilight<br />
That doth not rise nor set,<br />
Haply I may remember,<br />
And haply may forget. 21<br />
21 Canto<br />
Quando sarò morta, amore,<br />
Non cantare tristi canzoni per me;<br />
Non piantare rose sul mio capo,<br />
Né ombrosi cipressi:<br />
Mi copra l’erba verde<br />
Bagnata <strong>di</strong> pioggia e <strong>di</strong> rugiada:<br />
E, se vuoi, ricordami,<br />
E, se vuoi, <strong>di</strong>menticami.<br />
Non vedrò le ombre,<br />
Non temerò la pioggia;<br />
Non udrò l’usignolo<br />
Cantare come se fosse in pena:<br />
E in sogno nel crepuscolo<br />
Che non si alza né si abbassa,<br />
Potrò forse ricordare felice,<br />
E felice forse <strong>di</strong>menticherò.<br />
(Christina Rossetti, Selected Poems, op. cit., p. 25).<br />
– 199 –
Colpisce il tono più leggero <strong>di</strong> questa poesia giovanile, che riecheggia<br />
anche motivi presenti nei sonetti <strong>di</strong> Shakespeare (‘And if thou wilt, remember,<br />
/ And if thou wilt, forget’). In ambedue le poesie ci sono riferimenti<br />
alla natura: quell’usignolo che da morta lei non potrà più ascoltare in ‘Song’,<br />
o quegli uccelli canori che non la potranno più destare in ‘Passing Away’.<br />
Ancora una volta Christina ha pensato a quella primavera che non aveva<br />
potuto vivere. Come il nostro Leopar<strong>di</strong>, questa apparentemente <strong>di</strong>messa<br />
donna vittoriana sentiva <strong>di</strong> rimproverare alla vita la mancata realizzazione<br />
delle promesse formatesi nell’infanzia e inseguite per tutta la vita.<br />
‘Song’ appare un esercizio <strong>di</strong> stile, ma ‘Passing Away’ ci dà la misura<br />
della sofferenza della vita che Shakespeare nel celebre monologo <strong>di</strong> Amleto<br />
aveva espresso e che avrebbe <strong>di</strong> certo con<strong>di</strong>viso con la Rossetti.<br />
Ci sorprende anche in Christina l’assenza <strong>di</strong> quella speranza religiosa<br />
che lei aveva nutrito per tutta la vita con un ferreo rigore e tormenti spirituali<br />
continui, ma si sa che nell’ultimo periodo della sua vita era stata<br />
scossa da terribili sensi <strong>di</strong> colpa e da dubbi riguardanti l’irreprensibilità del<br />
suo comportamento religioso.<br />
Moriva, alle 7,25 del 29 <strong>di</strong>cembre 1894 nella sua casa <strong>di</strong> Torrington<br />
Square a Londra.<br />
Il suo primo biografo, MacKenzie Bell, che fu presente alla cerimonia<br />
funebre al cimitero <strong>di</strong> Highgate, notò come<br />
‘...il sole invernale, che riluceva attraverso i rami senza foglie <strong>di</strong> alcuni<br />
alberi... metteva in risalto tutta la loro trama delicata, mentre un pettirosso<br />
cantava’. 22<br />
22 Kathleen Jones, op. cit., p. 225.<br />
– 200 –
Sezione <strong>di</strong>dattica<br />
(collaborazioni degli studenti)
DONATELLA ARCURI<br />
Fu vera storia?<br />
(Una ricerca della classe 3ª I del <strong>Liceo</strong> Linguistico,<br />
anno scolastico <strong>2004</strong>-2005)<br />
PREMESSA<br />
La ricerca qui presentata è stata svolta dalla Classe 3ª sez. I del <strong>Liceo</strong><br />
Linguistico nella seconda parte dell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005, a completamento<br />
del progetto, promosso dal Comune <strong>di</strong> Roma, cui aveva partecipato<br />
nell’autunno precedente insieme alla classe 2ª B del <strong>Liceo</strong> Classico, coor<strong>di</strong>nata<br />
dalla prof.ssa Fierro.<br />
Nel marzo 2005 gli studenti della 3ª I hanno raccolto una testimonianza<br />
orale su un episo<strong>di</strong>o poco noto avvenuto nella Toscana, occupata dai nazisti,<br />
il 13 e 14 aprile del 1944 (l’episo<strong>di</strong>o noto agli stu<strong>di</strong>osi della Resistenza<br />
come l’Ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Stia Vallucciole, in provincia <strong>di</strong> Arezzo). Gli tratta <strong>di</strong><br />
un’intervista, <strong>di</strong> cui si riportano alcuni stralci particolarmente significativi,<br />
ad una superstite e testimone oculare <strong>di</strong> quei fatti. L’intervista è stata poi<br />
analizzata, commentata e <strong>di</strong>scussa in classe; si è tentato un confronto con le<br />
fonti per così <strong>di</strong>re ufficiali e pubbliche sullo stesso evento e si è soprattutto<br />
avviato un lavoro sui percorsi della memoria, tanto interessanti quanto internamente<br />
problematici e contrad<strong>di</strong>ttori, emergenti dal racconto.<br />
La signora da noi intervistata si chiama Ida F., 1 è stata per molti anni<br />
pe<strong>di</strong>atra nel quartiere Montesacro, ed anche in questa veste ha consolidato<br />
nel tempo un profondo legame personale con l’estensore <strong>di</strong> queste note. Ida<br />
è nata a Trieste il 3 novembre del 1923: ha oggi quin<strong>di</strong> 82 anni ed appartiene,<br />
per generazione e storia personale, a quella classe <strong>di</strong> ultimi testimoni<br />
<strong>di</strong> un’epoca, considerati, a ragione o a torto, “risorse” della ricerca orientata<br />
alla “microstoria” ed alle fonti orali. In particolare, la storia <strong>di</strong> Ida F. è stata<br />
– nei suoi vari passaggi – portatrice della vicenda tumultuosa e dolorosa che<br />
ha riguardato gli Ebrei italiani, in particolare a partire dal ’38, anno della<br />
promulgazione delle leggi razziali.<br />
1 Per ovvie ragioni <strong>di</strong> riservatezza, non ne riportiamo per esteso il cognome. Ulteriori e più<br />
specifiche informazioni possono essere richieste all’estensore <strong>di</strong> queste note.<br />
– 203 –
Nel 1943 l’armistizio e l’occupazione nazista trovano Ida e suo padre a<br />
Firenze, dove la ragazza, allora ventenne, sta stu<strong>di</strong>ando Me<strong>di</strong>cina. Ida ha<br />
già alle spalle, allora, un’aspra vicenda personale: l’espulsione dalla scuola<br />
pubblica, a Trieste, in seguito alle leggi razziali, l’arresto del padre ed il suo<br />
confino politico per attività antifascista, la morte – in circostanze drammatiche<br />
– della madre, nel 1939, la deportazione <strong>di</strong> molti membri della sua<br />
famiglia negli anni della guerra. L’iscrizione all’Università <strong>di</strong> Firenze le è<br />
possibile solo grazie ad un falso certificato <strong>di</strong> battesimo “comprato” dal<br />
padre a carissimo prezzo. Infine gli eventi drammatici dell’occupazione la<br />
costringono, insieme al padre, alla fuga nel Casentino, sul Monte Falterona,<br />
dove Ida è appunto testimone dell’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Stia.<br />
L’INTERVISTA<br />
“Non sono balli a Schömbrunn”.<br />
Intervista a Ida F.<br />
(Roma, marzo 2005)<br />
Cominciamo dall’inizio. Vorremmo sapere quando e perché vi siete rifugiati<br />
in Casentino, perché avete lasciato Firenze?<br />
Dunque praticamente l’8 settembre ’43, quando è successo l’armistizio, il<br />
cosiddetto armistizio, sono piombati in Toscana i Tedeschi. Abbiamo avuto<br />
letteralmente l’invasione dell’esercito tedesco, perché poi lo sbarco gli<br />
Americani lo hanno fatto qua sotto ad Anzio. Io da piazza Cavour, che era<br />
la piazza più vicina, dove finiva una strada che veniva dal bolognese li ho<br />
visti arrivare.<br />
Perché Firenze, dal momento che siete <strong>di</strong> Trieste?<br />
Ho stu<strong>di</strong>ato a Firenze. Stavamo a Firenze.<br />
Perché avete scelto questa città e per quale ragione avete poi dovuto fuggire<br />
da Firenze?<br />
Perché mio padre era ebreo. Io sono sangue misto.<br />
Suo padre era ebreo ma lei era stata battezzata, cioè <strong>di</strong>ciamo che aveva un<br />
documento <strong>di</strong> battesimo falso, questa famosa storia dell’archivio rifatto.<br />
– 204 –
Mio papà ha fatto rifare l’archivio della parrocchia <strong>di</strong> Bancora <strong>di</strong> Trieste.<br />
Dicendo che praticamente mia nonna materna, atea ma ufficialmente cattolica,<br />
spaventata che questa sua nipotina morisse non battezzata, <strong>di</strong> nascosto<br />
dai genitori mi aveva portato a Bancora e mi aveva fatto battezzare: questo<br />
non era niente vero. Mio papà poi pagando fior <strong>di</strong> quattrini ha dovuto far<br />
rifare un anno intero <strong>di</strong> battesimi <strong>di</strong> quella parrocchia per mettermi dentro<br />
l’archivio.<br />
Quin<strong>di</strong> siete scappati da Firenze, avevate un’informazione su Stia Vallucciole.<br />
Come avevate saputo <strong>di</strong> questo posto?<br />
Siamo scappati da Firenze come Ebrei. Allora il Franco Mori che poi è<br />
<strong>di</strong>ventato <strong>di</strong>rettore della clinica neuro-psichiatrica che allora era innamorato<br />
<strong>di</strong> me e mi stava appiccicato, un giorno faceva il servizio militare, in quel<br />
momento, e venne a sapere che quel pomeriggio avrebbero cominciato a<br />
fare un retata degli ebrei a Firenze. Venne a casa nostra non trovò né mio<br />
papà né me e lasciò un biglietto nella cassetta delle poste: “scappate, oggi<br />
prima retata”, e basta. Si capì subito io gli telefono e gli <strong>di</strong>co dove an<strong>di</strong>amo?<br />
E lui mi <strong>di</strong>ce senti in Casentino a Stia c’è la balia che mi ha allattato,<br />
vai a nome mio dalla mia balia. Abbiamo preso quattro cose, abbiamo<br />
portato via i gioielli <strong>di</strong> mia mamma che c’erano ancora, un po’ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong>, i<br />
piatti d’argento <strong>di</strong> casa che poi abbiamo dovuto vendere e così coi piatti<br />
d’argento, abbiamo preso il treno e siamo andati a Stia, dove il parroco <strong>di</strong><br />
Prato Vecchio...<br />
Prato Magno o Prato Vecchio?<br />
No, Prato Magno è l’altro. È la montagna da dove io vedevo poi bombardare<br />
la Val d’Arno. E naturalmente il parroco <strong>di</strong>ce no qui a Prato Vecchio<br />
non potete stare. Si andò su in un posto alla Consuma, il valico. Un mezzadro<br />
che aveva un campo alla Consuma ci affittò una camera, se nonché<br />
questo vecchio <strong>di</strong> sessant’anni, io ne avevo <strong>di</strong>ciotto <strong>di</strong>ciannove, si innamorò<br />
<strong>di</strong> me e cominciò a tentare <strong>di</strong> mettermi le mani addosso, anche brutalmente,<br />
e allora mio papà lo affrontò.<br />
Lei doveva avere vent’anni, vero?<br />
Io sono del novembre del ’23 e nel ’44 avevo vent’anni. Praticamente<br />
questo intendeva mettermi le mani addosso, io lo <strong>di</strong>ssi a papà guarda che<br />
– 205 –
questo vecchiaccio mi allunga le mani sul sedere lui lo affrontò e venimmo<br />
via. Mio papà andò dal parroco <strong>di</strong>cendo guar<strong>di</strong> che io ho questa ragazza <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ciannove anni e questo porco vorrebbe... E allora il parroco ci mandò a<br />
Santa Maria delle Grazie. Dal Casentino fai tutto l’Arno arrivi a Stia e in<br />
quaranta minuti <strong>di</strong> strada nei boschi in posti stupen<strong>di</strong> arrivi a Santa Maria<br />
delle Grazie, che è un santuario. E noi siamo stati lì, in questo santuario,<br />
ospiti del parroco, anzi io figuravo come nipote del parroco. Naturalmente<br />
c’erano i partigiani, tu praticamente in quaranta minuti andavi in Romagna<br />
e questi facevano il <strong>di</strong>n don, 2 gli si faceva il pane, io gli facevo il bucato. Se<br />
ce ne era qualcuno malato tra questi partigiani ce li tenevamo lì, insomma<br />
in fondo questa parrocchia era un pied-à-terre per i partigiani. Era una base.<br />
Sennonché un giorno vengono questi, della Toz 3 (o Tot?) era una frazione<br />
che faceva assistenza agli anziani, che facevano opere <strong>di</strong> manutenzione,<br />
delle mense e cose così. Vennero su a ispezionare, dentro in quel momento<br />
c’era un partigiano, quando questo del camion tedesco monta sul camion<br />
per andar via e <strong>di</strong>cevo meno male, questa bestia <strong>di</strong> partigiano, tac... lo<br />
ammazza. Sono venuti su subito quelli della Toz.<br />
Ma cos’era esattamente questa Toz?<br />
Questa Toz era una specie <strong>di</strong> organo del genio, <strong>di</strong> soldati anziani germanici<br />
che <strong>di</strong>sponevano le mense, le caserme, la manutenzione <strong>di</strong> queste cose qua.<br />
E c’è stata l’uccisione da parte <strong>di</strong> un partigiano <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> questi.<br />
Sì, sono venuti e si sono portati via il morto. Dopo due giorni albeggiava,<br />
mio papà si sveglia e gli chiedo cosa hai, sentiamo un rumore erano i carri<br />
armati della Hermann Goering che hanno fatto la rappresaglia. Hanno<br />
chiuso la strada che andava a Stia, cioè andava all’Arno e si tornava in Toscana.<br />
I partigiani si sono ritirati in Romagna e siamo rimasti io, il parroco,<br />
la perpetua del parroco, mio papà e i conta<strong>di</strong>ni del posto. I conta<strong>di</strong>ni del<br />
posto che ovviamente gli facevo il bucato, mio papà faceva il lavoro <strong>di</strong><br />
sostegno veramente non è che eravamo purissimi dal punto <strong>di</strong> vista politico.<br />
Sentivamo degli spari ma il parroco, che per poco non impazziva, non<br />
vedeva venire nessuno allora il parroco con mio papà andarono a vedere<br />
2 Cioè facevano la spola con il versante romagnolo del Falterona [n.d.r].<br />
3 Ida è incerta sull’esatta denominazione del gruppo, che chiama in<strong>di</strong>fferentemente Toz,<br />
Todt o anche Tot [n.d.r].<br />
– 206 –
cosa era successo. Perché erano case una qua e una là, ognuna sul suo<br />
campo, un posto splen<strong>di</strong>do. Tutti morti, praticamente erano venuti <strong>di</strong>cendo<br />
che avevano aiutato i partigiani e gli avevano sparato. Io ho visto un bambino<br />
piccolo <strong>di</strong> pochi mesi, un colpo in testa davanti a me, insomma erano<br />
tutti morti, hanno fatto piazza pulita <strong>di</strong> tutti i conta<strong>di</strong>ni toscani locali. I partigiani<br />
sono passati dall’altra parte. Siamo stati così per un giorno, a un dato<br />
momento sentiamo che cominciano a sparare contro la canonica e abbiamo<br />
detto è venuto il nostro momento. Mio papà e il parroco si ricordavano tutti<br />
quei morti, anche senza occhi, sì senza occhi, poveretti. Il parroco e la perpetua<br />
hanno detto Cristo mi ha messo in questa chiesa e in questa chiesa<br />
resto. Io mio papà e la nipotina del prete siamo saltati sul retro del primo<br />
piano e attraverso i boschi siamo andati a Stia, però man mano che passavamo<br />
davanti alle case non trovavamo nessuno perché trovavamo solo<br />
morti. Abbiamo attraversato un cinque sei chilometri avevano fatto piazza<br />
pulita <strong>di</strong> Santa Maria delle Grazie. Siamo andati a Stia e il parroco ci ha accolti,<br />
i preti rischiarono la vita, siamo stati lì un <strong>di</strong>eci do<strong>di</strong>ci giorni a Stia.<br />
Intanto questi qua erano sbarcati ad Anzio e venivano su. Ad un dato momento<br />
il parroco ci venne a <strong>di</strong>re qui abbiamo un’unica macchina, questa<br />
macchina va a Firenze, volete venire. È l’ultimo momento per andare a Firenze.<br />
Qui può essere benissimo che ammazzino tutti come può essere benissimo<br />
che ci si salvi. Io e mio papà siamo montati in questa macchina con<br />
altre due persone e abbiamo fatto la Consuma e siamo arrivati alla statale<br />
della Val d’Arno. Arrivati a valle ci ferma un camion tedesco e io e mio<br />
papà facciamo finta <strong>di</strong> non conoscerci, e ci buttano io in un camion e mio<br />
papà in un altro. E noi siamo tornati a Firenze, avendo perso molte cose<br />
anche dell’argenteria, e ci hanno portato sempre su questo camionetto <strong>di</strong><br />
Tedeschi alla gendarmeria <strong>di</strong> Porta Romana. Lì c’erano due file per qualificarci,<br />
noi non avevamo carte d’identità. 4 Molti ebrei avevano la carta <strong>di</strong><br />
Palermo, <strong>di</strong> Tunisi, noi avevamo quella <strong>di</strong> Trieste. Uno si è messo in una<br />
fila uno nell’altra e abbiamo fatto finta <strong>di</strong> non conoscerci, abbiamo fatto un<br />
paio d’ore <strong>di</strong> fila perché lì qualificavano tutti, perché lì deportavano gli<br />
uomini in Germania. E allora io sono passata mio papà che allora aveva già<br />
quasi sessant’anni anche lui ebreo piccoletto, insomma non andava bene.<br />
Lo hanno salvato non lo hanno preso.<br />
4 Ida intende qui <strong>di</strong>re che lei e suo padre non erano in possesso <strong>di</strong> documenti falsi – che<br />
non li avrebbero resi imme<strong>di</strong>atamente riconoscibili come Ebrei – ma erano delle carte <strong>di</strong> identità<br />
autentiche [n.d.r].<br />
– 207 –
Né per la deportazione né per lavoro?<br />
No, aveva già sessant’anni. Questo era primi <strong>di</strong> Luglio fine Giugno del ’44.<br />
Mio papà che era del ’82 aveva già più <strong>di</strong> sessant’anni. Siamo usciti insieme<br />
facendo finta <strong>di</strong> non conoscerci, ognuno ha preso un tram <strong>di</strong>verso e ci<br />
siamo ritrovati a casa un’altra volta. Lì a Firenze avevamo una casa che<br />
dava sulla ferrovia, gli Americani ci hanno bombardato e poi hanno combattuto<br />
strada per strada. Una notte sentiamo urlare, era l’alba, era un<br />
gruppo <strong>di</strong> Tedeschi in ritirata che stavano violentando una ragazza nella<br />
casa <strong>di</strong> fronte. Nel buio della notte sentivi questa che urlava, ci siamo affacciati,<br />
mio papà che sapeva il tedesco capì che in ritirata stavano violentando<br />
così per sfizio. Mi prese, e <strong>di</strong>ce adesso passano il portone e allora mi portò in<br />
terrazza e mi fece mettere <strong>di</strong> fuori oltre una colonna. Mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> rimanere lì,<br />
dopo o vieni a casa o vai dai vicini e io sono rimasta qualche momento attaccata<br />
<strong>di</strong> fuori per vedere se venivano e se suonavano.<br />
Ma a proposito <strong>di</strong> lingua tedesca, lei <strong>di</strong>ceva, raccontando dell’ecci<strong>di</strong>o che i<br />
nella canonica i Tedeschi si sono seduti a tavola, e lei li ha serviti...<br />
Praticamente loro sono arrivati, sono venuti da noi, hanno or<strong>di</strong>nato il pranzo<br />
e hanno voluto che le due donne della parrocchia li servissero, ve<strong>di</strong> l’ufficialità.<br />
Li ho serviti e siccome capivo e parlavo il tedesco ero quasi<br />
bilingue. Ho dovuto servire a tavola mentre capivo quello che facevano, ho<br />
dovuto resistere a questi che raccontavano che avevano ammazzato un<br />
bambino, che avevano violentato una ragazza prima <strong>di</strong> ammazzarla. Io che<br />
capivo benissimo, molto meglio <strong>di</strong> adesso, e io imperterrita ho avuto la<br />
forza <strong>di</strong> non tra<strong>di</strong>rmi.<br />
Ci sono stati dei processi, qualcuno è stato denunciato?<br />
Era la migliore sezione delle SS, la Hermann Goering, la crema delle SS.<br />
A me un ragazzino che non avrà avuto nemmeno <strong>di</strong>ciotto anni ci ha portato<br />
via tutti i sol<strong>di</strong> che avevamo, cinque lire ci ha lasciato. La trage<strong>di</strong>a, mio<br />
papà parlava perfettamente tedesco io anche molto bene, capivo quello che<br />
si <strong>di</strong>cevano. A parte la paura <strong>di</strong> come si muore il dramma era questo, capivo<br />
ma dovevo fare finta <strong>di</strong> niente.<br />
Lei è rimasta in contatto con qualcuno dei superstiti negli anni successivi?<br />
Ma superstiti non ce ne sono stati, solo il parroco e la nipotina. Poi io non<br />
– 208 –
ho avuto più il coraggio <strong>di</strong> andare, vorrei andare ma credo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperarmi<br />
troppo.<br />
A Firenze poi quanti anni è rimasta?<br />
Mio papà poi ha comprato casa si è risposato, io ho la tomba a Firenze.<br />
Lei ha mai letto mai qualcosa delle stragi toscane,è riuscita a farsi un’idea<br />
al <strong>di</strong> là della sua storia privata <strong>di</strong> quello che è accaduto?<br />
Mio papà era ispettore delle Assicurazioni Generali e girava tutta la<br />
Toscana. Un giorno tornò sconvolto quasi piangeva perché attorno a Lucca<br />
fecero un altro ecci<strong>di</strong>o e però quello è stato molto reclamizzato.<br />
Sarà stato Sant’Anna <strong>di</strong> Stazzema...<br />
Sì, e mio papà <strong>di</strong>ce tu non sai che non siamo i soli che anche a Sant’Anna<br />
hanno fatto una strage.<br />
Ma in moltissimi luoghi ci sono una quantità infinita <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> violenza.<br />
Anche in Emilia a Marzabotto, ma quello si conosce perché è molto reclamizzato.<br />
Però <strong>di</strong> Stia nessuno sa quasi niente.<br />
Infatti è molto importante che lei lo racconti. Lo sa quanti morti ci sono stati?<br />
Ma io credo un centotrenta, cento quaranta in tutta la vallata.<br />
Sì, e duecentoottantanove in tutta l’area del Falterona...<br />
È probabile, gli unici sopravvissuti eravamo io, mio padre, la perpetua, il<br />
parroco e la sua nipotina perché noi passavamo ed erano tutti morti.<br />
In questi anni ha cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare, o comunque che sentimenti prova<br />
nei confronti <strong>di</strong> questo passato così terribile?<br />
Io ringrazio Dio che a quattor<strong>di</strong>ci anni mi ero fissata in testa che avrei fatto<br />
il me<strong>di</strong>co, perché lavoravo talmente tanto e quando facevo il me<strong>di</strong>co lì<br />
dovevo stare, lì dovevo vedere cos’era e cosa scrivevo <strong>di</strong> ricette perciò<br />
tornavo a casa mangiavo e mi buttavo a dormire, qualche volta mi invitava<br />
qualcuno a cena. Tutte queste cose sono venute fuori inaspettatamente<br />
– 209 –
adesso che non lavoro più. Perché allora alla mattina alle sette e mezza<br />
incominciavano a telefonarmi, poi dovevo stare attenta a come rispondevo<br />
alle mamme, lavoravo venivo a casa pranzavo, riposavo un po’. Facevo<br />
l’ambulatorio il pomeriggio poi la sera prima delle nove facevo qualche<br />
altra visita e questo io lo ho fatto fino ai miei settant’anni. Ma poi anche<br />
in pensione mi chiamavano privatamente adesso sono quattro anni che non<br />
lavoro più. Adesso che ho la mattinata libera piacevolmente leggo delle<br />
cose, mi guardo storia dell’arte e improvvisamente mi metto a piangere<br />
perché torno in<strong>di</strong>etro. La trage<strong>di</strong>a in fondo la vivo questi anni che non ho<br />
niente da fare. Quando facevo il pe<strong>di</strong>atra ero occupata, dovevo stare attenta<br />
a quello che facevo. Io ho avuto la grazia <strong>di</strong> avere un lavoro per cinquant’anni<br />
impegnativo.<br />
Oggi che cosa sente rispetto a tutto questo?<br />
Piango. Purtroppo non so fare altro che piangere quei tempi, quei bambini<br />
morti, quei poveri morti che avevano aiutato dei partigiani, che sono scappati<br />
<strong>di</strong> là, i partigiani via dall’altra parte. E noi d’altra parte avevamo la<br />
base. Se stavano male stavano da noi, gli si faceva il pane, gli si lavava la<br />
biancheria. Un posto stupendo, magnifico.<br />
Lei non ha mai parlato <strong>di</strong> questa storia in una sede non privata, in una<br />
sede pubblica, istituzionale?<br />
Ma io non ne sento il bisogno. Sono esperienze, è vita mia e non è giusto che<br />
venga con<strong>di</strong>visa. Siccome non sono cose allegre, sono cose tristi non voglio<br />
rattristare la gente. Me li tengo per me, non sono balli a Schömbrunn.<br />
Come citta<strong>di</strong>na italiana lei cosa si sentirebbe <strong>di</strong> <strong>di</strong>re ai ragazzi che del<br />
ventennio non sanno quasi nulla, <strong>di</strong> questa storia così violenta... della<br />
guerra?<br />
La zia Amalia quella che mi ha fatto da mamma la hanno portata via da<br />
Trieste. Zia Amalia e il marito quando è morta mia mamma che io avevo se<strong>di</strong>ci<br />
anni mi hanno preso in casa loro e mi ha fatto lei da mamma. La hanno<br />
portata via con il marito Alberto, 5 lui era ingegnere, io tante volte piangevo<br />
5 Ida fa qui riferimento, evidentemente, alla deportazione dei suoi familiari ad Auschwitz<br />
[n.d.r].<br />
– 210 –
per zia Amalia. Quella bestia del mio papà si è fatto mandare al confino<br />
politico, quando è morta mia mamma, quando mia mamma è stata male. Già<br />
mi avevano buttato fuori scuola come sporca ebrea, mia mamma aveva avuto<br />
un tumore al cervello, è morta a quarantotto anni, per fortuna è stata male<br />
solo venticinque giorni perché il tumore è stata un’emorragia ed è morta subito;<br />
l’imbecille era al confino politico, mio papà si è fatto due anni <strong>di</strong> confino.<br />
Buttato fuori dalle Assicurazioni Generali come sporco ebreo, allora lui<br />
ha cominciato a scrivere lettere contro il fascismo, stupidaggini. Così lo<br />
hanno beccato: due anni <strong>di</strong> confino politico a Moliterno. E a mamma le<br />
venne il tumore, per fortuna emorragia cerebrale e in venticinque giorni è andata.<br />
Ma io i giorni <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> mia mamma me li sono fatti tutti da sola,<br />
perché quell’imbecille era al confino politico. Io sono forte come carattere,<br />
come mio nonno boemo. Io sono un misto <strong>di</strong> culture e <strong>di</strong> esperienze <strong>di</strong> vita.<br />
Queste esperienze si sentono ora che ho il tempo <strong>di</strong> pensarci, perché prima<br />
ero talmente indaffarata... che non avevo neanche il tempo...<br />
GLI EVENTI<br />
La ricostruzione dei fatti avvenuti il 13 e 14 aprile 1944 a Stia Vallucciole<br />
non è del tutto priva <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong> incertezza: almeno su alcuni “dettagli”<br />
restano dubbi significativi.<br />
Nella primavera-estate del 1944 ci troviamo in una fase critica del conflitto:<br />
la ritirata tedesca, la rapida avanzata degli alleati, l’assestamento della<br />
linea gotica. Per quel che riguarda l’Italia Centrale, e la Toscana in particolare,<br />
emerge l’importanza <strong>di</strong> una strategia militare tedesca, messa a punto<br />
dopo l’attentato romano <strong>di</strong> Via Rasella, il cosiddetto “sistema degli or<strong>di</strong>ni”<br />
emanato da Kesserling, autore della famosa “clausola dell’impunità” garantita<br />
a chi avesse “ecceduto” nella repressione dell’attività partigiana. Si<br />
tratta <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> guerra “totale” in cui il confine fra combattenti e civili è<br />
veramente labile. Tutta l’atroce catena <strong>di</strong> ecci<strong>di</strong>, stragi e rappresaglie, censite<br />
in Toscana tra la primavera e l’autunno del ’44 evoca appunto una spaventosa<br />
e in<strong>di</strong>scriminata “guerra ai civili”. 6 Sui fatti <strong>di</strong> Stia Vallucciole esistono<br />
versioni <strong>di</strong>vergenti nel riferire alcuni dati. Sembra tuttavia sufficiente-<br />
6 Cfr., in particolare, BATTINI-PEZZINO, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del<br />
massacro. Toscana 1944, Padova, Marsilio, 1997; L. Paggi, Storia e memoria <strong>di</strong> un massacro<br />
or<strong>di</strong>nario, Roma, manifestolibri, 1996.<br />
– 211 –
mente accertato che nella zona (Alto Casentino, versante meri<strong>di</strong>onale del<br />
Monte Falterona) erano presenti, già dall’armistizio, formazioni partigiane e<br />
che l’area era <strong>di</strong>venuta strategicamente importante ed oggetto <strong>di</strong> rastrellamenti<br />
sistematici da parte <strong>di</strong> unità tedesche <strong>di</strong>verse. Le informazioni <strong>di</strong>vergono<br />
sostanzialmente sul dato che si riferisce ai protagonisti dell’ecci<strong>di</strong>o:<br />
secondo la maggioranza delle fonti (così come secondo la memoria della<br />
nostra testimone) a Stia Vallucciole operò la <strong>di</strong>visione Göering, sostenuta<br />
da contingenti <strong>di</strong> SS e da elementi della RSI. Le fonti concordano tuttavia<br />
nel valutare l’ecci<strong>di</strong>o non come un atto <strong>di</strong> rappresaglia, ma come una delle<br />
pre-or<strong>di</strong>nate e sistematiche azioni <strong>di</strong> “ripulitura” del territorio dai ribelli.<br />
Stia, del resto, vanta il triste primato del primo partigiano caduto in Toscana<br />
(Pio Borri, novembre ’43). A Vallucciole, comunque, vengono sterminate<br />
intere famiglie, con una grande maggioranza <strong>di</strong> donne e bambini, compreso<br />
un neonato <strong>di</strong> tre mesi. I sistemi adottati appaiono atroci: incen<strong>di</strong> <strong>di</strong> casolari,<br />
fucilazioni <strong>di</strong> massa, feroci violenze sulle vittime. I caduti furono 108 a<br />
Vallucciole (137 secondo le fonti militari tedesche citata da Battini e Pezzino)<br />
e 289 in tutta l’area del Falterona. L’ecci<strong>di</strong>o fu l’avvio <strong>di</strong> una catena <strong>di</strong><br />
sangue che avrebbe attraversato tutta la Toscana, da sud a nord, tra la primavera<br />
e l’autunno del ’44, con un tragico bilancio <strong>di</strong> 3.770 vittime civili, ed è<br />
peraltro significativo che sempre le stesse fonti militari facciano riferimento<br />
ad un numero molto maggiore, circa 6.000 morti.<br />
Gli stu<strong>di</strong> già citati <strong>di</strong> Battini e Pezzino, e quelli <strong>di</strong> Giovanni Contini, 7<br />
che si è occupato in particolare dell’aretino, hanno tutti rilevato la grande<br />
varietà dei casi occorsi e l’estrema <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> una classificazione tipologica<br />
chiara delle atrocità commesse (stragi, ecci<strong>di</strong>, rappresaglie...). Ma al <strong>di</strong><br />
là dell’impossibilità <strong>di</strong> costruire para<strong>di</strong>gmi tipologici e categorie assolute<br />
resta, in tutte le valutazioni, la certezza della “guerra ai civili” data per<br />
scontata e del terrore da somministrare anche preventivamente. In questa<br />
sorta <strong>di</strong> sociologica seren<strong>di</strong>pity sulla lettura dei fatti le ricerche sono più o<br />
meno d’accordo su questo dato: solo una ristretta minoranza <strong>di</strong> azioni punitive<br />
sono state in Toscana classificabili come rappresaglie, se per rappresaglia<br />
si intende “una reazione militare imme<strong>di</strong>atamente percepibile come risposta<br />
ad una azione partigiana” (Cfr. Battini, Pezzino, passim). In Toscana,<br />
su 192 azioni classificate dalla ricerca <strong>di</strong> Battini e Pezzino, solo il 19% e<br />
costituito da rappresaglie, ed il molte <strong>di</strong> esse si riscontra una partecipazione<br />
esplicita <strong>di</strong> reparti della RSI.<br />
7 G. CONTINI, La memoria <strong>di</strong>visa, Milano, Rizzoli, 1997.<br />
– 212 –
Ma il tema davvero emergente in tutte le ricostruzioni dei fatti della<br />
primavera-estate del ’44 in Toscana, e non solo quin<strong>di</strong> nella minoranza <strong>di</strong><br />
azioni classificabili come rappresaglie, è senza dubbio quello del complesso<br />
rapporto tra Resistenza e popolazioni civili. Su questo punto sembra essere<br />
molto problematico il raccordo delle memorie personali e private con i<br />
para<strong>di</strong>gmi del <strong>di</strong>scorso politico collettivo e istituzionale. Si è parlato <strong>di</strong><br />
“memorie <strong>di</strong>vise, segmentate e conflittuali” (cfr. Contini, 1997) ed è abbastanza<br />
noto, anche grazie al lavoro <strong>di</strong> Portelli sulla memoria delle Fosse<br />
Ardeatine, 8 che le rappresaglie o comunque le ritorsioni praticate su larga<br />
scala contro le popolazioni civili hanno prodotto o allargato la frattura tra<br />
queste e le forze partigiane. Certamente la ricerca <strong>di</strong> colpevoli, la possibilità<br />
<strong>di</strong> reperire e materializzare una responsabilità, costituisce un meccanismo<br />
antichissimo <strong>di</strong> allentamento della tensione. Spiega, dalla parte delle vittime,<br />
un inesplicabile che inesplicabile non è affatto, se guardato dalla parte<br />
della strategia militare del terrore, come quella che si abbatte in Toscana<br />
nel ’44. L’argomento è impervio: al <strong>di</strong> là del fatto che i Partigiani fossero a<br />
volte protagonisti <strong>di</strong> imprudenze o <strong>di</strong> atti dalle conseguenze non adeguatamente<br />
previste (come pure in qualche occasione è avvenuto), resta il dato<br />
certo che le rappresaglie tedesche prescindevano <strong>di</strong> norma da una effettiva<br />
attività partigiana nei confronti delle truppe occupanti. La Toscana del ’44<br />
non potrebbe <strong>di</strong>mostrarlo più chiaramente: si trattava, infatti, <strong>di</strong> punire le<br />
popolazioni civili in genere sia per l’ostilità anti-tedesca che per il sostegno<br />
“eventuale” offerto alla lotta partigiana e <strong>di</strong> farlo magari preventivamente, e<br />
con l’unica variabile della misura del terrore da praticare.<br />
Attorno alla memoria della Resistenza – come è noto – si è combattuta e<br />
si combatte un’aspra contesa per il senso, la cui complessità stratigrafica – si<br />
<strong>di</strong>rebbe – mostra in quanti e quali mo<strong>di</strong> possa essere declinato il concetto<br />
generale <strong>di</strong> Resistenza. 9 Specularmente sono complesse le memorie, quelle<br />
<strong>di</strong> entrambe le parti, e particolarmente lo sono quelle dell’uomo comune –<br />
collocato in quella sorta <strong>di</strong> “zona grigia” <strong>di</strong> cui parla Primo Levi – che non si<br />
riconosce nei gran<strong>di</strong> miti fondativi e collettivi della Repubblica. 10 A questa<br />
zona ed al suo spazio incerto, come una sorta <strong>di</strong> terra <strong>di</strong> nessuno tra due riconoscibili<br />
territori appartiene probabilmente questa memoria <strong>di</strong> Ida.<br />
8 A. PORTELLI, L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito, Roma, Donzelli, 2000.<br />
9 C. PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino,<br />
Einau<strong>di</strong>, 1991.<br />
10 Cfr. BATTINI-PEZZINO, op.cit., pp. XII-XIV.<br />
– 213 –
LA MEMORIA DI IDA<br />
Ottima la polvere <strong>di</strong> sandalo per alleviare il dolore del ricordo<br />
C.B. Divakaruni, La maga delle spezie<br />
Da una lettura attenta dell’intervista proposta emerge abbastanza chiaramente<br />
l’ambivalenza del rapporto che la protagonista intrattiene con la propria<br />
storia. Come Portelli <strong>di</strong>ce delle memorie legate alla guerra, anche questa<br />
appare “troppo cruciale per essere <strong>di</strong>menticata e troppo traumatica e conflittuale<br />
per essere interamente ricordata”. 11 Si costruisce e si decostruisce,<br />
perde e trova il suo senso nell’interazione con l’oblio e ancora <strong>di</strong> più, forse,<br />
in questo caso, con una sorta <strong>di</strong> inconsapevolezza. Memoria e oblio da un<br />
lato, passato e presente dall’altro, si annidano profondamente gli uni negli<br />
altri, si scambiano le parti, mescolano i loro confini, e allineano su uno<br />
stesso segmento narrativo cose <strong>di</strong>verse, ma che sono o si sentono reciprocamente<br />
compatibili, come le due <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong> un faticoso palindromo. Più<br />
volte, nel corso del suo racconto, la nostra testimone sembra andare incontro<br />
alla catastrofe emotiva: la sua voce si incrina, piange, ma poi torna al racconto<br />
come ciò che la salverà da quella stessa catastrofe. Per molti anni non<br />
si è affrontata la memoria <strong>di</strong> quegli eventi, ed ora che “ho molto tempo<br />
libero” essa incombe, con un insopprimibile carico <strong>di</strong> angoscia.<br />
Va da sé che il racconto non mira ad alcuna ricostruzione oggettiva<br />
né ad alcuna veri<strong>di</strong>cità storica: la protagonista ignora del tutto cosa sia<br />
successo prima dei fatti <strong>di</strong> Stia Vallucciole, perché siano accaduti quei fatti<br />
e come la storia sia poi andata avanti. La strage “più reclamizzata” <strong>di</strong> cui<br />
le parla il padre può essere in<strong>di</strong>fferentemente Sant’Anna <strong>di</strong> Stazzema (del<br />
suggerimento in questo senso Ida si appropria in effetti subito) o uno degli<br />
infiniti episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> violenza <strong>di</strong> cui è costellata la primavera-estate del ’44 in<br />
Toscana. Se ne appropria peraltro come <strong>di</strong>strattamente, per fuggirne via e<br />
tornare imme<strong>di</strong>atamente alla sua storia. Cosa sia questo famoso “organo del<br />
Genio” <strong>di</strong> cui racconta, non è affatto chiaro, anzi del tutto oscura è persino<br />
la sua denominazione (Toz, Tot, Todt...) alla quale le stesse fonti ufficiali<br />
non trovano riscontro. Chi viene “a prendere il morto”, anche questo è<br />
dubbio: nel suo racconto sembrano essere soldati tedeschi, ma una fonte<br />
accre<strong>di</strong>tata parla invece <strong>di</strong> reparti italiani della RSI. È chiaro comunque che<br />
non si tratta <strong>di</strong> dettagli fondamentali. L’obiettivo del racconto non è affatto<br />
11 A. PORTELLI, conferenza tenuta in Campidoglio nel marzo 2005.<br />
– 214 –
quello <strong>di</strong> una ricostruzione atten<strong>di</strong>bile e verace, ma quello <strong>di</strong> un tentativo<br />
sofferto, peraltro mancato, <strong>di</strong> riconciliazione con quella storia così <strong>di</strong>fficile:<br />
la speranza, forse, <strong>di</strong> recuperarne un senso, magari anche un valore, ripercorrendola.<br />
In tutta evidenza, i nuclei narrativi sono circondati da vaste<br />
zone <strong>di</strong> silenzio e <strong>di</strong> rabbia: la chiave – senza voler troppo indulgere a facili<br />
psicologismi, ma è inevitabile cogliere questo elemento – è il rapporto con<br />
il padre, l’ebreo piccoletto che sfugge del tutto incomprensibilmente al rastrellamento<br />
per il lavoro coatto ed alla deportazione, pur non <strong>di</strong>sponendo<br />
<strong>di</strong> una falsa identità. Nel racconto sul ritorno a Firenze, assieme ad altri<br />
sfollati, la <strong>di</strong>versione è imme<strong>di</strong>ata. Il racconto si sposta sul bombardamento<br />
alleato, sulla ragazza stuprata dai tedeschi in fuga, nella casa accanto, su<br />
un’orticaria che comincia con una scheggia <strong>di</strong> quelle bombe, che la manca<br />
per un soffio, e che durerà tutta la vita, ad ondate ricorrenti, come una sorta<br />
<strong>di</strong> memorandum inciso sulla pelle. La <strong>di</strong>ce lunga il fatto che proprio questa<br />
parte del racconto, sempre ben presente nei vagabondaggi rapso<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Ida<br />
intorno al proprio passato, qui invece sia assente. Il racconto ci si avvicina,<br />
come un satellite ad alta definizione, e poi <strong>di</strong>verge.<br />
La ricostruzione dell’episo<strong>di</strong>o cruciale, l’uccisione <strong>di</strong> un tedesco da<br />
parte del partigiano nascosto nella canonica, fatto che avrebbe poi innescato<br />
la vendetta sul paese intero, può bensì essere un ricordo preciso, un vero<br />
ricordo, anche se <strong>di</strong>versamente e con <strong>di</strong>versa enfasi raccontato da altre fonti.<br />
Ma certamente il racconto lo ricostruisce come un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> violenza partigiana,<br />
tanto improvvisa quanto sconsiderata e immotivata: improvvisamente<br />
e immotivatamente, appunto, un partigiano – quella “bestia <strong>di</strong> partigiano” –<br />
spara, uccidendo un soldato tedesco, proprio quando i tedeschi stanno per<br />
andarsene, dopo l’ispezione. Altrettanto sconsiderata e immotivata è stata la<br />
scelta del padre. Quella che gli sarebbe costata il confino politico a Moliterno<br />
per attività antifascista: “stupidaggini”, conclude frettolosamente Ida a<br />
proposito delle lettere incriminate, scritte dal padre, e prefigura, nella rappresentazione<br />
<strong>di</strong> quel passato, una sorta <strong>di</strong> responsabilità, <strong>di</strong> “quell’imbecille”<br />
del padre non tanto – forse? – rispetto alla morte della moglie, quanto alla<br />
solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Ida se<strong>di</strong>cenne davanti alla malattia e alla morte della madre.<br />
Anche i partigiani del resto, sono passati dall’altra parte, sul versante emiliano,<br />
facevano il “<strong>di</strong>n don”... In tre punti <strong>di</strong>stinti del racconto è ricordato<br />
questo passaggio dei partigiani dall’altra parte, come a sottintendere anche<br />
qui una solitu<strong>di</strong>ne delle vittime, che invece restano sole a subire ogni possibile<br />
vendetta: della vita o della storia. Sessant’anni non sono stati sufficienti<br />
per colmare un fossato <strong>di</strong> incomprensione e riempirlo <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> positivo<br />
– 215 –
e <strong>di</strong> forte, magari qualcosa con cui rapportarsi con orgoglio. Ma qui ovviamente<br />
ciascuno è solo davanti alla propria storia, one by one: per essere in<br />
compagnia occorrerebbe rinunciare allo “sguardo da nessun luogo” <strong>di</strong> cui<br />
Ida <strong>di</strong>spone. Sarebbe necessario collocarsi in un una rete <strong>di</strong> appartenenze e <strong>di</strong><br />
relazioni da cui guardare: un noi – insomma – che ricorda e racconta, anziché<br />
la solitu<strong>di</strong>ne senza ra<strong>di</strong>ci e senza scampo in cui la nostra testimone si<br />
colloca. Da questa solitu<strong>di</strong>ne e questo non-luogo non viene agli epigoni<br />
nessun monito <strong>di</strong>retto. Interrogata sul “cosa <strong>di</strong>re” ai giovani <strong>di</strong> quella storia<br />
terribile, Ida risponde infatti svagatamene – ma insieme animosamente –<br />
limitandosi a richiamare il ricordo insuperabilmente privato “della zia<br />
Amalia”, attirata a se stessa e al suo unico orizzonte da un’indomabile forza<br />
<strong>di</strong> gravità.<br />
CONCLUSIONI<br />
Avere raccolto questo racconto, e portato l’attenzione degli studenti su<br />
una memoria personale, contigua o contenuta in un segmento fondamentale<br />
della storia collettiva e pubblica, non voleva <strong>di</strong>re – nelle mie intenzioni –<br />
partecipare al coro <strong>di</strong> approvazione generale sul <strong>di</strong>luvio <strong>di</strong> memorie private<br />
che hanno, negli ultimi anni, affollato il mercato delle idee. È ben vero che<br />
nella considerazione comune il ricordo, dono dei testimoni alle giovani generazioni,<br />
che non hanno visto né vissuto, deve funzionare da monito,<br />
adempiendo ad un compito pedagogico intrascen<strong>di</strong>bile. Ma è altrettanto<br />
vero che memorie <strong>di</strong>vise, separate e antagoniste si prestano, come i temi<br />
essenziali <strong>di</strong> questa intervista, a stucchevoli scontri <strong>di</strong> fazione. Memorie<br />
così “angolate”, internamente conflittuali ed esternamente configgenti con<br />
altre memorie o ad<strong>di</strong>rittura con dati oggettivi (che pure esistono, al <strong>di</strong> là del<br />
problema <strong>di</strong> metodo che riguarda tutte le scienze umane) hanno bisogno <strong>di</strong><br />
una sintesi la cui responsabilità non può essere scaricata su alcuno, tanto<br />
meno su ragazzi notoriamente resistenti allo stu<strong>di</strong>o della storia. Molto<br />
spesso negli ultimi anni una tentazione simile ha riguardato per esempio<br />
l’insegnamento della Shoàh. 12 Servirsi delle memorie sparse, accumulandole<br />
e lasciandole parlare da sé, consentire alla loro ricchezza i<strong>di</strong>ografica <strong>di</strong><br />
“esondare”, per <strong>di</strong>ventare fondamento <strong>di</strong> ricostruzioni o inferenze genera-<br />
12 Cfr. D. ARCURI, Il giorno della memoria e gli anni dell’oblio, Miscellanea Iª, <strong>Liceo</strong><br />
<strong>Orazio</strong>, <strong>2004</strong>-2005.<br />
– 216 –
liste, può essere – a mio avviso – una attitu<strong>di</strong>ne pericolosa per chi insegna o<br />
scrive la storia. Le memorie della guerra lasciano intravedere sempre<br />
sguar<strong>di</strong> troppo angolati, appunto, o troppo dolorosi. 13 Rappresentano – è<br />
banale <strong>di</strong>rlo – un punto <strong>di</strong> vista prezioso ma insufficiente. Qualcuno deve<br />
prendere in carico questi angoli e questi dolori, tesserli in una procedura<br />
con<strong>di</strong>visa, in un uso razionale delle fonti, delle categorie <strong>di</strong>mostrative, dei<br />
criteri <strong>di</strong> rilevanza. Comunque si voglia intendere il rapporto fra storia e<br />
memoria, sono ormai dato <strong>di</strong> fatto tutte le opportunità legate alla “democratizzazione”<br />
della memoria, 14 che moltiplica i depositi e gli archivi a cui<br />
accedere per la ricostruzione del passato. Altrettanto chiaro è ormai quanto<br />
complicato e polisemico sia il territorio delle memorie private, quanto<br />
silenzio, oblio, <strong>di</strong>storsioni, pregiu<strong>di</strong>zi, deperibilità, volatilità, processi <strong>di</strong><br />
significazione – tutti segni meritevoli <strong>di</strong> essere accolti come “eventi”, certo,<br />
ma non come totem – questo territorio contenga.<br />
Come per i pirandelliani sei personaggi, c’è forse anche qui bisogno <strong>di</strong><br />
un Autore, <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione extra-soggettiva che proponga una rotta e –<br />
ove ce ne sia bisogno – corregga o almeno rilevi gli strabismi più evidenti.<br />
Non in nome <strong>di</strong> un’improbabile Storia Oggettiva e sopra le parti, evidentemente,<br />
ma per sottrarre le memorie stesse al rischio <strong>di</strong> un’orizzontale ed<br />
universale insignificanza, laddove su <strong>di</strong> esse non si eserciti uno sguardo responsabile<br />
ed ermeneutico. Il passato perduto, e ciò che ciascuno sente <strong>di</strong><br />
aver perduto, 15 ciò che siamo stati e ciò che ricor<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> essere stati 16 dovranno<br />
cercare una ricongiunzione in quello sguardo responsabile: al riparo<br />
dai toni alti ed altissimi sul dovere della memoria, e rifuggendone gli abusi.<br />
13 Cfr. W. BARBERIS, La storia e la memoria, in “La repubblica”, 25.02.05.<br />
14 Cfr. P. MONTESPERELLI, Sociologia della memoria, Roma-Bari, Laterza, 2003.<br />
15 Y.H. YERUSHALMI, Usi dell’oblio, Parma, Pratiche E<strong>di</strong>trice, 1990.<br />
16 U. GALIMBERTI, La cancellazione della memoria, in AA.VV., Feltrinelli per Firenze,<br />
Milano, Feltrinelli, 1993.<br />
– 217 –
CLAUDIO JANKOWSKI<br />
Antologia <strong>di</strong> racconti<br />
Lo scorso anno gli studenti dell’attuale 2ª G hanno intrapreso, con il<br />
laboratorio <strong>di</strong> scrittura, de<strong>di</strong>cando un’ora a settimana al componimento <strong>di</strong> vari<br />
racconti, un progetto consistente nel creare romanzi su tematiche a scelta. Al<br />
termine dell’anno scolastico è stato redatto un libro (su supporto magnetico) e<br />
stampato con copia in biblioteca contenente tutti i racconti scritti.<br />
In quest’anno scolastico (2005-2006) si cercherà, tramite il laboratorio<br />
<strong>di</strong> scrittura, <strong>di</strong> elaborare un’antologia <strong>di</strong> racconti riguardanti le tematiche<br />
maggiormente sentite dai ragazzi ed espresse attraverso il genere Fantasy.<br />
A seguire due racconti del laboratorio dello scorso anno.<br />
____ ____ ____<br />
Il romanzo <strong>di</strong> Enea<br />
<strong>di</strong> FABRIZIO COSMI<br />
INTRODUZIONE<br />
Poche righe per spiegare come è nato questo racconto. Tempo fa, ultimato<br />
<strong>di</strong> leggere l’Iliade nell’e<strong>di</strong>zione adattata da Alessandro Baricco, ho<br />
pensato che sarebbe stato bello poter scrivere l’opera secondo la mia inventiva,<br />
prendendo spunto sia dal testo originale che dal film “Troy”, del regista<br />
Wolfgang Petersen. E così ho fatto, dando la possibilità a tutti i ragazzi<br />
<strong>di</strong> poter leggere questo libro senza doversi impegnare troppo per capire una<br />
singola parola, e <strong>di</strong> provare le sensazioni <strong>di</strong> curiosità che ho provato io<br />
quando sfogliavo una pagina, e quando la notte mi immaginavo nei sogni le<br />
battaglie e gli avvenimenti che il libro narra. In questo romanzo il protagonista<br />
è Enea ed allo stesso tempo Enea fa anche da narratore. Ma non indugiamo<br />
oltre e iniziamo la nostra lettura. Però ho un consiglio da darvi: se<br />
siete “un pubblico” inferiore ai 12 anni, è sconsigliata questa lettura. Spero<br />
che tutti Voi possiate capire la mia scelta <strong>di</strong> riproporre l’Iliade.<br />
– 218 –
In questo adattamento, come Voi noterete, ho apportato qualche cambiamento,<br />
e spero che le scelte Vi piacciano, e Vi rendano più avvincente la<br />
lettura in modo da poterVi anche stupire.<br />
IL RACCONTO DI ENEA<br />
Nel mio tempo, l’uomo era ossessionato dalla mania <strong>di</strong> grandezza. Era<br />
sempre soggetto <strong>di</strong> domande, del tipo: “Come mi ricorderanno gli uomini<br />
futuri quando il mio tempo sarà terminato? Con quanto ardore <strong>di</strong>ranno che<br />
mi sono battuto? Come e quanto ho amato la mia donna? In che modo verrò<br />
ricordato nella storia a venire?”.<br />
Su una cosa però credo che siamo tutti d’accordo, la storia è sempre<br />
scritta dai vincitori. Quando due culture si scontrano, chi perde viene cancellato<br />
e il vincitore scrive i libri <strong>di</strong> storia, libri che sostengono la sua causa<br />
e condannano quella del nemico sconfitto. Ma in realtà cos’è la storia, se<br />
non una favola su cui ci si è messi d’accordo? Per sua stessa natura la storia<br />
è sempre un racconto da una sola prospettiva. Secondo alcuni la storia si<br />
scrive con le guerre e con le battaglie, che sono frutto solo <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione,<br />
gli uomini pensano che le loro gesta <strong>di</strong> violenza riecheggeranno<br />
nell’eternità, e anche per questo motivo esistevano gli eroi; perché quelli<br />
come Achille, gran<strong>di</strong> guerrieri dal cuore nobile, non si tiravano mai in<strong>di</strong>etro<br />
nelle battaglie per non passare la vita come un nessuno.<br />
PRIMI GIORNI DI BATTAGLIA<br />
Questa è la storia <strong>di</strong> un tempo lontanissimo, <strong>di</strong> eroi e cavalieri, <strong>di</strong> dame<br />
e <strong>di</strong> schiave; questa è la storia della guerra combattuta a Troia, tra Troiani e<br />
Greci, e solo gente come me la può narrare poiché io sono uno dei pochi<br />
sopravvissuti. Il mio nome è Enea, figlio d’Anchise.<br />
Tutto cominciò quando la bella Elena, moglie <strong>di</strong> Menelao, figlio <strong>di</strong><br />
Atreo e fratello <strong>di</strong> Agamennone, allora il re dei re signore degli Atri<strong>di</strong>, fuggi<br />
a Troia con Paride, figlio <strong>di</strong> Priamo il saggio, signore della terra troiana. In<br />
quel tempo era appena stata proclamata la pace tra e Troiani ma la fuga <strong>di</strong><br />
Elena provocò un’imme<strong>di</strong>ata posizione <strong>di</strong> ostilità. Quando Ettore e Priamo,<br />
rispettivamente protettore e signore <strong>di</strong> Troia, vennero a conoscenza che<br />
Elena era fuggita da Menelao, ormai rassegnati si prepararono alla guerra;<br />
– 219 –
in pochi mesi riuscirono a costituire un esercito, inferiore <strong>di</strong> numero rispetto<br />
a quello greco, e fecero fortificare tutte le mura, raddoppiando le sentinelle<br />
<strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a in attesa <strong>di</strong> avvistare lo sbarco dei nemici nelle nostre belle terre.<br />
Queste, brune e fertili, presto sarebbero <strong>di</strong>ventate rosse dal sangue degli uomini<br />
morti sotto i colpi delle armi. Io andai sulla spiaggia per piantare trappole<br />
nella sabbia e per creare delle rientranze nel terreno, dove si sarebbero<br />
in seguito appostati gli arcieri. Inoltre realizzammo una sostanza oleosa infiammabile,<br />
che spargemmo per <strong>di</strong>versi chilometri sulla riva, in modo che<br />
al momento dello sbarco avremmo potuto accendere attraverso frecce infuocate,<br />
creando un “muro” <strong>di</strong> fuoco alto circa 4 metri. Tutto era pronto, e ogni<br />
giorno per me sembrava essere l’ultimo <strong>di</strong> una pace tanto desiderata e che<br />
stava per finire.<br />
Presto apparvero i Greci. Erano numerosissimi, le loro navi erano sicuramente<br />
più <strong>di</strong> mille, a quel punto mi si strinse il cuore cominciando a temere<br />
la nostra sconfitta nel giro <strong>di</strong> pochi mesi, ma tra <strong>di</strong> noi c’era il grande<br />
Ettore, il più forte <strong>di</strong> Troia che con un sorriso ironico <strong>di</strong>sse: “An<strong>di</strong>amo ad<br />
augurare loro il buon arrivo...” e noi tutti rapi<strong>di</strong> come non mai andammo a<br />
schierarci fuori le mura e a cavallo e a pie<strong>di</strong> corremmo verso il nemico. Io<br />
ero su un carro molto attrezzato in prima fila, accanto a me c’era il mio<br />
fedelissimo amico Democoonte conosciuto come figlio bastardo <strong>di</strong> Priamo,<br />
e sul campo <strong>di</strong> battaglia fu lui a scagliare la prima lancia che colpì in pieno<br />
petto Antiloco, successivamente in corsa i nostri arcieri considerati i<br />
migliori, uccisero con le loro frecce alate tutti quelli che scendevano dalle<br />
navi; mettemmo in atto il nostro piano e con frecce infuocate la pece bruciò<br />
e si alzò un muro <strong>di</strong> fuoco, che bruciò tutti quelli che tentavano <strong>di</strong> oltrepassarlo;<br />
noi però eravamo inferiori <strong>di</strong> numero, e la <strong>di</strong>fferenza si sentì quando i<br />
Mirmidoni scesero da una barca nera, e tra loro io per primo lo vi<strong>di</strong>, vi<strong>di</strong><br />
Achille nella sua lucente e bronzea armatura che si fece largo nella mischia,<br />
e insieme a lui vi<strong>di</strong> anche Diomede figlio <strong>di</strong> Tideo, valoroso principe acheo:<br />
le armi gli risplendevano sulle spalle e sulla testa. Era sceso dalla sua nave e<br />
infuriava nella pianura come un torrente in piena gonfiato dalle piogge,<br />
nulla poteva sembrarlo fermare, lo vedevo combattere e sembrava che un<br />
<strong>di</strong>o avesse deciso <strong>di</strong> combattere al suo fianco. Ma dovetti pensare a altro<br />
perché in<strong>di</strong>rizzai il carro contro gli arcieri che stavano facendo strage dei<br />
nostri soldati, ne schiacciai sei con le ruote del carro, e altrettanti ne uccisi<br />
con la lancia e mozzando teste con la spada. Ma subimmo una sbalzata dal<br />
carro e Democoonte, caduto a terra nella polvere, sfortunatamente si imbattè<br />
proprio contro Achille e dopo pochi secon<strong>di</strong> giaceva a terra senza vita<br />
– 220 –
sommerso <strong>di</strong> frecce e con la gelida spada <strong>di</strong> Achille nel petto. Non lontano<br />
da me c’era Ettore che mozzava braccia e teste e con urli terrificanti spronava<br />
i suoi compagni, ma dopo poco tempo dovette or<strong>di</strong>nare la ritirata.<br />
Quando riuscimmo a tornare nelle solide mura contammo i feriti dando così<br />
la possibilità ai Greci <strong>di</strong> accamparsi e <strong>di</strong> erigere una lunga palizzata in<br />
legno. E così terminò il primo giorno della guerra <strong>di</strong> Troia. In serata i soldati<br />
andarono a coricarsi per poter combattere il giorno dopo, mentre Ettore<br />
con altri generali si unì in consiglio per pianificare le strategie <strong>di</strong> battaglia<br />
per il seguente dì. Prima <strong>di</strong> andarmi a coricare, percorsi tutta la mia città a<br />
pie<strong>di</strong> ed ogni angolo che vedevo faceva tornare alla mia mente momenti<br />
delle mia infanzia felice.<br />
Vi<strong>di</strong> un salice sotto al quale ero solito stare quando avevo circa un<strong>di</strong>ci/do<strong>di</strong>ci<br />
anni, dopo aver terminato la scuola, e sulla sua corteccia avevo<br />
scolpito un cuore con la scritta: Creusa + Enea. Non mi sembrava vero che<br />
la mia bella città era stata asse<strong>di</strong>ata dagli solo per una ingenua fanciulla <strong>di</strong><br />
nome Elena, che era scappata con Paride. Ma in quel momento vi<strong>di</strong> una<br />
figura incappucciata <strong>di</strong> bianco girare l’angolo, così accelerai il passo per<br />
scoprire chi fosse.<br />
Appena la raggiunsi, quella figura misteriosa si voltò togliendosi il cappuccio,<br />
ne intravi<strong>di</strong> un volto limpido e bello con due occhi azzurri, luminosi<br />
come le stelle, e con dei boccoli <strong>di</strong> capelli color oro che scendevano sulla<br />
fronte; mi sorrise e mi <strong>di</strong>sse: “Ciao, tu devi essere Enea figlio d’Anchise”,<br />
poi continuò: “Ho sentito <strong>di</strong>re che dopo Ettore e Sarpedonte tu sei uno dei<br />
migliori soldati Troiani, e ti batti con molto ardore...”.<br />
Io perplesso, temendo che fosse un’abile spia Greca, le chiesi: “Di<br />
grazia, mia signora, e Voi chi siete?” Seguirono pochi secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> silenzio,<br />
ma alla mia domanda non vi fu risposta. La fanciulla si sedette su un<br />
piccolo prato dove crescevano splen<strong>di</strong><strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> gelsomino, e odorandoli<br />
cominciò a descrivere la città <strong>di</strong> Troia.<br />
Io timidamente cominciai a parlare <strong>di</strong> me e delle mia famiglia, e <strong>di</strong>alogammo<br />
fino a notte fonda. Mi convinsi che non era una spia, quando andai<br />
a coricarmi, infatti mi fermò e mi <strong>di</strong>ede un braccialetto <strong>di</strong> perle e d’oro, era<br />
raffinatissimo, e mettendomelo mi <strong>di</strong>sse: “Con questo Atena sarà con te, e<br />
ti proteggerà”. Poi lesta scomparve nel buio e fin dove potei la seguii con<br />
lo sguardo. Non sapevo chi fosse e ignoravo il suo nome, ma cominciai a<br />
pensare che si trattasse <strong>di</strong> una servitrice della Dea Atena. Mi avviai verso<br />
casa, stranamente con il cuore sollevato per il <strong>di</strong>alogo tenuto. Mi svegliai<br />
all’alba, e prima <strong>di</strong> indossare le gloriose armi salutai velocemente Creusa,<br />
– 221 –
che mi porse una coppa <strong>di</strong> vino rosso e insieme brindammo ad Atena<br />
pregandola <strong>di</strong> farmi tornare sano e salvo, poi salutai affettuosamente il<br />
piccolo Julo e il mio vecchio padre Anchise che mi baciò sulla fronte, così<br />
andai a prendere il mio carro e mi schierai con il resto dell’esercito al <strong>di</strong><br />
fuori dalle mura.<br />
Non avendo più un compagno feci salire al mio fianco sul carro Pandaro<br />
<strong>di</strong> Zelea figlio <strong>di</strong> Licaone, e quest’ultimo nel suo paese era considerato il<br />
migliore tra tutti gli arceri, ma purtroppo il suo arco e le sue frecce non gli<br />
servirono a molto. In breve tempo facemmo subito amicizia, lui mi parlò<br />
della sua terra che mi apparve splen<strong>di</strong>da, e gli promisi che se fossi rimasto<br />
vivo alla fine della guerra, un giorno l’avrei visitata; io invece gli descrissi<br />
la città <strong>di</strong> Troia, e lui mi rispose che ne era rimasto incantato per la bellezza<br />
e per l’organizzazione; entrambi giurammo <strong>di</strong> proteggerci come due fratelli.<br />
Infine Ettore tenne un breve <strong>di</strong>scorso per incitarci a combattere.<br />
“Amici miei, fedeli soldati <strong>di</strong> Troia, preziosi alleati, io vi ringrazio tutti<br />
per essere qui questo giorno, vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe<br />
da un momento all’altro prendere il mio cuore, ma non è questo il<br />
giorno <strong>di</strong> morire, non oggi. Combattiamo insieme e vedrete che vinceremo,<br />
e costringeremo l’esercito Acheo a fuggire dalle nostre belle terre”.<br />
Fu così che ci preparammo al secondo giorno <strong>di</strong> battaglia. Ad un tratto<br />
si presentarono davanti a noi.<br />
Un centinaio <strong>di</strong> carri, e come minimo <strong>di</strong>ecimila soldati; noi aspettammo<br />
il nemico sotto alle mura poiché c’erano appostati sulle torri e sulle mura<br />
decine e decine <strong>di</strong> abili arcieri, che al segnale <strong>di</strong> Ettore, quando il nemico<br />
era a portata <strong>di</strong> tiro, avrebbero fatto sibilare centinaia <strong>di</strong> frecce e facendo<br />
così finire nella polvere numerosissimi soldati e cavalieri. Quando l’esercito<br />
Acheo cominciò a scagliare lance, Ettore <strong>di</strong>ede il segnale, e successivamente<br />
Aiace <strong>di</strong> Oileo che era uno dei principali generali fece aumentare il<br />
passo a tutti or<strong>di</strong>nando uno scontro frontale. Io incitai i miei cavalli e con<br />
un colpo <strong>di</strong> frusta partirono al galoppo. Invece Pandaro scocco una freccia<br />
proprio in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Aiace, mancandolo d’un soffio e colpendo mortalmente<br />
Leuco uno dei compagni <strong>di</strong> Ulisse nel ventre, e quando Ulisse re <strong>di</strong><br />
Itaca vide il suo compagno morente si gonfiò d’ira e or<strong>di</strong>nò ai suoi uomini<br />
<strong>di</strong> galoppare verso il nemico, ma non fece in tempo a <strong>di</strong>rlo, che Pandaro<br />
scagliò altre due frecce colpendolo prima al braccio e poi alla spalla, e<br />
cadde. Al suo posto Diomede scagliò una lancia con tutta la sua forza credo,<br />
in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Pandaro, ma io lo coprii lesto con il mio scudo <strong>di</strong> bronzo<br />
che lo salvò ma si contorse in due. Lo scontro fu durissimo: i miei cavalli<br />
– 222 –
furono infilzati dalle lance dei Mirmidoni, scu<strong>di</strong> vennero fracassati, spade<br />
infilzate nei corpi dei nemici, inoltre si levarono al cielo urli <strong>di</strong> dolore da<br />
parte dei feriti. Io atterrato dovetti combattere con lancia e spada e mi feci<br />
largo nella mischia, mentre Ettore uccideva eroi come pochi. Subii una<br />
botta in testa e svenni ma ricordo prima <strong>di</strong> aver visto Ettore scontrarsi con<br />
Aiace, i due combatterono con le dure spade e i gran<strong>di</strong> scu<strong>di</strong>, ma quando il<br />
protettore <strong>di</strong> Troia inciampò su una pietra, il Greco lo ferì a un braccio<br />
impedendogli <strong>di</strong> sollevare il suo pesante scudo, ma in quel momento Diore<br />
figlio <strong>di</strong> Amarinceo scagliò una lancia nel braccio <strong>di</strong> Aiace che cadde a terra<br />
in ginocchio urlando <strong>di</strong> dolore, ma prima che Ettore potesse decapitarlo<br />
alzò la spada e i due valorosi principi continuarono il duello anche se feriti.<br />
In un’altra mischia Diomede faceva strage, infatti uccise Toante e Idomeneo<br />
infilzandoli con due lance, Xiode e Xanto figli <strong>di</strong> Aimello il vecchio, uno<br />
facendogli sentire la fredda lama in bocca e l’altro trapassandolo da parte a<br />
parte della testa con una freccia raccolta per terra; poi c’era anche Agamennone<br />
re dei re che uccise il grande O<strong>di</strong>o signore degli Alizoni e tutti i suoi<br />
quattro scu<strong>di</strong>eri, ferendoli alla gola o al petto per farli accasciare a terra per<br />
poi darli il colpo <strong>di</strong> grazia infilzandoli con la lancia o con la spada. In quel<br />
momento stavamo perdendo e tutti i principi che sfidavano i nostri riportavano<br />
gloriose vittorie. Inoltre c’era Achille che come un aquila si gettava su<br />
eroi Troiani e in pochi secon<strong>di</strong> li uccideva e li faceva cadere nella polvere<br />
sotto i colpi della sua splen<strong>di</strong>da spada.<br />
Tutto era perso, e se non fosse stato per tutti gli arcieri alle torri saremmo<br />
stati uccisi nel giro <strong>di</strong> poche ore. Quando riaprii gli occhi era notte<br />
fonda e mi trovavo nella pianura con tutti i morti della battaglia: tra loro<br />
vi<strong>di</strong> anche il mio amico Festo ucciso da Menelao, ma vi<strong>di</strong> anche una gambiera<br />
<strong>di</strong> Aiace e capii che fortunatamente era morto sotto i colpi <strong>di</strong> Ettore<br />
ma riconobbi anche i volti dei nostri principi più forti, e tirando un sospiro<br />
<strong>di</strong> sollievo non vi<strong>di</strong> né Ettore né il coraggioso Sarpedonte, mi alzai e mi<br />
accorsi <strong>di</strong> essere sbalor<strong>di</strong>to a tal punto <strong>di</strong> rimanere in pie<strong>di</strong> con <strong>di</strong>fficoltà<br />
tuttavia mi incamminai zoppicando verso le mura della mia città e quando<br />
le sentinelle mi videro e fecero aprire le porte mi fu riservato un trattamento<br />
speciale; nonostante fosse notte fonda una volta entrato mi vennero incontro<br />
Creusa che piangendo mi baciò, Pandaro che mi <strong>di</strong>ede una pacca al braccio<br />
e mi sussurrò: “Oggi non ho mantenuto fede al nostro giuramento <strong>di</strong> proteggerti...<br />
perdonami”, Julo che saltando <strong>di</strong> gioia mi strinse forte, e gran parte<br />
dell’esercito che dagli angoli della città avevano sentito il mio ritorno, e<br />
urlavano: “Enea, come mai sei tornato? Forse non ti volevano nell’al<strong>di</strong>là!!!”,<br />
– 223 –
e tutti festeggiarono.Poi mi fecero mangiare pane, carne e bere tanto vino<br />
per ridarmi la forza e mi fu raccontata la fine della battaglia.<br />
Ormai tutto sembrava perso, si pensava che per noi fosse stata la fine<br />
poiché eravamo stati schiacciati contro le mura, eravamo pochi numericamente<br />
e la maggior parte <strong>di</strong> noi era ferita, a stento i soldati Troiani riuscivano<br />
a reggersi in pie<strong>di</strong>, tuttavia con le urla <strong>di</strong> Ettore, che quando si accorgeva<br />
che uno dei nostri era in serio pericolo <strong>di</strong> vita, si metteva tra lui e il<br />
suo aggressore, salvandogli così la vita e uccidendo il Greco che stava tentando<br />
<strong>di</strong> prendersi le armi una volta ucciso il Troiano, e <strong>di</strong> mandare l’anima<br />
nell’Ade. Sicuramente grazie all’aiuto <strong>di</strong> Apollo <strong>di</strong>o del sole e <strong>di</strong> Atena dea<br />
della caccia, eravamo riusciti a respingere i colpi e a scacciare lontano gli<br />
facendoli in<strong>di</strong>etreggiare per qualche centinaio <strong>di</strong> metri; mentre la mia amata<br />
Creusa continuava il racconto della battaglia, venne interrotta da Pandaro,<br />
che tutto contento e fiero <strong>di</strong> sé <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> aver fatto in<strong>di</strong>etreggiare persino il<br />
grande Achille con le sue frecce, e che quel giorno aveva ucciso almeno<br />
duecento soldati, ferito Ulisse l’astuto e aver aiutato Ettore a uccidere Aiace<br />
figlio <strong>di</strong> Oileo, infatti Ettore stava ancora combattendo contro il Greco, entrambi<br />
erano feriti e quando stava per arrivare Estoleo, figlio <strong>di</strong> Dioinisio il<br />
tiranno, si pensava che Ettore sarebbe morto, ma Pandaro prima uccise<br />
Estoleo, poi piantò quattro frecce nel busto <strong>di</strong> Aiace che successivamente<br />
venne infilzato da Ettore. Il giorno dopo non si combatté nessuna battaglia,<br />
tutti i Troiani passarono la giornata riposandosi sotto le fronde dei salici, i<br />
fabbri martellarono fino a notte le armature, gli scu<strong>di</strong>, le spade e gli elmi,<br />
altri costruirono nuove frecce per gli arcieri, e altri ancora raccolsero i corpi<br />
dei compagni caduti in battaglia, mentre le donne troiane si rinchiusero nei<br />
tempi con i vecchi saggi per fare sacrifici, per pregare e per rendere<br />
omaggio agli dei con veli bellissimi e pregiatissimi <strong>di</strong> Nilo.<br />
Invece i generali organizzavano piani <strong>di</strong> battaglia per il giorno dopo,<br />
sperando <strong>di</strong> riportare meno vittime possibili.<br />
Nell’accampamento Greco invece si stava verificando un episo<strong>di</strong>o che<br />
cambiò il corso e gli eventi della guerra <strong>di</strong> Troia.<br />
Quando i Greci avevano invaso la spiaggia, Achille e i suoi Mirmidoni<br />
avevano <strong>di</strong>ssacrato il tempio <strong>di</strong> Apollo, ucciso i sacerdoti e rapito la sacerdotessa<br />
Briseide, nipote <strong>di</strong> Priamo, e <strong>di</strong> conseguenza cugina <strong>di</strong> Ettore e<br />
Paride. Da quanto sapemmo Briseide era stata portata nella tenda <strong>di</strong> Achille;<br />
quando il figlio <strong>di</strong> Peleo la vide così come era con le lacrime agli occhi,<br />
sporca <strong>di</strong> sangue, con una tunica bianca che, metteva in risalto le lisce<br />
gambe e il piccolo seno,fu colto da un senso <strong>di</strong> amore che non aveva mai<br />
– 224 –
provato prima; probabilmente non per l’aspetto estetico ma per qualcosa <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>verso, forse per i suoi occhi, che gonfi <strong>di</strong> lacrime trasmettevano un o<strong>di</strong>o<br />
che sarebbe apparso persino a un cieco, imme<strong>di</strong>atamente la sciolse e le<br />
<strong>di</strong>ede uno straccio bagnato, in modo da potersi pulire i piccoli tagli che si<br />
era procurata sulla faccia e sulle braccia quando aveva urtato contro Saleo,<br />
il capo dei Mirmidoni, cercando inutilmente <strong>di</strong> opporre resistenza tentando<br />
la fuga.<br />
Anche Briseide cominciò a provare qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso da gli altri per<br />
Achille, forse un senso <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne, perché era stata liberata da quelle<br />
dure corde che le stavano lasciando il segno; ci fu un momento <strong>di</strong> silenzio<br />
tra i due, Achille non accennava a smettere <strong>di</strong> fissarla e fu lui il primo a<br />
parlare chiedendole il nome; Briseide guardava fisso da un’altra parte e non<br />
voleva scambiare una sola parola con il Greco che l’aveva rapita.<br />
Poi arrivò Saleo e alla sua vista Briseide rabbrividì ma con il coraggio e<br />
con la forza che gli rimaneva, gli urlò contro: «Assassino! Hai ucciso i<br />
ministri <strong>di</strong> Apollo, non erano neanche armati!!! Assassino!!! Il <strong>di</strong>o sole <strong>di</strong><br />
fulminerà per questo!». Saleo infuriato andò in contro alla ragazza in<strong>di</strong>fesa,<br />
e fece per darle un pugno, ma Achille lo fermò, e poi aggiunse: «E io ho<br />
<strong>di</strong>ssacrato la statua <strong>di</strong> Apollo, che cosa aspetta a punirmi?». A quelle parole<br />
Briseide fu zittita, e sperava <strong>di</strong> morire il prima possibile, per non respirare<br />
più l’aria <strong>di</strong> quei due assassini.<br />
Il comportamento <strong>di</strong> Briseide aveva suscitato in Achille una strana<br />
sensazione, il campione greco con grande sorpresa si era innamorato della<br />
sacerdotessa <strong>di</strong> Apollo, ma non sapeva ancora che per proteggere quella<br />
donna sarebbe morto, e che un giorno l’avrebbe privata <strong>di</strong> un cugino buono<br />
e generoso <strong>di</strong> nome Ettore.<br />
GIORNI DI TREGUA<br />
Passarono circa tre giorni dall’ultima battaglia che avevamo combattuto<br />
contro gli. E non riuscivamo a comprendere perché il nemico esitasse tanto<br />
ad attaccarci, alcuni pensarono che i Greci si fossero ritirati perché si erano<br />
indeboliti molto durante l’ultima respinta nei loro confronti, invece altri<br />
temevano che stessero tramando qualche cosa, ma quando le nostre spie ci<br />
riferirono che i Greci si erano <strong>di</strong>visi poiché era stata tolta ad Achille,<br />
Briseide; e quando fummo a conoscenza che il figlio <strong>di</strong> Peleo non intendeva<br />
più combatterci perché era rinchiuso nella sua tenda con il cuore pieno<br />
– 225 –
d’ira, minacciando inoltre <strong>di</strong> partire da un momento a l’altro, per fare ritorno<br />
nella sua terra fertile <strong>di</strong> Ftia, cominciammo a nutrire qualche speranza<br />
<strong>di</strong> vittoria, pregando gli dei <strong>di</strong> far terminare la guerra il prima possibile,<br />
nessuno <strong>di</strong> noi Troiani desiderava altro... ma non dovevamo <strong>di</strong>menticare che<br />
con Achille c’era Patroclo, il suo cugino preferito ma soprattutto il suo migliore<br />
amico, capace <strong>di</strong> spronarlo e <strong>di</strong> incitarlo per la battaglia in qualsiasi<br />
momento. A quel punto c’era chi proponeva <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere l’accampamento<br />
degli per farli scappare, ma c’era chi come me, come Ettore, o come Sarpedonte<br />
consigliava <strong>di</strong> non attaccare, ma, la voglia <strong>di</strong> scacciare il nemico era<br />
troppa, quin<strong>di</strong> si armò l’esercito per un eventuale attacco.<br />
Però, i Greci anticiparono i nostri tempi... infatti all’alba del quarto<br />
giorno il loro esercito si fece trovare pronto per un grande attacco, seppur<br />
senza Achille infuriato, Aiace morto, Diomede ferito e impossibilitato <strong>di</strong><br />
combattere, ma sempre con Ulisse, che combatteva per incoraggiare i compagni,<br />
Agamennone, Menelao, e altri valorosi principi. Per evitare un altro<br />
bagno <strong>di</strong> sangue, Paride coraggiosamente propose un duello tra lui e Menelao,<br />
e al vincitore sarebbe andata Elena; inoltre, se avesse vinto il greco,<br />
Troia avrebbe dovuto pagare un caro prezzo in tessuti, animali, gioielli, oro,<br />
e altro. Se invece avesse vinto Paride, gli se ne sarebbero tornati a casa, <strong>di</strong>chiarando<br />
pace. In quel momento Paride era stato molto coraggioso ma<br />
anche molto ingenuo.<br />
Ulisse e Ettore segnarono il luogo dove si sarebbe tenuto il duello, e<br />
una volta designato il campo, iniziò lo scontro: io mi trovavo tra le prime<br />
file, e se pur da lontano potei assistere a quell’incontro.<br />
Iniziò Paride, che lanciò la sua lancia contro Menelao, la lancia si infilò<br />
proprio al centro dello scudo <strong>di</strong> Menelao, e quest’ultimo scagliò la lancia<br />
contro Paride che si protesse con lo scudo, però il colpo fu terribile lo scudo<br />
si squarciò e volò via... allora i due sguainarono le spade e Paride riportò<br />
subito la peggio, infatti non poteva competere con un esperto <strong>di</strong> armi come<br />
Menelao; i primi colpi furono fatali per il figlio <strong>di</strong> Priamo che in meno <strong>di</strong><br />
pochi minuti cadde a terra, ferito al braccio ed al ginocchio. Ma ebbe la<br />
forza <strong>di</strong> alzarsi e con un pugno sul naso <strong>di</strong> Menelao riuscì ad allontanarsi e<br />
barcollando arrivò alle gambe <strong>di</strong> Ettore, e sputando sangue chiese l’aiuto<br />
del fratello; allora infuriato Menelao si avvicino urlando «Dove cre<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
andare, razza <strong>di</strong> farabutto!!! Il duello non è concluso!!!», Ettore si mise in<br />
mezzo, ed estraendo la spada <strong>di</strong>sse «Beh ora è concluso...» e non fece<br />
neanche in tempo a finire la frase che il corpo <strong>di</strong> Menelao giaceva a terra<br />
senza vita poiché era stato infilzato da Ettore e tutte le viscere si riversarono<br />
– 226 –
a terra. A quella visione i generali urlarono vendetta, e si lanciarono contro<br />
<strong>di</strong> noi.<br />
Detto questo raccolse il fratello e se lo pose sulle spalle, correndo più<br />
veloce che potesse verso le mura <strong>di</strong> Troia or<strong>di</strong>nando la ritirata al suo esercito<br />
inseguito da quello Acheo. Quando i Troiani furono dentro le mura ben<br />
poco poterono i soldati Greci, perché gli arcieri Troiani avevano iniziato a<br />
scagliare frecce e lasciando nella polvere numerosi soldati.<br />
All’interno delle mura Ettore parlò all’esercito, <strong>di</strong>sse a tutti i soldati <strong>di</strong><br />
riposare per il giorno dopo perché all’alba i Greci avrebbero attaccato con<br />
tutte le loro forze volendo ven<strong>di</strong>care la morte <strong>di</strong> Menelao.<br />
Effettivamente così fu. Il giorno successivo i soldati si riversarono tutti<br />
nella pianura decisi più che mai ad attaccare, facendo riportare al nemico<br />
gravi per<strong>di</strong>te. Così, dopo <strong>di</strong>versi giorni <strong>di</strong> tregua che avevano fatto sperare<br />
in una fine imme<strong>di</strong>ata della guerra, le battaglie ricominciarono più intense<br />
che mai. Purtroppo non ho molto da raccontarvi, poiché noi soldati tutti i<br />
giorni combattevamo una battaglia, ci riposavamo e il giorno dopo ne combattevamo<br />
un’altra. Gli anni <strong>di</strong> guerra trascorsero abbastanza velocemente<br />
senza alcuna conseguenza, solo con la morte dei soldati. Strano ma vero<br />
Achille rimase sempre nella sua tenda, <strong>di</strong>verse volte le nostre spie avevano<br />
visto il figlio <strong>di</strong> Peleo passeggiare solo sulla riva del mare. Evidentemente<br />
anche lui amava passeggiare la sera, ed era per lui un modo per reistere alla<br />
tentazione <strong>di</strong> scendere sul campo <strong>di</strong> battaglia.<br />
Ogni sera sedevo sotto il mio salice e vedevo sempre la fanciulla vestita<br />
<strong>di</strong> bianco, tuttavia non comprendendone mai il nome. Ma una sera fu lei a<br />
svelarmelo, ricorderò per sempre che mi <strong>di</strong>sse «È giunto il momento che tu<br />
sappia il mio nome, io mi chiamo...» esitò, ma poi concluse «Elena».<br />
Preso dalla rabbia, sguainai la spada e mi gettai su <strong>di</strong> lei, ma qualcosa<br />
mi trattenne... Andai su tutte le furie... “Io ho parlato delle mie confidenze<br />
con la causa <strong>di</strong> questa inutile guerra” pensai, “le ho raccontato <strong>di</strong> me e della<br />
mia famiglia!!!”. Questi furono i miei primi pensieri. Ma poi mi misi nei<br />
suoi panni, e capii che persino io avrei fatto scatenare questa guerra per<br />
seguire una persona che avrei davvero amato.<br />
Ogni giorno si verificava sempre una battaglia, a volte i nostri avversari<br />
riportavano la meglio, a volte noi Troiani ne uscivamo vincitori, ma un<br />
giorno dovetti <strong>di</strong>re ad<strong>di</strong>o a due miei carissimi amici: Pandaro e Sarpedonte.<br />
Infatti nel bel mezzo della battaglia Pandaro ed io ci <strong>di</strong>rigemmo contro<br />
Diomede e Ulisse. Pandaro scagliava le sue mortali frecce, mentre io con<br />
uno scudo grande il doppio <strong>di</strong> uno normale proteggevo me stesso e lui,<br />
– 227 –
infilzavo con la mia spada tutti coloro che si mettevano davanti. Ricordo<br />
che uccidemmo in pochi minuti mezza imbarcazione <strong>di</strong> Ulisse, infatti ci<br />
scontrammo contro Zato e Salao figli <strong>di</strong> Riano, signore della Tessaglia, con<br />
i loro otto scu<strong>di</strong>eri e Fiode cugino <strong>di</strong> Ulisse, mentre Pandaro faceva cadere<br />
a terra i picchieri e gli arcieri. In quel momento Diomede e Ulisse si <strong>di</strong>ressero<br />
correndo verso <strong>di</strong> noi, e neanche Pandaro riusciva ad atterrarli con le<br />
sue frecce. Infine Diomede scagliò una lancia nel petto <strong>di</strong> Pandaro trapassandolo,<br />
che tuttavia riuscì a scoccare debolmente una freccia, che si infilzò<br />
non del tutto nel ventre <strong>di</strong> Diomede, ma poi cadde nella polvere e le tenebre<br />
presero la sua anima; a quella visione urlai come non mai, e con tutto il mio<br />
dolore scaraventai il mio scudo su Ulisse che cadde in ginocchio sbigottito,<br />
e mi gettai come un falco su una preda contro Diomede, ci battemmo<br />
gloriosamente con le spade per circa un’ora, ma quando lo fermai mozzandogli<br />
il braccio con cui combatteva, la mia voglia <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>care Pandaro non<br />
si placò. Infatti decapitai Diomede e con una lancia infilzai la sua testa,<br />
facendo restare la punta, e la scagliai contro i soldati, che a quella vista si<br />
ritirarono; ma allo stesso tempo Ulisse si rialzò e colpì alle spalle Sarpedonte,<br />
che cadde e poi lo infilzò sotto i miei occhi. Ma quel giorno gli Dei<br />
erano propizi a noi, tanto che schiacciammo i Greci fino al loro accampamento,<br />
facendogli riportare una schiacciante sconfitta con per<strong>di</strong>te devastanti.<br />
Le loro continue sconfitte erano dovute alla mancanza <strong>di</strong> Achille che<br />
non combatteva, e questo ci dava coraggio per affrontare i Greci e per<br />
respingerli.<br />
Ma nonostante tutto il nostro coraggio e la nostra forza non eravamo<br />
ancora riusciti a scacciarli, comunque eravamo sicuri per come stavano<br />
andando le cose, avremmo potuto vincere la guerra da un momento all’altro.<br />
Alla sera quando tornammo celebrammo la nostra vittoria con un<br />
immenso banchetto in onore agli Dei.<br />
La sera facemmo ardere i corpi dei soldati valorosi morti, io conservai<br />
le ceneri <strong>di</strong> Pandaro e il suo arco, rendendogli in omaggio alla Dea della<br />
caccia Atena (Minerva per i Romani), affinché il suo viaggio nell’al<strong>di</strong>là<br />
potesse andare a buon fine.<br />
Poiché entrambi gli eserciti erano stremati dalle battaglie, furono <strong>di</strong>chiarati<br />
pochi giorni <strong>di</strong> tregua, anche se il re Agamennone non era d’accordo,<br />
ma infine si dovette arrendere perché il morale dei soldati era a<br />
pezzi, Achille non combatteva più, Aiace <strong>di</strong> Oileo e Diomede erano morti,<br />
Ulisse sembrava aver perso la sua astuzia e il suo coraggio per cui tanto<br />
andava famoso, e molti si rifiutavano <strong>di</strong> combattere.<br />
– 228 –
Allora da quanto ci <strong>di</strong>ssero le nostre spie, Agamennone aveva restituito<br />
Briseide ad Achille che però non si decise <strong>di</strong> muovere e anzi stabilì la data<br />
<strong>di</strong> partenza per fare ritorno nella sua terra, ma prima <strong>di</strong>sse «Voglio vedere lo<br />
sbaragliamento dell’esercito e la caduta <strong>di</strong> Agamennone».<br />
Questo ci consolava e molti <strong>di</strong> noi erano sicuri che era solo questione <strong>di</strong><br />
tempo per la vittoria <strong>di</strong> Troia e c’era chi credeva che con un ultimo decisivo<br />
attacco, si sarebbe conclusa una volta per sempre la guerra. Ettore era assolutamente<br />
contrario, infatti pensava che un attacco all’accampamento dei<br />
Greci avrebbe potuto far così riunire l’esercito Acheo. Il suo timore era fondato<br />
perché...<br />
Il giorno seguente per noi ci fu una durissima battaglia, e noi Troiani<br />
ricor<strong>di</strong>amo sempre questa battaglia, e la chiamiamo: la battaglia del nuovo<br />
generale.<br />
TEODOS X DI MERIDIO<br />
Non so spiegarmi la causa della nostra devastante sconfitta, ma forse<br />
avevamo sottovalutato il nemico, pensando che larga parte delle truppe si<br />
fosse imbarcata per la via <strong>di</strong> casa, oppure che un numero maggiore <strong>di</strong> soldati<br />
fosse morto... ma <strong>di</strong> fatto non fu così.<br />
Io quel giorno fui costretto a rimanere in città a causa delle ferite che<br />
avevo riportato nei combattimenti precedenti ma nonostante tutto mi appostai<br />
sulle mura per essere d’aiuto, facendo da sentinella. Ricordo che vi<strong>di</strong><br />
partire il nostro esercito, forte <strong>di</strong> circa <strong>di</strong>ecimila uomini anche con il rinforzo<br />
dalle alleanze dei Greci che si erano ribellati ad Agamennone, ma<br />
quando tornò al calare della sera, era ridotto a meno della metà. Da quanto<br />
ci <strong>di</strong>ssero i sopravvissuti, l’esercito Acheo era stato spronato da un nuovo<br />
generale, giunto dal sud dell’Argolide con <strong>di</strong>eci navi cariche <strong>di</strong> circa cinquemila<br />
uomini, cavalli e carri splendenti color oro. Il nome <strong>di</strong> questo generale<br />
era Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o, e con i suoi uomini era conosciuto per ardore<br />
e tenacia. Ettore, ferito, tornò al palazzo reale, presso il quale erano stati<br />
convocati i generali; poiché Sarpedonte era morto, io venni prescelto come<br />
nuovo generale. Mentre tutti noi parlavamo, Ettore veniva me<strong>di</strong>cato e poté<br />
così raccontare l’andamento della catastrofica battaglia. Quin<strong>di</strong> fu il mio<br />
turno <strong>di</strong> parlare e, sebbene fossi un poco imbarazzato per il mio nuovo incarico,<br />
<strong>di</strong>ssi: «Secondo me, dovremmo restare protetti dalle mura della città<br />
per un periodo <strong>di</strong> un mese o due; in questo modo potremmo fortificare le<br />
– 229 –
mura, far riposare i soldati, riparare le spade e le armature e, soprattutto,<br />
progettare e costruire nuove armi».<br />
Detto questo tornai a sedermi ed in sala, per pochi minuti vi fu un gran<br />
silenzio. Quin<strong>di</strong> si alzò Priamo e <strong>di</strong>sse quasi bisbigliando, con gli occhi<br />
pieni <strong>di</strong> fiducia e <strong>di</strong> speranza «E tu Enea, figlio d’Anchise, cosa proponi?»<br />
La mia proposta fu accettata, ed io contento per la mia nuova carica<br />
cominciai subito a <strong>di</strong>segnare insieme ad architetti <strong>di</strong> guerra, i nuovi mezzi.<br />
L’INVENZIONE DI NUOVE ARMI<br />
Nei giorni seguenti, mentre il nostro esercito restava protetto dalle<br />
mura, l’esercito Acheo si riversava nella pianura ed i soldati, accortisi che<br />
non c’era nessuno ad affrontarli, infuriavano contro le mura, venendo ripetutamente<br />
colpiti dalle frecce dei nostri arcieri. Noi, intanto, al riparo delle<br />
mura, progettavamo la costruzione <strong>di</strong> mici<strong>di</strong>ali carri, forniti <strong>di</strong> spuntoni e <strong>di</strong><br />
arpioni. Io stesso ebbi l’idea <strong>di</strong> montare sui carri un congegno attraverso il<br />
quale sarebbe stato possibile scagliare lance più lunghe del normale che<br />
avrebbero potuto infilzare anche due uomini per volta.<br />
Poi feci montare sulle ruote dei carri spuntoni che avrebbero tranciato<br />
le gambe dei nemici; quin<strong>di</strong> decisi <strong>di</strong> attaccare con una corda una quarantina<br />
<strong>di</strong> lance; questa corda sarebbe stata collegata con due carri, e quando<br />
sarebbe stata tesa avrebbe infilzato i soldati in prima fila. Con queste nuove<br />
armi avremmo sicuramente sacrificato meno vite, sperando <strong>di</strong> riportare<br />
sempre la meglio nelle battaglie. Ormai si ripeteva sempre la stessa cosa, i<br />
Greci si riversavano nella pianura e invocavano il combattimento, ricevevano<br />
risposta in frecce e imprecando in<strong>di</strong>etreggiavano. Ma vi devo informare<br />
<strong>di</strong> una cosa, forse avete sentito parlare <strong>di</strong> Troia, solo per la mitologica<br />
guerra che durò più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni, ma dovete sapere che Troia fu anche<br />
luogo <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse storie d’amore; a Voi forse è nota soprattutto quella <strong>di</strong><br />
Achille e Briseide ma noi Troiani ricor<strong>di</strong>amo appunto quella tra Elena e<br />
Paride. Io infatti molte volte avevo visto camminare per le strade <strong>di</strong> Troia i<br />
due innamorati, e la cosa spesso mi lasciava sorpreso perché molto spesso<br />
Elena mi guardava e mi sorrideva, io rigido non accennavo a smuovermi,<br />
ero ancora furioso e non riuscivo a comprendere il perché <strong>di</strong> questa guerra;<br />
alcune voci <strong>di</strong>cevano che questa guerra veniva combattuta solo perché il<br />
nostro principe Troiano potesse avere una donna. Inizialmente mi accorsi<br />
che per amore gli uomini fanno cose molto strane; ma mentre stavo comin-<br />
– 230 –
ciando a ragionare come Paride, pensai che nonostante tutto l’uomo debba<br />
sempre ragionare con il cervello e non con il cuore, nonostante l’amore sia<br />
una delle cose più belle del mondo.<br />
Io stesso feci scatenare una specie <strong>di</strong> guerra tra famiglie per sposare<br />
Creusa, infatti sia da bambini l’uno era innamorato dell’altra e quando crescemmo<br />
desiderammo sposarci, ma suo padre l’aveva promessa ad un principe<br />
<strong>di</strong> cui nessuno conosceva il nome; naturalmente Creusa voleva sposare<br />
me ma la cosa <strong>di</strong> prospettava molto <strong>di</strong>fficile poiché il padre non voleva<br />
darla in sposa a me, ma dopo anni <strong>di</strong> corteggiamento dovette arrendersi<br />
perché si accorse che tra me e Creusa c’era più che amore. Ma il principe a<br />
cui era stata promessa Creusa si rivoltò. E così la mano <strong>di</strong> Creusa si decise<br />
nel più brutale dei mo<strong>di</strong>, con un duello all’ultimo sangue tra me ed il principe<br />
<strong>di</strong> origine Achee; nel duello si potevano utilizzare una lancia, una<br />
spada, uno scudo ma nessuna armatura, entrambi eravamo appiedati ma<br />
nonostante ciò ricordo che per tutto il duello combattemmo con molto ardore.<br />
Naturalmente vinsi io, altrimenti non potrei raccontarvelo, ma se non<br />
fosse stato per la mia rapi<strong>di</strong>tà, probabilmente ora mi troverei nell’oltretomba,<br />
rimpiangendo la mia giovinezza e la forza.<br />
Quel giorno faceva molto caldo, e il terreno sul quale combattemmo era<br />
pieno <strong>di</strong> sassi appuntiti e <strong>di</strong> sabbia, il mio avversario era molto più forte <strong>di</strong><br />
me e me ne accorsi quando scagliò la sua lancia che si schiantò contro il<br />
mio scudo piegandolo in due, poi sguainò la spada e urlando si <strong>di</strong>resse<br />
verso <strong>di</strong> me, io con la lancia in una mano e con la spada nell’altra mi feci<br />
coraggio e così cominciammo a batterci come veri leoni che si contendono<br />
il corpo <strong>di</strong> una preda morta. Ci fu un gran frastuono, ogni mio colpo andava<br />
a vuoto e riuscivo a parare i suoi con <strong>di</strong>fficoltà; lui era molto abile e riusciva<br />
a schivare i colpi della mia lancia. Riportai <strong>di</strong>verse ferite e privo <strong>di</strong><br />
forze azzoppato, mi accasciai al suolo, e quando il principe stava per darmi<br />
il colpo <strong>di</strong> grazia, alzò le braccia e scoprì il petto, io rapido agguantai spada<br />
e lancia lo trapassai uccidendolo. Cadde per terra ma prima <strong>di</strong> morire lesto<br />
gli sussurrai all’orecchio «Perdonami...avrai un rito funebre degno <strong>di</strong> un re».<br />
E lui piano piano mi rispose «Ti ringrazio Enea figlio d’Anchise... Sanuel<br />
nono <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o ti saluta». Ormai credo che Voi da soli abbiate capito che<br />
Sanuel e Teodos furono fratelli, e quando sentii pronunciare il nome del<br />
nuovo generale dell’esercito acheo mi si gelò il sangue: e capii il perché<br />
fosse venuto qui, voleva uccidermi per ven<strong>di</strong>care la morte del fratello<br />
seppur quin<strong>di</strong>ci anni dopo. Aveva ritardato il suo arrivo probabilmente per<br />
raccogliere più uomini possibili, e per <strong>di</strong>struggere oltre a me tutti i Troiani.<br />
– 231 –
Ma tornando al mio piano riguardante quello <strong>di</strong> costruire nuove armi,<br />
circa dopo un mese e mezzo terminammo. Così ci armammo delle nuove<br />
armi splendenti e portammo fuori dalle mura i nuovi carri. A quella visione<br />
i soldati dell’esercito Acheo, nonostante fosse maggiore <strong>di</strong> numero, furono<br />
talmente impauriti che scapparono verso le loro navi. Eravamo sicuri <strong>di</strong> noi<br />
e senza alcun timore galoppammo come mai prima d’ora contro i Greci, le<br />
nostre nuove armi funzionarono perfettamente e migliaia <strong>di</strong> soldati gloriosi<br />
rimasero nella polvere. Ci fu un gran frastuono e noi riportammo subito la<br />
meglio, gli arceri in corsa trafissero numerosissimi eroi, i nostri cavalli calpestarono<br />
i soldati che strano ma vero volarono via con teste o braccia mozzate;<br />
invece per noi le per<strong>di</strong>te furono minime, i soldati erano incoraggiati<br />
per le vittorie riportate e per gli urli <strong>di</strong> Ettore che non si placavano. Io mi<br />
battevo a cavallo vicino ad Ettore e molte volte gli salvai la vita, uccidendo<br />
i soldati che tentavano <strong>di</strong> colpirlo alle spalle. Spingemmo gli Achei fino al<br />
loro accampamento.<br />
Ogni volta si ripeteva lo stesso scenario, ma era sempre <strong>di</strong>verso, erano<br />
anni che Achille non combatteva, e non riuscimmo a capire perché, poiché<br />
le nostre spie erano state scoperte e uccise.<br />
Ma un giorno, poco prima della morte <strong>di</strong> Ettore, riportai una gran<strong>di</strong>ssima<br />
vittoria contro Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o. Infatti eravamo proprio nel<br />
mezzo <strong>di</strong> una battaglia, ci guardammo a vicenda, in mezzo a noi si creò<br />
un varco, i due generali migliori, i due più forti dopo Achille ed Ettore, si<br />
sfidavano. Da sotto l’elmo ci guardammo negli occhi per pochi secon<strong>di</strong> e<br />
nel frattempo facemmo entrambi qualche passo in tondo avvicinandoci,<br />
sempre con lo scudo e la spada sollevati, e così iniziò il duello.<br />
IL DUELLO<br />
Tutto iniziò con un urlo <strong>di</strong> Ettore «Vai Enea figlio d’Anchise, <strong>di</strong>mostra<br />
la forza dei Troiani sul campo <strong>di</strong> battaglia!!!». Detto questo si scatenò una<br />
vera e propria bolgia, c’era chi urlava «Teodos... Teodo...» e chi rispondeva<br />
«Enea... Enea...» ma poi mi venne in mente un idea, e <strong>di</strong>sse ad alta voce<br />
«Teodos... questo duello è tra me e te, dì ai tuoi uomini <strong>di</strong> allontanarsi, io<br />
farò la stessa cosa» Teodos comprese e fece un cenno con il capo or<strong>di</strong>nando<br />
al suo esercito <strong>di</strong> allontanarsi. Si u<strong>di</strong>rono i rimbalzi rumorosi delle armature,<br />
causati dai sobbalzi dei passi dei soldati. Prima del combattimento<br />
Teodos gettò a terra l’elmo, posò spade e scudo e venne verso <strong>di</strong> me per<br />
– 232 –
stringermi la mano, io capii tutto dall’inizio e lo anticipai. Ci stringemmo la<br />
mano e capii che oltre ad essere un valoroso soldato era un gran<strong>di</strong>ssimo<br />
uomo d’onore, e in quel momento quasi provai <strong>di</strong>spiacere nel dover scontrarmi<br />
contro <strong>di</strong> lui ma... prima <strong>di</strong> lasciare la sua mano, mi afferrò per il<br />
polso e mi gettò nella polvere con una ginocchiata nella pancia, rotolai nella<br />
polvere tossendo in mancanza <strong>di</strong> fiato, dovetti rialzarmi subito perché<br />
Teodos estrasse da una gambiera un pugnale molto lungo, e tentò subito<br />
<strong>di</strong> uccidermi, ma io una volta recuperate le forze schivai tutti i suoi colpi,<br />
intanto erano ricominciati gli urli dei due eserciti, e per ogni colpo che uno<br />
dei due riportava gli schiamazzi aumentavano <strong>di</strong> intensità.<br />
Ricevetti nuovi colpi, tre in pancia e due in faccia, così cad<strong>di</strong> nuovamente<br />
nella polvere, rotolando e sputando sangue dalla bocca, intanto<br />
Teodos raccolse la sua spada e corse verso <strong>di</strong> me urlando, ma lesto presi lo<br />
scudo e mi coprii parando così i suoi colpi, raccolsi la mia spada e con un<br />
foro apposito nel mezzo dello scudo, feci passare la lama (questa era<br />
un’altra mia invenzione), e per poco non lo uccisi all’istante lasciandogli un<br />
profondo taglio sul fianco destro, impedendogli così <strong>di</strong> fare altre mosse<br />
<strong>di</strong>soneste nei miei confronti. Sguainai la spada dal foro dello scudo e con un<br />
gran slancio mi gettai su <strong>di</strong> lui, combattemmo con ardore e entrambi riportammo<br />
numerose ferite, e stanchi ci accasciammo a terra, le nostre spade<br />
erano infrante, e io probabilmente ero ferito più gravemente del mio nemico,<br />
non avevo più armi, sanguinavo da quasi tutte le parti del corpo, e<br />
non avevo neanche la forza <strong>di</strong> scagliare un pugno; se non fosse stato per<br />
l’intervento <strong>di</strong> mia madre sarei stato sicuramente ucciso.<br />
Infatti con uno dei suoi astuti inganni, Ulisse re <strong>di</strong> Itaca scagliò una<br />
lancia verso Teodos, la lancia si infilò nel terreno e Teodos con grande maestria,<br />
ebbe modo <strong>di</strong> raccoglierla, la rigirò e la scagliò verso <strong>di</strong> me: pensai<br />
che per me fosse la fine, e proprio quando la lancia stava per trafiggermi, si<br />
fermò bruscamente e cadde per terra.<br />
A quella visione improvvisamente mi tornarono gran parte delle forze, e<br />
raccolsi rapidamente la lancia sollevandola in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Teodos, che aveva<br />
raccolto il pugnale con il quale voleva uccidermi all’inizio del nostro duello,<br />
si precipitò verso <strong>di</strong> me con il braccio in modo da potermi infilzare, ma io<br />
con una splen<strong>di</strong>da giravolta lo evitai e con un urlo accompagnato da un rapido<br />
movimento del braccio lo trapassai tra la scapola e il torace sinistro. Per<br />
non farlo soffrire ulteriormente, estrassi la lancia... Teodos aveva ancora<br />
pochi minuti <strong>di</strong> vita e versando qualche lacrima <strong>di</strong>sse: «Hai tolto la vita a<br />
mio fratello, adesso a me... ma ti prego, conce<strong>di</strong>mi i giusti onori funebri...»<br />
– 233 –
Prima che potesse morire io gli risposi: «Non temere avrai lo stesso<br />
trattamento <strong>di</strong> tuo fratello... sarai venerato e le tue ceneri deposte al tempio<br />
<strong>di</strong> mia madre Venere, affinché il tuo viaggio possa non essere travagliato;<br />
oggi avresti dovuto vincere tu e perire io, ma gli dei hanno protetto me...<br />
ora riposa in pace...».<br />
Mi sorrise e mi <strong>di</strong>ede una pacca sul braccio; poi la sua vita lo abbandono<br />
e le tenebre avvolsero la sua anima che volò nell’oltretomba, rimpiangendo<br />
l’ardore e il coraggio perduti. Fu così che tolsi la vita al generale<br />
Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o. Questo affronto probabilmente ora non viene narrato<br />
nelle melo<strong>di</strong>e dei cantori,ma solo chi ha vissuto abbastanza per vederlo lo<br />
sa. Strappai un pezzo della mia tunica e pulii il volto insanguinato <strong>di</strong><br />
Teodos, poi ad alta voce con tutte le forze rimaste gridai: «Soldati Greci,<br />
oggi avete subito una grande per<strong>di</strong>ta, per oggi basta... se me lo permettete<br />
prenderò io il corpo <strong>di</strong> Teodos, affinché possa ricevere gli onori a modo<br />
mio».<br />
Detto questo raccolsi il corpo del mio avversario morto, e lo portai<br />
dentro le mura, e zoppicando lo portai a casa mia, dove Creusa e la sua<br />
ancella lavarono il suo corpo, venni curato anche io e fortunatamente verso<br />
sera quasi tutte le mie ferite si rimarginarono. Inoltre feci erigere un soppalco<br />
dove fu deposto il corpo <strong>di</strong> Teodos in un pregiatissimo telo <strong>di</strong> Nilo.<br />
Gettai una fiaccola nella legna e il cadavere bruciò.<br />
Infine salutai il mio nemico per l’ultimi volta <strong>di</strong>cendogli «Ad<strong>di</strong>o<br />
Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o, sei stato il migliore dei miei avversari, sono sicuro<br />
che un giorno ci incontreremo ancora».<br />
Un’altra vita fu spezzata, io mi chiesi quanti uomini ancora sarebbero<br />
dovuto morire, perché questa guerra finisse, perché la sete <strong>di</strong> Ares <strong>di</strong>o della<br />
guerra fosse placata... Non trovai mai risposta alla mia domanda,ma <strong>di</strong> una<br />
cosa ero certo, la guerra <strong>di</strong> Troia avrebbe portato agli uomini avi<strong>di</strong> <strong>di</strong> gloria,<br />
ricchezze <strong>di</strong> tutti i tipi, ed a uomini onesti e buoni, solo morte e paura <strong>di</strong><br />
perdere la propria famiglia, la propria patria.<br />
IL RAMMARICO DI ELENA E LA PRIGIONIA DI BRISEIDE<br />
«Elena, ragazza giovane e bella, cosa hai fatto? Perché hai lasciato tuo<br />
marito Menelao? Tu sei la causa <strong>di</strong> tutto questo: se gli uomini muoiono, se i<br />
bambini <strong>di</strong>ventano orfani, e le mogli vedove, la colpa è solo tua». Elena<br />
dentro <strong>di</strong> se non faceva altro che torturarsi con queste parole, si tormentava,<br />
– 234 –
piangeva <strong>di</strong>sperata, soffriva. Nessuno era in gradoni comprenderla, ma<br />
nessuno voleva comprenderla. Stava sempre chiusa nella sua stanza, lì non<br />
faceva che urlare <strong>di</strong>sperata, Paride tentava <strong>di</strong> consolarla, e falsa speranza le<br />
davano le parole <strong>di</strong> Priamo: «Elena non è colpa tua, se la causa <strong>di</strong> questa<br />
guerra fossi stata tu, quando Menelao morì, i Greci sarebbero tornati alla<br />
loro patria da molti anni. I Greci ci o<strong>di</strong>ano da sempre, da secoli progettano<br />
<strong>di</strong> asse<strong>di</strong>arci, la tua fuga è stata solo un pretesto». Questo era vero, ma non<br />
bastava a Elena. Non aveva amici, e ogni giorno che passava, si sentiva<br />
sempre più in colpa. Quando un uomo moriva si sentiva responsabile, come<br />
se lo avesse ucciso lei, desiderava tanto che fosse consegnata ai Greci, così<br />
la guerra sarebbe finalmente terminata.<br />
Se gli anni passarono per Elena, altrettanto passarono anche per Briseide.<br />
Infatti per lei erano aumentati anche gli anni <strong>di</strong> prigionia. La ragazza<br />
in fin dei conti, non era proprio prigioniera, perché, era <strong>di</strong>ventata la serva<br />
<strong>di</strong> Achille e godeva quin<strong>di</strong> della sua protezione. Passava le sue giornata<br />
pregando per un imminente fine della guerra, desiderava tanto rivedere i<br />
suoi cari, abbracciarli tutti, baciarli, <strong>di</strong>re loro che era ancora viva; ma,<br />
sapeva che non era possibile, e per questo piangeva, si <strong>di</strong>sperava, urlava...<br />
In cuor suo però si era accorta <strong>di</strong> una cosa. Si era innamorata, si era<br />
innamorata dell’uomo sbagliato, si era innamorata <strong>di</strong> Achille. Non capiva<br />
cosa la spingeva ad amare quell’uomo, ma ne era attratta. Altre donne<br />
probabilmente avrebbero manifestato un finto interesse per Achille, per non<br />
essere uccisa, o per non essere molestata. Ma Briseide era veramente innamorata;<br />
quando passeggiava sulla riva del mare, pensava cosa avrebbero<br />
detto i suoi parenti, ma già si immaginava la reazione del cugino Ettore:<br />
«Hai portato a Troia il mio peggior nemico!!! Hai calpestato l’onore della<br />
nostra famiglia!!!» E a questi pensieri rideva. Stranamente desiderava che<br />
Achille restasse con lei, ma se Achille fosse rimasto la guerra sarebbe continuata,<br />
portando morte e dolore per le famiglie dei soldati morti in battaglia,<br />
invece se la guerra fosse terminata, cosa che sperava, sarebbe dovuta andare<br />
a Ftia con lui, e lasciare per sempre la sua terra natale. Un giorno però rimase<br />
molto sorpresa perché Achille si rivolse a lei <strong>di</strong>cendo: «Ho programmato<br />
il mio ritorno a casa, e con me vorrei che venissi anche tu. Ma, certamente<br />
non ti posso costringere ad abbandonare la terra dei tuoi padri. Perciò<br />
ti lascio decidere il tuo destino, io vorrei una risposta al tramonto. Ma sappi<br />
che se verrai con me, mi renderai l’uomo più felice del mondo, e inoltre<br />
sarai la regina della terra dove sono nato io e dove sono cresciuto. Aspetterò<br />
con impazienza la tua risposta». Dopo ciò che aveva u<strong>di</strong>to da Achille, andò<br />
– 235 –
a passeggiare lungo la riva del mare. Sapeva che se fosse andata con<br />
Achille, non avrebbe più riabbracciato i suoi cari, ma sapeva anche che se<br />
non fosse partita con l’uomo <strong>di</strong> cui si era profondamente innamorata, lo<br />
avrebbe rimpianto per tutto il resto della sua vita. Quando si decise, andò da<br />
Achille, ma da come andarono le cose capì che sarebbe rimasta a Troia.<br />
Infatti quello era solo l’inizio della svolta. La svolta della guerra tra<br />
Troiani e Greci, che per sempre rimase leggendaria.<br />
LA SVOLTA<br />
La morte <strong>di</strong> Teodos, aveva <strong>di</strong>mostrato la fragilità dell’esercito greco, se<br />
pur molto numeroso. Tutti i soldati ormai invocavano l’aiuto <strong>di</strong> Achille,<br />
Agamennone passava le giornate nella sua tenda <strong>di</strong>sperato, cercando <strong>di</strong> trovare<br />
il modo <strong>di</strong> compiacere Achille e <strong>di</strong> farsi perdonare; ogni giorno faceva<br />
portare doni bellissimi davanti la tenda del campione greco, ma quest’ultimo<br />
senza neanche degnarli <strong>di</strong> un’occhiata, li respingeva o li dava ai suoi<br />
uomini, che erano impazienti <strong>di</strong> combattere sotto le mura <strong>di</strong> Troia; e una<br />
sera Saleo coraggiosamente si rivolse ad Achille domandandogli «Mio<br />
signore, lo sai che io ti ho sempre seguito in tutte le battaglie, ma se mi è<br />
permesso, perché esitiamo a combattere? L’esercito greco non ha possibilità<br />
<strong>di</strong> vittoria ormai...». Achille lo stette ad ascoltare, ma poco dopo infuriato si<br />
alzò in pie<strong>di</strong> e rispose spingendo Saleo fuori dalla tenda, facendolo rotolare<br />
nella sabbia «Combatti per me o per Agamennone? E Saleo? Proprio tu mi<br />
fai questa domanda, tu che mi conosci meglio degli altri!!!».<br />
Vi fu subito una risposta: «Hai ragione mio signore, io combatto per te,<br />
perdonami». Achille tornò nella sua tenda dove si fece portare della brocche<br />
<strong>di</strong> vino, per tentare <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare, e <strong>di</strong> nascondere il suo desiderio <strong>di</strong> combattere;<br />
che però passò evidente a Patroclo. Infatti il giovane cugino entrò<br />
nella sua tenda, e sicuro <strong>di</strong> quello che faceva, strappò dalle mani un bicchiere<br />
<strong>di</strong> bronzo dal quale Achille stava bevendo e urlò «Perché non combatti e<br />
resti a guardare?! Tu sei il primo che si butterebbe nella mischia... perché<br />
esiti tanto!!!». Achille rimase colpito, e fissando il vuoto sembrava essere<br />
deciso sul da farsi... infatti rispose «Hai ragione Patroclo, sono rimasto a<br />
guardare anche troppo...». E a quel punto il bel viso con le lentiggini <strong>di</strong><br />
Patroclo, colorato <strong>di</strong> marrone chiaro per l’effetto del sole, s’illuminò speranzoso<br />
<strong>di</strong> aver finalmente convinto il cugino, ma Achille terminò la frase<br />
<strong>di</strong>cendo «Domani si torna a casa».<br />
– 236 –
Allora Patroclo uscì dalla tenda, con il rimorso <strong>di</strong> non aver potuto combattere<br />
sotto le mura <strong>di</strong> Troia, e con le lacrime che rigavano quel bellissimo<br />
viso da ragazzo.<br />
Dal canto suo Achille cominciò a ubriacarsi, preparando il suo ritorno a<br />
Ftia. Noi Troiani, invece, ci stavamo organizzando in gruppi per l’assalto<br />
all’accampamento acheo all’alba, avremmo formato una schiera molto<br />
lunga, cercando in questo modo <strong>di</strong> attaccare da tutte le parti il nemico cercando<br />
così <strong>di</strong> trovarlo impreparato. In quel momento stavamo tutti i generali<br />
intorno a un tavolo stu<strong>di</strong>ando le tecniche che avremmo potuto effettuare.<br />
Io stavo vicino ad Ettore, e quando la nostra riunione terminò Ettore<br />
mi fece segno <strong>di</strong> rimanere un momento con lui, quando gli altri terminarono<br />
e andarono a informare i soldati Ettore prese un calice <strong>di</strong> vino e due bicchieri,<br />
e mi <strong>di</strong>sse «Da quando è morto Sarpedonte dei migliori generali sei<br />
rimasto solo tu; con la tua strategia delle nuovi armi, abbiamo riportato<br />
meno <strong>di</strong> 174 morti, con la tua spada hai ucciso Diomede, con il tuo scudo<br />
hai parato i colpi che i Greci davano a me, e se sono ancora vivo lo devo<br />
anche, se non soprattutto a te... ti ringrazio e ti prego <strong>di</strong> schierarti al mio<br />
fianco domani finché uno dei due non muoia».<br />
Io onorato dalle sue parole gli porsi la mano, lui me la strinse, e si<br />
accorse del braccialetto che mi aveva regalato Elena, e mi chiese «Bello, è<br />
il dono della tua sposa?».<br />
Guardando le bellissime perle imbarazzato, pensai che non era il caso<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>rgli che era il regalo <strong>di</strong> Elena e mentii affermando con la testa. Poi <strong>di</strong>rigendomi<br />
verso casa gli augurai la buona notte. Quella notte cad<strong>di</strong> in un sogno<br />
molto agitato, sognai due guerrieri che si sfidavano, uno aveva un’armatura<br />
d’orata, sull’elmo una piuma nera e con grande maestria bran<strong>di</strong>va una spada e<br />
una lancia, l’altro tentava con un grande scudo <strong>di</strong> parare i colpi, e dai suoi<br />
movimenti sembrava un abile comandante troiano. Dopo pochi minuti <strong>di</strong><br />
duello il guerriero che aveva l’elmo con la piuma nera, infilzò la lancia nel<br />
corpo del suo avversario tra le urla <strong>di</strong> spavento dei partecipanti presenti al<br />
combattimento, e proprio in quel momento io mi svegliai <strong>di</strong> soprassalto.<br />
Non chiusi occhio più per tutta la notte, quin<strong>di</strong> annoiandomi a letto mi<br />
alzai e invocando l’aiuto <strong>di</strong> mia madre Venere e della dea Atena mi misi<br />
l’armatura, e andai a preparare il cavallo, aspettando il momento della battaglia.<br />
Ma più precisamente il momento della svolta. Non sapevo a quello a<br />
cui stavo andando in contro, non sapevo che solo il giorno dopo la guerra<br />
sarebbe potuta finire, ma soprattutto non sapevo che <strong>di</strong> lì a poche ore tutta<br />
l’ira <strong>di</strong> Achille si sarebbe scatenata...<br />
– 237 –
In quel momento non era ancora sorto il sole ma quando verso sera, la<br />
luna avrebbe rischiarato la notte, tra le vittime ci sarebbe un giovane<br />
sciocco ed ingenuo ma con un grande amore per la patria, quella sera la sua<br />
pira avrebbe arso più in alto <strong>di</strong> tutte, e nell’Ade sarebbe scesa un’altra<br />
anima. Infatti quel giorno sarebbe morto Patroclo.<br />
Tutto cominciò all’alba, quando ci schierammo intorno all’accampamento<br />
del nemico con grande silenzio. Al mio comando gli arcieri del mio<br />
battaglione, cominciarono a scoccare frecce contro le sentinelle, che con un<br />
ultimo urlo <strong>di</strong> dolore <strong>di</strong>edero l’allarme. Tutti i soldati si armarono in fretta,<br />
e uscirono dalle tende, quello era il nostro piano, le frecce aumentarono <strong>di</strong><br />
intensità, trafiggendo tutti i soldati e costringendoli a rifugiarsi nelle tende.<br />
A quel punto i soldati sotto il comando <strong>di</strong> Ettore attaccarono alle spalle i<br />
Greci che colti <strong>di</strong> sorpresa furono subito schiacciati, io invece penetrai centralmente,<br />
e con gli uomini che avevo a <strong>di</strong>sposizione sfondai il mura, la<br />
torre si macchiò <strong>di</strong> sangue troiano e acheo, nulla sembrava poterci resistere<br />
infatti tutte le resistenze cedevano come un castello <strong>di</strong> sabbia. C’era un imprevisto.<br />
C’era quel fossato, tutt’attorno al muro che gli avevano costruito<br />
per <strong>di</strong>fendere le loro preziose navi. Ettore ci gridava <strong>di</strong> passarlo, ma i cavalli,<br />
essendo appena arrivati dal nord non erano abituati al sangue, e non<br />
ne volevano sapere, puntavano gli zoccoli e nitrivano, erano terrorizzati.<br />
Le sponde erano ripide e gli Achei avevano piazzato pali aguzzi sui bor<strong>di</strong>.<br />
Pensare <strong>di</strong> passare da lì, con i nostri carri argentati e immensi era una follia.<br />
Polidamante lo <strong>di</strong>sse, a Ettore, gli <strong>di</strong>sse che scendere là dentro era troppo rischioso,<br />
e se gli Achei avessero contrattaccato! Ci saremmo trovati proprio<br />
in mezzo al fossato, in trappola, e sarebbe stata una carneficina. L’unica<br />
possibilità era scendere dai carri, lasciarli prima del fossato e attaccare a<br />
pie<strong>di</strong>. Ettore gli <strong>di</strong>ede ragione, scese lui stesso dal carro e or<strong>di</strong>nò a tutti <strong>di</strong><br />
fare altrettanto. Ci schierammo in cinque gruppi. Ettore comandava il<br />
primo. Paride il secondo. Eleno il terzo. Polidamante il quarto. Il quinto era<br />
il mio. Eravamo pronti ad attaccare, ma all’improvviso si alzò una tempesta<br />
<strong>di</strong> vento che faceva paura, polvere dappertutto, che saliva fino al ponte delle<br />
navi. Coraggiosamente attraversammo il fossato e ci avventammo contro il<br />
muro. Scuotemmo i merli delle torri, abbattemmo i parapetti, cercammo <strong>di</strong><br />
scalzare i pilastri che reggevano tutto. Ma il muro resisteva bene, avrebbero<br />
potuto farcela e quando i Greci cominciavano a sperare in una salvezza, arrivò<br />
Eleno. Con l’enorme scudo <strong>di</strong> bronzo e d’oro, teso davanti e due lance<br />
strette in pugno: il suo coraggio fu tale che arrivò addosso alle sentinelle<br />
come un leone affamato. Era lì in mezzo alla calca, al suo fianco c’ero io e<br />
– 238 –
pronti per scalare il muro ci facemmo coraggio. Ci videro arrivare, da una<br />
delle torri, e si misero a gridare aiuto, e alla fine arrivò Aiace; mentre uccidevo<br />
le guar<strong>di</strong>e vedevo che correva verso <strong>di</strong> me, accanto a lui c’era Teucro,<br />
mici<strong>di</strong>ale con il suo arco e colpì Glauco al braccio, proprio mentre stava per<br />
scavalcare il muro, lo colpì al braccio, e Glauco si lasciò scivolare giù dal<br />
muro. Ora salirono anche Coone, Pisandro e Simo. La situazione si metteva<br />
male per Aiace, che adesso colto dalla paura fuggì. La torre si coprì <strong>di</strong><br />
sangue ma fu conquistata, e una volta penetrati abbassammo il piccolo<br />
ponte levatoio, dando così la possibilità ai cavalieri <strong>di</strong> entrare, con i cavalli<br />
e con i carri più leggeri. Da un’altra parte del muro, Ettore e i suoi guerrieri<br />
non riuscivano a penetrare, e intanto Paride scagliava frecce in tutte le <strong>di</strong>rezioni,<br />
facendo morire così le guar<strong>di</strong>e che tentavano <strong>di</strong> riformare una <strong>di</strong>fesa.<br />
Vedendolo in <strong>di</strong>fficoltà, scesi dalla torre, e lo andai ad aiutare; c’era una<br />
porta <strong>di</strong> legno resistentissimo, presi da un carro una grande scure e cominciai<br />
a staccare parti <strong>di</strong> legno del portone. Ma ecco, Ettore era proprio davanti<br />
a quella porta, e arrabbiato si avvicinò ad un macigno, enorme, era appoggiato<br />
a terra e terminava con una punta aguzza, tagliente. Lo sollevò,<br />
come fece non riuscii mai a realizzarlo, poiché, era un masso che due<br />
uomini avrebbero fatto fatica a tirarlo su, ma lui lo sollevò alto sulla testa.<br />
Lo vedemmo fare qualche passo verso la porta del muro, e poi con tutta la<br />
forza scagliare quel masso contro i battenti. Fu un colpo tale che i car<strong>di</strong>ni<br />
saltarono via, il legno della porta si squarciò, i chiavistelli cedettero <strong>di</strong><br />
schianto: rapi<strong>di</strong> come la notte Ettore ed io entrammo nella voragine aperta,<br />
splen<strong>di</strong><strong>di</strong> nel bronzo, se fossimo stati fratelli <strong>di</strong> sangue, nessuno ci avrebbe<br />
opposto resistenza e nessuno avrebbe osato affrontarci. Io mi addentrai <strong>di</strong><br />
più, cominciando ad ingaggiare duelli con tutti quelli che tentavano sfidarmi,<br />
Ettore invece scatenò i guerrieri, e tutti lo seguirono sicuri del loro<br />
generale. Furono portati i carri, su uno salimmo Ettore ed io, in modo che<br />
tutti ci potessero vedere. I Greci, a cui andavamo incontro, ci videro arrivare<br />
al galoppo e ne sono sicuro, davanti a noi tremarono pregando gli dei<br />
<strong>di</strong> non morire quell’atroce giorno <strong>di</strong> battaglia. Avevano formato un gruppo<br />
pronto a combattere, erano molto numerosi, forse più <strong>di</strong> noi, ma in quel<br />
momento, nello stretto, noi avevamo più possibilità <strong>di</strong> vittoria, e allora caricammo<br />
<strong>di</strong> massa tutti <strong>di</strong>etro noi due, i fratelli <strong>di</strong> spada, Ettore ed Enea. In<br />
quel momento quando un Greco sentiva pronunciare quei nomi rabbrivi<strong>di</strong>va,<br />
e così avvenne; i soldati nemici scapparono via sperando <strong>di</strong> salvarsi.<br />
La strada era spianata, non sapendo da che parte cominciare, attaccammo<br />
l’armeria. Le armi più belle erano lì a portata <strong>di</strong> mano, ma non ci interessa-<br />
– 239 –
vano, prendemmo solo le lance, che sarebbero state piantate poi nel petto o<br />
nella schiena <strong>di</strong> qualche soldato nemico.<br />
Eravamo formidabili. Come un masso che cadendo dall’alto della montagna<br />
rotola e rimbalza, facendo risuonare la selva al suo passaggio, e non<br />
si ferma fino a quando giunge alla pianura, così voleva fare Ettore, voleva<br />
arrivare fino al mare, alle navi, alle tende degli Achei, seminando la morte.<br />
Intorno a lui la battaglia che annienta gli uomini, irta <strong>di</strong> lance taglienti. Noi<br />
avanzavamo da ogni parte, accecati dai bagliori <strong>di</strong> uno splendore fatto <strong>di</strong><br />
elmi lucenti, lucide corazze e scu<strong>di</strong> brillanti. Come potrei mai <strong>di</strong>menticare<br />
quello splendore... ma io vi <strong>di</strong>co: non c’è cuore così fiero da poter guardare<br />
quella bellezza senza esserne atterrito. E atterriti ne eravamo noi, lì, affascinati<br />
ma atterriti, mentre Ettore ci trascinava avanti, come se non avesse<br />
altro che quelle navi, laggiù, da raggiungere e da <strong>di</strong>struggere. Dalle retrovie<br />
degli Achei ci bersagliavano <strong>di</strong> frecce e <strong>di</strong> pietre, mentre in prima linea i<br />
nostri si trovavano davanti ai migliori guerrieri. Incominciammo a sbandare,<br />
a perderci. Polidamante, ancora lui, corse da Ettore, era furibondo, ed<br />
io lì vicino, uccidendo prima un Greco, poi un altro, sentii tutto: «Ettore!!!<br />
Vuoi ascoltarmi una volta? Solo perché sei il migliore <strong>di</strong> noi Troiani, non<br />
vuol <strong>di</strong>re che sei il più saggio. Ascoltami! Abbiamo la battaglia intorno<br />
come una corona <strong>di</strong> fuoco, in questo modo, rischiamo <strong>di</strong> arrivare alle navi<br />
in pochi e non ti <strong>di</strong>menticare, che c’è ancora Achille, affamato <strong>di</strong> guerra».<br />
Aveva ragione. Ettore guardò me e io annuii con la testa. Tornammo in<strong>di</strong>etro,<br />
allora, a raccogliere i nostri migliori soldati, a rimettere insieme l’esercito,<br />
ma lì si accorse che molti <strong>di</strong> noi non ce l’avevano fatta, erano stati<br />
colpiti sul muro da Teucro, il perfido arciere. Erano morti Deifobo, Eleno,<br />
Otrioneo; Ettore li cercava ma non li trovava, trovò Paride, che con coraggio<br />
lo prese per le braccia e gli urlò: «Sono morti, Ettore, feriti o <strong>di</strong>spersi,<br />
tutti vittime <strong>di</strong> Aiace e Teucro, io stesso ho visto come è morto Eleno<br />
che stava per uccidere Aiace, ma slealmente è stato colpito alle spalle.<br />
Siamo rimasti noi, portaci con te, ti seguiremo fino alla morte». Come<br />
aveva fatto con Polidamante, Ettore fece <strong>di</strong> nuovo con Paride, lo ascoltò, e<br />
così or<strong>di</strong>natamente <strong>di</strong> nuovo ci scagliammo all’attacco. Davanti a noi c’era<br />
Aiace. Gli si fece contro Ettore, con l’elmo splendente sulla testa che gli<br />
oscillava sulle tempie. Io mi misi a correre verso Ulisse che era appena<br />
uscito dal campo me<strong>di</strong>co, e colto <strong>di</strong> sorpresa, fece solo in tempo a bran<strong>di</strong>re<br />
la spada, perché mi lanciai al duello.<br />
Mentre da una parte Ettore combatteva contro Aiace, io inseguivo<br />
Ulisse per le tende. Impaurito, chiamò l’aiuto dei suoi uomini. Uno ad uno<br />
– 240 –
uscivano dalle tende, ma io rapido li uccidevo tutti, Pendoro, Sabo, Xanto,<br />
Balio, tutti, nessuno mi poteva fermare. Ulisse fuggiva, non aveva il coraggio<br />
<strong>di</strong> affrontarmi, allora pensai <strong>di</strong> andare dai miei uomini per soccorrerli.<br />
Trovai Paride che nascosto sotto un cavallo morto scagliava frecce verso<br />
Teucro, e quest’ultimo, al sicuro nella torre <strong>di</strong> pietra cercava in tutti i mo<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> uccidere Ettore che stava sconfiggendo Aiace. Paride inoltre <strong>di</strong>sse: «Male<strong>di</strong>zione,<br />
ha ucciso e sta continuando a uccidere i nostri migliori soldati,<br />
senza contare che mira ad uccidere Ettore, qualcuno deve fermarlo».<br />
A quelle parole, misi la spada nel fodero, raccolsi tre lance e mi misi lo<br />
scudo sulle spalle. In quel modo corsi verso Teucro, e in corsa gli scagliai<br />
contro una lancia, poi raggiunsi le scale della torre e scagliai la seconda<br />
lancia infilzando un soldato, che rimase attaccato al muro; salii le scale e<br />
trovai Echepolo e Antiloco, uno lo uccisi trafiggendolo con la lancia, l’altro<br />
decapitandolo con il bordo dello scudo. Salii ancora e trovai Teucro che mi<br />
aspettava, mi coprii con lo scudo, e accovacciandomi mi avvicinai, sentivo<br />
il rumore e lo scontro delle frecce infrangersi sul mio scudo <strong>di</strong> bronzo. Poi<br />
quando ebbe finito le frecce, mi scagliò addosso le lance e i giavellotti. Non<br />
potevo continuare così, sarebbero arrivate altre guar<strong>di</strong>e e mi avrebbero<br />
ucciso alle spalle, allora con un guizzo raccolsi per terra un pugnale; era<br />
molto piccolo ma affilato come pochi, e lo lanciai nel petto <strong>di</strong> Teucro, ruotò<br />
nell’aria e si fermò nel petto dell’arciere. Una volta colpito, si inginocchiò.<br />
E sputando sangue capii che <strong>di</strong> lì a poco sarebbe morto. Provò a raccogliere<br />
una lancia, ma la forza lo abbandonò, allora mi cercò con lo sguardo, e<br />
preoccupato non mi vide. Io nascosto <strong>di</strong>etro una colonna uscii e con la<br />
spada lo decapitai. Così morì Teucro, le sue frecce non avrebbero più ucciso<br />
nessun Troiano, e le sue vittime furono ven<strong>di</strong>cate.<br />
Mi affacciai dalla torre e con la spada alta, feci capire ai Troiani che<br />
adesso avevano una preoccupazione alle spalle in meno, ma quando mi<br />
girai, vi<strong>di</strong> un esercito che marciava qui, erano forse cinquemila. Finalmente<br />
capii, erano i Lici appena giunti dall’ovest in soccorso <strong>di</strong> Glauco. Sapevo<br />
che ci avrebbero aiutato, ma non immaginavo, che avrebbero mandato un<br />
tale esercito in così poco tempo. Prima <strong>di</strong> scendere, vi<strong>di</strong> gli effetti della nostra<br />
invasione, c’erano migliaia <strong>di</strong> cadaveri per terra, il terreno era <strong>di</strong>ventato<br />
rosso, inoltre vi erano piantate lance e frecce. Scesi dalla torre, e all’entrata<br />
mi <strong>di</strong>ressi verso i Lici, e <strong>di</strong>ssi a tutto l’esercito: «Siete più che i benvenuti.<br />
Io sono Enea secondo generale. Vi avverto subito, vi <strong>di</strong>spiacerà sapere che<br />
il vostro capo Sarpedonte è morto». A quel punto si avvicinò un ragazzo,<br />
avrà avuto forse più <strong>di</strong> vent’anni e mi <strong>di</strong>sse: «Io sono Elo, soldato fedele <strong>di</strong><br />
– 241 –
questa armata, sono il nipote <strong>di</strong> Sarpedonte, ven<strong>di</strong>cherò mio zio, e da adesso<br />
in poi siamo tutti al tuo comando». Io li ringraziai, ma senza perdere troppo<br />
tempo entrammo nell’accampamento Greco. Urlammo tutti in coro: «Tremate<br />
Greci, arrivano i Lici!!!». Cominciammo a combattere, corsi da Ettore<br />
e lo trovai sfinito, che si appoggiava ad un masso per riprendere fiato. Gli<br />
comunicai la situazione e il suo volto si illuminò. Feci portare un carro, e<br />
così cominciammo a marciare verso le navi con un esercito numerosissimo<br />
alle spalle, i cui passi risuonarono.<br />
I Greci fuggirono davanti a noi. Erano terrorizzati. Neanche Aiace riuscì<br />
a fermarli, e dovette retrocedere con i compagni per organizzare una <strong>di</strong>fesa,<br />
ma prima raccolse un sasso, era abbastanza grande e correndo in avanti lo<br />
scaraventò verso <strong>di</strong> noi. Il destino volle che andò a colpire proprio Ettore. Il<br />
principe Troiano cadde all’in<strong>di</strong>etro; e vomitando sangue nero svenne, una<br />
tenebra scura gli scese sugli occhi. Quando videro che noi portammo via<br />
Ettore, presero coraggio. Aiace per primo si lanciò verso <strong>di</strong> noi, portandosi<br />
tutti <strong>di</strong>etro. Fu uno scontro selvaggio. Non così forte risuonano le onde del<br />
mare sugli scogli quando soffia violenta la bora. Non così forte è il rombo<br />
dell’incen<strong>di</strong>o quando <strong>di</strong>vampa nelle valli in montagna e <strong>di</strong>vora la foresta.<br />
Non così forte ulula il vento quando infuria tra le alte fronde delle querce.<br />
Non così forte come esplose l’urlo <strong>di</strong> Achei e Troiani quando si gettarono<br />
gli uni sugli altri. Si mise male per noi, perché senza Ettore che ci trascinava,<br />
e che ci dava coraggio non riuscivamo a fare neanche un passo. A poco<br />
servirono le mie parole, l’esercito sbandò. Cominciammo ad in<strong>di</strong>etreggiare,<br />
impauriti. Impauriti come cervi incalzati fin nel folto della foresta dai cacciatori:<br />
quando sembrava la fine per noi tra le file Troiane uscì un uomo. Era<br />
Ettore. Tutti lo credevano morto. Lo vedemmo noi, e lo videro anche i Greci,<br />
sembrava uno spirito fuggito dall’al<strong>di</strong>là, come un incubo che non li lasciava<br />
in pace, come un leone che aveva piantato i denti nella loro carne, e adesso<br />
non li mollava più.<br />
Se ne scapparono quasi tutti, in<strong>di</strong>etro verso le loro navi. Rimasero solo i<br />
più forti e i più valorosi: Aiace, Idomeneo, Merione, Mege e suo fratello<br />
Solone. A gran<strong>di</strong> passi marciammo contro <strong>di</strong> loro. Caddero uno dopo l’altro<br />
sotto i nostri colpi. Medonte e Iaso uccisi da me. Stichio e Arcelisao, uccisi<br />
da Ettore. Mecisteo, ucciso da Polidamante. Echio, ucciso da Polite. Clonio<br />
e Deico, uccisi da Paride, con due frecce al centro del petto. Mentre noi<br />
spogliavamo i cadaveri, loro scappavano da ogni parte. Anche i migliori,<br />
tutti. Arretrarono fino alle navi, ed è lì dove Ettore, io e tutti i Troiani desideravamo<br />
arrivare.<br />
– 242 –
ATTACCO ALLE NAVI<br />
Io ero davanti a tutti e vi<strong>di</strong>, alla fine, là, davanti a me, le navi. I primi<br />
scafi neri, puntellati sulla terra, e poi a per<strong>di</strong>ta d’occhio, navi,navi,navi fino<br />
alla spiaggia e al mare, migliaia <strong>di</strong> alberi e <strong>di</strong> chiglie, prue puntate verso<br />
il cielo fino a dove si poteva guardare. Le navi. Nessuno può capire cosa<br />
è stata quella guerra per noi Troiani senza immaginare il giorno in cui le<br />
vedemmo arrivare. Erano più <strong>di</strong> mille, in quel pezzo <strong>di</strong> mare che era nei nostri<br />
da quando eravamo bambini, ma mai avevamo visto solcato da qualcosa<br />
che non fosse amico, e piccolo, e raro. E adesso era oscurato fino all’orizzonte<br />
da mostri venuti da lontano per annientarci. ripensando a quella battaglia<br />
mi giunge alla mente un pensiero, ricordo me e i giovani maschi <strong>di</strong> Troia,<br />
vestiti con le armi più belle, uscire dalla città, marciare verso la pianura, e<br />
giunti al mare, cercare <strong>di</strong> fermare quella flotta, terrorizzante a colpi <strong>di</strong> pietre,<br />
la pietre della spiaggia. Le tiravamo capite? Mille navi e noi con le nostre<br />
pietre. Rimasi per qualche minuto immobile, Ettore <strong>di</strong>menticando, paura e<br />
dolore, scatenò l’esercito, ed esso <strong>di</strong>venne mare in tempesta per quelle navi.<br />
Scalavamo le chiglie, con le fiaccole in mano, per dar fuoco a tutto. Ma gli<br />
Achei si <strong>di</strong>fendevano duramente. C’era Aiace, ancora lui, a incitarli e a guidarli.<br />
Era a poppa su una nave, e uccideva chiunque riuscisse a salire o anche<br />
solo ad avvicinarsi. In una mano teneva la spada <strong>di</strong> Diomede presagli una<br />
volta morto, e nell’altra una scure enorme molto affilata. Io puntai dritto<br />
contro <strong>di</strong> lui e quando fui abbastanza vicino mirai e sferrai la lancia. La punta<br />
<strong>di</strong> bronzo volò in alto ma mancò il bersaglio e colpì uno scu<strong>di</strong>ero, Licofrone.<br />
Vi<strong>di</strong> Aiace rabbrivi<strong>di</strong>re. Spaventato fuggì, ed io salii insieme ad Ettore su una<br />
nave lanciandoci all’inseguimento. Con le fiaccole in mano cominciammo a<br />
dar fuoco alle vele piegate, ed è in quelle fiamme che io ricorderò Ettore, lo<br />
sconfitto, lo dovete ricordare in pie<strong>di</strong>, sulla poppa <strong>di</strong> quella nave circondato<br />
dal fuoco. Ettore il morto trascinato da Achille per tre volte intorno alle mura<br />
della sua città, lo dovete ricordare vivo, e vittorioso, e splendente nelle sue<br />
armi d’argento e <strong>di</strong> bronzo. Le navi presero fuoco una ad una e inseguendo<br />
ancora Aiace, scendemmo dalla nave e ci imbattemmo contro Achille.<br />
Gridava, Patroclo, davanti a tutti, splendente nelle armi <strong>di</strong> Achille. Lo<br />
vedemmo tutti e come tutti anch’io ebbi paura. Marciava a gran<strong>di</strong> passi<br />
verso <strong>di</strong> noi, l’esercito ormai era in rotta. Ettore era l’unico che non <strong>di</strong>mostrava<br />
timore, e anzi volle affrontare Patroclo nelle vesti <strong>di</strong> Achille. Io dovetti<br />
trattenerlo e gli urlai contro: «Che cosa fai Ettore? Vuoi morire?», e lui<br />
rispose subito: «Se morirò, morirò combattendo!!!». Io replicai: «Se Vuoi<br />
– 243 –
morire, muori da eroe, muori sotto le porte Scee, almeno così potremo recuperare<br />
il tuo corpo». Ettore parve capire e mi seguì or<strong>di</strong>nando la ritirata.<br />
Fuggimmo tutti come cervi inseguiti dai leoni. Patroclo si gettò all’inseguimento<br />
e trascinò tutti con sé. Non smetteva <strong>di</strong> uccidere, correndo verso le<br />
mura <strong>di</strong> Troia, Adrasto, Autonoo, Echeclo, Perimo, tutti caduti sotto i suoi<br />
colpi e poi Epistore, Melanippo, Elaso, Mulio, Pilarte, e quando arrivò alle<br />
porte Scee si slanciò per cercare Ettore. Quest’utlimo sembrava indeciso se<br />
ritirare l’esercito dentro le mura o rimanere lì a combattere. Scelse <strong>di</strong> far<br />
entrare l’esercito, lasciando fuori solo la retroguar<strong>di</strong>a, e noi generali più<br />
valorosi. E poi si trovò davanti Patroclo, i due si misero a combattere, prima<br />
con lancia e poi con spada, dopo poche ore, come tutti sapete, Patroclo<br />
morì. Venne infilzato nel ventre, e cadde per terra. Ettore pietoso lo voleva<br />
infilzare una seconda volta per non farlo soffrire, e quando levò l’elmo vide<br />
il volto can<strong>di</strong>do <strong>di</strong> un ragazzo, ormai morente. Urlò per la <strong>di</strong>sperazione e,<br />
deciso più che mai a porre fine alle sofferenze <strong>di</strong> Patroclo. Ma il ragazzo<br />
lo fermò: «Aspetta, puoi vantarti adesso, Ettore, perché mi hai vinto ma la<br />
verità è che morire era il mio destino. E adesso ascoltami, e non <strong>di</strong>menticare<br />
quello che ho da <strong>di</strong>rti. Tu sei un morto che cammina, Ettore, quella poca vita<br />
che hai ancora te la toglierà Achille. Che gli dei abbiano pietà <strong>di</strong> te, perché<br />
non ne riceverai da mio cugino.» Poi il velo della morte lo avvolse. L’anima<br />
volò via e se ne andò all’Ade, rimpiangendo la forza e la giovinezza perdute.<br />
Fu così che Patroclo morì. Ettore fece rientrare i soldati, e lasciò il<br />
corpo ai Greci, affinché potesse ricevere le giuste onorificenze. Poi rientrò<br />
dentro la città. Il giorno passò rapido. Tutti vedevano che aveva paura <strong>di</strong><br />
morire, infatti rimase sempre con le mani nei capelli piangendo. Aveva timore<br />
<strong>di</strong> non vedere la crescita del figlio, non era la morte che lo spaventava.<br />
E rammaricato e rassegnato aspettò che il suo destino fosse compiuto.<br />
Nell’accampamento Greco, Briseide stava tornando da Achille con la risposta.<br />
Entrò nella tenda e trovò Achille che piangeva sul corpo <strong>di</strong> Patroclo.<br />
Le lacrime cominciavano a scorrerle dagli occhi, e <strong>di</strong>sse subito: «Povero Patroclo,<br />
era solo un ragazzo. Achille si alzò <strong>di</strong> scatto, furioso, le <strong>di</strong>ede un<br />
pugno e la legò a letto. Poi cominciò a frustarla, ogni volta sempre più forte;<br />
la povera ragazza con urli <strong>di</strong> dolore lo implorava <strong>di</strong> smettere. Achille sapeva<br />
che non era colpa <strong>di</strong> Briseide ma su qualcuno si doveva sfogare. Piansero sul<br />
corpo <strong>di</strong> Patroclo tutta la notte. L’avevano lavato dal sangue e dalla polvere,<br />
e nelle sue ferite avevano versato un unguento finissimo. Perché non perdesse<br />
la sua bellezza, avevano fatto colare ambrosia e nettare nelle narici.<br />
Poi avevano adagiato il corpo sul letto funebre, avvolto in un soffice telo <strong>di</strong><br />
– 244 –
lino, e coperto da un bianco mantello. Patroclo. Era solo un ragazzo, non<br />
credo nemmeno che fosse stato un eroe. Adesso ne avevano fatto un Dio.<br />
Con la sua morte aveva evitato che la guerra fosse vinta in nostro favore.<br />
Sorse l’alba e venne il giorno che per sempre avrei ricordato come il<br />
giorno della fine <strong>di</strong> Ettore. Da quanto seppi portarono ad Achille le armi che<br />
i migliori artigiani Achei avevano costruito per lui, quella notte, lavorando<br />
con arte <strong>di</strong>vina. Lui era abbracciato al corpo del cugino, girò lo sguardo<br />
verso le armi. Sembravano fatte da un <strong>di</strong>o per un <strong>di</strong>o. Era una tentazione a<br />
cui Achille non avrebbe potuto resistere.<br />
Così si alzò da quel corpo, si fece mettere l’armatura e marciò con il<br />
cavallo verso le porte <strong>di</strong> Troia. Si arrabbiò con il cavallo, così lo insultava e<br />
gli gridava contro. Ce l’aveva con lui perché non era stato in grado <strong>di</strong> proteggere<br />
Patroclo dalla morte, fuggendo dalla battaglia. E <strong>di</strong>ce la leggenda<br />
che il cavallo gli rispose, abbassando il muso, e strappando le re<strong>di</strong>ni parlò<br />
con voce umana e gli <strong>di</strong>sse: «Correrò veloce come il vento, Achille, ma più<br />
veloce <strong>di</strong> me corre il tuo destino incontro alla morte». Achille più <strong>di</strong> ogni<br />
altra cosa desiderava uccidere, uccidere, uccidere.<br />
UCCIDERE, UCCIDERE, UCCIDERE<br />
Arrivato sotto le mura <strong>di</strong> Troia urlò per tre volte, Ettore. Senza farsi<br />
aspettare troppo il protettore della nostra città uscì dalle porte. Non era<br />
obbligato a combattere ma tuttavia non si tirò in<strong>di</strong>etro. Io mi trovavo sulla<br />
reggia, ero affacciato al balcone insieme agli altri. C’erano: Andromaca,<br />
Paride, Elena, il re Priamo, la regina Ecuba, i generali più importanti e i<br />
servi. Prima <strong>di</strong> incominciare il duello Ettore parlò ad alta voce: «Voglio fare<br />
un patto con te, impegnamoci nel promettere che al vinto verranno resi gli<br />
onori funebri giusti». Achille risposte subito: «Non si fanno patti tra uomini<br />
e leoni, prima <strong>di</strong> stasera brinderò sul tuo cadavere, e tu vagherai nell’Ade<br />
irriconoscibile, e il tuo corpo farà da banchetto per cani e uccelli». Era<br />
come nel mio sogno, i due guerrieri si sfidavano, uno aveva una armatura<br />
dorata, un elmo splendente che terminava con una piuma nera, uno scudo<br />
possente, mai visto uno così e bran<strong>di</strong>va una lancia con grande maestria;<br />
l’altro tentava con un grande scudo <strong>di</strong> parare i colpi e dai suoi movimenti<br />
sembrava un abile comandante Troiano.<br />
Ettore si <strong>di</strong>fendeva con <strong>di</strong>fficoltà dagli attacchi <strong>di</strong> Achille. Riuscì ad allontanarsi<br />
per qualche metro e scagliò la sua lancia contro Achille. La lancia<br />
– 245 –
si conficcò in mezzo allo scudo, e allora Ettore capì che il suo destino alla<br />
fine lo aveva raggiunto. E poiché era un eroe, estrasse la spada, per morire<br />
combattendo, in un modo che tutti gli uomini a venire avrebbero per sempre<br />
raccontato. Prese lo slancio, come un’aquila avida <strong>di</strong> piombare sulla preda.<br />
Di fronte a lui Achille si raccolse nello splendore delle sue armi. Si balzarono<br />
addosso, come due leoni. La punta <strong>di</strong> bronzo della lancia <strong>di</strong> Achille<br />
avanzava come avanza brillando la stella della sera nel cielo notturno. Cercava<br />
un punto scoperto nell’armatura <strong>di</strong> Ettore, le armi che un giorno erano<br />
state <strong>di</strong> Achille, e poi <strong>di</strong> Patroclo. Cercava tra il bronzo un punto scoperto<br />
per arrivare alla carne e alla vita. Lo trovò nel punto in cui il collo si appoggia<br />
sulla spalla, penetrò nella gola e la trapassò da parte a parte e con<br />
l’ultimo soffio <strong>di</strong> vita che aveva chiese ad Achille: «Ti prego consegna il<br />
mio corpo a mio padre, non lasciarmi ai cani». Achille gelido rispose: «Non<br />
mi pregare, è troppo il male che mi hai fatto». E stava per legarlo al carro<br />
ma le porte <strong>di</strong> Troia si spalancarono. Uscimmo io e Paride. Ci <strong>di</strong>rigemmo<br />
contro il figlio <strong>di</strong> Peleo. Io con una lancia e una spada, Paride con il suo<br />
arco e le frecce. Achille ci vide e senza darci troppo importanza ci voltò le<br />
spalle. Io furioso gli scagliai la lancia contro e lui la prese con lo scudo.<br />
Sguainò la spada e si <strong>di</strong>resse contro <strong>di</strong> me. Per pochi minuti combattemmo.<br />
Mi accorsi <strong>di</strong> quanto era forte e fortunatamente procurandogli un taglio<br />
sulla mano lo allontanai da me. Lì Paride mirò basso per non colpirmi e<br />
prese Achille proprio al tallone.<br />
L’eroe Greco urlò dal dolore. E lo finii io trapassandolo con lancia e<br />
spada. Non accennava a morire. Che fosse immortale? No, no. Morì<br />
IL CAVALLO<br />
Qualche giorno dopo, dopo aver osservato i giorni <strong>di</strong> lutto per Ettore ci<br />
preparammo per un ultimo decisivo attacco. Andammo sulla spiaggia ma<br />
lì non trovammo nessuno. C’erano dei cadaveri <strong>di</strong> uomini. Sui loro corpi vi<br />
erano strane macchie nere. La peste. E cosa trovammo? Un cavallo.<br />
EPILOGO<br />
Lo so, le cose non andarono veramente così. Spero <strong>di</strong> non avervi creato<br />
un po’ <strong>di</strong> confusione in testa. Ma il fatto è che volevo donare all’opera un<br />
– 246 –
pizzico del mio stile, mi auguro che vi sia piaciuto, e che non vi abbia<br />
annoiato. Credo <strong>di</strong> aver scritto tutto sommato un racconto comprensibile.<br />
Ho esagerato forse nei personaggi, mi riferisco ad Ettore, Pandaro,<br />
Enea, che era il mio personaggio preferito, e credo <strong>di</strong> aver fatto apparire<br />
Achille un po’ troppo spietato e crudele. Se vi ho confuso le idee così tanto<br />
sono davvero rammaricato... e non preoccupatevi, il finale non è che non è<br />
stato proseguito, ma preferivo farlo terminare così, per far calare in voi la<br />
famosa suspense. Grazie a tutti per aver letto il mio libro, e vorrei de<strong>di</strong>carlo<br />
alla mia sorellina Chiara, che, quando scrivevo, si sedeva sopra le mie<br />
gambe.<br />
____ ____ ____<br />
Made in America<br />
<strong>di</strong> LORENZO PANI<br />
TRAMA<br />
Il racconto parla <strong>di</strong> Benjamin Chase Harper, un giovane <strong>di</strong> colore che<br />
conduce la sua vita nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Claremount. Si mantiene lavorando in<br />
un negozio <strong>di</strong> musica, la sua vera passione. Un giorno, tornando a casa,<br />
trova nella buca della posta una lettera che gli sconvolgerà la vita: obbligo<br />
<strong>di</strong> leva militare e spe<strong>di</strong>zione in Vietnam. Il ragazzo, scoprirà in seguito il<br />
vero volto della “Sporca Guerra”. Il racconto è un’interpretazione libera<br />
della guerra del Vietnam, ed è una denuncia verso ciò che è accaduto durante<br />
quegli anni, descritto tramite gli occhi <strong>di</strong> un giovane.<br />
Erano le otto <strong>di</strong> sera e l’unica cosa che passava per Beaumont street era<br />
una leggera brezza <strong>di</strong> vento che scompigliava i rasta <strong>di</strong> Benjamin. Il ragazzo<br />
era appena uscito dal suo negozio e stava chiudendo la serranda quando<br />
sentì il rombo <strong>di</strong> una macchina che inchiodava <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui. Si girò <strong>di</strong> scatto<br />
e vide Juan, il suo vicino <strong>di</strong> casa nonché suo migliore amico. – Ti accompagno<br />
a casa? – gli chiese Juan. Ben annuì con la testa e salì sulla decappottabile.<br />
Mentre percorrevano Lincoln avenue, inserì una cassetta nella ra<strong>di</strong>o e<br />
subito dopo si sentì la voce soul <strong>di</strong> Bob Marley che riecheggiava nella via.<br />
– 247 –
Subito il ragazzo afferrò la chitarra e si mise a seguire la base <strong>di</strong> “Buffalo<br />
sol<strong>di</strong>er” senza sbagliare neanche una nota. Era bravissimo con la “slide”;<br />
suo padre Leonard gli aveva insegnato a suonare e gli aveva trasmesso la<br />
passione per il soul. – Ben, non suonare mai più in macchina – gli <strong>di</strong>sse<br />
Juan – altrimenti mi fai rilassare troppo e finiamo addosso ad un lampione.<br />
Arrivati a casa, Benjamin scese dalla macchina e mentre l’amico parcheggiava<br />
la sua Ca<strong>di</strong>llac lo salutò ed entrò in casa. Non era una bella casa<br />
ma, anche se era limitata nei confort, rimaneva accogliente.<br />
Dopo cena, si sedette sotto la veranda <strong>di</strong> casa e si mise a pensare alla<br />
sua opera: stava scrivendo una canzone ma non sapeva cosa buttar giù. Era<br />
intenzionato a scrivere un brano per poter sfondare nella musica e aveva<br />
pensato <strong>di</strong> scrivere una denuncia contro il mondo <strong>di</strong> oggi. Si accese una<br />
sigaretta e pensò al titolo. Dopo poco un colpo <strong>di</strong> reni lo staccò dalla se<strong>di</strong>a e<br />
lo mise in pie<strong>di</strong>: I CAN CHANGE THE WORLD WITH MY OWN TWO<br />
HANDS.<br />
– Sì, con quello che sta accadendo in Vietnam, sicuramente è un ottimo<br />
titolo – pensò Ben e, dopo questa gran conquista, se n’andò a letto.<br />
La mattina dopo si alzò, con il rintocco <strong>di</strong> una sveglia particolare: Juan<br />
era tornato dalla sua corsetta mattutina e gli aveva portato la colazione.<br />
– Buongiorno pigrone! Sono le sette e mezzo e ti devi preparare altrimenti<br />
farai tar<strong>di</strong> a lavoro.<br />
– Per fortuna che ci sei tu, mamma Juan, altrimenti non saprei come<br />
fare.<br />
– Ah ah ah... spiritoso. Preferisce la versione maggiordomo, signorino<br />
Harper?<br />
I due, finita la colazione, si <strong>di</strong>ressero verso il negozio <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi che avevano<br />
in comproprietà.<br />
– Juan, ieri ho trovato il titolo alla mia canzone: I can change the world<br />
with my own two hands.<br />
– Uno dei tuoi nuovi successi. Bello, mi piace.<br />
– Sarà una minaccia contro la guerra del Vietnam.<br />
– Ottimo! Gli farai barba e capelli a Bruce Springsteen!<br />
– Gli faremo... tu sarai il mio manager. Non è così?<br />
– Certo. Basta che ti ricorderai <strong>di</strong> me. Ora però scen<strong>di</strong> dalle nuvole<br />
perché siamo arrivati.<br />
Quel giorno, Beaumont street era invasa <strong>di</strong> gente, per il mercato della<br />
domenica. Il signor Jefferson, il vero padrone del locale del negozio, li<br />
stava aspettando davanti alla saracinesca. Era molto arrabbiato dall’aspetto<br />
– 248 –
e Ben cercò <strong>di</strong> raggirarlo con le classiche frasi da bravo ragazzo: – Buongiorno<br />
signor Jefferson, cosa posso fare per lei?<br />
– L’affitto... mi dovete pagare l’affitto.<br />
– Puntuale come un orologio svizzero e... – <strong>di</strong>sse Juan con un sorrisetto<br />
finto stampato sulla faccia.<br />
– Ho capito – <strong>di</strong>sse il signor Jefferson – non avete ancora i sol<strong>di</strong>...<br />
aspetterò una settimana, dopo<strong>di</strong>ché vi farò sgomberare il locale, capito<br />
giovani?<br />
Detto così, il signore se n’andò e i due ragazzi lo guardarono con o<strong>di</strong>o,<br />
poi Ben si girò verso Juan e <strong>di</strong>sse:<br />
– Quando <strong>di</strong>venterò una rockstar, mi comprerò tutto il locale e ingaggerò<br />
qualcuno per uccidere quel dannato vecchiaccio!<br />
Quel giorno gli incassi non andarono a gonfie vele ma Ben si consolò<br />
con la sua chitarra, cercando qualche base per la sua canzone.<br />
La sera, appena chiusero il negozio, salirono in macchina e se n’andarono<br />
dal vecchio Bo, a prendere una birretta per rilassarsi.<br />
Arrivati lì, entrarono nel locale e trovarono la solita gente: Jack occhio<br />
<strong>di</strong> vetro, un veterano della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale che si ubriacava per<br />
<strong>di</strong>menticare. Poi c’era Mike, un vecchio scorbutico che si fermava a<br />
gabbare i novellini del poker con le sue giocate scorrette. E infine c’era Bo,<br />
il proprietario del locale, che era sempre <strong>di</strong> buon umore e offriva spesso da<br />
bere a tutti quando si ubriacava lui stesso.<br />
Juan e Ben si sedettero al solito posto e or<strong>di</strong>narono il solito Jack Daniel’s<br />
fino ad essere completamente sbronzi. A quel punto Ben iniziò a cantare e a<br />
suonare il pianoforte mentre Juan e Bo ballavano sul bancone barcollando<br />
qua e là.<br />
I due ragazzi tornarono a casa verso mezzanotte e crollarono in un<br />
sonno profondo.<br />
La mattina dopo, Juan entrò in casa <strong>di</strong> Ben alle sette e mezzo, puntuali<br />
come al solito e i due si recarono a lavoro.<br />
Appena scesero dalla macchina, i ragazzi incrociarono lo sguardo <strong>di</strong><br />
Carol, una ragazza che Ben conosceva da tanto tempo e con la quale aveva<br />
avuto una storia al liceo che durò due anni. La cotta che aveva per lei non<br />
era passata, infatti il ragazzo arrossì e la ragazza ricambiò il gesto salutandolo<br />
con un sorriso smagliante.<br />
– Cosa aspetti a riprovarci? – gli <strong>di</strong>sse Juan.<br />
– Dici che dovrei invitarla a cena?<br />
– 249 –
– Certo! Acchiappala tigre!<br />
Ben non se lo fece ripetere due volte, e le corse <strong>di</strong>etro per parlarci.<br />
– Carol?<br />
La ragazza si girò <strong>di</strong> colpo e si trovò spiazzata. Era bellissima. Ogni<br />
cosa. Quasi perfetta. E aveva un caratterino! Al liceo, se Ben rivolgeva la<br />
parola ad un’altra ragazza, Carol gli faceva il terzo grado e, concludeva il<br />
tutto con: – Sono io la tua unica ragazza, capito! –<br />
– Oh, ciao Ben, ehm... come va?<br />
Il ragazzo, anche lui sprovvisto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso per rompere il ghiaccio<br />
passò <strong>di</strong> nuovo la parola a lei.<br />
– Bene, eh... e a te?<br />
– Bene, sì... tutto bene.<br />
Pausa. Solo sguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> sottecchi. Intanto Juan se la rideva da lontano<br />
guardando la paro<strong>di</strong>a “Giulietta & Romeo” che durò per circa <strong>di</strong>eci secon<strong>di</strong>:<br />
un’infinità.<br />
Ad un tratto Ben, con aria titubante, <strong>di</strong>sse:<br />
– Io...mi stavo chiedendo se ti andrebbe <strong>di</strong> uscire con me stasera.<br />
La ragazza lo guardò con aria stupita e <strong>di</strong>sse:<br />
– Certo! Sarà un piacere. Vienimi a prendere alle nove. Ci ve<strong>di</strong>amo<br />
stasera.<br />
Detto così, gli <strong>di</strong>ede un bacio sulla guancia e scappò via sorridendo.<br />
Ben era rimasto lì, immobile, ma sembrava che si stesse sciogliendo al<br />
sole. A quel punto arrivò Juan e gli <strong>di</strong>sse:<br />
– Romeo scen<strong>di</strong> dalle nuvole e an<strong>di</strong>amo a lavoro!<br />
Durante il pomeriggio, Ben non fece altro che pensare a lei. Ricordava i<br />
bei momenti che passò con lei durante il liceo. E accompagnava il tutto con<br />
il suono della chitarra con note abbastanza malinconiche.<br />
Appena arrivarono a casa, Juan portò Ben a casa sua e <strong>di</strong>sse:<br />
– Con i tuoi stracci, non rimorchieresti neanche una vecchia. Ora lascia<br />
lavorare me e vedrai che Carol cadrà ai tuoi pie<strong>di</strong>.<br />
Quando Ben fu pronto, uscì da casa dell’amico ed erano le nove meno<br />
cinque: era in ritardo e doveva arrivare dall’altro lato della città.<br />
Inforcò la moto <strong>di</strong> Juan e sentì l’amico che gli strillava:<br />
– Vai e colpisci, fratello!<br />
Detto così, Ben partì a razzo mentre continuava a male<strong>di</strong>re i vestiti dell’amico,<br />
che lo facevano sembrare un figlio <strong>di</strong> papà.<br />
Il quartiere <strong>di</strong> Carol era molto chic e si sentiva quasi a <strong>di</strong>sagio. Era la<br />
– 250 –
stessa sensazione che provò quando andava a prenderla al liceo del suo<br />
quartiere. Arrivato a destinazione, scese dalla moto e si trovò davanti ad una<br />
villa gigantesca. Arrivato alla porta, suonò il campanello, e dopo poco si<br />
trovò davanti una persona che aveva <strong>di</strong>menticato: il padre <strong>di</strong> Carol.<br />
– Buonasera signor Santos, come sta?<br />
Il signore lo guardò con aria minacciosa e si passò la mano sui suoi<br />
lunghi baffi neri, tipico dei messicani. Carol era mezza brasiliana e mezza<br />
messicana, ma non sembrava aver ripreso dal papà.<br />
– Ah... tu devi essere Ben, l’ex ragazzo <strong>di</strong> mia figlia. Cosa vuoi?<br />
Poco dopo arrivò anche la madre <strong>di</strong> Carol, una bellissima signora, che<br />
era sempre stata gentile con lui.<br />
– Ciao Ben, come stai? Accomodati, mia figlia arriverà a momenti.<br />
Il ragazzo si sedette in salotto e aspettò ansioso la ragazza.<br />
Si trovava in una situazione molto imbarazzante perché stava seduto sul<br />
<strong>di</strong>vano e, <strong>di</strong> fronte a lui, il signore e la signora Santos che lo fissavano senza<br />
batter ciglio.<br />
Ad un tratto Ben guardò verso le scale e vide Carol: bellissima come<br />
sempre. Non era né truccata, né vestita in modo particolare, ma il ragazzo<br />
rimase incantato dal suo magico sorriso.<br />
– Ciao Ben. An<strong>di</strong>amo?<br />
Arrivati al molo, i due salirono sulla barca dello zio <strong>di</strong> Carol e si sedettero<br />
sul bordo della prua.<br />
– Ti ricor<strong>di</strong> quando venivamo qua da bambini? Io ero già cotto <strong>di</strong> te e<br />
ogni volta che passavi arrossivo come un pomodoro. Poi al college decisi <strong>di</strong><br />
provarci con te e tu...<br />
Ben si girò a guardarla e non oppose resistenza al bacio K.O. che gli<br />
<strong>di</strong>ede Carol. La luna si specchiava nel mare dando un’atmosfera romantica<br />
a tutta la barca, dove i due continuavano ad “amoreggiare” fino a tarda<br />
notte.<br />
La mattina dopo i due uscirono dalla barca e Ben esclamò:<br />
– Se tuo padre non mi ammazza adesso allora possiamo anche sposarci!<br />
– Scapperei in cima al mondo con te anche senza il permesso <strong>di</strong> mio<br />
padre, capito signor Harper?<br />
Ben accompagnò Carol davanti casa e la lasciò sul vialetto con un bacio<br />
e il suo numero <strong>di</strong> telefonino, esclamando: – Mi raccomando, chiamami – e<br />
partì a razzo con la sua moto.<br />
– 251 –
Appena Ben tornò a casa incrociò il postino:<br />
– Buongiorno signor Peterson, ha mica qualche lettera per me?<br />
Il postino si girò verso il ragazzo e lo guardò con aria malinconica porgendogli<br />
una lettera, poi inforcò la bicicletta e <strong>di</strong>sse:<br />
– Buona fortuna, figliolo.<br />
Il ragazzo aprì la lettera e si mise a leggere:<br />
Il signor Benjamin Chese Harper ha l’obbligo <strong>di</strong> frequentare il corso <strong>di</strong><br />
una settimana per l’addestramento militare e, dopo il corso, verrà mandato<br />
in Vietnam. Il corso inizierà il giorno 15/05/65 presso la base militare <strong>di</strong><br />
Fort Winterness.<br />
Cor<strong>di</strong>ali saluti, Generale Payne<br />
Ben rimase pietrificato. Non sapeva cosa <strong>di</strong>re. Solo silenzio. La guerra<br />
era la cosa che più o<strong>di</strong>ava al mondo e lui stava per essere istruito su come<br />
<strong>di</strong>ventare una macchina da guerra.<br />
Entrò dentro casa <strong>di</strong> Juan e lo trovò ancora a letto.<br />
– Cosa fai già in pie<strong>di</strong>, Ben? Sono le sei del mattino.<br />
– Leggi questa lettera.<br />
Il ragazzo si alzò dal letto e guardò la lettera per alcuni secon<strong>di</strong>. Poco<br />
dopo guardò <strong>di</strong> nuovo Ben con un’espressione vuota e <strong>di</strong>sse:<br />
– Mi <strong>di</strong>spiace amico. Non so cosa <strong>di</strong>rti. Tu per me sei come un fratello e<br />
sai che farei il possibile per te, ma non posso fare miracoli. Domani, dopo<br />
averti accompagnato a Los Angeles, parlerò con Carol e gli spiegherò tutto.<br />
– No, la chiamerò io stasera. Ci ve<strong>di</strong>amo domani mattina alle sette.<br />
Erano le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> notte e Ben si trovava davanti al telefono, e ogni minuto<br />
che passava davanti all’apparecchio gli sembrava un’eternità... “Come<br />
posso <strong>di</strong>rle che parto per un viaggio, dove è probabile che rimarrò per<br />
sempre?”<br />
Si fece coraggio e compose il numero. Dopo poco sentì la voce <strong>di</strong><br />
Carol:<br />
– Pronto.<br />
– Ciao Carol, sono Ben...<br />
– Oh Ben...ciao, come va?<br />
Appena il ragazzo sentì questa domanda si pietrificò e non sapeva se<br />
mentirle e non <strong>di</strong>re niente o confessarle del suo viaggio. Così attaccò il<br />
telefono, cadde sul letto e si ubriacò con il “suo amico” Jack Daniel’s.<br />
Poco dopo, sentì il campanello <strong>di</strong> casa suonare: era Carol.<br />
– 252 –
La ragazza entrò e lo trovò sbracato sul letto.<br />
– Ben, perché mi hai attaccato in faccia? Pensavo che ti fosse successo<br />
qualcosa. Stai bene?<br />
– Mai stato meglio in vita mia! Vai via, non ti voglio vedere.<br />
– Ma cosa stai <strong>di</strong>cendo? Sei ubriaco vero? Non ti riconosco! Ad<strong>di</strong>o.<br />
Detto così, la ragazza corse fuori <strong>di</strong> casa piangendo.<br />
La mattina dopo, Ben si svegliò stor<strong>di</strong>to e dopo la doccia iniziò a preparare<br />
tutto quello che doveva portarsi: vestiti e chitarra.<br />
Ancora assonnato, il ragazzo bussò alla porta <strong>di</strong> Juan e lo trovò pronto<br />
per partire.<br />
La strada era lunga e attorno alla macchina c’erano solo montagne e<br />
deserto. Il silenzio incombeva anche nella macchina, e Ben guardava fuori<br />
del finestrino pensando a Carol.<br />
Si era fatto trovare ubriaco e l’aveva anche mandata a quel paese. Ci<br />
teneva troppo a lei e se sarebbe tornato a casa le avrebbe chiesto <strong>di</strong> sposarlo.<br />
Arrivati a destinazione, i due si trovarono davanti alla base militare <strong>di</strong><br />
Fort Winterness. La base aveva mura mastodontiche e s’intravedevano alcuni<br />
aerei militari: macchine <strong>di</strong> sterminio che Ben o<strong>di</strong>ava.<br />
– Promettimi che baderai a lei, Juan. Promettimelo!<br />
– Certo, amico. Tu invece promettimi <strong>di</strong> ritornare! Ci ve<strong>di</strong>amo presto,<br />
fratello.<br />
La marmitta della Ca<strong>di</strong>llac sparò una nube <strong>di</strong> fumo e partì lasciandosi<br />
<strong>di</strong>etro una scia <strong>di</strong> nebbiolina nera.<br />
Ben si avvicinò alla guar<strong>di</strong>ola e trovò un vecchio mezzo assonnato, intento<br />
a dormire.<br />
– Scusi, io dovrei frequentare il corso della lettera... ha presente?<br />
– Un altro patriota che si sacrifica per niente... da quella parte figliolo.<br />
Buona fortuna...<br />
Ben si <strong>di</strong>resse verso un grande hangar e trovò una schiera <strong>di</strong> civili, uno<br />
<strong>di</strong> fianco all’altro e davanti a loro, un uomo tutto <strong>di</strong> un pezzo: <strong>di</strong>visa stirata,<br />
scarpe lucide, posizione eretta e sguardo serio.<br />
– Scusi, è qui che si fa il corso d’addestramento militare?<br />
L’uomo si gira <strong>di</strong> scatto e lo fulmina con uno sguardo che più militare<br />
non si può: – Ti sembra per caso un parco gioco questo, brutta checca? In<br />
– 253 –
fila con gli altri, altrimenti ti mando subito a pulire le latrine!<br />
Detto così, Ben si girò <strong>di</strong> scatto e si andò a mettere in riga.<br />
– Io sono il sergente istruttore Artman. Ogni volta che dovete parlare o<br />
fare qualcosa mi dovrete chiedere il permesso e la prima e ultima parola che<br />
mi <strong>di</strong>rete sarà “signore”, capito bene luri<strong>di</strong>ssimi vermi?<br />
– Signorsì signore!<br />
– Io sono un duro e non mi aspetto <strong>di</strong> piacervi, ma se mi <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>rete<br />
sarò costretto a punirvi <strong>di</strong> brutto. Per ora siete uno sputo, la più bassa forma<br />
<strong>di</strong> vita organica e io v’insegnerò a <strong>di</strong>ventare uomini, macchine <strong>di</strong> morte.<br />
Qui non ci sono <strong>di</strong>stinzioni razziali e siete tutti uguali: vermi in via evolutiva.<br />
Ora vi mostrerò gli alloggi e tra un’ora inizierà l’addestramento.<br />
L’alloggio era piuttosto piccolo e conteneva quattro posti letto. Le<br />
coperte erano tutte impolverate e il como<strong>di</strong>no ospitava un esercito d’acari.<br />
C’erano anche due piccoli arma<strong>di</strong>etti in metallo con uno spazio <strong>di</strong>viso all’interno,<br />
per poggiare le poche cose utili. Il bagno era in comune ed era in<br />
con<strong>di</strong>zioni pietose: polvere e scarafaggi.<br />
Ben si sedette sul letto, si mise la <strong>di</strong>visa e gli scarponi e attese i suoi<br />
compagni <strong>di</strong> camerata. Poco dopo varcò la soglia della sua camera un<br />
ragazzo molto alto e grosso, <strong>di</strong> carnagione piuttosto scura, probabilmente<br />
un altro afroamericano come Ben.<br />
– Ciao, io sono Benjamin, ma gli amici mi chiamano Ben. Tu sei?<br />
– Jeremy... Jeremy Nelson, ma tutti mi chiamano Jerry. Vengo da Los<br />
Angeles. Tu da dove vieni?<br />
– Claremount. Una citta<strong>di</strong>na ai pie<strong>di</strong> delle montagne: un para<strong>di</strong>so terrestre.<br />
Poco dopo Ben, scoprì <strong>di</strong> avere in camera un ragazzo appassionato <strong>di</strong><br />
musica quanto lui: un bassista. Jerry era un ragazzo brillante, abbastanza<br />
per entrare nel progetto <strong>di</strong> “Change the world whith the music”. Un semplice<br />
ragazzo <strong>di</strong> strada che, dopo esser stato bocciato per ben tre volte <strong>di</strong><br />
fila, decise <strong>di</strong> aprire un negozio <strong>di</strong> Cd musicali: una fotocopia ingran<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />
Ben, quin<strong>di</strong> un possibile componente del gruppo che Ben aveva sempre<br />
sognato. Un buon inizio.<br />
– Voglio tornare a casa dalla mia Carol... sono qui solo da mezz’ora e<br />
già tornare a casa. Cercherò <strong>di</strong> farmi mandare a casa per infermità mentale...<br />
magari se gli <strong>di</strong>co che voglio <strong>di</strong>ventare una rockstar mi ci mandano...<br />
Jerry scoppiò a ridere e prese il suo basso intonando un pezzo <strong>di</strong> “Born<br />
in the U.S.A.” del boss del Rock: Bruce Springsteen.<br />
– 254 –
– Dai – <strong>di</strong>sse Jerry scherzando – fammi vedere che sai fare con quella<br />
slide da quattro sol<strong>di</strong>!<br />
Ben si girò verso la chitarra e <strong>di</strong>sse: – Piccola, non ti offendere... facciamogli<br />
vedere a questo sbruffone!<br />
Dopo poco Ben entrò in sintonia con la chitarra e, accarezzando le<br />
corde, interpretò un pezzo <strong>di</strong> Bob Dylan:<br />
– ...I can’t use it anymore...<br />
La canzone fu interrotta dall’arrivo del sergente istruttore: – Vi sembra<br />
per caso il festival <strong>di</strong> Woodstock questo? Faccia a terra e venti flessioni!<br />
I due ragazzi si sdraiarono per terra e si guardarono stupiti. Artman li<br />
fissava sorridendo, con il suo sguardo da sa<strong>di</strong>co. Ogni flessione lo faceva<br />
più contento e, quando i due finirono <strong>di</strong> fare le flessioni, uscì dalla camera<br />
sod<strong>di</strong>sfatto.<br />
– Fratello, mi sa che dobbiamo suonare da un’altra parte – <strong>di</strong>sse Jarry –<br />
altrimenti questo ci uccide a forza <strong>di</strong> flessioni.<br />
Le reclute si trovavano schierate davanti ad un percorso a ostacoli, uno<br />
più complicato <strong>di</strong> un altro: missione impossibile.<br />
– Buonasera femminucce! Questi ostacoli vanno superati senza fermarsi<br />
o cadere per ben due volte, altrimenti non vi faccio toccare cibo fino a<br />
domani sera! Soldato Harper... soldato Nelson, voi due partite per primi!<br />
Via!<br />
Ben aveva un fisico da lanciatore <strong>di</strong> coriandoli, ma era abbastanza agile<br />
mentre Jerry, pur essendo ben piazzato, non riusciva a muoversi facilmente.<br />
Ad un tratto, il ragazzo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> Ben si sbilanciò all’in<strong>di</strong>etro e fece per<br />
cadere dall’ostacolo più alto, ma Ben lo afferrò e con un colpo secco gli<br />
evitò una brutta caduta.<br />
– Soldato Harper – <strong>di</strong>sse Artman – se ti fermi <strong>di</strong> nuovo a salvare il culo<br />
a qualche tuo amichetto, dovrai trovare qualcuno che ti salvi il tuo dai miei<br />
calci.<br />
Dopo un’ora <strong>di</strong> esercizi fisici, le reclute stavano tutte piegate in due per<br />
cercar <strong>di</strong> riprendere fiato. Jerry e Ben, stavano sdraiati per terra, come due<br />
manichini, e non davano segni <strong>di</strong> vita, giusto qualche colpo <strong>di</strong> tosse o alcuni<br />
rantoli <strong>di</strong> stanchezza.<br />
– Perché siamo qui, Ben? – chiese Jerry.<br />
– Tanto tra una settimana ci manderanno in Vietnam e dopo finiremo a<br />
marcire in un ospedale a giocare a carte con dei vecchietti. Di che ti<br />
lamenti? – <strong>di</strong>sse Ben scherzando.<br />
– 255 –
Finita la cena i due ragazzi presero gli strumenti musicali e uscirono<br />
dalla camerata correndo. Si fermarono vicino i campi d’addestramento e,<br />
iniziarono a suonare. Era tutta una cosa improvvisata, ma le note del basso e<br />
quelle della chitarra concordavano come due tessere <strong>di</strong> puzzle.<br />
– Sto scrivendo una canzone... una sorta <strong>di</strong> guida su come cambiare<br />
il mondo. Il punto è che non so come iniziare la canzone. Cosa mi consigli?<br />
– Se è un pezzo reggae potresti iniziare ripetendo il testo e poi continuare<br />
con i vari mo<strong>di</strong> per “cambiare il mondo”. Poi, lo sai meglio <strong>di</strong> me che<br />
il reggae ha una tonalità cadenzata quin<strong>di</strong> potresti ripetere il titolo più volte.<br />
Non è <strong>di</strong>fficile.<br />
– Noooo! Basta solo tanta fantasia, le note giuste e il produttore<br />
<strong>di</strong>sposto ad investire su <strong>di</strong> te. Che ci vuole!<br />
Jerry ritornò in camera verso le <strong>di</strong>eci e mezzo mentre Ben rimase a<br />
fissare le stelle, cercando una piccola ispirazione.<br />
Ad un tratto, si accese un faro nella sua mente: – La semplicità, nel<br />
comporre del reggae, sta nell’essere ripetitivi ed incisivi, per trasmettere il<br />
messaggio della canzone che è quello <strong>di</strong> “cambiare il mondo”.<br />
Detto così, il ragazzo iniziò a scrivere delle frasi e le provò mo<strong>di</strong>ficando<br />
sia le note che le parole, per completare l’opera.<br />
Alle due <strong>di</strong> notte Ben rientrò in camera e non dormì per altre due ore,<br />
perché era troppo entusiasmato dalla sua creazione.<br />
La mattina dopo, Ben fu svegliato dal suono del megafono e si avvicinò<br />
al letto <strong>di</strong> Jerry, per raccontargli della notte passata:<br />
– Sono riuscito a finire la mia canzone ieri sera. Questa notte dovrai<br />
sorbirti la mia creazione per valutare il mio capolavoro.<br />
– Sono ansioso <strong>di</strong> sentirla – <strong>di</strong>sse Jerry sba<strong>di</strong>gliando – ma ora è meglio<br />
se ci sbrighiamo altrimenti Artman ci uccide.<br />
La giornata non finiva più e Ben non vedeva l’ora che arrivasse la sera,<br />
per poter chiamare Juan e Carol, per informarli della canzone. E poi la sera<br />
stessa doveva anche cantare e suonare davanti ad un pubblico numerosissimo:<br />
Jerry Nelson.<br />
Arrivata la sera, Ben chiamò Carol per <strong>di</strong>rgli della canzone. Gli sudavano<br />
le mani e non sapeva cosa <strong>di</strong>rle. “E se mi attacca in faccia...” pensava<br />
tra sé e sé il piccolo “Romeo Harper”.<br />
– Pronto, buona sera, sono Benjamin, potrebbe passarmi sua figlia per<br />
favore?<br />
– 256 –
– Certo, Ben. Te la passo subito.<br />
Il ragazzo era stato fortunato perché aveva risposto la madre <strong>di</strong> Carol,<br />
altrimenti non avrebbe sopportato le domande in<strong>di</strong>screte del padre, scorbutico<br />
come sempre. Quei pochi secon<strong>di</strong> d’attesa non finivano più e Ben non<br />
sapeva cosa <strong>di</strong>rle ma l’improvvisazione era il suo forte.<br />
– Pronto?<br />
– Ciao Carol, sono io, Ben... so che non mi vorresti neanche sentire ma<br />
ti rubo solo pochi minuti. Inizio chiedendoti scusa per la sera che ero<br />
ubriaco e anche per essere partito senza <strong>di</strong>rti niente, ma non sapevo cosa<br />
fare, ero molto confuso. Mi perdoni? Ti prego...<br />
– Come posso <strong>di</strong>rti <strong>di</strong> no? Benjamin Chase Harper, se riproverai a farmi<br />
soffrire, io non ti rivolgerò mai più la parola, capito bene?<br />
– Vorrei prendere il primo pullman per Claremount ma qui ci tengono al<br />
guinzaglio. Prometto che prima <strong>di</strong> partire per il Vietnam, passo a salutarti.<br />
Ti amo...<br />
Carol cercò <strong>di</strong> rispondergli ma Ben aveva già attaccato la cornetta<br />
perché non voleva sentire la sua risposta. Un ragazzo <strong>di</strong> ghiaccio.<br />
Poco dopo Ben chiamò Juan e gli raccontò <strong>di</strong> tutto quello che era successo,<br />
della canzone, <strong>di</strong> Carol e promise anche a lui che sarebbe tornato<br />
prima <strong>di</strong> partire per il Vietnam.<br />
– Jerry, sono innamorato! Voglio tornare a casa da lei – <strong>di</strong>sse Ben –<br />
Carol è la mia vita. Lei, la chitarra e gli amici e non il Vietnam: non è qui il<br />
mio posto.<br />
– Anche io ho una famiglia che mi aspetta – <strong>di</strong>sse Jerry con un tono<br />
molto malinconico. – È lì a Los Angeles che voglio finire i miei giorni: io,<br />
mia moglie e il bambino che stiamo per avere. Mancano solo due mesi.<br />
– Wow, auguri. Spero che ti manderanno a casa il più presto possibile.<br />
Però, quando torno a Los Angeles, voglio che mi presenti tutta la tua famiglia.<br />
Tua moglie deve essere una santa per poterti sopportare!<br />
– Ah, ah, ah... Molto spiritoso... Dài, sono ansioso <strong>di</strong> sentire questo<br />
capolavoro. Attacca.<br />
La canzone non era niente <strong>di</strong> che, ma con il suo ritmo e le sue strofe,<br />
ricordava “Get up” <strong>di</strong> Bob Marley, perché entrambe le canzoni ripetevano<br />
un messaggio cadenzato e incisivo.<br />
– Cosa ti è sembrata questa canzone? – <strong>di</strong>sse Ben compiaciuto.<br />
– Non male, ma ora dobbiamo cercare <strong>di</strong> inserire anche il mio basso<br />
nelle note.<br />
– 257 –
Durante tutta la settimana, Ben e Jerry trascurarono molto il corso dei<br />
marines per cercare <strong>di</strong> perfezionare la canzone <strong>di</strong> Ben. I due ragazzi cercavano<br />
<strong>di</strong> non pensare alla guerra che li attendeva, ma ben presto, si sarebbero<br />
trovati in Vietnam e lì, molto probabilmente, avrebbero trascorso il resto dei<br />
loro giorni.<br />
– Il vostro corso è terminato e, domani pomeriggio, partirete dal porto <strong>di</strong><br />
Los Angeles, per arrivare a Hanoi. Avete un giorno <strong>di</strong> licenza, quin<strong>di</strong> potete<br />
tornare a casa dalle vostre famiglie, ma domani, chi mancherà all’appello<br />
alla base militare della marina, verrà mandato sotto corte marziale.<br />
Appena Artman finì <strong>di</strong> fare la sua pre<strong>di</strong>ca, i cadetti ruppero le righe e<br />
uscirono dalla base militare con il pullman che li avrebbe portati a casa.<br />
Ben scese dal pullman e si trovò davanti casa sua: era passata solo una<br />
settimana ma sembrava che fosse passato più <strong>di</strong> un anno.<br />
Appena arrivò a casa, lasciò la borsa e corse da Juan, per fargli sapere<br />
della canzone.<br />
Ben suonò il campanello e dopo poco, l’amico aprì la porta:<br />
– Buonasera soldato Harper. Cosa desidera? ...abbracciami fratello!<br />
Juan lo strinse al petto e iniziò a scompigliargli tutti i capelli, cosa che<br />
Ben non sopportava:<br />
– Ehi, sono mancato solo una settimana. Lasciami o ti faccio vedere<br />
cosa mi hanno insegnato al campo.<br />
– Non <strong>di</strong>re cavolate. Sono sicuro che posso ancora metterti al tappeto.<br />
Io <strong>di</strong>rei <strong>di</strong> andarci a mangiare qualcosa dal vecchio Bo per festeggiare il tuo<br />
ritorno.<br />
Ben spense il sorriso che fino a poco fa arrivava quasi agli occhi e tornò<br />
serio:<br />
– Non mi trattengo molto... devo tornare a Los Angeles domani pomeriggio.<br />
– Ma il corso non è finito oggi?<br />
– Sì, infatti, domani si parte per Hanoi...<br />
Juan tornò serio e, con voce roca <strong>di</strong>sse:<br />
– Mi <strong>di</strong>spiace. Dai, oggi è il tuo giorno <strong>di</strong> riposo. Non pensarci.<br />
– Giusto. Vado a prendere la chitarra e ti suono il mio pezzo, peccato<br />
che non c’è Jerry.<br />
I due ragazzi stettero tutto il giorno a parlare, accompagnati dal suono<br />
della chitarra <strong>di</strong> Ben, che non smetteva più <strong>di</strong> suonare la sua nuova canzone.<br />
– 258 –
Il ragazzo raccontò a Juan del campo e gli parlò <strong>di</strong> Jerry, il suo nuovo bassista.<br />
Arrivata la sera, Ben non vedeva l’ora <strong>di</strong> rivedere Carol, e decise <strong>di</strong> andarla<br />
a trovare. Compose il numero e la chiamò:<br />
– Ciao Carol, come stai?<br />
– Oh, ciao Ben. Ora che mi hai chiamato sto molto meglio.<br />
– Che fai stasera? Ti va una pizza al molo?<br />
– Certo! Voglio sapere tutto del campo. Ci ve<strong>di</strong>amo tra mezz’ora al<br />
molo.<br />
Il molo era il posto più tranquillo e romantico <strong>di</strong> Claremount. Non era<br />
un vero e proprio porto, perché vi erano una decina <strong>di</strong> barche, ma rimaneva<br />
sempre molto bizzarro, soprattutto grazie al ristorante “Il molo”: Ben non<br />
c’era stato molte volte, perché era un posto molto costoso.<br />
Dopo poco arrivò anche Carol e i due entrarono nel ristorante. Dentro,<br />
il locale aveva luci smorte e qualche candela qua e là: sembravano i sotterranei<br />
<strong>di</strong> un castello.<br />
– Allora che mi <strong>di</strong>ci? Che mi racconti <strong>di</strong> questa esperienza?<br />
– Non ti aspettare rose e fiori... non è come nei film. Questa è roba da<br />
duri.<br />
Carol scoppiò a ridere e Ben rimase incantato ancora dal suo sorriso<br />
perfetto: era bellissima. I due “piccioncini” rimasero a parlare del campo e<br />
Ben gli parlò <strong>di</strong> Jerry e della loro canzone.<br />
– Un giorno me la farai sentire questa canzone? Sono sicura che è un<br />
vero capolavoro. Qual è il titolo?<br />
– I can change the world whith my own two hands.<br />
– Oooh... che titolo. E come speri <strong>di</strong> cambiare questo mondo?<br />
– Magari con piccoli gesti come <strong>di</strong>rti “Ti amo”, oppure pagando il<br />
conto...<br />
– Devo pagare il conto?!<br />
– Ehi, rilassati... scherzavo. Già ho fatto tutto io. An<strong>di</strong>amo?<br />
Ben e Carol uscirono dal ristorante ridendo e scherzando e camminarono<br />
lungo tutto il molo, mano nella mano, senza pensare ai loro problemi<br />
e, arrivati alla barca dello zio, i due si sdraiarono a prua, fissando le stelle.<br />
Il posto era molto romantico e l’acqua che s’infrangeva sulle barche, era il<br />
sottofondo perfetto per quel momento.<br />
– 259 –
– Domani pomeriggio partirò per Hanoi.<br />
– Come?! Devi già tornare lì? Perché proprio tu?<br />
– Anche il mio amico Jerry verrà con me. Pensa che sua moglie aspetta<br />
un figlio e Jerry non sa neanche se potrà vederlo... Non so se tornerò<br />
neanche io, ma se tornerò, voglio prometterti che avremo una famiglia. Che<br />
ne pensi?<br />
Carol si girò verso Ben e, con le lacrime agli occhi, lo baciò.<br />
La mattina dopo, Ben, Carol e Jerry stavano tutti e tre in attesa del<br />
pullman che sarebbe passato a prendere Ben davanti casa. Non parlava nessuno<br />
dei tre: solo silenzio interrotto <strong>di</strong> tanto in tanto dai singhiozzi strozzati<br />
<strong>di</strong> Carol, che stava per scoppiare.<br />
Dopo pochi minuti lo stridulo dei freni del pullman ruppe il silenzio che<br />
fino a qualche minuto prima dominava la strada.<br />
Le porte si aprirono e Ben entrò nel pullman senza fiatare, scrutando <strong>di</strong><br />
sottecchi l’amico e la ragazza che si commuovevano <strong>di</strong>speratamente.<br />
– Juan stai attento a Carol... prometto che tornerò presto. Ci ve<strong>di</strong>amo.<br />
Detto così le porte del pullman si chiusero e le sagome dei suoi due<br />
amici svanirono a poco a poco.<br />
Erano le nove <strong>di</strong> sera e Ben stava dormendo rannicchiato sul suo se<strong>di</strong>le.<br />
Il pullman frenò bruscamente e il ragazzo sobbalzò, sbattendo sul se<strong>di</strong>le<br />
davanti: erano arrivati. Le reclute scesero dal pullman e gli fu or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong><br />
mettersi in riga per l’appello.<br />
Ben ritrovò anche il suo amico Jerry e i due salirono assieme sulla portaerei<br />
che li avrebbe portati vicino Hanoi. Le cuccette erano molto piccole e<br />
all’interno regnava un caldo soffocante.<br />
I due ragazzi si sistemarono e dopo pochi secon<strong>di</strong>, iniziarono a suonare.<br />
– Allora come sta tua moglie?<br />
– Abbastanza bene, le mancano solo tre mesi e poi arriverà il piccolo<br />
– Come lo chiamerai?<br />
– Ancora non lo abbiamo deciso ma cercherò <strong>di</strong> dargli un nome africano.<br />
E a te come va con Carol? Quando vi sposate?<br />
– Lasciamo perdere... mi ha lasciato davanti casa con le lacrime agli<br />
occhi... mi sono sentito un verme.<br />
– Spero che la rivedrai presto.<br />
– Certo! Magari lei mi vedrà tornare dentro una scatola <strong>di</strong> legno larga<br />
cinquanta centimetri e lunga due metri con una ban<strong>di</strong>era sopra.<br />
– 260 –
– Dài, non essere pessimista... un mese <strong>di</strong> servizio e poi torneremo tutti<br />
a casa.<br />
– Davvero? Non lo sapevo...allora ci sono ancora delle speranze per<br />
pubblicare la mia canzone.<br />
– Ti prometto che se usciamo da quest’inferno, noi pubblicheremo la<br />
canzone. È una promessa...<br />
E, detto così, Jerry spense le luci e i due si addormentarono in un sonno<br />
profondo.<br />
La sirena della portaerei suonò verso le sei del mattino. Era passata più<br />
o meno una settimana e i due ragazzi avevano trascorso questi giorni sotto<br />
dure esercitazioni per ciò che li attendeva: un inferno <strong>di</strong> fuoco.<br />
Il portellone dell’imbarcazione si aprì e le truppe scesero dalla portaerei<br />
sopra una serie <strong>di</strong> pullman. La città in cui erano arrivati non era Hanoi, ma<br />
Hai Phong, una piccola citta<strong>di</strong>na nel golfo del Tonchino che era finita sotto<br />
il dominio delle truppe americane. Dal finestrino Ben vide solo due tipi <strong>di</strong><br />
persone vietnamite: prostitute e ladri. Queste persone non le aveva mai viste<br />
quando facevano vedere i documentari sul Vietnam: l’americano che porta<br />
da mangiare al povero vietnamita... che falsità.<br />
– È incre<strong>di</strong>bile che l’America fa vedere solo scene <strong>di</strong> bontà nei confronti<br />
dei Vietnamiti. Non è vero niente <strong>di</strong> ciò che ci fanno vedere alla televisione...<br />
– Lo so Ben. Tutto quello che ve<strong>di</strong> ora è niente in confronto a ciò che<br />
troveremo ad Hanoi: cadaveri in mezzo alle strade pubbliche, e molto<br />
altro... questo è il vero volto dell’America...<br />
Ben rimase molto toccato per le parole dell’amico e si rigirò verso il<br />
finestrino del pullman, intento a riflettere.<br />
Erano le nove <strong>di</strong> sera e il pullman si fermò davanti ad un cancello mastodontico,<br />
che delimitava l’area <strong>di</strong> una zona militare. Poco dopo, il veicolo<br />
si fermò davanti ad una serie <strong>di</strong> container.<br />
Davanti al pullman vi era una fila <strong>di</strong> venti soldati, che attendevano<br />
qualcuno. Poco dopo si avvicinò un uomo piuttosto basso e robusto che<br />
sembrava essere un ufficiale del posto:<br />
– Buona sera ragazzi, sarò breve perché so che non vedete l’ora <strong>di</strong><br />
sdraiarvi su un bel letto. Io sono il generale Payne, e sono a capo <strong>di</strong> questa<br />
zona. Domani sarete mandati imme<strong>di</strong>atamente al fronte e sarete <strong>di</strong>visi in<br />
squadre da cinque. Sarete mandati a conquistare la parte meri<strong>di</strong>onale del<br />
Vietnam e non voglio sapere come... se riuscirete a sopravvivere a quest’in-<br />
– 261 –
ferno per un mese, potrete tornare a casa. Domani mattina partirete alla<br />
volta <strong>di</strong> Vinh per dare il cambio ai sopravvissuti. Buona fortuna.<br />
Appena finì <strong>di</strong> parlare, il generale salutò e scomparve nel buio. Poco<br />
dopo il tenente portò i soldati nelle camerate e, uscì dalla porta spengendo<br />
le luci.<br />
Durante la notte nessuno chiuse occhio e Ben sentiva ogni tanto<br />
qualche singhiozzo strozzato <strong>di</strong> qualche ragazzo. La maggior parte <strong>di</strong> questi<br />
“soldati” aveva intorno ai venti anni e avrebbe sicuramente preferito trascorrere<br />
la propria giovinezza in un pub con gli amici o sdraiato su un prato<br />
con la ragazza.<br />
La mattina seguente il tenente passo tra i letti urlando, e le reclute si alzarono<br />
con fatica. Ben incrociò lo sguardo <strong>di</strong> Jerry e capì che anche lui non<br />
aveva chiuso occhio.<br />
Poco dopo i soldati si misero in fila e salirono sull’elicottero che li<br />
avrebbe portati al fronte. Ben s’infilò l’elmetto che gli era stato dato. Non si<br />
sentiva a suo agio con un mitra in mano e Jerry rispecchiava lo stesso<br />
umore. Almeno i due erano stati messi nella stessa squadra, sapendo <strong>di</strong><br />
poter contare l’uno sull’altro, ma nessuno dei due si sentiva pronto a sparare<br />
ad un ribelle piuttosto che ad un civile. Durante il viaggio sull’elicottero,<br />
Ben scoprì che nella sua squadra era quasi il più vecchio rispetto agli altri:<br />
c’era il tenente, che aveva trentacinque anni, ma gli altri avevano tutti sotto<br />
i venticinque anni. Paul, il più giovane <strong>di</strong> tutti, aveva <strong>di</strong>ciotto anni e tremava<br />
come un bambino, cercando <strong>di</strong> nascondere le lacrime che gli rigavano<br />
la faccia. Poi c’era Mike, ventidue anni, un altro bambino pronto a morire<br />
per la patria, per una causa che non conosceva neanche lui. Cinque giovani,<br />
compreso il tenente, che stavano per fronteggiare un nemico che probabilmente<br />
non avrebbero neanche ucciso.<br />
L’elicottero atterrò presso un piccolo spiazzo in una città abbandonata.<br />
Il plotone dei cinque scese rapidamente e i soldati videro l’elicottero che,<br />
ripreso il volo, scomparve nelle nuvole.<br />
La città era semi<strong>di</strong>strutta e al plotone era stato or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> uccidere i<br />
pochi sopravvissuti. Tra le macerie si potevano scorgere cadaveri, probabilmente<br />
morti in seguito ad un bombardamento aereo. Un silenzio religioso<br />
incombeva sulla città e il vento faceva alzare nubi <strong>di</strong> polvere che giravano<br />
tra le macerie.<br />
– 262 –
Il tenente, dopo aver ispezionato bene la piazza, tornò da Ben e gli altri<br />
quattro per organizzare un’esplorazione della città: – Questa è la prima<br />
volta che avete a che fare con la vera guerra, quin<strong>di</strong> vi consiglio <strong>di</strong> darmi<br />
retta e vi prometto che stasera saremo tutti <strong>di</strong> nuovo a Hanoi. Paul, tu stai<br />
vicino a me perché hai la ricetrasmittente. Vieni anche tu con me Mike. Noi<br />
tre andremo a coprire la parte est <strong>di</strong> questa città mentre tu e Jerry coprirete<br />
la parte ovest. Ci ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> nuovo qui tra mezz’ora. Appena vedete qualcuno<br />
aprite il fuoco e se siete in <strong>di</strong>fficoltà chiamatami. Sapete come funziona<br />
quel mitra, quin<strong>di</strong> vedete <strong>di</strong> usarlo. Buona fortuna ragazzi.<br />
Detto così, il tenente si allontanò con Mike e Paul mentre Jerry e Ben<br />
andarono dall’altro lato, tenendo il fucile stretto al petto, mentre tremavano<br />
<strong>di</strong> paura.<br />
La strada era costeggiata da due palazzi, probabilmente pieni <strong>di</strong> ribelli<br />
che avrebbero sparato da un momento all’altro e, poco dopo, si sentirono i<br />
primi spari, provenienti dalla parte opposta a quella dei due ragazzi. Dalla<br />
ra<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ben si sentì una voce roca e strozzata:<br />
– Sono il tenente... è un’imboscata... scappate...<br />
La chiamata si chiuse con degli spari. Ben rimase impietrito e guardò<br />
Jerry inorri<strong>di</strong>to che rimase a sua volta immobile.<br />
– Sono... sono morti, Ben?<br />
– Temo <strong>di</strong> sì... corriamo via <strong>di</strong> qui...<br />
Detto così i due ragazzi corsero per tutta la città fino a quando non trovarono<br />
un altro plotone. Dopo aver ripreso fiato Ben si fece coraggio e<br />
parlò con il tenente del secondo plotone:<br />
– Sono morti tutti... noi stavamo coprendo la zona ovest che c’era stata<br />
assegnata sino a quando non abbiamo sentito la ra<strong>di</strong>o che trasmetteva la<br />
voce del nostro tenente. Ci ha detto <strong>di</strong> scappare perché era un imboscata e<br />
penso che tra breve arriveranno molti vietcong. Meglio chiamare rinforzi.<br />
– Noi entriamo dentro questo palazzo, così almeno la frequenza ra<strong>di</strong>o è<br />
maggiore. Dal tetto ci vedranno <strong>di</strong> sicuro i nostri elicotteri. Presto, saliamo.<br />
Appena il tenente finì <strong>di</strong> parlare, il plotone salì sino al tetto, per cercare<br />
rinforzi.<br />
Il palazzo era molto alto e si poteva scorgere gran parte della città. Ben<br />
e Jerry erano sconvolti per l’accaduto e respiravano con fatica per l’angoscia<br />
che avevano. Il resto del loro vecchio plotone era molto probabilmente<br />
morto e loro due erano gli unici sopravvissuti: per fortuna, ora si trovavano<br />
in buone mani, anche se stavano per essere <strong>di</strong> nuovo attaccati dai ribelli.<br />
– 263 –
Dopo circa mezz’ora il tenente riuscì a trovare la frequenza e iniziò a<br />
trasmettere:<br />
– Qui parla il plotone due... mi senti?<br />
– Forte e chiaro, plotone due...<br />
– Il plotone uno è stato attaccato e abbiamo due superstiti. Tra breve<br />
arriveranno i ribelli. Venite a prenderci...<br />
– Dimmi dove vi trovate...<br />
– Siamo a Vinh 10 A 4... Cercate <strong>di</strong> fare in fretta.<br />
Il plotone stava raggruppato sul terrazzo <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio: dopo circa<br />
un’ora <strong>di</strong> panico e ansia s’intravide un elicottero.<br />
Tutti si alzarono in pie<strong>di</strong> e iniziarono a strillare e a gioire. Mentre l’elicottero<br />
si avvicinava al palazzo, un fischio acuto ruppe il silenzio e un’esplosione<br />
colpì l’elicottero: un lanciarazzi aveva appena colpito la loro unica<br />
speranza <strong>di</strong> vita. L’elicottero cadde a picco su un palazzo e si sentirono delle<br />
grida straniere provenienti dalla strada.<br />
Tutti i soldati si affacciarono e uno <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>sse:<br />
– Sono i vietcong. Hanno capito dove siamo... stanno arrivando.<br />
Il tenente rimase imbambolato per un po’ e poi <strong>di</strong>sse:<br />
– Non vi garantisco che sopravvivremo, ma cerchiamo <strong>di</strong> resistere il più<br />
a lungo possibile...non <strong>di</strong>amogliela vinta.<br />
La terrazza era circondata da una serie <strong>di</strong> muri, dove i soldati si appostarono<br />
pronti per la resistenza. Ben aveva lo sguardo fisso nel vuoto, verso<br />
quella porta da dove ben presto sarebbero arrivati una decina <strong>di</strong> ribelli. Stava<br />
sudando freddo e tremava come se avesse la febbre alta. Jerry, <strong>di</strong> fianco a lui,<br />
era impaurito e teneva goffamente il fucile, stretto e pronto al fuoco.<br />
Passarono cinque minuti: un’infinità <strong>di</strong> tempo. Tra i soldati c’era solo<br />
ansia e paura, perché non erano sicuri <strong>di</strong> sopravvivere a quello scontro.<br />
Poco dopo si sentirono i primi spari. Una serie <strong>di</strong> proiettili iniziarono a<br />
volare sopra le teste dei soldati, scheggiando <strong>di</strong> tanto in tanto il muretto che<br />
li proteggeva. Ben non aveva il coraggio <strong>di</strong> sparare e attese il fuoco dei suoi<br />
compagni. Poco dopo, un soldato del plotone si affacciò e appena lanciò<br />
una granata verso i nemici, si riabbassò avvertendo i compagni <strong>di</strong> coprirsi la<br />
testa. Un boato spezzò il silenzio e molti ribelli furono colpiti a morte.<br />
Un soldato si affacciò per vedere se vi erano superstiti e, appena si alzò,<br />
fu freddato con una fucilata secca: non era ancora finito lo scontro.<br />
Jerry scorse altri quattro soldati e aprì il fuoco verso <strong>di</strong> loro, colpendone<br />
uno.<br />
– 264 –
Il fuoco nemico colpì a morte altri due soldati, che non erano coperti<br />
bene: erano rimasti in quattro e non era ancora finita.<br />
Quando arrivò la notte lo scontro era terminato, ed erano rimasti vivi<br />
anche se avevano perso tre compagni.<br />
I soldati si alzarono in pie<strong>di</strong>, pronti per tornare a casa quando... Ben si<br />
accorse che un ribelle era rimasto vivo e stava puntando la pistola verso<br />
Jerry. A quel punto il ragazzo corse verso l’amico gridando e, con un balzo<br />
secco verso <strong>di</strong> lui, lo atterrò per coprirlo dai proiettili.<br />
Il tenente freddò il nemico e andò verso i due compagni per farli alzare.<br />
Jerry stava sotto Ben, e alzandosi, si accorse che l’amico era rimasto ferito<br />
gravemente, salvandolo dal proiettile del ribelle.<br />
– Ben, fratello, perché ti sei sacrificato per me... grazie.<br />
Ben non era ancora morto e rispose con un sorriso appena accennato.<br />
Non aveva mantenuto la promessa che aveva fatto a Carol, e probabilmente<br />
sarebbe tornato a casa, dentro una cassa <strong>di</strong> legno. E così fu.<br />
Ora Ben si trova vicino a molti dei suoi compagni, due metri sotto terra<br />
e, sopra <strong>di</strong> lui, un’infinita <strong>di</strong> lastre <strong>di</strong> marmo che coprono svariati ettari <strong>di</strong><br />
terra che oggi chiamano “i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> pietra”.<br />
Jerry, invece, riuscì a tornare a casa e chiamò suo figlio Ben. Juan pubblicò<br />
la canzone <strong>di</strong> Ben e fece un video-music, con dei reportage sul<br />
Vietnam. Carol finì con il <strong>di</strong>ventare la moglie <strong>di</strong> un dottore, per il volere del<br />
padre, ma non trovò la felicità che il suo vecchio ragazzo gli avrebbe dato.<br />
– 265 –
CLAUDIO JANKOWSKI<br />
Laboratorio teatrale 2005-2006<br />
PRESENTAZIONE<br />
Nella nostra scuola, ormai da molti anni, è presente un laboratorio <strong>di</strong><br />
teatro stabile che anche quest’anno ha realizzato un progetto che andrà in<br />
scena il 9 giugno 2006 al teatro Greco in Roma.<br />
I ragazzi partecipanti: 1) Abraham Angelica, 2) Abraham Isabella, 3)<br />
Antonioli Lorenzo, 4) Bencivenga Angela, 5) Brandolini Giulia, 6) Carpentieri<br />
Chiara, 7) Carrera Elena, 8) Consiglio Stefano, 9) De Angelis Lorenzo,<br />
10) De Luca Federico, 11) Del Baglivo Federico, 12) Denaro Francesca<br />
Romana, 13) Lai Federica, 14) Lo Forti Maria Chiara, 15) Marrone Jessica,<br />
16) Oliva Valeria, 17) Pezzone Anna, 18) Rossetti Fabiana, 19) Ruscio<br />
Francesca, 20) Saltarella Martina, 21) Tepatti Veronica, 22) Tibu Andrea<br />
Georgiana, 23) Tomei Chiara, 24) Torelli Flavia, 25) Tucci Francesca, 26)<br />
Usai Francesca Romana, 27) Valenti Benedetta, rappresenteranno un’opera<br />
tratta da “L’opera del men<strong>di</strong>cante” <strong>di</strong> John Gay.<br />
Il copione è stato realizzato da un laboratorio <strong>di</strong> scrittura che ha rielaborato<br />
l’opera originale nel quale hanno lavorato alcuni studenti all’interno<br />
del gruppo: 1) Brandolini Giulia, 2) Rossetti Fabiana, 3) Usai Francesca<br />
Romana.<br />
Come sappiamo, all’interno della scuola, sono presenti anche laboratori<br />
curriculari: tra questi è presente anche un altro laboratorio teatrale. Quest’anno<br />
è stato deciso <strong>di</strong> utilizzare lo spettacolo che verrà realizzato dai ragazzi<br />
del secondo laboratorio, come seguito dello spettacolo del primo.<br />
Questo secondo copione è una rielaborazione della comme<strong>di</strong>a “L’impresario<br />
delle Smirne” <strong>di</strong> Goldoni. Anche questo è stato realizzato da un laboratorio<br />
<strong>di</strong> scrittura <strong>di</strong> cui fanno parte: 1) Abraham Angelica, 2) Bencivenga<br />
Angela, 3) Cuomo Viviana, 4) Lai Federica, 5) Rossetti Fabiana.<br />
Entrambe le opere sono state scelte dai laboratori come rappresentanti<br />
<strong>di</strong> un’epoca storica (il ’700) che ha particolarmente interessato i ragazzi e,<br />
anche come tra<strong>di</strong>zione della nostra scuola, sono state messe a confronto due<br />
culture (inglese e italiana) e due autori (Gay e Goldoni) tra i più significativi<br />
e importanti del teatro <strong>di</strong> tutti i tempi ed è per ciò che ancora oggi ritro-<br />
– 266 –
viamo <strong>di</strong> grande attualità attraverso le tematiche dei rispettivi testi.<br />
Il laboratorio si prefigge <strong>di</strong> favorire e sviluppare, attraverso le tecniche<br />
teatrali, la crescita in<strong>di</strong>viduale, artistica e umana <strong>di</strong> ogni ragazzo, favorendo<br />
in questo modo un migliore rapporto con gli altri e con il gruppo.<br />
Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tali tecniche e l’esperienza del teatro servirà poi a sviluppare<br />
e consolidare l’identità personale e il proprio se, così bisognoso in età<br />
adolescenziale <strong>di</strong> conferme, verifiche e affermazioni e ad incrementare le<br />
capacità <strong>di</strong> espressione, interlocuzione e <strong>di</strong> comunicazione intesa nelle sue<br />
varie forme (Verbale, Non verbale e Paraverbale).<br />
Frequentando il laboratorio, inoltre, l’alunno potrà venire a contatto in<br />
prima persona con una particolare realtà del periodo storico a cui l’opera si<br />
riferisce, avrà modo così <strong>di</strong> farne esperienza e <strong>di</strong> comprenderla nelle sue<br />
caratteristiche, grazie alla grande capacità del teatro <strong>di</strong> rendere la realtà più<br />
chiara e comprensibile.<br />
Gli aspetti musicali e coreografici sono stati curati anch’essi da alcuni<br />
studenti all’interno della compagnia teatrale.<br />
Entrambi gli spettacoli saranno <strong>di</strong>retti dal professor Clau<strong>di</strong>o Jankowski<br />
che ne curerà la regia.<br />
Il copione che segue è quello del primo spettacolo.<br />
L’opera del men<strong>di</strong>cante<br />
<strong>di</strong> JOHN GAY<br />
PERSONAGGI<br />
Mardock: capo briganti<br />
Mr Peacock: padre <strong>di</strong> Polly<br />
Mrs Peacock: madre <strong>di</strong> Polly<br />
Polly Peacock<br />
Lockit: responsabile della prigione <strong>di</strong> Newgate e padre <strong>di</strong> Lucy<br />
Lucy Lockit<br />
Filch: servitore della famiglia Peacock<br />
Men<strong>di</strong>cante: narratore<br />
Attore: aiuto narratore<br />
– 267 –
Jemmy Tic<br />
Jack Dita-adunche<br />
Wat Lo squallido<br />
Robin <strong>di</strong> Bagshot<br />
Ned Arraffa<br />
Harry Pad<strong>di</strong>ngton<br />
Matt della Mint<br />
Ben Palo<br />
Taverniere<br />
Diana Trappola: malvivente<br />
Signora Blan<strong>di</strong>zia<br />
Dolly Vacca<br />
Signora Volpe<br />
Betty Ganza<br />
Jenny Crapula<br />
Signora Ceffone<br />
Sally Pigliatutto<br />
Molly <strong>di</strong> Bronzo<br />
INTRODUZIONE<br />
Men<strong>di</strong>cante, attore<br />
MENDICANTE: Dicono dei poveri che sono i più adatti a raccontare<br />
storie. Dunque io, in qualità <strong>di</strong> membro della compagnia dei men<strong>di</strong>canti,<br />
nonché compositore <strong>di</strong> operette e animatore <strong>di</strong> pranzi <strong>di</strong> nobili, vi<br />
allieterò con uno dei miei racconti.<br />
ATTORE: Noi artisti viviamo per merito delle muse che, al contrario delle<br />
altre signore, non badano al vestito e non scambiano la sontuosità dei<br />
ricami con l’intelligenza. Chiunque sia l’autore noi sosteniamo la sua<br />
opera fino in fondo.<br />
MENDICANTE: Quest’opera fu scritta per celebrare le nozze <strong>di</strong> due eccellenti<br />
cantori <strong>di</strong> ballate. Ho inserito una scena <strong>di</strong> prigione perché so che<br />
le signore trovano deliziosamente patetiche queste situazioni. Riguardo<br />
alle parti ho voluto che nessuna delle due prime attrici potesse trovare<br />
ragion d’offesa. Non saprò mai esprimervi abbastanza la mia gratitu<strong>di</strong>ne<br />
ora che volete portare questo mio lavoro sul palcoscenico.<br />
ATTORE: Che gli attori entrino in scena!<br />
– 268 –<br />
}<br />
}<br />
uomini<br />
della banda<br />
<strong>di</strong> Mardock<br />
prostitute
ATTO I - SCENA I<br />
Casa <strong>di</strong> Peacock<br />
MR PEACOCK: La professione dell’avvocato è onesta, e altrettanto lo è<br />
la mia. Come me, egli agisce in due sensi: contro i malfattori e in loro<br />
<strong>di</strong>fesa. È più che giusto che proteggiamo e incoraggiamo la delinquenza<br />
visto che è la nostra fonte <strong>di</strong> sostentamento.<br />
ATTO I - SCENA II<br />
Filch e Mr Peacock<br />
FILCH: Padrone, Tom Gagg è risultato colpevole.<br />
MR PEACOCK: Che cane rognoso! Quando l’ho fatto uscire, l’altra volta,<br />
gli avevo pur detto che se non si sveltiva <strong>di</strong> mano, ci sarebbe ricascato!<br />
Questa volta ci lascia la pelle!<br />
E poi informa Betty Sly che la salverò dalla deportazione: qui in Inghilterra<br />
mi rende <strong>di</strong> più!<br />
FILCH: Quest’anno Betty ci è stata molto utile; sarebbe un vero peccato<br />
perdere una così brava cliente.<br />
MR PEACOCK: Se qualcuno della banda non la fa fuori prima, per affari,<br />
potrà vivere ancora un po’. Non c’è niente da guadagnare dalla morte <strong>di</strong><br />
una donna... a meno che non si tratti <strong>di</strong> nostra moglie.<br />
FILCH: A <strong>di</strong>rla schietta, la vostra è una donna in gamba! È a lei che devo<br />
la mia educazione e per <strong>di</strong>rla tutta, ha addestrato più giovani lei al mestiere,<br />
che non il tavolo da gioco.<br />
MR PEACOCK: Questa volta l’hai detta giusta. Noi e i chirurghi siamo più<br />
debitori alle donne <strong>di</strong> tutte le altre professioni.<br />
FILCH: È la donna che ci induce in tentazione, è lei maestra nell’arte del<br />
sedurre; anche con gli occhi ci inganna, sottraendoci denaro e cuore.<br />
Per lei facciamo follie rischiando anche la nostra vita.<br />
MR PEACOCK: Corri in fretta a Newgate e fa’ sapere le mie intenzioni.<br />
ATTO I - SCENA III<br />
Men<strong>di</strong>cante, attore<br />
MENDICANTE: Nel frattempo, Mr Peacock si è ritirato nella sua stanza<br />
dei conti dove è concentrato a leggere il registro della banda del capitano<br />
Mardock composta da uomini <strong>di</strong> malaffare che lo aiutano a guadagnare<br />
durante l’anno.<br />
– 269 –
ATTORE: Ma questa banda da dove esce? È stata solo frutto della vostra<br />
immaginazione?<br />
MENDICANTE: Veramente non è proprio così, se<strong>di</strong>amoci che vi spiego...<br />
(si siedono) ...dunque, <strong>di</strong>cevo, la banda è sì frutto della mia immaginazione,<br />
però è anche la rappresentazione della realtà che viviamo ogni<br />
giorno ma siccome siamo in continuazione <strong>di</strong> corsa spesso non la<br />
notiamo. Avvicinati che ti rivelo un piccolo segreto... Quando ero più<br />
giovane e più in forze... beh... <strong>di</strong>ciamo che... ma si, a voi lo posso <strong>di</strong>re...<br />
ero uno <strong>di</strong> loro, poi però mi sono accorto che la cosa era troppo<br />
rischiosa, e quin<strong>di</strong> ho abbandonato questi giri loschi e sono <strong>di</strong>ventato un<br />
uomo ligio!<br />
ATTORE: Ahahah... Perdonatemi ma non sono riuscito a trattenermi... il<br />
problema è che non penso sia facile uscir da queste situazioni così facilmente...<br />
ma...<br />
MENDICANTE: Ma cosa? Ho detto che ci sono riuscito e tu DEVI credermi...<br />
sono o non sono il tuo maestro?<br />
ATTORE: Ma certo...<br />
MENDICANTE: E allora basta blaterare... continuiamo con la storia...<br />
(si mettono in <strong>di</strong>sparte)<br />
ATTO I - SCENA III bis<br />
Prostitute e briganti, seduti al tavolo a bere<br />
JACK: Sapete, questo è quello che amo fare <strong>di</strong> più: bere in compagnia!<br />
ROBIN: Hai proprio ragione, non c’è niente <strong>di</strong> meglio!<br />
JEMMY: E allora, se volete <strong>di</strong>vertirvi guardate questo: (facendo l’imitazione<br />
<strong>di</strong> Mr Peacock) ...“Eh, io sono Mr Peacock! (risata generale dei<br />
briganti) ...Voi dovete ascoltarmi perché solo io so come si deve comportare<br />
un vero brigante!”<br />
NED: Sembra proprio quello sbruffone!<br />
WAT: Che i<strong>di</strong>ota, Peacock vuole insegnare il mestiere <strong>di</strong> ladro a noi!<br />
HARRY: Se non fosse un nostro collaboratore gli farei vedere io chi è il<br />
vero brigante.<br />
MATT: Ma non pensiamoci ora, piuttosto preoccupiamoci <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirci...<br />
Taverniere! Portaci dell’altro vino!<br />
BEN: Sì, molto vino! Vogliamo festeggiare!<br />
(entrano le prostitute)<br />
MOLLY: Buonasera signori, se ho sentito bene qui c’è una festa?!<br />
– 270 –
SALLY: E ci sono anche molti giovani signori...<br />
SIGNORA CEFFONE: E che cos’è una festa senza donne?<br />
BEN: Avete ragione signore. Venite qua, unitevi a noi!<br />
SIGNORA VOLPE: Con piacere!<br />
(si mettono sedute accanto ai briganti) (entra Betty)<br />
BETTY: Non vorrete mica far festa senza <strong>di</strong> me?!<br />
SIGNORA BLANDIZIA: Ah, guarda chi è arrivata!<br />
HARRY: Forza Betty, vieni qua vicino a me!<br />
BETTY: Sicuro, se mi offri da bere... una signora non si accontenta solo<br />
della compagnia <strong>di</strong> un uomo, ci vuole anche il vino per farla <strong>di</strong>vertire.<br />
NED: Mi piacciono le donne quando bevono!<br />
WAT: Taverniere! Ancora vino, le signore vogliono bere!<br />
BETTY: Perché non ci cantate una canzone?<br />
SIGNORA VOLPE: Eh, bravi. Fateci ridere! (ridono)<br />
BEN: Compagni, mostriamo alle signore che sappiamo <strong>di</strong>vertirci e far <strong>di</strong>vertire!<br />
IN CORO: “L’acqua ci fa male, il vino ci fa cantare”<br />
(tutti ridono)<br />
SALLY: Ma bravi!<br />
MOLLY: Su, brin<strong>di</strong>amo!<br />
MATT: A cosa brin<strong>di</strong>amo?<br />
DOLLY: Brin<strong>di</strong>amo a noi donne e alle molte feste che ci aspettano... insieme<br />
a questi signori!<br />
JACK: Perché chi non beve in compagnia il <strong>di</strong>avolo se lo porta via!<br />
IN CORO: “L’acqua ci fa male, il vino ci fa cantare!” (ridono)<br />
JACK: Jemmy, facci ancora Mr Peacock... vogliamo ridere!<br />
JEMMY: (alzandosi in pie<strong>di</strong>) “Fannulloni! Sempre a bere e a non far nulla!<br />
Ma vi devo proprio insegnare tutto? Dovete fare questo... e questo...<br />
buoni a nulla!” (tutti ridono)<br />
BETTY: Ehi Jemmy, te la cavi proprio bene! Sei uguale a quell’i<strong>di</strong>ota <strong>di</strong><br />
Peacock!<br />
(continuano a ridere e a bere mentre entra Mr Peacock)<br />
MR PEACOCK: Deficienti! Che state facendo? Vi prendete gioco <strong>di</strong> me?<br />
BEN: No, non ci permetteremmo mai... (risata generale)<br />
MR PEACOCK: Ringraziate che oggi ho altre cose a cui pensare! Andate<br />
via, scansafatiche! E voi, puttane, tornate al vostro lavoro! (esce arrabbiato)<br />
SIGNORA BLANDIZIA: Non capisco perché si scalda tanto...<br />
– 271 –
DOLLY: Infatti, era così <strong>di</strong>vertente!<br />
SIGNORA CEFFONE: Va bene ragazze, an<strong>di</strong>amo via; i nostri clienti ci<br />
aspettano.<br />
ATTO I - SCENA III ter<br />
Il men<strong>di</strong>cante sta per uscire ma l’attore lo ferma<br />
ATTORE: Ma non stiamo <strong>di</strong>menticando qualcosa?<br />
MENDICANTE: E cosa?<br />
ATTORE: (cerca <strong>di</strong> non farsi vedere dal pubblico)... Eh...<br />
MENDICANTE: ...Ah, già! (nel frattempo Mardock e Polly entrano in<br />
scena)<br />
POLLY: Sbrigati amore mio, non vorrai mica farti vedere da qualcuno!<br />
Altrimenti che matrimonio segreto sarebbe?<br />
MARDOCK: Hai ragione mia cara, an<strong>di</strong>amo via! (escono)<br />
MENDICANTE: Come avrete capito Mardock e Polly si sono sposati in<br />
gran segreto, all’insaputa <strong>di</strong> tutti.<br />
ATTORE: Ma sicuramente i genitori <strong>di</strong> Polly sospettano qualcosa...<br />
MENDICANTE: Beh, stiamo a guardare...<br />
ATTO I - SCENA IV<br />
Mrs e Mr Peacock<br />
MRS PEACOCK: Allora marito mio, cos’è successo a Bob Bottino? Lo sai<br />
che è uno dei miei clienti preferiti e poi mi ha regalato questo anello<br />
(mostrandolo)<br />
MR PEACOCK: Ho messo il suo nome sul libro nero... se continua a<br />
trascorrere la vita circondato da donne rischierà la morte e noi il fallimento!<br />
MRS PEACOCK: Lo sai, mio caro, che io non mi immischio mai nelle<br />
questioni <strong>di</strong> morte, queste faccende le lascio sempre a te. Noi donne<br />
abbiamo un debole per tutti quelli che sono condannati alla guerra o<br />
alla forca.<br />
Ma, scherzi a parte marito mio, non dovresti esser tanto duro <strong>di</strong> cuore,<br />
perché non hai mai avuto una banda <strong>di</strong> uomini così scelti e coraggiosi<br />
come questi che hai ora. Da sette mesi a questa parte non c’è ancora<br />
stato un solo assassinio tra loro, e questa, caro mio è una vera bene<strong>di</strong>zione.<br />
MR PEACOCK: L’omici<strong>di</strong>o è il delitto più elegante <strong>di</strong> cui si possa venire<br />
– 272 –
imputati. Quanti gentiluomini <strong>di</strong> rango vanno a finire ogni anno a Newgate<br />
esclusivamente per questo capo d’accusa! Dunque, cara, chiu<strong>di</strong>amo<br />
l’argomento. È venuto questa mattina il capitano Mardock per<br />
quelle banconote che ti avevo lasciato la settimana scorsa?<br />
MRS PEACOCK: Sì, mio caro è tutto risolto. Ma <strong>di</strong>mmi un po’, è ricco il<br />
capitano?<br />
MR PEACOCK: Il capitano frequenta troppo le belle compagnie per potersi<br />
arricchire in qualche modo i ritrovi e il gioco sono la sua rovina.<br />
MRS PEACOCK: Peccato per Polly che il capitano non abbia un po’ <strong>di</strong><br />
buon senso.<br />
MR PEACOCK: Polly? Cosa c’entra ora Polly!<br />
MRS PEACOCK: Il capitano ha un debole per la ragazza... e se mi intendo<br />
un poco <strong>di</strong> gusti femminili, <strong>di</strong>rei che nostra figlia lo trova un bel pezzo<br />
d’uomo.<br />
MR PEACOCK: Non sarai pazza al punto <strong>di</strong> farglielo sposare! I ban<strong>di</strong>ti <strong>di</strong><br />
strada generalmente sono bravi uomini con le loro sgualdrine, ma con le<br />
mogli sono <strong>di</strong>avoli dell’inferno.<br />
MRS PEACOCK: Ma se Polly fosse innamorata? Povera figlia! Sono davvero<br />
in pensiero per lei.<br />
MR PEACOCK: Senti bene, moglie: nel nostro genere <strong>di</strong> affari, una bella<br />
ragazza è un vero capitale. Capisci dunque che sono <strong>di</strong>sposto a chiudere<br />
un occhio con la ragazza fin dove la prudenza lo consente. Tutto,<br />
fuorché il matrimonio, però! Se la ragazza avesse l’abilità delle dame <strong>di</strong><br />
corte che possono tenere una dozzina <strong>di</strong> corteggiatori senza cedere a<br />
nessuno, non me ne curerei ma a Polly basta una favilla a darle fuoco.<br />
Sposarsi! Se già non è stato deciso il tutto cercherò in ogni modo <strong>di</strong><br />
farle cambiare idea. Il tuo dovere, mia cara, è <strong>di</strong> mettere in guar<strong>di</strong>a tua<br />
figlia su ciò che potrebbe portarla alla rovina e <strong>di</strong> insegnarle l’arte della<br />
seduzione. Vado subito da lei a sondar terreno.<br />
ATTO I - SCENA V<br />
Mrs Peacock - monologo<br />
MRS PEACOCK: Non ho mai visto un uomo così testardo... Ma pensandoci<br />
meglio perché la nostra Polly dovrebbe comportarsi <strong>di</strong>versamente<br />
dalle altre donne sposandosi e rimanendo fedele a suo marito? E poi gli<br />
uomini sono tutti ladri in amore, se la donna è proprietà <strong>di</strong> un altro, le<br />
danno la caccia con tanto più ardore.<br />
– 273 –
ATTO I - SCENA VI<br />
Filch e Mrs Peacock<br />
MRS PEACOCK: Vieni un po’ qui, Filch. Ho una vera passione per questo<br />
ragazzo; mi pare quasi che sia mio figlio. Ha una manina così delicata<br />
nel vuotare le tasche altrui che quella <strong>di</strong> una donna non farebbe <strong>di</strong> meglio.<br />
Se una sentenza non ti porta la morte, ti <strong>di</strong>co, figliolo, che passerai<br />
alla storia come un grand’uomo. Dov’eri <strong>di</strong> stazione ieri sera?<br />
FILCH: Ho lavorato davanti all’Opera, signora, e tenendo conto che non<br />
era ancora buio e non pioveva, non è andata poi tanto male... sono sette<br />
fazzoletti signora.<br />
MRS PEACOCK: E anche colorati vedo. Si venderanno benissimo ai marinai<br />
nel nostro spaccio.<br />
FILCH: C’è anche questa tabacchiera.<br />
MRS PEACOCK: Montata in oro!<br />
FILCH: Avevo già adocchiato un magnifico orologio d’oro, ma che gli<br />
venga un cancro ai sarti che fanno i taschini così profon<strong>di</strong> e stretti!... Vi<br />
<strong>di</strong>co, signora, che ho ben paura <strong>di</strong> essere impiccato un giorno o l’altro...<br />
MRS PEACOCK: Stai tranquillo Filch, ci sarò sempre io a impe<strong>di</strong>re che tu sia<br />
impiccato. Ma attento ragazzo mio a non <strong>di</strong>rmi bugie perché sai che le<br />
detesto. Sai se c’è stato qualcosa tra il capitano Mardock e la nostra Polly?<br />
FILCH: Vi prego signora non fatemi questa domanda, o sarei obbligato a<br />
mentire, se non a voi alla signorina Polly. Le ho promesso <strong>di</strong> non aprir<br />
bocca.<br />
MRS PEACOCK: Ma quando è in gioco l’onore della nostra famiglia...<br />
FILCH: Passerò un brutto guaio con la signorina Polly, se viene a sapere<br />
che vi ho detto qualcosa. E, non vorrei compromettere il mio onore tradendo<br />
qualcuno.<br />
MRS PEACOCK: Ecco che vengono mio marito e Polly. An<strong>di</strong>amo, Filch, e<br />
raccontami tutto (Filch e Mrs Peacock escono).<br />
ATTO I - SCENA VII<br />
Polly e Mr Peacock<br />
POLLY: So benissimo come farmi bella davanti al mio uomo. Rientra nella<br />
natura <strong>di</strong> noi donne, padre mio. Se una moglie non vuole trovarsi nel<br />
mazzo degli scarti deve pur saper concedere qualche libertà al proprio<br />
uomo.<br />
– 274 –
MR PEACOCK: Lo sai, Polly, che non ho niente da ri<strong>di</strong>re, anche se fai la<br />
civetta e stuzzichi i clienti per ragion d’affari o per strappare qualche<br />
segreto, ma se vengo a scoprire che hai fatto la sciocchezza <strong>di</strong> sposarti,<br />
bada, sgualdrinella, che ti taglio la gola. Ora sai come la penso.<br />
ATTO I - SCENA VII bis<br />
Men<strong>di</strong>cante, attore<br />
MENDICANTE: A questo punto, <strong>di</strong>rei, che per spiegar meglio la situazione,<br />
sia necessario un mio intervento.<br />
ATTORE: Sono sicuro che il nostro caro pubblico pagante saprà certo comprendere<br />
al meglio un’opera così ben fatta.<br />
MENDICANTE: Non era certo mia intenzione offendere i nostri spettatori...<br />
Ma se talvolta mi intrometterò sarà solo per aiutare i nostri amici a seguir<br />
meglio passaggi <strong>di</strong>fficili da comprendere. Ordunque, tornando a noi.<br />
ATTORE: E dunque? Siamo troppo curiosi <strong>di</strong> saperne ancora.<br />
MENDICANTE: (con tono seccato, schiarendosi la voce) Dicevamo...<br />
Tornando a noi: Mrs Peacock sta cercando in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> corrompere<br />
Filch per avere informazioni riguardo lo sposalizio della figlia Polly.<br />
ATTORE: E lui logicamente non ha parlato, vero?!<br />
MENDICANTE: Mi spiace deludervi, ma... Filch ha parlato e ha rivelato il<br />
matrimonio tra Mardock e Polly. Ma ora mettiamoci in <strong>di</strong>sparte e<br />
stiamo a guardare ciò che accade.<br />
ATTO I - SCENA VIII<br />
Polly, Mrs e Mr Peacock<br />
MRS PEACOCK: (entra dopo aver parlato con Filch) Bagascia svergognata,<br />
si è fatta beffe dei nostri insegnamenti, mocciosa senza cervello!<br />
(al marito) La ragazza è sposata, marito mio.<br />
MR PEACOCK: Sposata?<br />
La credevo solo una puttanella, e adesso ti perde la testa e si sposa!<br />
Giurerei perché vuole burlarsi della nobiltà! Ma te la senti <strong>di</strong> mantenere<br />
un marito che va a bische, liquori, e puttane? E poi, se proprio ti bruciava<br />
<strong>di</strong> sposarti, non potevi trovare qualcosa <strong>di</strong> meglio <strong>di</strong> un ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />
strada da portare in casa nostra? Eh, mocciosa i<strong>di</strong>ota, in ogni caso sarai<br />
maltrattata e abbandonata come se avessi sposato un conte!<br />
MR PEACOCK: Mia cara, non lasciare che la collera ti trascini oltre i limiti<br />
della decenza. E poi, il capitano è sulla buona strada per far fortuna o<br />
– 275 –
lasciarci le cuoia ed entrambe le situazioni sarebbero ottime per una<br />
moglie! Dimmi sciagurata hai scelto la tua rovina, o no?<br />
MRS PEACOCK: (a Polly) Col patrimonio che possie<strong>di</strong> avresti potuto<br />
accasarti con una persona <strong>di</strong>stinta.<br />
(Polly resta in silenzio con aria afflitta)<br />
MR PEACOCK: Come, sei <strong>di</strong>ventata muta tutto d’un colpo? Parla, sei davvero<br />
sua moglie davanti alla legge o lo sei per <strong>di</strong>vertimento? Beh tanto<br />
verrò subito a saperlo: se Mardock non si farà più vedere per casa, vuol<br />
<strong>di</strong>re che siete sposati!<br />
POLLY: Non l’ho sposato, come va <strong>di</strong> moda, per freddo calcolo, per salvare<br />
l’onore o per denaro... ma perché lo amo!<br />
MRS PEACOCK: Lo ama! Di male in peggio! Credevo <strong>di</strong> averla educata<br />
meglio. Oh marito mio! La sua i<strong>di</strong>ozia mi fa impazzire! Sono fuori <strong>di</strong><br />
me! Non mi reggo più in piè... (sviene).<br />
MR PEACOCK: Guarda sciagurata in che stato hai ridotto la tua povera<br />
madre! Un bicchierino <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>ale, subito! Poveretta, come se l’è presa<br />
a cuore! (Polly esce e ritorna col bicchiere).<br />
POLLY: Ci vorrà un altro bicchiere: mammina è abituata a bere doppia<br />
dose, quando qualcosa la <strong>di</strong>sturba. Ecco, vedete, si sta già riprendendo!<br />
MRS PEACOCK: La ragazza è talmente ingenua che mi verrebbe <strong>di</strong> perdonarla...<br />
Oh Polly, ma come hai potuto... per altro con un ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />
strada... brutta sgualdrina! È vero che il nostro è un sesso fragile, ma<br />
quando una donna cede alla sua fragilità... lo deve fare con un minimo<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità!<br />
MR PEACOCK: Cerca <strong>di</strong> star calma: ho un’idea che riporterà tutto alla<br />
normalità in poco tempo. Dobbiamo solo cercare <strong>di</strong> trarne il miglior<br />
partito.<br />
MRS PEACOCK: Bene Polly per quanto una donna possa fare per un’altra<br />
donna ti perdono...<br />
POLLY: Allora tutti i miei <strong>di</strong>spiaceri sono finiti!<br />
MR PEACOCK: Sento arrivare clienti nella stanza accanto; Polly va’ ad<br />
intrattenerli, ma torna qui subito... ah se fosse il signore <strong>di</strong> ieri per l’orologio<br />
<strong>di</strong>gli che non potrai dargli notizie prima <strong>di</strong> domani. Sai, l’ho prestato<br />
ad uno dei miei ragazzi perché facesse bella figura questa sera se<br />
invece ti chiedono della spada con l’elsa d’argento, tu sai che ce l’ha<br />
Jenny Piattola con sè, e che non tornerà prima <strong>di</strong> martedì; quin<strong>di</strong> nulla<br />
fino allora!<br />
– 276 –
ATTO I - SCENA IX<br />
Mrs e Mr Peacock<br />
MRS PEACOCK: Se solo sì fosse limitata ad una relazione con quel tale...<br />
beh sarei riuscita a scusarla... ma il matrimonio rende tutto indelebile!<br />
MR PEACOCK: Mia cara, calmati un poco, lo smacchiatore infallibile per<br />
certe situazioni è il denaro. Vedrai, moglie, saprò volgere questo matrimonio<br />
a nostro profitto.<br />
MRS PEACOCK: So benissimo che egli possiede una dote piutttosto rilevante<br />
ma ho il dubbio che abbia altre due o tre mogli e che quin<strong>di</strong> alla<br />
sua morte, la dote <strong>di</strong> Polly potrebbe essere messa in <strong>di</strong>scussione.<br />
MR PEACOCK: Questo è un punto che merita davvero grande attenzione.<br />
ATTO I - SCENA X<br />
Polly, Mrs e Mr Peacock<br />
POLLY: Non era altro che uno dei tuoi uomini che ha portato un po’ <strong>di</strong><br />
oggetti preziosi!<br />
MR PEACOCK: Bene, benissimo, ma ora torniamo a te... dunque, sei<br />
sposata a quanto pare?!<br />
POLLY: (con aria sod<strong>di</strong>sfatta) Sissignore.<br />
MR PEACOCK: E come pensi <strong>di</strong> vivere, bambina?<br />
POLLY: Come tutte le altre donne sposate signore: col lavoro <strong>di</strong> mio<br />
marito.<br />
MRS PEACOCK: Cosa? Ma le dà <strong>di</strong> volta il cervello? La moglie <strong>di</strong> un ban<strong>di</strong>to<br />
gode tanto poco del suo denaro quanto della sua compagnia.<br />
MR PEACOCK: Polly, naturalmente tu avrai già pensato al vitalizio in caso<br />
<strong>di</strong> vedovanza, vero?!?<br />
POLLY: (con tono <strong>di</strong> rimprovero)... Ma io lo amo come posso pensare ad<br />
un caso simile?<br />
MR PEACOCK: Ma se è proprio questa la sostanza e lo scopo del matrimonio!<br />
È ciò che tiene alta la morale <strong>di</strong> una donna sposata.<br />
POLLY: Inizio ad avere paura dei vostri <strong>di</strong>scorsi... eppure devo chiedervi <strong>di</strong><br />
essere più chiaro.<br />
MR PEACOCK: Assicurati che tutto sia <strong>di</strong> sua proprietà e poi fallo acciuffare<br />
e vedrai che ben presto <strong>di</strong>verrai una ricca vedova.<br />
MRS PEACOCK: Eh, marito mio ora hai colpito il segno. Farlo acciuffare<br />
è la sola cosa che potrebbe indurmi a perdonarla davvero.<br />
– 277 –
POLLY: Vi prego non siate così crudeli in fondo è sempre mio marito.<br />
MRS PEACOCK: Ma il tuo dovere verso i genitori esige che lo man<strong>di</strong> alla<br />
forca. E che cosa non darebbero tante mogli per una simile occasione!<br />
POLLY: Sono certa <strong>di</strong> non poter sopravvivere alla vedovanza!<br />
MRS PEACOCK: Ma come! Allora sei innamorata sul serio! Mi fai<br />
ribrezzo, con queste idee strane. Ragazza, sei una vergogna per il tuo<br />
sesso!<br />
POLLY: Ma ascoltami, mamma, se tu hai mai amato...<br />
MRS PEACOCK: Se continui a parlare ti faccio saltar fuori il cervello a<br />
furia <strong>di</strong> botte, se pure te ne è rimasto un briciolo.<br />
MR PEACOCK: Togliti dai pie<strong>di</strong>, Polly, e va’ a riflettere su ciò che ti<br />
abbiamo proposto.<br />
ATTO I - SCENA XI<br />
Mrs e Mr Peacock<br />
MRS PEACOCK: Questa cosa, marito mio, dev’essere fatta e si farà. Dobbiamo<br />
farlo condannare anche senza il consenso <strong>di</strong> Polly.<br />
MR PEACOCK: Non riuscirei a far fuori un grand’uomo ripensando a<br />
quanto ci ha fatto guadagnare; avrei preferito che avessi convinto Polly,<br />
per lasciare a lei la cosa. Perciò Mardock dovrà essere eliminato.<br />
MRS PEACOCK: Io mi incarico <strong>di</strong> tenere a bada Polly, al resto, pensaci<br />
tu.<br />
ATTO I - SCENA XII<br />
Polly - monologo<br />
POLLY: Ah, sono davvero una <strong>di</strong>sgraziata! Mi sembra già <strong>di</strong> vederlo un<br />
così bel giovane travolto dalla <strong>di</strong>sgrazia della condanna alla forca. Tutti,<br />
intorno, si sciolgono in lacrime... lo stesso boia esita a compiere il suo<br />
dovere... ma io... forse potrei... sì certo lo farò... lo informerò dei loro<br />
piani e lo aiuterò nella fuga. Ma allora, se riesce a fuggire, mi sarà<br />
lontano e io sarò privata della sua compagnia... sicuramente la sua<br />
assenza farebbe sì che i miei con il tempo cambierebbero idea e noi<br />
potremmo essere felici. Se rimanesse però sarebbe impiccato e perduto<br />
per sempre!... aveva intenzione <strong>di</strong> coricarsi in camera mia e rimanere<br />
nascosto fino al calar della notte...<br />
Se i miei saranno fuori, lo farò scappare prima che succeda qualcosa<br />
che possa portarlo via da me per sempre (esce e ritorna con Mardock).<br />
– 278 –
ATTO I - SCENA XIII<br />
Polly e Mardock<br />
MARDOCK: Dimmi mia bella Polly nel mentre che ero via hai sognato<br />
altri amori?<br />
POLLY: Non c’è neanche da chiederlo puoi averne la conferma guardandomi<br />
negli occhi. E tu sei innamorato come sempre mio caro?<br />
MARDOCK: Certamente... Sarebbe come mettere in <strong>di</strong>scussione il mio<br />
onore. E sono convinto che nulla riuscirà mai a strapparmi da te. E<br />
semmai io dovessi fuggire sarei felice se tu venissi insieme a me.<br />
POLLY: Si anch’io verrei con te. Ma ahimè... come faccio a <strong>di</strong>rtelo?...<br />
dobbiamo separarci!<br />
MARDOCK: Come? Separarci?<br />
POLLY: Dobbiamo, sì, dobbiamo! Mio padre e mia madre stanno complottando<br />
contro <strong>di</strong> te; vogliono la tua pelle, e anche ora, in questo momento,<br />
vanno cercando prove a tuo carico; la tua vita è appesa a quest’istante.<br />
MARDOCK: Come fare a separarsi da te?! Sarebbe come scalare immense<br />
pareti ricoperte <strong>di</strong> specchi...<br />
POLLY: Dovrai riuscirci in qualche modo, ne va’ della tua vita, anzi della<br />
nostra! Fuggi <strong>di</strong> qui! Ancora un bacio e poi... un bacio! Parti! Ad<strong>di</strong>o!<br />
ATTO II - SCENA I<br />
Una taverna nei pressi <strong>di</strong> Newgate:<br />
Jemmy Tic, Jack Dita-adunche, Wat lo Squallido, Robin <strong>di</strong> Bagshot,<br />
Ned Arraffa, Harry Pad<strong>di</strong>ngton, Matt della Mint, Ben Palo e<br />
gli altri della banda intorno a un tavolo con vino, liquori e tabacco<br />
BEN: Dimmi un po’, Matt, che ne è <strong>di</strong> tuo fratello Tom? Non l’ho più visto.<br />
MATT: Il mio povero Tom ha avuto un incidente, sono do<strong>di</strong>ci mesi ormai;<br />
non sono riuscito a salvarlo dalle unghie <strong>di</strong> quei briganti squartatori... e<br />
adesso il poveretto è tra gli scheletri in mostra a Surgeon’s Hall.<br />
JACK: Già, a quanto pare era suonata la sua ora.<br />
JEMMY: Ma adesso questa è anche la nostra ora. Ma perché le leggi ci<br />
prendono <strong>di</strong> mira? Siamo forse più <strong>di</strong>sonesti <strong>di</strong> tutto il resto dell’umanità?<br />
Ciò che pren<strong>di</strong>amo, signori, è cosa nostra per legge <strong>di</strong> guerra e<br />
<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> conquista.<br />
JACK: Dove trovereste uomini pari a questi, superiori dal primo all’ultimo<br />
alla paura della morte?<br />
– 279 –
WAT: Uomini sal<strong>di</strong> e schietti!<br />
ROBIN: Di provato coraggio e instancabile attività!<br />
NED: Chi <strong>di</strong> noi non sarebbe pronto a morire per un amico?<br />
HARRY: Chi <strong>di</strong> noi lo tra<strong>di</strong>rebbe per il proprio interesse?<br />
ROBIN: Ditemi se c’è una banda <strong>di</strong> cortigiani che possa <strong>di</strong>re altrettanto.<br />
BEN: Noi siamo per una giusta sparizione dei beni del mondo, perché<br />
ognuno ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> godersi la vita.<br />
MATT: Il mondo è avaro e io detesto l’avarizia. Come la gazza, l’uomo<br />
avido nasconde ciò che non può godere, per il solo piacere <strong>di</strong> nascondere.<br />
Il denaro è stato creato per i generosi e che male c’è nel prendere agli<br />
altri ciò che non sono <strong>di</strong>sposti ad usare?<br />
JEMMY: Che la fortuna ci assista tutti... riempiamo i bicchieri!<br />
ATTO II - SCENA II<br />
I precedenti e Mardock<br />
MARDOCK: Ben trovati signori. Scusate, ma una questione improvvisa mi<br />
ha trattenuto. Niente cerimonie, vi prego.<br />
NED: Stavamo giusto separandoci per andare al lavoro. Avrò l’onore <strong>di</strong> prendere<br />
aria con voi questa sera giù nella landa? So che a quell’ora ci sono<br />
sempre viaggiatori con i quali vale la pena <strong>di</strong> scambiare quattro parole...<br />
MARDOCK: Certo, dovrei venire ma...<br />
MATT: Ma cosa signore?<br />
MARDOCK: (con aria arrabbiata) C’è qualcuno qui che mette in dubbio il<br />
mio coraggio? Oppure il mo onore e la mia fedeltà alla banda? Mi<br />
sembra <strong>di</strong> essere stato sempre equo nella <strong>di</strong>visione del bottino, o forse<br />
non la pensate così?<br />
HERRY: Questo interrogatorio fa pensare che qualcosa vi abbia messo in<br />
agitazione...qualcun <strong>di</strong> noi è sospettato dalla legge?<br />
MARDOCK: Ho un’incrollabile fiducia in voi, signori, come uomini d’onore<br />
e come tali vi apprezzo e vi rispetto, quin<strong>di</strong> non vi preoccupate... e<br />
poi possiamo contare su Peacok, è un in<strong>di</strong>viduo molto utile per noi.<br />
WAT: Ma forse sta covando qualche brutto tiro... io son capace <strong>di</strong> fargli<br />
saltare la testa...!<br />
MARDOCK: Vi prego signori, è necessario agire con la massima <strong>di</strong>screzione<br />
e serietà: lasciate le armi come ultima risorsa. I nostri affari non<br />
possono andare avanti senza <strong>di</strong> lui, saremmo rovinati. Ho avuto con lui<br />
un piccolo <strong>di</strong>sguido, ma sarà tutto chiarito nel giro <strong>di</strong> pochi giorni. Nel<br />
– 280 –
frattempo fategli credere che ho abbandonato la banda... continueremo<br />
a vederci nei nostri ritrovi segreti.<br />
MATT: I vostri or<strong>di</strong>ni saranno eseguiti, signore. Dunque a stasera, al nostro<br />
rifugio. Arrivederci.<br />
MARDOCK: Vi auguro buona fortuna (siede con aria malinconica al tavolo)<br />
(la banda carica le pistole ed esce).<br />
ATTO II - SCENA III<br />
Mardock, taverniere<br />
MARDOCK: Come <strong>di</strong>venta stupida una ragazza innamorata; Polly si è<br />
presa una maledetta cotta. A me piace il bel sesso e mi accontento <strong>di</strong><br />
ogni donna... non c’è niente <strong>di</strong> meglio per spazzar via i pensieri molesti!<br />
In questo momento il denaro non basterebbe a risollevare lo spirito...<br />
Taverniere! (entra il taverniere), avete mandato il portiere a cercare<br />
tutte le signore, secondo le mie istruzioni?<br />
TAVERNIERE: Dovrebbe essere <strong>di</strong> ritorno a momenti... ecco, qualcuna<br />
deve essere già arrivata, sento il suono del campanello (si sente il suono<br />
del campanello). Eccomi, eccomi!<br />
ATTO II - SCENA IV<br />
Mardock, la signora Blan<strong>di</strong>zia, Dolly Vacca, la signora Volpe,<br />
Betty Ganza, Jenny Crapula, la signora Ceffone,<br />
Sally Pigliatutto e Molly <strong>di</strong> Bronzo<br />
MARDOCK: Cara signora Blan<strong>di</strong>zia, benvenuta. Come siete bella oggi!...<br />
Dolly! Su, baciami sgualdrina... Signora Volpe, sono tutto vostro: Betty!<br />
sei sempre una spugna piena <strong>di</strong> alcool?... Come, c’è anche la mia bella<br />
Jenny? Signora Ceffone... più risanata e aristocratica che mai!... Eh, ma<br />
guardate, anche Sally!... Molly... (M. lo bacia). E brava. Così va bene; mi<br />
piacciono le ragazze generose. Ma ora zitte e prendete posto, signore...<br />
Taverniere! Portatemi dell’altro vino! (rivolgendosi alle signore): se<br />
qualcuna delle signore preferisce del gin, spero che saprà chiederlo<br />
senza cerimonie.<br />
JENNY: Si <strong>di</strong>rebbe che vi rivolgiate a me. Ma trovo il vino già abbastanza<br />
forte. E devo <strong>di</strong>rvi, signore, che bevo alcool solo quando ho le coliche.<br />
MARDOCK: La solita scusa delle belle signore! Certo, una dama <strong>di</strong> qualità<br />
ha sempre la colica. Spero, signora Blan<strong>di</strong>zia che i vostri affari procedano<br />
bene...<br />
– 281 –
SIGNORA BLANDIZIA: Non mi posso lamentare: solo la scorsa settimana<br />
ho portato al magazzino <strong>di</strong> Peacock una pezza <strong>di</strong> lustrino a fiorami d’argento<br />
e un’altra <strong>di</strong> velluto nero.<br />
SIGNORA VOLPE: La nostra Molly ha lo sguardo del serpente a sonagli:<br />
ha tanto affascinato un drappiere che prima <strong>di</strong> lasciarsi togliere gli occhi<br />
<strong>di</strong> dosso gli aveva fatto sparire tre pezze <strong>di</strong> tela.<br />
MOLLY: Oh, cara signora! Ma nessuno arriverà mai a eguagliarvi nell’abilità<br />
<strong>di</strong> maneggiare i pizzi. E poi la vostra voce così dolce e persuasiva!<br />
Metter nel sacco un uomo è una sciocchezza, ma una donna che riesce a<br />
ingannare un’altra donna deve essere un genio.<br />
SIGNORA VOLPE: Il pizzo, signora, occupa poco spazio e si può nascondere<br />
facilmente. Ma voi, signora siete incline a pensar troppo bene delle<br />
vostre amiche.<br />
SIGNORA BLANDIZIA: Certo, se c’è una donna che ha più abilità delle<br />
altre quella è Jenny. Anche all’uomo più seducente lei riesce a vuotare le<br />
tasche con un tale sangue freddo da far credere che il suo unico piacere<br />
sia il denaro. Questa padronanza dei propri sentimenti è una cosa rara<br />
nelle donne.<br />
JENNY: Non vado mai con un uomo alla taverna se non per affari. Per il<br />
piacere ho altre ore e altri generi <strong>di</strong> uomini. Ma se io avessi la vostra<br />
destrezza signora...<br />
MARDOCK: Smettetela <strong>di</strong> farvi complimenti, signore, e continuate a bere.<br />
Jenny, non sei più cotta <strong>di</strong> me come lo eri un tempo?<br />
JENNY: Non è opportuno, signore, esibire la mia debolezza fra tante rivali.<br />
In ogni caso ciò che conta è la vostra scelta e tutto il calore della mia<br />
passione non vi spingerebbe a decidere.<br />
MARDOCK: Ah Jenny, sei adorabile e furba.<br />
DOLLY: (a Sally): Scusate, signora, siete mai stata mantenuta?<br />
SALLY: Spero signora che voi non mi riteniate così da poco!<br />
DOLLY: Perdonatemi, non era per offendervi, si faceva così per chiacchierare.<br />
SALLY: Certo, se non fossi stata ingenua avrei potuto passarmela molto<br />
bene con il mio ultimo amico; ma per cinque sterline che si trovò in<br />
meno, mi licenziò su due pie<strong>di</strong>.<br />
SIGNORA CEFFONE: Che tipo <strong>di</strong> uomo. Secondo voi è quello che mantiene<br />
bene una donna?<br />
MOLLY: Questo, signora, <strong>di</strong>pende dal carattere.<br />
SALLY: Io mi trovo molto bene con i vecchi, perché li facciamo pagare per<br />
ciò che non consumano.<br />
– 282 –
SIGNORA VOLPE: Permettetemi <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che un giovane in gamba non è<br />
da <strong>di</strong>sprezzare: sono molto generosi con il denaro.<br />
SIGNORA BLANDIZIA: (rivolgendosi a Mardock) Ma certo voi, signore,<br />
con tutta la fortuna che avete avuto sulla strada, dovete essere immensamente<br />
ricco.<br />
MARDOCK: Lo sarei se il tavolo da gioco non fosse stato la mia rovina.<br />
Ma ora pensiamo ad altro: voglio un bacio per dar sapore al mio vino<br />
(gli gettano le braccia al collo e fanno segni a Peacock e alle guar<strong>di</strong>e<br />
<strong>di</strong> precipitargli addosso).<br />
ATTO II - SCENA V<br />
Gli stessi, Peacock e guar<strong>di</strong>e<br />
MR PEACOCK: Signore, siete in arresto come mio prigioniero!<br />
MARDOCK: Ma signore, come avete potuto prendervi gioco <strong>di</strong> me? Chi<br />
potrebbe fidarsi delle donne? Bestie, bagasce, arpie, furie, sgualdrine!<br />
MR PEACOCK: Il vostro caso, signore, non è un eccezione: anche i più<br />
gran<strong>di</strong> eroi sono stati rovinati dalle donne. Devo riconoscere che sono<br />
graziose bestioline, ma ora dovete congedarvi da queste dame (rivolgendosi<br />
alle donne): se mai aveste intenzione <strong>di</strong> fargli visita, sappiate che<br />
questo gentiluomo risiede a Newgate. Guar<strong>di</strong>e, portate via il capitano!<br />
(Esce Mardock sotto scorta, insieme con Peacock e con le guar<strong>di</strong>e; le<br />
donne rimangono).<br />
ATTO II - SCENA V bis<br />
Attore, men<strong>di</strong>cante<br />
ATTORE: Fermi tutti! Qua non ci sto capendo niente! (tutti gli attori si<br />
immobilizzano) Che sta succedendo?<br />
MENDICANTE: Cosa? Ma siete impazzito? Se vi comportate in questo<br />
modo che figura faremo con il nostro amabile pubblico?<br />
ATTORE: Avete ragione... ma ho paura <strong>di</strong> non aver compreso bene come<br />
mai Mardock sia stato arrestato? Come hanno fatto a trovarlo?<br />
MENDICANTE: Beh, se aveste portato pazienza lo avreste scoperto da<br />
solo; ma, dato che ormai avete combinato questo guaio, sono costretto<br />
ad intervenire nuovamente... non fraintendetemi... per il mio pubblico...<br />
(interviene l’attore facendo finta <strong>di</strong> schiarirsi la voce) “...EHM, EHM”<br />
(riprende il men<strong>di</strong>cante correggendosi) ...eh... volevo <strong>di</strong>re per il NO-<br />
STRO pubblico... farei <strong>di</strong> tutto; perché mi <strong>di</strong>spiacerebbe se trovasse poco<br />
– 283 –
chiari alcuni passaggi.<br />
Dunque, le cose sono andate così: Mr Peacock e Lockit sono riusciti a<br />
catturare Mardock solo grazie all’aiuto <strong>di</strong> queste gentili signore: Jenny<br />
Crapula e Sally Pigliatutto. E le nostre dame sono state molto liete <strong>di</strong><br />
aiutare i due signori, ovviamente grazie ad un generoso compenso <strong>di</strong><br />
Mr Peacock!<br />
ATTORE: Ah, ora è tutto chiaro!<br />
MENDICANTE: Beh, spero che anche il nostro CARISSIMO pubblico sia<br />
del tuo stesso parere! Ma ora penso che lo spettacolo possa continuare...<br />
ATTORE: Sì, e credo che io debba scusarmi con i nostri spettatori, se sono<br />
stato così sgarbato nell’interrompere la comme<strong>di</strong>a.<br />
MENDICANTE: Dunque an<strong>di</strong>amo, mio buon attore, e stiamo a vedere cosa<br />
succede...<br />
ATTO II - SCENA VI<br />
SIGNORA VOLPE: Sentite, signorina Jenny, anche se il signor Peacock<br />
avesse stabilito con voi e Sally un contratto per catturare il capitano, dal<br />
momento che tutte abbiamo contribuito, si dovrebbe <strong>di</strong>videre in parti<br />
uguali.<br />
SIGNORA BLANDIZIA: Sono perfettamente d’accordo con voi, signora<br />
Volpe. Il signor Peacock avrebbe potuto fidarsi <strong>di</strong> me quanto <strong>di</strong> Jenny.<br />
JENNY: E io posso <strong>di</strong>re che tre dei suoi impiccati dovrebbe accre<strong>di</strong>tarli sul<br />
mio conto.<br />
MOLLY: Signora Ceffone, così non va bene, perché lo sapete che uno <strong>di</strong><br />
quelli è stato preso mentre era a letto con me.<br />
JENNY: Finché si tratta <strong>di</strong> un bicchiere <strong>di</strong> vino sono certa che la signora<br />
Sally sarà del mio stesso avviso, ma se volete dell’altro, signore mie,<br />
allora rimarrete deluse (escono con molti complimenti).<br />
SIGNORA CEFFONE: Cara signora... (mandando avanti l’altra).<br />
DOLLY: Per nulla al mondo vorrei... (rifiutandosi <strong>di</strong> passare).<br />
SIGNORA CEFFONE: Già, allora mi toccherà star qui tutta la notte...<br />
DOLLY: Dal momento che mi comandate... (esce, seguita dalla signora<br />
Ceffone e poi dalle altre).<br />
ATTO II - SCENA VII<br />
La prigione <strong>di</strong> Negate; Mardock<br />
MARDOCK: In che spaventosa situazione mi sono cacciato! Ora dovrò<br />
stare qui recluso, giorno dopo giorno, aspettando la forca. Tutto questo<br />
– 284 –
per colpa <strong>di</strong> Polly e <strong>di</strong> suo padre!... Ma alla ragazza ho promesso il matrimonio...<br />
e che significa poi promettere ad una donna? Nel matrimonio<br />
stesso l’uomo promette una serie <strong>di</strong> cose che poi non manterrà.<br />
Nonostante quello che noi facciamo le donne vogliono crederci ad ogni<br />
costo! Oh no, arriva Lucy... e io non posso andarmene... come vorrei<br />
esser sordo!<br />
LUCY: Eccoti, ignobile uomo! Come osi guardarmi in faccia dopo ciò che<br />
c’è stato fra noi? Miserabile, perfido in<strong>di</strong>viduo! Tu mi hai rubato la<br />
pace; non avrò altra gioia se non quella <strong>di</strong> vederti alla tortura!<br />
MARDOCK: Non provi nessuna pietà del tuo povero marito ridotto in<br />
questo stato?<br />
LUCY: Mio marito?<br />
MARDOCK: Sotto ogni aspetto mia cara, tranne che per la formula... la<br />
quale, però, può essere pronunciata in qualsiasi momento... per un<br />
uomo d’onore la parola vale come contratto.<br />
LUCY: Per voi uomini è un <strong>di</strong>vertimento insultare le donne che avete rovinato.<br />
MARDOCK: Alla prima occasione, mia cara, sarai mia moglie nel modo<br />
che più ti piacerà.<br />
LUCY: Viscido mostro! E cre<strong>di</strong> che io non sappia niente della tua storia con<br />
madamigella Polly Peacock? Mi verrebbe da strapparti gli occhi!<br />
MARDOCK: Ma davvero, Lucy, non sarai così ingenua da essere gelosa <strong>di</strong><br />
Polly!<br />
LUCY: E tu, tu bruto non l’hai forse sposata?<br />
MARDOCK: Già sposata, che bella storia! La ragazza lo <strong>di</strong>ce in giro solo<br />
per far <strong>di</strong>spetto a te e per scre<strong>di</strong>tarmi ai tuoi occhi! È vero che vado in<br />
casa sua, chiacchiero con lei, la bacio, le <strong>di</strong>co mille sciocchezze senza<br />
senso, come fanno tutti gli uomini per bene, ma è solo per <strong>di</strong>strarmi. E<br />
adesso quell’ochetta sparge la voce che io l’ho sposata!!!<br />
LUCY: Su, su capitano. Sapete benissimo che la signorina Polly vi ha tolto<br />
ogni possibilità <strong>di</strong> riparare come mi avete promesso.<br />
MARDOCK: Una donna gelosa crede tutto ciò che la collera le suggerisce.<br />
Appena potrò ti farò mia moglie! E sai cosa vorrebbe <strong>di</strong>re averne<br />
due!<br />
LUCY: Ovvero essere impiccato e così reso libero da tutte e due!<br />
MARDOCK: Eccomi pronto, mia cara Lucy, a darti sod<strong>di</strong>sfazione... se cre<strong>di</strong><br />
che nel matrimonio ce ne sia.<br />
LUCY: Vorresti proprio <strong>di</strong>rmi che non sei sposato con Polly?<br />
– 285 –
MARDOCK: Lo sai anche tu Lucy, la ragazza è molto presuntuosa: un<br />
uomo non può <strong>di</strong>rle una parola gentile che lei pensa subito <strong>di</strong> averlo<br />
conquistato per sempre. Le donne sono tutte ugualmente irragionevoli<br />
nelle loro esigenze, perché si aspettano <strong>di</strong> essere amate tanto a lungo<br />
quanto ameranno se stesse.<br />
LUCY: (tra se e se): Vedo laggiù mio padre... forse incontreremo anche un<br />
cappellano... magari, se messo alla prova, saprà mantenere la sua promessa...<br />
io sono impaziente <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare una donna onesta.<br />
ATTO II - SCENA VIII<br />
Mr Peacock e Lockit<br />
MR PEACOCK: Allora per la taglia è tutto risolto?<br />
LOCKIT: (esitando) Sì... <strong>di</strong>ciamo <strong>di</strong> sì... però c’è qualcosa ancora da sistemare...<br />
MR PEACOCK: Ma come pensavo fosse già tutto risolto... vi state prendendo<br />
gioco <strong>di</strong> me?<br />
LOCKIT: Signor Peacock, è la prima volta che la mia parola viene messa in<br />
dubbio!<br />
MR PEACOCK: Basta agire poco onorevolmente una sola volta, e i nostri<br />
rapporti d’affari cessano <strong>di</strong> colpo.<br />
LOCKIT: Ma come?! Mi state accusando?<br />
MR PEACOCK: Non attribuitemi parole che non ho detto!<br />
LOCKIT: Questo modo d’agire non posso tollerarlo. Mi sento offeso nell’onore!<br />
MR PEACOCK: Come osi parlarmi in questo modo!<br />
(prendendosi per il collo)<br />
LOCKIT: Dovresti solo ringraziarmi per averti salvato dalla forca...<br />
MR PEACOCK: Ringraziare un furfante del genere?<br />
LOCKIT: Compare, compare, fermatevi. Siamo entrambi dalla parte del<br />
torto, e nel litigio ci rimettiamo allo stesso modo... sapete perfettamente<br />
che ognuno <strong>di</strong> noi ha il potere <strong>di</strong> mandare l’altro sulla forca.<br />
MR PEACOCK: (ricomponendosi) Avete ragione, non dovremmo lasciarci<br />
prendere così dalla collera...<br />
LOCKIT: È nostro reciproco interesse andare d’accordo. Se ho detto qualcosa<br />
<strong>di</strong> offensivo nei vostri riguar<strong>di</strong> vi chiedo perdono.<br />
MR PEACOCK: Se so arrabbiarmi saprò <strong>di</strong> certo anche perdonare... stringiamoci<br />
la mano da buoni soci. Ma ora devo andare.<br />
– 286 –
ATTO II - SCENA IX<br />
Lockit e Lucy<br />
LOCKIT: Da dove vieni, tu?<br />
LUCY: Le mie lacrime dovrebbero risponderti.<br />
LOCKIT: Sei andata a piangere da quel tipo che ti ha rovinata?<br />
LUCY: Lo sai che all’amore non si comanda. Non posso o<strong>di</strong>are lui per obbe<strong>di</strong>re<br />
a te.<br />
LOCKIT: Impara a rassegnarti alla morte <strong>di</strong> tuo marito, ormai non è più <strong>di</strong><br />
moda provare tanto dolore in simili occasioni. Nessuna <strong>di</strong> voi si sposerebbe<br />
se non potesse sperare <strong>di</strong> liberarsi del proprio sposo prima o poi.<br />
Ringrazia anzi tuo padre per ciò che sta facendo.<br />
Sentimi bene, Lucy, per te non c’è altro da fare che comportarti come le<br />
altre vedove: comprati i vestiti a lutto e cerca <strong>di</strong> consolarti cavandogli<br />
tutto ciò che puoi.<br />
ATTO II - SCENA X<br />
Lucy e Mardock<br />
LUCY: O<strong>di</strong>o mio padre! Ha proprio un cuore <strong>di</strong> pietra!<br />
MARDOCK: Pensi che non lo si possa corrompere in alcun modo? In affari<br />
il più efficace <strong>di</strong> tutti gli argomenti è sempre la busta: il denaro può tutto!<br />
LUCY: Tutto ciò che il denaro può fare sarà fatto!<br />
ATTO II - SCENA XI<br />
Lucy, Mardock e Polly<br />
POLLY: Dov’è il mio <strong>di</strong>letto marito? Ma perché mi volti la schiena? Sono<br />
la tua Polly... Tua moglie.<br />
MARDOCK: Si è mai visto un uomo più sfortunato <strong>di</strong> me?<br />
LUCY: Si è mai visto un delinquente simile?<br />
POLLY: Era per questo che dovevamo separarci? Arrestato, imprigionato,<br />
impiccato! Rimarrò con te fino alla morte... Ma cos’è per te il mio<br />
amore? Pensa alle sofferenze della tua Polly che ti vede in questo stato!<br />
LUCY: Infame! Tra<strong>di</strong>tore! Gli uomini devono essere nati per mentire e le<br />
donne per credere alle loro bugie.<br />
POLLY: Non sono forse tua moglie!? Sangue e carne si rivoltano per la tua<br />
in<strong>di</strong>fferenza!<br />
LUCY: Perfido cane!<br />
– 287 –
POLLY: Stupido incosciente!<br />
LUCY: Se ti avessero impiccato cinque mesi fa mi avresti risparmiato<br />
preoccupazioni inutili!<br />
POLLY: E pure a me! Sarebbero bastati un po’ più <strong>di</strong> rispetto e attenzione<br />
come si deve ad una moglie.<br />
LUCY: Ma allora sei sposato con un’altra! Hai davvero due mogli sciagurato?<br />
MARDOCK: Chiudete il becco e lasciatemi parlare!<br />
LUCY: Non posso... Non ti lascio questa sod<strong>di</strong>sfazione!<br />
POLLY: La giustizia mi impone <strong>di</strong> parlare! Sono io colei che ha più <strong>di</strong>ritto<br />
<strong>di</strong> essere tua moglie... Scegli me e allontana questa povera illusa!<br />
LUCY: Infame! Non c’è peggior pettegola <strong>di</strong> te! Se potessi ti manderei alla<br />
forca insieme a quell’insolente!<br />
POLLY: Son truffata!<br />
LUCY: Son truffata!<br />
POLLY: Ferita!<br />
LUCY: Insultata!<br />
MARDOCK: Calma mia cara Lucy, questo non è che un trucco <strong>di</strong> Polly per<br />
rendermi furioso contro <strong>di</strong> te. E poi Polly non è questo il momento <strong>di</strong><br />
fare simili <strong>di</strong>scussioni: mentre voi parlate <strong>di</strong> matrimonio io non penso<br />
che alla forca.<br />
LUCY: In realtà la signorina Peacock non fa altro che mettersi in ri<strong>di</strong>colo;<br />
(rivolta a Polly) Per <strong>di</strong> più, è crudele da parte vostra tormentare un gentiluomo<br />
nelle sue con<strong>di</strong>zioni.<br />
POLLY: Voi invece dovreste imparare a mantenere un comportamento più decoroso<br />
nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> un uomo sposato, almeno finché è presente la moglie.<br />
LUCY: Madama civetta!<br />
POLLY: Silenzio sgualdrina!<br />
ATTO II - SCENA XII<br />
Lucy, Mardock, Polly, Peacock<br />
MR PEACOCK: Impudente che non sei altro... Vieni a casa sciagurata!<br />
E quando quel tuo lazzarone sarà impiccato, impiccati anche tu per<br />
risarcire un po’ la tua famiglia!<br />
POLLY: Mio caro padre non strappatemi da lui... (a Mardock) Legatemi a<br />
voi con catene, che nessuno possa liberarmene!<br />
MR PEACOCK: Via <strong>di</strong> qui! E tieni chiusa la bocca, ormai sei mia prigioniera,<br />
svergognata!<br />
– 288 –
ATTO II - SCENA XIII<br />
Lucy, Mardock<br />
MARDOCK: Mia cara moglie il mio temperamento troppo compassionevole<br />
non mi ha permesso <strong>di</strong> trattare quella ragazza come si meritava e<br />
hai potuto sospettare che tra noi due ci fosse qualcosa.<br />
LUCY: Infatti mio caro ero molto perplessa.<br />
MARDOCK: Se nelle sue parole ci fosse qualcosa <strong>di</strong> vero suo padre non mi<br />
avrebbe ridotto in questo stato.<br />
LUCY: Sono felice <strong>di</strong> sentirti <strong>di</strong>re queste parole... Io ti amo talmente che<br />
vorrei piuttosto vederti impiccato anziché nelle braccia <strong>di</strong> un altro!<br />
MARDOCK: Dunque sopporteresti <strong>di</strong> vedermi pendere dalla forca!<br />
LUCY: Non potrei certo vivere fino a vedere quel giorno!<br />
MARDOCK: Ve<strong>di</strong>, mia Lucy, nel bilancio dell’amore sei tu in debito verso<br />
<strong>di</strong> me. Ren<strong>di</strong>mi invece tuo debitore a vita aiutandomi... Se non lo farai<br />
il signor Peacock e tuo padre mi renderanno subito impossibile la fuga.<br />
LUCY: So per certo che mio padre si è fatto una gran bevuta con i suoi prigionieri<br />
e immagino che ora si stia riposando in camera sua. Se riesco<br />
a procurarmi le chiavi, potrò scappare con te?<br />
MARDOCK: Insieme ci sarebbe impossibile nasconderci!<br />
LUCY: Anche se non mi ami abbi riconoscenza per me: quella Polly non<br />
riesco a togliermela dalla testa...<br />
MARDOCK: Smettila adesso <strong>di</strong> pensare a lei e cerca piuttosto <strong>di</strong> aiutarmi<br />
ad uscire <strong>di</strong> qui.<br />
ATTO III - SCENA I<br />
Lockit e Lucy<br />
LOCKIT: È chiaro, bastarda, che sei tu la complice della sua fuga.<br />
LUCY: Ma Mr. Peacock e sua figlia Polly sono stati qui a trovarlo e quelli<br />
certo conoscono i meandri <strong>di</strong> Newgate come se vi fossero nati. Perché<br />
dovreste sospettare solo <strong>di</strong> me?<br />
LOCKIT: Non mi imbrogli con queste parole.<br />
LUCY: Che io possa finire sul rogo se so qualcosa!<br />
LOCKIT: Se ti scal<strong>di</strong> d’animo così facilmente dovrò sospettare la tua colpevolezza.<br />
LUCY: Cosa potrei fare per convincervi che non è così?<br />
LOCKIT: Se almeno avesse dato una buona mancia forse saresti riuscita a<br />
fare un affare migliore del mio.<br />
– 289 –
LUCY: Ma sapete benissimo che sono innamorata <strong>di</strong> lui e avrei pagato <strong>di</strong><br />
tasca mia per tenerlo con me.<br />
LOCKIT: Ah Lucy, eppure l’educazione che hai ricevuto avrebbe dovuto<br />
farti stare più in guar<strong>di</strong>a! Lo sai che una ragazza al banco <strong>di</strong> una birreria<br />
è sempre asse<strong>di</strong>ata dagli uomini...<br />
LUCY: Non parliamo della mia educazione perché è stata proprio questa la<br />
mia rovina!<br />
LOCKIT: E così lo hai fatto anche scappare, eh, bastarda?<br />
LUCY: Quando una donna è innamorata, basta uno sguardo o una parola<br />
gentile a indurla a fare qualsiasi cosa... E non ho avuto il coraggio <strong>di</strong><br />
chiedere anche un compenso.<br />
LOCKIT: Tu non sarai mai altro che una volgare sgualdrina, Lucy. Non<br />
devi fare mai niente se non per denaro.<br />
LUCY: Ma l’amore è una <strong>di</strong>sgrazia che può capitare anche alla donna più<br />
assennata; Malgrado i suoi giuramenti, sono ormai convinta che Polly<br />
sia davvero sua moglie. E io l’ho fatto scappare perché andasse da lei!<br />
Ora Polly con le sue moine riuscirà a carpirgli denaro o un testamento e<br />
Peacock lo farà impiccare... così saremo truffati tutti e due!<br />
LOCKIT: Così io dovrei andare in rovina perché tu non resisti all’amore?!<br />
LUCY: Mi sentirei <strong>di</strong> ammazzarla quella impudente sgualdrina per <strong>di</strong> più<br />
fortunata!<br />
LOCKIT: Dopo questo <strong>di</strong>sastro devo anche subire i tuoi miagolii da gatta<br />
in calore?! Fuori dai pie<strong>di</strong> puttana! Un bel po’ <strong>di</strong> frustate ti rinfrescheranno<br />
le idee.<br />
ATTO III - SCENA II<br />
Lockit<br />
LOCKIT: Peacock vorrà fare il furbo in questa faccenda ma con me troverà<br />
pan per focaccia. Ognuno <strong>di</strong> noi approfitta del vicino eppure viviamo<br />
tutti insieme. E adesso vedremo chi dei due la farà all’altro. (Entra<br />
Lucy) C’è qualcuno della banda Peacock in casa?<br />
LUCY: C’è Filch, padre, qui nella camera accanto.<br />
LOCKIT: Và a <strong>di</strong>rgli che venga da me.<br />
ATTO III - SCENA III<br />
Lockit e Filch<br />
LOCKIT: Ehi, ragazzo, hai l’aria <strong>di</strong> un morto <strong>di</strong> fame.<br />
– 290 –
FILCH: Sono stato molto occupato negli ultimi tempi... da quando il<br />
miglior maschio si è infortunato ho cercato <strong>di</strong> farmi un gruzzoletto<br />
aiutando le signore a farsi crescere la pancia prima del processo, per<br />
evitare la condanna. Spero che ci sia un modo più semplice per guadagnare<br />
perché sono veramente stremato!<br />
LOCKIT: Proprio vero: se quell’uomo dovesse soccombere, sarebbe una<br />
per<strong>di</strong>ta irreparabile. Ma <strong>di</strong>mmi, ragazzo, dove si trova il tuo padrone in<br />
questo momento?<br />
FILCH: Al magazzino fuori città, signore.<br />
LOCKIT: Molto bene, non mi occorre altro da te. (Filch esce) Andrò io da<br />
lui e troverò il modo <strong>di</strong> scoprire il suo segreto... Mardock non deve<br />
rimanere un giorno <strong>di</strong> più fuori delle mie grinfie.<br />
ATTO III - SCENA IV<br />
Mardock con un bel mantello ricamato, Ben Palo, Matt della Mint<br />
MARDOCK: Sono desolato, signori, che la strada vi sia stata così avara <strong>di</strong><br />
quattrini; quando i miei amici si trovano in <strong>di</strong>fficoltà sono sempre<br />
pronto ad aiutarli. (Distribuisce del denaro) Finché potrò esservi utile<br />
voi potrete approfittarne.<br />
BEN: Mi fa male al cuore pensare che un uomo così generoso sia immischiato<br />
in tali affari...<br />
MARDOCK: Questa notte a Marybone si giocherà forte... è una buona<br />
occasione per guadagnar quattrini. Raggiungetemi e vi <strong>di</strong>rò <strong>di</strong> chi dovete<br />
occuparvi.<br />
BEN: Potete stare certo, signore, che ci metteremo sotto la vostra guida.<br />
MARDOCK: Tenete d’occhio quelli che prestano su pegno. Ma sento baccano<br />
qui accanto... La compagnia deve essersi riunita nell’altra stanza.<br />
Dunque, signori, vi saluto. Ci ve<strong>di</strong>amo a Marybone.<br />
ATTO III - SCENA IV<br />
Il magazzino <strong>di</strong> Peacock. Un tavolo imban<strong>di</strong>to (vino e tabacco)<br />
LOCKIT: Uno strascico <strong>di</strong> broccato finissimo... questo a quel che vedo è<br />
stato venduto.<br />
MR PEACOCK: Alla signora Diana Trappola, la merciaia, e saprà utilizzarlo<br />
molto bene.<br />
Come potete vedere ci sarebbe anche altra merce da esportare... ma ci<br />
occorrerebbe l’intera giornata per organizzare il tutto.<br />
– 291 –
LOCKIT: Allora a domani gli affari, oggi vogliamo il piacere: taverniere,<br />
...TAVERNIERE!<br />
TAVERNIERE: Ditemi signori!<br />
LOCKIT: Portateci altra roba da bere!... Tornando a noi... (rivolto a Mr<br />
Peacock)... Pensate a tener d’occhio vostra figlia Polly e vedrete che<br />
fra un paio <strong>di</strong> giorni Mardock sarà <strong>di</strong> nuovo nelle nostre mani.<br />
MR PEACOCK: A che serve tener d’occhio Polly se poi tanto ci pensa<br />
Lucy a farlo scappare <strong>di</strong> prigione?<br />
LOCKIT: Non vi preoccupate per mia figlia la terrò a bada io.<br />
TAVERNIERE: (porta da bere) Ecco a voi signori... volevo avvertirvi che<br />
qui fuori c’è la signora Diana Trappola che chiede <strong>di</strong> parlarvi... posso<br />
farla entrare?<br />
LOCKIT: Ma certo, falla accomodare.<br />
DIANA: (irrompe nella scena senza aspettare <strong>di</strong> essere chiamata) Ho già<br />
aspettato abbastanza... o<strong>di</strong>o le attese. (prende una se<strong>di</strong>a e si accomoda<br />
al loro tavolo) Taverniere... Portami uno dei tuoi liquori migliori, sono<br />
sempre stata molto esigente in quest’ambito.<br />
TAVERNIERE: Subito signora. Resterà sod<strong>di</strong>sfatta dei miei liquori. (esce)<br />
MR PEACOCK: Parli del <strong>di</strong>avolo e spuntano le corna...<br />
DIANA: Deduco che stavate parlando <strong>di</strong> me...<br />
LOCKIT: Beh, come non parlare <strong>di</strong> una persona capace <strong>di</strong> bere e chiacchierare<br />
con tanta <strong>di</strong>sinvoltura! Una cliente davvero eccezionale...<br />
DIANA: Appunto... Signor Peacock, sono venuta fin qui per parlare d’affari.<br />
In questo momento tutte le mie clienti fanno pazzie per le vesti da<br />
lutto. Dunque, se avete della roba nera <strong>di</strong> qualsiasi genere fatemela<br />
avere al più presto.<br />
MR PEACOCK: Sentite signora, voi pretendete prezzi talmente bassi che<br />
non ci rimane quasi niente da dare a chi ci procura la merce.<br />
marito a ciascuna <strong>di</strong> voi!<br />
SIGNORA TRAPPOLA: È colpa dei tempi duri, che mi obbligano a badare<br />
al centesimo. Devo <strong>di</strong>rvi che in questi ultimi anni sono stata una<br />
grande vittima del Parlamento: tremila sterline basterebbero appena a<br />
risarcirmi. Inoltre, la legge per abolire il <strong>di</strong>ritto d’asilo è stato un grave<br />
colpo per il nostro giro d’affari; prima, se una cliente spariva, sapevamo<br />
dove andare a cercarla... conoscete certo la signora Blan<strong>di</strong>zia...<br />
ecco una, per esempio, che tutt’oggi porta un mio bellissimo completo<br />
e da più <strong>di</strong> tre mesi non riesco a metterle gli occhi addosso. E poi,<br />
anche quella legge contro la prigione per piccoli furti mi ha procurato<br />
– 292 –
per<strong>di</strong>te considerevoli! E come no, se una cliente può portarsi via un bel<br />
capo rimesso a nuovo, senza che io abbia il minimo appiglio per farla<br />
pagare? E, sull’onor mio, ormai le signore provano un gusto matto nel<br />
truffare la gente, visto che lo possono fare senza rimetterci nulla.<br />
MR PEACOCK: Signora, l’altro giorno vi siete presa qui uno splen<strong>di</strong>do<br />
orologio... e... beh... anche noi vorremmo guadagnarci qualcosa...<br />
SIGNORA TRAPPOLA: Ma voi dovete pensare signor Peacock, che quell’orologio<br />
era troppo vistoso e quin<strong>di</strong> rischioso da vendere. Ora, se<br />
avete delle belle sciarpe <strong>di</strong> velluto nero, quelle, d’inverno si portano<br />
molto e piacciono ai gentiluomini che frequentano le mie signore. È<br />
per merito mio che queste donne si fanno una posizione: non è gioventù<br />
o bellezza che stabilisce il prezzo. I gentiluomini pagano sempre<br />
secondo il vestito, eppure quelle svergognate, quando possono, mi truffano;<br />
senza contare poi gli incidenti: tra onorari e spese varie, le uscite<br />
sono maggiori delle entrate; per un mese almeno non avrò nulla da<br />
spendere in vestiti. Eh, corriamo dei grossi rischi, rischi enormi davvero.<br />
MR PEACOCK: Se ben ricordo, poco fa avete accennato alla signora<br />
Blan<strong>di</strong>zia.<br />
SIGNORA TRAPPOLA: Sissignore, non più <strong>di</strong> due ore fa, le ho tolto <strong>di</strong><br />
dosso con queste mani un mio completo, e l’ho lasciata, come <strong>di</strong> dovere,<br />
in camicia con un suo amante in casa mia. Lo ha chiamato lei dalla mia<br />
finestra, mentre passava. Spero, per il suo bene ed il mio, che persuaderà<br />
il capitano a riscattarla. Lui, sì, è un gentiluomo molto generoso con le<br />
signore.<br />
LOCKIT: Che capitano?<br />
SIGNORA TRAPPOLA: Eh, lui credeva che io non lo conoscessi. È un<br />
vostro intimo amico, signor Peacock... nient’altro che il capitano<br />
MARDOCK... splen<strong>di</strong>do come un lord.<br />
MR PEACOCK: Ma siete certa che fosse proprio lui?<br />
SIGNORA TRAPPOLA: Anche se lui crede che io l’abbia <strong>di</strong>menticato,<br />
nessuno lo conosce meglio <strong>di</strong> me. Un bel po’ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> Mardock, in<br />
altri tempi, sono passati nelle mie tasche <strong>di</strong> seconda mano. Ha sempre<br />
avuto la passione dei bei vestiti anche per le sue donne.<br />
MR PEACOCK: Il signor Lockit ed io abbiamo un piccolo affare da sistemare<br />
col capitano... voi mi capite... il debito con la signora Blan<strong>di</strong>zia ve<br />
lo salderemo noi.<br />
LOCKIT: Ci potete contare, tratteremo le cose da uomini d’onore.<br />
– 293 –
SIGNORA TRAPPOLA: Io non mi immischio nei fatti vostri... qualunque<br />
cosa accada, io me ne lavo le mani. D’altronde la mia massima è che<br />
l’amico deve aiutare l’amico. Ma se non vi <strong>di</strong>spiace mi porterò a casa una<br />
<strong>di</strong> queste sciarpe; è sempre meglio avere qualcosa in mano. (Mr Peacock<br />
e Lockit si alzano per salutare la signora, mentre lei se ne va prendendo<br />
la sciarpa, con aria altezzosa).<br />
ATTO III - SCENA VI<br />
Lucy e Polly<br />
LUCY: Sono furiosa! Anzi, sconvolta! Anzi no, <strong>di</strong>laniata! Per fortuna ho qui<br />
pronto il veleno per topi... da dare a Polly! So <strong>di</strong> non correre rischi,<br />
perché <strong>di</strong>rò che è morta per il troppo bere, ed è una morte così comune<br />
e naturale che nessuno penserà <strong>di</strong> accusare me. Ma se, tanto per <strong>di</strong>re,<br />
dovessi finire impiccata, niente potrebbe consolarmi quanto il pensiero<br />
<strong>di</strong> essere sulla forca per aver avvelenato quella donnaccia! (entra Filch)<br />
FILCH: Signora, qui c’è la signorina Polly, venuta a farvi visita.<br />
LUCY: Fatela entrare (entra Polly). Cara signora, sono vostra serva. Spero<br />
vorrete perdonare l’inaccettabile comportamento che ho avuto l’ultima<br />
volta nei vostri confronti... ma, capirete che ero proprio sconvolta... spero<br />
comunque che le nostre <strong>di</strong>vergenze possano avere una soluzione felice...<br />
POLLY: Io stessa non trovo scuse per il mio comportamento, signora; ma<br />
capirete le mie <strong>di</strong>sgrazie... e sinceramente, soffro anche per le vostre.<br />
LUCY: Ma ora non pensiamoci più... posso offrirvi un bicchierino <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>ale?<br />
POLLY: Spero, signora cara, che vorrete scusarmi se mi trovo costretta a<br />
rifiutare: l’alcool mi da il mal <strong>di</strong> testa.<br />
LUCY: Mi sembrate molto giù <strong>di</strong> corda mia cara... e non c’è niente <strong>di</strong> meglio<br />
per tirarsi un po’ su!<br />
POLLY: Sono desolata signora, ma proprio non posso accettare... e scusatemi<br />
ancora sè altra volta vi ho offeso usando qualche espressione un<br />
pochino... hem... irrispettosa, ma il capitano mi ha trattato con tanta crudeltà<br />
che sento <strong>di</strong> meritare la vostra pietà, anziché il vostro risentimento.<br />
LUCY: E allora, mia cara, le nostre vicende sono identiche: tutte e due<br />
siamo state troppo innamorate e trattate ingiustamente.<br />
POLLY: Ma che può fare la donna in amore?<br />
LUCY: Se li amiamo ci scansano.<br />
POLLY: Se li fuggiamo ci inseguono.<br />
– 294 –
LUCY: Ma se ci prendono ci lasciano... l’amore è talmente capriccioso, è<br />
impossibile che duri per lungo tempo.<br />
POLLY: Gli esseri infi<strong>di</strong>, sia uomini che donne, non amano che se stessi, ed<br />
è un amore <strong>di</strong> cui nessuno può privarli... ho paura, mia cara, che nostro<br />
marito sia uno <strong>di</strong> quelli.<br />
LUCY: Ma su, cara Polly, basta con questi <strong>di</strong>scorsi malinconici... tutte e due<br />
abbiamo bisogno <strong>di</strong> bere qualcosa... vi prego, non rifiutate... sono certa<br />
che vi farà un gran bene (a parte, verso il pubblico) ...<strong>di</strong> sicuro farà meglio<br />
a me che a lei!... (esce)<br />
POLLY: Tutte queste moine da parte <strong>di</strong> Lucy devono avere uno scopo... non<br />
mi convince affatto. Forse, facendomi bere, spera <strong>di</strong> spremermi qualche<br />
segreto... ma io ho capito il suo piano e non assaggerò nemmeno una<br />
goccia del suo liquore!<br />
ATTO III - SCENA VII<br />
Lucy e Polly<br />
LUCY: Su coraggio, signora Polly, fate tanto la schizzinosa davanti a un<br />
bicchierino <strong>di</strong> vino da sembrare una dama che si trova con gente sconosciuta.<br />
Vi giuro, mia cara, che mi offenderò terribilmente se vi rifiutate...<br />
e poi noi donne an<strong>di</strong>amo pazze per alcool e uomini!<br />
POLLY: E io vi assicuro, signora, che non lo posso sopportare... (entra<br />
Filch).<br />
FILCH: Signore, è appena giunta la notizia che il capitano Mardock è stato<br />
arrestato... e presto verrà portato sulla forca (esce).<br />
POLLY: Come? Arrestato? Ormai anche la minima scintilla <strong>di</strong> felicità si è<br />
spenta! (lascia cadere a terra il bicchiere con il vino).<br />
LUCY: (a parte) Visto che le cose stanno così, non mi <strong>di</strong>spiace che la ragazza<br />
l’abbia scampata... non era abbastanza felice da meritare <strong>di</strong> essere<br />
avvelenata.<br />
ATTO III - SCENA VIII<br />
Lockit, Mardock, Peacock, Lucy e Polly<br />
LOCKIT: Mettetevi il cuore in pace, capitano: ormai non potete più scappare;<br />
abbiamo avuto l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> trasferirvi imme<strong>di</strong>atamente al processo.<br />
MR PEACOCK: E voi sgualdrine andate via! (rivolto a Lucy e Polly) Non è<br />
questo il momento <strong>di</strong> tormentare un marito... non vedete che è <strong>di</strong> nuovo<br />
ammanettato?<br />
– 295 –
LUCY: Oh marito mio! Vederti in questo stato mi fa impazzire!<br />
POLLY: Mio caro, perché non hai pensato a me per trovare rifugio? Di<br />
sicuro con me saresti stato in salvo.<br />
LUCY: Ti prego, volgi gli occhi alla tua bellissima Lucy...<br />
POLLY: No, guarda la tua dolce Polly...<br />
LUCY: (con voce scocciata verso Polly) Lucy ti invoca...<br />
POLLY: (idem, verso Lucy) Polly ti parla...<br />
MARDOCK: E che volete che vi <strong>di</strong>ca, signore mie? Calmatevi, tra breve<br />
sarà risolto tutto senza che io faccia torto né a l’una né all’altra.<br />
MR PEACOCK: però, capitano, se almeno vi decideste a sceglierne una, ci<br />
risparmieremmo tutti la lagna <strong>di</strong> queste due!<br />
POLLY: (a Peacock) Mio buon padre, vi prego, fate sparire le prove a suo<br />
carico e fatelo assolvere! (a parte) ...così almeno sceglierà me!<br />
LUCY: Signore, abbiate pietà <strong>di</strong> una figlia; le prove contro <strong>di</strong> lui sono in<br />
mano vostra, liberatelo vi prego! (a parte) ...Così almeno vorrà me<br />
come moglie!<br />
LOCKIT: Lucy, questo è affar nostro ora. Quin<strong>di</strong> non frastornarci con pianti<br />
e lamentele!<br />
MR PEACOCK: Anche tu Polly, mettiti il cuore in pace: tuo marito oggi<br />
dovrà morire, quin<strong>di</strong> cercatene un altro!<br />
LOCKIT: Ecco, siamo pronti ad accompagnarvi alla forca! (a Mardock)<br />
MARDOCK: Va bene, signori, sono a vostra <strong>di</strong>sposizione (escono tutti<br />
tranne Polly, Lucy e Filch).<br />
POLLY: Filch, seguili in tribunale, e quando il processo sarà finito, torna a<br />
riferirmi tutto quello che è stato detto; mi troverai qui con Lucy.<br />
FILCH: Subito signora! (esce).<br />
LUCY: Ritiriamoci mia cara Polly e abbandoniamoci al nostro dolore.<br />
(escono)<br />
ATTO III - SCENA IX<br />
Nella cella dei condannati a morte Mardock<br />
MARDOCK: Oh me sciagurato! Rinchiuso in questa cella sapendo che<br />
presto non sarò più in questo mondo, l’unico conforto è un bicchierino<br />
o più del mio amato liquore (beve) ...l’unica cosa che devo fare ora è<br />
non far vedere agli altri che tremo dalla paura... (beve).<br />
CARCERIERE: Ci sono dei vostri amici, capitano, che chiedono <strong>di</strong> entrare,<br />
vi lascio con loro.<br />
– 296 –
ATTO III - SCENA X<br />
Mardock, Ben Palo e Matt della Mint<br />
MARDOCK: Vedete, signori, per essere evaso dal carcere, mi sono guadagnato<br />
l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata esecuzione. Una cosa che mi sorprende è<br />
che sia stato proprio Jemmy Tic a deporre contro <strong>di</strong> me, è una prova che<br />
perfino nella nostra banda non ci si può fidare l’uno dell’altro, quin<strong>di</strong> vi<br />
prego, signori, state in guar<strong>di</strong>a.<br />
ATTO III - SCENA XI<br />
Mardock, Polly e Lucy<br />
MARDOCK: Mia cara Lucy! Mia cara Polly! Qualunque cosa sia accaduta<br />
tra noi, ormai è la fine.<br />
POLLY: Come resisterò a questa vista?<br />
LUCY: Non c’è niente che tocchi il cuore quanto il vedere il proprio uomo<br />
andare alla forca.<br />
POLLY: Quanto vorrei essere impiccata con te...<br />
LUCY: E anche io lo vorrei...<br />
MARDOCK: Oh, lasciatemi solo mi manca il coraggio (capovolge la bottiglia<br />
vuota).<br />
CARCERIERE: Ci sono altre quattro donne, capitano, e ognuna ha un<br />
bambino con sè. Eccole che arrivano...<br />
MARDOCK: Come? Altre quattro mogli? Questo è troppo. Ehi, voi, <strong>di</strong>te<br />
alle guar<strong>di</strong>e che sono pronto (Mardock esce con la scorta).<br />
ATTO III - SCENA XII<br />
Attore e men<strong>di</strong>cante<br />
ATTORE: Non vorrete <strong>di</strong>rmi che Mardock sarà impiccato sul serio?!<br />
MENDICANTE: Ma certamente! Per rendere l’opera perfetta ho dovuto<br />
attenermi ad una rigorosa giustizia poetica. Mardock sarà impiccato, e<br />
quanto agli altri personaggi del dramma, il pubblico deve già aver supposto<br />
che tutti sono stati impiccati o deportati.<br />
ATTORE: Ma allora, amico, questa è una trage<strong>di</strong>a, perché un’opera necessita<br />
<strong>di</strong> un lieto fine.<br />
MENDICANTE: La vostra obiezione, signore, è giustissima, ma è facile<br />
superarla. Dovete ammettere che in questo genere drammatico sono<br />
permesse le più strane assur<strong>di</strong>tà... Dunque... voi della folla, laggiù...<br />
– 297 –
mettetevi a correre e gridate che la grazia è concessa... il detenuto sia<br />
riportato alle sue mogli in trionfo.<br />
ATTORE: Dobbiamo proprio fare così per assecondare i gusti del pubblico.<br />
MENDICANTE: Se lo spettacolo fosse rimasto come io lo intendevo, ne<br />
sarebbe scaturita un’eccellente morale. Si sarebbe visto, cioè, che la<br />
gente più stolta ha esattamente gli stessi vizi dei ricchi e per questo<br />
vengono impiccati.<br />
ATTO III - SCENA XIII<br />
Mardock e la folla<br />
MARDOCK: Dunque a quanto pare per finire mi devo prendere una moglie.<br />
Sentite, mie care, non facciamo storie proprio ora, per questa volta prenderò<br />
Polly... e per tutta la vita, sgualdrinella, perché noi ci siamo sposati<br />
per davvero. Quanto alle altre... provvederò a trovar marito a ciascuna<br />
<strong>di</strong> voi!<br />
– 298 –
MARIA PAOLA MAIONE<br />
Il Satyrcon <strong>di</strong> Petronio Arbitro<br />
reinterpretato da Federico Fellini<br />
(Saggio degli studenti)<br />
PRESENTAZIONE<br />
“Letteratura e teatro”, “letteratura e cinema” sono stati da sempre<br />
binomi rilevanti per ampliare inter<strong>di</strong>sciplinarmente i contenuti <strong>di</strong>dattici e<br />
per attualizzare, sotto certi aspetti, testi <strong>di</strong> prosa e poesia (anche quelli <strong>di</strong> età<br />
classica, che spesso sembrano così “<strong>di</strong>stanti” ai nostri studenti), rendendoli,<br />
attraverso le trasposizioni teatrali e cinematografiche, più fruibili e stimolanti<br />
per un pubblico giovane e ricco <strong>di</strong> interessi culturali.<br />
Queste sono state le finalità che si sono cercate <strong>di</strong> raggiungere proponendo<br />
agli studenti <strong>di</strong> terzo liceo classico la riflessione su un argomento<br />
<strong>di</strong> letteratura latina della prima età imperiale, il “Satyricon” <strong>di</strong> Petronio<br />
Arbitro, testo complesso per la pluralità <strong>di</strong> contenuti, parallelamente alla<br />
visione della trasposizione cinematografica che, partendo da questo testo, è<br />
stata creata dalla estrosa genialità del regista Federico Fellini nel film del<br />
1969 “Fellini Satyricon”.<br />
Tale esperienza <strong>di</strong>dattica inter<strong>di</strong>sciplinare nell’ambito delle materie<br />
classiche era già stata attuata precedentemente in <strong>di</strong>verse classi con lavori<br />
<strong>di</strong> analisi su testi <strong>di</strong> letteratura, o teatro greco- romano, e successiva partecipazione<br />
ai relativi spettacoli, scelti con attenzione, quali, ad esempio, le<br />
Coefore <strong>di</strong> Eschilo (regia: Calenda), l’Elettra <strong>di</strong> Sofocle (regia: Nardone), la<br />
Fedra <strong>di</strong> Seneca (regia: Salveti), le Nuvole <strong>di</strong> Aristofane (regia: Zingaro), la<br />
Samia <strong>di</strong> Menandro (regia: Prosperi): in tutti i casi il coinvolgimento e<br />
la partecipazione degli studenti sono stati vali<strong>di</strong> strumenti per ampliare la<br />
loro conoscenza del mondo culturale classico e rafforzare le competenze<br />
specifiche.<br />
Tornando al presente lavoro, lo stu<strong>di</strong>o parallelo letteratura-cinema<br />
su Petronio-Fellini, con l’analisi del testo latino e del linguaggio e delle<br />
sequenze filmiche, è stato svolto nel corrente anno scolastico 2005-2006<br />
dalla classe III C, che ha prodotto <strong>di</strong>versi interessanti saggi brevi sull’argomento,<br />
uno dei quali è il seguente, notevole per spessore culturale e capacità<br />
d’indagine e <strong>di</strong> sintesi.<br />
– 299 –
Nel presentarlo, colgo l’occasione per ringraziare gli ideatori e i curatori<br />
<strong>di</strong> questa Miscellanea, e i miei studenti dell’<strong>Orazio</strong> che, con il loro entusiasmo<br />
collaborativo, gratificano e rendono vivo il lavoro non sempre facile<br />
del docente.<br />
Saggio <strong>di</strong>:<br />
Cinzia CAMELLINI, Alessandra MACINANTE, Erica MUCIACCIA,<br />
Chiara PANUNZI, Veronica SAGLIASCHI (Classe 3ª C - Classico)<br />
Petronio versus Fellini<br />
IN SATYRICON<br />
Titolo opera: Satyricon<br />
Autore: Petronius Arbiter (“elegantiae”)<br />
Genere: romanzo<br />
Datazione opera: 63-65 d.C.<br />
Personaggi principali: Encolpio, Ascilto, Gitone, Eumolpo, Trimalchione, Lica.<br />
Fonti: romanzo <strong>di</strong> età ellenistica, fabula milesia, satira esametrica (<strong>Orazio</strong>),<br />
satira priapea e menippea ( , Αποκολοκυƒντωσις <strong>di</strong> Seneca)<br />
Tempo della narrazione: principato <strong>di</strong> Nerone<br />
Ambientazione: Marsiglia, “Graeca urbs” indefinita, Crotone<br />
Motivi conduttori: viaggio, amore, deca<strong>di</strong>mento costumi, poesia, satira sociale<br />
***<br />
Titolo opera: Fellini-Satyricon<br />
Autore: Fedrico Fellini<br />
Genere: opera cinematografica<br />
Datazione opera: 1969<br />
Interpreti principali: Martin Potter (Encolpio), Hiram Keller (Ascilto),<br />
Max Born (Gitone), Salvo Randone (Eumolpo)<br />
Fonti: Satyricon <strong>di</strong> Petronio, Asino d’oro <strong>di</strong> Apuleio<br />
Tempo della narrazione: <strong>di</strong>mensione temporale indefinita<br />
Ambientazione: Roma antica<br />
Motivi conduttori: viaggio, morte, precarietà della vita, interpretazione poetica<br />
Sceneggiatura: F. Fellini, Bernar<strong>di</strong>no Zapponi<br />
Fotografia: Giuseppe Rotunno<br />
Scenografia e costumi: Danilo Donati<br />
Montaggio: Ruggero Mastroianni<br />
Musica: Nino Rota, Ilhan Mimaroglu, Tod Dockstader, Andew Ru<strong>di</strong>n<br />
– 300 –
FONTI DEL ROMANZO<br />
L’in<strong>di</strong>viduazione del genere letterario del Satyricon è oggetto <strong>di</strong> una<br />
complessa questione.<br />
Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio è un’opera originale, non solo da un punto <strong>di</strong><br />
vista artistico, ma anche letterario, poiché non trova precedenti nella letteratura<br />
classica. L’opera è una gigantesca satira menippea, ovvero un’unione <strong>di</strong><br />
prosa e versi ispirata alle <strong>di</strong>atribe del filosofo cinico Menippo <strong>di</strong> Gadara. Il<br />
romanzo greco tra<strong>di</strong>zionale era solito narrare le avventure <strong>di</strong> coppie <strong>di</strong> innamorati<br />
che, separati dopo il matrimonio, si ricongiungono infine dopo<br />
straor<strong>di</strong>narie avventure in <strong>di</strong>versi paesi. Petronio, al contrario, trasforma<br />
maliziosamente la giovane coppia in un triangolo amoroso che si muove tra<br />
ambienti e compagnie equivoci, forse da Marsiglia a Crotone. All’interno<br />
del romanzo confluiscono <strong>di</strong>versi generi letterari: un filone importante è<br />
quello della fabula Milesia, che risale a un’opera greca <strong>di</strong> notevole popolarità,<br />
i Milesiakà <strong>di</strong> Aristide. Vi appartiene la novella “boccaccesca” della<br />
matrona <strong>di</strong> Efeso, una vedova inconsolabile che finisce per esporre sulla<br />
croce il corpo del marito pur <strong>di</strong> salvare il suo amante. Queste fabulae andavano<br />
contro qualsiasi idealizzazione della realtà. Nello stesso periodo, il<br />
mimo romano portava in scena all’incirca il medesimo materiale narrativo.<br />
Altre fonti sono l’epica e la satira. Circa la prima, il Satyricon è una paro<strong>di</strong>a<br />
dell’O<strong>di</strong>ssea (ad esempio: all’ira <strong>di</strong> Nettuno che perseguita Ulisse si sostituisce<br />
quella <strong>di</strong> Priapo nei confronti <strong>di</strong> Encolpio; il nome “L’antro del Ciclope”<br />
della nave su cui viaggiano i protagonisti; l’incontro <strong>di</strong> Encolpio con<br />
la matrona Circe; il falso nome Polieno con cui le sirene invocarono Ulisse,<br />
assunto da Encolpio).<br />
In particolare il Satyricon <strong>di</strong> Petronio si inserisce come ultima tappa del<br />
filone più antico del genere satirico, ossia il filone della varietas (Satura est<br />
carmen quod ex variis poematibus constabat, Quintiliano, Inst. Or. X, 93-<br />
95). Tale linea ascende ad Ennio, si snoda con Pacuvio, Terenzio Varrone<br />
Reatino, con Lucilio, <strong>Orazio</strong> e Seneca, e culmina con Petronio. Il carattere<br />
miscellaneo del Satyricon si coglie nell’alternanza tra prosa e poesia, prosimetrum,<br />
tipico della satira menippea: la declamazione del retore Agamennone<br />
in coliambi ed esametri, la Troiae Halosis in trimetri giambici, il<br />
Bellum Civile in esametri, ne sono i più vistosi esempi.<br />
– 301 –
LA FRAMMENTARIETÀ DEL ROMANZO<br />
RIPRODOTTA CINEMATOGRAFICAMENTE<br />
Il romanzo latino ci è giunto gravemente mutilo, mancante sia della<br />
parte iniziale che <strong>di</strong> quella conclusiva e ricco <strong>di</strong> numerose lacune; secondo<br />
alcune testimonianze sono giunti a noi solo i libri XIV, XV, XVI, il romanzo<br />
sarebbe quin<strong>di</strong> stato molto più esteso. Questa frammentarietà giova ad avvicinare<br />
il Satyricon-romanzo alla sua versione cinematografica. Infatti, guardando<br />
il film, si ha l’impressione che potrebbe durare altrettanti 138 minuti<br />
o che potrebbe finire da un momento all’altro; gli episo<strong>di</strong> del film sembrano<br />
essere tasselli <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nati <strong>di</strong> un puzzle molto più grande: la situazione della<br />
Roma antica.<br />
Ma questo aspetto frastagliato è sicuramente voluto da Fellini, come<br />
si può capire dalle sue parole: “Il racconto ci è giunto per frammenti e il<br />
racconto sarà solo a frammenti, con l’alogicità dei sogni, colmo <strong>di</strong> vuoti<br />
improvvisi. Qualcosa come un mosaico <strong>di</strong>ssepolto. La realtà presentata<br />
sarà non storica, ma onirica”.<br />
LA TRAMA: DIFFERENZE E ANALOGIE NELLO SVOLGIMENTO<br />
Prendendo in considerazione la definizione che lo stesso Fellini dà al<br />
suo Satyricon “saggio <strong>di</strong> fantascienza del passato” e prestando attenzione<br />
soprattutto al termine “fantascienza”, sembra quasi scontato il <strong>di</strong>scostarsi<br />
del film dalla trama del romanzo da cui prende solo spunto.<br />
Fellini mantenne i personaggi principali quali Encolpio, Ascilto, Gitone;<br />
nel contempo alcuni personaggi furono eliminati come il retore Agamennone<br />
e l’ancella accompagnatrice della “Matrona <strong>di</strong> Efeso”; contemporaneamente<br />
il ruolo <strong>di</strong> altri venne ampliato, come nel caso <strong>di</strong> Lica, altri ancora furono<br />
completamente inventati come Vernacchio, attore cui, nelle prime scene del<br />
film, si immagina sia venduto Gitone; ad<strong>di</strong>rittura interi episo<strong>di</strong> completamente<br />
inventati dal regista sono inframezzati durante la narrazione, come il<br />
suici<strong>di</strong>o della coppia patrizia nella splen<strong>di</strong>da villa abbandonata dai servi<br />
affrancati e dai giovani figli, l’episo<strong>di</strong>o dell’Ermafro<strong>di</strong>to, la figura della<br />
Ninfomane, gli attori del circo che inscenano Arianna e il Minotauro.<br />
Possiamo notare come in quasi tutto il film, la traccia originaria del<br />
romanzo del poeta romano sia pressoché tralasciata; in alcuni episo<strong>di</strong> però<br />
ritroviamo l’opera <strong>di</strong> Petronio quasi seguita alla lettera: ad esempio il ban-<br />
– 302 –
chetto <strong>di</strong> Trimalchione, che nel libro occupa tutta la parte centrale ed è un<br />
episo<strong>di</strong>o portante, atto a far venir fuori il carattere e la personalità dello<br />
stravagante liberto. Qui Fellini riesce a cogliere pienamente questo caratteristico<br />
villano e riporta quasi immutate <strong>di</strong>verse scene del romanzo. Un’altra<br />
vicenda analoga, che possiamo trovare nel libro e nel film, è inoltre la fabula<br />
milesia della Matrona <strong>di</strong> Efeso, raccontata nel film da Trimalchione<br />
durante il suo funerale, anziché da Eumolpo; il regista la ripropone nello<br />
stesso modo in cui Petronio l’aveva scritta. Altra vicenda simile possiamo<br />
trovare sulla nave <strong>di</strong> Lica, o ancora più importante la scena dell’impotenza<br />
<strong>di</strong> Ascilto, anche nel film come nel libro, perseguitato dal <strong>di</strong>o della fertilità<br />
Priapo, che condurrà il giovane protagonista in vicende simili al romanzo.<br />
Infine il film si conclude con la scena finale, in cui Eumolpo lascia in ere<strong>di</strong>tà<br />
i suoi beni solo a chi si ciberà delle sue carni dopo la sua morte.<br />
Questi sono in sintesi, piccoli episo<strong>di</strong> in cui Fellini riesce a riproporre le<br />
scene del libro; ciononostante il regista riesce comunque a far trasparire<br />
l’atto <strong>di</strong> accusa e condanna contro la società della tarda Roma imperiale.<br />
Quella che fa Fellini è, come ha sostenuto il critico Vincenzo Patanè, “una<br />
reinvenzione così assolutamente personale” ed è quin<strong>di</strong> inutile tentare <strong>di</strong> far<br />
combaciare in tutto e per tutto il romanzo con la sua versione cinematografica.<br />
LA ROMA DI FELLINI E LA SUA DIMENSIONE PAGANA<br />
La Roma <strong>di</strong> Fellini si <strong>di</strong>scosta nettamente dalla Roma classica, fastosa e<br />
potente, stu<strong>di</strong>ata sui libri si scuola e <strong>di</strong> fronte alla quale il pubblico cinematografico<br />
si è sempre trovato. La sua è sicuramente una visione onirica, infatti<br />
il grande regista riminese afferma: “Non è certo un film storico quello<br />
che voglio fare, né mi propongo <strong>di</strong> ricostruire con devota fedeltà gli usi e i<br />
costumi dell’antica Roma. Ciò che mi interessa è tentare <strong>di</strong> evocare me<strong>di</strong>anicamente,<br />
come sempre fa l’artista, un mondo sconosciuto <strong>di</strong> duemila anni<br />
orsono, un mondo che non è più. Tentare, cioè <strong>di</strong> ricomporlo...”.<br />
Ma la sua fantasiosa ricostruzione è assolutamente fedele al testo, se si<br />
considera il simbolismo ad essa attribuito: in primo luogo è messa in evidenza<br />
la decadenza <strong>di</strong> quella società, i gran<strong>di</strong> problemi sociali del tempo,<br />
tra i quali spiccano sicuramente la corruzione sociale e morale dell’impero e<br />
i sottili giochi <strong>di</strong> potere. In questo decadente contesto si avverte il <strong>di</strong>sagio <strong>di</strong><br />
tutti i personaggi e la caducità degli uomini (il terremoto può essere considerato<br />
un simbolo <strong>di</strong> tale precarietà).<br />
– 303 –
La sua è quin<strong>di</strong> una Roma al <strong>di</strong> fuori del tempo storico, forse a metà tra<br />
la fantasia e l’inconscio; Fellini non vuole riprodurre fedelmente la situazione<br />
dell’epoca, piuttosto si interroga su come poteva figurare l’umanità<br />
prima della venuta <strong>di</strong> Cristo ed è forse proprio l’impossibilità <strong>di</strong> dare una risposta<br />
corretta che ha portato Fellini a parlare <strong>di</strong> fantascienza: l’ambizione <strong>di</strong><br />
Fellini è quin<strong>di</strong> quella <strong>di</strong> indagare le “psicologie precristiane”. Il paganesimo<br />
è sicuramente riscontrabile nei toni cal<strong>di</strong> con i quali è “<strong>di</strong>pinto” questo film,<br />
nel buio che onnipresente campeggia in ogni singola inquadratura (fatta sola<br />
eccezione per il momento del commiato dei figli e dell’affrancamento degli<br />
schiavi), buio che forse in<strong>di</strong>ca un’assenza, l’assenza del cristianesimo.<br />
LA MORTE E LA DECADENZA COME TEMI DOMINANTI<br />
Ciò che maggiormente colpisce del film è la sua tragica riflessione sulla<br />
morte. L’immagine che ne deriva non è certo quella <strong>di</strong> una morte vista come<br />
delicato e sommesso congedo dalla vita (il suici<strong>di</strong>o dei coniugi patrizi dopo<br />
l’affrancamento dei servi e l’allontanarsi dei loro figli) ma, piuttosto, come<br />
corruzione e <strong>di</strong>sfacimento della carne (esemplari, in tal senso, la figura <strong>di</strong><br />
Eumolpo e il finto funerale <strong>di</strong> Trimalchione). Questo senso <strong>di</strong> fine e <strong>di</strong><br />
morte non è contrastato dalla gioia e dall’amore dei protagonisti, che invece<br />
si abbandonano ad un sentimentalismo dubbio e malizioso.<br />
Pertanto l’immagine conclusiva, che vede i personaggi intenti a cibarsi<br />
dei morti e la fuga <strong>di</strong> Encolpio, non assume un significato liberatorio, ma fa<br />
riferimento alla sola istintività.<br />
ATTUALIZZAZIONE DEL ROMANZO<br />
Si può forse sostenere che esiste un collegamento tra quella società e<br />
quella contemporanea a Fellini (gli anni ’60/’70)? A questa domanda è lo stesso<br />
regista a dare la risposta: “L’analogia dunque c’è (tra la contemporaneità e<br />
il mondo descritto nel Satyricon film). Anche ora siamo una società in frantumi,<br />
in attesa <strong>di</strong> qualcosa. Allora questo qualcosa fu Cristo che apparve per <strong>di</strong>re<br />
parole assolutamente nuove, inau<strong>di</strong>te, e, considerando la mentalità, i costumi<br />
della gente a cui si rivolgeva, quasi incomprensibili, paradossali, assurde”.<br />
Il regista <strong>di</strong> Rimini arriverà ad<strong>di</strong>rittura ad associare le figure <strong>di</strong> Encolpio<br />
e Ascilto a due hippies, dato il loro stile <strong>di</strong> vita “sgangherato”.<br />
– 304 –
Fellini si aspettava per la sua generazione un cambiamento tanto imminente<br />
quanto ra<strong>di</strong>cale, come nella Roma <strong>di</strong> Petronio poteva essere stato<br />
l’avvento del cristianesimo.<br />
“Mutamento molto profondo, al quale la nostra generazione non è preparata:<br />
onde resta sull’altra riva a guardare delle forme confuse, che oggi<br />
possono essere la rivolta dei giovanissimi e tutto ciò che i giovani rappresentano<br />
o tendono a rappresentare; e che ieri, per i pagani, potevano essere i<br />
primi cristiani sostenitori <strong>di</strong> nuovi ideali”.<br />
ARTICOLI CRITICI E RICONOSCIMENTI CINEMATOGRAFICI<br />
La regia <strong>di</strong> Fellini ebbe la nomination all’Oscar, ma buona parte del<br />
cast non fu da meno: Fanfulla, uno degli attori non protagonisti, ricevette<br />
nel 1970 il nastro d’argento, insieme a Giuseppe Rotunno per la fotografia e<br />
a Danilo Donati per la scenografia e i costumi.<br />
Una volta <strong>di</strong>stribuito nelle sale, il film seminò consensi e <strong>di</strong>ssensi, la<br />
critica fu letteralmente <strong>di</strong>visa a metà, sui giornali <strong>di</strong> settore si leggevano<br />
opinioni totalmente <strong>di</strong>scordanti.<br />
Eccone riportate alcune:<br />
“Se si passa dalle premesse culturali ai concreti risultati espressivi, le<br />
riserve non mancano: programmatica fin che si vuole, la frammentarietà<br />
non riesce a <strong>di</strong>ventare una cifra stilistica: si ha l’impressione che il film<br />
potrebbe durare mezz’ora in meno o due ore in più senza che il risultato<br />
cambi. Soprattutto se paragonata con quelle delle sue opere precedenti,<br />
la galleria dei mostri finisce con l’essere un esercizio <strong>di</strong> alta acrobazia<br />
barocca fine a se stessa. (Morando Moran<strong>di</strong>ni, “Il Tempo”, 11 ottobre 1969)”<br />
“Tutto il Satyricon è realizzato come una gigantesca caccia all’immagine<br />
che, a costo <strong>di</strong> bruciare i vecchi mo<strong>di</strong> stilistici, <strong>di</strong>a il massimo d’evidenza<br />
figurativa alle fantasie <strong>di</strong> Fellini e le orchestri in un arcano gioco <strong>di</strong><br />
luci e <strong>di</strong> ombre. Qui è la sua gloria, e qui il suo azzardo. Siamo, davvero, su<br />
un altro pianeta. Fin dall’inizio, alle Terme fumiganti, e poi, nel teatro <strong>di</strong><br />
Vernacchio, s’avverte che Fellini ideando le scenografie (come ha tenuto a<br />
far sapere nei titoli <strong>di</strong> coda) ha sfrenato il proprio genio prospettico in una<br />
crescita <strong>di</strong> tensioni figurative. Dal lurido paesaggio dell’Isola Felice al<br />
luminoso sorriso della Pinacoteca, dalla corposa atmosfera della cena ai<br />
panorami marini popolati <strong>di</strong> navi fiabesche, dalla limpida, castissima<br />
– 305 –
cornice in cui si celebra il sacrificio della coppia all’ambiguità dell’antro<br />
dell’Ermafro<strong>di</strong>to, e ancora dal solare labirinto <strong>di</strong> Arianna alle malizie del<br />
Giar<strong>di</strong>no fino all’ultima spiaggia che sublima nella levità del mito la gravezza<br />
della materia, e una serie pressoché ininterrotta <strong>di</strong> invenzioni, dominate<br />
dal desiderio <strong>di</strong> immergersi il più possibile in un irreale trapunto <strong>di</strong><br />
lussuria e <strong>di</strong> tristezza”. (Grazzini, “Corriere della Sera”, 5 settembre 1969).<br />
“Satyricon ci recupera un Fellini tutto maturo e intelligente, in una<br />
folla d’immaturi, interamente legato alla sua opera anche se pronto a rinnegarla<br />
per un rinnovamento: un Fellini che si muove in una schiera <strong>di</strong> tipi,<br />
<strong>di</strong> mostri, <strong>di</strong> pellegrini <strong>di</strong> santuari (antichi oracoli o Divino Amore) come<br />
nella Dolce vita, che torna alle sue Saraghine e Cabirie, che non rinuncia<br />
al <strong>di</strong>alettalismo della sua esperienza neorealista, che rinnova con maggiore<br />
ricchezza le sue invenzioni fotografiche cromatiche, per un impiego del<br />
colore in funzione cine-pittorica. Non si cura <strong>di</strong> afferrare lo spirito <strong>di</strong> Petronio<br />
e della vera romanità – e forse nessuno vi riuscirà giammai – se non<br />
con lo slancio della sua forza immaginativa, che non manca d’indulgenza<br />
verso il proprio mondo, cui non cerca <strong>di</strong> sfuggire…” (Mario Verdone,<br />
“Interventi sullo spettacolo contemporaneo”, Matteo E<strong>di</strong>tore, 1979).<br />
Bibliografia:<br />
Petronio: “Satyricon”, traduzione <strong>di</strong> P. Chiara, introduzione <strong>di</strong> F. Roncoroni,<br />
Mondadori.<br />
Paratore E.: “Profilo della letteratura latina”, Firenze, Sansoni, 1969.<br />
Paratore E.: “Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio, Firenze, 1933.<br />
Paratore E.: “La narrativa latina nell’età <strong>di</strong> Nerone: la Cena Trimalchionis<br />
<strong>di</strong> Petronio”, Roma, 1961.<br />
G. Pontiggia-M.C. Gran<strong>di</strong>: “Letteratura latina”, Principato, 2005.<br />
Conte-Pianezzola: “Storia e testi della letteratura latina 3”, Le Monnier,<br />
Firenze.<br />
Fellini Federico: “L’altra notte al Colosseo”, note sulla preparazione del<br />
“Satyricon”, 1969.<br />
P.G. Walsh: “The Roman novel.The Satyricon of Petronius”, Cambridge,<br />
1970.<br />
L. Canali: “L’erotico e il grottesco nel Satyricon”, Roma-Bari, 1986.<br />
L. Luisa e M. Moran<strong>di</strong>ni: “Il Moran<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>zionario <strong>di</strong> film”, Zanichelli.<br />
– 306 –