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MISCELLANEA 2004 2005.pdf - Liceo Ginnasio Statale Orazio di ...

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LICEO CLASSICO “ORAZIO”<br />

ROMA<br />

Miscellanea<br />

<strong>di</strong> Saggi e Ricerche<br />

D’AVINO - ARCURI - BOTTONI - CARINI<br />

CASTELLANO - D’ADAMO DEL PRETE - DE NICHILO<br />

FIERRO - JANKOWSKI - MAIONE - ROBUSTELLI<br />

a cura <strong>di</strong> Mario Carini<br />

N. 2<br />

ANNO SCOLASTICO<br />

<strong>2004</strong>-2005


Stampa: Tipolito Istituto Salesiano Pio XI<br />

Via Umbertide, 11 - 00181 Roma<br />

Tel. 06.7827819 - E-mail: tipolito@pcn.net<br />

Finito <strong>di</strong> stampare: Marzo 2006


INDICE<br />

Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7<br />

Note biografiche sugli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9<br />

SEZIONE DOCENTI<br />

GIUSEPPE D’AVINO, Discorsi agli studenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17<br />

ANNA PAOLA BOTTONI, Una interpretazione metacognitiva della <strong>di</strong>dattica progettuale 26<br />

MARIO CARINI, Mitologie sul nazismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34<br />

MARINA CASTELLANO, Proposta <strong>di</strong> analisi critica del I canto dell’Inferno . . . . . . . . . . . . . . 99<br />

ANGELA D’ADAMO DEL PRETE, Il tema della morte in letteratura: un percorso inter<strong>di</strong>sciplinare<br />

per una terza liceale (anno scolastico 1999/2000) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143<br />

ADRIANA DE NICHILO, Tipologia B: la prima prova dell’esame <strong>di</strong> stato . . . . . . . . . . . . . . . . . 166<br />

LICIA FIERRO, Noterelle a margine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171<br />

CLAUDIO JANKOWSKI, Sceneggiatura per una fiaba, idea per un balletto . . . . . . . . . . . . . . . 180<br />

ANNA MARIA ROBUSTELLI, Christina Rossetti, “il cui cuore si spezzava per un po’<br />

d’amore” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182<br />

SEZIONE DIDATTICA<br />

(collaborazioni degli studenti)<br />

Fu vera storia? (Una ricerca della classe 3ª I del <strong>Liceo</strong> Linguistico, anno scolastico<br />

<strong>2004</strong>-2005, a cura della prof.ssa Donatella Arcuri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203<br />

Antologia <strong>di</strong> racconti a cura del prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski: Il romanzo <strong>di</strong> Enea <strong>di</strong><br />

Fabrizio Cosmi; Made in America <strong>di</strong> Lorenzo Pani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 218<br />

Laboratorio teatrale 2005-2006, classe 2ª G, <strong>di</strong>retto dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski:<br />

L’opera del men<strong>di</strong>cante <strong>di</strong> John Gay (testo integrale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266<br />

Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio Arbitro reinterpretato da Federico Fellini (Saggio <strong>di</strong> studenti<br />

curato dalla prof.ssa Maria Paola Maione) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299


PREFAZIONE<br />

È il secondo anno successivo che la Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche prende<br />

vita e la cultura trasmessa ogni giorno, nelle aule scolastiche del nostro istituto, fa<br />

animare anche le pagine <strong>di</strong> questa pubblicazione. È facile rintracciare in essa la<br />

cura, l’attenzione e l’amore per la ricerca, lo stu<strong>di</strong>um, inteso nell’accezione etimologica<br />

del termine, ossia la passione che ogni docente vi pone, testimonianza <strong>di</strong><br />

quel continuo e incessante desiderio <strong>di</strong> apprendere che accomuna insegnanti e<br />

alunni.<br />

È proprio per questo che abbiamo deciso <strong>di</strong> inserire, accanto ai lavori realizzati<br />

per i nostri alunni, le ricerche svolte assieme agli alunni e i contributi elaborati<br />

da loro personalmente. Se i nostri allievi devono essere i fruitori attivi e partecipi<br />

<strong>di</strong> ogni processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento e istruzione, attivato all’interno della nostra<br />

scuola, essi ancor più possono esprimere pienamente la loro partecipazione <strong>di</strong>venendo<br />

soggetti attivi, parte integrante e promotori essi stessi <strong>di</strong> tale processo. Quest’anno<br />

abbiamo deciso, infatti, <strong>di</strong> inaugurare, nell’ambito delle iniziative progettuali,<br />

il “Progetto Giovani”, uno spazio laboratoriale in cui i nostri alunni possano<br />

ideare, pianificare, realizzare le attività: dunque costruire concretamente, giorno<br />

per giorno, i segmenti delle azioni del loro sapere, accompagnati, nel percorso che<br />

rende operative le conoscenze (secondo quello che è il senso dell’etimologia <strong>di</strong><br />

cognoscere, ossia noscere cum, “apprendere con”), dai docenti.<br />

La Miscellanea, in questa prospettiva, rappresenta emblematicamente questo<br />

sforzo comune: alunni e docenti impegnati quoti<strong>di</strong>anamente insieme a vincere<br />

l’inerzia e la pigrizia intellettuale, e ogni forma d’ignoranza che la nostra società<br />

mistifica come informazione accessibile, accattivante ma profondamente superficiale<br />

e pressappochista.<br />

L’amore per il sapere che vogliamo trasmettere ai nostri giovani e che essi, in<br />

questo numero della presente pubblicazione, hanno <strong>di</strong>mostrato non solo <strong>di</strong> avere<br />

accolto, ma anche <strong>di</strong> essersi impegnati a fare proprio, si traduce nel desiderio <strong>di</strong><br />

imparare a ricercare. Oggetto della nostra ricerca, in ultima analisi, deve essere<br />

l’uomo. All’inizio dell’anno scolastico, rivolgendomi agli studenti del primo anno<br />

nelle giornate dell’accoglienza, ho citato loro la figura <strong>di</strong> Diogene che cercava<br />

l’uomo, ritenendo che anche nella realtà <strong>di</strong> oggi noi tutti dovremmo ricercare<br />

l’uomo. È solo riscoprendo le profonde ragioni che hanno animato l’umanesimo,<br />

che è possibile affrontare con successo le sfide educative del nostro tempo, contro le<br />

fallaci suggestioni <strong>di</strong> effimere mode culturali. E ai principi <strong>di</strong> un rinnovato umanesimo<br />

deve essere orientata la nostra ricerca, che da essi attinge valore e significato.<br />

La ricerca <strong>di</strong>venta, così, con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> vita: si dovrebbe parlare, infatti, del<br />

nostro “essere in ricerca”, per esprimere l’atteggiamento <strong>di</strong> chi si apre alla Verità,<br />

<strong>di</strong> chi percepisce la sua limitatezza nei confronti del Sapere. Troppo spesso, infatti,<br />

–5–


coinvolti in <strong>di</strong>namiche sempre più efficientiste, finiamo col perdere l’attenzione<br />

per quella che si potrebbe definire “la cultura del limite”, l’habitus mentale dell’uomo<br />

che nella sua ricerca quoti<strong>di</strong>ana sperimenta tutte le sue potenzialità senza<br />

<strong>di</strong>menticare mai la finitezza del suo agire.<br />

In un’epoca in cui, <strong>di</strong> fronte al trionfo del tecnicismo, si avverte lo smarrimento<br />

nelle coscienze del senso del nostro essere, una pubblicazione come questa ha il<br />

pregio <strong>di</strong> chiarire ulteriormente quale sia il senso del nostro essere nella scuola:<br />

dare il nostro sapere alle nuove generazioni, che saranno il futuro, per promuovere<br />

la loro formazione intellettuale e spirituale, nel segno <strong>di</strong> un neoumanesimo.<br />

Giuseppe D’Avino<br />

Dirigente Scolastico del <strong>Liceo</strong> Classico “<strong>Orazio</strong>”<br />

–6–


INTRODUZIONE<br />

Il presente volume, secondo della serie Miscellanea <strong>di</strong> Saggi e Ricerche, si<br />

presenta correlato all’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005, anche se comprende alcuni lavori<br />

realizzati nel corrente anno. Esso non si <strong>di</strong>fferenzia nell’impianto generale dal<br />

primo, ma contiene alcune novità. Anzitutto, la Miscellanea si arricchisce <strong>di</strong> nuove<br />

e assai gra<strong>di</strong>te collaborazioni <strong>di</strong> Colleghi docenti; si inaugura, poi, proprio con<br />

questo secondo volume una sezione appositamente de<strong>di</strong>cata agli studenti, nella<br />

quale troveranno posto, da questo numero e per i successivi, le loro ricerche presentate<br />

dai rispettivi professori. Si amplieranno, così, i contenuti <strong>di</strong> questa pubblicazione,<br />

che intende dare voce a tutte le componenti della comunità scolastica,<br />

presentando anche quanto prodotto dall’attività <strong>di</strong>dattica dei docenti nel corso<br />

dell’anno. In proposito, segnaliamo all’attenzione dei lettori che nella “Sezione<br />

<strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)”, oltre alle ricerche compiute dagli alunni<br />

delle prof.sse Arcuri e Maione e ai racconti elaborati nel laboratorio <strong>di</strong> scrittura<br />

condotto dal prof. Jankowski, è riportato il testo integrale de L’opera del men<strong>di</strong>cante<br />

<strong>di</strong> John Gay, che lo stesso prof. Jankowski porterà in scena con gli studenti del suo<br />

laboratorio teatrale a fine anno scolastico. Gli spettatori avranno così un comodo<br />

ausilio per assistere alla rappresentazione <strong>di</strong> quest’opera. Anche la “Sezione docenti”<br />

presenta una serie <strong>di</strong> lavori <strong>di</strong> vario genere (com’è, del resto, nel carattere <strong>di</strong><br />

una Miscellanea), che testimoniano l’ampiezza dell’impegno e degli interessi culturali<br />

del corpo insegnante nel nostro istituto: si va dall’esegesi dantesca alla letteratura<br />

italiana e straniera, dalla storia alla paraletteratura, dalla filosofia alla <strong>di</strong>dattica.<br />

Il volume contiene, nell’or<strong>di</strong>ne, i seguenti lavori. Nella “Sezione docenti”<br />

appaiono: i Discorsi agli studenti del prof. Giuseppe D’Avino, tenuti dal nostro<br />

Dirigente Scolastico in occasione dell’accoglienza agli studenti del <strong>Liceo</strong> Classico<br />

e del <strong>Liceo</strong> Linguistico, nei giorni 12 e13 settembre 2005; Una interpretazione<br />

metacognitiva della <strong>di</strong>dattica progettuale della prof.ssa Anna Paola Bottoni; la mia<br />

ricerca Mitologie sul nazismo; la Proposta <strong>di</strong> analisi critica del I canto dell’Inferno<br />

della prof.ssa Marina Castellano; Il tema della morte in letteratura: un percorso<br />

inter<strong>di</strong>sciplinare per una terza liceale (anno scolastico 1999/2000) della prof.ssa<br />

Angela D’Adamo Del Prete, Collega che lo scorso anno ha concluso il suo servizio<br />

nel nostro istituto lasciandoci un in<strong>di</strong>menticabile ricordo <strong>di</strong> impegno, de<strong>di</strong>zione,<br />

competenza culturale, spesi a strenua <strong>di</strong>fesa dei valori e delle ragioni della scuola<br />

pubblica; le riflessioni sulla prova scritta dell’esame <strong>di</strong> maturità, dovute alla<br />

prof.ssa Adriana de Nichilo, Tipologia B: la prima prova dell’esame <strong>di</strong> stato;<br />

le Noterelle a margine, riflessioni sull’esteriorità e l’interiorità dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

della prof.ssa Licia Fierro; la Sceneggiatura per una fiaba, idea per un balletto del<br />

prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski; il saggio Christina Rossetti, “il cui cuore si spezzava per<br />

un po’ d’amore” della prof.ssa Anna Maria Robustelli.<br />

–7–


Segue la “Sezione <strong>di</strong>dattica (collaborazioni degli studenti)” con: Fu vera<br />

storia?, una ricerca della Classe 3ª I del <strong>Liceo</strong> Linguistico a cura della prof.ssa<br />

Donatella Arcuri; Il romanzo <strong>di</strong> Enea <strong>di</strong> Fabrizio Cosmi e Made in America <strong>di</strong><br />

Lorenzo Pani, due racconti <strong>di</strong> studenti, frutto dell’attività <strong>di</strong> scrittura creativa svolta<br />

dal prof. Clau<strong>di</strong>o Jankowski nella classe 1ª G, anno scolastico <strong>2004</strong>-2005; il testo<br />

integrale de L’opera del men<strong>di</strong>cante <strong>di</strong> John Gay, <strong>di</strong> cui il prof. Jankowski, come<br />

ho già detto, sta curando l’allestimento con gli studenti del suo laboratorio teatrale<br />

(classe 2ª G), per il corrente anno scolastico; Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio Arbitro<br />

reinterpretato da Federico Fellini, un saggio degli studenti della classe 3ª C curato<br />

dalla prof.ssa Maria Paola Maione.<br />

Si spera che anche i contenuti <strong>di</strong> questo secondo volume, com’è stato per il<br />

primo che ha guadagnato lusinghieri consensi, possano riscuotere interesse e<br />

trovare apprezzamento tra i lettori, <strong>di</strong>modoché la Miscellanea continui ad apparire<br />

anche nei prossimi anni e venga auspicabilmente a configurarsi come uno degli<br />

irrinunciabili appuntamenti culturali, a tutti aperto, del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>.<br />

Concludo esprimendo la mia riconoscenza al Preside prof. D’Avino, che ha<br />

fortemente sostenuto e valorizzato questa pubblicazione, anche con il suo personale<br />

apporto, inserendola tra le attività previste dal POF, a tutti coloro che hanno<br />

collaborato con i loro preziosi contributi, permettendo l’uscita <strong>di</strong> questo secondo<br />

volume, e, infine, alle maestranze della Tipografia dell’Istituto Pio XI, che hanno<br />

curato con la consueta perizia la stampa del testo.<br />

Roma, 14 gennaio 2005 Mario Carini<br />

–8–


NOTE BIOGRAFICHE SUGLI AUTORI 1<br />

DONATELLA ARCURI: insegna Storia e Filosofia in questo <strong>Liceo</strong> dallo scorso<br />

anno scolastico. Membro del Comitato Scientifico della rivista “Sud Contemporaneo”,<br />

è autrice <strong>di</strong> racconti brevi e <strong>di</strong> saggi <strong>di</strong> argomento storico e<br />

filosofico.<br />

ANNA PAOLA BOTTONI: laureatasi nel 1987 in lettere antiche (in<strong>di</strong>rizzo filologia<br />

classica) presso l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Roma “La Sapienza”, ha<br />

seguito i corsi <strong>di</strong> perfezionamento post lauream in Archivistica e Biblioteconomia,<br />

Didattica della Scrittura, Didattica Generale e Museale, Didattica<br />

Modulare e dell’Orientamento (Università degli Stu<strong>di</strong> “Roma Tre”). Ha maturato<br />

una lunga esperienza <strong>di</strong> insegnamento presso il liceo classico dell’Istituto<br />

Paritario “Maria Ausiliatrice” <strong>di</strong> Roma, nell’ambito del quale si è occupata<br />

della <strong>di</strong>dattica laboratoriale e progettuale. Insegna attualmente nei licei ginnasi<br />

statali (classe <strong>di</strong> concorso A052).<br />

MARIO CARINI: laureato in lettere antiche e in giurisprudenza, vincitore <strong>di</strong> concorso<br />

a cattedre nel 1985 (materie letterarie e latino nei licei e negli istituti<br />

magistrali) e nel 1987 (materie letterarie, latino e greco nel liceo classico), è<br />

attualmente docente <strong>di</strong> materie letterarie, latino e greco presso i licei ginnasi<br />

statali. Ha pubblicato il volume Due città per un poeta, saggi su Magno<br />

Felice Enno<strong>di</strong>o, Tringale e<strong>di</strong>tore, Catania 1989 (onorevole menzione al XLII<br />

Certamen Capitolinum, anno 1991). Suoi scritti sono apparsi sulle riviste:<br />

“Quaderni Catanesi <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Classici e Me<strong>di</strong>evali”, “Atene e Roma”, “Nuova<br />

Secondaria”, “Aufidus”, “Cultura e Scuola”, “Rassegna <strong>di</strong> Cultura e Vita<br />

Scolastica”, “Civiltà dei Licei”, “Abstracta”, “Linea Treno”, “Nuovi Stu<strong>di</strong><br />

Fanesi”, “Intersezioni”, “Annali del <strong>Liceo</strong> classico A. <strong>di</strong> Savoia”, “Rivista <strong>di</strong><br />

cultura classica e me<strong>di</strong>oevale”, “Bullettino dell’Istituto <strong>di</strong> Diritto Romano<br />

«Vittorio Scialoja»”.<br />

MARINA CASTELLANO: nata a Napoli il 10 aprile 1961, vive a Roma, dove si<br />

è laureata in Lettere classiche nel 1984; vincitrice nei concorsi per Materie<br />

Letterarie, Italiano e Latino e Storia e Filosofia nel 1987, da questa data<br />

intraprende l’insegnamento dell’Italiano e del Latino nel <strong>Liceo</strong> Scientifico e,<br />

dal 1992, in quello Classico. Autrice <strong>di</strong> un’introduzione ad un saggio su<br />

Silone (S. Scalabrella, Il paradosso Silone, Stu<strong>di</strong>um, Roma 1998) pubblicata<br />

1 Le informazioni ci sono state cortesemente fornite dagli autori (n.d.c.).<br />

–9–


anche sul trimestrale “Stu<strong>di</strong>um” e <strong>di</strong> una e<strong>di</strong>zione critica del Cato maior<br />

ciceroniano (Il bello della vecchiaia, Cato Maior de senectute, Pagine, Roma<br />

2005), ha in preparazione un manuale <strong>di</strong> grammatica greca ed un’e<strong>di</strong>zione<br />

critica <strong>di</strong> canti scelti della Divina Comme<strong>di</strong>a. Ha al suo attivo una esperienza<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione e<strong>di</strong>toriale scolastica e la produzione <strong>di</strong> alcuni articoli scritti per<br />

trimestrali e mensili <strong>di</strong> attualità politica.<br />

ANGELA D’ADAMO DEL PRETE: nata a Vasto (Ch) il 25/12/41, ha conseguito<br />

la licenza liceale nel liceo classico L. Valerio Pudente <strong>di</strong> Vasto nell’anno<br />

1960; ammessa su concorso ad uno dei quattro posti gratuiti ban<strong>di</strong>ti per Lettere<br />

e Filosofia dal Collegio Marianum della Università Cattolica <strong>di</strong> Milano,<br />

si è laureata nella suddetta Università nell’ottobre 1964 con cento<strong>di</strong>eci e lode<br />

in Lettere e Filosofia (in<strong>di</strong>rizzo classico) con una tesi sull’Officium Passionis<br />

<strong>di</strong> San Francesco d’Assisi, relatore il prof. Ezio Franceschini docente <strong>di</strong> Letteratura<br />

latina me<strong>di</strong>evale, correlatore il prof. Piero Zerbi, docente <strong>di</strong> Storia<br />

della Chiesa. Un articolo estratto dalla sua tesi è stato pubblicato sulla rivista<br />

“Quaderni <strong>di</strong> spiritualità francescana”, Assisi, n. 25 (1965). Negli anni 1964 e<br />

1965 ha conseguito l’abilitazione in italiano, storia, geografia, latino e greco<br />

(abilitazioni decentrate). È <strong>di</strong>ventata <strong>di</strong> ruolo nelle scuole me<strong>di</strong>e inferiori<br />

per effetto della legge 460, insegnando nelle scuole me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Guidonia e<br />

Mentana. Nell’anno 1968 ha vinto un concorso a cattedre per l’insegnamento<br />

<strong>di</strong> italiano, latino, storia e geografia nei licei e negli istituti magistrali. Dal<br />

1970/71 ha insegnato nel liceo classico <strong>Orazio</strong> <strong>di</strong> Roma dove ha ricoperto<br />

il ruolo <strong>di</strong> delegata sindacale CGIL fino all’anno 1994. È poi stata eletta<br />

RSU sempre in rappresentanza della CGIL Scuola fino all’anno <strong>2004</strong>/05.<br />

Attualmente è in pensione.<br />

ADRIANA de NICHILO: si è laureata in Lettere presso l’Università “La<br />

Sapienza” <strong>di</strong> Roma nel 1975. Della sua tesi <strong>di</strong> laurea è stato pubblicato un<br />

estratto: Le lettere <strong>di</strong> Andrea Calmo e la civiltà veneziana del Rinascimento,<br />

in FM. Annali dell’Istituto <strong>di</strong> Filologia Moderna dell’Università <strong>di</strong> Roma,<br />

Roma, E<strong>di</strong>ter, 1977. Nel 1978 ha conseguito il Diploma <strong>di</strong> Bibliotecario<br />

presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università “La<br />

Sapienza” <strong>di</strong> Roma. Della sua tesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>ploma è stato pubblicato un estratto<br />

intitolato Spunti per un’indagine storico-critica sulla teoria delle classificazioni.<br />

Le opere mnemotecniche parigine <strong>di</strong> Giordano Bruno, in “Annali della<br />

Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università <strong>di</strong> Roma”<br />

(1975-1976). Nel 2003 ha conseguito il Master <strong>di</strong> II livello <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>atore<br />

per l’orientamento. Vincitrice <strong>di</strong> concorso a cattedra, insegna italiano e latino<br />

nei Licei dal 1985. Oltre a quelli menzionati, ha pubblicato vari saggi e<br />

recensioni su volumi miscellanei e riviste specializzate, tra cui citiamo: La<br />

–10–


lettera e il comico, in Le Carte Messaggere. Retorica e modelli <strong>di</strong> comunicazione<br />

epistolare: per un in<strong>di</strong>ce dei libri <strong>di</strong> lettere del Cinquecento, a c. <strong>di</strong><br />

A. Quondam, Roma, Bulzoni, 1981 e Una risorsa versatile per la <strong>di</strong>dattica:<br />

la lettera, in Letteratura a scuola, vol. II Letteratura e scrittura, a c. <strong>di</strong> M.<br />

Costantino, Milano, Franco Angeli, 2002. Ha anche pubblicato due volumi <strong>di</strong><br />

poesia intitolati Sotto l’albero <strong>di</strong> limoni e Marea.<br />

LICIA FIERRO: laureatasi in filosofia all’Università <strong>di</strong> Napoli, sotto la guida <strong>di</strong><br />

vari maestri tra cui Aldo Masullo, svolge da molti anni con passione l’insegnamento<br />

<strong>di</strong> storia e filosofia nei licei classici. Collabora a giornali locali<br />

con articoli su varie tematiche culturali. Nel nostro Istituto ha svolto molteplici<br />

attività <strong>di</strong> collaborazione con la Dirigenza, ricoprendo incarichi <strong>di</strong> funzioni<br />

previste dal vigente or<strong>di</strong>namento. Ha organizzato i cicli <strong>di</strong> conferenze,<br />

su temi <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento culturale (La globalizzazione, anno scolastico<br />

2001/2002; La giustizia, anno scolastico 2002/2003; Fe<strong>di</strong> e ateismo nella<br />

civiltà contemporanea, anno scolastico 2003/<strong>2004</strong>), che hanno visto la partecipazione<br />

<strong>di</strong> prestigiosi esponenti della società civile, quali i giuristi Pietro<br />

Rescigno, Giovanni Conso (già ministro della Giustizia nel governo Ciampi<br />

e Presidente della Corte Costituzionale), Francesco Paolo Casavola (Presidente<br />

emerito della Corte Costituzionale), il giornalista Maurizio De Luca, il<br />

Procuratore Nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna, il filosofo Paolo Flores<br />

d’Arcais, il leader del movimento No Global Vittorio Agnoletto, il fisico<br />

Carlo <strong>di</strong> Castro, il vice Direttore Generale della Banca d’Italia Pierluigi<br />

Ciocca. Ha coor<strong>di</strong>nato la partecipazione delle sezioni classica e linguistica<br />

del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> al ciclo <strong>di</strong> 24 trasmissioni de “Il Grillo” (programma <strong>di</strong><br />

Rai Educational). L’ultima trasmissione, con la partecipazione dello storico<br />

Nicola Tranfaglia, è stata registrata a Torino.<br />

CLAUDIO JANKOWSKI: laureato in lettere, in pedagogia, nel D.U.E.C. (Roma<br />

Tre), ha stu<strong>di</strong>ato presso lo Stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Arti sceniche <strong>di</strong> Alessandro Fersen nel<br />

biennio 1974/76. Ha lavorato in teatro come regista interessandosi <strong>di</strong> scenografia,<br />

pittura e costruzione <strong>di</strong> maschere e <strong>di</strong> effetti speciali, lavoro quest’ultimo<br />

che ha alternato costantemente alla sua attività alla quale ha de<strong>di</strong>cato seminari,<br />

corsi e mostre. È stato aiuto-regista <strong>di</strong> alcuni importanti registi italiani<br />

ed assistente degli scenografi Roberto Francia e Bruno Garofalo. Ha collaborato<br />

tra gli altri con: Footsbarn Travelling Theatre, Alexander Jodorowski,<br />

Lindsay Kemp, Klaus Kinski, il Teatro Stabile <strong>di</strong> Roma. È stato assistente del<br />

prof. Ferruccio Di Cori nei suoi corsi <strong>di</strong> psico-dramma. Svolge costantemente<br />

attività <strong>di</strong>dattica e ha <strong>di</strong>retto corsi <strong>di</strong> teatro in Italia e in Belgio. Ha fondato<br />

nel 1993 il Teatro Stu<strong>di</strong>o Jankowski, che ha tra gli obiettivi quello <strong>di</strong> promuovere<br />

l’incontro del teatro e della drammaturgia italiana e polacca attraverso<br />

–11–


un lavoro <strong>di</strong> interscambio e ricerca. A partire dal 1973 ha curato in Italia la<br />

regia <strong>di</strong> numerosi spettacoli teatrali, da testi <strong>di</strong> Beckett (“Ultimo nastro <strong>di</strong><br />

Krapp”, “Atto senza parole”, “Atto senza parole II”, “Di Joe”, “Giorni felici”,<br />

“Aspettando Godot”), Ionesco (“Delirio a due”, “Il re muore”), Euripide<br />

(“Medea”), Brecht (“Il men<strong>di</strong>cante”, “Quanto costa il ferro?”, “L’anima<br />

buona del Sezuan”), Goering (“Battaglia navale”), Racine (“Fedra”), Aristofane<br />

(“Gli uccelli”), Hoffmann (“La principessa Brambilla”), Gombrowicz<br />

(“Iwona principessa <strong>di</strong> Borgogna”), Shakespeare (“La tempesta”, “Sogno <strong>di</strong><br />

una notte <strong>di</strong> mezza estate”), Gozzi (“La donna serpente”), Goldoni (“Arlecchino<br />

servitore <strong>di</strong> due padroni”), Jarry (“Ubu re”), Witkiewicz (“La nuova<br />

liberazione”), etc. Tra le ultime regie realizzate: “Giulio Cesare” <strong>di</strong> W. Shakespeare<br />

(Roma 2001, Laboratorio), “Operetta” <strong>di</strong> W. Gombrowicz (Roma<br />

2002, Teatro Greco), “Ubu sulla collina” <strong>di</strong> A. Jarry (Roma 2002, Teatro<br />

Tor<strong>di</strong>nona, Laboratorio). Ha inoltre scritto e messo in scena: “L’altra faccia <strong>di</strong><br />

Samuel Beckett” (Roma 1974, Teatro dei Dioscuri), “Baba Yaga” (Marino<br />

1976, Teatro V. Colonna).<br />

MARIA PAOLA MAIONE: laureata in lettere con in<strong>di</strong>rizzo classico all’università<br />

“La Sapienza” <strong>di</strong> Roma, ha <strong>di</strong>scusso la tesi <strong>di</strong> laurea su argomenti del teatro <strong>di</strong><br />

Eschilo presso la cattedra <strong>di</strong> “Storia del teatro e della drammaturgia antica”,<br />

<strong>di</strong>retta dal prof. A. Martina, in collaborazione con la cattedra <strong>di</strong> letteratura<br />

greca del prof. L.E. Rossi. Ha frequentato i corsi della Scuola Speciale per<br />

Archivisti e bibliotecari e ha lavorato come vincitrice <strong>di</strong> borse <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o nelle<br />

biblioteche degli Istituti della Provincia <strong>di</strong> Roma. Ha frequentato la Scuola <strong>di</strong><br />

Specializzazione post-universitaria in filologia Classica e in Filologia Moderna<br />

presso l’università “La Sapienza”, conseguendo il relativo <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong><br />

Perfezionamento post-lauream con una tesi sul Romanzo Italiano del ’900<br />

presso la cattedra del prof. E. Ghidetti, con il quale ha collaborato anche per<br />

interviste allo scrittore Vasco Pratolini sulla pubblicazione del suo romanzo<br />

“Lo Scialo”. È docente <strong>di</strong> Materie letterarie, Latino e Greco nei licei classici<br />

statali come vincitore <strong>di</strong> concorso or<strong>di</strong>nario e presta servizio nel <strong>Liceo</strong> Classico<br />

<strong>Orazio</strong> dal 1987. I suoi interessi si concentrano, in particolare, nello<br />

stu<strong>di</strong>o delle lingue e letterature greca, latina e italiana, inoltre, in attività e approfon<strong>di</strong>menti<br />

<strong>di</strong> archeologia e storia dell’arte, per i quali ha seguito corsi e<br />

collabora saltuariamente con l’Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche<br />

e con la Soprintendenza per il Polo Museale Romano. Fa parte <strong>di</strong> associazioni<br />

culturali locali che si occupano <strong>di</strong> archeologia, visite guidate, teatro e<br />

poesia, e tiene collaborazione con alcuni centri-stu<strong>di</strong>o cinematografici.<br />

ANNA MARIA ROBUSTELLI: è docente <strong>di</strong> lingua e letteratura inglese in<br />

un <strong>Liceo</strong> classico <strong>di</strong> Roma. Nel 1992 ha pubblicato l’antologia poetica<br />

–12–


Quadrangolo, e<strong>di</strong>zione Fermenti, insieme ad altre poete. Altre sue poesie<br />

sono apparse in <strong>di</strong>verse riviste nel corso degli anni. Dal 1993 al 2002, con<br />

altre donne, ha gestito il Centro Donne e Poesia alla Casa Internazionale<br />

delle Donne in Via della Lungara 19 a Roma, che organizzava annualmente<br />

un Premio <strong>di</strong> Poesia al femminile. Con questa associazione ha presentato e<br />

recensito le opere <strong>di</strong> numerose poete italiane e straniere in incontri, seminari,<br />

conferenze e recital che si sono avvicendati nel tempo.<br />

–13–


Sezione docenti


GIUSEPPE D’AVINO<br />

Discorsi agli studenti<br />

(per l’inaugurazione dell’anno scolastico 2005-2006)<br />

1. Agli studenti del <strong>Liceo</strong> Classico (Aula Magna, 12 settembre 2005)<br />

Cari studenti, cari genitori, anzitutto, in questo nostro primo incontro,<br />

voglio precisare che, nonostante le numerose domande che ci sono pervenute,<br />

abbiamo finito per accogliere tutti i trecentocinquanta e più alunni che<br />

ci hanno chiesto <strong>di</strong> entrare in questa scuola. Altre scuole, anche quelle<br />

storiche, <strong>di</strong> norma hanno detto <strong>di</strong> no e hanno mandato un’aliquota <strong>di</strong> quelli<br />

che desideravano entrare, in altre scuole. Noi abbiamo preferito accoglierli,<br />

anche perché se tutti <strong>di</strong>ciamo <strong>di</strong> no, significa mandare molti dei nostri<br />

alunni del nostro quartiere in scuole private o agli Industriali o ai Tecnici<br />

o ai Professionali, in quanto poi le famiglie desiderano iscriverli al liceo.<br />

Abbiamo fatto fronte al rinnovamento dei locali, degli spazi, in centrale e<br />

in succursale. E ci siamo riusciti, con grande sforzo, soprattutto l’estate, in<br />

modo tale da sistemare al meglio tutte le classi, quattor<strong>di</strong>ci, nel liceo. Se voi<br />

pensate che il primo anno ne uscirono quattro e ne entrarono sette, poi ne<br />

uscirono cinque e ne entrarono un<strong>di</strong>ci, l’anno scorso ne sono uscite sei e ne<br />

sono entrate tre<strong>di</strong>ci, quest’anno ne usciranno sei e ne sono entrate tra oggi e<br />

domani quattor<strong>di</strong>ci, vi rendete conto <strong>di</strong> quale sia stata negli anni l’espansione<br />

della nostra scuola. Qui voi non siete tutti, qui siete soltanto gli iscritti<br />

al <strong>Liceo</strong> Classico, mentre domani faremo l’accoglienza agli alunni iscritti al<br />

Linguistico.<br />

Io, in genere, quando parlo ai ragazzi <strong>di</strong>co: “Che cosa volete essere?”, e<br />

a volte faccio l’esempio della carta bianca. Ognuno <strong>di</strong> voi è come se oggi<br />

iniziasse il suo <strong>di</strong>ario, se non lo ha iniziato prima alle elementari: un <strong>di</strong>ario<br />

nuovo, una pagina nuova. Ognuno <strong>di</strong> voi può scrivere il bene e il male, il<br />

giusto e l’ingiusto, il ragionevole e l’irragionevole, il bello e il brutto, il<br />

buono e il cattivo, in questo <strong>di</strong>ario che poi <strong>di</strong>venta un <strong>di</strong>ario della propria<br />

vita. Oggi, invece, trovandomi <strong>di</strong> fronte a ragazzi che faranno il Classico,<br />

sono andato a ripescare una statuetta che ho a casa, quella <strong>di</strong> un filosofo che<br />

si chiama Diogene. È un filosofo che si presenta molto male in arnese, è<br />

vecchio, ha un piccolo mantello che gli fa anche da coperta la notte, una<br />

–17–


lampada in mano, un bastone, e cammina macilento. Quella lampada in<strong>di</strong>ca<br />

la sua ricerca. Ci sono tanti aneddoti su questo filosofo, è dell’inizio del IV<br />

secolo a.C.. E, tra l’altro, visse in una botte, perché rifiutava tutte le como<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> allora, della vita e della società. Questa lampada in<strong>di</strong>ca una ricerca,<br />

un po’ come Socrate. Socrate <strong>di</strong>ceva che ricercava il perché delle cose.<br />

Invece Diogene cercava, <strong>di</strong>ce, l’uomo: “Cerco l’uomo”. E allora, in questa<br />

realtà <strong>di</strong> oggi, noi dovremmo ricercare l’uomo. L’uomo che è intelligenza,<br />

l’uomo che è misura, l’uomo che è equilibrio, l’uomo che è ragionevolezza,<br />

l’uomo che è prudenza, l’uomo che è sapienza, l’uomo che è bontà, l’uomo<br />

che è solidarietà, l’uomo che è <strong>di</strong>sponibilità, l’uomo che è ricerca, l’uomo<br />

che è attesa. Noi cerchiamo l’uomo e il <strong>Liceo</strong> Classico ancora ha, come<br />

fondamentale in<strong>di</strong>rizzo, la ricerca dell’uomo.<br />

Quando nel Trecento cominciò l’Umanesimo, e cominciò in Italia, andavano<br />

a ricercare l’uomo nelle pagine dei classici, nelle pagine dei pagani,<br />

nelle humanae litterae. Erano alla ricerca <strong>di</strong> un qualcosa che era andato<br />

perduto durante gli anni bui del Me<strong>di</strong>o Evo. Ma subito dopo questa ricerca<br />

scoppiò, <strong>di</strong>rompente, il Rinascimento. Ebbene, noi viviamo in qualche<br />

modo, e in questa scuola lo possiamo vivere, l’Umanesimo del 2005.<br />

Voi siete la generazione del futuro. Ma voi non siete già futuro. Voi non<br />

siete il nostro futuro, voi sarete il nostro futuro. Questo è l’errore, a volte<br />

demagogico, quando si <strong>di</strong>ce ai ragazzi: “Voi siete il nostro futuro”. Il futuro<br />

è qualche cosa che voi dovete creare, voi non siete ancora il futuro se non<br />

realizzerete voi stessi come futuro. E allora cerchiamo l’uomo.<br />

Il nuovo Umanesimo: pensate che in quei secoli nelle università si<br />

parlava latino, qualunque professore poteva andare nelle università (allora<br />

cominciavano a esistere, poi si <strong>di</strong>ffusero) e parlare una lingua comune a<br />

tutti, il latino. Le conoscenze erano quelle identiche un po’ per tutti, logicamente<br />

soprattutto in Europa, se non in Europa. Quin<strong>di</strong> cercavano questo<br />

linguaggio comune, ci si incontrava e ci si capiva con quella lingua. Oggi<br />

non c’è ancora un’unica lingua in tutto il mondo. Però c’è un Umanesimo<br />

nuovo. Mi è capitato <strong>di</strong> trovarmi in un aeroporto parlando con spagnoli,<br />

portoghesi, francesi contemporaneamente. Mi è capitato <strong>di</strong> incontrare<br />

questo nuovo Umanesimo, quello <strong>di</strong> incontrare altra gente, gente che viene<br />

qui, gente italiana che va dovunque. C’è questo linguaggio nuovo, quello<br />

<strong>di</strong> Internet è una forma <strong>di</strong> nuovo linguaggio. Al linguaggio delle lettere si è<br />

sostituito il linguaggio dell’algebra, della chimica, della fisica, che sono<br />

linguaggi universali. È quello che in fondo abbiamo creato negli ultimi<br />

secoli: un nuovo Umanesimo con un nuovo linguaggio. Ma adesso ci vuole<br />

–18–


un Rinascimento. Dobbiamo rinascere, dobbiamo essere nuovamente gli<br />

umanisti del Duemila. Non è possibile più la decadenza, i <strong>di</strong>svalori, la<br />

delusione, il pessimismo, la negatività. Voi potete creare l’ottimismo nel<br />

nostro tempo, voi giovani, ma dovete essere ottimisti. Voi potete creare, voi<br />

giovani, la sapienza nostra del futuro, ma dovete essere voi oggi stu<strong>di</strong>osi.<br />

Voi potete insegnare a noi adulti come si è giusti, come si è generosi, come<br />

si è buoni, ma dovete cominciare da oggi a essere giusti, buoni, generosi.<br />

Non c’è domani, non si aspetta il domani. Come si <strong>di</strong>ce a volte, la <strong>di</strong>eta la<br />

comincio domani. Non si aspetta domani. Si comincia oggi, da questo<br />

primo giorno <strong>di</strong> scuola.<br />

E allora io vi chiedo <strong>di</strong> essere e non <strong>di</strong> avere. Troppe volte si <strong>di</strong>ce:<br />

“Mamma mi dài, papà mi dài, ho bisogno <strong>di</strong> questo, ho bisogno <strong>di</strong> quello,<br />

ho bisogno <strong>di</strong> quell’altro”. Ma, una volta tanto, chie<strong>di</strong>amo ai nostri educatori,<br />

genitori e docenti: “Papà, professore, io voglio essere, voglio essere<br />

qualcuno che è uomo, soprattutto”. Quin<strong>di</strong>, chie<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> essere. E allora io<br />

mi ponevo anche questa domanda: essere, ma c’è un modello? Di modelli<br />

ce ne sono tanti. Ma io andavo pensando ai modelli dell’antichità. Quasi<br />

tutti i ragazzi, anche quelli che vengono dalle scuole me<strong>di</strong>e l’hanno letto:<br />

pensate ad Achille. Achille voleva essere, però in qualche modo ha sbagliato,<br />

ha sbagliato perché voleva essere un grande eroe, ha preferito essere<br />

una breve, rapida cometa, e poi morire. Poteva fare chissà quante altre cose,<br />

se avesse accettato <strong>di</strong> essere e rimanere in vita. Ulisse è in qualche modo<br />

l’uomo dell’eterno ritorno. Ulisse parte da Itaca, cammina cammina cammina,<br />

e poi ritorna a Itaca. Certamente è un valore, tornare ai propri valori e<br />

alla propria casa, con tutte le <strong>di</strong>fficoltà che ha dovuto affrontare. Ulisse è<br />

l’uomo che ritorna. Però c’è anche il nuovo. E il nuovo viene rappresentato<br />

da Enea. Enea, <strong>di</strong>strutta Troia, si porta sulle spalle il padre, porta le statuine<br />

degli dei Penati, porta dei suoi avi il ricordo e va verso il futuro, perché c’è<br />

un <strong>di</strong>o che gli ha detto: “Tu sarai il fondatore <strong>di</strong> una nuova civiltà”. E allora<br />

è lì che s’incontra il nuovo e l’antico, la tra<strong>di</strong>zione degli dei Penati, gli dei<br />

della casa, si incontra con la nuova famiglia, con la nuova terra, con la<br />

nuova civiltà, che poi sarà la civiltà <strong>di</strong> Roma. Enea è quello che unisce il<br />

passato al futuro, Enea sa che dentro <strong>di</strong> sé c’è il futuro e per raggiungere<br />

quel futuro deve anche lui attraversare tribolazioni e fatiche. E allora io vi<br />

chiedo: voi volete essere Ulisse, volete essere Achille, volete essere Enea?<br />

O volete essere Amleto? “Essere o non essere, questo è il problema”... Ma<br />

voi non dovete avere il problema <strong>di</strong> essere o non essere, la negatività no.<br />

Voi dovete, volete essere. E quin<strong>di</strong> cade anche Amleto. O don Chisciotte,<br />

–19–


don Chisciotte che vive nell’utopia e quando finalmente riconquista la<br />

ragione muore, perché è incapace <strong>di</strong> affrontare il realismo, la realtà quoti<strong>di</strong>ana.<br />

L’utopia si inserisce nella realtà e l’utopia illustra, dà forza alla<br />

realtà, e la realtà <strong>di</strong>venta ottimista, positiva, perché io penso al futuro, penso<br />

che cosa posso, che cosa devo essere nel futuro.<br />

E allora dovete scegliere. Che cosa preferite? Io porto anche un<br />

esempio per la collettività. Il film “La vita è bella” <strong>di</strong> Roberto Benigni,<br />

l’avete visto tutti quanti. Bene, il segreto <strong>di</strong> quel film è che a un certo momento<br />

Benigni capisce, e lo trasmette nel film, che il bambino rappresenta<br />

l’innocenza dell’umanità. Rappresenta l’innocenza dell’uomo, rappresenta<br />

la bellezza, la positività <strong>di</strong> quella innocenza, quel bambino rappresenta<br />

l’uomo dell’eden, rappresenta l’uomo che sarà, e allora i suoi occhi non devono<br />

essere offuscati dal male della violenza, dell’Olocausto e delle torture<br />

del Lager. E Benigni si fa in un certo senso attore, marionetta, maschera,<br />

perché il bambino non perda la sua innocenza. Perciò la vita è “bella”, la<br />

vita è bella perché quando il bambino risorge dal Lager non si è accorto che<br />

è vissuto nella miseria, nella tortura, nella sofferenza. Ha attraversato il<br />

Lager rimanendo innocente, con gli occhi della bellezza, della bella innocenza.<br />

E allora ecco il segreto anche <strong>di</strong> quel film. Così come quello della<br />

“Strada” <strong>di</strong> Fellini. Avete visto “La strada” <strong>di</strong> Fellini? “La strada” <strong>di</strong> Fellini<br />

termina con l’ultima scena che fa vedere le coste del mare, la vela che va<br />

verso il sole. O “La vita è un miracolo” <strong>di</strong> Kusturica. Anche lì, attraverso le<br />

lotte della Boemia, della guerra, la vita risorge in continuazione. E allora, in<br />

qualche modo rinascete.<br />

Dobbiamo fondare il Rinascimento in questa scuola. Ma io vi <strong>di</strong>co subito<br />

che c’è anche la tribolazione <strong>di</strong> Ulisse, perché nella vita sempre ci sono<br />

ostacoli e <strong>di</strong>fficoltà da superare. Se voi volete essere, volete sapere, attraverserete<br />

e supererete gli ostacoli che la vita vi porrà. E allora, nella scuola,<br />

<strong>di</strong>ciamolo, primo obiettivo è stu<strong>di</strong>are! Bisogna stu<strong>di</strong>are! Dovete stu<strong>di</strong>are,<br />

se no non c’è ragione d’essere in questa scuola se voi non avete intenzione<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are! (Applausi) Secondo, bisogna faticare! Dovete stare tre ore<br />

in me<strong>di</strong>a al giorno a stu<strong>di</strong>are! (Applausi) E ricordate che le lauree che si<br />

regalano su Internet, è una vergogna! Le lauree che si comprano, è una vergogna!<br />

Non è giusto! Noi dobbiamo avere dottori preparati, avvocati preparati,<br />

ingegneri preparati, docenti preparati, genitori preparati. Voi sarete<br />

questi un domani! (Vivissimi applausi) E vi <strong>di</strong>co, anche per non meritare<br />

solo applausi, che qualcuno <strong>di</strong> voi cadrà sul campo, è bene che lo sappiate.<br />

E non è ricorrendo all’aiuto dei genitori o alle raccomandazioni che si può<br />

–20–


essere promossi. È stando a tavolino giorno per giorno, dal primo giorno<br />

<strong>di</strong> scuola! (Applausi) Io vedo che i genitori, e ne sono contento, mi hanno<br />

applau<strong>di</strong>to. Ho visto molti dei ragazzi, degli studenti, che mi hanno applau<strong>di</strong>to.<br />

E allora io vi prego, applau<strong>di</strong>temi quando entrate in ritardo e io vi<br />

fermo alla portineria, non io personalmente ma i miei, applau<strong>di</strong>temi quando<br />

<strong>di</strong>co ai professori <strong>di</strong> darvi i compiti e <strong>di</strong> farvi stu<strong>di</strong>are, applau<strong>di</strong>temi quando<br />

<strong>di</strong>co che non mi piace la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tempo dell’autogestione inutile. Applau<strong>di</strong>temi<br />

allora, se ne siete capaci. (Vivissimi applausi)<br />

E adesso potrei portare altri esempi, ieri sera me ne ero segnati alcuni da<br />

ricordare. Però permettete che ricor<strong>di</strong> una pagina, un episo<strong>di</strong>o del Vangelo.<br />

Ci sono due cose che mi hanno sempre colpito: l’episo<strong>di</strong>o, il racconto della<br />

casa costruita sulla roccia. 1 Quando la casa è costruita sulla roccia, resiste<br />

alla pioggia, al soffio dei venti e allo straripare dei fiumi, quella costruita<br />

sulla sabbia crolla. E a proposito <strong>di</strong> pioggia, venti e fiumi, avete visto che<br />

<strong>di</strong>sastro, la più grande potenza mon<strong>di</strong>ale non sapeva e non sa salvare i suoi<br />

figli invasi dall’acqua <strong>di</strong> Katrina. 2 È il colmo, una nazione che riesce a mandare<br />

i satelliti su Marte poi non riesce a mandare un camion <strong>di</strong> viveri ad aiutare<br />

i più poveri. E allora la casa, <strong>di</strong>ce il Vangelo, se è costruita sul fango,<br />

arriva la tempesta, i venti, e tutto <strong>di</strong>strugge. La casa costruita sulla roccia,<br />

quella rimane. E la roccia sono i valori cui ho accennato prima e che vi<br />

danno i vostri genitori. Vi <strong>di</strong>cevo, mi ricordo che una volta il papà <strong>di</strong>ceva ai<br />

figli: “Guarda, io non ti ho dato ricchezze, ma sono stato sempre onesto”.<br />

Oggi qualunque decisione si prende, sembra sempre che sia <strong>di</strong>sonesta,<br />

sempre ci deve stare qualcosa sotto. Dobbiamo essere onesti, quando saremo<br />

professionisti, impiegati, etc. E allora dobbiamo costruire sulla roccia.<br />

E dobbiamo produrre come l’albero che, a un certo momento, se produce<br />

viene coltivato e conservato, e l’albero che non produce va tagliato. Io<br />

proprio ieri, nel giar<strong>di</strong>no che ho, ho tagliato un’ortensia, sono tre anni<br />

che cerco <strong>di</strong> farla vivere, ma non c’è stato niente da fare e ieri l’ho tagliata.<br />

L’albero che non dà frutti va tagliato.<br />

1 Mt 7,24-27.<br />

2 Riferimento all’uragano Katrina che il 30 agosto 2005 ha devastato la città <strong>di</strong> New<br />

Orleans, causando immani <strong>di</strong>struzioni, centinaia <strong>di</strong> morti e un milione <strong>di</strong> sfollati. Ne sono<br />

seguite forti polemiche verso l’operato dell’amministrazione Bush, perché per giorni migliaia <strong>di</strong><br />

superstiti sono rimasti senza soccorsi, stipati in accampamenti <strong>di</strong> fortuna e alla mercé <strong>di</strong> bande<br />

<strong>di</strong> delinquenti e saccheggiatori. Vd. sulla vicenda: Marco De Martino, Waterloo d’acqua per<br />

il presidente, in «Panorama», 15 settembre 2005, pp. 84-89; Naomi Klein, Nuova New Orleans,<br />

in «L’Espresso», 22 settembre 2005, pp. 34-37.<br />

–21–


E adesso mi rivolgo ai genitori e ai professori. I ragazzi sono come noi<br />

li facciamo. Quanti <strong>di</strong> noi hanno trovato l’uomo... E allora capite il messaggio.<br />

Chiuderò con la scultura <strong>di</strong> Michelangelo. 3 Voi vedete lo schiavo<br />

che è immerso nella materia, perché Michelangelo <strong>di</strong>ceva che la scultura<br />

avviene non aggiungendo marmo a marmo, ma con il “torre”, cioè il togliere,<br />

perché già esiste all’interno del marmo la figura che io voglio far nascere.<br />

E allora questo schiavo immaginatevelo nel blocco intero <strong>di</strong> marmo.<br />

Lo schiavo già esiste dentro il marmo, nel cuore del marmo, e lo scultore<br />

Michelangelo lo ha visto con la luce della sua intelligenza e lo vuole tirar<br />

fuori. E lo schiavo aiuta lo scultore. Vedete, vi ho messo anche <strong>di</strong>etro le<br />

immagini, il braccio che quasi vuol scrollare da sé la materia sorda, il caos<br />

materiale che lo circonda. Lo schiavo vuole uscire alla luce, e già parte del<br />

suo corpo è arrivato alla luce. Vedete il ginocchio, parte del tronco, il<br />

braccio <strong>di</strong> destra, e poi chi si mette dal lato sinistro, vede il braccio sinistro.<br />

E allora tutti quanti noi già esistiamo in potenza, noi già siamo quello che<br />

saremo se ci mettiamo <strong>di</strong> lei, ma spetta ai professori, spetta ai genitori tirar<br />

fuori da quello che siete oggi i nuovi professionisti, gli uomini <strong>di</strong> domani,<br />

come Michelangelo ha tirato fuori da questo blocco il suo schiavo. E noi<br />

genitori torniamo a casa e chie<strong>di</strong>amoci, e noi docenti an<strong>di</strong>amo a casa e<br />

doman<strong>di</strong>amoci, ed io <strong>di</strong>rigente vado a casa e mi domando: ma l’uomo che<br />

io cercavo a <strong>di</strong>eci, a quin<strong>di</strong>ci, a <strong>di</strong>ciott’anni, c’è? Non c’è? Dov’è andato a<br />

finire? Io auguro a tutti quanti voi, ragazzi, <strong>di</strong> trovare l’uomo che è in voi.<br />

Auguri e buon anno. (Vivissimi applausi)<br />

2. Agli studenti del <strong>Liceo</strong> Linguistico (Aula Magna, 13 ottobre 2005)<br />

Allora, ben arrivati, buongiorno a tutti, buenos días, bonjour, guten Tag,<br />

good morning. Siete tutti quanti del Linguistico e quelli del Linguistico,<br />

anche se a volte non sempre mi vedono dall’altra parte, mi stanno nel cuore<br />

come e più <strong>di</strong> quelli della Centrale, perché gli alunni del Linguistico e gli<br />

alunni della Centrale, e quin<strong>di</strong> quelle che chiamiamo succursale e sede centrale,<br />

non sono più realtà <strong>di</strong>stinte, separate, ma sono due braccia dell’unico<br />

corpo. Uno è il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong> con due braccia, con due in<strong>di</strong>rizzi. Il fatto che<br />

io stu<strong>di</strong> in una stanzetta <strong>di</strong> questo liceo, la succursale, e l’altro figlio stu<strong>di</strong>a<br />

3 Allude all’immagine proiettata sullo schermo rappresentante uno dei Prigioni <strong>di</strong> Michelangelo.<br />

–22–


in un’altra stanzetta, sede centrale, non significa che non sia la stessa cosa,<br />

non significa che il padre non sia unico, non significa che coloro che si interessano<br />

<strong>di</strong> far andare bene tutta quanta la casa, cioè il liceo, non curino tutti<br />

i figlioli che stanno nella casa. Per cui io vi assicuro che state nella mia<br />

intenzione, nella mia mente, nei miei interessi e nel mio cuore come quelli<br />

della centrale. Il fatto che a volte possa stare più qui che in succursale,<br />

questo può succedere, anche in casa a volte il figlio va a fare un lavoro un<br />

po’ più lontano, ma non viene amato meno <strong>di</strong> quelli che abitano in famiglia<br />

in continuazione. Io ho avuto mia figlia che è stata in Francia sei mesi, ma<br />

non per questo l’amavo meno del fratello. Io stesso ho avuto mio fratello,<br />

ho avuto mio padre nel Venezuela – tra l’altro qui c’è proprio il console del<br />

Venezuela – a Caracas tanti anni, ma non per questo lui amava meno noi e<br />

noi amavamo meno lui. Anzi, a volte è più presente chi è lontano, è più<br />

presente alla mente e al cuore <strong>di</strong> chi è vicino. E allora ecco che voi siete due<br />

braccia della stessa comunità.<br />

Siete voi che scrivete le pagine della vostra vita. E allora bisogna <strong>di</strong>re sì<br />

a tante cose. E allora ci dobbiamo chiedere, casomai: ma tra tutti questi che<br />

io chiamo figli (e forse per la mia età dovrei chiamarli nipoti), fra tutti<br />

questi che io chiamo figli, chi è il migliore? Il migliore non <strong>di</strong>pende dal<br />

fatto che si stia in centrale o in succursale, il migliore <strong>di</strong>pende da quello che<br />

siamo noi, uno per uno, dalle scelte che facciamo noi. Io ricordo quello che<br />

sta scritto nel Vangelo, una cosa interessantissima. C’erano due figli. 4 Uno<br />

<strong>di</strong>ce sì al padre che gli chiede <strong>di</strong> fare un servizio, ma non lo fa. L’altro figlio<br />

<strong>di</strong>ce no, ma lo fa. Chi dei due è il migliore? E allora un giorno lessi un’interpretazione,<br />

un commento che <strong>di</strong>ceva che il migliore è il terzo. Cioè<br />

quello che <strong>di</strong>ce sì e lo fa. E allora io vorrei <strong>di</strong>re a voi: ma voi volete essere il<br />

primo, quello che <strong>di</strong>ce “sì papà, sì professore, però poi dopo non lo faccio”?<br />

A volte anche tra noi adulti, tra noi docenti, c’è chi <strong>di</strong>ce “sì sì, preside”, ma<br />

poi non fa. Oppure voi volete essere l’altro figlio, quello che <strong>di</strong>ce “no no”,<br />

però poi lo fa? Oppure volete essere il migliore, quello che <strong>di</strong>ce sì e lo fa?<br />

Allora il vostro linguaggio sia sì. Ma a che cosa dovete <strong>di</strong>re sì veramente e<br />

a che cosa dovete <strong>di</strong>re no veramente? “Sì” a che cosa? Sì all’accoglienza, sì<br />

all’onestà, sì alla giustizia, sì alla solidarietà, sì all’equità, sì alla <strong>di</strong>sponibilità,<br />

sì alla presenzialità, alla partecipazione, all’interesse, all’amore. Questo<br />

è il sì che vale. E sia no alla meschinità, no alle piccolezze, no ai sotterfugi,<br />

4 Mt 21,28-32.<br />

–23–


no alla slealtà, no all’ingiustizia, no al tra<strong>di</strong>mento, no all’ipocrisia, no a<br />

tante altre cose piccole, meschine, <strong>di</strong> cui il mondo è invaso. Dite no a quello<br />

che non è bene, <strong>di</strong>te sì, sempre, a quello che è bene per voi! E allora sarete<br />

gran<strong>di</strong>. E allora il migliore dei figli non sarà perché sta qui o sta lì, il migliore<br />

dei figli non è neppure perché sta in quella classe o in quell’altra<br />

classe: il più piccolo <strong>di</strong> voi può essere il più grande del <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>, come<br />

il più grande, il più grosso o anche il più intelligente può essere l’ultimo del<br />

liceo. Siete voi che scrivete le pagine della vostra vita. E allora bisogna <strong>di</strong>re<br />

sì a tante cose. Ma la prima cosa a cui bisogna <strong>di</strong>re sì in una scuola, è bene<br />

che lo chiariamo subito, è lo stu<strong>di</strong>o. Dovete stu<strong>di</strong>are! Ogni cosa ha una sua<br />

essenzialità. Una se<strong>di</strong>a serve per far sedere la gente, un tavolo serve per<br />

scrivere, per appoggiare le cose, questo altoparlante serve se permette la<br />

<strong>di</strong>ffusione del suono. Un albero <strong>di</strong> mele serve se dà le mele, un fico serve se<br />

dà un fico. Ma una scuola serve se fa stu<strong>di</strong>are. E allora io non mi arrampico<br />

su qualcosa che è contraria alla sua finalità. Se io ho scelto il <strong>Liceo</strong> <strong>Orazio</strong>,<br />

se io ho scelto questo in<strong>di</strong>rizzo, è perché voglio stu<strong>di</strong>are. E quello che avete<br />

scelto voi forse è anche più bello, più grande, più interessante e più moderno<br />

<strong>di</strong> altri stu<strong>di</strong>. Perché è più interessante? È più interessante perché<br />

sono le lingue, soprattutto, quello che caratterizza il Linguistico. È più<br />

bello, perché vi mettete a contatto <strong>di</strong> altre culture, <strong>di</strong> altre civiltà. È più<br />

grande soprattutto per voi, perché significa che voi avete un carattere<br />

aperto. Cioè chi vuole apprendere, già <strong>di</strong> per sé ha un carattere aperto, ma<br />

chi vuole apprendere come pensano gli altri, è aperto, chi vuole apprendere<br />

come è la civiltà degli altri è aperto, chi vuol conoscere i costumi degli altri<br />

è aperto, chi vuol conoscere la civiltà e il modo <strong>di</strong> essere degli altri è aperto.<br />

E allora chi sceglie il Linguistico non lo sceglie soltanto perché <strong>di</strong>ce che un<br />

giorno gli servirà una lingua, per lavorare <strong>di</strong> più e per guadagnare <strong>di</strong> più.<br />

Certo, c’è anche quello perché la nostra vita si regge nel reale, nel concreto<br />

e nel quoti<strong>di</strong>ano. Ma voi state qui e imparate le lingue per conoscere gli<br />

uomini, per conoscere gli altri da voi. Ecco, io desidero che ciascuno <strong>di</strong> voi<br />

apra le finestre del proprio cuore, oltre che dei propri occhi, della propria<br />

mente, apra queste finestre agli altri. Chiunque sta fuori <strong>di</strong> me, auspico che<br />

sia dentro <strong>di</strong> me. Chiunque parla la sua propria lingua, potrà essere capito<br />

da me, ma nella sua struttura mentale, nella sua struttura linguistica, nella<br />

sua struttura comportamentale, nella sua struttura <strong>di</strong> civiltà, <strong>di</strong> cultura e <strong>di</strong><br />

legge. Noi dobbiamo essere aperti. Voi, avendo scelto il Linguistico, sentite<br />

questa esigenza. E allora voi sarete gran<strong>di</strong> se manterrete fedeltà, se <strong>di</strong>venterete<br />

fedeli a questo in<strong>di</strong>rizzo, a questo modo <strong>di</strong> concepire il Linguistico.<br />

–24–


Ecco perché la vostra scelta mi fa piacere. Ecco perché io vedo un giorno<br />

voi in mezzo agli altri, e non vi vedo soltanto in uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ingegneria, in<br />

uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> me<strong>di</strong>co, in uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> commercialista, in uno stu<strong>di</strong>o professionale<br />

qualunque. Io vi vedo sparsi in qualche modo nei paesi dell’Europa,<br />

a contatto dei tedeschi, dei francesi, degli spagnoli, <strong>di</strong> qualunque altra nazione.<br />

Voi potete parlare con gli altri, potete portare l’altezza dell’Italia agli<br />

altri e portare all’Italia la ricchezza degli altri popoli. E allora, cari ragazzi,<br />

andate avanti. Voi siete come dei navigatori, dei gran<strong>di</strong> navigatori. Mentre<br />

alcuni <strong>di</strong> quelli che ieri ho accolto navigheranno nelle pagine <strong>di</strong> Catone, <strong>di</strong><br />

Cicerone, <strong>di</strong> Plinio, voi navigherete nelle pagine <strong>di</strong> Thomas Mann, <strong>di</strong> Musil,<br />

<strong>di</strong> Balzac, <strong>di</strong> Hugo, <strong>di</strong> Cervantes. Voi navigherete nelle civiltà <strong>di</strong> tanti popoli.<br />

Aprite le frontiere del vostro cuore. Aprite le frontiere della succursale,<br />

aprite le frontiere del liceo. Aprite le frontiere della vostra umanità. Siate<br />

pronti e aperti, al mondo, ma soprattutto, a voi e alla vostra vita. (Applausi)<br />

–25–


ANNA PAOLA BOTTONI<br />

Una interpretazione metacognitiva<br />

della <strong>di</strong>dattica progettuale<br />

La progettualità investe i più <strong>di</strong>sparati ambiti dell’agire, concretandosi<br />

in alcune prassi <strong>di</strong> uso quoti<strong>di</strong>ano: si producono progettazioni in ambito<br />

lavorativo, sociale, educativo, per limitarsi solo a qualche esemplificazione.<br />

Elemento presente e ricorrente come connotativo <strong>di</strong> una progettualità operativa<br />

è quello <strong>di</strong> riuscire a tradurre in<strong>di</strong>cazioni e orientamenti, in<strong>di</strong>viduati<br />

come possibili obiettivi, in procedure esecutive, scelte per verificare e assicurare<br />

la fattibilità del risultato, ipotizzato come prodotto finale. Uno degli<br />

aspetti peculiari delle <strong>di</strong>namiche progettuali risiede, infatti, nella scelta delle<br />

procedure da adottare, intese come operazioni capaci non solo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

soluzioni in grado <strong>di</strong> semplificare l’esecuzione del compito, ma soprattutto<br />

idonee a stabilire una costante e continua interazione fra il soggetto-produttore<br />

e i passaggi implicati nella produzione, palesati nella possibilità <strong>di</strong> controllare<br />

tutte le fasi dell’elaborazione e <strong>di</strong> apportare eventuali mo<strong>di</strong>fiche o<br />

integrazioni nella previsione del risultato finale, costantemente monitorato.<br />

Una siffatta strategia operativa, che consente <strong>di</strong> pianificare agevolmente,<br />

con realistiche probabilità prognostiche, il risultato finale, ha trovato, soprattutto<br />

negli ultimi anni, sempre maggior impiego in campo <strong>di</strong>dattico sia sul<br />

versante dell’appren<strong>di</strong>mento che su quello dell’insegnamento.<br />

Gli alunni sono sempre più sollecitati a imparare a progettare e ad imparare<br />

per progetti. L’acquisizione dei contenuti <strong>di</strong>sciplinari <strong>di</strong>venta, infatti,<br />

solo una delle tante operazioni veicolari, finalizzate alla conquista <strong>di</strong> un metodo<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o personale ed autonomo, necessaria alla costruzione <strong>di</strong> saperi,<br />

in<strong>di</strong>viduati in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> sperimentabilità e trasferibilità in altri<br />

campi del reale, intrinseca ad ogni azione progettuale.<br />

Analogamente le proposte <strong>di</strong>dattiche si traducono, da parte del docente,<br />

nell’ideazione <strong>di</strong> progetti, <strong>di</strong>venuti ormai parte integrante anche nelle programmazioni<br />

curriculari, e nell’attuazione dei medesimi nei laboratori, autentiche<br />

“officinae” culturali.<br />

Nella <strong>di</strong>dattica progettuale che intreccia due livelli <strong>di</strong> competenze basilari,<br />

la conoscenza delle informazioni essenziali che definiscono i campi <strong>di</strong><br />

conoscenza, e la capacità <strong>di</strong> programmare in modo articolato un percorso<br />

–26–


formativo costituito anche sui <strong>di</strong>versi contenuti <strong>di</strong>sciplinari, è possibile,<br />

tuttavia, che uno dei fattori, affettivo, sociale e razionale implicati in essa e<br />

riconosciuti come competenze, <strong>di</strong>venti preponderante, dando luogo a rischi<br />

<strong>di</strong> “derive”. 1 Isabelle Bordallo e Jean-Paul Ginestet, nel loro saggio Didattica<br />

per progetti (I ed. 1993), in<strong>di</strong>viduano derive produttiviste, nel caso in<br />

cui la <strong>di</strong>mensione sociale produca una forzata identificazione fra prodotto e<br />

obiettivo; derive spontaneiste, qualora la <strong>di</strong>mensione affettiva subor<strong>di</strong>ni ad<br />

un approccio <strong>di</strong> tipo emotivo, da parte dell’alunno, il risultato del progetto;<br />

derive tecniciste, infine, quando la pianificazione, dettagliata e accurata, <strong>di</strong>venta<br />

esclusiva prerogativa del docente. 2<br />

Sempre gli stessi autori evidenziano la presenza, anche se con <strong>di</strong>verso<br />

spessore, <strong>di</strong> due <strong>di</strong>fferenti scuole <strong>di</strong> pensiero pedagogico, nella strutturazione<br />

della <strong>di</strong>dattica progettuale. 3 Sono rispettivamente e in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo in<strong>di</strong>cate,<br />

infatti, la teoria del behaviorismo e quella del costruttivismo: nel primo<br />

caso viene valutata l’efficacia <strong>di</strong> un processo d’appren<strong>di</strong>mento prendendo in<br />

considerazione la vali<strong>di</strong>tà del risultato ottenuto, nell’altro viene incentrata<br />

l’attenzione sui progessi d’appren<strong>di</strong>mento attivati dal soggetto-agente.<br />

È proprio con Piaget, uno degli esponenti più autorevoli del costruttivismo,<br />

che viene posto l’accento sui “meccanismi cognitivi”. 4 Egli è infatti<br />

considerato uno dei principali artefici della psicologia dello sviluppo cognitivo,<br />

avendo analizzato alcuni punti fondamentali in<strong>di</strong>viduati nei seguenti: il<br />

sapere come costruzione personale, l’appren<strong>di</strong>mento attivo, l’appren<strong>di</strong>mento<br />

collaborativo, l’importanza del contesto e la valutazione intrinseca<br />

(la valutazione integrata con il processo <strong>di</strong> costruzione della propria conoscenza,<br />

ossia l’autovalutazione). È nell’ambito del modello <strong>di</strong>dattico del<br />

cognitivismo che si matura una sempre più attenta analisi sulle modalità<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento metacognitivo.<br />

La metacognizione, termine usato per la prima volta negli anni Settanta<br />

da Flavel, si può intendere come “l’insieme delle conoscenze che l’in<strong>di</strong>-<br />

1 Per “derive” inten<strong>di</strong>amo le possibili conseguenze e implicazioni insite in ogni processo<br />

<strong>di</strong>dattico, in cui uno dei fattori che contribuiscono alla realizzazione <strong>di</strong> esso <strong>di</strong>venta preponderante,<br />

rischiando <strong>di</strong> alterare inevitabilmente l’equilibrio tra le altre componenti, tutte necessarie<br />

allo stesso modo per una corretta realizzazione dello stesso intervento <strong>di</strong>dattico.<br />

2 Isabelle Bordallo - Jean-Paul Ginestet, Didattica per progetti, trad. <strong>di</strong> Carlo Baccini, La<br />

Nuova Italia, Milano 1999, pp. 17-18.<br />

3 Ibid., p. 28.<br />

4 J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Einau<strong>di</strong>, Torino, 1970; Id., Epistemologia<br />

genetica, Laterza, Roma-Bari, 1971.<br />

–27–


viduo possiede in riferimento al funzionamento della mente, ma anche ai<br />

processi <strong>di</strong> controllo che sovrintendono alle attività cognitive durante la loro<br />

esecuzione”. 5<br />

Nelle tappe che contrad<strong>di</strong>stinguono la riflessione sulla metacognizione<br />

correlandola ora al sistema della memoria ora alle <strong>di</strong>verse fasi dello sviluppo<br />

ora sulla motivazione, emerge la necessità <strong>di</strong> attribuire, soprattutto negli ultimi<br />

anni, particolare rilievo ai processi <strong>di</strong> costruzione della conoscenza, alle<br />

modalità dello svolgimento <strong>di</strong> un compito, quin<strong>di</strong> al “come” piuttosto che al<br />

“cosa”. Si tratta <strong>di</strong> favorire nell’alunno la consapevolezza delle strategie che<br />

usa per realizzare un determinato compito.<br />

In un recente saggio, Apprendere con stile <strong>di</strong> Manuela Cantoia, Letizia<br />

Carruba e Barbara Colombo, 6 le autrici, trattando della “metacognizione”<br />

(che intendono come “pensiero del pensiero”), ritengono però preferibile<br />

parlare <strong>di</strong> “atteggiamento metacognitivo” per delineare la complessità <strong>di</strong> un<br />

appren<strong>di</strong>mento che pervade i <strong>di</strong>versi aspetti dell’esperienza dell’alunno,<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dai risultati raggiunti e dai livelli <strong>di</strong> prestazione.<br />

Già Brown nel 1983 riteneva tuttavia che la metacognizione non consistesse<br />

solo nella consapevolezza del funzionamento dei processi cognitivi,<br />

ma nella capacità <strong>di</strong> progettare, controllare, porsi interrogativi e auto<strong>di</strong>rigersi.<br />

Ritroviamo nei processi <strong>di</strong> controllo metacognitivi, delineati da<br />

Brown, tutte le attività procedurali, presenti nelle fasi <strong>di</strong> un progetto: previsione<br />

del livello che si pensa <strong>di</strong> raggiungere, pianificazione intesa come<br />

l’organizzazione delle azioni che determinano l’obiettivo, monitoraggio inteso<br />

come il controllo che si esercita sull’attività che si svolge, valutazione<br />

intesa come la capacità <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care, da parte dell’in<strong>di</strong>viduo, 7 sui progetti<br />

l’adeguatezza dei percorsi adottati.<br />

Nelle attività progettuali che promuovono una riflessione metacognitiva<br />

è possibile riconoscere una duplice componente: quella riguardante l’alunno<br />

che, da ascoltatore-fruitore passivo <strong>di</strong> conoscenze, <strong>di</strong>venta soggetto-impren<strong>di</strong>tore<br />

<strong>di</strong> esse, capace <strong>di</strong> riconoscere i processi e le strategie <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />

attivate per la realizzazione dell’obiettivo <strong>di</strong> produzione (da intendersi<br />

come un risultato la cui vali<strong>di</strong>tà è sperimentabile o acquisibile, ma sempre<br />

5 J.H. Flavel - H.M. Wellman, Perspectives on the Development of memory and Cognition,<br />

Erlbaum, New York, 1977.<br />

6 Manuela Cantoia - Letizia Carruba - Barbara Colombo, Apprendere con stile. Metacognizione<br />

e strategie cognitive, Carocci Faber, Roma <strong>2004</strong>, pp. 12-13.<br />

7 Con in<strong>di</strong>viduo inten<strong>di</strong>amo sia il docente che il <strong>di</strong>scente.<br />

–28–


trasferibile in altri contesti); quella relativa al docente che, nelle operazioni<br />

<strong>di</strong> pianificazione in grado <strong>di</strong> qualificare come progetto la propria azione <strong>di</strong>dattica,<br />

riflette non solo sui contenuti della sua proposta culturale ma anche<br />

sulla loro “proponibilità”, ossia sulle modalità <strong>di</strong> attuazione, sui tempi, sulle<br />

fasi e sulle competenze che si intendono attivare nell’alunno. Tali prassi <strong>di</strong>dattiche<br />

consentono all’insegnante <strong>di</strong> rendere accertabile, in ogni fase del<br />

suo agire <strong>di</strong>dattico, i processi che sta attivando, e <strong>di</strong> poter intervenire per<br />

consolidare, sviluppare e potenziare le procedure logiche <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione,<br />

sistematizzazione, gerarchizzazione e selezione delle conoscenze da parte<br />

del <strong>di</strong>scente.<br />

È evidente come una siffatta proposta <strong>di</strong>dattica abbia tra le sue finalità<br />

quella <strong>di</strong> ridurre i rischi <strong>di</strong> improvvisazione, sommarietà, pressappochismo<br />

insiti in ogni processo comunicativo, suscitatore <strong>di</strong> domande (la problematizzazione<br />

dei contenuti proposti) e latore <strong>di</strong> un flusso continuo e scambievole<br />

<strong>di</strong> informazioni (l’attivazione dei processi conoscitivi degli alunni, al<br />

tempo stesso rielaboratori <strong>di</strong> domande), in cui l’elemento relazionale è,<br />

nella sua <strong>di</strong>mensione interattiva, preponderante. Solo attraverso l’esercizio<br />

costante della consapevolezza dei proce<strong>di</strong>menti attivati è possibile salvaguardare<br />

rigore metodologico, controllare l’adeguamento degli alunni alla<br />

proposta culturale, verificare, cioè, se sono stati raggiunti gli obiettivi minimi<br />

prefissati, valutare nel complesso e in ogni singola fase l’azione <strong>di</strong>dattica,<br />

mo<strong>di</strong>ficarne la pianificazione, in altri termini riqualificarla.<br />

Credo, inoltre, che un atteggiamento metacognitivo consenta più agevolmente<br />

al docente, per la flessibilità, riprogettabilità e soprattutto per il<br />

continuo monitoraggio <strong>di</strong> quanto è stato realizzato, <strong>di</strong> porsi nella prospettiva<br />

del <strong>di</strong>scente, il quale deve fare attenzione ai processi logici attivati dai<br />

singoli. Se una prova <strong>di</strong> verifica esclusivamente contenutistica ci consente<br />

<strong>di</strong> accertare l’acquisizione e l’utilizzo <strong>di</strong> alcune delle conoscenze da noi<br />

proposte, da parte dei nostri allievi, non ci permette però <strong>di</strong> verificare il<br />

“come” sono state apprese (ossia l’attivazione <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>menti mnemonici,<br />

analogici ecc.) né <strong>di</strong> ipotizzare per quanto tempo resteranno in loro possesso<br />

e se incontrandole in altri ambiti saranno capaci <strong>di</strong> riconoscerle; le<br />

fasi <strong>di</strong> revisione, invece, del proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>dattico attivato (prove opportunamente<br />

strutturate come, ad esempio, la richiesta <strong>di</strong> ricostruire la lezione,<br />

in<strong>di</strong>cando le varie fasi, dalla problematizzazione dell’argomento da<br />

trattare a quella attuativa della spiegazione, a quella risolutiva dell’applicazione)<br />

permettono <strong>di</strong> accertare se l’alunno non solo ha compreso quanto ha<br />

imparato, ma se ha imparato a comprendere. Si profila, così, l’opportunità<br />

–29–


<strong>di</strong> poter rafforzare la nostra azione <strong>di</strong>dattica, <strong>di</strong> rendere più solida l’acquisizione<br />

dei contenuti proposti non solo ricorrendo alla continua (e a volte,<br />

purtroppo, inutile) ripetizione <strong>di</strong> essi ma ancorandoli all’utilizzo <strong>di</strong> un determinato<br />

passaggio logico necessario per trasformare la lettura <strong>di</strong> un dato<br />

da informazione a padronanza: si potranno <strong>di</strong>menticare alcune nozioni legate<br />

al quid <strong>di</strong> quanto imparato ma non il quomodo e soprattutto il cur <strong>di</strong><br />

ciò che è stato oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o. È, inoltre, comunemente riscontrabile<br />

come l’acquisizione <strong>di</strong> padronanze abbia un ruolo rassicurante, in quanto<br />

risultato stabile <strong>di</strong> un impegno conoscitivo, e sia in grado <strong>di</strong> motivare interessi<br />

personali, promuovendo la curiositas, alla base <strong>di</strong> ogni investigazione,<br />

lettura e interpretazione del reale.<br />

Abbiamo cercato, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come nella <strong>di</strong>dattica progettuale<br />

la componente metacognitiva non sia solo un proce<strong>di</strong>mento a senso unico,<br />

rivolto alla promozione <strong>di</strong> processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento degli alunni ma una<br />

possibilità offerta al docente <strong>di</strong> poter controllare e intervenire costantemente<br />

nella sua azione <strong>di</strong>dattica, <strong>di</strong> riprogettarla o meglio riqualificarla. È preferibile<br />

parlare <strong>di</strong> riqualificazione, ossia l’opportunità <strong>di</strong> mantenere quanto già<br />

svolto orientandolo nella prospettiva <strong>di</strong> un possibile miglioramento, dopo<br />

aver in<strong>di</strong>viduato i cosiddetti punti <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> debolezza del proprio agire<br />

<strong>di</strong>dattico.<br />

In<strong>di</strong>ssolubilmente legata alle <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> ogni azione progettuale è la<br />

prospettiva dell’agire in fieri, del pensare in termini <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire, <strong>di</strong> pianificare<br />

la fattività operativa in modo teleologico, cioè <strong>di</strong> orientare le nostre<br />

azioni, scegliendo e apportando mo<strong>di</strong>fiche, al raggiungimento dell’obiettivo<br />

<strong>di</strong> produzione. L’orientamento è sempre preceduto dall’analisi della componente<br />

situazionale, dalla valutazione dei fattori noti, dalla considerazione<br />

delle possibili variabili e da tutti gli elementi esterni <strong>di</strong> incidenza: è possibile<br />

così, in<strong>di</strong>viduarlo nelle fasi <strong>di</strong> verifica e nel monitoraggio dell’azione progettuale.<br />

In tale fase l’orientamento costituisce indubbiamente un aspetto<br />

consequenziale dell’articolazione strutturale del progetto; tuttavia esso, attuando<br />

un ripensamento e un riadeguamento in termini <strong>di</strong> scelte selettive, in<br />

quanto operate fra altre proposte <strong>di</strong> pari efficacia realizzativa, evidenzia un<br />

orientamento <strong>di</strong> tipo decisionale, originato dalla propensione, spesso spontanea,<br />

verso deliberazioni che rivelano, pur nella volontà <strong>di</strong> perseguire<br />

quanto appare razionalmente elemento ottimizzante, la natura più autentica<br />

delle nostre attitu<strong>di</strong>ni.<br />

La scoperta delle proprie inclinazioni, non può maturarsi solo in risposta<br />

a suggestioni emotive, ma sostanziarsi sulla conoscenza delle proprie ca-<br />

–30–


pacità, sulla consapevolezza <strong>di</strong> poter contare su alcuni elementi <strong>di</strong> certezza<br />

(definiamoli pure padronanze o competenze), che si percepiscono come<br />

propri o comunque rispondente ad un modello conoscitivo e comportamentale<br />

che si è scelto <strong>di</strong> introiettare.<br />

L’aspetto metacognitivo della <strong>di</strong>dattica progettuale, quin<strong>di</strong>, sviluppando<br />

la <strong>di</strong>mensione dell’orientamento inteso come conoscenza del sé in termini <strong>di</strong><br />

costruzione e proiezione futura e, al tempo stesso, promuovendo la conoscenza<br />

del compito da affrontare in termini <strong>di</strong> ideazione e progettazione del<br />

prodotto da realizzare, permette all’alunno <strong>di</strong> acquisire una giusta percezione<br />

<strong>di</strong> sé come soggetto consapevole pensante (in quanto sa come pensa) e<br />

soggetto consapevole agente (in quanto sa come agisce): ciò pertanto lo<br />

rende capace <strong>di</strong> accettare anche i propri limiti e i propri errori. Anche le fasi<br />

<strong>di</strong> monitoraggio, revisione e riprogettazione, in<strong>di</strong>spensabili per una buona<br />

conduzione e risoluzione <strong>di</strong> un progetto, vedono nell’acquisizione degli<br />

eventuali errori commessi (“devianze” dall’ideazione originaria), nella valutazione<br />

realistica delle risorse, uno degli aspetti imprescin<strong>di</strong>bili della <strong>di</strong>dattica<br />

progettuale.<br />

È possibile riuscire a fare introiettare, così, all’alunno il cosiddetto<br />

locus of control, lo spazio metaforicamente inteso, in cui lo stesso alunno<br />

colloca le cause dei suoi successi o insuccessi. Secondo Gardner, verrebbero<br />

così promossi i meccanismi <strong>di</strong> autoefficacia e autostima attraverso una<br />

corretta lettura degli eventi, siano essi i voti <strong>di</strong> profitto (i risultati in ambito<br />

curricolare), siano essi l’elaborazione <strong>di</strong> un prodotto o l’esecuzione <strong>di</strong> un<br />

compito assegnato (nell’ambito progettuale), consequenziali all’applicazione<br />

consapevole <strong>di</strong> un proprio personale stile cognitivo. 8 Sarebbe auspicabile,<br />

quin<strong>di</strong>, recuperare uno degli aspetti originari, già sottolineati da Flavel<br />

sulla metacognizione, la conoscenza <strong>di</strong> sé, il “metasapere”, un livello <strong>di</strong><br />

astrazione generale che appartiene specificamente ad ogni in<strong>di</strong>viduo (anche<br />

il “sapere <strong>di</strong> non sapere” socratico è un “metasapere”, in quanto nel riconoscimento<br />

dei propri limiti viene posta la base per apprendere <strong>di</strong> più ed<br />

estendere il proprio sapere sulla conoscenza <strong>di</strong> se stesso e del proprio funzionamento).<br />

Anche i metacognitivisti più recenti hanno ripreso, dunque,<br />

un’idea comparsa nella filosofia greca. 9<br />

8 H. Gardner, “Formae mentis”. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano<br />

1987.<br />

9 Ci riferiamo a J.D. Novak - D.B. Gowin, Learning how to learn, Cambridge University<br />

Press, New York, 1995.<br />

–31–


Finora abbiamo quin<strong>di</strong> chiarito la correlazione fra alcuni aspetti del metacognitivismo<br />

e le fasi che contrad<strong>di</strong>stinguono la <strong>di</strong>dattica progettuale,<br />

tanto che, considerata l’evidente connessione <strong>di</strong> queste strategie, si potrebbe<br />

parlare <strong>di</strong> una vera e propria metaprogettualità.<br />

È possibile stabilire un’ulteriore relazione fra le competenze acquisibili<br />

attraverso l’applicazione <strong>di</strong> uno stile <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento metacognitivo e quelle<br />

conseguibili attraverso la realizzazione <strong>di</strong> azioni <strong>di</strong>dattiche progettuali.<br />

Pren<strong>di</strong>amo ora, brevemente, in considerazione come ad alcuni obiettivi<br />

più specifici della <strong>di</strong>dattica metacognitiva corrispondano alcune delle competenze<br />

maturate attraverso l’attuazione delle <strong>di</strong>verse fasi procedurali costitutive<br />

<strong>di</strong> ogni operazione progettuale.<br />

Agli obiettivi metalinguistici, ad esempio, corrisponde lo sviluppo delle<br />

competenze linguistiche, agli obiettivi metagenetici quello delle competenze<br />

documentarie, a quelli metalogici, infine, l’implementazione delle<br />

competenze procedurali. Forniamo alcune esemplificazioni: se per obiettivo<br />

metalinguistico inten<strong>di</strong>amo la consapevolezza, da parte dell’alunno, nell’utilizzare<br />

i linguaggi specifici delle <strong>di</strong>scipline o determinati registri espressivi,<br />

assumendo come proprie le ragioni <strong>di</strong> tale scelta, analoga consapevolezza<br />

del processo attuato genera competenze comunicative, padronanza,<br />

cioè nell’utilizzo degli strumenti linguistici, aspetto imprescin<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> ogni<br />

fase progettuale. Facendo riferimento agli obiettivi metagenetici come la<br />

possibilità <strong>di</strong> ricostruire le fonti da cui si originano i processi conoscitivi attuati,<br />

si ha modo <strong>di</strong> riscontrarli nelle competenze documentarie, nelle competenze<br />

cioè che abilitano l’alunno a rintracciare le informazioni, i materiali<br />

originari e spesso costitutivi del progetto stesso. Gli obiettivi metalogici sostanziano<br />

ogni operazione metacognitiva, in quanto impongono una riflessione<br />

sui passaggi logici attuati, ben espressi nelle competenze procedurali<br />

che attestano l’attenzione sulle singole fasi del progetto, evidenziandone i<br />

motivi della scelta e i risultati raggiunti sul piano delle acquisizioni personali<br />

cognitive e su quello operativo.<br />

Prima <strong>di</strong> concludere, tuttavia, si impone necessariamente una riflessione<br />

che centri l’attenzione su uno degli aspetti più problematici della <strong>di</strong>dattica<br />

metaprogettuale: la <strong>di</strong>fficoltà dell’interazione <strong>di</strong> un versante teorico della<br />

<strong>di</strong>dattica (concetti, costrutti, principi) e <strong>di</strong> un versante metodologico <strong>di</strong> processi<br />

cognitivi e operativi. Si tratta, in altri termini, <strong>di</strong> stabilire un giusto<br />

rapporto tra le <strong>di</strong>scipline, facendo riferimento al costrutto epistemologico e<br />

storico <strong>di</strong> esse, e i contesti <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, caratterizzati dagli stili e dalle<br />

tecniche <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento.<br />

–32–


Facciamo riferimento, quin<strong>di</strong>, alla contrapposizione spesso dualistica<br />

che si viene a creare tra una <strong>di</strong>dattica concettuale, che si propone come<br />

“modello esperto” per lo sviluppo dell’attività <strong>di</strong>dattica, e la <strong>di</strong>dattica metacognitiva<br />

che non si qualifica come “modello <strong>di</strong> progettazione”, ma come<br />

un insieme <strong>di</strong> operazioni finalizzate a promuovere processi autorisolutivi<br />

(l’appren<strong>di</strong>mento non si identifica, cioè, nella conoscenza intesa come acquisizione<br />

dei concetti fondamentali, ma nell’acquisizione graduale della<br />

possibilità stessa <strong>di</strong> apprendere, trasferendo ciò che è noto in altri contesti<br />

operativi). Il problema è, quin<strong>di</strong>, nell’accettazione o meno <strong>di</strong> “modelli culturali<br />

referenziali” come possibile interpretazione dei fenomeni del reale o<br />

nella valorizzazione della <strong>di</strong>versità cognitiva, che implica l’assenza <strong>di</strong> un<br />

modello unitario o <strong>di</strong> criteri ispiratori comuni, nella convinzione che solo la<br />

consapevolezza delle operazioni mentali e dei contenuti conoscitivi elaborati<br />

possa produrre appren<strong>di</strong>menti significativi, ossia conoscenze durature.<br />

Ci chie<strong>di</strong>amo, dunque, se un appren<strong>di</strong>mento come quello metacognitivo, finalizzato<br />

a promuovere processi autoriflessivi in tutti i settori <strong>di</strong>sciplinari,<br />

possa ritenersi veicolare alla costruzione unitaria dei saperi o possa incorrere<br />

nel rischio <strong>di</strong> elaborare informazioni ricollegabili fra <strong>di</strong> loro in modo<br />

analogico, ma frammentario, per quanto riguarda, ad esempio, l’aspetto <strong>di</strong>acronico<br />

della <strong>di</strong>sciplina.<br />

Credo, dunque, che una delle possibili strategie risolutive sia quella <strong>di</strong><br />

cercare <strong>di</strong> operare una me<strong>di</strong>azione fra le due <strong>di</strong>fferenti proposte <strong>di</strong>dattiche:<br />

quella della <strong>di</strong>dattica per concetti e quella della <strong>di</strong>dattica metaprogettuale. È<br />

necessario ristabilire, infatti, il ruolo referenziale della <strong>di</strong>sciplina, sia pure<br />

nell’essenzializzazione dei suoi nuclei costituivi, inserendola in una precisa<br />

struttura <strong>di</strong>acronica, a cui accostarsi tramite uno stile cognitivo capace <strong>di</strong><br />

promuovere un appren<strong>di</strong>mento consapevole, significativo e <strong>di</strong> lunga durata,<br />

pensabile, progettabile e applicabile in contesti operativi concreti. L’introduzione<br />

<strong>di</strong> prassi <strong>di</strong>dattiche, alternative alle meto<strong>di</strong>che tra<strong>di</strong>zionali, avviene<br />

spesso, purtroppo, in modo poco sistematico, producendo l’avvicendamento<br />

e spesso la sovrapposizione <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento utilizzate in modo<br />

settoriale e pertanto limitanti in quanto raramente riconducibili, da parte<br />

dell’alunno, ad una finalità unitaria, quale la trasmissione dei saperi. In conclusione,<br />

dunque, l’operazione ultima, l’elaborazione <strong>di</strong> un prodotto, sia<br />

esso il risultato <strong>di</strong> una azione conoscitiva o l’attuazione <strong>di</strong> azioni concrete,<br />

non sarà valutabile per se stessa, ma soltanto insieme con tutti i processi<br />

cognitivi attivati nel continuo e costante confronto, però, con la <strong>di</strong>sciplina<br />

oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o.<br />

–33–


MARIO CARINI<br />

Mitologie sul nazismo<br />

1. La storia come mito. Nella sua operetta Come si deve scrivere<br />

la storia (l’unico trattato <strong>di</strong> teoria della storiografia che ci sia pervenuto<br />

dall’antichità) 1 Luciano <strong>di</strong> Samosata (120-180 circa d.C.), esortando alla<br />

obiettività e alla veri<strong>di</strong>cità, ammoniva a non imitare quegli storici che, celebrando<br />

le imprese partiche <strong>di</strong> Lucio Vero (161-165), facevano goffamente<br />

ricorso al pathos tragico, ai miti e alle lo<strong>di</strong> iperboliche, condendo le loro<br />

narrazioni <strong>di</strong> particolari fantastici e inverosimili, e perciò alla lunga ri<strong>di</strong>coli<br />

o stucchevoli. La riflessione lucianea contro questo tipo <strong>di</strong> storiografia<br />

“retorica” si incentra dunque su come non si deve scrivere la storia: una<br />

ricca esemplificazione mostra le deprecabili commistioni <strong>di</strong> storia e poesia<br />

tragica, <strong>di</strong> storia ed encomio, <strong>di</strong> storia e gusto dell’esorbitante, quali <strong>di</strong>fetti<br />

da evitare, non tanto perché riducono la storia a “poesia pedestre” quanto<br />

perché allontanano lo storiografo dal perseguimento del suo fine, ossia raccontare<br />

la verità senza darsi pensiero della bellezza. Altrettale storiografia<br />

“retorica” è quella <strong>di</strong> taluni testi moderni, che vogliono presentare i fatti<br />

sotto la cortina dell’enigma e del mistero. Giornalisti travestiti da storici,<br />

che vanno più alla ricerca del facile sensazionalismo che della verità, vedono<br />

nei risvolti della storia, ossia in episo<strong>di</strong> non chiaramente ricostruibili<br />

dalle fonti a <strong>di</strong>sposizione, la presenza del mistero, dell’enigma, che invariabilmente<br />

rimanda a un complotto segreto. Essi vi ricamano azzardate,<br />

spesso inverosimili teorie e creano miti (usiamo il termine nell’accezione<br />

che ha µυ ∼ θος <strong>di</strong> “racconto favoloso”), laddove il supposto “mistero” ha<br />

origine da nient’altro che da una carenza effettiva delle fonti documentarie,<br />

se non da una <strong>di</strong>fettosa lettura dei fatti e dei documenti a <strong>di</strong>sposizione o dall’attribuzione<br />

<strong>di</strong> valore a coincidenze che in realtà sono meramente casuali.<br />

Avvertenza: il presente lavoro è una ricerca condotta ai confini tra storia, storia alternativa<br />

(o “ucronia”) e paraletteratura. Ovviamente esso non implica affatto da parte dell’autore adesione<br />

o simpatia, né in toto né in parte, per dottrine e regimi, quali il nazismo e il fascismo, che<br />

la storia ha condannato, in quanto oppressori della libertà dei popoli, responsabili dello scatenamento<br />

<strong>di</strong> un conflitto mon<strong>di</strong>ale e (soprattutto il nazismo) del genoci<strong>di</strong>o del popolo ebraico.<br />

1 Vd. in Luciano Canfora, Teorie e tecnica della storiografia classica, Laterza, Roma-Bari<br />

1974, pp. 41-80.<br />

–34–


Ricorrere al mistero, però, e creare inevitabilmente miti, riesce talvolta<br />

più comodo che tentare <strong>di</strong> ricostruire faticosamente e seriamente il fatto,<br />

chiarendo la logica interna al comportamento dei personaggi, logica che<br />

peraltro che può riuscire assai più affascinante <strong>di</strong> qualsiasi spiegazione più<br />

o meno implausibile, spacciata per verità illuminante il “mistero”. Ed è proprio<br />

l’attribuzione del carattere <strong>di</strong> “strano”, “inquietante”, “pro<strong>di</strong>gioso” a<br />

fatti e a coincidenze <strong>di</strong> fatti, uno dei pericoli da cui il lettore <strong>di</strong> saggi “pseudostorici”<br />

deve guardarsi. Ciò vale tanto più oggi che una moda, imperante<br />

ma deteriore, vede la ricostruzione del passato in chiave <strong>di</strong> “misteri”,<br />

“enigmi” e sette segrete (il “mistero” delle pirami<strong>di</strong>, il “mistero” <strong>di</strong> Stonehenge,<br />

l’“enigma” del Graal, l’Arca perduta dell’Alleanza, i Rosa-Croce, il<br />

Priorato <strong>di</strong> Sion, etc.) e reinterpreta perfino le ra<strong>di</strong>ci cristiane della civiltà<br />

occidentale in chiave neognostica, attribuendo ad<strong>di</strong>rittura una <strong>di</strong>scendenza<br />

segreta al Cristo e alla Maddalena, che si sarebbe perpetuata fino ai giorni<br />

nostri 2 (è il tema <strong>di</strong> un fortunatissimo thriller, Il co<strong>di</strong>ce da Vinci <strong>di</strong> Dan<br />

Brown, che ha originato una proliferazione <strong>di</strong> romanzi analoghi, ridando<br />

vigore al genere “fantareligioso”). Sottintendere che <strong>di</strong>etro la realtà storica<br />

quale è stata ricostruita dagli storici accademici vi sia una realtà altra,<br />

prodotto <strong>di</strong> oscure, sinistre cospirazioni e <strong>di</strong> poteri occulti (non visibili ma<br />

appena percepibili da una miriade <strong>di</strong> minuscoli in<strong>di</strong>zi e coincidenze apparentemente<br />

trascurabili, che lo storico-detective, troppo alla Sherlock<br />

Holmes, coglie e interpreta a suo arbitrio), rischia non solo <strong>di</strong> fuorviare il<br />

lettore propinandogli una lettura forzata, con tra<strong>di</strong>mento del buon senso e<br />

della logica, ma anche <strong>di</strong> degradare la storia a successione <strong>di</strong> “enigmi” e <strong>di</strong><br />

complotti segreti. La storia dei popoli, che sarebbero tenuti sotto il dominio<br />

della menzogna, <strong>di</strong>verrebbe così il risultato dell’azione <strong>di</strong> forze occulte,<br />

incarnate in organizzazioni segrete, tese alla sovversione mon<strong>di</strong>ale o, più<br />

semplicemente, alla conservazione dei lucrosi e inconfessabili interessi dei<br />

complottar<strong>di</strong>. 3 Ma quale lezione trarre da una interpretazione in chiave<br />

2 Come intende da ultimo <strong>di</strong>mostrare, allegando le supposte prove, il saggio <strong>di</strong> Laurence<br />

Gardner, La linea <strong>di</strong> sangue del Santo Graal, Newton & Compton, Roma 2005; ma già prima la<br />

tesi <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scendenza segreta del Cristo, speculando sui vangeli apocrifi, era stata esposta in<br />

Michael Bargent - Richard Leigh - Henry Lincoln, Il santo Graal. Una catena <strong>di</strong> misteri lunga<br />

duemila anni, trad. <strong>di</strong> Roberta Rambelli, Fabbri E<strong>di</strong>tori, Milano 2005 (I ed. London 1982).<br />

3 È questo l’assunto con cui, ad esempio, Serge Hutin ricostruisce le vicende dal Me<strong>di</strong>oevo<br />

fino a oggi, prendendo per buoni testi come i famigerati Protocolli dei Savi Anziani <strong>di</strong> Sion, che<br />

sono notoriamente un falso creato dalla polizia zarista per giustificare l’antisemitismo: vd.<br />

Serge Hutin, Governi occulti e società segrete, trad. <strong>di</strong> Miriam Magry, E<strong>di</strong>zioni Me<strong>di</strong>terranee,<br />

Roma 1996², pp. 58-64.<br />

–35–


antiaccademica ed “eterodossa” o “esoterica” della storia? Come giu<strong>di</strong>care il<br />

cammino dell’umanità, se ogni acca<strong>di</strong>mento fosse davvero il risultato dell’agire<br />

<strong>di</strong> forze occulte? Una lettura chiara e or<strong>di</strong>nata delle fonti documentarie<br />

che si accompagni ad un’indagine intellettualmente onesta e non viziata da<br />

tesi pregiu<strong>di</strong>ziali, svela, però, quasi sempre l’artificio e il falso che allignano<br />

<strong>di</strong>etro ogni tesi illusoriamente sensazionalistica. 4<br />

Alla creazione <strong>di</strong> miti è, poi, funzionale in primo luogo quella <strong>di</strong> documenti<br />

falsi. Non v’è bisogno <strong>di</strong> ricordare quanto il campo delle ricerche<br />

storiche abbon<strong>di</strong> notoriamente delle opere <strong>di</strong> abilissimi falsari (talvolta<br />

anche insospettabili). 5 Ciò è perché, come nota Eco, commentando una<br />

4 Un famoso esempio <strong>di</strong> quanto an<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>cendo è l’assassinio del presidente Kennedy (a<br />

Dallas, 21 novembre 1963). Decine <strong>di</strong> pubblicazioni, inchieste televisive e alcuni film fortunati<br />

(tra cui ricor<strong>di</strong>amo quello <strong>di</strong> Oliver Stone, JFK-Un caso ancora aperto, 1991, ispirato dall’indagine<br />

del procuratore <strong>di</strong>strettuale <strong>di</strong> New Orleans Jim Garrison, poi pubblicata col titolo JFK Sulle<br />

tracce degli assassini, trad. <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Mussolini, Sperling & Kupfer, Milano 1992³; segue le<br />

conclusioni <strong>di</strong> Garrison anche Gianni Bisiach, Il Presidente, la lunga storia <strong>di</strong> una breve vita,<br />

Newton Compton, Roma 1990; per le varie teorie del complotto vd. anche Guido Gerosa, La trage<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> Dallas, Mondatori, Milano 1972) hanno messo in crisi i risultati del Rapporto Warren,<br />

l’inchiesta ufficiale commissionata dalla presidenza Johnson (che ha ispirato il famoso saggio <strong>di</strong><br />

William Manchester, Morte <strong>di</strong> un presidente, trad. <strong>di</strong> Laura Grimal<strong>di</strong> e Vincenzo Mantovano,<br />

Mondadori, Milano 1967), facendo prevalere nella pubblica opinione la tesi della cospirazione<br />

(dovuta alla CIA, alla mafia italoamericana, ai circoli anticastristi, a uomini d’affari <strong>di</strong> New<br />

Orleans e ad<strong>di</strong>rittura al presidente Lyndon B. Johnson, tutti agenti in sinergia o alternativamente)<br />

su quella del gesto isolato <strong>di</strong> uno squilibrato mitomane. Ad<strong>di</strong>rittura non è mancato chi, speculando<br />

su curiose coincidenze riscontrate nelle morti violente dei presidenti americani eletti negli<br />

anni terminanti con lo zero a partire dal 1840, non ha escluso né la reincarnazione né l’azione <strong>di</strong><br />

oscure forze extraumane (Pierfrancesco Prosperi, La serie maledetta, Armenia E<strong>di</strong>tore, Milano<br />

1980, pp. 148-152). Recentemente, però, un ampio e assai documentato saggio <strong>di</strong> Diego Verdegiglio<br />

(Ecco chi ha ucciso Kennedy, Mancosu E<strong>di</strong>tore, Roma 1998) ripropone molto seriamente<br />

la tesi che Lee Harvey Oswald abbia agito effettivamente da solo, facendo luce e dando una accettabile<br />

risposta a tutte le presunte incongruenze rilevate dalle indagini precedenti (pp. 403-405).<br />

5 Di celebri falsificazioni, svelate dall’acribia degli stu<strong>di</strong>osi, è piena la storia. Si pensi, ad<br />

esempio, al caso dell’archeologo Helbig e della celebre fibula Praenestina, considerata lungamente<br />

uno dei primi documenti della lingua latina, prima che Margherita Guarducci ne <strong>di</strong>mostrasse<br />

la falsità (falsità ormai accettata dalla recente manualistica, vd. La letteratura latina,<br />

storia letteraria e antropologia romana: profilo e testi, a cura <strong>di</strong> Maurizio Bettini e altri, vol. I<br />

Dalle origini alla crisi della repubblica, La Nuova Italia, Firenze 1996, rist., p. 23). Nell’ambito<br />

del nazismo famoso è l’inganno in cui cadde il settimanale «Stern» con i falsi <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> Hitler (la<br />

più costosa frode nella storia dell’e<strong>di</strong>toria fu opera del falsario Konrad Kujau, che rivendette per<br />

nove milioni <strong>di</strong> marchi i “<strong>di</strong>ari” al reporter <strong>di</strong> «Stern» Gerd Heidemann, appassionato cacciatore<br />

<strong>di</strong> cimeli nazisti; ma non è escluso che lo Junkers 352 che all’alba del 21 aprile 1945 cadde<br />

nella foresta <strong>di</strong> Heidenholz, presso il confine cecoslovacco, contenesse l’archivio personale <strong>di</strong><br />

Hitler, e anche i suoi <strong>di</strong>ari autentici: vd. l’avvincente ricostruzione della vicenda in Robert<br />

Harris, I <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Luca Vanni, Mondadori, Milano 2001), cui attribuì veri<strong>di</strong>cità<br />

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significativa rassegna <strong>di</strong> falsi storici (come il racconto <strong>di</strong> Cosma In<strong>di</strong>copleuste,<br />

la lettera del Prete Gianni, i manifesti dei Rosa-Croce, i Protocolli<br />

dei Savi Anziani <strong>di</strong> Sion, etc.), il falso possiede a prima vista un’irresistibile<br />

potere <strong>di</strong> suggestione per la sua apparente verosimiglianza, che viene<br />

incontro a determinate attese dei singoli e della società, anche se il lento e<br />

costante lavoro <strong>di</strong> verifica del sapere riesce a smascherarlo. 6<br />

Avviene, poi, che, per rispondere alla richiesta del favoloso da parte <strong>di</strong><br />

certo pubblico ingenuo, a determinati miti, con ingegnose variazioni sul<br />

ad<strong>di</strong>rittura il famoso storico sir Hugh Trevor-Roper, pagandone un po’ lo scotto in termini <strong>di</strong><br />

reputazione. Anche nell’ambito del fascismo si ipotizza oggi (per la verità, molto ar<strong>di</strong>tamente)<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un carteggio segreto tra Mussolini e Churchill, proseguito fin durante la repubblica<br />

<strong>di</strong> Salò (quando l’uomo <strong>di</strong> Predappio, ridotto ormai a vassallo <strong>di</strong> Hitler, aveva perso ogni<br />

ipotetico potere <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione), così come negli anni Cinquanta si favoleggiò del ritrovamento<br />

dei “<strong>di</strong>ari” del Duce (dovuti invece alla penna delle vercellesi Rosa e Amalia Panvini, che ne<br />

patirono le inevitabili conseguenze giu<strong>di</strong>ziarie: sulla vicenda vd. Andrea Bedetti, I <strong>di</strong>ari <strong>di</strong><br />

Mussolini, in «Historia», n. 438, agosto 1994, pp. 10-19). Ha mostrato <strong>di</strong> credere all’esistenza<br />

dei <strong>di</strong>ari del Duce e del fantomatico carteggio lo storico Renzo De Felice, a cui però la prematura<br />

morte ha impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> concludere le preannunciate ricerche in proposito: vd. Renzo De<br />

Felice, Rosso e Nero, a cura <strong>di</strong> Pasquale Chessa, Bal<strong>di</strong>ni & Castol<strong>di</strong>, Milano 1995³, pp. 144-148.<br />

Sul carteggio Churchill-Mussolini: Franco Ban<strong>di</strong>ni, Il carteggio delle illusioni, in «Storia Illustrata»,<br />

n. 237, agosto 1977, pp. 56-65; Fabio Andriola, Mussolini-Churchill carteggio segreto,<br />

E<strong>di</strong>zioni Piemme, Casale Monferrato 1996 (secondo l’autore il carteggio, continuato fino al 21<br />

aprile 1945, sarebbe stato consegnato a Umberto II <strong>di</strong> Savoia dal capitano <strong>di</strong> P. S. Aristide Tabasso,<br />

che durante la guerra fu agente dell’Intelligence Service); Roberto Festorazzi, Churchill-<br />

Mussolini le carte segrete, Datanews E<strong>di</strong>trice, Roma 1998 (che in<strong>di</strong>ca nell’ex partigiano e ingegnere<br />

Luigi Carissimi Priori il custode del carteggio). Era e resta invece scettico Frederick<br />

W. Deakin, È tutto falso, parola <strong>di</strong> Winston!, in «Storia Illustrata», n. 343, giugno 1986, pp. 8-<br />

18; anche Antonio Spinosa, Churchill. Il nemico degli italiani, Il Giornale - Biblioteca Storica,<br />

Milano 2001, pp. 290-291, sfata la fantasiosa ipotesi che Churchill sia venuto, dopo la guerra,<br />

sul lago <strong>di</strong> Como per recuperare le fantomatiche carte. Ma un telegramma ine<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Mussolini,<br />

spe<strong>di</strong>to alla fine <strong>di</strong> maggio 1940 a Vittorio Emanuele III, <strong>di</strong>mostrerebbe che il Duce teneva<br />

contati riservati con gli inglesi: vd. Giovanni Carioti, Mussolini-Churchill, un nuovo in<strong>di</strong>zio, in<br />

«Corriere della Sera», 20 maggio 2005. In un suo recentissimo romanzo Folco Quilici immagina<br />

che un aereo SM. 75 GA, precipitato nel lago Bajkal, trasportasse i <strong>di</strong>ari e le carte segrete<br />

<strong>di</strong> Mussolini da affidare all’imperatore del Giappone, tramite l’ambasciatore Hidaka, alla vigilia<br />

del crollo della RSI: La fenice del Bajkal (Mondadori, Milano 2005) <strong>di</strong> Quilici è la storia dello<br />

sfortunato tentativo <strong>di</strong> recupero messo in atto da una spe<strong>di</strong>zione italiana (sul romanzo vd.<br />

Corrado Ruggeri, L’aereo che doveva salvare Mussolini. Un mistero sepolto in fondo al lago,<br />

in «Corriere della Sera», 1° <strong>di</strong>cembre 2005).<br />

6 Umberto Eco, La forza del falso, in Sulla letteratura, Bompiani, Milano 2002, pp. 318-<br />

323. Nel romanzo Il pendolo <strong>di</strong> Foucault il semiologo ha svelato l’inanità logica e sostanziale<br />

che sussiste <strong>di</strong>etro l’ipotesi della grande congiura universale e del sapere esoterico segretamente<br />

tramandato dall’antichità. Vd. anche le riflessioni <strong>di</strong> Eco sulla sindrome del complotto, sempre<br />

palesatasi nella storia dell’umanità e ultimamente riguardo al terrorismo islamico, nell’intervista<br />

<strong>di</strong> Gianni Riotta, Il Grande Vecchio alleato <strong>di</strong> Osama, in «Corriere della Sera», 12 luglio 2005.<br />

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tema, se ne aggiungano altri, ossia nuove versioni e teorie, elaborate sempre<br />

coerentemente con il carattere dell’inaspettato e dello strano. Le menti <strong>di</strong><br />

mitomani e visionari generano, col decorso del tempo, ingombranti superfetazioni<br />

<strong>di</strong> ipotesi bizzarre, mitologie intessute <strong>di</strong> inquietanti misteri, che<br />

servono soltanto a far nebbia laddove pretenderebbero <strong>di</strong> illuminare. 7<br />

Le vicende del nazismo sono il campo nel quale più <strong>di</strong> frequente sono<br />

germogliati, come il famoso lapazio manzoniano nel campo mal coltivato,<br />

miti e falsificazioni, giacché la fantasia e l’immaginazione <strong>di</strong> certi giornalisti<br />

pseudostorici qui più che altrove spera <strong>di</strong> attirare la curiosità del lettore<br />

presentando i fatti in chiave sensazionalistica. Ne viene alimentato oltremodo<br />

un interesse incessante, talvolta al limite della morbosa curiosità, per<br />

vicende e personaggi dell’epoca hitleriana. 8<br />

In questo lavoro non inten<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> certo mettere in <strong>di</strong>scussione il giu<strong>di</strong>zio<br />

storico e morale sul Terzo Reich, che gli stu<strong>di</strong>osi hanno definitivamente<br />

stabilito, nonostante le recenti tendenze al “revisionismo”. 9 Invece,<br />

7 Non a caso il titolo <strong>di</strong> un commento <strong>di</strong> Pierluigi Battista alle illazioni sugli attentati <strong>di</strong><br />

Londra del luglio 2005 è La mitologia complottista (in «Corriere della Sera», 12 luglio 2005,<br />

con plauso a Tony Blair per non aver ceduto alle suggestioni “<strong>di</strong>etrologiche” degli attentati lon<strong>di</strong>nesi).<br />

Nota lo stu<strong>di</strong>oso Daniel Pipes la pericolosità delle teorie del complotto per i <strong>di</strong>sastri che<br />

possono causare, se ad adottarle è uno stato (intervista <strong>di</strong> Ennio Caretto, «Le teorie del complotto?<br />

Ispirarono Hitler e Stalin», in «Corriere della Sera», 14luglio 2005.<br />

8 Ricor<strong>di</strong>amo, ad esempio, il furto, nella sede dell’archivio federale <strong>di</strong> Mosca, del <strong>di</strong>stintivo<br />

d’oro del partito nazista appartenuto a Hitler (ritrovato sul corpo <strong>di</strong> Magda Goebbels): vd.<br />

Armando Torno, Caccia ai cimeli nazisti: rubato a Mosca il <strong>di</strong>stintivo <strong>di</strong> Hitler, in «Corriere<br />

della Sera», 5 luglio 2005. Immagini ine<strong>di</strong>te dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler sono state recentemente rinvenute<br />

a Mosca, come informa Armando Torno, Spade sguainate, <strong>di</strong>avoli, scheletri. Ecco la foto<br />

dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler, in «Corriere della Sera», 8 agosto 2005.<br />

9 Come ha posto in chiaro lo storico Renzo De Felice, in<strong>di</strong>cato peraltro come il capofila dei<br />

“revisionisti”, reinterpretare i fatti storici significa arricchire l’analisi <strong>di</strong> ulteriori motivazioni atte<br />

a spiegare il comportamento e le scelte <strong>di</strong> un determinato personaggio, non già sostituire il<br />

giu<strong>di</strong>zio morale ormai consolidato dalla tra<strong>di</strong>zione (ciò vale in specie per le <strong>di</strong>ttature totalitarie<br />

che hanno insanguinato il secolo scorso, e soprattutto allorché si giunge, sull’onda <strong>di</strong> un revisionismo<br />

estremo, a negare ad<strong>di</strong>rittura la realtà dell’Olocausto e delle camere a gas, come ha cercato<br />

affannosamente <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare il “maestro dei negazionisti”, Robert Faurisson: vd. l’intervista a<br />

Faurisson <strong>di</strong> Antonio Pitamitz, “Le camere a gas non sono mai esistite!”, in «Storia Illustrata»,<br />

n. 261, agosto 1979, pp. 15-35, e la risposta a Faurisson <strong>di</strong> Enzo Collotti, “Le camere a gas sono<br />

esistite!”, in «Storia Illustrata», n. 262, settembre 1979, pp. 19-29). Sul Faurisson come moderno<br />

pseudostorico o “mitologo” lancia i suoi strali ironici Paul Veyne, I greci hanno creduto ai loro<br />

miti?, trad. <strong>di</strong> Caterina Nasalli Rocca <strong>di</strong> Corneliano, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 178-179. A un<br />

altro noto storico revisionista, David Irving, le affermazioni sulla falsità delle camere a gas sono<br />

costate l’arresto in Austria l’11 novembre scorso (Alessio Alticheri, Arrestato lo storico che nega<br />

la Shoah, in «Corriere della Sera», 18 novembre 2005; l’arresto <strong>di</strong> Irving è stato però stigmatizzato<br />

da più parti, in nome della libertà d’espressione e contro il rischio <strong>di</strong> attribuire agli antisemiti<br />

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prenderemo in esame alcune delle ipotesi più inquietanti, avanzate da detectives<br />

della storia e cacciatori <strong>di</strong> scoop, su particolari aspetti del nazismo.<br />

De<strong>di</strong>cheremo così <strong>di</strong>stinti paragrafi ad alcune delle mitologie che sono state<br />

create sul nazismo, ivi compresa la commistione tra nazismo e narrativa<br />

dell’ucronia, e tra nazismo e fantascienza: la sopravvivenza del capo (<strong>di</strong> cui<br />

a lungo nel dopoguerra si favoleggiò) e dei gregari (destinati, in certi casi, a<br />

essere protagonisti <strong>di</strong> vere e proprie cacce ai fantasmi), le armi segrete (ivi<br />

compresa la “bomba atomica tedesca”), le ipotesi formulate dagli scrittori <strong>di</strong><br />

ucronia (se Hitler avesse vinto la guerra), Hitler nella narrativa <strong>di</strong> fantascienza.<br />

Sicché l’articolo tratterà non delle mitologie del nazismo (la razza<br />

ariana, le tra<strong>di</strong>zioni celtiche, la cultura esoterica, etc.), ma delle mitologie<br />

sul nazismo che l’inesauribile fantasia degli speculatori ha saputo escogitare.<br />

Vedremo, dall’esame dei materiali riportati nella nostra ricerca, come<br />

la lezione del Samosatense permanga sempre attuale anche in questo campo<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> storici.<br />

2. Sopravvivenza del capo e dei gregari: le fughe impossibili.<br />

Le vicende del nazismo continuano a suscitare ampio e rinnovato interesse,<br />

soprattutto allorché nuovi particolari arricchiscono le versioni ufficiali e<br />

l’aureola del martirio: vd. Antonio Carioti, Traverso: contro <strong>di</strong> lui idee e non manette, ibid.;<br />

Pierluigi Battista, Se si fa finta <strong>di</strong> non vedere censure e manette per l’intellettuale nemico, in<br />

«Corriere della Sera», 28 novembre 2005; Alessio Alticheri (intervista alla storica americana<br />

Deborah Lipstadt), Irving? Un bugiardo, ma è ingiusto arrestarlo, in «Corriere della Sera», 2 <strong>di</strong>cembre<br />

2005). Irving, che rischia <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> carcere per apologia <strong>di</strong> nazismo, sembrerebbe<br />

però aver riveduto le sue posizioni negazioniste (R.E., L’avvocato <strong>di</strong> Irving «Lo storico ha<br />

scoperto le camere a gas naziste», in «Corriere della Sera», 24 novembre 2005). Sulla triste<br />

realtà delle camere a gas non possono più esservi dubbi, dopo le <strong>di</strong>chiarazioni rese agli alleati<br />

dallo stesso comandante <strong>di</strong> Auschwitz Rudolf Höss, che ha descritto accuratamente i meccanismi<br />

dello sterminio: vd. il verbale dell’interrogatorio in Richard Overy, Interrogatori. Come gli<br />

alleati hanno scoperto la terribile realtà del Terzo Reich, trad. <strong>di</strong> Nicoletta Lamberti, Mondadori,<br />

Milano 2003, pp. 316-320. Peraltro la feroce determinazione <strong>di</strong> Hitler nel perseguire l’annientamento<br />

del popolo ebraico fu esplicitamente rivelata nel colloquio con Himmler del 22 febbraio<br />

1942 (vd. Hitler’s Secret Conversations 1941-1944, with an introductory essay by H.R. Trevor-<br />

Roper, transl. by Norman Cameron and R.H. Stevens, Signet Books, The New American Library,<br />

New York 1961, p. 320). Un approfon<strong>di</strong>to stu<strong>di</strong>o sull’organizzazione dei centri <strong>di</strong> sterminio e<br />

sulle operazioni che vi si svolgevano è nel fondamentale saggio <strong>di</strong> Raul Hilberg, La <strong>di</strong>struzione<br />

degli Ebrei d’Europa, trad. <strong>di</strong> Fre<strong>di</strong>ano Sessi e Giuliana Guastalla, vol. II, Einau<strong>di</strong>, Torino 1995,<br />

pp. 967-1041; vd. anche il sintetico ma esauriente saggio <strong>di</strong> Enzo Collotti, La soluzione finale,<br />

Newton Compton, Roma 1995 (con ampia bibl.); dei crimini nazisti in Europa fa un impressionante<br />

resoconto lord Russell <strong>di</strong> Liverpool in Il flagello della svastica, trad. <strong>di</strong> Luciano Bianciar<strong>di</strong>,<br />

Feltrinelli, Milano 1971 8 .<br />

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provvedono a far luce sui retroscena. 10 Pren<strong>di</strong>amo il caso della fine <strong>di</strong><br />

Hitler, magistralmente ricostruita da sir Hugh R. Trevor-Roper, lord Dacre<br />

of Glanton, professore <strong>di</strong> storia moderna all’università <strong>di</strong> Oxford, in un<br />

saggio, apparso nel 1947, che è <strong>di</strong>venuto un classico della storiografia moderna<br />

(The last days of Hitler). 11 Pur avendo a <strong>di</strong>sposizione poche testimonianze<br />

e per <strong>di</strong> più assai dubbie e contrad<strong>di</strong>ttorie (il ra<strong>di</strong>omessaggio alla<br />

nazione del grande ammiraglio Karl Dönitz, letto la sera del 1° maggio<br />

1945, che annunciava che il Führer era caduto combattendo a Berlino alla<br />

testa delle sue truppe; la deposizione della giornalista svizzera Carmen<br />

Mory, secondo la quale Hitler si era rifugiato con Eva Braun nella campagna<br />

bavarese; la testimonianza del dottor Karl-Heinz Späth, asserente<br />

sotto giuramento <strong>di</strong> aver prestato le ultime cure a Hitler mortalmente ferito<br />

al Tiergarten <strong>di</strong> Berlino; quella <strong>di</strong> un aviatore tedesco <strong>di</strong> nome Peter Baumgart,<br />

che affermava <strong>di</strong> aver trasportato Hitler e la Braun in Danimarca il 28<br />

aprile 1945), Trevor-Roper riuscì, grazie a una magistrale indagine condotta<br />

con lucida acribia e inflessibile determinazione, a sgombrare il<br />

campo dalle menzogne e dagli equivoci e ricostruì con ragionevole certezza,<br />

giovandosi dei pochi testimoni fededegni, 12 le ultime vicende del<br />

Führer, accertandone il suici<strong>di</strong>o il 30 aprile 1945 me<strong>di</strong>ante veleno e colpo<br />

<strong>di</strong> pistola. Dopo la morte, i cadaveri <strong>di</strong> Hitler e <strong>di</strong> Eva Braun furono deposti<br />

in una fossa scavata nel giar<strong>di</strong>no della Cancelleria e dati alle fiamme.<br />

10 È stato <strong>di</strong> recente risolto, ad esempio, il mistero del suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Goering (com’è noto l’ex<br />

capo della Luftwaffe si avvelenò nella sua cella il 15 ottobre 1946, alla vigilia dell’esecuzione,<br />

ma non si era mai scoperto come avesse fatto a procurarsi il veleno): ha pubblicamente confessato<br />

<strong>di</strong> avergli passato il cianuro, nascosto a sua insaputa in una penna, il settantottenne americano<br />

Herbert Lee Stevers, che allora era <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a alla prigione <strong>di</strong> Norimberga, vd. Monica<br />

Ricci Sargentini, Ex soldato americano «Sono stato io a dare il cianuro a Göring», in «Corriere<br />

della Sera», 8 febbraio 2005.<br />

11 Hugh Trevor-Roper, Gli ultimi giorni <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Celestino Terzi, Rizzoli, Milano<br />

1999, rist. della VI e<strong>di</strong>zione, 1987.<br />

12 Si tratta <strong>di</strong> Hans Baur, pilota personale <strong>di</strong> Hitler, che rimase con lui sino alla fine; Arthur<br />

Axmann, successore <strong>di</strong> Baldur von Schirach a capo della Hitlerjugend, che entrò nella camera<br />

<strong>di</strong> Hitler e ne vide il cadavere insanguinato, con un foro alla tempia destra; <strong>di</strong> Erich Kempka,<br />

l’autista <strong>di</strong> Hitler, che portò fuori dal bunker i corpi <strong>di</strong> Hitler e della Braun; <strong>di</strong> Heinz Linge,<br />

cameriere personale <strong>di</strong> Hitler, che aiutò Kempka; <strong>di</strong> Otto Günsche, aiutante <strong>di</strong> campo <strong>di</strong> Hitler<br />

per le SS, che assistette al rogo dei due cadaveri; <strong>di</strong> Hermann Karnau, guar<strong>di</strong>a nel giar<strong>di</strong>no della<br />

Cancelleria, che vide i corpi bruciare; <strong>di</strong> Harry Mengershausen, ufficiale del RSD (Reichssicherheits<strong>di</strong>enst,<br />

servizio <strong>di</strong> sicurezza), che seppellì i resti nel giar<strong>di</strong>no della Cancelleria. Trevor-<br />

Roper <strong>di</strong>mostrò che le loro testimonianze erano convergenti e non preparate, dato che alcuni <strong>di</strong><br />

essi resero le <strong>di</strong>chiarazioni mentre erano prigionieri dei sovietici (Linge e Mengershausen) e<br />

non avevano avuto modo <strong>di</strong> incontrare gli altri (vd. Trevor-Roper, cit., p. 48 e ss.).<br />

–40–


I russi provvidero poi a identificare definitivamente i resti dei cadaveri<br />

confrontando le protesi dentarie <strong>di</strong> Hitler e della Braun con le ra<strong>di</strong>ografie<br />

in possesso del loro dentista personale, il dottor Hugo Blaschke, prelevate<br />

nel suo stu<strong>di</strong>o il 9 maggio. 13 La versione <strong>di</strong> Trevor-Roper è stata sostanzialmente<br />

accettata dagli storici ed è quella generalmente seguita nel capitolo<br />

finale delle più famose ricostruzioni del Terzo Reich e nelle biografie<br />

<strong>di</strong> Hitler, come le opere <strong>di</strong> Shirer, 14 <strong>di</strong> Bullock, 15 <strong>di</strong> Fest. 16<br />

Rimane, però, sconcertante il comportamento dei sovietici. Già il 9 giugno<br />

il maresciallo Þukov, comandante dell’esercito sovietico, e il generale<br />

Berzarin, comandante della piazza <strong>di</strong> Berlino, cominciarono a mostrarsi<br />

stranamente reticenti sulla sorte <strong>di</strong> Hitler, affacciando ad<strong>di</strong>rittura l’ipotesi<br />

(Berzarin) che potesse essersi rifugiato in Spagna. Tali <strong>di</strong>cerie influenzarono<br />

anche il generale Eisenhower, che vi dette cre<strong>di</strong>to. È noto peraltro che lo<br />

stesso Stalin non credette al suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Hitler e più volte, come ad esempio il<br />

17 luglio alla conferenza <strong>di</strong> Potsdam, colloquiando con il segretario <strong>di</strong> stato<br />

americano James F. Byrnes, affacciò la sorprendente ipotesi che il capo dei<br />

nazisti fosse riuscito a fuggire da Berlino asse<strong>di</strong>ata per rifugiarsi in Spagna o<br />

in Argentina. Non sappiamo quanto il <strong>di</strong>ttatore sovietico realmente credesse<br />

alla possibilità <strong>di</strong> un Hitler re<strong>di</strong>vivo: probabilmente, allarmando gli alleati, si<br />

proponeva <strong>di</strong> ottenere da loro maggiori concessioni, 17 o forse già cominciava<br />

a sospettare certe strane connivenze tra gli angloamericani e i superstiti<br />

apparati dell’intelligence nazista, come l’organizzazione Gehlen, che rese<br />

13 In mancanze del dottor Blaschke, irreperibile, furono la sua assistente Käte Heusermann<br />

e l’odontotecnico Fritz Echtmann, convocati dai russi, a effettuare il riconoscimento dei corpi<br />

sulla base delle protesi dentarie.<br />

14 William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, trad. <strong>di</strong> Gustavo Glaesser, vol. II, Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino 1962³, pp. 1718-1727. Vd. anche Giuseppe Mayda, La morte <strong>di</strong> Hitler, in Enzo Biagi,<br />

La seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, vol. VII La fine della Germania, Gruppo E<strong>di</strong>toriale Fabbri,<br />

Milano 1983, rist., pp. 2474-2490.<br />

15 Alan Bullock, La morte <strong>di</strong> Hitler, in Storia della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong>retta da<br />

sir Basil Liddell Hart e Barrie Pitt, vol. VI, Rizzoli - Purnell, Milano 1967, pp. 312-321; Id.,<br />

Hitler, stu<strong>di</strong>o sulla tirannide, trad. <strong>di</strong> Cesare Salmaggi e Bice Vivenza, Mondatori, Milano 1979<br />

(I ed. 1955), pp. 491-502.<br />

16 Joachim Fest, Hitler, vers. it. a cura <strong>di</strong> Francesco Saba Sar<strong>di</strong>, Rizzoli, Milano 1976², pp.<br />

912-919, versione sostanzialmente immutata anche nell’ultima e<strong>di</strong>zione dell’opera (La Biblioteca<br />

<strong>di</strong> Repubblica, Milano 2005, pp. 1056-1065). Del medesimo vd. anche La <strong>di</strong>sfatta. Gli ultimi<br />

giorni <strong>di</strong> Hitler e la fine del Terzo Reich, trad. <strong>di</strong> Umberto Gan<strong>di</strong>ni, Garzanti, Milano 2005².<br />

17 Giunse persino ad accusare gli inglesi <strong>di</strong> proteggere Hitler e la Braun, donde l’incarico<br />

dell’inchiesta a Trevor-Roper per sventare qualsiasi sospetto assodando la verità sulla fine del<br />

leader nazista.<br />

–41–


preziosi servigi nell’imminenza e durante la Guerra Fredda. 18 Oppure ancora,<br />

intendeva forse iniziare una campagna politica, preludente a una eventuale<br />

cacciata dal potere, contro Franco, il <strong>di</strong>ttatore spagnolo, e Perón, quello<br />

argentino, suoi avversari <strong>di</strong>chiarati (tanto più che entrambi si erano già messi<br />

sotto la protezione degli Stati Uniti).<br />

Teoricamente non sarebbe stato impossibile trasferire Hitler fuori da<br />

Berlino asse<strong>di</strong>ata dalle truppe dell’Armata Rossa. 19 Qualche giorno prima<br />

del suici<strong>di</strong>o, il 26 aprile, atterrò sul lungo viale dell’Unter den Linden un<br />

bombar<strong>di</strong>ere “Arado”, con a bordo il generale dell’aviazione Robert Ritter<br />

von Greim, che lo pilotava personalmente, e la famosa pilota collaudatrice<br />

Hanna Reitsch. La Reitsch riuscì poi a ripartire dal bunker in aereo, sfuggendo<br />

indenne al fuoco nemico. Hitler avrebbe potuto essere portato in<br />

salvo su un aereo e poi, a bordo <strong>di</strong> un sommergibile oceanico, 20 avrebbe<br />

potuto raggiungere terre ospitali come la Spagna (ove trovarono rifugio non<br />

pochi fascisti e nazisti provenienti da tutta Europa) o il Sudamerica. 21 Al<br />

riguardo, Joscelyn Godwin nel suo saggio Il mito polare (Arktos. The Polar<br />

Myth in Science, Symbolism, and Nazi Survival, 1993) 22 riferisce la fantasiosa<br />

tesi del cileno Miguel Serrano, teosofo e occultista, il quale credeva<br />

18 Denuncia le connivenze alleate con l’organizzazione Gehlen Michael Zezima, Salvate<br />

il soldato potere. I falsi miti della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, trad. <strong>di</strong> Daniele Ballerini, Il Saggiatore,<br />

Milano <strong>2004</strong>, pp. 160-163.<br />

19 Prova a immaginare una ipotetica fuga <strong>di</strong> Hitler da Berlino Roger Spiller, Il Führer alla<br />

sbarra, in Se Lenin non avesse fatto la rivoluzione, a cura <strong>di</strong> Robert Cowley, Rizzoli, Milano<br />

2002, pp. 371-393 (vd. oltre al § 4).<br />

20 Va ricordato che sottomarini tedeschi, durante e soprattutto verso la fine della guerra,<br />

raggiunsero le coste del Sudamerica: così accadde al sottomarino U-977, che riuscì a navigare<br />

in immersione per 66 giorni, dalla base <strong>di</strong> Christiansund in Norvegia fino a Gibilterra, e da lì<br />

facendo rotta per il Mar della Plata in Argentina. Consegnatisi poi alle autorità locali, il comandante<br />

Heinz Schaeffer e l’equipaggio, interrogati da ufficiali angloamericani, dovettero <strong>di</strong>fendersi<br />

dall’accusa <strong>di</strong> aver trasportato Hitler. Vd. la narrazione della vicenda ricostruita dallo<br />

stesso Heinz Schaeffer, Non ho trasportato Hitler, in «Historia», n. 12, novembre 1958, pp. 44-<br />

51. Ritiene che l’U-977 abbia trasportato alti <strong>di</strong>gnitari nazisti, non escluso lo stesso Hitler, Gary<br />

Hyland, I segreti perduti della tecnologia nazista, trad. <strong>di</strong> Milvia Faccia, Newton & Compton,<br />

Roma <strong>2004</strong>², p. 116.<br />

21 Che già ospitava colonie <strong>di</strong> tedeschi risalenti ad<strong>di</strong>rittura alla fine dell’Ottocento: ad<br />

esempio, arrivati in Paraguay da Berlino, la sorella <strong>di</strong> Friedrich Nietzsche, Elisabeth (che sarà in<br />

seguito ossequiata dal regime nazista), e suo marito Bernhard Förster avevano fondato nel 1887<br />

una comunità composta da quattor<strong>di</strong>ci famiglie tedesche selezionate in base a una presunta<br />

purezza razziale ariana: vd. su questa colonia “protonazista” Stefano Malatesta, L’incre<strong>di</strong>bile<br />

storia della “Nueva Germania”, in «La Repubblica», 20 maggio 1992.<br />

22 Vd. Joscelyn Godwin, Il mito polare. L’Archetipo dei Poli nella scienza, nel simbolismo e<br />

nell’occultismo, trad. <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o De Nar<strong>di</strong>, E<strong>di</strong>zioni Me<strong>di</strong>terranee, Roma 2001, pp. 84 e 152-155.<br />

–42–


fermamente che Hitler fosse fuggito in Antartide, in una base segreta – la<br />

leggendaria Base 211 – costruita dai nazisti dopo le loro spe<strong>di</strong>zioni del<br />

1938-1939.<br />

Quin<strong>di</strong> già pochi mesi dopo la fine della guerra cominciarono a circolare<br />

voci su presunti avvistamenti del Führer nei luoghi più <strong>di</strong>sparati. 23<br />

Le testimonianze che costruirono la leggenda <strong>di</strong> un Hitler re<strong>di</strong>vivo, fortunosamente<br />

scampato al crollo del Terzo Reich, peccavano però tutte per<br />

l’assoluta mancanza <strong>di</strong> riscontri, ed è ben noto che uno dei principali criteri<br />

della ricerca storica è quello <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> fonti <strong>di</strong> documentazione<br />

cre<strong>di</strong>bili. Vale anche nel campo degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> storia contemporanea quello<br />

che vale nel campo dell’indagine penale, pur con qualche significativa<br />

<strong>di</strong>fferenza: unus testis nullus testis. Come ammonisce un eminente giurista,<br />

Franco Cordero (Franco Cordero, Procedura penale, Giuffré e<strong>di</strong>tore,<br />

Milano 1995³, pp. 605-606), è questione aperta fin dove il narrante racconti<br />

una verità autentica. A maggior ragione, sono altamente rischiose le ricostruzioni<br />

storiografiche compiute sulla base dei soli dati narrativi (Cordero,<br />

cit., p. 607), specialmente quando la fonte sia una sola. Una testimonianza<br />

unica, anche quando sia data in buona fede (dunque non frutto <strong>di</strong> menzogna<br />

o equivoco), è sempre suscettibile <strong>di</strong> errore: è noto che sia il tempo che le<br />

particolari con<strong>di</strong>zioni mentali <strong>di</strong> chi narra, nel momento in cui rievoca il<br />

fatto, provvedono ad affievolire se non a mutare sostanzialmente i dati mnemonici<br />

(sulla lenta ma inesorabile <strong>di</strong>struzione o deformazione del materiale<br />

mnestico che opera il decorso del tempo vd. Cesare Musatti, Elementi <strong>di</strong><br />

psicologia della testimonianza, Rizzoli, Milano 1991, I ed. 1931, pp. 182-<br />

193). Occorre notevole dose <strong>di</strong> cautela quando si incontra un solo documento<br />

o testimonianza attestante un determinato fatto. Essa non è certo da scartare a<br />

priori, ma va raccolta e vagliata con estrema prudenza ed è necessario confermarla<br />

con adeguati riscontri. Vale sempre la regola (riferita dal Trevor-Roper<br />

nella introduzione alla III e<strong>di</strong>zione del suo saggio, 1956) per cui lo storico<br />

deve chiedersi, <strong>di</strong> fronte ad una affermazione asserita come autentica, chi sia<br />

stato il primo a farla e quale possibilità abbia avuto costui <strong>di</strong> assistere ai fatti<br />

che narra (Trevor-Roper, cit., p. 14). Ciò a maggior ragione per la storia del<br />

nazismo, perché i campi d’indagine che riguardano persone e fatti <strong>di</strong> questa<br />

epoca sono stati notoriamente e abbondantemente frequentati da mitomani,<br />

visionari in buona o cattiva fede e falsari, come ha dovuto sperimentare lo<br />

stesso sir Hugh Trevor-Roper, imbattutosi nel clamoroso falso dei “<strong>di</strong>ari” <strong>di</strong><br />

23 Eloquente il titolo “Non è morto”, in «Corriere d’Informazione», 8-9 ottobre 1945.<br />

–43–


Hitler e, prima ancora, durante la sua indagine sulla fine del Führer, nelle ambigue<br />

testimonianze della giornalista svizzera Carmen Mory (già internata a<br />

Dachau e poi arruolatasi nella Gestapo) e del me<strong>di</strong>co Karl-Heinz Späth. 24<br />

Torna fuori perio<strong>di</strong>camente la falsa foto del cadavere (intatto) <strong>di</strong> Hitler riverso<br />

tra le rovine della Cancelleria: si tratta invece <strong>di</strong> un anonimo sosia, a cui una<br />

strana vicenda, non ancora ben chiarita da una seria indagine, riservò quella<br />

sorte. 25 Anche una rivista <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione storica anni ad<strong>di</strong>etro non ha resistito<br />

alla tentazione <strong>di</strong> presentare in copertina uno scoop sensazionale, sia pur in<br />

forma dubitativa (l’immagine <strong>di</strong> Hitler vi campeggia <strong>di</strong>etro l’ambiguo ma efficace<br />

titolo Una ipotesi sorprendente. È morto nel suo letto?). L’autore dello<br />

scoop, Horst Newmann, pretendeva <strong>di</strong> aver scovato il re<strong>di</strong>vivo Hitler in<br />

Africa, identificandolo con un vecchio che sarebbe morto <strong>di</strong> morte naturale<br />

nel 1964 nella “Terra <strong>di</strong> Nessuno”, una striscia <strong>di</strong> terra fra l’Angola e l’Africa<br />

del Sud Ovest che nel 1945 era libera da qualsiasi giuris<strong>di</strong>zione. Il vecchio<br />

avrebbe rivelato in punto <strong>di</strong> morte la sua identità a un missionario, tale padre<br />

Barata, e questi avrebbe raccontato il fatto al capo della polizia locale, il portoghese<br />

Manuel Faria. Quin<strong>di</strong> si tratta <strong>di</strong> una testimonianza <strong>di</strong> second’or<strong>di</strong>ne,<br />

<strong>di</strong> quelle da cui mette in guar<strong>di</strong>a Trevor-Roper. 26 L’articolo <strong>di</strong> «Historia», a<br />

nostro giu<strong>di</strong>zio, ci sembra un esempio <strong>di</strong> come non si deve fare un’indagine<br />

storica, a meno che non si voglia scadere nel facile sensazionalismo. Nessun<br />

riscontro viene riportato a suffragare la testimonianza personale dell’autore<br />

dell’articolo e del presunto straor<strong>di</strong>nario ritrovamento <strong>di</strong> Hitler in Africa, a<br />

parte il fatto che a un vecchio moribondo, stante in chissà quali con<strong>di</strong>zioni<br />

mentali, si può far <strong>di</strong>re ciò che si vuole.<br />

24 Al riguardo ricor<strong>di</strong>amo che nel 1966 si affacciò alla ribalta delle cronache una ragazza<br />

<strong>di</strong> ventinove anni, tale Gisela Heuser, che pretendeva <strong>di</strong> essere riconosciuta quale figlia naturale<br />

<strong>di</strong> Hitler.<br />

25 Vd. Enzo Biagi, Berlino, nel bunker dell’apocalisse, in «Corriere della Sera», 20 settembre<br />

1992. Sulla falsa foto del cadavere <strong>di</strong> Hitler: Carlo De Risio, Hitler, è una patacca lo<br />

scoop <strong>di</strong> Mosca, in «Il Tempo», 18 settembre 1992.<br />

26 Vd. Horst Newmann, In un angolo dell’Angola..., in «Historia», n. 119, ottobre 1967,<br />

pp. 18-29. Nell’articolo è riprodotta una foto <strong>di</strong> Hitler con una graziosa fanciulla bionda, che la<br />

<strong>di</strong>dascalia in<strong>di</strong>ca essere forse «la misteriosa Gisela, alla quale egli spesso scriveva e che potrebbe<br />

essere stata una sua figlia illegittima» (p. 21). Lungi dall’essere stata una sua figlia illegittima<br />

(e si vede quanto sia facile aggiungere leggende a leggende), la fanciulla si può chiaramente<br />

identificare con Geli Raubal, la nipote morta suicida nel 1931, proprio in casa del futuro<br />

<strong>di</strong>ttatore. Altra ricostruzione piuttosto fantasiosa è quella <strong>di</strong> Édouard Bobrowski, Il dossier della<br />

sparizione <strong>di</strong> Hitler, in I gran<strong>di</strong> enigmi della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, presentati da Bernard<br />

Michal, dossier n. 1, E<strong>di</strong>zioni Ferni, Ginevra 1972, pp. 223-246 (che lascia irrisolti gli interrogativi,<br />

non escludendo una ipotetica fuga del <strong>di</strong>ttatore).<br />

–44–


L’inchiesta <strong>di</strong> Trevor-Roper non ha, d’altra parte, chiarito tutti i particolari<br />

della morte <strong>di</strong> Hitler, sicché saltano fuori perio<strong>di</strong>camente nuove rivelazioni,<br />

più o meno fantasiose. Anzitutto non è stata fatta chiarezza<br />

sulle cause della morte <strong>di</strong> Hitler: si è avvelenato o si è sparato? O ha usato<br />

entrambi i mezzi, la pistola e il veleno (come asserì Axmann, che ne vide<br />

il corpo riverso e col capo insanguinato)? E poi dov’è stato sepolto? Che<br />

fine hanno fatto il suo corpo e quello della Braun? 27 I sovietici negarono<br />

la morte col colpo <strong>di</strong> pistola (rifiutando dunque le deposizioni <strong>di</strong> Erich<br />

Kempka, che asserì <strong>di</strong> aver visto sul pavimento della camera <strong>di</strong> Hitler due<br />

pistole, una Walther 7.65 e una Walther 6.35, e <strong>di</strong> Arthur Axmann, che<br />

invece ne vide una sola: deposizioni contrad<strong>di</strong>ttorie, ma ciò non implica<br />

che entrambe siano false), 28 sposando fermamente la tesi dell’avvelenamento.<br />

Come spiega Trevor-Roper, Stalin non poteva accettare il suici<strong>di</strong>o<br />

con la pistola, perché tale fine rappresentava un Heldentod, una morte da<br />

eroe. Attribuendo a Hitler la morte da codardo, il Feiglingtod, il <strong>di</strong>ttatore<br />

sovietico avrebbe stornato il possibile sorgere <strong>di</strong> un culto da martire per<br />

27 Stando alle ultime rivelazioni uscite fuori dagli archivi russi, all’indomani della caduta<br />

dell’URSS, i sovietici avrebbero sottoposto i corpi <strong>di</strong> Hitler e della Braun a due autopsie, a Berlino<br />

e presso Magdeburgo, e qui avrebbero poi seppellito segretamente i resti, in un’area sterrata<br />

al km. 30-32 della Klausenerstrasse. Nel 1970, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Leonid Breþnev, leader sovietico e<br />

segretario del PCUS, che temeva un trafugamento delle ossa da parte <strong>di</strong> gruppi neonazisti tedeschi,<br />

i resti sarebbero stati bruciati e le ceneri <strong>di</strong>sperse nel fiume Ehle. Vd. Gianfranco Modolo, In<br />

Germania la tomba <strong>di</strong> Hitler. Stalin or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> nasconderla, in «Corriere della Sera», 14 luglio<br />

1992. Secondo un’altra fonte, invece, i resti <strong>di</strong> Hitler sarebbero stati inviati a Mosca, ove sarebbero<br />

nascosti in una cassaforte segreta: Fiammetta Cucurnia, A Mosca i resti <strong>di</strong> Hitler?, in «La<br />

Repubblica», 1° maggio 1992. La giornalista avrebbe visto personalmente, nell’Archivio <strong>di</strong> Stato a<br />

Mosca, un frammento del cranio <strong>di</strong> Hitler con il foro del proiettile: Fiammetta Cucurnia, Ho visto<br />

il teschio <strong>di</strong> Hitler, in «La Repubblica», 24 febbraio 1993. Vd. anche Alex Saragosa, Misteri della<br />

Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, in «Quark», n. 51, aprile 2005, pp. 92-99. Gli ultimi memoriali usciti<br />

confermano la ricostruzione <strong>di</strong> Trevor-Roper: quello <strong>di</strong> Traudl Junge, l’ultima segretaria <strong>di</strong> Hitler<br />

(Traudl Junge, Fino all’ultima ora, a cura <strong>di</strong> Melissa Müller, trad. <strong>di</strong> Francesca Gimelli, Mondadori,<br />

Milano 2003), quello dell’ex crocerossina Erna Flegel (vd. l’intervista <strong>di</strong> Luke Har<strong>di</strong>ng,<br />

«Hitler mi strinse la mano e si sparò», in «Corriere della Sera», 3 maggio 2005) e quello dell’ex<br />

attendente del generale Guderian, il nobile Bernd Freytag von Loringhoven (vd. Dino Messina, A<br />

tu per tu con Hitler sull’orlo dell’abisso, in «Corriere della Sera», 20 novembre 2005).<br />

28 Riportiamo le parole <strong>di</strong> Axmann, alla base <strong>di</strong> ogni successiva ricostruzione storica e<br />

ancor oggi impressionanti: «Come entrammo, scorgemmo il Führer seduto su un piccolo <strong>di</strong>vano<br />

e <strong>di</strong> fianco a lui Eva Braun con la testa appoggiata sulla sua spalla. Il Führer era solo piegato un<br />

po’ in avanti: tutti capimmo che era morto. La sua mascella pendeva leggermente. Sul pavimento<br />

c’era una pistola. Da entrambe le tempie colava del sangue, e anche la bocca era tutta insanguinata.<br />

Non c’era però molto sangue sparso intorno... Credo che Hitler si sia prima avvelenato<br />

e poi si sia sparato in bocca: il colpo doveva aver provocato l’emorragia alle tempie»<br />

(Hugh Trevor-Roper, cit., p. 47).<br />

–45–


il capo nazista, che si sarebbe tradotto in un nuovo movimento anticomunista.<br />

Nuove ipotesi sono sostanzialmente più o meno ingegnose variazioni sul<br />

tema. Citiamo in proposito la ricostruzione <strong>di</strong> Henry Ludwigg (L’assassinio<br />

<strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Riccardo Landau, Longanesi & C., Milano 1967). Questo<br />

giornalista sfrutta un vieto argumentum ex silentio (tutti i testimoni della fine<br />

<strong>di</strong> Hitler hanno visto il Führer morto, nessuno però lo ha visto mentre si uccideva)<br />

per imbastire, armeggiando con dettagli e particolari, una sua poco<br />

plausibile versione: Hitler ed Eva Braun sarebbero stati costretti a prendere il<br />

veleno da Goebbels, che poi avrebbe sparato alla testa <strong>di</strong> Hitler per inscenare<br />

il suici<strong>di</strong>o e quin<strong>di</strong> la morte da eroe. Eva Braun però si sarebbe opposta (così<br />

come Claretta Petacci si oppose, con slancio <strong>di</strong>sperato, ai giustizieri <strong>di</strong> Mussolini)<br />

e ne sarebbe nata una colluttazione, traccia della quale (secondo Ludwigg,<br />

cit., pp. 276-281) sarebbe il vaso <strong>di</strong> fiori rovesciato sul pavimento<br />

della camera <strong>di</strong> Hitler. Il movente sarebbe stato il desiderio <strong>di</strong> Goebbels che<br />

Hitler, perduta ormai la partita, morisse da eroe e <strong>di</strong>ventasse un esempio <strong>di</strong><br />

grandezza per i tedeschi. Questa ipotesi, a nostro giu<strong>di</strong>zio, è poco convincente,<br />

dato che molte testimonianze provano, invece, la fanatica determinazione<br />

<strong>di</strong> Hitler, che non mostrava certo dubbi o titubanze <strong>di</strong> qualsiasi genere,<br />

a resistere fino alla fine e a non lasciarsi prendere vivo dai nemici. 29 Inoltre<br />

Goebbels, che sempre si mostrò devotissimo al suo Führer, avrebbe accettato<br />

qualunque decisione <strong>di</strong> questi, fuga compresa.<br />

Un celebre coroner degli Stati Uniti, Thomas Noguchi, mette però in<br />

dubbio in un suo libro 30 il riconoscimento del corpo <strong>di</strong> Hitler e della Braun<br />

effettuato tramite le ra<strong>di</strong>ografie dentarie. Confrontando le ricerche <strong>di</strong> due<br />

me<strong>di</strong>ci specialisti statunitensi, Raeder Sognaees e Lester Luntz, i quali negano,<br />

documenti alla mano, 31 che le ra<strong>di</strong>ografie presentate dai sovietici<br />

come prelevate dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Blaschke, fossero quelle <strong>di</strong> Hitler e della<br />

Braun, Noguchi giunge alla conclusione che il corpo identificato come<br />

29 Nella decisione <strong>di</strong> finire i suoi giorni nel bunker, confluirono motivi wagneriani, nichilismo<br />

germanico e romanticherie decadentistiche, secondo Joachim Fest, Hitler. Una biografia,<br />

vers. it. <strong>di</strong> Francesco Saba Sar<strong>di</strong>, cit., pp. 1038-1039. Del medesimo vd. anche Un suici<strong>di</strong>o per<br />

sottrarsi alla storia, in «La Repubblica», 19 aprile 2005.<br />

30 Thomas Noguchi (in collaborazione con Joseph Dimona), Hitler è fuggito?, in La parola<br />

al coroner, trad. <strong>di</strong> Paola Frezza, Rizzoli, Milano 1986.<br />

31 Sognaees aveva trovato cinque ra<strong>di</strong>ografie della testa <strong>di</strong> Hitler eseguite nel 1944, quin<strong>di</strong><br />

ante mortem, e aveva <strong>di</strong>mostrato che la Braun non aveva un ponte dentario in plastica, come<br />

invece asserito dai sovietici, vd. Noguchi, cit., pp. 175-176.<br />

–46–


quello <strong>di</strong> Eva Braun non apparteneva affatto alla moglie <strong>di</strong> Hitler. “E se un<br />

cadavere era stato sostituito, perché non potevano esserlo stati entrambi?”:<br />

questo l’interrogativo posto alla fine da Noguchi, dopo aver ricordato che<br />

effettivamente nessuno udì lo sparo nella camera <strong>di</strong> Hitler e che i russi<br />

avrebbero rinvenuto, secondo un sensazionale articolo della rivista «Time»<br />

apparso nel depoguerra, un passaggio segreto conducente dal bunker a una<br />

tramvia sotterranea.<br />

La fine <strong>di</strong> Hitler <strong>di</strong>venta ancor più inaspettata e si carica <strong>di</strong> suggestioni inquietanti<br />

nella ricostruzione del chirurgo e me<strong>di</strong>co legale Hugh Thomas, il<br />

quale, nel respingere completamente le conclusioni (definite “una favola”) <strong>di</strong><br />

Trevor-Roper, presenta a sua volta una serie <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong>fficilmente confutabili.<br />

32 Secondo Thomas, la versione del colpo <strong>di</strong> pistola in bocca e quella dell’avvelenamento<br />

per cianuro sarebbero entrambe inatten<strong>di</strong>bili: la prima,<br />

perché non sono state rilevate tracce <strong>di</strong> sangue, conseguenti a schizzi ematici,<br />

sulla parete <strong>di</strong>etro il <strong>di</strong>vano sul quale stava seduto Hitler; la seconda, perché i<br />

testimoni non hanno rilevato l’odore <strong>di</strong> mandorle amare tipico del cianuro né<br />

la bava alla bocca sintomo <strong>di</strong> questo veleno. Inoltre, osserva Thomas, i cadaveri<br />

non potevano stare seduti assieme sul <strong>di</strong>vano (così come appaiono nei<br />

racconti dei testimoni) perché il cianuro genera terribili convulsioni e spasimi<br />

e per tali convulsioni i due suici<strong>di</strong> sarebbero dovuti finire a terra. Thomas<br />

prova, confermando Noguchi, la <strong>di</strong>fformità tra la dentatura della Braun nelle<br />

ra<strong>di</strong>ografie ante mortem e quella che appare nelle lastre prese dai sovietici sul<br />

cadavere, perché la donna non portava ponti dentari (p. 170). I ponti dentari<br />

del cadavere <strong>di</strong> Hitler corrispondono a quelli del <strong>di</strong>ttatore – nota ancora<br />

Thomas –, ma lo smalto <strong>di</strong> porcellana che ricopriva il metallo fu ritrovato sorprendentemente<br />

intatto (p. 176): avrebbe invece dovuto esser danneggiato, se<br />

non sciolto, dal calore delle fiamme (per la cremazione dei corpi nel giar<strong>di</strong>no<br />

della Cancelleria vennero usati duecento litri <strong>di</strong> benzina). Il me<strong>di</strong>co ricorda<br />

ancora che nei campioni <strong>di</strong> tessuto prelevato dai sovietici sul cadavere <strong>di</strong><br />

Hitler non furono trovati residui <strong>di</strong> cianuro, a parte la fiala spezzata in bocca<br />

(p. 197). A conclusione del suo stu<strong>di</strong>o Thomas, che cerca <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare con<br />

una minuziosa analisi come le deposizioni rilasciate a Trevor-Roper siano palesemente<br />

false, avanza la tesi della frode me<strong>di</strong>co-legale (che sarebbe stata<br />

perpetrata dai sovietici) e presenta una sua versione dei fatti, a cui riesce <strong>di</strong>fficile,<br />

però, prestare fede. Secondo Thomas Hitler sarebbe stato strangolato dal<br />

32 Hugh Thomas, I giorni del bunker. La vera storia della fine <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Flavia<br />

Buzza, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1997.<br />

–47–


suo cameriere Heinz Linge, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Eva Braun che ne era <strong>di</strong>venuta l’amante,<br />

e al cadavere sarebbe stato versato in bocca il cianuro dal dottor<br />

Stumpfegger (pp. 228-238). Tutti, poi, compresa la Braun, si sarebbero allontanati<br />

dal bunker. È una versione che si fatica ad accettare, sia perché riduce<br />

la fine del <strong>di</strong>ttatore a un me<strong>di</strong>ocre feuilleton sia perché presuppone nella<br />

Braun una libertà <strong>di</strong> iniziativa e un coraggio <strong>di</strong> cui mai <strong>di</strong>ede prova nel suo<br />

rapporto col Führer sia, infine, perché mancano riscontri, e persino semplici<br />

voci, che attestino una sopravvivenza della Braun oltre il 30 aprile 1945.<br />

Non sopravvissuto alla storia, Hitler sopravvive nella narrativa <strong>di</strong> spionaggio<br />

e fantastica, posto al centro <strong>di</strong> complotti che oscure potenze tramano<br />

per riportare alla ribalta della storia il nazismo. A garantire la sopravvivenza <strong>di</strong><br />

Hitler oltre lo spazio e il tempo, si è fatto ricorso, nella fantasia dei romanzieri,<br />

anche alla clonazione. È quanto prevede, sognando la letterale rinascita del<br />

Führer, il <strong>di</strong>abolico piano escogitato dal re<strong>di</strong>vivo dottor Mengele: me<strong>di</strong>ante la<br />

clonazione il <strong>di</strong>ttatore rivivrà nel corpo <strong>di</strong> novantaquattro bambini, tutti portatori<br />

dei geni <strong>di</strong> Hitler, e da lui fatti adottare ad ignari genitori sparsi nel<br />

mondo. Così è la trama del romanzo <strong>di</strong> Ira Levin, I ragazzi venuti dal Brasile<br />

(The Boys from Brazil, 1976), 33 che vede però un agente israeliano sventare il<br />

progetto e il folle dottor Mengele finire sbranato dai cani <strong>di</strong> uno dei suoi bambini<br />

creati in laboratorio. Eva Braun, invece, sopravvive nel romanzo Il settimo<br />

segreto <strong>di</strong> Irving Wallace (The Seventh Secret, 1986): l’indagine per far<br />

luce sulla misteriosa scomparsa del padre (uno storico <strong>di</strong> Oxford che si era recato<br />

a Berlino per cercare notizie sulla morte <strong>di</strong> Hitler), conduce la protagonista<br />

del romanzo, la giovane Emily Ashcroft, sulle tracce <strong>di</strong> una organizzazione<br />

neonazista che nasconde un incre<strong>di</strong>bile segreto. In un gigantesco e segretissimo<br />

bunker posto sotto la città <strong>di</strong> Berlino, sorvegliato da centinaia <strong>di</strong><br />

guar<strong>di</strong>e armate, vive Eva Braun, rimasta sola dopo la morte del <strong>di</strong>ttatore (l’autore<br />

la pone al 1963 per il morbo <strong>di</strong> Parkinson), il quale si sarebbe rifugiato là<br />

per attendere l’olocausto nucleare e organizzare una impossibile rinascita del<br />

Terzo Reich. 34 Nel romanzo vi è anche una figlia <strong>di</strong> Hitler e della Braun, la<br />

quale, appena conosciuti i suoi natali, è presa dall’orrore e si suicida.<br />

Provvedono ad ammantare <strong>di</strong> mistero la sopravvivenza del nazismo<br />

anche le organizzazioni segrete, la più famosa delle quali è certamente<br />

33 Ira Levin, I ragazzi venuti dal Brasile, trad. <strong>di</strong> Adriana Dell’Orto, Club degli E<strong>di</strong>tori,<br />

Milano 1977, su licenza della Mondadori.<br />

34 Irving Wallace, Il settimo segreto, trad. <strong>di</strong> Olivia Crosio, Sperling & Kupfer, Milano<br />

1987.<br />

–48–


l’organizzazione “Odessa” (acronimo <strong>di</strong> Organisation der SS-Angehörigen,<br />

organizzazione degli ex appartenenti alle SS), che sarebbe stata costituita<br />

nel 1947 alla scopo <strong>di</strong> facilitare la fuga dei ricercati nazisti dall’Europa (le<br />

vicende dell’organizzazione hanno ispirato al romanziere Frederic Forsyth<br />

un famoso romanzo tra spionaggio e fantapolitica, Dossier Odessa). 35<br />

L’“Odessa” scelse l’Italia come crocevia per gli itinerari dei nazisti in fuga<br />

(è noto che Roma e Genova sono state tappe importanti per la via <strong>di</strong> fuga<br />

dei nazisti e fascisti ricercati in tutta Europa). Per quasi tutti la meta privilegiata<br />

era il Sudamerica, dov’erano fiorite da tempo prospere colonie<br />

tedesche, come a Bariloche in Argentina. 36 Secondo alcune versioni la CIA<br />

avrebbe fornito uomini e mezzi per assicurare ai nazisti la salvezza in<br />

Sudamerica, ricevendone in cambio preziose in<strong>di</strong>cazioni sui tesori da quelli<br />

accumulati durante gli anni del Terzo Reich e arruolandoli tra le file dello<br />

spionaggio americano in funzione antisovietica: uomini come Eichmann,<br />

Barbie, Mengele, Priebke e molti altri sarebbero espatriati grazie ai passaporti<br />

falsi forniti da agenti americani. 37 La salita al potere del generale Juan<br />

35 The Odessa File, 1972, trad. <strong>di</strong> Marco Tropea, Mondadori, Milano 1989, II rist. Nel<br />

romanzo l’organizzazione trama un <strong>di</strong>abolico piano per dotare il presidente Nasser <strong>di</strong> missili<br />

con testate chimiche e batteriologiche, con cui bombardare Israele. Il nazista che appare nelle<br />

pagine del romanzo, Eduard Roschmann, è realmente esistito: era il comandante del ghetto <strong>di</strong><br />

Riga e, dopo la guerra, riuscì a fuggire in Sudamerica grazie proprio alla “Odessa”. Sarebbe<br />

morto in Paraguay nel 1977. Su Roschmann vd. Simon Wiesenthal, Giustizia, non vendetta,<br />

trad. <strong>di</strong> Carlo Mainol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano <strong>2004</strong>, rist., pp. 128-136.<br />

36 Svela la rete <strong>di</strong> complicità e silenzi che avvolse la fuga dei nazisti il saggio <strong>di</strong> Giovanni<br />

Maria Pace, La via dei demoni, Sperling & Kupfer, Milano 2000 (sugli ambienti ecclesiastici<br />

coinvolti vd. le pp. 3-32). Nell’opera <strong>di</strong> aiuto ai nazisti in fuga si sarebbe <strong>di</strong>stinto monsignor<br />

Alois Hudal, rettore del Collegio germanico <strong>di</strong> Santa Maria dell’Anima a Roma, il quale<br />

avrebbe preparato la cosiddetta “via romana”, assieme a Walter Rauff, capo dell’SD (il servizio<br />

<strong>di</strong> sicurezza nazista) nell’Italia del Nord, e sarebbe stato coinvolto nella fuga <strong>di</strong> Bormann, come<br />

si legge in Storia segreta della Gestapo, presentata da Jean Dumont, vol. IV, E<strong>di</strong>zioni Ferni,<br />

Ginevra 1972, pp. 165-169 e 193-194 (notizie da vagliare con cautela). Peraltro, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

Pio XII, mons. Hudal protestò fermamente nell’ottobre 1943 con il governatore tedesco <strong>di</strong><br />

Roma, generale Stahel, per gli arresti degli ebrei: vd. Anthony Rhodes, Il Vaticano e le <strong>di</strong>ttature<br />

1922-1945, trad. <strong>di</strong> Paolo Colacicchi, Mursia, Milano 1975, p. 361; Andrea Tornielli, Pio XII,<br />

ed. spec. per «Famiglia Cristiana» su lic. E<strong>di</strong>zioni Piemme, Bergamo 2002, pp. 238-239.<br />

37 Sulla ricerca dei criminali nazisti nel dopoguerra vd.: La caccia ai criminali nazisti, suppl.<br />

a «Storia Illustrata», n. 186, 1973. Sulla fuga <strong>di</strong> Mengele e le complicità del governo argentino<br />

e della CIA: Leonardo Coen, Passaporto per il dottor Mengele, in «La Republica»,<br />

22 febbraio 1992; vd. anche Maurizio Molinari, «Così la Cia ha protetto i criminali nazisti»,<br />

in «La Stampa», 28 aprile 2001. Non crede alla morte <strong>di</strong> Mengele, annunciata nel 1979, Simon<br />

Wiesenthal, Giustizia, non vendetta, cit., pp. 139-152. Sulle protezioni <strong>di</strong> cui ha goduto Erich<br />

Priebke in Sudamerica vd. Mary Pace, Dietro Priebke, E<strong>di</strong>zioni Piemme, Casale Monferrato 1997.<br />

–49–


Domingo Perón, il quale ebbe peraltro a <strong>di</strong>chiarare la sua ammirazione per<br />

le realizzazioni sociali del fascismo italiano, <strong>di</strong>ede poi ai nazisti la possibilità<br />

<strong>di</strong> trovare un comodo rifugio in Argentina.<br />

Il caso Bormann è emblematico degli errori a cui possono condurre la<br />

suggestionabilità <strong>di</strong> testimoni “veritieri” e l’approssimazione <strong>di</strong> ricercatori<br />

dell’enigma nel campo degli stu<strong>di</strong> storici o, piuttosto, <strong>di</strong> giornalisti alla<br />

caccia dello scoop sensazionale. Per decenni occuparono le cronache dei<br />

giornali presunte “rivelazioni” sulla presenza <strong>di</strong> Martin Bormann (già segretario<br />

<strong>di</strong> Rudolf Hess, 38 arricchitosi amministrando la cassa del partito, il<br />

Reichsleiter con i suoi intrighi 39 <strong>di</strong>venne la personalità più importante del<br />

regime nazista dopo Hitler, <strong>di</strong> cui fu segretario, e fu condannato a morte in<br />

contumacia dai giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Norimberga per crimini <strong>di</strong> guerra e crimini contro<br />

l’umanità) in varie località dell’Europa e del Sudamerica.<br />

Le tracce <strong>di</strong> Martin Bormann in realtà si perdono la notte del primo<br />

maggio 1945, quando a Berlino il gerarca, sopravvissuto ai suici<strong>di</strong> nel bunker,<br />

si unisce a un gruppo <strong>di</strong> fuggiaschi che speravano <strong>di</strong> superare <strong>di</strong>etro un carro<br />

armato l’accerchiamento delle truppe sovietiche. Sono con lui il me<strong>di</strong>co delle<br />

SS Ludwig Stumpfegger e Arthur Axmann, successore <strong>di</strong> Baldur von Schirach<br />

in capo alla Hitlerjugend, l’organizzazione giovanile nazista. I tre, con<br />

pochi altri compagni, si riparano <strong>di</strong>etro un carro armato, che però viene centrato<br />

dall’artiglieria nemica ed esplode. A seguito dell’esplosione il gruppo si<br />

<strong>di</strong>sperde e da allora <strong>di</strong> Martin Bormann non si sa più nulla.<br />

Arthur Axmann, catturato dai Russi, testimoniò sotto giuramento <strong>di</strong><br />

aver veduto i corpi <strong>di</strong> Bormann e Stumpfegger apparentemente senza segni<br />

<strong>di</strong> vita e senza traccia <strong>di</strong> ferite, presso la stazione ferroviaria <strong>di</strong> Lehrt.<br />

I giu<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Norimberga non vollero però credere alla versione della sua<br />

morte e lo processarono in contumacia assieme agli altri gerarchi del Terzo<br />

Reich, condannandolo a morte per crimini contro la pace e crimini contro<br />

38 Rudolf Hess, già delfino del Führer, fuggito misteriosamente in Inghilterra per trattare la<br />

pace nel luglio 1941, <strong>di</strong>chiarato ufficialmente pazzo dagli organi del regime nazista, scampa alla<br />

forca a Norimberga e, rinchiuso per oltre quarant’anni nel carcere <strong>di</strong> Spandau, vi muore misteriosamente<br />

nel 1990. Hess, membro <strong>di</strong> circoli esoterici, come la Thule Gesellschaft, era <strong>di</strong>scepolo<br />

del professor Karl Haushofer, docente <strong>di</strong> geopolitica, e vantava buoni amici in Inghilterra,<br />

come il duca <strong>di</strong> Hamilton. Sui rapporti tra Hess e i circoli esoterici vd. Giorgio Galli, Hitler e il<br />

nazismo magico, Rizzoli, Milano 1989, pp. 59-61.<br />

39 Per chiarire la doppiezza del personaggio, va ricordato che egli, dopo aver determinato<br />

con pretestuose accuse <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>mento la caduta in <strong>di</strong>sgrazia <strong>di</strong> gerarchi del calibro <strong>di</strong> Goering e<br />

<strong>di</strong> Himmler, aveva tentato a sua volta <strong>di</strong> intavolare trattative col generale sovietico Èujkov<br />

durante l’asse<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Berlino.<br />

–50–


l’umanità. Da allora cominciarono a circolare le più fantasiose versioni<br />

sulla presunta fuga <strong>di</strong> Bormann: che sarebbe stato portato in salvo dai<br />

sovietici, ai quali avrebbe reso in passato preziosi servizi <strong>di</strong> spionaggio,<br />

per vivere tranquillamente in URSS fino al 1970; che si sarebbe rifugiato<br />

nel bunker <strong>di</strong> Adolf Eichmann, non lontano dalla Cancelleria, venendo poi<br />

<strong>di</strong> là prelevato da due sacerdoti e scortato fino a Merano 40 travestito in<br />

abito talare. Vi prestò fede anche il più famoso cacciatore <strong>di</strong> nazisti, Simon<br />

Wiesenthal, che ricevette centinaia <strong>di</strong> segnalazioni su Bormann vivo nel<br />

suo Centro <strong>di</strong> Documentazione a Vienna.<br />

Si accavallarono per decenni sulle peregrinazioni e i presunti “avvistamenti”<br />

<strong>di</strong> Bormann versioni fantastiche, testimonianze dubbie spacciate per<br />

atten<strong>di</strong>bilissime da giornalisti <strong>di</strong>sposti a tutto per agguantare uno scoop, e<br />

vere e proprie leggende <strong>di</strong> mitomani. Una delle ricostruzioni più dettagliate<br />

(ed è curioso che chi riporta questa e consimili versioni sia a conoscenza dei<br />

particolari più minuti, quasi avesse egli stesso partecipato <strong>di</strong> persona alle peripezie<br />

del fuggiasco) racconta che Bormann, messosi in salvo fortunosamente<br />

da una Berlino in fiamme con l’aiuto <strong>di</strong> un volontario spagnolo della<br />

legione Azul, si sarebbe imbarcato a bordo <strong>di</strong> un U-Boot, salpato dalla baia<br />

<strong>di</strong> Flensburg per <strong>di</strong>rigersi in Irlanda. Da Dublino il fuggiasco si sarebbe trasferito<br />

via mare a Santander in Spagna, ove sarebbe rimasto quasi un anno.<br />

Quin<strong>di</strong> nell’aprile del 1946 si sarebbe recato in Italia, a Genova (vi sarebbe<br />

giunto il 4 aprile), e poi in treno a Milano (il 16 aprile): da qui qualche<br />

giorno dopo sarebbe partito per Roma, ove, protetto da monsignor Hudal, si<br />

sarebbe rifugiato in un convento francescano a 35 chilometri dalla capitale,<br />

trovandovi un incarico da bibliotecario e, dopo una permanenza claustrale <strong>di</strong><br />

alcuni anni (interrotta soltanto nel 1948 per far visita alla tomba della moglie<br />

Gerda Buch, morta <strong>di</strong> cancro in un ospedale <strong>di</strong> Merano nel 1946), si sarebbe<br />

imbarcato a Napoli per giungere finalmente a Buenos Aires nel luglio del<br />

1951. Quin<strong>di</strong> si sarebbe spostato variamente in Argentina, Paraguay e Cile. 41<br />

40 Anche Merano sarebbe stata un crocevia <strong>di</strong> nazisti in fuga nel dopoguerra: vi sarebbero<br />

transitati Mengele, Eichmann, Bormann, Wolff (il capo delle SS in Italia), Priebke e altri, ottenendo<br />

denari, documenti falsi e coperture per il successivo espatrio in Sudamerica. Vd. Pierangelo<br />

Giovannetti, I ragazzi <strong>di</strong> Merano, in «Famiglia Cristiana», n. 42, 2003, pp. 66-69.<br />

41 Le peripezie del fuggiasco Bormann, che <strong>di</strong>sinvoltamente passa dalla <strong>di</strong>visa nazista alla<br />

tonaca pretesca e al saio francescano, sono narrate (per la verità con buona dose <strong>di</strong> fantasia) da<br />

Fabrice Laroche, I «gran<strong>di</strong> evasi» del Reich, in Storia segreta della Gestapo, cit., pp. 186-193;<br />

insiste nel presentare la vicenda Bormann in chiave <strong>di</strong> intrigo internazionale Philippe Bernert,<br />

Martin Bormann, il re<strong>di</strong>vivo, in Gran<strong>di</strong> enigmi della storia dal torrione della Bastiglia al<br />

bunker <strong>di</strong> Hitler, a cura <strong>di</strong> Gilbert Guilleminault, Peruzzo e<strong>di</strong>tore, Milano 1966, pp. 164-189;<br />

–51–


Ma il fuggitivo nella sua nuova patria non avrebbe saputo darsi pace. Dopo<br />

l’arresto <strong>di</strong> Eichmann nel 1960 (com’è noto venne rapito davanti alla sua<br />

casa in Argentina da agenti del Mossad), Bormann, spaventato dal proposito<br />

del nuovo presidente Arturo Fron<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> far rintracciare e arrestare i nazisti<br />

rifugiati, avrebbe trovato ancora ricovero in un convento servendovi come<br />

<strong>di</strong>acono. Questa e consimili storie ingarbugliate, fatte circolare a bella posta,<br />

hanno creato nel corso degli anni la leggenda <strong>di</strong> un Martin Bormann re<strong>di</strong>vivo<br />

e protetto, ad opera della CIA, dalla condanna a morte in contumacia comminatagli<br />

a Norimberga.<br />

Nel <strong>di</strong>cembre 1972 avviene, però, un colpo <strong>di</strong> scena: proprio qualche<br />

giorno dopo la pubblicazione <strong>di</strong> un voluminoso “Dossier Bormann” sul<br />

Daily Express, vengono rinvenuti a Berlino, presso il Parco Giochi Ulap,<br />

un teschio e alcuni frammenti ossei da due sterratori che lavorano alle tubature.<br />

Il teschio è riconosciuto per quello <strong>di</strong> Bormann dal dentista Fritz Echtmann,<br />

che aveva curato il gerarca: quin<strong>di</strong>, dopo che nel 1973 una sentenza<br />

del tribunale <strong>di</strong> Francoforte ha accertato in via definitiva la morte <strong>di</strong> Bormann<br />

a Berlino la notte del primo maggio 1945 (sulla base dei reperti rinvenuti),<br />

il mistero appare finalmente risolto. Tanto più che, a convalidare<br />

definitivamente la verità giu<strong>di</strong>ziaria, sopraggiunge l’esame del DNA effettuato<br />

sui medesimi resti nel 1999, con la conferma che si tratta proprio <strong>di</strong><br />

Martin Bormann. Dunque non sembra esservi più dubbio alcuno: Bormann<br />

è morto a Berlino la notte del primo maggio 1945, probabilmente suicidatosi<br />

dopo aver constatato l’impossibilità <strong>di</strong> sfuggire all’accerchiamento dei<br />

Russi.<br />

Senonché una recentissima pubblicazione viene a rimettere in dubbio<br />

ciò che sembrava definitivamente acquisito dagli storici. Si tratta dello<br />

straor<strong>di</strong>nario racconto <strong>di</strong> Christopher Creighton, Salvate Bormann (trad. <strong>di</strong><br />

Brunello Lotti, Rizzoli, Milano 1996), presentato come il resoconto autentico<br />

della rischiosissima operazione <strong>di</strong> salvataggio <strong>di</strong> Martin Bormann.<br />

Questa sarebbe stata compiuta dai commandos inglesi per incarico <strong>di</strong><br />

Churchill, che intendeva avere dal gerarca le chiavi d’accesso dei conti<br />

esteri in cui erano depositati i tesori accumulati dai nazisti: secondo l’autore,<br />

il cui vero nome è John Ainsworth-Davis, figlio <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>co dell’e-<br />

vd. anche Gian Franco Vené, Bormann: il fantasma inafferrabile, in La caccia ai criminali<br />

nazisti, cit., pp. 114-125 (più prudente nelle conclusioni); invece Richard Garrett, Bormann è<br />

fuggito?, in I gran<strong>di</strong> misteri insoluti, a cura <strong>di</strong> John Canning, trad. <strong>di</strong> Marco Veronesi, Mondadori,<br />

Milano 1991, dà cre<strong>di</strong>to al mito della sopravvivenza del gerarca nazista.<br />

–52–


sercito inglese, Bormann sarebbe stato salvato dagli alleati e portato ad<strong>di</strong>rittura<br />

ad assistere al processo <strong>di</strong> Norimberga, da una saletta riservata. Ma<br />

v’è <strong>di</strong> più: la rischiosissima operazione sarebbe stata organizzata da Ian<br />

Fleming (il padre del celeberrimo agente 007), del quale Creighton sarebbe<br />

stato il braccio destro. Il nome in co<strong>di</strong>ce della missione sarebbe stato<br />

“operazione James Bond”, e avrebbe fornito lo spunto proprio a Fleming<br />

per creare il personaggio del celeberrimo agente segreto. Osserviamo,<br />

però, che mancano anche in questo caso riscontri alla storia, che già <strong>di</strong> per<br />

sé ci appare poco convincente, a cominciare dalla presentazione che il<br />

Creighton fa <strong>di</strong> se stesso e della sua straor<strong>di</strong>naria carriera, rappresentandosi<br />

come una specie <strong>di</strong> emulo della Primula Rossa. 42 Avvezzo fin da giovanissimo<br />

alle frequentazioni altolocate (avrebbe avuto in gioventù familiarità<br />

ad<strong>di</strong>rittura con lord Louis Mountbatten, col duca <strong>di</strong> York, il futuro<br />

re Giorgio VI, con Winston Churchill e perfino con Joachim von Ribbentrop,<br />

da lui conosciuto al liceo <strong>di</strong> Metz) sarebbe entrato a se<strong>di</strong>ci anni nella<br />

sezione M del controspionaggio inglese, 43 con i buoni uffici <strong>di</strong> Desmond<br />

Morton, il fondatore stesso della sezione M nonché amico <strong>di</strong> famiglia, e si<br />

sarebbe qui <strong>di</strong>stinto per la precoce attitu<strong>di</strong>ne a imprese rischiosissime (a<br />

soli se<strong>di</strong>ci anni avrebbe guidato un attacco <strong>di</strong> commandos alla base <strong>di</strong> sottomarini<br />

tedeschi <strong>di</strong> Donegal, in Irlanda, uccidendovi personalmente<br />

quattro nemici), compiendo poi una complessa attività <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinformazione<br />

(che lo avrebbe condotto nel territorio della Germania, ad incontrare ad<strong>di</strong>rittura<br />

von Ribbentrop, Kaltenbrunner, Rommel e perfino Hitler, <strong>di</strong> cui<br />

avrebbe guadagnato la personale fiducia). All’inizio del 1943 Creighton<br />

viene arruolato da lord Mountbatten nell’unità segreta COPP (Combined<br />

Operations Pilotage Party). Nel febbraio del 1945, assieme a Ian Fleming,<br />

suo superiore, travestito con la <strong>di</strong>visa delle Waffen SS, incontra in Germania<br />

von Ribbentrop, che gli propone <strong>di</strong> scambiare la consegna <strong>di</strong> Martin<br />

Bormann contro il versamento <strong>di</strong> venticinque milioni <strong>di</strong> franchi svizzeri e<br />

la personale salvezza del capo della <strong>di</strong>plomazia nazista in Sudamerica (ma<br />

la progettata fuga <strong>di</strong> von Ribbentrop non andrà in porto). Il piano è ingegnoso<br />

e complesso: il ministro nazista sarà prelevato a Berlino da una<br />

42 Il celebre avventuriero, creato dalla fantasia della baronessa Orczy, che coraggiosamente<br />

salva i nobili francesi dalla ghigliottina durante il Terrore rivoluzionario. È lo stesso Creighton a<br />

confessare la sua ammirazione per le imprese <strong>di</strong> sir Percy Blackeney alias la Primula Rossa.<br />

43 La sezione resa celebre dai romanzi <strong>di</strong> Ian Fleming, che vi pone a capo l’ammiraglio<br />

Miles Messervy (“M”, il capo dell’agente 007).<br />

–53–


squadra <strong>di</strong> commandos e trasportato <strong>di</strong> notte, su kayak, lungo i fiumi della<br />

Sprea e dell’Havel, in <strong>di</strong>rezione nordovest, fino all’Elba, per essere qui<br />

consegnato alle truppe alleate. Dopo essersi ancora incontrati con von Ribbentrop<br />

e Bormann nel marzo 1945 (è stupefacente l’irrisoria facilità con<br />

cui i due inglesi entrano ed escono dalla Germania ormai ridotta a campo<br />

<strong>di</strong> battaglia), l’operazione inizia il 24 aprile 1945. Paracadutatisi <strong>di</strong> notte a<br />

Berlino, i commandos (un folto gruppo <strong>di</strong> centocinquanta persone, comprendente<br />

molte donne e i giovani membri <strong>di</strong> una brigata ebraica <strong>di</strong> Combattenti<br />

per la libertà) s’imbarcano sulla riva del Müggelsee, navigano<br />

lungo la Sprea per 19 chilometri e attraccano i kayak al ponte <strong>di</strong> Weidendamm,<br />

ove costituiscono una base abilmente mimetizzata. Quin<strong>di</strong><br />

Creighton e Fleming, in compagnia del tenente della marina americana<br />

Barbara Brabenov, tanto avvenente quanto bravissima coa<strong>di</strong>utrice nell’impresa,<br />

si incontrano con Bormann tra le rovine della Cancelleria e, dopo<br />

essersi accordati per prelevarlo il primo maggio, vi rimangono fino al 29<br />

aprile (riuscendo pro<strong>di</strong>giosamente a scampare all’attenzione <strong>di</strong> tedeschi e<br />

russi). La notte del primo maggio i tre, portandosi <strong>di</strong>etro un prigioniero tedesco,<br />

tale Günther, un perfetto sosia <strong>di</strong> Bormann, prelevano il gerarca e,<br />

confusi tra soldati tedeschi che continuano a non accorgersi <strong>di</strong> loro, si accodano<br />

a un carro armato. Sulla Friedrichstrasse il carro è colpito dall’artiglieria<br />

russa e salta in aria. A questo punto Creighton uccide il sosia <strong>di</strong><br />

Bormann, per far credere alla morte del gerarca, mentre quello vero viene<br />

imbarcato sul kayak. La fila dei kayak naviga lungo la Sprea e poi l’Havel,<br />

in <strong>di</strong>rezione nordovest, passa sotto i ponti Charlotten, Dischinger e Pichelsdorf,<br />

superando ogni tipo <strong>di</strong> sbarramento. Dopo vari giorni <strong>di</strong> navigazione<br />

notturna e sosta <strong>di</strong>urna i kayak giungono l’un<strong>di</strong>ci maggio ad Havelberg,<br />

sulla riva dell’Elba, dove Bormann è finalmente consegnato agli alleati. Il<br />

nazista è quin<strong>di</strong> portato in Inghilterra, sottoposto a una operazione <strong>di</strong> plastica<br />

facciale e relegato nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Highgate, dove vive in<strong>di</strong>sturbato<br />

dal 1945 al 1956 (ma nel 1946 è portato dagli inglesi ad assistere al processo<br />

<strong>di</strong> Norimberga), rendendo preziosi servigi alla CIA e al servizio segreto<br />

inglese, soprattutto nella ricerca dei suoi ex camerati in fuga. Quin<strong>di</strong><br />

Bormann muore in Paraguay nel 1959. Ma le peripezie non sono finite:<br />

dopo qualche tempo le sue spoglie sono riesumate da agenti inglesi e portate<br />

a Berlino, dove casualmente vengono rinvenute nel 1972, sotto il<br />

Parco Giochi Ulap.<br />

Come si vede, si tratta <strong>di</strong> un resoconto più simile a un romanzo <strong>di</strong><br />

avventure alla 007 che a una pagina <strong>di</strong> storia, a cui, a nostro avviso, riesce<br />

–54–


oltremodo <strong>di</strong>fficile attribuire il crisma dell’autenticità. D’altronde, tanta<br />

ricchezza <strong>di</strong> particolari non riesce a convincerci della veri<strong>di</strong>cità del racconto,<br />

tanto che esso ci sembra costruito ex post. 44 I punti che, già a una<br />

prima lettura, ci fanno molto dubitare sono i seguenti. 1) La biografia dell’autore<br />

è basata su imprese mirabolanti, compiute fin dall’adolescenza.<br />

Un talento così precoce da <strong>di</strong>ventare agente segreto a se<strong>di</strong>ci anni non può<br />

non destare sospetti. 2) Lord Louis Mountbatten, cugino del re, succedette<br />

il 27 ottobre 1941 a Sir Roger Keyes al comando delle Combined Operations,<br />

le operazioni dei commandos, ma non risulta da nessuna parte l’unità<br />

segreta COPP, nella quale sarebbe stato arruolato Creighton. Non ne fa<br />

menzione, ad esempio, il Comandante <strong>di</strong> Brigata Peter Young, che fu uno<br />

dei primi a formare il corpo dei commandos nel 1940 e partecipò anche a<br />

numerose azioni, nel suo serio e documentato saggio sull’attività <strong>di</strong> questo<br />

corpo speciale dell’esercito inglese (Peter Young, Commando, 1971). 45<br />

Lord Mountbatten non avrebbe potuto creare un’unità segreta e tenerne<br />

accuratamente celata l’esistenza, quando proprio lui sollecitava una maggior<br />

collaborazione tra i servizi interni dell’Ammiragliato inglese, da cui i<br />

commandos <strong>di</strong>pendevano (così Young, cit., p. 56). 3) Nessuna delle persone<br />

citate da Creighton come partecipanti alla “operazione James Bond” è<br />

menzionata da Young nel suo saggio che rievoca le imprese dei commandos<br />

durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale (incursioni nelle isole Lofoten<br />

e Spitzbergen, a Bar<strong>di</strong>a, in Siria, a Sphakia, a Tobruk, a Beda Littoria, all’isola<br />

<strong>di</strong> Vaags, a St. Nazaire, a Cape Barfleur, al faro <strong>di</strong> Casquet, a St. Honoré,<br />

all’isola <strong>di</strong> Sark, a Dieppe). Per portare in salvo Bormann da Berlino<br />

asse<strong>di</strong>ata dai russi vennero scelti commandos, a parte l’autore, che non<br />

avevano praticamente esperienza. Il che è molto curioso. 4) Ian Fleming<br />

stesso, il quale durante la guerra fu realmente un agente del servizio segreto<br />

inglese M-I5, non ha lasciato alcun resoconto dell’impresa, neppure<br />

una in<strong>di</strong>retta allusione, nelle sue carte e nei suoi romanzi, ammesso che<br />

questa sia stata realmente compiuta. 5) Poco convincente è la folta presenta<br />

<strong>di</strong> donne, che nel resoconto <strong>di</strong> Creighton risultano molto più capaci e professionali<br />

dei loro colleghi uomini, in una rischiosissima missione <strong>di</strong> commando.<br />

Ma alle operazioni dei commandos non partecipavano donne. Non<br />

44 Esprime le sue giuste perplessità su questo resoconto Silvio Bertol<strong>di</strong>, La grande truffa <strong>di</strong><br />

Martin Bormann, in «Sette», suppl. «Corriere della Sera», nn. 33/34, 1996, pp. 50-52.<br />

45 Peter Young, Commando, trad. <strong>di</strong> Camilla Occhi Bozzuffi, Ermanno Albertelli E<strong>di</strong>tore,<br />

Parma 1971.<br />

–55–


è poi vero che nella prima guerra mon<strong>di</strong>ale furono arruolate ausiliarie nell’aviazione,<br />

come l’autore fa <strong>di</strong>re alla <strong>di</strong>rettrice del corpo delle ausiliarie<br />

dell’Ammiragliato britannico, Donna Vera Laughton Mathews (vd. p. 87).<br />

6) Grottesco è poi il particolare <strong>di</strong> Bormann che assiste a Norimberga al<br />

processo contro i suoi ex camerati, quale spettatore in incognito, ascoltandone<br />

le condanne a morte senza alcuna apparente emozione. Come potè<br />

entrare e uscire dal palazzo del tribunale senza essere riconosciuto da alcuno?<br />

Inutile, poi, ricordare che nel palazzo non sono state ritrovate salette<br />

riservate con falsi specchi, che affacciavano nella sala delle u<strong>di</strong>enze. 7)<br />

Perché Creighton non cita, tra le persone del gruppo che lasciò la Cancelleria<br />

con Bormann, anche Arthur Axmann, che era ben presente tra i fuggiaschi<br />

e la cui testimonianza nell’affare Bormann ha sempre goduto <strong>di</strong><br />

ampia cre<strong>di</strong>bilità da parte <strong>di</strong> russi e americani? 8) Il racconto della fuga<br />

dalla Cancelleria presenta singolari analogie con la narrazione (questa sì,<br />

indubitabilmente accettata come autentica dagli storici) <strong>di</strong> Gerhard Boldt,<br />

che era primo ufficiale <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nanza del capo <strong>di</strong> stato maggiore tedesco generale<br />

Guderian e fu tra gli ultimi a uscire dal bunker <strong>di</strong> Hitler (Gerhard<br />

Boldt, Die letzten Tage der Reichskanzlei, 1964). 46 Boldt fuggì da Berlino<br />

col suo gruppo esattamente come Creighton, ossia usando una barca e remando<br />

con la pagaia al centro della Sprea, fino a raggiungere il Wannsee.<br />

Egli s’imbarcò sul canotto proprio la notte del primo maggio e dallo stesso<br />

punto d’imbarco del gruppo <strong>di</strong> Creighton, il ponte <strong>di</strong> Pichelsdorf (ed è<br />

strano che i due gruppi non si siano incontrati, visto che la Sprea quella<br />

notte doveva essere affollata <strong>di</strong> barche). A cosa si devono questa e altre<br />

strane coincidenze? 47 9) Alcune domande conclusive: perché l’autore non<br />

pubblica le lettere (gli originali) <strong>di</strong> Fleming e <strong>di</strong> lord Mountbatten, che asserisce<br />

<strong>di</strong> avere e che confermerebbero certamente la sua narrazione?<br />

Perché non pubblica (o non si adopera per far pubblicare) il voluminoso<br />

46 Gerhardt Boldt, Ero con Hitler, trad. <strong>di</strong> Mario Monti, Longanesi & C., Milano 1967. Il<br />

racconto <strong>di</strong> Boldt è stato recentemente confermato da un suo compagno <strong>di</strong> fuga, Bernd Freytag<br />

von Loringhofen (Nel bunker <strong>di</strong> Hitler, trad. <strong>di</strong> Margherita Botto, Einau<strong>di</strong>, Torino 2005, pp.<br />

129-134).<br />

47 Ricorrono nei due resoconti, quello <strong>di</strong> Creighton e quello <strong>di</strong> Boldt, situazioni analoghe,<br />

come si evince da un confronto testuale: Creighton, p. 225: «Procedendo in silenzio, costeggiammo<br />

la sponda occidentale; ma in alcuni punti il fiume era molto stretto e spesso fummo<br />

costretti a passare a pochi metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dai soldati sovietici, la maggior parte dei quali, a<br />

giu<strong>di</strong>care dalle loro voci rauche, erano ubriachi fra<strong>di</strong>ci»; Boldt, p. 158: «La notte era serena,<br />

stellata e fresca. Presso Kladow, passammo così rasente alla sponda da poter u<strong>di</strong>re chiaramente<br />

le voci dei soldati russi e il ronzio dei motori». Si tratta solo <strong>di</strong> coincidenze casuali?<br />

–56–


verbale d’interrogatorio <strong>di</strong> Bormann, compilato a Birdham fra il maggio<br />

1945 e l’inizio del 1946, a cui egli stesso <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> attingere (lo chiama “trascrizione<br />

Birdham”)? 48<br />

Sono domande, queste, che generano consistenti sospetti sulla vicenda<br />

narrata da Creighton. Siamo <strong>di</strong> fronte, forse, a un’ultima speculazione<br />

romanzesca sul “caso Bormann”, ideata prima del definitivo accertamento<br />

della verità, ossia della sua morte avvenuta a Berlino la notte del primo<br />

maggio 1945? Se l’autore non presenta riscontri seri e accettabili, si ha il<br />

legittimo <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> considerare un’invenzione <strong>di</strong> sana pianta quella che<br />

viene presentata come una storia autentica.<br />

3. I segreti delle “armi segrete”. Tra le ultime armi a cui Hitler affidò<br />

invano la sua speranza <strong>di</strong> rovesciare le sorti della guerra, nel 1944, vi furono<br />

(oltre i caccia a reazione) 49 le V-1 e le V-2, progettate dallo scienziato<br />

Wernher von Braun e costruite nella base <strong>di</strong> Peenemünde, sull’isola<br />

<strong>di</strong> Usedom nel mar Baltico. 50 Probabilmente furono queste le decantate<br />

armi segrete, che la propaganda nazifascista esaltò negli ultimi mesi della<br />

seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, ma che non influirono sulle sorti della guerra (dal<br />

48 Questo fantomatico verbale d’interrogatorio, che non è mai stato citato da altri, è definito<br />

da Creighton «uno dei più importanti documenti storici del secolo XX» (p. 279). A maggior<br />

ragione, dopo che Creighton ne ha rivelato l’esistenza, dovrebbe essere messo subito a <strong>di</strong>sposizione<br />

degli storici. Va detto che la scomparsa <strong>di</strong> Bormann ha fornito lo spunto per narrazioni <strong>di</strong><br />

spy-stories, come quella <strong>di</strong> Harry Patterson, Scambio Valhalla, trad. <strong>di</strong> Flora Dreher, Sonzogno,<br />

Milano 1979.<br />

49 Gli ultimi aerei tedeschi furono caccia (come il Messerschmitt Me. 262A-1b Schwalbe e<br />

lo Heinkel He. 162A-2 Salamander, capaci <strong>di</strong> superare gli 800 km/h; il Messerschmitt Me.<br />

163B-1a Komet raggiungeva i 900 km/h) e bombar<strong>di</strong>eri a reazione (come l’Arado Ar. 234<br />

Blitz), velocissimi e nettamente superiori agli aerei nemici. Furono però prodotti in pochi esemplari<br />

e non poterono influire sulle sorti della guerra (schede e particolari tecnici in: Enzo Biagi,<br />

La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, vol. VII La fine della Germania, cit., pp. 2363-2363).<br />

50 Assai significativa la vicenda <strong>di</strong> Wernher von Braun, scienziato tedesco naturalizzato<br />

americano nel 1955 (1912-1977). Figlio <strong>di</strong> un nobile bavarese e già allievo dello scienziato<br />

Hermann Oberth, stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> propellenti per razzi, von Braun ne continuò le ricerche e a soli<br />

venticinque anni <strong>di</strong>venne il capo del programma missilistico tedesco, impegnandosi a costruire<br />

le nuove armi richieste da Hitler. Negli ultimi mesi del conflitto fu processato dalle SS per<br />

tra<strong>di</strong>mento; catturato dagli americani nel maggio 1945, accettò <strong>di</strong> collaborare con gli Stati Uniti<br />

e creò i razzi Juno, Jupiter e Saturno, che aprirono la strada ai voli spaziali. Sul fondamentale<br />

contributo <strong>di</strong> von Braun alla conquista dello spazio e segnatamente alla missione Apollo 11 che<br />

portò tre astronauti americani sulla Luna il 20 luglio 1969, vd. Enzo Biagi - Antonio De Falco -<br />

Guido Gerosa - Gino Gullace - Gian Franco Venè - Lorenzo Vincenti, La luna è nostra, storie e<br />

drammi <strong>di</strong> uomini coraggiosi, Rizzoli, Milano 1969, pp. 18-23.<br />

–57–


13 giugno 1944 furono lanciate complessivamente 9300 V-1 sull’Inghilterra,<br />

dal successivo 8 settembre 1389 V-2: nonostante queste ultime, potendo<br />

raggiungere la velocità <strong>di</strong> 6500 chilometri all’ora, fossero praticamente<br />

inintercettabili, i danni che le V-1 e le V-2 riuscirono a causare sulle città<br />

colpite furono relativamente modesti; invece, la risposta degli alleati all’offensiva<br />

nazista fu il lancio sulla Germania <strong>di</strong> 187.655 tonnellate <strong>di</strong><br />

bombe). 51 Ma Hitler possedeva anche armi <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> massa? È<br />

probabile che a <strong>di</strong>sposizione del Führer vi fossero ingenti quantitativi <strong>di</strong> gas<br />

vescicanti e asfissianti (certamente ampie scorte <strong>di</strong> iprite, fosgene e cloro<br />

risalenti alla prima guerra mon<strong>di</strong>ale, nonché il famoso Zyklon B, utilizzato<br />

nelle camere a gas dei campi <strong>di</strong> sterminio) e forse nervini, pronti per essere<br />

installati sulle testate dei razzi V-1 e V-2. Ne abbiamo un riscontro in una<br />

nota, risalente al febbraio 1943, dell’ambasciatore a Berlino Dino Alfieri al<br />

sottosegretario agli Esteri Bastianini (entrambi, poi, furono tra i “congiurati”<br />

del 25 luglio): Alfieri, assunte informazioni atten<strong>di</strong>bili, dà notizia che<br />

Hitler aveva or<strong>di</strong>nato “una larghissima dotazione <strong>di</strong> gas <strong>di</strong> vario genere, lacrimogeni,<br />

asfissianti, o <strong>di</strong>struttori <strong>di</strong> ogni elemento”. 52 Questi gas il Führer<br />

non ebbe fortunatamente a usarli, o perché gliene mancò il tempo o perché<br />

volle risparmiare al popolo tedesco la terribile rappresaglia che gli alleati<br />

avrebbero certamente messo in atto, qualora fossero stati attaccati con armi<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> massa.<br />

Hitler non ebbe a <strong>di</strong>sposizione la bomba atomica, com’è noto, sia<br />

perché scienziati tedeschi come Otto Hahn, scopritore con Fritz Strassman<br />

51 Sulle armi segrete: John Vader, Le V-1, in Storia della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong>retta<br />

da sir Basil Liddell Hart e Barrie Pitt, vol. V, cit., pp. 257-265; B.P. Boschesi, La caccia alle<br />

Vergeltungswaffen <strong>di</strong> Hitler, in Le gran<strong>di</strong> battaglie segrete della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale,<br />

Mondadori, Milano 1973, pp. 144-155; Nino Nava, Le armi segrete, E<strong>di</strong>zioni Ferni, Ginevra<br />

1973; Giorgio Bonacina, Il silenzio delle V-1, in «Storia Illustrata», n. 196, marzo 1974,<br />

pp. 84-90.<br />

52 Dino Alfieri, Due <strong>di</strong>ttatori <strong>di</strong> fronte, Rizzoli, Milano 1948, p. 278. Citiamo testualmente<br />

le ancora impressionanti parole dell’Alfieri dall’appunto per il sottosegretario Bastianini (datato<br />

Berlino, 19-2-1943): “Dopo la serie delle sorprese e delle sfortunate vicende militari sul fronte<br />

russo, il Führer tenterà in primavera una nuova offensiva. Ma se essa non dovesse avere<br />

efficacia <strong>di</strong> risultati, verrebbe fatto uso – da parte tedesca – <strong>di</strong> gas asfissianti allo scopo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere le armate sovietiche. Questi gas, racchiusi in gran<strong>di</strong> fiale, possono essere lanciati<br />

dagli aeroplani; essi posseggono un fortissimo potere <strong>di</strong>struttivo anche sulla terra, che rimane<br />

completamente inari<strong>di</strong>ta almeno per un anno. Fra la Russia e la Germania esisterebbe così una<br />

netta zona <strong>di</strong> separazione, dove la vita degli uomini e degli animali non sarebbe in nessun modo<br />

possibile”. Anche il Duce avrebbe giu<strong>di</strong>cato assai atten<strong>di</strong>bili le informazioni dell’Alfieri, perché<br />

confermategli da altra fonte (Dino Alfieri, cit., p. 278).<br />

–58–


della fissione nucleare nel 1938, 53 Werner Heisenberg (<strong>di</strong>rettore nel 1940<br />

dell’Istituto <strong>di</strong> Fisica Kaiser Wilhelm <strong>di</strong> Berlino) e il suo assistente Carl<br />

Friedrich von Weizsäcker rallentarono volutamente le ricerche sull’applicazione<br />

militare della fissione dell’atomo 54 sia perché gli alleati infersero al<br />

programma nucleare tedesco colpi durissimi, <strong>di</strong>struggendo la fabbrica <strong>di</strong><br />

deuterio (o “acqua pesante”, elemento fondamentale per il funzionamento<br />

<strong>di</strong> un reattore nucleare) Norsk-Hydro <strong>di</strong> Vermork, nella regione norvegese<br />

del Telemark, prima con un’ar<strong>di</strong>ta azione <strong>di</strong> commandos inglesi nel febbraio<br />

1943 e poi con un bombardamento aereo nel successivo novembre. 55 La<br />

verità sembrerebbe però alquanto <strong>di</strong>versa dalla storia ufficiale (che assegna<br />

53 Molti scienziati tedeschi, anche a seguito dell’emigrazione forzata dei loro colleghi ebrei<br />

per via delle leggi razziali, erano <strong>di</strong>ventati decisi antinazisti. “Se Hitler avrà un’arma come la<br />

bomba atomica, io mi toglierò la vita”, così Hahn avrebbe detto ad alcuni intimi (citato in: a<br />

cura <strong>di</strong> Giorgio Bonacina, L’atomica <strong>di</strong> Hiroshima (I documenti terribili, n. 2), Mondadori,<br />

Milano 1972, p. 103). I timori che Hitler potesse avere presto a <strong>di</strong>sposizione una bomba atomica<br />

spinsero gli scienziati profughi come l’ungherese Leo Szilard e Albert Einstein a scrivere nell’agosto<br />

del 1939 una lettera al presidente americano Roosevelt per chiedergli <strong>di</strong> sostenere la<br />

ricerca sulle applicazioni militari della reazione nucleare (testo della lettera in L’atomica <strong>di</strong><br />

Hiroshima, cit., pp. 101-103).<br />

54 Secondo Jeremy Bernstein, i fisici tedeschi come Heisenberg e Hahn, catturati dagli<br />

americani e rinchiusi a Farm Hall vicino Cambridge, non sarebbero comunque stati in grado<br />

<strong>di</strong> realizzare una bomba nucleare, per l’arretratezza delle loro ricerche al riguardo (Jeremy<br />

Bernstein, L’inesistente bomba <strong>di</strong> Hitler, in Diario <strong>di</strong> Repubblica, Roma 2005, p. 262). Le vicende<br />

degli scienziati tedeschi impegnati nelle ricerche nucleari sotto il nazismo, hanno ispirato<br />

un recente romanzo a metà tra rievocazione e spy story, In cerca <strong>di</strong> Klingsor <strong>di</strong> Jorge Volpi,<br />

trad. <strong>di</strong> Bruno Arpaia, Mondadori, Milano 2001: il protagonista, il giovane fisico statunitense<br />

Francis P. Bacon, riceve nel 1948 l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> scoprire chi sia il consulente segreto <strong>di</strong> Hitler, nel<br />

campo delle ricerche nucleari, celato sotto il nome in co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Klingsor. L’inchiesta che ne<br />

segue fa luce sulle ambiguità (che <strong>di</strong>ventano complicità col regime hitleriano) <strong>di</strong> fisici tedeschi<br />

come Heisenberg, stretti tra il desiderio <strong>di</strong> servire la patria, il timore che gli alleati potessero<br />

usare una bomba atomica contro la Germania, l’avversione al nazismo e la superbia personale<br />

(emblematico, nel romanzo, è il colloquio tra Heisenberg e il fisico danese Niels Bohr, avvenuto<br />

a Copenhagen nel settembre 1941, nel quale il primo tenta <strong>di</strong> convincere Bohr a far sospendere<br />

le ricerche alleate sull’energia nucleare, ma non dà alcuna garanzia su quelle tedesche).<br />

55 Sui particolari <strong>di</strong> queste operazioni <strong>di</strong> sabotaggio vd. B.P. Boschesi, I “commandos”<br />

dell’acqua pesante, in Le gran<strong>di</strong> battaglie segrete della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, cit., pp. 28-<br />

35; Nino Nava, La battaglia per l’acqua pesante, in Le armi segrete, cit., pp. 166-196). Non fu<br />

invece possibile per i nazisti realizzare l’inverso, ossia sabotare il programma <strong>di</strong> armamenti<br />

nucleari americano (il Progetto Manhattan), nonostante avessero infiltrato agenti dell’Abwehr<br />

(il servizio segreto del Terzo Reich) sul territorio degli Stati Uniti. Catturato e condannato a<br />

morte, Erich Gimpel, il capo della missione nazista, fu poi graziato dal presidente Truman nel<br />

settembre 1945. Sulla vicenda vd. Giuseppe Mayda, Eric Gimpel, spia n. 176: doveva sabotare<br />

il “Progetto Manhattan”, in Lo spionaggio nella seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, numero speciale <strong>di</strong><br />

«Storia Illustrata», n. 144, novembre 1969, pp. 52-57.<br />

–59–


il primato nella corsa all’arma atomica agli Stati Uniti, grazie alla realizzazione<br />

del Progetto Manhattan, a cui concorsero peraltro anche scienziati<br />

italiani), 56 stando ad alcune recenti e azzardate versioni sulla bomba atomica<br />

tedesca (vd. Luigi Cozzi, L’atomica <strong>di</strong> Hitler, in «La grande storia mysteriosa»,<br />

n. 1, 2005, pp. 45-66). Gli scienziati nazisti avrebbero realizzato un<br />

ru<strong>di</strong>mentale ma devastante or<strong>di</strong>gno atomico, che sarebbe stato fatto deflagrare<br />

sull’isola baltica <strong>di</strong> Rügen il 12 ottobre 1944, secondo la testimonianza<br />

del giornalista Luigi Romersa, inviato dal Duce per assistere all’esperimento<br />

della “grande bomba <strong>di</strong>sintegratrice”. Amico personale <strong>di</strong> Wernher von<br />

Braun, corrispondente <strong>di</strong> guerra ed esperto <strong>di</strong> aeronautica, Romersa, come<br />

ricorda nel suo libro (Luigi Romersa, Le armi segrete <strong>di</strong> Hitler, Mursia, Milano<br />

2005; ma vd. in proposito le scettiche considerazioni <strong>di</strong> Antonio Carioti,<br />

L’atomica <strong>di</strong> Hitler. Ossessione infinita, in «Corriere della Sera», 3 ottobre<br />

2005), fu accompagnato da due ufficiali tedeschi all’isola <strong>di</strong> Rügen la notte<br />

tra l’11 e il 12 ottobre 1944, e qui il giorno dopo, nel folto <strong>di</strong> un bosco e al<br />

riparo <strong>di</strong> un bunker corazzato, assistette all’esplosione sperimentale della<br />

superbomba, avendo modo <strong>di</strong> constatarne i terribili effetti: per chilometri<br />

56 Le tappe che portarono alla costruzione della bomba atomica, usata dagli americani a<br />

Hiroshima il 6 agosto 1945 e a Nagasaki il successivo 9, furono: il primo esperimento <strong>di</strong> bombardamento<br />

dell’uranio, realizzato nel 1934 a Roma da Enrico Fermi e dalla sua équipe (tra i<br />

“ragazzi <strong>di</strong> via Panisperna” v’era anche Ettore Majorana, la cui misteriosa scomparsa nel 1938,<br />

è stata spiegata da Leonardo Sciascia – in La scomparsa <strong>di</strong> Majorana, Einau<strong>di</strong>, Torino 1975,<br />

pp. 70-71 – con la suggestiva ipotesi che lo scienziato siciliano, genio della fisica secondo<br />

Fermi, prima degli altri avesse compreso i pericoli della guerra nucleare restandone mortalmente<br />

angosciato; avvalora l’ipotesi <strong>di</strong> Sciascia Tullio Chersi, Forse non volle realizzare la<br />

bomba atomica, in «Storia Illustrata», n. 237, agosto 1977, pp. 88-93), la scoperta della fissione<br />

nucleare realizzata dagli scienziati tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassman nel 1938, la prima pila<br />

atomica costruita da Fermi in Usa nel 1942, l’avvio successivo del Progetto Manhattan (Manhattan<br />

Engineer District) guidato da Robert Oppenheimer, il primo esperimento <strong>di</strong> esplosione<br />

nucleare avvenuto il 16 luglio 1945 nel deserto <strong>di</strong> Alamogordo (New Mexico). Sulla prima<br />

bomba atomica: Giorgio Bonacina, La prima bomba atomica, in «Storia Illustrata», n. 4, aprile<br />

1965, pp. 548-561; Louis Allen, Le incursioni nucleari, in Storia della Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale,<br />

<strong>di</strong>retta da sir Basil Liddel Hart e Barrie Pitt, vol. VI, cit., pp. 488-500; a cura <strong>di</strong> Giorgio<br />

Bonacina, L’atomica <strong>di</strong> Hiroshima, cit.; Egi<strong>di</strong>o Sterpa, Hiroshima, in I gran<strong>di</strong> fatti rivissuti<br />

sui giornali dell’epoca, vol. VI, E<strong>di</strong>toriale Nuova, Milano 1979, pp. 81-88; Giuseppe Mayda,<br />

Il Progetto Manhattan, in Enzo Biagi, La Seconda Guerra Mon<strong>di</strong>ale, vol. VIII Hiroshima e<br />

la resa dei conti, cit., pp. 2665-2688; Id., Hiroshima e Nagasaki, ibid., pp. 2689-2712; Silvio<br />

Bertol<strong>di</strong>, Vincitori e vinti, Bompiani, Milano 1985, pp. 113-134; Piergiorgio O<strong>di</strong>fred<strong>di</strong>, Quei<br />

testimoni dell’atomica, in «La Repubblica», 30 settembre <strong>2004</strong>. L’inizio dell’era nucleare<br />

ha avuto almeno il merito <strong>di</strong> richiamare i governanti a un maggior senso <strong>di</strong> responsabilità: vd. le<br />

riflessioni <strong>di</strong> Luca e Francesco Cavalli Sforza, Se la scienza è madre del terrore, in Diario <strong>di</strong><br />

Repubblica, cit., pp. 258-259).<br />

–60–


dall’epicentro dell’esplosione il paesaggio circostante apparve completamente<br />

<strong>di</strong>strutto, restando <strong>di</strong> piante, animali e case poche tracce annerite e<br />

calcinate a causa dell’immane calore. 57<br />

Il racconto <strong>di</strong> Romersa, ammesso che sia veritiero, non ha però trovato<br />

ancora conferma in fonti e documenti ufficiali. Sempre secondo il Cozzi,<br />

che nel suo articolo dà fede alla testimonianza <strong>di</strong> Romersa (Luigi Cozzi,<br />

cit., pp. 50-51), già dal 1942 sarebbe stato in funzione nei sotterranei del<br />

castello <strong>di</strong> Lichterfelde presso Berlino un ciclotrone o acceleratore <strong>di</strong> particelle,<br />

atto a creare l’uranio arricchito, componente essenziale per la costruzione<br />

<strong>di</strong> una bomba atomica: la macchina sarebbe stata costruita dall’inventore<br />

barone Manfred von Ardenne (che poi avrebbe trasmesso ai sovietici i<br />

piani per la costruzione della bomba all’idrogeno, venendo quin<strong>di</strong> insignito<br />

del Premio Stalin nel 1955) e mostrata al Duce, assieme a misteriose armi<br />

57 Riportiamo le parole del Romersa, che rievocano con grande suggestione questa Hiroshima<br />

nazista in miniatura: “La pioggia scrosciava ormai violenta. Dal cristallo che copriva la<br />

feritoia del rifugio, vedevo soltanto alberi, prato, terra e foglie marce. A un tratto, una voce<br />

proveniente da un altoparlante sistemato nel soffitto del bunker, comunicò l’ora esatta sulla<br />

quale regolammo i nostri orologi. Di lì a poco, un boato improvviso scosse le pareti del ricovero,<br />

seguì un bagliore accecante mentre una densa cortina <strong>di</strong> fumo si <strong>di</strong>stese sulla campagna.<br />

Con gli occhi incollati alle feritoie guardavamo la nube che avanzava compatta. Ne fummo inghiottiti.<br />

Dopo il brontolio <strong>di</strong> alcune altre esplosioni, cessò ogni rumore... Un silenzio profondo,<br />

pauroso, dava la sensazione <strong>di</strong> essere staccati dal mondo. Uno degli ufficiali, un colonnello<br />

dell’Heerswaffenamt, il servizio addetto alla preparazione degli armamenti, ruppe il silenzio e<br />

<strong>di</strong>sse, vantando la potenza della bomba appena esplosa, che quando l’or<strong>di</strong>gno sarebbe stato<br />

lanciato sulle truppe d’invasione o su una città nemica, per via del suo soffio infuocato i nemici<br />

sarebbero stati costretti a me<strong>di</strong>tare se fosse più giusto mettere fine alla guerra in maniera<br />

ragionevole o continuare a uccidersi per nulla (...). Verso le se<strong>di</strong>ci, nella foschia apparvero<br />

alcune ombre che si <strong>di</strong>rigevano verso il nostro rifugio. Erano soldati con addosso curiosi<br />

scafandri. Entrarono nel bunker e richiusero frettolosamente la porta. «Alles kaputt», <strong>di</strong>sse uno<br />

dopo essersi tolto il cappuccio. Anche a noi venne dato una specie <strong>di</strong> mantello bianchiccio,<br />

ruvido e filamentoso. Non saprei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> cosa fosse fatto, forse <strong>di</strong> amianto. Calzammo stivali<br />

dello stesso tessuto e uscimmo in fila, preceduti dai soldati. A mano a mano che avanzavamo, la<br />

terra appariva più sconvolta. C’erano freddo e umi<strong>di</strong>tà dappertutto ma nel bosco pareva fosse<br />

passata una ventata <strong>di</strong> fuoco. Degli alberi esistevano soltanto i tronchi e i rami spogli; niente<br />

foglie. Le casette viste poche ore prima erano sparite, ridotte a mucchi <strong>di</strong> pietre fumanti e calcinacci.<br />

Camminando, urtai con un piede la carogna <strong>di</strong> una capra carbonizzata. Più ci si avvicinava<br />

al luogo dell’esplosione, più la rovina assumeva aspetti tragici. L’erba aveva preso<br />

uno strano colore scamosciato (Luigi Romersa, Le armi segrete <strong>di</strong> Hitler, Mursia, Milano 2005,<br />

pp. 49-51). Il fatto che dopo l’esplosione non sia stato misurato il livello <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>oattività del sito<br />

(Romersa nulla <strong>di</strong>ce al riguardo), ci fa sospettare che non <strong>di</strong> bomba atomica dovette trattarsi,<br />

bensì <strong>di</strong> una bomba al fosforo, sia pur enormemente potente. Anche l’equipaggiamento fornito<br />

al Romersa, un mantello forse <strong>di</strong> amianto, non sarebbe stato in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>fenderlo dalla ra<strong>di</strong>oattività.<br />

–61–


segrete, durante un suo viaggio in Germania, presso Klessheim, nell’aprile<br />

del 1944 (Luigi Cozzi, cit., pp. 49-50). Ancora: il fisico Kurt Diebner<br />

avrebbe costruito nel 1944, nel suo laboratorio presso Stadtilm in Turingia,<br />

un reattore nucleare a piscina (Luigi Cozzi, cit., pp. 54-55). Ma <strong>di</strong> tutti<br />

questi laboratori segreti e reattori nucleari non è stata trovata alcuna traccia<br />

dalle truppe d’occupazione in Germania e sull’isola <strong>di</strong> Rügen non sono mai<br />

stati riscontrati segni <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>oattività o <strong>di</strong> mutazioni genetiche sugli esseri<br />

viventi (oggi l’isola conta circa novantamila abitanti).<br />

Dando cre<strong>di</strong>to alle fantasiose versioni sulle “armi segrete”, anche l’ostinata<br />

scelta <strong>di</strong> Hitler <strong>di</strong> rimanere nel bunker della Cancelleria, chiudendosi<br />

virtualmente in una trappola mortale mentre i sovietici erano già in<br />

città, acquisterebbe nuovo senso. Hitler sarebbe, pertanto, entrato nel<br />

bunker non già per finirvi la sua vicenda umana e politica, ma per aspettare<br />

in tutta tranquillità l’esito <strong>di</strong> un devastante attacco atomico a Londra e New<br />

York (per colpire la città americana erano già pronti modernissimi vettori<br />

intercontinentali, le V-9 e V-10, secondo il Cozzi, cit., pp. 59-60), 58 tale<br />

che gli avrebbe dato se non la vittoria almeno il cambiamento delle alleanze<br />

con la <strong>di</strong>struzione del patto tra Roosevelt, Churchill e Stalin e il rivolgimento<br />

del fronte in <strong>di</strong>rezione antisovietica (secondo quello che era il<br />

programma originario tracciato nel Mein Kampf). Nessuno, però, dei tanti<br />

testimoni degli ultimi giorni del Führer fa menzione dell’attesa <strong>di</strong> questi<br />

per un eventuale attacco atomico contro i nemici né è plausibile che il solo<br />

Hitler fosse a conoscenza <strong>di</strong> tale straor<strong>di</strong>nario evento e lo serbasse gelosamente<br />

segreto <strong>di</strong> fronte agli ufficiali responsabili del suo Stato Maggiore,<br />

come Keitel e Jodl.<br />

Da ultimo il figlio del Duce, Romano Mussolini, in un suo recentissimo<br />

memoriale ha asserito che Hitler possedeva l’atomica e che le prime bombe<br />

furono fabbricate dagli scienziati tedeschi per cadere poi nelle mani degli<br />

americani ed essere impiegate a Hiroshima e Nagasaki (Romano Mussolini,<br />

Ultimo atto. Le verità nascoste sulla fine del duce, Rizzoli, Milano 2005,<br />

58 Un’analoga missione, ossia un raid a New York, sarebbe stata effettivamente progettata<br />

dalla nostra aeronautica tra il gennaio e il maggio 1943, sempre secondo Luigi Romersa, che ne<br />

fornisce i dettagli: per la missione, bloccata dall’avvenuto armistizio, venne costruito appositamente<br />

un nuovo quadrimotore, l’SM95, con autonomia <strong>di</strong> oltre 12000 chilometri, in grado <strong>di</strong><br />

effettuare il viaggio <strong>di</strong> andata e ritorno, partendo dalla Francia, senza scali interme<strong>di</strong>. Ma, per<br />

volontà del Duce, che intendeva dare all’incursione un carattere meramente (e bizzarramente)<br />

propagan<strong>di</strong>stico, l’aereo avrebbe dovuto sganciare non bombe su New York, bensì... “arance<br />

siciliane, appese a paracadute tricolori” (così il Romersa, cit., p. 165).<br />

–62–


p. 110). 59 A parte l’implicita e <strong>di</strong>scutibile svalutazione delle ricerche americane<br />

(guidate da scienziati come Oppenheimer, Teller e Fermi, i quali certamente<br />

non avevano bisogno <strong>di</strong> rubare i segreti dei tedeschi nel campo dell’energia<br />

nucleare), il Mussolini non porta però prove a riscontro delle sue<br />

affermazioni, ma si basa su quanto sentito <strong>di</strong>re dal padre e su una significativa<br />

(a suo <strong>di</strong>re) successione <strong>di</strong> date contigue: la morte <strong>di</strong> Hitler, il 30 aprile<br />

1945, avrebbe <strong>di</strong> poco preceduto lo sgancio dell’atomica su Hiroshima, il<br />

successivo 6 agosto. Assai recentemente, però (il che mostra che in questo<br />

campo non può mai <strong>di</strong>rsi l’ultima parola), il ritrovamento <strong>di</strong> un curioso<br />

schizzo uscito fuori dagli archivi segreti tedeschi sembrerebbe accre<strong>di</strong>tare<br />

l’ipotesi che gli scienziati nazisti fossero già in grado <strong>di</strong> costruire un or<strong>di</strong>gno<br />

atomico “sporco”, ossia una bomba convenzionale la cui esplosione<br />

avrebbe potuto spargere per notevole ampiezza materiale ra<strong>di</strong>oattivo (vd.<br />

Paolo Valentino, Hitler e l’atomica, un <strong>di</strong>segno riapre il giallo, in «Corriere<br />

della Sera», 4 giugno 2005).<br />

Secondo un’altra fantasiosa ipotesi i tedeschi avrebbero iniziato a costruire,<br />

già durante il conflitto se non prima, prototipi <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi volanti. È<br />

quanto si afferma nel saggio <strong>di</strong> Gary Hyland, I segreti perduti della tecnologia<br />

nazista (trad. <strong>di</strong> Milvia Faccia, Newton & Compton, Roma <strong>2004</strong>³). 60<br />

Secondo questo autore, che collega i primi progettisti <strong>di</strong> velivoli a propul-<br />

59 Il Mussolini nel suo libro afferma <strong>di</strong> aver sentito suo padre (che avrebbe visto personalmente<br />

i laboratori nei quali venivano messe a punto le armi segrete) e il fratello Vittorio, <strong>di</strong><br />

ritorno dal convegno <strong>di</strong> Klessheim nell’aprile del 1944, parlare <strong>di</strong> un “supercannone” a lunghissima<br />

gittata, capace <strong>di</strong> “polverizzare la capitale inglese insieme alle V-2” e <strong>di</strong> un “gas dall’effetto<br />

devastante”, che Hitler sperava <strong>di</strong> non dover adoperare contro i nemici (Romano Mussolini, cit.,<br />

p. 109). In verità la storia della balistica ha visto più volte la costruzione <strong>di</strong> supercannoni, ispirati<br />

forse agli ingegneri dalle intuizioni degli scrittori <strong>di</strong> fantascienza (si pensi al cannone da trecento<br />

tonnellate, caricato con proiettili <strong>di</strong> gas refrigerante, che Herr Schultze, il tecnocrate malvagio del<br />

romanzo I 500 milioni della Begum <strong>di</strong> Jules Verne, punta su France-Ville). La prima guerra mon<strong>di</strong>ale<br />

vide all’opera la Grosse Berthe, l’enorme cannone delle officine Krupp che nel 1917 bombardò<br />

Parigi da una <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> 125 chilometri. Più recentemente si ricorda il supercannone commissionato<br />

negli anni Ottanta da Saddam Hussein all’ingegnere canadese Gerald Bull (misteriosamente<br />

ucciso nel 1990), un’arma colossale (la sola canna era lunga 156 metri e pesava 1665<br />

tonnellate) in grado <strong>di</strong> lanciare in orbita proiettili con testate chimiche, batteriologiche e nucleari.<br />

Le sorti del cannone (parti del quale erano state costruite nelle acciaierie <strong>di</strong> Terni e furono provvidenzialmente<br />

sequestrate dalla magistratura italiana) si intrecciarono con lo scandalo della<br />

Banca Nazionale del Lavoro, filiale <strong>di</strong> Atlanta (USA), che aveva concesso finanziamenti occulti<br />

al <strong>di</strong>ttatore iracheno per realizzare la colossale arma (sulla vicenda vd. Fabrizio Tonello, Progetto<br />

Babilonia, Garzanti, Milano 1993).<br />

60 Aveva già fatto cenno ai <strong>di</strong>schi volanti nazisti il padre della “fantarcheologia” in Italia,<br />

ossia Peter Kolosimo, (Ombre sulle stelle, Sugar e<strong>di</strong>tore, Milano 1970¹º, pp. 337-341).<br />

–63–


sione elettromagnetica, tali W.O. Schumann e Hans Kohler, attivi nella Germania<br />

degli anni Venti, alla società segreta del Vril e alla Società <strong>di</strong> Thule<br />

(Thule Gesellschaft), mescolando bizzarramente la storia della tecnologia<br />

alle dottrine esoteriche, un gruppo <strong>di</strong> progettisti e ingegneri tedeschi, da Arthur<br />

Sack ad Alexander Lippisch a Rudolf Schriever a Richard Miethe, si<br />

sarebbero avvicendati nella costruzione <strong>di</strong> aerei <strong>di</strong> forma lenticolare sempre<br />

più perfezionati: il Flügelrad (“ruota volante”), il Flugkreisel (“trottola volante”),<br />

lo Haunebu o Mark I, a cui sarebbero seguiti il Mark II, III, IV e V,<br />

tutti dotati <strong>di</strong> motori a reazione sempre più potenti e capaci <strong>di</strong> raggiungere e<br />

superare la velocità del suono (il Mark V, collaudato il 14 febbraio 1945,<br />

avrebbe raggiunto i 12000 metri <strong>di</strong> altezza in meno <strong>di</strong> tre minuti, secondo la<br />

testimonianza <strong>di</strong> un certo George Klein). 61 Poi, però, l’incalzare degli eventi<br />

e il crollo del Terzo Reich non resero possibile avviare la costruzione in<br />

serie <strong>di</strong> questi velivoli dalle straor<strong>di</strong>narie prestazioni per un impiego al<br />

fronte: i modelli sarebbero stati <strong>di</strong>strutti e i loro costruttori si sarebbero trasferiti<br />

in Russia o negli Stati Uniti (come Richard Miethe, passato agli americani<br />

<strong>di</strong>etro raccomandazione <strong>di</strong> von Braun) per proseguirvi in totale segretezza<br />

i loro stu<strong>di</strong> (altra versione leggendaria vuole che i prototipi si siano<br />

<strong>di</strong>retti nella misteriosa Base 211, la Neues Berlin, che i nazisti avrebbero<br />

creato nel 1940 in Antartide). 62<br />

Non vi sono, però, prove per avvalorare un racconto del genere: mancano<br />

modelli <strong>di</strong> prototipi, e non sono stati rintracciati neppure modellini.<br />

I ritrovamenti si limitano soltanto ad alcuni schizzi, presentati nel libro <strong>di</strong><br />

Hyland ma <strong>di</strong>segnati non si sa bene da chi e quando. Eppure l’ipotesi che i<br />

cosiddetti UFO siano (o siano stati) in realtà prototipi <strong>di</strong> velivoli <strong>di</strong> nuova<br />

concezione sperimentati dai tedeschi durante la guerra e poi perfezionati da<br />

russi e americani, ci sembra in definitiva meno implausibile, meno irragionevole<br />

della loro presunta e mai provata origine extraterrestre (vd. Sebastiano<br />

Fusco, Gli Ufo <strong>di</strong> Hitler, in «La grande storia mysteriosa», n. 1, 2005,<br />

pp. 41-44: l’articolo riporta anche la fotografia <strong>di</strong> un velivolo <strong>di</strong>scoidale con<br />

l’insegna della U.S. Air Force). Mancano, comunque, prove concrete, fotografie,<br />

documenti autentici e testimonianze atten<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> chi effettivamente<br />

progettò questi or<strong>di</strong>gni o <strong>di</strong> chi assistette ai voli dei prototipi. Perciò è più<br />

che lecito anche in questo caso dubitare, così come si deve dubitare del favoloso<br />

“raggio della morte” che vari inventori, tra cui il nostro Guglielmo<br />

61 Gary Hyland, cit., p. 74. L’autore dubita, però, della veri<strong>di</strong>cità della testimonianza del Klein.<br />

62 Sulla costruzione e le attività della base, Gary Hyland, cit., p. 37 e ss.<br />

–64–


Marconi (sulle orme del <strong>di</strong>scusso americano <strong>di</strong> origine croata Nikola<br />

Tesla), 63 avrebbero progettato negli anni Trenta e che perio<strong>di</strong>camente viene<br />

rispolverato dai giornalisti amanti del sensazionalismo (ne è un esempio<br />

Renzo Baschera, Un segreto tra Marconi e Mussolini: il «raggio della<br />

morte», in «Historia», n. 172, aprile 1972, pp. 30-40). Il “raggio della<br />

morte” che Marconi in realtà avrebbe sperimentato – un impulso elettromagnetico<br />

<strong>di</strong> limitata potenza (150 Watt) – non sarebbe stato capace <strong>di</strong> bloccare<br />

i motori <strong>di</strong> veicoli e aerei né tanto meno <strong>di</strong> uccidere esseri viventi: è più ragionevole<br />

ipotizzare che lo scienziato stesse lavorando al progetto <strong>di</strong> un<br />

radar e facesse credere <strong>di</strong> approntare una terribile arma segreta per ottenere i<br />

finanziamenti da Mussolini (così sostiene Federico Di Trocchio, Il raggio<br />

della morte, in «Focus Extra», n. 8, inverno 2002, pp. 38-43).<br />

4. Le ipotesi dell’ucronia: se Hitler avesse vinto la guerra. Il processo<br />

del secolo. In un suo famoso saggio teorico, il Croce metteva in<br />

guar<strong>di</strong>a dall’immaginare le conseguenze <strong>di</strong> un evento che storicamente non<br />

è accaduto, biasimando quale trastullo dell’intelletto il “giocherello che<br />

usiamo fare dentro noi stessi, nei momenti <strong>di</strong> ozio o <strong>di</strong> pigrizia, fantasticando<br />

intorno all’andamento che avrebbe preso la nostra vita se non avessimo<br />

incontrato una persona che abbiamo incontrata, o non avessimo commesso<br />

uno sbaglio che abbiamo commesso” (B. Croce, La storia come pensiero<br />

e come azione, Laterza, Roma-Bari 1978 4 , p. 19). A queste possiamo<br />

collegare le riflessioni che svolge Edwin H. Carr a proposito dell’esclusione<br />

degli elementi accidentali dalla gerarchia delle cause determinanti <strong>di</strong><br />

un evento storico e quin<strong>di</strong> dall’interpretazione razionale <strong>di</strong> quell’evento<br />

(Edwin H. Carr, Sei lezioni sulla storia, trad. <strong>di</strong> Carlo Ginzburg, Einau<strong>di</strong>,<br />

Torino 1982¹¹, pp. 107-111). In risposta, però, alle parole <strong>di</strong> Croce contro<br />

“l’introduzione in istoria del vietato «se»”, alcuni recenti interventi, apparsi<br />

anche come introduzioni a raccolte <strong>di</strong> saggi, sembrano recuperare il valore<br />

delle costruzioni <strong>di</strong> storia alternativa (implicanti la valorizzazione proprio<br />

<strong>di</strong> quegli elementi accidentali anche minimi a cui in genere gli storici, attenti<br />

più al contesto e in nome della razionalità del reale, assegnano un<br />

ruolo marginale se non irrilevante). Citiamo, anzitutto, gli interventi dello<br />

63 Tesla avrebbe ideato un sistema <strong>di</strong> trasmissione <strong>di</strong> particelle elettriche concentrate in<br />

raggi <strong>di</strong> energia, somiglianti a fulmini globulari: annunciò la sua scoperta nel 1934, ma nessun<br />

governo si mostrò interessato a quella che apparve la propaganda <strong>di</strong> un ciarlatano (vd. Gary<br />

Hyland, cit., pp. 44-45).<br />

–65–


storico Franco Car<strong>di</strong>ni (Franco Car<strong>di</strong>ni, La storia con i se, in «Storia e Dossier»,<br />

n. 133, <strong>di</strong>cembre 1988, pp. 60-65), dello storico e politologo Sergio<br />

Romano (Sergio Romano, pref. a Se la storia fosse andata <strong>di</strong>versamente.<br />

Saggi <strong>di</strong> storia virtuale, a cura <strong>di</strong> John Collings Squire, ed. it. a cura <strong>di</strong><br />

Gianfranco de Turris, trad. <strong>di</strong> Manuela Frassi, TEA, Milano 2002, pp. V-<br />

XIV; Id., La storia con i «se», in I confini della storia, Rizzoli, Milano<br />

2005, pp. 21-25), dello storico inglese Robert Cowley (Robert Cowley, intr.<br />

a La storia fatta con i se, a cura <strong>di</strong> Robert Cowley, trad. <strong>di</strong> Renzo Peru e<br />

Orietta Putignano, BUR, Milano 2003, rist., pp. 7-10; Id., intr. a Se Lenin<br />

non avesse fatto la rivoluzione, nuove ipotesi <strong>di</strong> storia fatta con i se, trad.<br />

<strong>di</strong> Giorgio Maini, Rizzoli, Milano 2002, pp. 7-10). 64 Questi interventi<br />

hanno avuto il merito <strong>di</strong> mettere in luce che costruire ipotesi alternative,<br />

elaborare ciò che sarebbe potuto accadere “se...”, non è un mero trastullo<br />

dell’intelligenza, quanto una ribellione, condotta in nome della ragione ma<br />

anche della fantasia, alla supposta necessità e ineluttabilità degli eventi<br />

storici, al presunto determinismo che ne regola e spiega l’acca<strong>di</strong>mento e<br />

che talora è frutto <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zio se non <strong>di</strong> dogmatismo.<br />

Il merito dei costruttori <strong>di</strong> ipotesi <strong>di</strong> storia alternativa, com’è stato rilevato<br />

dagli stu<strong>di</strong>osi sopra citati, è anzitutto quello <strong>di</strong> mostrare come l’evento<br />

storico sia la somma <strong>di</strong> una infinita serie <strong>di</strong> combinazioni <strong>di</strong> particolari e<br />

dettagli, in apparenza trascurabili, che concorrono nella loro totalità a determinare<br />

quello specifico acca<strong>di</strong>mento, sicché si può affermare (come<br />

peraltro si è fatto), senza tema <strong>di</strong> apparire esagerati, che una lieve mo<strong>di</strong>fica,<br />

anche minima, nei particolari può decidere il corso della storia. Prendendo<br />

spunto da queste considerazioni, storici e saggisti si sono provati a immaginare<br />

<strong>di</strong>varicazioni temporali nel corso della storia dall’antichità fino ai<br />

nostri giorni, come effetto del verificarsi <strong>di</strong> un evento possibile non accaduto<br />

o del non verificarsi <strong>di</strong> un evento effettivamente accaduto. 65 Analogamente<br />

all’utopia è nata così l’ucronia (dal greco ου ,<br />

, “non”, e χρóνος,<br />

64 Aggiungiamo anche Maurizio Assalto, La storia? Facciamola con i se, in «La Stampa»,<br />

24 ottobre 2001.<br />

65 A mostrare come le riflessioni sulla storia alternativa interessino politologi e stu<strong>di</strong>osi,<br />

citiamo la serie <strong>di</strong> articoli La storia fatta con i se apparsa recentemente sul «Corriere della<br />

Sera»: Sergio Romano, Eisenhower salvò i francesi a Dien Bien Phu, in «Corriere della Sera»,<br />

4 luglio <strong>2004</strong>; Luciano Canfora, Se Alcibiade fosse tornato e avesse salvato Socrate, in «Corriere<br />

della Sera», 11 luglio <strong>2004</strong>; Sergio Romano, Se Cavour ci avesse ripensato accordandosi<br />

con i Borbone, in «Corriere della Sera», 22 agosto <strong>2004</strong>; Sergio Romano, Se Napoleone avesse<br />

vinto la battaglia <strong>di</strong> Waterloo, in «Corriere della Sera», 20 novembre <strong>2004</strong>; Giorgio Rumi, Cro-<br />

–66–


“tempo”) o “storia virtuale” o “controfattuale”, ossia la storia non quale si è<br />

effettivamente verificata ma quale si sarebbe potuta svolgere se vi fosse<br />

stata nel passato una variazione degli eventi, <strong>di</strong> eventi anche minimi, che<br />

l’hanno determinata.<br />

Pur potendosi ascrivere all’ucronia ascendenti illustri 66 (precorritrici<br />

dell’ucronia potrebbero certamente essere le riflessioni <strong>di</strong> Tito Livio 9,17-<br />

19 sull’esito <strong>di</strong> una eventuale guerra in Italia se Alessandro Magno, dopo<br />

aver conquistato l’impero persiano, avesse deciso <strong>di</strong> attaccare la potenza<br />

romana), essa è fatta comunemente risalire, per la sua origine, a un filosofo<br />

francese dell’Ottocento, Charles Renouvier (1815-1903), che pubblicò nel<br />

1876 in forma definitiva la sua Uchronie (l’Utopie dans l’Histoire), un<br />

saggio, presentato come apocrifo, sulla storia occidentale dalla morte <strong>di</strong><br />

Marco Aurelio all’avvento <strong>di</strong> Carlo Magno, narrata però con una variante:<br />

alla morte <strong>di</strong> Marco Aurelio (180 d.C.) succede non il degenere figlio Com-<br />

naca da una strana Italia se avesse vinto Radetzky, in «Corriere della Sera», 8 <strong>di</strong>cembre <strong>2004</strong>;<br />

Aurelio Lepre, Se il Duce della marcia su Roma si fosse chiamato d’Annunzio, in «Corriere<br />

della Sera», 24 luglio 2005; Eva Cantarella, Se Marco Antonio e Cleopatra avessero sconfitto<br />

Ottaviano, in «Corriere della Sera», 1° agosto 2005; Luciano Canfora, Senza il complotto <strong>di</strong><br />

Olimpiade il «Grande» sarebbe stato Filippo, in «Corriere della Sera», 7 novembre 2005; Alberto<br />

Melloni, La rivoluzione <strong>di</strong> Martin Lutero che fu utile anche ai cattolici, in «Corriere della<br />

Sera», 8 novembre 2005; Giovanni Belardelli, Senza Cavour e gli altri, oggi l’Italia sarebbe<br />

una confederazione <strong>di</strong> Stati, in «Corriere della Sera», 11 novembre 2005; Sergio Luzzatto,<br />

Eliminare il Terrore giacobino? Le rivoluzioni vogliono i Robespierre, in «Corriere della Sera»,<br />

12 novembre 2005; Sergio Romano, 4 marzo 1861: Lincoln non giura. Immaginate il mondo<br />

senza gli Usa, in «Corriere della Sera», 14 novembre 2005. Aggiungiamo alla serie anche la<br />

risposta <strong>di</strong> Sergio Romano al lettore Mario Taliani, Italia 1943-1945: se il fascismo non fosse<br />

caduto, in «Corriere della Sera», 27 agosto 2005 (il commentatore immagina due possibili alternative<br />

conseguenti a un mancato 25 luglio: una martellante campagna <strong>di</strong> bombardamenti alleati<br />

che avrebbe raso al suolo le città italiane, con il rapido crollo del fronte interno e del regime<br />

fascista, o la personale conduzione delle trattative, da parte del Duce, per un’onorevole uscita<br />

dell’Italia dalla guerra, con sconfitta finale dei tedeschi e il tranquillo ritiro <strong>di</strong> Mussolini a vita<br />

privata, consenzienti gli alleati). L’ex coor<strong>di</strong>natore nazionale per la sicurezza e l’antiterrorismo<br />

USA Richard A. Clarke ha delineato le prospettive future della guerra al terrorismo, immaginando<br />

altri devastanti attacchi in America (Las Vegas e altre località americane) e l’intero<br />

Me<strong>di</strong>o Oriente ridotto a campo <strong>di</strong> battaglia: vd. Richard A. Clarke, Storia della prima guerra<br />

globale, in «Corriere della Sera», 11 luglio 2005.<br />

66 Ripercorre la storia dell’ucronia, citando esempi precedenti al Renouvier, Gianfranco de<br />

Turris, Tutti i futuri del mondo, postfazione a Se la storia fosse andata <strong>di</strong>versamente. Saggi <strong>di</strong><br />

storia virtuale, cit., pp. 291-326. L’ucronia ha originato una vera e propria tra<strong>di</strong>zione narrativa,<br />

che vanta, per esempio, autori come Kingsley Amis (Mo<strong>di</strong>ficazione H.A.), Paul Menard (1938<br />

La <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> Parigi) e i nostri Guido Morselli (Roma senza papa, Contropassato prossimo)<br />

e Roberto Pazzi (La malattia del tempo). Un’ampia antologia <strong>di</strong> racconti sul tema della storia<br />

alternativa è I mon<strong>di</strong> del possibile, a cura <strong>di</strong> Piergiorgio Nicolazini, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1993.<br />

–67–


modo, ma l’usurpatore Avi<strong>di</strong>o Cassio e, tra le varie conseguenze, la filosofia<br />

stoica assume nell’impero romano un ruolo dominante al posto del cristianesimo.<br />

Nella visione liberale e illuministica dell’autore, lo stoicismo, <strong>di</strong>venuto<br />

a sua volta una religione filosofica, crea un mondo pacificato e assicura<br />

la libertà e la giustizia alle nazioni assai prima dell’età moderna.<br />

Immaginare la storia alternativa significa però, anzitutto, <strong>di</strong>stinguere<br />

tra ucronia (o “storia virtuale” o “controfattuale”) e “fantastoria”, poiché<br />

il gioco dell’intelletto non può spingersi oltre i limiti della razionalità.<br />

L’ucronia, come finzione storica, deve rispettare non solo la continuità<br />

spazio-temporale relativa alla successione delle epoche storiche (dall’antichità<br />

all’età contemporanea) ma, soprattutto, la regola della plausibilità,<br />

in base alla quale l’autore, che ha a <strong>di</strong>sposizione infiniti futuri possibili nel<br />

suo gioco combinatorio (quasi passeggiasse nel borgesiano Giar<strong>di</strong>no dei<br />

sentieri che si biforcano), ricostruisce un periodo storico, fin nei particolari<br />

più minuti, inserendo una variante e calcolando gli effetti, se non necessariamente<br />

almeno plausibilmente, consequenziali a quella variazione. Ovviamente,<br />

più lontana nel tempo sarà la variazione del fatto, maggiore sarà la<br />

deviazione del corso successivo dall’asse cronologico degli eventi, qual è<br />

stato fissato dalla storia reale. Un fatto nuovo inserito dallo storico “alternativo”<br />

nell’antichità sarà ovviamente suscettibile <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare ra<strong>di</strong>calmente<br />

la storia della civiltà umana, determinando la non esistenza <strong>di</strong> fenomeni storici<br />

<strong>di</strong> enorme portata (ad esempio, la vittoria <strong>di</strong> Antonio e Cleopatra ad<br />

Azio avrebbe avuto, tra i suoi vari effetti, la mancata fondazione dell’impero<br />

romano da parte <strong>di</strong> Augusto o, almeno, uno stato romano assai <strong>di</strong>verso<br />

da come lo stu<strong>di</strong>amo sui manuali <strong>di</strong> storia) e la concomitante nascita <strong>di</strong> altri<br />

del tutto imprevisti, che inducono a porsi interrogativi paradossali e inquietanti<br />

(senza l’impero romano, vi sarebbe stato il Me<strong>di</strong>oevo? Che fine<br />

avrebbe fatto la cultura classica? E senza il <strong>di</strong>ritto romano, quale sarebbe<br />

stato il <strong>di</strong>ritto moderno? Gli stati nazionali sarebbero potuti sorgere? In conclusione,<br />

quale sarebbe oggi il volto della civiltà in Europa e nel mondo?).<br />

Viceversa, il fatto nuovo inserito in un’epoca recente potrebbe apportare<br />

poche variazioni (sia pur <strong>di</strong> grande portata) alla storia dell’umanità, ma<br />

tali da non dover necessariamente e irrevocabilmente implicare mo<strong>di</strong>fiche<br />

ra<strong>di</strong>cali e definitive al corso degli eventi. Ad esempio, una vittoria temporanea<br />

<strong>di</strong> Hitler o del Giappone nel corso del conflitto, secondo alcuni stu<strong>di</strong>osi,<br />

avrebbe potuto soltanto ritardare la vittoria finale delle forze alleate, a<br />

prezzo però <strong>di</strong> ulteriori, spaventose per<strong>di</strong>te umane (ad esempio, il fallimento<br />

dello sbarco in Norman<strong>di</strong>a il 6 giugno 1944, secondo Stephen E.<br />

–68–


Ambrose, 67 o la mancata decifrazione del sistema crittografico Enigma<br />

usato dai tedeschi, secondo David Kahn, 68 o ancora la vittoria giapponese<br />

nella battaglia navale <strong>di</strong> Midway nel 1942, secondo Theodore F. Cook jr., 69<br />

avrebbero certamente assegnato alle forze del Patto Tripartito un indubbio<br />

vantaggio, annullato però dall’olocausto nucleare della Germania e del<br />

Giappone, prospettiva comune a tutti e tre i casi). Come si vede, gli storici<br />

preferiscono elaborare ipotesi razionalmente plausibili, mentre è soltanto<br />

nei futuri immaginati dai narratori <strong>di</strong> storia alternativa che si dà (ma non per<br />

tutti) la vittoria definitiva del Terzo Reich e l’instaurazione dell’“era hitleriana”.<br />

Senza considerare che v’è anche chi, come Eric-Emmanuel Schmitt<br />

(vd. oltre), ha provato a immaginare la biografia <strong>di</strong> un Hitler artista, quale<br />

sarebbe probabilmente <strong>di</strong>ventato se non fosse stato il <strong>di</strong>ttatore che abbiamo<br />

conosciuto.<br />

Dicevamo che la storia alternativa deve obbe<strong>di</strong>re alla regola della<br />

plausibilità, ossia della verosimiglianza. In tal senso sarà una esercitazione<br />

<strong>di</strong> storia virtuale immaginare quali sarebbero state tutte o la maggior parte<br />

delle probabili conseguenze, se nel 275 a.C. Pirro avesse vinto i Romani a<br />

Maleventum o se nel 49 a.C. Cesare si fosse accordato con Pompeo, evitando<br />

il passaggio del Rubicone e lo scatenamento della guerra civile, non<br />

cosa sarebbe successo se Annibale avesse avuto a <strong>di</strong>sposizione un or<strong>di</strong>gno<br />

nucleare. Porre un’ipotesi del genere (come pure è stato seriamente fatto<br />

in una scuola <strong>di</strong> guerra inglese) 70 significa scar<strong>di</strong>nare ogni regola della<br />

storia e dell’immaginazione, inquinando la riflessione sui dati storici con<br />

elementi allotrî, con la pura fantasticheria, se non la fantascienza. Converrà,<br />

allora, chiamare testi siffatti non “storia alternativa” o “virtuale”,<br />

ma semplicemente “storia fantastica” o “fantastoria”, una sorta <strong>di</strong> “fantasy”<br />

(invariabilmente costruita sulla base degli elementi narrativi che<br />

Propp ha rilevato nel patrimonio favolistico russo) camuffata da storia.<br />

Anche la narrativa <strong>di</strong> storia virtuale riflette questa <strong>di</strong>stinzione: vi sono<br />

scrittori <strong>di</strong> narrativa che costruiscono accuratamente e verosimilmente<br />

storie alternative (come mere ipotesi che potrebbero certamente essere accettate,<br />

per plausibilità e coerenza logica, dagli storici accademici) e altri<br />

67 Stephen E. Ambrose, L’insuccesso del «giorno più lungo», in La storia fatta con i se,<br />

cit., pp. 357-364.<br />

68 David Kahn, Enigma irrisolto, in Se Lenin non avesse fatto la rivoluzione, cit., pp. 331-342.<br />

69 Theodore F. Cook jr., La sconfitta Americana a Midway, in La storia fatta con i se, cit.,<br />

pp. 323-354.<br />

70 Così asserisce Robert Cowley, intr. a La storia fatta con i se, cit., p. 9.<br />

–69–


che inseriscono nei loro mon<strong>di</strong> paralleli elementi puramente fantastici, innestando<br />

la fantascienza nella ricostruzione storica (con risultati talora<br />

stridenti, se non grossolanamente bizzarri). 71 Per fare un esempio in ambito<br />

strettamente narrativo, è un romanzo <strong>di</strong> ucronia Fatherland <strong>di</strong> Robert<br />

Harris, ambientato in una assai cre<strong>di</strong>bile Germania nazista del 1964; non è<br />

un testo <strong>di</strong> ucronia, ma piuttosto <strong>di</strong> “fantastoria”, l’ampio ciclo dell’Invasione<br />

<strong>di</strong> Harry Turtledove (vd. al § 5), che, pur accurato nella ricostruzione<br />

<strong>di</strong> ambienti e personaggi della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, inserisce in quel<br />

contesto l’attacco alla Terra <strong>di</strong> una potentissima razza <strong>di</strong> alieni rettiliformi.<br />

Neppure possiamo considerare testi <strong>di</strong> ucronia, piuttosto che <strong>di</strong> fantascienza,<br />

anche se provvisti <strong>di</strong> spunti riflessivi assai interessanti, quei romanzi<br />

e racconti in cui la storia alternativa è frutto <strong>di</strong> una manipolazione<br />

del passato dovuta a un viaggio temporale (tema pre<strong>di</strong>letto dagli scrittori<br />

<strong>di</strong> SF). Pensiamo a un testo come Fuga nel tempo <strong>di</strong> Chad Oliver (A star<br />

above it, 1955): 72 qui il protagonista, un inquieto storico <strong>di</strong> Harvard, dall’anno<br />

2080 si fa trasferire nel Messico del 1445, per poter <strong>di</strong>stribuire cavalli<br />

e fucili, da lui sottratti all’epoca della guerra <strong>di</strong> Secessione, agli Aztechi,<br />

settant’anni prima della venuta dei Conquistadores. È per amore che<br />

lo stu<strong>di</strong>oso non esita a cambiare il corso della storia: infatti, in un precedente<br />

viaggio nel passato, si è innamorato <strong>di</strong> una ragazza in<strong>di</strong>ana e vuole<br />

preservare il futuro della sua <strong>di</strong>scendenza e della civiltà che lo ospita, destinata<br />

a essere cancellata dagli Spagnoli. Gli uomini della Commissione<br />

Sicurezza del Tempo devono allora eliminare un evento potenzialmente <strong>di</strong>struttivo<br />

della civiltà occidentale, quale essa si è evoluta. In<strong>di</strong>cativo della<br />

problematica morale sollevata dal racconto è il <strong>di</strong>alogo tra Hughes, lo stu<strong>di</strong>oso<br />

che si è trasferito tra gli Aztechi vivendo sotto i panni <strong>di</strong> un gran sacerdote,<br />

e Wade, l’uomo che gli dà la caccia per riaggiustare il corso della<br />

storia che il primo, vittima del suo romantico sogno, tenta <strong>di</strong> compromettere<br />

irrime<strong>di</strong>abilmente. Al suo avversario che lo accusa <strong>di</strong> essere il più<br />

grande assassino della storia, perché il suo atto determinerà l’impossibilità<br />

della civiltà umana <strong>di</strong> svilupparsi quale si è evoluta fino al 2080, Hughues<br />

71 Sulle elaborazioni del romanzo storico in chiave fantastica vd. Li<strong>di</strong>a De Federicis, Letteratura<br />

e storia, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 55-65; sull’ucronia in rapporto alle utopie della<br />

fantascienza vd.: Darko Suvin, Le metamorfosi della fantascienza, trad. <strong>di</strong> Lia Guerra, Il<br />

Mulino, Bologna, pp. 167-169; Renato Giovannoli, La scienza della fantascienza, Bompiani,<br />

Milano 1991, pp. 268-270.<br />

72 Chad Oliver, Fuga nel tempo, in Destinazione universo, a cura <strong>di</strong> Piero Pieroni, Vallecchi,<br />

Firenze 1963, pp. 399-342.<br />

–70–


ibatte che i cavalli e i fucili rappresentano l’unica possibilità che proprio<br />

la Storia dà agli Aztechi, tramite lui, <strong>di</strong> sopravvivere agli Spagnoli. Sarà<br />

dunque Wade, uccidendo i cavalli e lasciando che le vicende storiche abbiano<br />

il loro effettivo corso, a uccidere in realtà ogni <strong>di</strong>scendente degli Aztechi<br />

fino alla fine del tempo. Qual è il criterio per decidere quale delle<br />

due civiltà, se quella Azteca o quella occidentale, meriti <strong>di</strong> sopravvivere?<br />

Così Hughues al suo interlocutore, ponendo un classico esempio <strong>di</strong> relativismo.<br />

Naturalmente le vicende del nazismo hanno rappresentato un campo<br />

assai stimolante per le costruzioni <strong>di</strong> storici e narratori, che si sono <strong>di</strong>vertiti<br />

a immaginare le modalità strategiche <strong>di</strong> una vittoria dell’Asse nel secondo<br />

conflitto mon<strong>di</strong>ale o l’instaurazione <strong>di</strong> un’era nazista, a seguito <strong>di</strong> quella<br />

vittoria, tra i futuri possibili dell’umanità. 73 Tra gli storici va ricordato John<br />

Keegan, il quale ha provato seriamente a immaginare un piano strategico<br />

alternativo che avrebbe potuto assicurare al Führer ragionevoli possibilità<br />

<strong>di</strong> vittoria: se Hitler avesse rimandato l’operazione Barbarossa al 1942,<br />

optando nel 1941 per un attacco all’Iraq e all’Iran, la sua strategia sarebbe<br />

potuta riuscire vincente. L’isola <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong>, in mano agli italiani, poteva costituire<br />

una base <strong>di</strong> partenza per uno sbarco delle truppe dell’Asse in Siria,<br />

dove avrebbero travolto le deboli guarnigioni <strong>di</strong> Vichy. Dalla Siria e dal<br />

Libano i tedeschi sarebbero potuti avanzare in Iraq e Iran, quin<strong>di</strong>, impadronitisi<br />

dei ricchi giacimenti <strong>di</strong> petrolio, entrare in Afghanistan e In<strong>di</strong>a, infliggendo<br />

colpi durissimi all’impero coloniale inglese e minacciando l’Unione<br />

Sovietica da sud. Un’altra via perseguibile sarebbe stata la conquista dell’Arabia<br />

Sau<strong>di</strong>ta e dei suoi giacimenti petroliferi, se l’avanzata dell’Afrika<br />

Korps in Egitto fosse stata coronata da successo. Con la conquista della<br />

regione me<strong>di</strong>orientale Hitler avrebbe potuto risolvere il problema dell’approvvigionamento<br />

petrolifero e probabilmente vincere la guerra o portarla<br />

almeno a una situazione <strong>di</strong> stallo (John Keegan, Come Hitler avrebbe<br />

potuto vincere la guerra, in La storia fatta con i se, cit., p. 307-317).<br />

73 Un’accurata rassegna delle ucronie riguardanti il nazismo è quella <strong>di</strong> Gian Filippo Pizzo,<br />

Il sogno e l’incubo del Quarto Reich, testo accessibile sul sito Delos Views all’in<strong>di</strong>rizzo www.<br />

delos.fantascienza.com/ Ampie in<strong>di</strong>cazioni anche in Per una bibliografia ucronica italiana, all’in<strong>di</strong>rizzo<br />

www.giampietrostocco.it/bibliografia.htm I testi <strong>di</strong> storia alternativa riguardanti anche<br />

nazismo e fascismo sono analizzati in Gianfranco de Turris, Tutti i futuri del mondo, postfazione a<br />

Se la storia fosse andata <strong>di</strong>versamente. Saggi <strong>di</strong> storia virtuale, cit., pp. 291-326. Riconduce l’ucronia<br />

nazista al tema degli universi paralleli Daniela Guardamagna, Analisi dell’incubo. L’utopia<br />

negativa da Swift alla fantascienza, Bulzoni, Roma 1980, pp. 132-133.<br />

–71–


Il primo romanzo che presenta una ucronia nazista è La notte della<br />

svastica <strong>di</strong> Katharine Burdekin (Swastika Night, 1937), 74 scritto nel 1937,<br />

quando Hitler teneva saldamente il potere e una vittoria hitleriana era tra i<br />

possibili orizzonti della storia. La Burdekin presenta un mondo dove il<br />

nazismo, uscito vincitore da una ipotetica Guerra dei Vent’anni nel Novecento,<br />

domina da secoli, ambientando la trama nell’anno del Signore Hitler<br />

720. Il primo Führer, trasfigurato in mito, è venerato in chiese con la pianta a<br />

svastica, a lui si innalzano statue gigantesche, cori e preghiere, che lo esaltano<br />

come un <strong>di</strong>o onnipotente, mentre la Terra, piombata in una nuova notte<br />

me<strong>di</strong>evale e ridotta a un immenso lager, è dominata dal Sacro Impero Germanico.<br />

La società è fondata su base rigidamente razziale. I nuovi feudatari,<br />

i Signori della Stirpe, sono i padroni dell’umanità e opprimono le stirpi<br />

inferiori, tra le quali gli inglesi godono <strong>di</strong> una qualche considerazione. Gli<br />

ebrei sono scomparsi e il loro posto è stato preso dai cristiani, che vivono<br />

come sub-umani reietti dalla società. Gli uomini non sanno leggere né scrivere,<br />

il mondo è piombato in una nuova notte me<strong>di</strong>evale e gli stessi nazisti<br />

sono istupi<strong>di</strong>ti da una dottrina dogmatica che ottenebra le menti. La donna,<br />

soggiogata in una vera e propria schiavitù, ha perduto ogni autonomia e<br />

appartiene allo stato, che la utilizza ai soli scopi <strong>di</strong> ricreazione e <strong>di</strong> procreazione.<br />

L’assoggettamento della donna, che ricorda quello esistente nelle<br />

società islamiche, ha determinato l’arresto della civiltà allo sta<strong>di</strong>o agricolopastorale.<br />

In questo mondo ridotto alla galera e al bordello, agiscono i tre<br />

personaggi principali della storia: Alfred, giovane meccanico inglese, Hermann,<br />

ottuso e istintivo nazista che riconosce suo malgrado la superiorità intellettuale<br />

del primo e ne <strong>di</strong>venta amico, il cavaliere teutonico del Sacro Impero<br />

Germanico von Hess che, <strong>di</strong>sgustato dal crudele dominio dei suoi camerati,<br />

affida ad Alfred, nel quale vede una sorta <strong>di</strong> figlio spirituale, il “libro<br />

<strong>di</strong> von Hess”, un’antichissima cronaca scritta da un suo avo (forse Rudolf<br />

Hess, che fu il delfino <strong>di</strong> Hitler), che smaschera la grottesca mitizzazione del<br />

primo fondatore del nazismo (falsificato anche nell’immagine, poiché è ritratto<br />

come un gigante dalla folta capigliatura bionda e con lunghi baffi spioventi)<br />

e ricostruisce la storia del passato, cancellata dalla riscrittura propagan<strong>di</strong>stica<br />

del regime. 75 Il possesso del libro <strong>di</strong> von Hess costerà la vita ad<br />

74 Katharine Burdekin, La notte della svastica, trad. <strong>di</strong> Daniela Della Bona, E<strong>di</strong>tori Riuniti,<br />

Roma 1993.<br />

75 Ha ben osservato il Pagetti, pref. a K. Burdekin, La notte della svastica, cit., p. XI, che<br />

l’immaginario impero nazista escogitato dalla Burdekin, non è lo spazio della forza, ma della<br />

–72–


Alfred, che però da ultimo riesce ad affidare il libro a suo figlio, in modo che<br />

le future generazioni possano conoscere la verità per affrancarsi dal dominio<br />

nazista e riconquistare la libertà.<br />

L’inglese John W. Wall, con lo pseudonimo <strong>di</strong> Sarban, è l’autore <strong>di</strong><br />

Caccia alta (The sound of his horn, 1952), 76 un inquietante romanzo <strong>di</strong><br />

ucronia nazista. Il protagonista narrante, Alan Quer<strong>di</strong>lion, un giovane ufficiale<br />

della Marina britannica prigioniero durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale,<br />

fuggendo da un lager in Germania orientale subisce uno strano incidente,<br />

che gli fa perdere coscienza. Si risveglia in un ospedale per scoprire<br />

che i tedeschi hanno vinto la guerra e l’Europa intera è piombata sotto i nazisti,<br />

che vi hanno istituito una signoria <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>evale. Al vertice della<br />

società stanno i Cavalieri nazisti, oligarchi capricciosi e immensamente potenti,<br />

segue la servizievole classe degli amministratori del Partito “<strong>di</strong>abolicamente<br />

coscienziosi”, 77 quin<strong>di</strong> le masse dei popoli soggiogati e abbrutiti,<br />

ridotte a proletariato schiavo. Il <strong>di</strong>vertimento preferito dei Cavalieri è quello<br />

<strong>di</strong> organizzare battute <strong>di</strong> caccia con selvaggina umana: in un ambiente rurale<br />

e me<strong>di</strong>evaleggiante, tra boschi e brughiere si vedono donne in costume<br />

piumato o da cervo correre terrorizzate con la muta <strong>di</strong> cani alle calcagna,<br />

prima <strong>di</strong> essere abbattute dalle frecce o dai proiettili in una orribile gara <strong>di</strong><br />

caccia. 78 Crudeltà e sa<strong>di</strong>smo dominano questo romanzo e i suoi personaggi,<br />

tra i quali svetta il feroce conte Johann von Hackelberg, Gran Maestro Forestale<br />

del Reich, che organizza per i suoi convitati battute <strong>di</strong> caccia umana al<br />

chiaro <strong>di</strong> luna e offre opulenti banchetti nel suo castello, al lume delle torce<br />

che reggono fanciulle costrette a fungere da statue viventi. A completare<br />

il quadro, giovani schiavi ridotti al mutismo dal taglio delle corde vocali<br />

servono ai convitati lauti manicaretti con abbondante birra, in un festino<br />

debolezza maschile: «retrocessa a una economia rurale <strong>di</strong> tipo feudale, dominata da una casta<br />

<strong>di</strong> sprezzanti Cavalieri Teutonici, l’Europa dell’utopia nazista è una terra desolata, solcata da<br />

misere figure maschili, prive <strong>di</strong> qualsiasi pur terrificante grandezza». Del medesimo stu<strong>di</strong>oso<br />

vd. anche: Carlo Pagetti, “Nell’anno del Signore Hitler 720”: Swastika Night <strong>di</strong> Katharine<br />

Burdekin, in Citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> un assurdo universo, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1989, pp. 117-127.<br />

76 Sarban (John W. Wall), Caccia alta, trad. <strong>di</strong> Rita Botter Pierangeli, De Carlo E<strong>di</strong>tore,<br />

Milano 1974. Sul romanzo rapido cenno in Jacques Sadoul, Storia della fantascienza, trad. <strong>di</strong><br />

Giusi Riverso, Garzanti, Milano 1975, p. 213.<br />

77 Così Kingsley Amis, intr. a Sarban, Caccia alta, cit., p. 8.<br />

78 Per la verità l’idea della caccia alla preda umana è già in altri precedenti racconti del<br />

terrore, come il famoso La selvaggina più pericolosa <strong>di</strong> Richard Connell (The most dangerous<br />

game), che si può leggere in: Alfred Hitchcock presenta 25 racconti del terrore vietati alla TV,<br />

Garzanti, Milano 1971².<br />

–73–


concluso dal <strong>di</strong>vertimento preferito del conte: una vicina arena simile a<br />

un circo romano accoglie ragazze in costume <strong>di</strong> gatto che si azzuffano tra<br />

<strong>di</strong> loro e squarciano con artigli d’acciaio daini e altri animali, <strong>di</strong>vorandone<br />

le carni crude. Si tratta <strong>di</strong> un romanzo tra il terrore e la fantascienza, ricco<br />

<strong>di</strong> immagini evocative e simboliche, ma l’ambigua conclusione sembra in<strong>di</strong>care<br />

che tutta la storia non sarebbe altro che frutto <strong>di</strong> una allucinazione del<br />

protagonista (così come avviene nel finale del famoso film espressionista<br />

Il gabinetto del dottor Caligari <strong>di</strong> Robert Wiene).<br />

Philip K. Dick, maestro della narrativa <strong>di</strong> fantascienza, ci dà un esempio<br />

notevole <strong>di</strong> storia alternativa, nella quale in verità gli elementi <strong>di</strong> fantascienza<br />

sono assenti o ridotti al minimo, ricostruendo in maniera realistica e<br />

avvincente nel romanzo La svastica sul sole (The Man in the High Castle,<br />

1962) 79 la storia <strong>di</strong> un ipotetico dopoguerra nel quale le potenze dell’Asse risultano<br />

vincitrici. Hitler ha vinto la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e con lui l’ha<br />

vinta il Giappone. L’America è ridotta a colonia dai tedeschi e l’Africa è un<br />

immenso lager. Quanto all’Italia, alleata dell’Asse, essa è ridotta a sub-nazione.<br />

I tedeschi si mostrano padroni arroganti e spietati e fa una certa impressione<br />

leggere che le loro navi-razzo (derivate dalle V-2) solcano in<strong>di</strong>sturbate<br />

i cieli d’America, da New York a San Francisco. La società americana,<br />

o meglio quello che ne resta, è regolata da ferrei principi razziali ed asservita<br />

ai nazisti: ebrei e negri sono ridotti in schiavitù, e Dick, con una punta <strong>di</strong> sarcasmo<br />

corrosivo, precisa che proprio negli stati del sud i nazisti riscuotono le<br />

maggiori simpatie. Ma è anche da notare che la vita delle città americane descritta<br />

da Dick, con la loro plumbea atmosfera <strong>di</strong> paura, <strong>di</strong> delazione, <strong>di</strong><br />

complicità, somiglia non poco a quella <strong>di</strong> certi cupi momenti nella storia dei<br />

paesi del “socialismo reale”. In questo universo totalitario si muovono i<br />

pochi personaggi del romanzo: R. Childan, Ray Calvin, il camionista italiano<br />

Joe Cinnadella, l’irreprensibile poliziotto giapponese Tagomi, tutti alla ri-<br />

79 Philip K. Dick, La svastica sul sole, trad. <strong>di</strong> R. Minelli, La Tribuna e<strong>di</strong>trice, Piacenza<br />

1965. Coglie il valore del romanzo nella rappresentazione dell’ansia <strong>di</strong> libertà insita nell’uomo<br />

e prevalente su qualsiasi sistema politico, Gian Franco Vené, intr. a Philip K. Dick, La svastica<br />

sul sole, cit., pp. 9-10. Sul romanzo: Jacques Sadoul, Storia della fantascienza, cit., p. 252; Robert<br />

Scholes - Eric S. Rabkin, Fantascienza. Storia scienza visione, trad. <strong>di</strong> Giovanna Orzalesi<br />

Liborio, Pratiche e<strong>di</strong>trice, Parma 1988, pp. 108-111; Fabio Giovannini - Marco Minicangeli,<br />

Storia del romanzo <strong>di</strong> fantascienza, Castelvecchi, Roma 1998, p. 87. Su Philip K. Dick: Vittorio<br />

Curtoni, Philip Dick: in lotta con l’universo impazzito, in «Abstracta», n. 52, ottobre 1990,<br />

pp. 73-77; Emmanuel Carrère, Philip Dick 1928-1982. Una biografia, trad. <strong>di</strong> Stefania Papetti,<br />

Teoria, Roma-Napoli 1996; FOCUS. Philip K. Dick. Storia e letteratura controfattuale, a cura <strong>di</strong><br />

Isabella Nitti, testo leggibile all’in<strong>di</strong>rizzo http://magazine.enel.it/boiler/arretrati/arretrati/boiler<br />

–74–


cerca <strong>di</strong> un misterioso personaggio, lo scrittore Hawthorne Abendsen.<br />

Questi, perseguitato dalla polizia nazista e costretto a vivere in un remoto rifugio,<br />

è l’autore <strong>di</strong> un libro proibito, The Grasshopper lies heavy (La cavalletta<br />

non si alzerà più), che altro non è, come Dick rivela nel finale, se non la<br />

storia del mondo narrata come se avessero vinto le truppe angloamericane e<br />

sovietiche, ossia quella che realmente viviamo oggi (anche se Dick vi apporta<br />

qualche variazione). Il gioco tra realtà e finzione si fa alla fine scoperto<br />

perché Dick sembra <strong>di</strong>rci (confondendo, secondo il suo stile, il piano della<br />

realtà e quello della illusione) con le ultime parole dello stesso Abendsen,<br />

che la storia quale questi l’ha immaginata è quella reale, mentre quella narrata<br />

è immaginaria: i nazisti hanno dunque perso la guerra e la storia fortunatamente<br />

non si è mo<strong>di</strong>ficata. Il libro <strong>di</strong> Abendsen, infatti, non è altro che un<br />

lunghissimo oracolo scritto con il complicato sistema esagrammatico dell’I<br />

Ching, il metodo <strong>di</strong>vinatorio dell’astrologia cinese, e rappresenta la Verità<br />

Interiore. Il romanzo <strong>di</strong> Dick, che testimonia una tematica cara all’autore,<br />

ossia la <strong>di</strong>sintegrazione delle categorie conoscitive del reale, 80 si sviluppa<br />

quin<strong>di</strong> come una tipica “fabula aperta” e sembra chiamare il lettore a scegliere<br />

fra due conclusioni egualmente possibili ma antitetiche (ciò che è descritto<br />

nel romanzo è immaginario o no? I nazisti hanno o no conquistato<br />

l’America? Qual è la realtà, quella narrata da Dick o quella <strong>di</strong> Abendsen?).<br />

Un’ultima curiosità: sembra che i tedeschi pre<strong>di</strong>ligano collezionare vecchi<br />

oggetti d’antiquariato americano stile liberty.<br />

Len Deighton, noto autore <strong>di</strong> storie <strong>di</strong> spionaggio, in La grande spia<br />

(SS-GB, 1978) 81 colloca l’azione a Londra nel 1941, dopo la capitolazione<br />

dell’Inghilterra <strong>di</strong> fronte alle armate naziste, alleate dei sovietici. Il re<br />

Giorgio VI è stato imprigionato, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Himmler, nella Torre <strong>di</strong><br />

Londra e Churchill fucilato da un plotone della Luftwaffe a Berlino. Scotland<br />

Yard è ora guidata da un generale delle SS e il suo più famoso investi-<br />

80 Donde l’ambiguità gnoseologica delle esperienze narrate da Dick: “Il senso della vita si<br />

traduce nello sforzo vano, ma necessario <strong>di</strong> interpretare una catena <strong>di</strong> eventi che sono già stati<br />

manipolati, rimontati, non solo dalle forze imperscrutabili del potere costituito (Time Out of<br />

Joint), ma dalle allucinazioni in<strong>di</strong>viduali, che trasformano ogni paesaggio in uno scenario paranoico<br />

(Eye in the Sky), rendendolo simile a un sogno, a una favola, a un mito, alla fantasia <strong>di</strong> un<br />

universo alternativo, a una storia mai avvenuta, e che tuttavia può esistere nella testa <strong>di</strong> qualcuno,<br />

a una leggenda, a un film, a un romanzo <strong>di</strong> fantascienza che non rispetta né le regole del<br />

genere, né quelle delle coor<strong>di</strong>nate storiche in cui i lettori sono felicemente (o infelicemente) inseriti”<br />

(Carlo Pagetti, La svastica americana, intr. a Philip K. Dick, La svastica sul sole, trad. <strong>di</strong><br />

Maurizio Nati, Fanucci, Roma 2005, p. 9).<br />

81 Len Deighton, La grande spia, trad. <strong>di</strong> Maria Giulia Castagnone, Rizzoli, Milano 1991².<br />

–75–


gatore, Douglas Archer, deve far luce sull’oscuro omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un antiquario<br />

a Shepherd Market. Le indagini porteranno Archer a scoprire che la vittima<br />

era uno scienziato impegnato nelle ricerche sull’energia nucleare e coinvolgeranno<br />

il poliziotto in un complotto per far fuggire il re e consegnare i<br />

piani della bomba atomica agli americani. È un romanzo che si ricorda più<br />

per il plumbeo clima <strong>di</strong> ambiguità e rassegnata <strong>di</strong>sperazione in cui l’autore<br />

immerge una città avvilita dall’occupazione tedesca, che per la trama in sé,<br />

piuttosto convenzionale.<br />

Robert Harris ha ambientato Fatherland (Fatherland, 1992) 82 nell’aprile<br />

del 1964, in un’Europa dominata dai nazisti e nei giorni delle celebrazioni<br />

per il settantacinquesimo compleanno <strong>di</strong> Hitler. L’impero del Reich si<br />

estende dall’Atlantico fino agli Urali, Mosca è stata conquistata ma resistono<br />

i guerriglieri sovietici, ed Hitler è in procinto <strong>di</strong> incontrarsi con il vecchio<br />

presidente americano Joseph Kennedy (nella controstoria <strong>di</strong> Harris avrebbe<br />

guidato lui gli Stati Uniti al posto del figlio John), antisemita e fautore <strong>di</strong> una<br />

politica <strong>di</strong> pacificazione con la Germania. Un solerte poliziotto, Xavier<br />

March, della squadra omici<strong>di</strong> della Kriminalpolizei <strong>di</strong> Berlino, indaga sulla<br />

misteriosa fine <strong>di</strong> un alto gerarca del Reich, trovato annegato nel lago Havel,<br />

alla periferia <strong>di</strong> Berlino. Scoprirà le tracce <strong>di</strong> una catena <strong>di</strong> delitti, che riconduce<br />

ai vertici del potere nazista, ove qualcuno, per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Hitler, vuole<br />

mettere a tacere per sempre gli ultimi pericolosi testimoni della conferenza<br />

segreta <strong>di</strong> Wansee del 16 gennaio 1942, nella quale Heydrich e gli altri gerarchi<br />

decisero la “soluzione finale”, ossia il genoci<strong>di</strong>o ebraico. Il poliziotto,<br />

dopo durissime peripezie (finisce denunciato dal figlio un<strong>di</strong>cenne e torturato<br />

dalla Gestapo), riuscirà a consegnare i documenti sullo sterminio degli Ebrei<br />

a una giornalista americana: le prove dello sterminio <strong>di</strong>vulgate all’opinione<br />

pubblica mon<strong>di</strong>ale serviranno a mandare a monte l’incontro fra Hitler e<br />

Kennedy, campione <strong>di</strong> un’America isolazionista ma <strong>di</strong>ffidente nei confronti<br />

del Terzo Reich. Alla trama, piuttosto esile, fa riscontro però un’estrema<br />

accuratezza e abilità nel rappresentare in modo plausibile l’ambientazione e<br />

l’atmosfera della Germania e dell’Europa venti anni dopo la vittoria nazista<br />

(che Harris ricostruisce in modo verosimile, vd. le pp. 91-92): un mondo<br />

claustrofobico, chiuso in sé stesso, dominato dai miti della razza e dalle celebrazioni<br />

delle opere e degli eroi del regime, ma soffocato dalla censura e as-<br />

82 Robert Harris, Fatherland, trad. <strong>di</strong> Roberta Rambelli, Mondadori, Milano 1992. Vd.<br />

l’intervista a Robert Harris <strong>di</strong> Paolo Filo della Torre, Se Hitler avesse vinto la guerra, in «La<br />

Repubblica», 5 giugno 1992.<br />

–76–


se<strong>di</strong>ato dalla pervasiva e ossessiva presenza della polizia segreta. La Polonia<br />

è scomparsa dalla carta d’Europa, a Oxford le SS hanno istituito un’accademia.<br />

Tutti vivono nella paura e nel reciproco sospetto, mentre si ignora<br />

l’esito della guerra all’est, ove ancora resistono i guerriglieri sovietici, e<br />

milioni <strong>di</strong> Ebrei sono misteriosamente scomparsi, nell’in<strong>di</strong>fferenza generale.<br />

Harry Turtledove, già docente <strong>di</strong> storia antica poi mutatosi in scrittore<br />

<strong>di</strong> fantascienza e fantasy, si è cimentato nella “storia parallela” <strong>di</strong>ventando<br />

uno degli autori più apprezzati in questo genere per gli intrecci e la scrupolosa<br />

ricostruzione degli ambienti. Nel racconto Il terrore e la fede (The Last<br />

Article) 83 mette in scena la conquista dell’In<strong>di</strong>a da parte delle armate del<br />

Terzo Reich, dopo lo sfondamento in Egitto, Siria, Iraq, Iran e Pakistan: invano<br />

il Mahatma Gandhi perora, con il metodo della non violenza, la causa<br />

della libertà del suo popolo <strong>di</strong> fronte al feldmaresciallo Walther Model, che<br />

lo fa gettare in carcere <strong>di</strong>menticando i meriti del leader in<strong>di</strong>ano nella lotta<br />

contro gli inglesi. A Turtledove si deve poi un romanzo, ancora nel genere<br />

della storia parallela del nazismo, In presenza del nemico, mentre i suoi<br />

ampi cicli dell’Invasione e della Colonizzazione appartengono piuttosto alla<br />

“fantastoria”, perché inserisce nella storia alternativa tipici motivi della fantascienza<br />

(vd. al § 5). In presenza del nemico (In the Presence of Mine Enemies,<br />

2003) 84 offre, in una trama ricca <strong>di</strong> analogie con la storia del Novecento,<br />

una prospettiva assolutamente inaspettata nella storia “alternativa”<br />

del Terzo Reich. Il quadro iniziale è quello lugubre <strong>di</strong> sempre: i nazisti,<br />

dopo la terza guerra mon<strong>di</strong>ale, dominano nel 2010 sull’Europa dalla Spagna<br />

alla Russia, hanno ridotto gli Stati Uniti a paese vassallo, e godono dell’alleanza<br />

dell’impero italiano, <strong>di</strong> quello giapponese e dell’Unione del Sud<br />

Africa. L’azione si svolge nella capitale Berlino, ove svettano torreggianti<br />

grattacieli sormontati dalle aquile naziste, l’Arco <strong>di</strong> Trionfo alto più <strong>di</strong> cento<br />

metri e le colossali statue <strong>di</strong> Hitler, <strong>di</strong> Heisenberg, il padre della bomba atomica<br />

tedesca, e dei <strong>di</strong>gnitari nazisti, mentre la gigantesca Adolf Hitler Platz<br />

accoglie un milione <strong>di</strong> persone nelle manifestazioni <strong>di</strong> regime. Qui sopravvivono,<br />

camuffati da zelanti e ossequiosi nazisti, sparuti gruppi <strong>di</strong> ebrei,<br />

sopravvissuti all’Olocausto, e il protagonista, Heinrich Gimpel, è uno <strong>di</strong><br />

questi. La loro vita è da incubo: in una società oppressa dal terrore poli-<br />

83 Harry Turtledove, Il terrore e la fede, in Millemon<strong>di</strong> estate 1989 (suppl. a «Urania»,<br />

n. 1103), Mondadori, Milano 1989, pp. 175-211.<br />

84 Harry Turtledove, In presenza del nemico, trad. <strong>di</strong> Fabio Grano, Fanucci E<strong>di</strong>tore, Roma<br />

2005.<br />

–77–


ziesco e ossessionata da un feroce antisemitismo inculcato ai bambini da sa<strong>di</strong>ci<br />

maestri, ove banche dati controllano le ascendenze ariane dei citta<strong>di</strong>ni<br />

del Reich e l’eutanasia per anziani e incurabili è una prassi normale, devono<br />

imparare a <strong>di</strong>ssimulare la loro identità, tramandando ai loro figli soltanto<br />

oralmente il ricordo delle loro tra<strong>di</strong>zioni. Gimpel, nonostante le sue precauzioni,<br />

viene denunciato alla Gestapo come ebreo dalla moglie <strong>di</strong> un suo<br />

amico che è stata da lui respinta, ma, dopo un estenuante interrogatorio, invece<br />

<strong>di</strong> essere giustiziato o inviato in un lager, viene inspiegabilmente liberato.<br />

Tanta strana mitezza da parte della polizia si deve al particolare momento<br />

che attraversa il grande Reich: il Führer in carica, Kurt Haldweim<br />

(terzo dopo Hitler e Himmler) è morto ed è stato eletto a capo dell’impero<br />

nazista Heinz Buckliger, un uomo animato da idee riformiste e incre<strong>di</strong>bilmente<br />

nuove per gli apparati sclerotizzati del partito nazista. I suoi coraggiosi<br />

<strong>di</strong>scorsi, nei quali auspica cambiamenti alla politica del regime, scuotono<br />

l’assopita coscienza della popolazione e mettono in moto un processo<br />

rivoluzionario che culmina in una grande manifestazione popolare (guidata<br />

dal pittoresco Gauleiter <strong>di</strong> Berlino, Rolf Stolle, che appoggia ancor più ra<strong>di</strong>calmente<br />

le riforme <strong>di</strong> Buckliger) alla quale lo stesso Gimpel prende parte,<br />

a <strong>di</strong>fesa del programma <strong>di</strong> riforme contro un Putsch or<strong>di</strong>to dagli elementi<br />

più retrivi e fanatici delle SS. Le centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> manifestanti a Berlino,<br />

che trovano in Stolle il loro leader naturale e nella Wehrmacht un insperato<br />

sostegno, hanno ragione dei panzer delle SS e degli ufficiali putschisti,<br />

ne catturano il capo che viene giustiziato dalla folla inferocita e affermano<br />

entusiasticamente e definitivamente gli ideali <strong>di</strong> libertà e democrazia<br />

per tutti i popoli (ebrei compresi) soggetti al Reich, che (si presume)<br />

da quel momento avrà i giorni contati. Come ognun vede, si tratta della versione<br />

nazista del crollo dell’Unione Sovietica: il Führer riformista Buckliger<br />

può agevolmente identificarsi sia con Krusciov (il primo <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong><br />

Buckliger, nel quale denuncia gli errori e i crimini <strong>di</strong> Hitler e Himmler, ricorda<br />

quello del segretario generale del PCUS al 20° congresso del partito<br />

comunista, che avviò la destalinizzazione nel 1956) sia con Gorbaèëv (le<br />

cui riforme all’insegna della glasnost e della perestrojka determinarono il<br />

crollo dell’impero sovietico), mentre il rubicondo ed energico Stolle richiama<br />

la figura <strong>di</strong> Boris Eltsin, il successore <strong>di</strong> Gorbaèëv e primo presidente<br />

della Russia eletto a suffragio universale, che emerse nel tentato golpe<br />

dell’agosto 1991 come autentico leader popolare e statista. Ma il romanzo<br />

<strong>di</strong> Turtledove contiene riferimenti ad altri personaggi della storia del Novecento:<br />

il predecessore <strong>di</strong> Buckliger, Kurt Haldweim, che è <strong>di</strong> origine au-<br />

–78–


striaca, non può non alludere nel trasparente anagramma all’ex segretario<br />

generale dell’ONU e presidente dell’Austria Kurt Waldheim (1918-), che a<br />

suo tempo fu accusato <strong>di</strong> crimini <strong>di</strong> guerra commessi quand’era in Yugoslavia<br />

come ufficiale delle SS, 85 mentre il Gauleiter della Baviera, Strauss, ci<br />

ricorda nel nome e nella rapida descrizione che ne fa Turtledove, Franz<br />

Josef Strauss (1915-1988), leader della CSU e presidente della Baviera. 86<br />

Cogliamo, poi, un’incongruenza nella pur accurata ricostruzione storica <strong>di</strong><br />

Turtledove: il malvagio O<strong>di</strong>lo Globoènik, che nel romanzo riveste i panni<br />

dell’usurpatore complice dei nazisti “antidemocratici”, fu realmente un feroce<br />

persecutore <strong>di</strong> ebrei a Lublino nonché organizzatore della famigerata<br />

Risiera <strong>di</strong> San Sabba, ma nel 2010, anno in cui si svolge il romanzo, avrebbe<br />

avuto la veneranda età <strong>di</strong> 106 anni (troppi per fare il Führer). 87 In conclusione,<br />

il romanzo, come il vaso <strong>di</strong> Pandora, si chiude su una prospettiva <strong>di</strong><br />

speranza (il messaggio ci sembra essere che anche nella più triste <strong>di</strong>ttatura è<br />

possibile la nascita della democrazia), 88 mentre la tenacia con cui Gimpel,<br />

badando a non tra<strong>di</strong>rsi, <strong>di</strong>fende le tra<strong>di</strong>zioni del suo popolo, trasmettendole<br />

alle sue giovanissime figlie (che subiranno la turpe violenza psicologica<br />

della polizia), è premiata dall’esito dei drammatici avvenimenti berlinesi. 89<br />

85 L’attività <strong>di</strong> Waldheim nei Balcani è esaminata da Simon Wiesenthal, Giustizia non<br />

vendetta, trad. <strong>di</strong> Carlo Mainol<strong>di</strong>, Mondadori, Milano <strong>2004</strong>, rist., pp. 388-403 (con forti sospetti<br />

sui silenzi <strong>di</strong> Waldheim riguardo alla deportazione degli ebrei <strong>di</strong> Salonicco).<br />

86 V’è da <strong>di</strong>re che questa analogia riesce piuttosto strana, perché al leader bavarese non<br />

sono mai stati mossi addebiti sul suo comportamento durante l’ultimo conflitto, ma forse Turtledove<br />

ha voluto maliziosamente far scontare a Strauss la troppo tiepida opposizione del suo<br />

gruppo parlamentare all’amnistia per i crimini nazisti nella votazione al Bundestag del 3 luglio<br />

1978, su cui Wiesenthal, cit., pp. 207-209.<br />

87 Su O<strong>di</strong>lo Lotario Globoènik, nato a Trieste nel 1904 e morto suicida nel carcere <strong>di</strong> Villach<br />

nel 1945, tenente generale delle SS e Gauleiter <strong>di</strong> Vienna, scrupoloso pianificatore della<br />

«Aktion Reinhard» (il programma <strong>di</strong> annientamento degli ebrei polacchi) e organizzatore del<br />

campo <strong>di</strong> sterminio della Risiera <strong>di</strong> San Sabba, vd. Ferruccio Fölkel, La Risiera <strong>di</strong> San Sabba,<br />

BUR, Milano 2000, pp. 84-102 (l’autore, fra l’altro, esprime dubbi sulla morte <strong>di</strong> Globoènik).<br />

88 Trasparente è la visione deterministica, improntata ad un idealistico ottimismo, <strong>di</strong> questo autore<br />

(in apparente contrad<strong>di</strong>zione con la illimitata libertà creativa <strong>di</strong> orizzonti possibili, tipica degli<br />

scrittori <strong>di</strong> ucronie), dato che anche in un contesto storico immaginato come alternativo le vicende<br />

si evolvono e si concludono con l'affermazione dell'ideale della democrazia sul totalitarismo<br />

(a meno che il romanzo non vada interpretato come una durissima satira sull'Unione Sovietica).<br />

89 Che camuffarsi da nazista sia davvero stato per qualche ebreo un terribile espe<strong>di</strong>ente per<br />

sopravvivere, è mostrato dalle memorie <strong>di</strong> Sally Perel, il quale riuscì a convincere i nazisti della<br />

sua arianità così bene, che nella Hitlerjugend veniva in<strong>di</strong>cato quale perfetto esemplare <strong>di</strong><br />

“ariano baltico” dagli ignari professori <strong>di</strong> dottrina razziale (vd. Sally Perel, Europa Europa,<br />

trad. <strong>di</strong> Francesco Bruno, Guanda, Parma 1992, pp. 98-99).<br />

–79–


Da citta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> pieno <strong>di</strong>ritto a preda della improvvisa furia antisemita: questo<br />

il destino <strong>di</strong> una tranquilla famiglia <strong>di</strong> ebrei americani nel recentissimo<br />

romanzo <strong>di</strong> storia alternativa Il complotto contro l’America <strong>di</strong> Philip Roth<br />

(The Plot Against America, <strong>2004</strong>). 90 Nelle pagine <strong>di</strong> esso prende lentamente<br />

ma inesorabilmente forma l’incubo <strong>di</strong> un antisemitismo che pervade tutta la<br />

società statunitense allorché, come immagina l’autore, nel 1940 viene eletto,<br />

al posto del democratico Franklin Delano Roosevelt, il famoso trasvolatore<br />

Charles Lindbergh, campione dell’America isolazionista e filonazista. Una<br />

possibile alternativa della storia (Lindbergh, che godeva <strong>di</strong> una larghissima<br />

popolarità, avrebbe potuto realmente ottenere la vittoria nelle elezioni americane<br />

del 1940) genera il terrore tra le famiglie degli ebrei americani, soggette<br />

a una <strong>di</strong>scriminazione prima surrettizia che presto si trasforma in sanguinaria<br />

persecuzione. La tranquilla vita degli ebrei americani è così sconvolta prima<br />

da occulte <strong>di</strong>scriminazioni che presto <strong>di</strong>vengono palesi ingiustizie (ad esempio,<br />

l’allontanamento dagli alberghi prenotati, come succede alla famiglia <strong>di</strong><br />

Philip, il piccolo narratore della storia, o il trasferimento coatto in remoti<br />

luoghi <strong>di</strong> lavoro), e poi da violenze e massacri; quando, poi, due anni dopo<br />

l’elezione il presidente Lindbergh scompare misteriosamente col suo aereo<br />

Spirit of St Louis nell’Atlantico e il vicepresidente Wheeler, che ne prende il<br />

posto, decide <strong>di</strong> scendere in guerra a fianco dell’Asse, <strong>di</strong> fronte alla prospettiva<br />

<strong>di</strong> una “soluzione finale” in terra americana gli ebrei, come Herman Roth<br />

e la sua famiglia, sono costretti a fuggire dalle loro case e a rivivere nel terrore<br />

il loro destino <strong>di</strong> profughi perseguitati. Colpisce il ritratto che Roth fa <strong>di</strong><br />

un’America profondamente corrotta nei suoi valori, dominata dall’egoismo e<br />

dal pregiu<strong>di</strong>zio più bieco, e desta impressione il fastoso ricevimento che alla<br />

Casa Bianca il presidente offre in onore <strong>di</strong> von Ribbentrop, il capo della <strong>di</strong>plomazia<br />

hitleriana. 91 Il romanzo, che rievoca nello sfondo della storia alter-<br />

90 Philip Roth, Il complotto contro l’America, trad. <strong>di</strong> Vincenzo Mantovani, Einau<strong>di</strong>, Torino<br />

2005. Sul romanzo: Antonio Monda, America 1940: un romanzo cambia il corso della storia,<br />

in «La Repubblica», 29 settembre <strong>2004</strong>; Id., Controstoria d’America, in «La Repubblica»,<br />

15 marzo 2005.<br />

91 Va ricordato che Charles Lindbergh e la moglie più volte manifestarono la loro ammirazione<br />

per la Germania nazista e furono ospiti d’onore alle Olimpia<strong>di</strong> <strong>di</strong> Berlino del 1936, ove vennero<br />

sontuosamente accolti da Goering, il capo della Luftwaffe e numero due del regime, e da<br />

Goebbels, il ministro della propaganda. Il popolarissimo trasvolatore, tenutosi in quell’occasione<br />

lontano dai corrispondenti americani, si lasciò abbindolare dalla propaganda nazista e, <strong>di</strong>venuto<br />

poi succube dei tedeschi, giunse persino ad accettare da Hitler nell’ottobre del 1938 un’altissima<br />

onorificenza, la Croce <strong>di</strong> servizio dell’Aquila tedesca (Ver<strong>di</strong>enstkreuz Deutscher Adler). Rievoca<br />

l’episo<strong>di</strong>o l’allora giovane corrispondente da Berlino del «Chicago Tribune», il futuro storico<br />

–80–


nativa dolenti spunti autobiografici, 92 è stato interpretato come una metafora<br />

della o<strong>di</strong>erna società americana, in cui alligna l’antisemitismo (ma la reviviscenza<br />

<strong>di</strong> questa triste espressione del più abietto o<strong>di</strong>o umano è un problema<br />

che oggi riguarda tutto l’Occidente) e la cui guida è affidata ai fondamentalisti<br />

e ai “neocon”, e il Lindbergh rappresentato da Roth in tuta da pilota sarebbe<br />

un riferimento all’attuale presidente Bush, anch’egli appassionato <strong>di</strong> volo. 93<br />

Il processo <strong>di</strong> San Cristobal, del critico e stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> letterature comparate<br />

George Steiner (The Portage to San Cristobal of A.H., 1979), 94 risponde alla<br />

domanda: che cosa avrebbe detto Hitler trent’anni dopo, se fosse stato catturato<br />

e processato? L’autore esplora una possibilità della storia alternativa, la<br />

sopravvivenza del capo del nazismo: una sopravvivenza da reietto dell’umanità,<br />

nelle più inospitali e remote palu<strong>di</strong> della foresta amazzonica. Qui, dopo<br />

trent’anni, una missione <strong>di</strong> agenti israeliani lo rintraccia e lo cattura, riportandolo<br />

dopo una estenuante marcia al mondo civile. Il romanzo si conclude con<br />

la sorprendente arringa <strong>di</strong> Hitler stesso, che fornisce finalmente la spiegazione<br />

del suo inarrestabile o<strong>di</strong>o contro gli ebrei: la necessità <strong>di</strong> servirsi dell’o<strong>di</strong>o<br />

antisemita quale strumento per assolvere ad una missione destinata a restare<br />

segreta, ossia creare, mercé il sopravvenuto sostegno e la solidarietà della comunità<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> fronte agli orrori del genoci<strong>di</strong>o ebraico, una nuova patria,<br />

Israele, per gli ebrei <strong>di</strong> tutto il mondo. Hitler sarebbe stato dunque un emulo<br />

<strong>di</strong> Theodor Herzl, se non ad<strong>di</strong>rittura un provvidenziale Messia per gli ebrei? È<br />

una tesi sicuramente provocatoria, che tra<strong>di</strong>sce il gusto del paradosso nel suo<br />

autore. Che Hitler, d’altronde, potesse essere catturato e finire alla sbarra (con<br />

conseguente e scontata condanna analoga a quelle <strong>di</strong> Norimberga) era una<br />

possibilità tutt’altro che remota e venne presa in seria considerazione dagli alleati<br />

durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale: si scontrarono al riguardo le opinio-<br />

William L. Shirer, in Gli anni dell’incubo 1930-1940, trad. <strong>di</strong> Alessandro Sarti, CDE, Milano<br />

1987, pp. 169-172 (con un amaro commento sull’ignoranza e l’insensibilità <strong>di</strong> Lindbergh). Invitato<br />

dal comitato America First a Des Moines (Iowa), l’11 settembre 1941, Lindbergh vi tenne un<br />

infuocato <strong>di</strong>scorso accusando gli ebrei <strong>di</strong> voler trascinare in guerra gli Stati Uniti: sul <strong>di</strong>scorso,<br />

sulle polemiche che ne seguirono e sulle accuse <strong>di</strong> antisemitismo a Lindbergh, vd. A. Scott Berg,<br />

Lindbergh, l’aquila solitaria, trad. <strong>di</strong> Carla Lazzari, Mondadori, Milano 1999, pp. 399-405.<br />

92 Nell’intervista a Livia Manera Philip Roth ricorda l’angoscia che lo attanagliava quando,<br />

bambino, ascoltava i <strong>di</strong>scorsi <strong>di</strong> Hitler alla ra<strong>di</strong>o (Livia Manera, Lindbergh e Hitler. Ecco gli<br />

incubi che la mia America non <strong>di</strong>mentica, in «Corriere della Sera», 2 ottobre <strong>2004</strong>).<br />

93 Così David Gates, Usa a stelle e svastiche, in «L’Espresso», 30 settembre <strong>2004</strong>, p. 119.<br />

Respinge invece l’analogia tra l’antisemita Lindbergh e il presidente Bush Pierluigi Battista,<br />

La guerra preventiva <strong>di</strong> Philip Roth, in «Corriere della Sera», 19 marzo 2005.<br />

94 George Steiner, Il processo <strong>di</strong> San Cristobal, trad. <strong>di</strong> Donatella Abbate Ba<strong>di</strong>n, Rizzoli,<br />

Milano 1982.<br />

–81–


ni <strong>di</strong> Churchill e Roseevelt, inclini alla soluzione spiccia dell’esecuzione imme<strong>di</strong>ata<br />

<strong>di</strong> Hitler e degli altri capi nazisti, 95 con quella insolitamente garantista<br />

<strong>di</strong> Stalin, che voleva rispettare le forme del processo legale. Ma il Führer,<br />

posto che venisse processato, avrebbe avuto le energie e la luci<strong>di</strong>tà necessaria<br />

per <strong>di</strong>fendersi? Tutti i testimoni degli ultimi giorni <strong>di</strong> Hitler nel bunker <strong>di</strong> Berlino<br />

(da ultimo reso sullo schermo in modo eccellente dall’attore Bruno Ganz<br />

nel film La caduta <strong>di</strong> Oliver Hirschbiegel) 96 sono stati concor<strong>di</strong> nell’affermare<br />

che il capo nazista era ridotto a un vecchio catatonico, pallido e tremante,<br />

probabilmente malato <strong>di</strong> Parkinson e sostenuto dai farmaci eccitanti che gli<br />

somministrava il suo me<strong>di</strong>co personale professor Theo Morell. E tale lo<br />

immagina Roger Spiller nel suo saggio Il Führer alla sbarra (Roger Spiller,<br />

Il Führer alla sbarra, in Se Lenin non avesse fatto la rivoluzione, cit., pp. 371-<br />

393), affermando però che il regime carcerario avrebbe probabilmente giovato<br />

alla sua salute.<br />

Eric-Emmanuel Schmitt nel romanzo La parte dell’altro (La part de<br />

l’autre, 2001), 97 immagina quale sarebbe stata la vicenda umana <strong>di</strong> Hitler<br />

(in questo caso <strong>di</strong> un Hitler sottratto ai riflettori della Storia) se per ipotesi<br />

fosse stato ammesso all’Accademia <strong>di</strong> Belle Arti <strong>di</strong> Vienna l’8 ottobre 1908:<br />

al posto del <strong>di</strong>ttatore sanguinario e megalomane e <strong>di</strong> un conflitto mon<strong>di</strong>ale<br />

costato cinquantacinque milioni <strong>di</strong> morti (<strong>di</strong> cui sei milioni <strong>di</strong> ebrei) e immani<br />

rovine, vi è un sensibile studente che compie il suo percorso <strong>di</strong> giovane<br />

artista, si arruola e sperimenta la vita della trincea durante la prima<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale, quin<strong>di</strong>, nauseato dalla guerra, si trasferisce a Parigi, frequenta<br />

i pittori surrealisti a Montparnasse e acquisisce celebrità e ricchezza.<br />

Quin<strong>di</strong> si sposa ma la moglie gli muore presto <strong>di</strong> tubercolosi, si risposa con<br />

una giovane ebrea americana, già sua amante, nonostante l’opposizione dei<br />

95 Dai resoconti del Gabinetto <strong>di</strong> Guerra britannico si desume che Churchill avrebbe preferito<br />

mandare subito Hitler alla se<strong>di</strong>a elettrica, per evitare un “processo farsa”: vd. Luigi Ippolito,<br />

E Churchill <strong>di</strong>sse: «Gandhi? Muoia <strong>di</strong> fame», in «Corriere della Sera», 2 gennaio 2005.<br />

96 Il regista Hirschbiegel ha dovuto <strong>di</strong>fendersi dall’accusa <strong>di</strong> aver troppo “umanizzato” il<br />

<strong>di</strong>ttatore tedesco. Sulle polemiche e <strong>di</strong>scussioni seguite al film citiamo: Wlodek Goldkorn,<br />

Nostro fratello Hitler, in «L’Espresso», 28 ottobre <strong>2004</strong>, pp. 130-136 (sul rischio che il <strong>di</strong>ttatore<br />

tedesco <strong>di</strong>venti un’icona pop); Maurizio Porro, «Troppo buono con Hitler? Accuse ingiuste», in<br />

«Corriere della Sera», 13 aprile 2005 (intervista a Bruno Ganz); Ian Buruma, Hitler: la <strong>di</strong>sfatta<br />

<strong>di</strong> un uomo banale, in «Corriere della Sera», 14 aprile 2005; Pasquale Chessa, Adolf Hitler: male<br />

assoluto oppure umano, troppo umano?, in «Panorama», 21 aprile 2005, pp. 126-134; Tullio Kezich,<br />

Hitler, «mostro gentile» spaventa ancora il mondo, in «Corriere della Sera», 30 aprile 2005.<br />

97 Eric-Emmanuel Schmitt, La parte dell’altro, trad. <strong>di</strong> Alberto Bracci Testasecca, E<strong>di</strong>zioni<br />

e/o, Roma 2005.<br />

–82–


genitori <strong>di</strong> lei, e ha due gemelli. Tiene poi corsi all’Accademia In<strong>di</strong>pendente<br />

<strong>di</strong> Berlino, assiste in Francia alla guerra vittoriosa che nel 1938 la Germania<br />

intraprende contro la Polonia, appoggia le idee sioniste del suocero; infine,<br />

dopo una lunga e fortunata carriera, si ritira negli Stati Uniti, a Los Angeles<br />

e vi muore il 21 giugno 1970, lo stesso giorno in cui un astronauta tedesco<br />

mette piede sulla Luna. Questa la vita immaginaria <strong>di</strong> Hitler se avesse avuto<br />

un destino da artista affermato, una vita alquanto <strong>di</strong>versa (ma quanto migliore?)<br />

negli esiti, per lui e per l’umanità, <strong>di</strong> quella del suo doppio apparso<br />

nella storia. Ponendo a confronto le due vite, quella reale <strong>di</strong> Hitler e quella<br />

immaginaria dell’artista Adolf H., l’autore ha voluto mostrare come l’uomo<br />

sia il prodotto <strong>di</strong> scelte e circostanze che ne guidano il destino: come afferma<br />

Schmitt (p. 444) “nessuno ha il potere sulle circostanze, ma tutti hanno<br />

il potere delle proprie scelte”. E il mostro non è un essere necessariamente<br />

<strong>di</strong>verso da noi, bensì un essere come noi che prende decisioni <strong>di</strong>verse.<br />

Schmitt evoca anche il quadro storico del Novecento ignaro della <strong>di</strong>ttatura<br />

hitleriana e delle sue conseguenze: sarebbe continuato il fascismo, non sarebbe<br />

nato lo stato d’Israele, l’Unione Sovietica, vittima del <strong>di</strong>sastro economico,<br />

sarebbe crollata negli anni Sessanta, gli Stati Uniti non sarebbero mai<br />

<strong>di</strong>venuti una superpotenza, la Germania, guidata da un governo conservatore<br />

<strong>di</strong> destra, sarebbe <strong>di</strong>ventata la nazione più potente del mondo anche<br />

grazie alla bomba atomica che gli scienziati tedeschi avrebbero costruito,<br />

Berlino avrebbe dettato la cultura e la moda d’Europa al posto <strong>di</strong> Parigi.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo da ultimo che anche sul fascismo si sono esercitati i narratori<br />

<strong>di</strong> storia virtuale: oltre al romanzo <strong>di</strong> Giovanni Orfei, 1943 Come<br />

l’Italia vinse la guerra, Fazi E<strong>di</strong>tore, Roma 2003 (che immagina la decifrazione,<br />

compiuta dal servizio segreto italiano, del co<strong>di</strong>ce crittografico usato<br />

dagli alleati e la conseguente conquista del Me<strong>di</strong>o Oriente da parte delle<br />

truppe dell’Asse: vd. la recensione <strong>di</strong> Enrico Mannucci, Che cosa sarebbe<br />

successo se l’Italia avesse vinto la guerra, in «Sette», suppl. «Corriere della<br />

Sera», n. 36, 2003), sono da ricordare il racconto La morte del Duce <strong>di</strong> Pier<br />

Carpi (cronaca delle monumentali esequie tributate dall’Italia e dal mondo<br />

all’ottuagenario Mussolini, già inaspettato trionfatore del secondo conflitto<br />

mon<strong>di</strong>ale, <strong>di</strong>venuto poi campione della pace e del terzomon<strong>di</strong>smo in un<br />

mondo <strong>di</strong>viso dalla Guerra Fredda) 98 e l’ampio romanzo Occidente <strong>di</strong> Mario<br />

Farneti (qui il Duce, provvidenzialmente astenutosi dall’entrata in guerra a<br />

98 Vd. Pier Carpi, La morte del Duce, in Se<strong>di</strong>ci mappe del nostro futuro, a cura <strong>di</strong> Vittorio<br />

Curtoni, Gianfranco de Turris e Gianni Montanari («Galassia», n. 165), La Tribuna, Piacenza 1972.<br />

–83–


fianco <strong>di</strong> Hitler, avrebbe ad<strong>di</strong>rittura sconfitto la Russia sovietica, creando<br />

uno sterminato nuovo impero romano sotto il segno del littorio: Mario Farneti,<br />

Occidente, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 2001). 99 Il Farneti ha dato un seguito<br />

alla saga dell’impero fascista con Attacco all’Occidente (E<strong>di</strong>trice Nord,<br />

Milano 2002): dopo la morte del Duce, l’impero è retto da un triumvirato<br />

<strong>di</strong> gerarchi in attesa <strong>di</strong> definire la successione, mentre un movimento estremista<br />

palestinese riesce a destabilizzare il Me<strong>di</strong>o Oriente progettando l’invasione<br />

dell’Europa. Personaggi realmente esistiti (ed esistenti nell’Italia<br />

o<strong>di</strong>erna) agiscono insieme a quelli immaginari in una girandola <strong>di</strong> vicende<br />

che critici italiani e stranieri hanno lodato come un ottimo esempio <strong>di</strong> romanzo<br />

ucronico.<br />

5. Nazismo e fantascienza. 100 Già ben prima che i nazisti salissero<br />

al potere, le visioni da incubo che avrebbe riservato all’Europa la loro dominazione,<br />

furono curiosamente anticipate da alcuni scrittori <strong>di</strong> narrativa<br />

fantastica. Immaginando utopie negative, essi creavano inconsapevolmente<br />

99 Anche l’eventuale processo a cui gli alleati (o il popolo italiano) avrebbero potuto sottoporre<br />

Benito Mussolini, un classico esempio <strong>di</strong> storia “controfattuale”, ha fornito materia per<br />

allestire numerosi saggi e pamphlets, <strong>di</strong> tono fortemente polemico e a carattere più o meno speculativo<br />

se non apertamente apologetico. Ricor<strong>di</strong>amo, tra questa pubblicistica <strong>di</strong> varia qualità,<br />

anzitutto, lo pseudomemoriale <strong>di</strong>fensivo, autentico <strong>di</strong>vertissement letterario condotto sul filo del<br />

grottesco paradosso, <strong>di</strong> Indro Montanelli, Il buonuomo Mussolini (presentante un Duce che si<br />

sarebbe ingegnato a voler perdere la guerra per far grande l’Italia), E<strong>di</strong>zioni Riunite, Milano<br />

1947 (poi in I libelli, Rizzoli, Milano 1975); Cassius (pseudonimo dell’inglese Michael Foot), Un<br />

inglese <strong>di</strong>fende Mussolini, trad. anon., E<strong>di</strong>zioni Riunite, Milano 1947 5 , I ed. London 1943 (nel<br />

quale il capo del fascismo si <strong>di</strong>fende chiamando in causa statisti inglesi come Chamberlain,<br />

Halifax, Hoare e soprattutto Churchill); Yvon de Begnac, Palazzo Venezia, storia <strong>di</strong> un regime,<br />

E<strong>di</strong>zioni La Rocca, Roma 1951, pp. 45-103 (che al cap. III rappresenta Mussolini recitante la sua<br />

apologia davanti al popolo italiano, come Socrate davanti ai giu<strong>di</strong>ci ateniesi); Processo a Mussolini,<br />

arringa in tre u<strong>di</strong>enze <strong>di</strong> Notorius, Paneuropa, Milano 1959; Mino Caudana, Processo a<br />

Mussolini, voll. 3, Centro E<strong>di</strong>toriale Nazionale, Roma 1965² (amplissima analisi dell’operato del<br />

Duce, ove preoccupazione dell’autore è quella <strong>di</strong> preservare Mussolini da qualsiasi responsabilità<br />

per tutte le vicende del Ventennio); Paolo Pavolini, Il processo Mussolini, Bompiani, Milano<br />

1975 (ove l’autore, nel processo al Duce che ha come ironica scenografia il Castelvecchio <strong>di</strong> Verona,<br />

coinvolge nelle responsabilità del regime fascista e dei suoi esiti Vittorio Emanuele III, Badoglio<br />

e perfino Bonomi). Anche recentemente, a seguito delle <strong>di</strong>chiarazioni dell’on. Massimo<br />

D’Alema, presidente dei Ds (in Bruno Vespa, Vincitori e vinti, Rai Eri - Mondadori, Milano<br />

2005, p. 266), per il quale sarebbe stato più giusto processare Mussolini, la possibilità <strong>di</strong> un processo<br />

al Duce ha sollevato nuove <strong>di</strong>scussioni tra gli storici (vd. Pasquale Chessa, Il Duce in tribunale?<br />

Gli storici si <strong>di</strong>vidono, in «Panorama», 10 novembre 2005, pp. 38-40)<br />

100 In questo paragrafo ho utilizzato, apportandovi qualche mo<strong>di</strong>fica, un mio precedente<br />

articolo, Il mito del Quarto Reich, in «Abstracta», n. 42, novembre 1989, pp. 58-67.<br />

–84–


anticipazioni casuali, ma pur sempre significative, come riflesso <strong>di</strong> un clima<br />

europeo che, all’indomani del primo grande conflitto mon<strong>di</strong>ale, presentava<br />

elementi politici e sociali torbi<strong>di</strong> e inquietanti. Già alla fine dell’Ottocento<br />

(che aveva visto nella guerra franco-prussiana il primo conflitto condotto<br />

in epoca moderna con nuove armi <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria <strong>di</strong>struttività e, insieme,<br />

con la propaganda dell’o<strong>di</strong>o ideologico-razziale verso il rispettivo nemico)<br />

appare, come singolare e peraltro insospettabile anticipazione dell’universo<br />

concentrazionario nazista, il romanzo I cinquecento milioni della Begum<br />

<strong>di</strong> Jules Verne (1878): 101 non può, infatti, non ricordare al lettore Auschwitz<br />

o Treblinka, la mostruosa Città dell’Acciaio che Herr Schultze, chimico<br />

tedesco assertore della superiorità della razza germanica, costruisce con i<br />

capitali ere<strong>di</strong>tati dalla Begum <strong>di</strong> Ragginhara e <strong>di</strong>rige con bieca <strong>di</strong>sciplina,<br />

per produrvi terribili armi destinate a <strong>di</strong>struggere la città dell’o<strong>di</strong>ato rivale, il<br />

filantropo Sarrasin. E agli internati <strong>di</strong> un lager somigliano le abbrutite masse<br />

<strong>di</strong> schiavi senza nome (<strong>di</strong>stinti soltanto da un numero) che in Metropolis<br />

<strong>di</strong> Thea von Harbou (1912) sono asserviti al funzionamento delle macchine,<br />

nel sottosuolo della gigantesca città del futuro, che dà il titolo al romanzo. 102<br />

Il racconto S.S. <strong>di</strong> Matthews P. Shiel (1895) sembra, poi, anticipare curiosamente,<br />

anche nel titolo, l’incubo degli scherani <strong>di</strong> Himmler, il nuovo or<strong>di</strong>ne<br />

europeo fondato sulla superiorità della razza ariana, sull’eutanasia e sui programmi<br />

eugenetici: una epidemia <strong>di</strong> suici<strong>di</strong> in Europa maschera i delitti<br />

rituali <strong>di</strong> una setta segreta, la S.S. (“Società <strong>di</strong> Sparta”), che, in nome del<br />

miglioramento razziale, toglie <strong>di</strong> mezzo gli anziani, i malati incurabili e gli<br />

invali<strong>di</strong>. 103 Peraltro, a sottolineare le analogie del racconto, va ricordato che<br />

Hitler stesso avrebbe voluto organizzare il Reich alla maniera <strong>di</strong> Sparta, con<br />

lo Herrenvolk ariano in funzione dominante rispetto alla massa dei popoli<br />

europei asserviti, moderni iloti, al giogo tedesco, come ricorda Otto Strasser,<br />

101 Vd. l’intr. <strong>di</strong> Giansiro Ferrata a Jules Verne, I 500 milioni della Begum, a cura <strong>di</strong> Giansiro<br />

Ferrata e Mario Spagnol, Mondadori, Milano 1970, pp. VII-XXV. Sul romanzo <strong>di</strong> Verne:<br />

Carlo Formenti, Verne, il visionario che raccontò gli incubi del nazismo, in «Corriere della<br />

Sera», 10 marzo 2005 (ov’è rilevata l’analogia tra la città-fabbrica <strong>di</strong> Schultze e i lager nazisti).<br />

102 Thea von Harbou, Metropolis, trad. <strong>di</strong> Luigi Cozzi, Compagnia del Fantastico - Gruppo<br />

Newton, Roma 1996. Dal romanzo della von Harbou il marito, il famoso regista Fritz Lang,<br />

trasse nel 1926 l’omonimo film, capolavoro del cinema espressionista tedesco.<br />

103 Matthews P. Shiel, S.S., trad. <strong>di</strong> Attilio Carapezza, in 150 anni in giallo, a cura <strong>di</strong> Giuseppe<br />

Lippi, Mondadori, Milano 1989, pp. 105-134. Sui programmi eugenetici nazisti vd. da<br />

ultimo Giovanni Sale S.I., Legge sulla sterilizzazione, lotta al comunismo e Terzo «Reich», in<br />

«Civiltà Cattolica», n. 3727, 1° ottobre 2005, pp. 14-23.<br />

–85–


già antico sodale del Führer, in un libro rivelatore che apparve all’indomani<br />

della liberazione <strong>di</strong> Roma. 104<br />

Più tar<strong>di</strong>, dopo la catastrofe della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e la sparizione<br />

dell’uomo che aveva dominato il destino dell’Europa per un decennio,<br />

la figura <strong>di</strong> Hitler entra anche in un campo del tutto estraneo alle scienze storiche:<br />

la fantascienza (science-fiction, SF). All’interno <strong>di</strong> questo genere, infatti,<br />

si può agevolmente in<strong>di</strong>viduare un filone <strong>di</strong> racconti, ad opera <strong>di</strong> autori<br />

come Asimov, Leiber, Bradbury, Slesar, Fast, che trattano in modo più o<br />

meno esplicito del <strong>di</strong>ttatore nazista. Un Hitler, sia chiaro, che mantiene tutti i<br />

tratti della personalità e dell’ideologia che lo hanno reso tragicamente celebre,<br />

la megalomania, il brutale culto della forza e del principio razziale,<br />

l’o<strong>di</strong>o per gli ebrei. Ma la sua figura è collocata nella storia alternativa o in<br />

universi paralleli, ove gli autori danno la possibilità che il terzo Reich sia sopravvissuto<br />

alla guerra o sia stato rifondato. È una sorta <strong>di</strong> “quarto Reich”<br />

non <strong>di</strong>ssimile da quello che la nostra storia ha conosciuto ma del tutto fantastico,<br />

elaborato in romanzi storici “rovesciati” (il protagonista è reale, lo<br />

sfondo no) e affascinante proprio perché chimerico. Il gioco della fantasia<br />

rassicura in qualche modo il lettore e lo tranquillizza dall’angoscia <strong>di</strong> calcolare<br />

tra i futuri possibili anche un remotissimo ritorno delle ban<strong>di</strong>ere con la<br />

croce uncinata. La storia <strong>di</strong>viene mito e il <strong>di</strong>vertimento esorcizza la paura inconfessata<br />

(e il te<strong>di</strong>o) del lettore, l’hypocrite lecteur, che nelle invenzioni e<br />

nelle suggestioni dei narratori <strong>di</strong> fantascienza coglie i simboli in<strong>di</strong>cativi del<br />

suo tempo (ricor<strong>di</strong>amo le parole del critico e poeta Sergio Solmi, che fu tra i<br />

primi a riconoscere <strong>di</strong>gnità letteraria e poesia a questo genere). 105<br />

Che cosa ha autorizzato gli scrittori <strong>di</strong> fantascienza ad assumere nel<br />

loro campionario un soggetto così particolare? Il proce<strong>di</strong>mento che essi realizzano<br />

è piuttosto insolito nella letteratura rigorosamente <strong>di</strong> SF, che è narrativa<br />

<strong>di</strong> anticipazione. In questo caso si tratta invece <strong>di</strong> riplasmare il passato,<br />

ricrearlo fantasticamente, contravvenendo ad uno dei più consolidati<br />

canoni della SF, la profezia del futuro o la metaforica mutazione del presente<br />

(le utopie e le antiutopie <strong>di</strong> Orwell e Huxley).<br />

Che lo scrittore <strong>di</strong> SF sia portato a manipolare il dato storico e a ricreare<br />

perciò la realtà del passato, non deve sorprendere. La trasgressione della<br />

104 Otto Strasser, Hitler segreto, trad. <strong>di</strong> Tommaso Pignatelli, Donatello De Luigi, Roma<br />

1944, p. 225.<br />

105 Sergio Solmi, pref. a Le meraviglie del possibile, a cura <strong>di</strong> Sergio Solmi e Carlo Fruttero,<br />

Einau<strong>di</strong>, Torino 1973, p. XX.<br />

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ealtà operata dall’immaginario anche per il passato è conseguenza dell’essere<br />

la SF un particolare genere narrativo ove la struttura della fabula obbe<strong>di</strong>sce<br />

vistosamente all’intenzione <strong>di</strong> straniamento: si raccontano vicende<br />

strane e nuove, ambientate oltre i limiti del tempo e dello spazio, perché ciò<br />

fa parte <strong>di</strong> una scommessa che ha per posta l’accattivato <strong>di</strong>vertimento del<br />

lettore, colpendone il senso della fiaba e dell’immaginazione. Ed ecco<br />

quin<strong>di</strong> che lo scrittore <strong>di</strong> SF può utilizzare anche la figura <strong>di</strong> Hitler nel suo<br />

giuoco fantastico e insieme poetico: un Hitler estrapolato dalla storia vissuta<br />

e ridotto, forse talvolta con visione uni<strong>di</strong>mensionale, ad archetipo del<br />

male. Ma egli <strong>di</strong>viene, poi, ciò che lo scrittore <strong>di</strong> SF vuole che sia: anzitutto<br />

il superomistico dominatore <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> impazziti, <strong>di</strong> universi paralleli, <strong>di</strong><br />

terre devastate da conflitti atomici e popolate da orride creature; oppure il<br />

sopravvissuto, una mummia tremante scampata fortunosamente al <strong>di</strong>sastro<br />

del Terzo Reich e in attesa consapevole della vendetta dei figli delle vittime<br />

sulla sua follia genocida. Nelle strutture dei racconti che abbiamo esaminato<br />

si colgono in genere queste due possibilità: a) Hitler è morto ma il Reich gli<br />

sopravvive (vittoria dei nazisti su russi e americani e soggezione dell’umanità<br />

alla svastica); b) l’impero nazista è crollato ma il suo capo sopravvive<br />

nascosto in un misterioso rifugio (es., un tranquillo paesino del Messico per<br />

Slesar): è il tema della caccia al grande criminale della storia e della vendetta<br />

dei perseguitati sugli ex persecutori. Allusioni e riferimenti storici<br />

sono ovviamente <strong>di</strong>sseminati nel testo e noi cercheremo <strong>di</strong> coglierne i più<br />

significativi.<br />

Iniziamo questa breve rassegna con Isaac Asimov. Il “buon dottore” in<br />

Storia (History, 1940), 106 immagina che Hitler sia morto in esilio nel Madagascar,<br />

proprio nel paese che aveva all’inizio previsto come meta per gli<br />

ebrei deportati. È un riferimento secondario in una conversazione fra il<br />

marziano Ullen e il terrestre Johnnie Brewster, che si svolge in un futuro<br />

lontanissimo, ma il fatto che nello stesso racconto Ullen citi un libro, L’era<br />

hitleriana, suggerisce che il Terzo Reich nell’epoca immaginata dall’autore<br />

deve essere stato qualcosa <strong>di</strong> più <strong>di</strong> un effimero episo<strong>di</strong>o della storia. Il che<br />

è quanto ci si sarebbe potuti attendere realmente perché, nel momento in<br />

cui Asimov scriveva il suo racconto, ossia il 1940, la vittoria delle truppe<br />

tedesche sembrava davvero imminente.<br />

106 Isaac Asimov, Storia, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in Asimov Story n. 2 («Urania»,<br />

n. 626), Mondadori, Milano 1973.<br />

–87–


Harry Harrison in Terzo Reich parallelo (Down to Earth, 1963) 107 narra<br />

<strong>di</strong> due <strong>di</strong>sgraziati astronauti che cambiano, per una <strong>di</strong>storsione temporale,<br />

universo e atterrano su una terra dominata dalle truppe naziste. Gli ultimi<br />

resistenti combattono <strong>di</strong>speratamente nelle regioni libere d’America una<br />

battaglia impari. I due astronauti, Gino Lombar<strong>di</strong> e Dan Glazer, riescono a<br />

fuggire fortunosamente da quell’orribile realtà, ma per ritrovarsi non proprio<br />

a casa loro. Mentre infatti si avvicina l’incrociatore venuto a recuperare gli<br />

astronauti ammarati, essi lanciano un grido strozzato: è la ban<strong>di</strong>era americana,<br />

con le sue strisce bianche e rosse e le cinquanta stelle bianche su<br />

campo nero ad avvertirli che sono entrati in un altro, chissà quanto <strong>di</strong>ssimile,<br />

universo.<br />

Asimov riprende lo stesso tema in Spazio vitale (Living space, 1957): 108<br />

in un pianeta desertico un astronauta incontra un altro proveniente da una<br />

terra dominata dai nazisti. L’incontro avviene nell’anno 2364 dell’“era<br />

hitleriana”.<br />

Una certa compassione non mancano <strong>di</strong> suscitare i tre vecchi scienziati<br />

ebrei del racconto Nella mente <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> Howard Fast (The mind of God,<br />

1972). 109 Spendono milioni <strong>di</strong> dollari e anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> per progettare una macchina<br />

del tempo, con cui mandare un uomo in<strong>di</strong>etro nel passato: nel 1897,<br />

in un paesino austriaco, Braunau. Lì l’uomo dovrà tagliare la gola ad un<br />

bambino <strong>di</strong> otto anni, <strong>di</strong> nome Adolf. Sfortunatamente egli perde ogni ricordo<br />

della sua missione e torna nel presente senza aver concluso nulla.<br />

Nessun uomo, infatti, come spiega desolatamente uno dei tre, Goldman,<br />

può guardare nel futuro e sapere l’ora della sua morte. Cosicché, quando<br />

hanno inviato il loro compagno nel passato, il futuro si è chiuso davanti a<br />

lui, separandolo da tutti i suoi ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> dolori e sofferenze, che, nel 1897,<br />

appartengono appunto al futuro. Come bambini che stuzzicano l’ignoto essi<br />

comprendono che non potranno mai più cambiare nulla del loro passato e <strong>di</strong><br />

quello <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> esseri che hanno conosciuto la sventura dei campi <strong>di</strong><br />

sterminio. Il mondo dovrà perciò conoscere, nelle infinite possibilità <strong>di</strong> rivisitazione<br />

del passato, gli orrori del periodo nazista. Di fronte a un passato<br />

107 Harry Harrison, Terzo Reich Parallelo, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in Aa. Vv., Contatto<br />

col nemico («Urania», n. 359), Milano 1964.<br />

108 Isaac Asimov, Spazio vitale, trad. <strong>di</strong> Riccardo Valla, in La terra è abbastanza grande,<br />

E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1975.<br />

109 Howard Fast, Nella mente <strong>di</strong> Dio, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in La mano («Urania»,<br />

n. 649), Mondadori, Milano 1974.<br />

–88–


incancellabile, all’invincibile necessità della storia, la rassegnazione e la<br />

malinconia dei tre vecchi sono l’inevitabile risposta ad una domanda<br />

(perché Dio ha permesso il nazismo e l’olocausto?) che si perde nell’insondabilità<br />

metafisica.<br />

Soffuso <strong>di</strong> una vena <strong>di</strong> poesia, tipica dello stile <strong>di</strong> questo autore, è il racconto<br />

<strong>di</strong> Ray Bradbury, Breve storia del quarto Reich (Darling Adolf,<br />

1974). 110 Hitler è qui impersonato da un attore <strong>di</strong> mezza tacca, ingaggiato<br />

per interpretare il Führer da un produttore americano. Ma il gioco prende la<br />

mano all’attorucolo che comincia a credere <strong>di</strong> essere realmente la reincarnazione<br />

del <strong>di</strong>ttatore tedesco. Si comporta in modo arrogante verso il regista e<br />

il produttore, farnetica <strong>di</strong> grandezza della Germania e <strong>di</strong> rinascita del Reich<br />

e pretende una costosissima ricostruzione del raduno <strong>di</strong> Norimberga, con<br />

fiaccolata e cineprese come un tempo quelle <strong>di</strong> Leni Riefenstahl. Improvvisamente<br />

accade il peggio: altri tre attori dello stesso film, somigliantissimi a<br />

Goebbels, Goering ed Hess, rapiscono Hitler e lo portano a Norimberga,<br />

nello sta<strong>di</strong>o della città, ove hanno realmente organizzato un gran<strong>di</strong>oso<br />

raduno, chiamando a raccolta una folla <strong>di</strong> re<strong>di</strong>vivi nazisti. È l’ora <strong>di</strong> un’incre<strong>di</strong>bile,<br />

insperata resurrezione? No, e qui sta la trovata del racconto. Di<br />

fronte a una folla isterica e delirante, pronta a lacerare l’aria con l’assordante<br />

grido “Sieg Heil!” e ad osannare il ritrovato Führer, proprio l’attore<br />

che impersona Hitler riporta tutti alla vera realtà, spezzando la magia dell’illusione.<br />

Egli confessa, infatti, <strong>di</strong> non essere altro che un attore ingaggiato<br />

per recitare la parte <strong>di</strong> Hitler e <strong>di</strong> essere per giunta stanco <strong>di</strong> quel ruolo: non<br />

è colpa sua se è stato portato in quel posto da tre esaltati che hanno organizzato<br />

quell’assurda, folle, mascherata. Ma perché la finzione continui a restare<br />

tale, prega il regista <strong>di</strong> terminare la scena; poi, tutti andranno a casa.<br />

Sembra chiedere l’autore al lettore: se il vero Hitler avesse provvidenzialmente<br />

sospeso la sua recita <strong>di</strong> fronte alle masse osannanti, quanti orrori sarebbero<br />

stati risparmiati al mondo? È indubbiamente un racconto suggestivo<br />

sia per l’atmosfera in cui è ambientato, perennemente sospesa tra finzione e<br />

realtà, sia per le citazioni e le tematiche a cui l’autore rimanda. Non è possibile,<br />

in questo caso, non ricordare il rapporto tra il cinema e il nazismo, un<br />

rapporto che fu molto stretto, se si pensa alla cura minuziosa, quasi ossessiva,<br />

con cui i nazisti filmarono ogni momento della loro storia (dalle adu-<br />

110 Ray Bradbury, Breve storia del quarto Reich, trad. <strong>di</strong> Antonangelo Pinna, in Molto dopo<br />

mezzanotte («Urania», n. 732), Mondadori, Milano 1977.<br />

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nate ai campi <strong>di</strong> sterminio), lasciando documenti che <strong>di</strong>vennero terribili capi<br />

d’accusa, ed è indubbio che l’uso della propaganda più moderna contribuì<br />

non poco ad influenzare la psicologia delle masse. Ma la figura <strong>di</strong> Hitler<br />

come grande istrione, maestro <strong>di</strong>abolico nel suggestionare ed ipnotizzare la<br />

folla, è stata in<strong>di</strong>viduata e, a livello allegorico, prefigurata in personaggi del<br />

cinema tedesco espressionista, come il dottor Caligari <strong>di</strong> Robert Wiene<br />

(1919) o il dottor Mabuse <strong>di</strong> Fritz Lang (1922), il supercriminale che, ipnotizzando<br />

le sue vittime, tiene in pugno una città intera. Il rapporto tra il<br />

dottor Caligari e il sonnambulo Cesare, suo succubo nel film <strong>di</strong> Wiene, è,<br />

secondo alcuni critici, lo stesso che si stabilisce tra Hitler e il popolo<br />

tedesco. Un altro interessante riferimento si può cogliere alla fine del racconto.<br />

L’uscita dalla scena <strong>di</strong> Hitler ricorda il finale <strong>di</strong> un famoso film <strong>di</strong><br />

Billy Wilder, Viale del Tramonto (Sunset Boulevard, 1950). Come Gloria<br />

Swanson, dopo aver ucciso il suo amante William Holden, prima <strong>di</strong> essere<br />

portata via dai poliziotti, chiede al regista De Mille <strong>di</strong> riprenderla in un’ultima<br />

sequenza, così l’attore Hitler, dopo aver ucciso le speranze <strong>di</strong> una rinascita<br />

del Reich nella folla <strong>di</strong> esagitati neonazisti, chiede al regista <strong>di</strong> terminare<br />

la sequenza del raduno, e se ne va. L’analogia più vistosa si ha però<br />

con il famoso film Il <strong>di</strong>ttatore (The great <strong>di</strong>ctator, 1940) <strong>di</strong> Chaplin. Il <strong>di</strong>scorso<br />

del piccolo barbiere ebreo, sosia del feroce <strong>di</strong>ttatore Hynkel-Hitler,<br />

con i suoi accenti <strong>di</strong> pace e <strong>di</strong> umanità è in sostanza identico a quello dell’attore<br />

nel racconto <strong>di</strong> Bradbury. Ma mentre nel racconto, con l’agnizione<br />

finale, l’attore, rivelando che non è Hitler, elimina il personaggio e quin<strong>di</strong> le<br />

possibili conseguenze del gioco illusorio, nel film non vi è, al contrario, alcuno<br />

smascheramento. Il barbiere Charlot, non rivelando <strong>di</strong> essere solo un<br />

sosia del <strong>di</strong>ttatore, persuade il popolo alla pace e riesce a debellare una<br />

guerra già in atto: resta in pie<strong>di</strong> la finzione del personaggio Hynkel-Hitler,<br />

ma caricata <strong>di</strong> una valenza positiva (il tiranno ferocemente guerrafondaio si<br />

rivela grottescamente, tra le ovazioni del popolo, un convinto pacifista). E<br />

ciò non deve sorprendere perché Chaplin, come del resto la maggior parte<br />

dell’opinione pubblica europea e soprattutto americana (si ricor<strong>di</strong> che Chaplin<br />

girò il film in America) sperava, nel 1940, che la pace fosse ancora<br />

possibile. Il racconto è interessante anche perché presenta tematiche estremamente<br />

attuali, come la persuasione occulta operata dai mass-me<strong>di</strong>a e la<br />

loro incidenza nel creare miti anche pericolosi.<br />

Altri autori, noti per l’innesto nella fantascienza <strong>di</strong> una vena satirica e<br />

paro<strong>di</strong>stica, deformano in storie surreali i tratti del personaggio Hitler. È il<br />

caso <strong>di</strong> Fritz Leiber che in L’ingegner Dolf (Catch that Zeppelin!, 1974) 111<br />

–90–


ci offre un ritratto decisamente anomalo e sorprendente <strong>di</strong> Hitler: è un ingegnere<br />

tedesco specializzato nella costruzione <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigibili, che vive in un improbabile<br />

futuro dominato dai sovietici ed è totalmente integrato nel sistema<br />

<strong>di</strong> vita americano.<br />

Ron Goulart, nel romanzo Heil Hibbler (Hail Hibbler, 1980), 112 con<br />

la vena visionaria che gli è propria, immagina che nel 1944 lo scienziato nazista<br />

Adolf Hibbler, grottesca paro<strong>di</strong>a del <strong>di</strong>ttatore, sia fuggito da Berlino.<br />

Vissuto per decenni in un rifugio del Mato Grosso, in Brasile, in una sorta<br />

<strong>di</strong> animazione sospesa dentro una bara <strong>di</strong> ghiaccio, riportato in vita, realizza<br />

il mici<strong>di</strong>ale “raggio della morte” al soldo <strong>di</strong> un oscuro e malvagio tecnocrate.<br />

Il tema della vendetta si presenta nel racconto Quarto Reich <strong>di</strong> Henry<br />

Slesar (The rise and the Fall of the Fourth Reich, 1973): 113 due scienziati<br />

tedeschi riportano miracolosamente un Hitler vecchissimo alla giovinezza<br />

per fargli pagare le sue nefandezze.<br />

Forse il più sorprendente tra i testi <strong>di</strong> questa serie, è il romanzo Il<br />

signore della svastica <strong>di</strong> Norman Spinrad (The Iron Dream, 1972). 114 In un<br />

rovesciamento totale delle parti, storia e ucronia, fantasia e realtà, autore,<br />

narratore e personaggio si confondono e si <strong>di</strong>stinguono continuamente come<br />

in una sorta <strong>di</strong> caleidoscopio. Spinrad fa <strong>di</strong>ventare Hitler uno scrittore <strong>di</strong><br />

fantascienza <strong>di</strong> origine austriaca, emigrato in America, e <strong>di</strong> lui presenta<br />

anche una (falsa) scheda biobibliografica (da notare che i titoli dei romanzi<br />

attribuiti ad Hitler scrittore sono identici agli slogan nazisti più noti: La<br />

razza superiore, Domani il mondo, L’or<strong>di</strong>ne millenario, etc.). Il signore<br />

della svastica è dunque presentato come un romanzo scritto da Hitler<br />

stesso. Come ci narrano le note biografiche premesse al testo, Hitler, nato in<br />

Austria nel 1889, emigrò nel 1919 a New York e dopo qualche anno <strong>di</strong>venne<br />

uno scrittore ed illustratore <strong>di</strong> SF <strong>di</strong> successo, fino a vincere il premio<br />

Hugo 115 con il romanzo postumo Il signore della svastica. Stando a questa<br />

111 Fritz Leiber, L’ingegner Dolf, trad. <strong>di</strong> Beata della Frattina, in Aa. Vv., Pistolero fuori<br />

tempo («Urania», n. 676), Mondadori, Milano 1975.<br />

112 Ron Goulart, Heil Hibbler, trad. <strong>di</strong> Vittorio Curtoni («Urania», n. 926), Mondadori,<br />

Milano 1982.<br />

113 Henry Slesar, Quarto Reich, trad. <strong>di</strong> Giulia Rosella Sanità, in Aa. Vv., Quarto Reich e<br />

altri racconti («Urania», n. 729), Mondadori, Milano 1977.<br />

114 Norman Spinrad, Il signore della svastica, trad. <strong>di</strong> L. Costa, Longanesi, Milano 1976.<br />

Sul romanzo: Carlo Formenti, Il Führer alla guerra dei mon<strong>di</strong>, in «Corriere della Sera», 31<br />

luglio 2005.<br />

115 È il più importante riconoscimento assegnato annualmente negli USA agli scrittori <strong>di</strong><br />

fantascienza.<br />

–91–


falsa biografia Hitler sarebbe morto nel 1953. Il testo narra le imprese <strong>di</strong><br />

Feric Jaggar, sorta <strong>di</strong> superuomo o Vero Uomo dal genotipo purissimo<br />

(come ossessivamente ricorda l’autore Spinrad-Hitler), il quale, in una terra<br />

devastata dagli effetti <strong>di</strong> un conflitto atomico, muove alla conquista dell’impero<br />

Heldon armato <strong>di</strong> una pro<strong>di</strong>giosa mazza ferrata. Come si nota, vi è un<br />

sorprendente scambio dei ruoli convenzionali tra autore, narratore e personaggio.<br />

Norman Spinrad, che inventa Hitler romanziere e scrive attribuendo<br />

a questi il romanzo Il signore della svastica, immagina il personaggio <strong>di</strong><br />

Feric Jaggar, che in sostanza rappresenta ciò che Hitler (il <strong>di</strong>ttatore) si considerava,<br />

il capo supremo <strong>di</strong> un mondo che sarebbe dovuto finire sotto il<br />

dominio della svastica, ed insieme anche il superuomo <strong>di</strong> razza ariana. Le<br />

avventure <strong>di</strong> Feric, ricalcate grossolanamente proprio sui principi del Mein<br />

Kampf, sono grottesca paro<strong>di</strong>a della vicenda <strong>di</strong> Hitler e la narrazione, a<br />

focalizzazione esterna, risulta non<strong>di</strong>meno preve<strong>di</strong>bile, in quanto il lettore ha<br />

modo <strong>di</strong> rendersi conto che il romanzo ripercorre, pur trasponendolo in un<br />

mondo e in un’epoca <strong>di</strong>versa, il cammino del Führer. Così seguiamo le avventure<br />

<strong>di</strong> Feric Jaggar, un monocorde e grottesco susseguirsi <strong>di</strong> battaglie e<br />

massacri <strong>di</strong> ripugnanti umanoi<strong>di</strong>, inframmezzate dalla progettazione <strong>di</strong> piani<br />

per la conquista del pianeta (materia abituale delle riflessioni dei capi<br />

nazisti). Nella storia del Vero Uomo Feric il lettore, dunque, non fatica a<br />

scorgere la grottesca paro<strong>di</strong>a <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Hitler: punti del romanzo, infatti,<br />

contengono precise allusioni in questo senso. La nascita, anzitutto: Feric<br />

nasce a Borgravia, paese al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> Heldon e aspira a essere citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong><br />

questo stato, così come Hitler era nato a Braunau, in Austria, ma aspirava<br />

alla citta<strong>di</strong>nanza tedesca. Borgravia è stata separata da Heldon dal vergognoso<br />

trattato <strong>di</strong> Karmak, così come l’Austria e la Germania furono <strong>di</strong> fatto<br />

separate dai trattati <strong>di</strong> Saint-Germain e <strong>di</strong> Versailles. Feric incontra Bogel<br />

(chiara allusione a Goebbels), il suo futuro braccio destro, in una taverna<br />

chiamata “Il nido dell’aquila”. Le prime riunioni naziste avvenivano nella<br />

famosa birreria <strong>di</strong> Monaco Bürgerbraukeller e “Nido dell’aquila” era il<br />

nome <strong>di</strong> uno dei famosi rifugi <strong>di</strong> Hitler. L’incontro <strong>di</strong> Feric Jaggar con Stag<br />

Stopa, capo <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> giovani ban<strong>di</strong>ti, i Ven<strong>di</strong>catori Neri, e la sua<br />

liquidazione ad opera dello stesso Feric, ricorda la vicenda <strong>di</strong> Ernst Roehm,<br />

il capo delle S.A. fatto sopprimere da Hitler nella “notte dei lunghi coltelli”<br />

(1934). Stopa riconosce in Feric Jaggar il predestinato duce <strong>di</strong> Heldon e<br />

mette a sua <strong>di</strong>sposizione i Ven<strong>di</strong>catori Neri, come Roehm mette al servizio<br />

<strong>di</strong> Hitler le S.A. Il programma del partito della rinascita umana, fondato da<br />

Feric (lotta per la purezza del gene umano autentico, per lo sterminio dei<br />

–92–


Dominatori antiumani, per la dominazione <strong>di</strong> Heldon sul mondo) ricorda da<br />

vicino quello del partito nazista. Non mancano poi le adunate esultanti dell’armata<br />

<strong>di</strong> Feric, con le complicate evoluzioni dei soldati, schierati a forma<br />

<strong>di</strong> svastica. E le analogie potrebbero continuare. Anche i nomi dei personaggi<br />

richiamano i capi nazisti. Ludolf Best, il giovane attendente <strong>di</strong> Feric,<br />

ricorda Rudolf Hess; il teorico del partito, Parmerob, il filosofo nazista<br />

Rosenberg; Lar Waffing, comandante dell’armata aerea e della polizia, è il<br />

feldmaresciallo Hermann Goering. E Feric Jaggar? Ovviamente Spinrad<br />

non poteva utilizzare il nome <strong>di</strong> Hitler, che aveva prestato all’ipotetico<br />

romanziere autore del Signore della svastica. Non si può però fare a meno<br />

<strong>di</strong> notare che i tratti più appariscenti del personaggio rappresentano una<br />

commistione <strong>di</strong> quelli del superuomo nietzscheiano e, più in generale, degli<br />

eroi delle saghe nor<strong>di</strong>che. Il nome stesso, Feric, evoca questi accostamenti.<br />

Viene in mente Siegfried, l’eroe della saga dei Nibelunghi. L’arma magica<br />

che dà il supremo potere a Feric, e che solo il predestinato al dominio su<br />

Heldon può maneggiare, ricorda in effetti molto da vicino la spada che il<br />

nano Mime forgia per Siegfried e con la quale l’eroe abbatte il drago Fafnir.<br />

Ma l’arma che dona all’eroe l’invincibilità e che questi può possedere solo<br />

dopo una prova iniziatica è motivo topico <strong>di</strong> racconti e leggende <strong>di</strong> varie<br />

aree culturali (come quelle, per esempio, del ciclo arturiano, che contengono<br />

il mito della leggendaria spada Excalibur). I riferimenti storici non si<br />

fermano qui. Il nome Feric richiama da ultimo il tedesco Friedrich e ricor<strong>di</strong>amo<br />

che il grande sovrano Federico II <strong>di</strong> Prussia (1712-1786), fondatore<br />

della Germania moderna, era forse il personaggio storico più amato dal<br />

Führer, che si illuse <strong>di</strong> possedere lo stesso destino <strong>di</strong> grandezza. Egli lesse la<br />

biografia <strong>di</strong> Federico II <strong>di</strong> Prussia <strong>di</strong> Thomas Carlyle, e sperò fino all’ultimo,<br />

nella Berlino asse<strong>di</strong>ata dai russi, in un clamoroso rovesciamento <strong>di</strong><br />

fronte che avrebbero dovuto assicurargli le <strong>di</strong>visioni del generale Wenck,<br />

così come il sovrano <strong>di</strong> Prussia si era miracolosamente salvato dalla sconfitta.<br />

Si ricor<strong>di</strong> anche che il ritratto <strong>di</strong> Federico II campeggiava <strong>di</strong>etro la<br />

scrivania <strong>di</strong> Hitler nella sede della Brieunerstrasse a Monaco. Il vincitore<br />

della guerra dei Sette Anni, instancabile sul campo <strong>di</strong> battaglia, idolatrato<br />

dai suoi soldati, tirannico con gli altri e con se stesso, ha in effetti qualche<br />

tratto che richiama Hitler e quin<strong>di</strong> Feric Jaggar.<br />

Feric lotta per liberare la sua terra da una mostruosa progenie <strong>di</strong> mutanti<br />

e umanoi<strong>di</strong>, che ricordano gli ibri<strong>di</strong> esseri effigiati da Hieronymus Bosch<br />

nel Giar<strong>di</strong>no delle delizie o nell’Inferno musicale: sono esseri dalle forme<br />

più strane, pappagalloi<strong>di</strong>, uomini rospo, ameboi<strong>di</strong> giganti, strumenti <strong>di</strong> una<br />

–93–


misteriosa e perversa razza <strong>di</strong> dominatori, i Dom. Questi suggestionano le<br />

menti degli umani e dei sub-umani me<strong>di</strong>ante una rete psichica che ne coarta<br />

le azioni e la volontà, il dominogramma. Alla testa delle sue truppe (e si<br />

noti che Spinrad-Hitler descrive con cura minuziosa l’abbigliamento, i<br />

giubbotti neri, le cinture borchiate, i bracciali, le sciarpe, le ban<strong>di</strong>ere con la<br />

svastica, come quelle degli o<strong>di</strong>erni skinheads), Feric Jaggar muove all’assalto<br />

dei Dom e ne <strong>di</strong>strugge il più possibile. I Dom sono a loro volta manovrati<br />

dall’impero Zind, il successivo obiettivo della guerra <strong>di</strong> Feric. Il romanzo<br />

termina con la vittoria finale <strong>di</strong> Feric Jaggar e dei “figli della svastica”, che<br />

ora possono guardare alla prossima conquista: le stelle.<br />

Ad evitare accuse <strong>di</strong> apologia nazista, Spinrad aggiunge al testo la nota,<br />

datata al 1959, <strong>di</strong> un certo professor Homer Whipple, il quale spiega i significati<br />

psicoanalitici del romanzo. L’arma <strong>di</strong> Feric sarebbe un simbolo fallico<br />

e il romanziere uno psicotico feticista, che avrebbe prestato al protagonista<br />

della storia le sue oscure nevrosi (ritorna il tema del personaggio come<br />

“doppio” dell’autore). Sul piano storico Heldon rappresenterebbe la Germania,<br />

quale la voleva Hitler (beninteso, l’Hitler romanziere se fosse <strong>di</strong>venuto<br />

uomo politico – come spiega Spinrad), l’impero Zind l’Unione Sovietica o<br />

ad<strong>di</strong>rittura la comunità ebraica internazionale, i Dom i socialdemocratici o i<br />

democratici in generale. E Feric Jaggar, <strong>di</strong>ce Homer Whipple, è in sostanza<br />

il suo autore: uno psicopatico narcisista con ossessioni paranoi<strong>di</strong>. Conclude<br />

significativamente Homer Whipple la sua nota, <strong>di</strong>cendo che “siamo fortunati<br />

che un mostro come Feric Jaggar non possa che rimanere per sempre<br />

nelle pagine della fantascienza, sogno febbrile <strong>di</strong> un autore <strong>di</strong> fantascienza<br />

nevrotico chiamato Adolf Hitler” (p. 247). È un romanzo senza dubbio così<br />

vicino al pensiero del suo autore, probabilmente una sorta <strong>di</strong> rivisitazione in<br />

chiave paro<strong>di</strong>stica e grottesca del Mein Kampf, che alla fine della lettura,<br />

come scrive Jacques Sadoul, si rimane <strong>di</strong>sorientati. 116<br />

Passiamo ai romanzi <strong>di</strong> storia alternativa con elementi <strong>di</strong> fantascienza.<br />

Se ne deve uno a Stan Lee, il celebre creatore dei supereroi della Marvel<br />

Comics, come Spiderman e Devil: Alien Factor (Stan Lee - Stan Timmons,<br />

The Alien Factor, 2001). 117 Scritto con Stan Timmons, il romanzo <strong>di</strong> Lee<br />

immagina che, nel 1942, nella Francia occupata dai nazisti, precipiti dal<br />

116 Tanto più che Norman Spinrad è <strong>di</strong> origine ebraica. Vd. Jacques Sadoul, Storia della<br />

fantascienza, cit., p. 313.<br />

117 Stan Lee – Stan Timmons, Alien Factor, trad. <strong>di</strong> Antonella Pieretti («Urania», n. 1457),<br />

Mondadori, Milano 2003.<br />

–94–


cielo un’astronave extraterrestre. I tedeschi catturano un superstite dell’equipaggio,<br />

ma gli alleati sono decisi a impe<strong>di</strong>re che i segreti della tecnologia<br />

aliena cadano nelle mani degli uomini del Terzo Reich. La vicenda,<br />

ambientata in una Francia occupata accuratamente ricostruita, procede con<br />

un ritmo narrativo tipicamente cinematografico.<br />

Il connubio tra nazisti e alieni genera vere e proprie saghe <strong>di</strong> avventura.<br />

Già docente universitario <strong>di</strong> storia antica e storia bizantina alla California<br />

State University, passato a scrivere romanzi <strong>di</strong> fantascienza, Harry<br />

Turtledove, già ricordato come autore <strong>di</strong> Nelle parti del nemico (§ 4), ha<br />

creato una fluviale epopea costruita tra storia parallela e fantascienza, il<br />

ciclo dell’Invasione. Nel 1942, in piena seconda guerra mon<strong>di</strong>ale, la Terra<br />

è invasa da un razza <strong>di</strong> potentissimi alieni rettiliformi, che minacciano <strong>di</strong><br />

sterminare l’umanità. Alle nazioni in lotta non resta che allearsi per tentare<br />

<strong>di</strong> sopravvivere al massacro scatenato da questo inaspettato e crudelissimo<br />

nemico. Lottano così fianco a fianco, in una imprevista e grottesca alleanza,<br />

i soldati tedeschi, gli angloamericani, le truppe dell’Armata Rossa<br />

e i partigiani ebrei polacchi, nella speranza <strong>di</strong> evitare lo sterminio. Agiscono<br />

nel corso della saga personaggi storici realmente esistiti come Hitler,<br />

Stalin, Roosevelt e Churchill, i generali americani Marshall e Patton, Otto<br />

Skorzeny, il capitano delle SS passato alla storia come il “liberatore” <strong>di</strong><br />

Mussolini, il ministro degli esteri nazista von Ribbentrop, quello del Giappone,<br />

Togo, e quello sovietico Molotov, gli scienziati Albert Einstein,<br />

Werner Heisenberg, Kurt Diebner ed Enrico Fermi, insieme a molti altri<br />

personaggi storici e <strong>di</strong> fantasia, umani e alieni. Nel primo capitolo della<br />

saga, Invasione anno zero (Worldwar: in the Balance, 1994) 118 Turtledove<br />

immagina che nel 1942 tra i belligeranti in pieno conflitto piombi l’invasione<br />

<strong>di</strong> una flotta aliena che intende conquistare Tosev 3 (il nome della<br />

Terra secondo la lingua della Razza extraterrestre). Gli alieni cominciano a<br />

invadere il Giappone, poi attaccano gli altri paesi, bombardando le città europee<br />

con i loro inattaccabili velivoli, e stabiliscono basi sul pianeta. Ma<br />

gli umani, che non tardano ad accorgersi del mortale pericolo, depongono<br />

ogni reciproca ostilità e si alleano in una lotta per la sopravvivenza. Nel romanzo,<br />

ove si susseguono interminabili sequenze <strong>di</strong> battaglie tra umani e<br />

alieni, con descrizioni <strong>di</strong> massacri e devastazioni, trovano posto anche episo<strong>di</strong><br />

curiosi in cui agiscono i personaggi storici, rappresentati fedelmente<br />

118 Harry Turtledove, Invasione anno zero, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, TEA, Milano <strong>2004</strong>,<br />

su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord.<br />

–95–


da Turtledove nei loro effettivi caratteri: Churchill <strong>di</strong>venta l’anima appassionata<br />

della resistenza non più antinazista ma antialiena, Molotov risponde<br />

imperturbabile con il suo celebre Nyet ad Atvar, il comandante<br />

della flotta aliena, che gli chiede la sottomissione dell’Unione Sovietica,<br />

Fermi, nel suo laboratorio <strong>di</strong> Chicago, interroga scrupolosamente due<br />

alieni prigionieri sulla fissione nucleare. La saga <strong>di</strong> Turtledove prosegue<br />

con Invasione fase seconda (Worldwar: tilting the Balance, 1994), 119 poi<br />

con Invasione atto terzo (Worldwar: upsetting the Balance, 1996), 120 e si<br />

completa con Invasione atto finale (Worldwar: striking the Balance,<br />

1996). 121 Alla saga dell’Invasione il prolifico Turtledove ha dato un seguito<br />

con quella della Colonizzazione, ulteriore vasto affresco <strong>di</strong> storia parallela,<br />

che svolge il tema della progressiva colonizzazione della Terra da parte<br />

della razza aliena, a seguito della parziale vittoria sugli umani nella seconda<br />

guerra mon<strong>di</strong>ale e la conseguente conquista del Sudamerica, dell’Africa,<br />

dell’Asia meri<strong>di</strong>onale e dell’Australia. Tutta la storia dell’umanità<br />

nel Novecento ne risulta mo<strong>di</strong>ficata, a partire dal Terzo Reich che è<br />

riuscito a sopravvivere al conflitto in virtù dell’insperata alleanza con le<br />

potenze alleate, della scoperta dell’energia atomica e dell’uso della tecnologia<br />

aliena, molto più avanzata della terrestre: sicché gli USA, l’URSS e<br />

la Germania hanno costituito basi sulla Luna e anche da lì combattono la<br />

battaglia per la liberazione del pianeta. Ne sono apparsi finora tre grossi<br />

volumi. Il primo è Colonizzazione fase 1 (Colonization Book One: Second<br />

Contact, 1998), 122 il secondo Colonizzazione fase 2 (Down to Earth,<br />

2000), 123 il terzo e finora ultimo volume Colonizzazione fase 3 (Colonization<br />

Book Three: Aftershocks, 2001). 124 Anche in questa saga si trovano,<br />

fianco a fianco, personaggi storici e alieni: tra gli altri, Molotov, Himmler,<br />

nuovo cancelliere del Reich, Mao, il maresciallo Þukov e Gromyko.<br />

119 Harry Turtledove, Invasione: fase seconda, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, Euroclub, Milano<br />

1998, su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord.<br />

120 Harry Turtledove, Invasione atto terzo, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, TEA, Milano <strong>2004</strong>,<br />

su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord.<br />

121 Harry Turtledove, Invasione atto finale, trad. <strong>di</strong> Gianluigi Zuddas, TEA, Milano <strong>2004</strong>,<br />

su licenza della E<strong>di</strong>trice Nord).<br />

122 Harry Turtledove, Colonizzazione Fase 1, trad. <strong>di</strong> Carlo Borriello, Fanucci E<strong>di</strong>tore,<br />

Roma 2002.<br />

123 Harry Turtledove, Colonizzazione Fase 2, trad. <strong>di</strong> Carlo Borriello, Fanucci E<strong>di</strong>tore,<br />

Roma 2003.<br />

124 Harry Turtledove, Colonizzazione Fase 3, trad. <strong>di</strong> Paola Cartoceti, Fanucci E<strong>di</strong>tore,<br />

Roma <strong>2004</strong>.<br />

–96–


Ma la fantascienza, così come la storia alternativa, riserva spazio anche<br />

ad altre figure del nazismo. Una inaspettata presenza è quella <strong>di</strong> Hermann<br />

Goering, che appare, per la verità in secondo piano, in alcuni testi. L’istrionico<br />

Reichsmarschall, ad esempio, è tra i personaggi del romanzo I simulacri<br />

<strong>di</strong> Philip K. Dick (The simulacra, 1964): 125 in un mondo futuro, che ha<br />

scoperto i viaggi nel tempo, Goering viene portato fuori dalla sua epoca per<br />

convincerlo ad evitare il genoci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sei milioni <strong>di</strong> ebrei, ma sfortunatamente<br />

vi è chi non vuole mo<strong>di</strong>ficare il passato. Nel curioso romanzo Il<br />

fiume della vita <strong>di</strong> Philip José Farmer (To your scattered bo<strong>di</strong>es go, 1971) 126<br />

il corpulento personaggio compare, invece, tra la folla innumerevole che<br />

popola le rive <strong>di</strong> un misterioso, immenso fiume, situato su un pianeta sconosciuto:<br />

sono i defunti della terra, reincarnatisi in corpi giovani e glabri, e<br />

portati su quel pianeta da alieni sconosciuti. Oltre a Goering, che nell’al<strong>di</strong>là<br />

immaginato da Farmer deve render conto ai trapassati del genoci<strong>di</strong>o<br />

ebraico, ma conserva i suoi sentimenti antisemiti, nel romanzo vi è Richard<br />

Francis Burton, l’esploratore inglese che scoprì il lago Tanganica nel 1858,<br />

e che, anche nell’al<strong>di</strong>là, esplora l’immenso fiume misterioso.<br />

Uno scrittore <strong>di</strong> romanzi horror tra il fantascientifico e il soprannaturale,<br />

James Herbert, nel romanzo La reliquia (The Spear, 1978) 127 immagina<br />

che in Inghilterra una organizzazione neonazista, capeggiata da un<br />

Himmler re<strong>di</strong>vivo, trami per impossessarsi della lancia <strong>di</strong> Longino, il Sacro<br />

Graal, che possiede una straor<strong>di</strong>naria energia vitale. O<strong>di</strong>lo Globoènik, il<br />

feroce Gauleiter della Carinzia, appare in Fatherland <strong>di</strong> Robert Harris (è il<br />

Globus – con tale nomignolo veniva realmente chiamato dai suoi camerati –<br />

comandante della Gestapo, persecutore del protagonista Xavier March) e ne<br />

In presenza del nemico <strong>di</strong> Harry Turtledove (qui è il Führer usurpatore, capo<br />

del complotto contro il nazista “riformista” Buckliger).<br />

Conclu<strong>di</strong>amo la rassegna con qualche considerazione. Dobbiamo anzitutto<br />

chiederci perché una figura come Hitler sia entrata nel campo della SF.<br />

125 Philip K. Dick, I simulacri, trad. <strong>di</strong> Roberta Rambelli, E<strong>di</strong>trice Nord, Milano 1980.<br />

126 Philip José Farmer, Il fiume della vita, trad. <strong>di</strong> Gabriele Tamburini, E<strong>di</strong>trice Nord,<br />

Milano 1981³. La fantascienza riserva spazio anche alla figura del Duce, come nel bizzarro<br />

romanzo Questo è l’Inferno <strong>di</strong> Larry Niven e Jerry Pournelle (Inferno, 1976, trad. <strong>di</strong> Maurizio<br />

Nati, Armenia E<strong>di</strong>tore, Milano 1978), ove lo spirito guida Benito conduce il protagonista, l’io<br />

narrante, attraverso i gironi dell’inferno dantesco: una presenza davvero curiosa e immotivata in<br />

tale contesto, anche perché vi manca il suo più potente e malvagio alleato dell’Asse.<br />

127 James Herbert, La reliquia, trad. <strong>di</strong> Marco e Dida Paggi («Urania», n. 862), Mondadori,<br />

Milano 1980.<br />

–97–


Anche se il dominio degli stu<strong>di</strong> storici <strong>di</strong>fficilmente si adatta alla fantasiosa<br />

creatività degli scrittori, e in particolare <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> SF, non<strong>di</strong>meno cre<strong>di</strong>amo<br />

che questo personaggio presenti <strong>di</strong> per sé alcuni tratti che autorizzano<br />

l’elaborata, e spregiu<strong>di</strong>cata, commistione <strong>di</strong> fantasia e realtà. La stessa<br />

vicenda della sua vita ha i toni del romanzo: dalle oscure origini <strong>di</strong> artista<br />

mancato e caporale dell’esercito austriaco al ruolo <strong>di</strong> agitatore politico nella<br />

repubblica weimariana, fino a quello <strong>di</strong> capo <strong>di</strong> un autentico impero concentrazionario<br />

che abbraccia tutta l’Europa e rovina nella catastrofe finale,<br />

la vita <strong>di</strong> Hitler è un susseguirsi <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> incre<strong>di</strong>bili e sconvolgenti. E, a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> molti altri personaggi storici, la sua stessa fine è avvolta quasi<br />

in una sorta <strong>di</strong> mistero: nella Berlino in fiamme, asse<strong>di</strong>ata dalle truppe sovietiche,<br />

sotto le macerie della Cancelleria, Hitler si uccide ma il suo corpo<br />

non viene ritrovato. I sovietici hanno affermato (e fu per molti anni la versione<br />

ufficiale) che il corpo del Führer venne quasi completamente <strong>di</strong>strutto<br />

dal rogo e dagli scoppi delle granate nella zona della Cancelleria. Poi, con<br />

l’apertura degli archivi sovietici, è venuta fuori la documentazione sull’autopsia,<br />

sulla sepoltura e sulla cremazione successiva dei cadaveri <strong>di</strong> Hitler e<br />

della Braun. Ma questa ennesima versione non ha però mai del tutto convinto<br />

gli storici, al punto che qualcuno lascia la porta timidamente aperta al<br />

dubbio. È vero che certa storiografia <strong>di</strong> taglio giornalistico si è impadronita<br />

dell’argomento per suffragare fantasiose e spregiu<strong>di</strong>cate “rivelazioni” sulla<br />

sopravvivenza <strong>di</strong> Hitler, ma naturalmente tali ipotesi, che sconfinano nel<br />

mito, restano pura fantasia. E anche senza necessariamente postulare un’impossibile<br />

fuga, la figura <strong>di</strong> questo moderno Cagliostro della storia (l’accostamento<br />

non è casuale: anche il corpo del famoso mago e avventuriero,<br />

morto nel 1795 nella fortezza <strong>di</strong> San Leo, non venne mai ritrovato) rimane<br />

ancora un enigma destinato, proprio per le straor<strong>di</strong>narie e terribili vicende<br />

che con lui hanno segnato la vita <strong>di</strong> intere generazioni, ad affascinare la curiosità<br />

del lettore e a stimolare inquietanti interrogativi. Ai quali i testi che<br />

abbiamo presentato vogliono dare altrettante risposte.<br />

–98–


MARINA CASTELLANO<br />

Proposta <strong>di</strong> analisi critica<br />

del I canto dell’Inferno<br />

Per entrare subito nel vivo delle vaste problematiche offerte già dalla<br />

lettura delle prime terzine del canto muoviamo da un’osservazione <strong>di</strong> Sanguineti<br />

a proposito della nuclearità <strong>di</strong> due termini presenti già nel terzo<br />

verso: selva e paura, che ricorreranno più volte nello svolgimento del canto<br />

ma che già inizialmente in<strong>di</strong>cano le linee <strong>di</strong>rettrici dei motivi su cui si<br />

muove l’intera cantica, precisando imme<strong>di</strong>atamente l’assoluto parallelismo<br />

tra motivo paesistico-itinerale e motivo psicologico. Si potrebbe ad<strong>di</strong>rittura<br />

<strong>di</strong>re che il paesaggio costituisce la metafora dell’iter psicologico. Tre quin<strong>di</strong><br />

le <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> questo avvio <strong>di</strong> canto: paesaggio, cammino, psicologia; ma<br />

non basta, in quanto non è enucleabile un concetto <strong>di</strong> cammino senza una<br />

determinazione temporale, che leghi questo al paesaggio che muta ed alla<br />

psicologia che attraversa <strong>di</strong>versi stati. Infatti Dante, grazie alle sue capacità<br />

<strong>di</strong> possente sintesi, ci fornisce anche la quarta <strong>di</strong>mensione scolpendola in<br />

quel “già” <strong>di</strong> v. 17, pregnante evocazione <strong>di</strong> un percorso temporale scan<strong>di</strong>to<br />

passo dopo passo dall’azione fisica e morale. Come ha notato, da poeta,<br />

Ungaretti, proprio nello stesso periodo storico Giotto scopriva, unificandoli<br />

nel compen<strong>di</strong>o figurativo, il volume, lo spazio, la durata terrena dell’uomo,<br />

il tempo. Ed è proprio il tempo che passa a concretizzare il passaggio psicologico<br />

tra “paura” e “bene sperar” nelle due succedenti visioni paesistiche,<br />

rispettivamente, della “valle” e del “colle”. Il tutto è risolto dall’apparizione<br />

<strong>di</strong> Virgilio, “figura”, come <strong>di</strong>rebbe Auerbach, del “colle”: il poeta latino<br />

restituisce a Dante il suo tempo, cioè lo pone in con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> entrare nel<br />

tempo della “speranza dell’altezza” che presto <strong>di</strong>venterà il tempo dell’“altro<br />

viaggio”. Mi sembra che queste semplici considerazioni, del resto niente<br />

affatto nuove, siano sufficienti a leggere con una certa <strong>di</strong>ffidenza (che in me<br />

si risolve in ferma <strong>di</strong>ssidenza) quanto affermava Croce sulla “stentatezza”, e<br />

quin<strong>di</strong> l’impoeticità, <strong>di</strong> questo avvio <strong>di</strong> canto: la selva è la selva e le fiere<br />

sono le fiere, anzi questa e quelle connettono il proprio significato letterale<br />

a quello psicologico attraverso il senso etico, che rappresenta in effetti la<br />

finalità <strong>di</strong>chiarata del viaggio stesso. Senza poi contare che la stessa paura<br />

che Dante <strong>di</strong>chiara <strong>di</strong> avvertire si fa sempre poesia, laddove la stessa realtà<br />

–99–


della sensazione è accompagnata dalla ben nota fenomenologia fisiologica,<br />

che si fa immagine reale, concreta e visibile, anche piuttosto caricata dal<br />

Poeta (tremar le vene e i polsi, lago del cor ecc.).<br />

Ma il canto presenta anche un’altra tematica <strong>di</strong> chiaro interesse, coagulata<br />

intorno alla parola nostra, che lo Spitzer definisce “possessive of<br />

human solidarity”: già dal primo verso, a quanto pare, Dante cerca <strong>di</strong> coinvolgerci<br />

in questo suo-nostro viaggio, soprattutto <strong>di</strong> chiarire alla nostra<br />

intelligenza la portata universale <strong>di</strong> questa sua esperienza, che riguarda tutti,<br />

e a cui in qualche modo dobbiamo tutti prender parte. Non è più il momento<br />

(lo vedremo dal canto VI, politico nel senso più greco della parola, come si<br />

cercherà <strong>di</strong> precisare in quella sede) <strong>di</strong> rimanere inerti, ognuno nel proprio<br />

guicciar<strong>di</strong>niano “particulare”: in una situazione <strong>di</strong> sbandamento politico, <strong>di</strong><br />

corruzione a livello <strong>di</strong> curia papale, <strong>di</strong> instabilità sociale, l’uomo, ogni<br />

uomo, è chiamato da Dante all’impegno personale, che parte dal momento<br />

etico in<strong>di</strong>viduale per risolversi sul piano storico religioso. Quel nostra<br />

muove certamente da una constatazione cronologica (trentacinque anni<br />

rappresentavano “il mezzo” dell’aspettativa <strong>di</strong> vita dell’uomo me<strong>di</strong>oevale),<br />

ma si precisa subito in una “chiamata alle armi” contro un nemico che è<br />

interiore (il peccato) ma che tarla quelle istituzioni (Chiesa e Impero) necessarie<br />

al benessere, ad ogni benessere dell’umanità; e sarà Dante stesso a<br />

guidare questo esercito virtuale che porrà le basi morali <strong>di</strong> una palingenesi<br />

globale. Dante ha bisogno dei suoi lettori; essi sono il suo esercito, il prototipo<br />

dell’uomo nuovo. Come si vede, secoli prima dell’Illuminismo, che<br />

avrebbe conferito all’intellettuale il ruolo <strong>di</strong> educatore del popolo, e del<br />

Romanticismo, che lo avrebbe visto come vate della liberazione nazionale,<br />

Dante aveva già ben chiaro il compito cui l’uomo <strong>di</strong> cultura era chiamato,<br />

un compito ben più arduo e totalizzante: messaggero <strong>di</strong> Dio (compagna la<br />

Ragione), esorcista contro il Male che semina i vizi sulla Terra, stabilizzatore<br />

politico, equilibratore sociale, insomma guida morale dell’umanità<br />

verso il suo Principio Primo passando necessariamente attraverso quei<br />

principi da Lui scaturenti che si sommano nei concetti <strong>di</strong> pace e giustizia.<br />

Anche interessante mi sembra l’altra tematica espressa da Dante nella<br />

seconda terzina, quella del sermo deficit (ahi quanto a <strong>di</strong>r qual era è cosa<br />

dura, io non so ben ri<strong>di</strong>r) soprattutto per la possibilità <strong>di</strong> chiarire meglio la<br />

<strong>di</strong>fferenza che intercorre tra questo concetto e quello ricorrentemente<br />

espresso nel Para<strong>di</strong>so. Mentre l’ineffabile del Para<strong>di</strong>so aveva come background<br />

una serie <strong>di</strong> giustificazioni teologiche che penetravano la realtà del<br />

rapporto tra uomo e Dio (la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> livello tra intelletto e memoria,<br />

– 100 –


l’abisso tra la gloria <strong>di</strong> Dio e le limitate facoltà umane, l’incapacità <strong>di</strong><br />

comprendere il senso pieno del trasumanar ecc.) l’in<strong>di</strong>cibile dell’Inferno<br />

rappresenta un dato psicologico-morale, concretizzato nell’espressione<br />

“pien <strong>di</strong> sonno” che compen<strong>di</strong>a allo stesso tempo (e qui ci riallacciamo al<br />

<strong>di</strong>scorso sul coinvolgimento quasi fisico del lettore) il torpore peccaminoso<br />

che affliggeva Dante in quel momento della sua vita, l’inevitabile stato <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sagio che accompagna l’uomo nei nuclei problematici della sua esistenza,<br />

la realtà storica che vedeva instabilità, corruzione, ingiustizia. In una parola:<br />

sonno. Sonno dell’anima, sonno del cuore, ma anche sonno delle istituzioni.<br />

Un sonno da cui, evidentemente, non è agevole per il momento svincolarsi,<br />

come si evince dall’impossibilità <strong>di</strong> Dante-umanità-istituzioni <strong>di</strong> praticare il<br />

“corto andar” della “piaggia” che, naturalmente, è “<strong>di</strong>serta”. Tale impotenza,<br />

come si legge nel Convivio, risulta da una semplice constatazione:<br />

l’uomo può giungere alla felicità morale se persegue la vita attiva, mentre<br />

la beatitu<strong>di</strong>ne può essere attinta esclusivamente con la rigorosa ricerca della<br />

contemplazione, che però implica un continuo esercizio ascetico, un costante<br />

sforzo <strong>di</strong> liberazione dalle passioni. Un cammino. Il cammino del pellegrino<br />

attraverso i tre regni per conquistarsi (e conquistarci) il “colle”, vicino<br />

alla vista ma irrime<strong>di</strong>abilmente lontano per l’uomo ancora involto nella sua<br />

materialità, da sempre ostacolo alla libera esplicazione dello Spirito.<br />

“Forse... questo colle... è... un miraggio antipodale, la sagoma illusoria <strong>di</strong><br />

una promessa” (v. Sermonti, L’Inferno <strong>di</strong> Dante, Milano 1994, p. 7).<br />

NOTE:<br />

vv. 1-9: Dante, smarrita la via del bene, si ritrova, senza sapere come, in<br />

una selva oscura, che gli procura angoscia ma che, come comprenderà<br />

in seguito, lo condurrà ad una svolta esistenziale.<br />

v. 1: mezzo: tale espressione, che ha i suoi precedenti in Salmi, 89,10 (“Gli<br />

anni della nostra vita sono settanta”), in Isaia, 38,10 (“nel mezzo dei<br />

miei giorni scenderò alle porte dell’inferno”), nello stesso Convivio (IV,<br />

XXXIII, 6-10), enuncia efficacemente la solennità del momento che<br />

Dante, ormai trascrittore della sua esperienza, ha vissuto e <strong>di</strong> cui vuol<br />

rendere partecipe il lettore. Tale sforzo <strong>di</strong> attrazione si evidenzia sin<br />

– 101 –


dall’inizio in un continuo richiamo alla determinatezza <strong>di</strong> cose ed<br />

eventi, alla corposità delle sensazioni, alla volumetria giottesca <strong>di</strong><br />

luoghi e personaggi. Con questo Dante prende le <strong>di</strong>stanze, se mai sia<br />

stato possibile avvicinare due attitu<strong>di</strong>ni letterarie tanto <strong>di</strong>fferenti, da<br />

quegli autori a lui precedenti che avevano parlato <strong>di</strong> viaggi ultraterreni:<br />

tanto visionari e indeterminati questi, quanto realistico e minuziosamente<br />

descrittivo il nostro Poeta.<br />

cammin: questa bella parola, <strong>di</strong> sapore iniziatico e sapienziale, palesa la similarità<br />

della Weltanschauung dantesca con l’analogo pensiero esistenziale<br />

delle filosofie buddhista e taoista.<br />

nostra: come si vede, da subito l’esperienza in<strong>di</strong>viduale si apre all’intera<br />

umanità e si precisa nel suo valore para<strong>di</strong>gmatico e nel suo obbiettivo,<br />

che è quello <strong>di</strong> “removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere<br />

ad statum felicitatis” (Ep. XIII, 15).<br />

vita: la pregnanza del primo verso, che si conclude con la parola-chiave<br />

“vita”, parola <strong>di</strong> ampio respiro e <strong>di</strong> vaste risonanze sia poetiche sia semantiche,<br />

detta la necessità <strong>di</strong> un’analisi più approfon<strong>di</strong>ta riguardo alla<br />

peculiarità <strong>di</strong> questo momento isolato da Dante, leggibile evidentemente<br />

su più piani. Intanto, il piano personale: il Poeta, si evince dalla<br />

lettura della Vita Nuova, sconvolto dalla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Beatrice, ripensa<br />

tutta la propria vita alla luce <strong>di</strong> ciò che è stato e ciò in cui ha creduto,<br />

vacillando nelle sue convinzioni religiose e scivolando pericolosamente<br />

verso l’averroismo razionalistico professato dall’amico Cavalcanti.<br />

Quin<strong>di</strong>, il piano per così <strong>di</strong>re epocale: come l’Ortis <strong>di</strong> Foscolo è, in effetti,<br />

emblema della crisi <strong>di</strong> un’intera generazione, così il Dante in cammino<br />

<strong>di</strong>pinge i turbamenti <strong>di</strong> un me<strong>di</strong>oevo ormai troppo maturo e non<br />

più a suo agio, come sentirà Petrarca, nelle strettoie dell’aristotelismo.<br />

Infine, il piano istituzionale: mai come adesso, ed il pullulare <strong>di</strong> neonati<br />

movimenti pauperistici ne è la prova, la Chiesa indulge alla corruzione;<br />

mai come adesso l’Impero si crogiola nella sua debolezza, permettendo<br />

che il proprio dominio, abbandonato in balia dei piccoli potentati locali,<br />

sia devastato dalle lotte intestine e lasci così progressivamente sbia<strong>di</strong>re<br />

la sua identità culturale. Insomma il pericolo in cui si trova Dante è lo<br />

stesso in cui si <strong>di</strong>batte il cristiano, malsicuro sulla via tracciata da una<br />

Chiesa, quella <strong>di</strong> Bonifacio VIII, da lui sentita come infida e contaminata<br />

dall’auri sacra fames; ed è lo stesso che vede il citta<strong>di</strong>no dell’Impero,<br />

un tempo certo del proprio status politico e sociale, trasformarsi<br />

in uno sbandato senza patria.<br />

– 102 –


Il “giallo” della data. Questo primo verso, a <strong>di</strong>spetto della premurosa<br />

volontà del Poeta <strong>di</strong> fornire al lettore una datazione precisa, crea imme<strong>di</strong>atamente<br />

il “caso” relativo alla cronologia iniziale del viaggio. L’anno<br />

parrebbe il 1300 (anche se un cultore <strong>di</strong> astrologia, Giovangualberto<br />

Ceri, in seguito a suoi calcoli esposti in Dante e l’astrologia, Firenze<br />

1995, sia convinto che ci si debba spostare in avanti <strong>di</strong> una unità),<br />

sempre che si parli in termini <strong>di</strong> calendario usuale; se, infatti, si sceglie<br />

l’uso fiorentino <strong>di</strong> contare gli anni ab incarnatione (e Dante, in Pd. XVI,<br />

34 segg., ci informa che, effettivamente, quello era il computo che egli<br />

soleva applicare), si potrebbe ipotizzare la data del 25 marzo del 1300,<br />

cioè il primo giorno del 1301 in Firenze. Generalmente si accoglie la<br />

tesi 1300, che verrebbe ad incontrarsi con due elementi interessanti: la<br />

corrispondenza numerologica (1300 è composto da multipli <strong>di</strong> 10, allegoria<br />

della perfezione <strong>di</strong>vina, e <strong>di</strong> 3, figurazione della Trinità) e la coincidenza<br />

del viaggio con l’in<strong>di</strong>zione, da parte <strong>di</strong> Bonifacio VIII, del<br />

primo Giubileo. Inoltre sembra significativa la scelta <strong>di</strong> un anno particolare,<br />

iniziatore <strong>di</strong> secolo, laddove a “secolo” si potrebbe dare il significato<br />

<strong>di</strong> “epoca”: un anno palingenetico, insomma, che ben si adatterebbe<br />

al sogno <strong>di</strong> rinnovamento morale e politico che presto Dante<br />

materializzerà nell’enigmatica figura del Veltro. Per quanto riguarda il<br />

giorno, si pensa generalmente all’8 aprile, venerdì santo del 1330, ma<br />

non pochi preferiscono il 25 marzo (l’incarnazione) o ad<strong>di</strong>rittura, con<br />

minori argomenti, il 5 maggio. Almeno sull’orario, per fortuna, Dante è<br />

stato esplicito anche se non puntuale: è sera, come rivelano gli in<strong>di</strong>catori<br />

già del v. 17 e la notte ch’io passai <strong>di</strong> v. 21.<br />

v. 2: mi ritrovai: il racconto ritorna, con quel “mi”, al livello in<strong>di</strong>viduale, ma<br />

subito, ancora una volta, c’è qualcosa che identifica una con<strong>di</strong>zione comune:<br />

il verbo “ritrovai” che, pur qualificando una situazione vissuta in<br />

quel momento da Dante, in<strong>di</strong>ca una attitu<strong>di</strong>ne prettamente umana,<br />

quella assenza <strong>di</strong> volontà (il Poeta vi ritornerà con fermi argomenti<br />

teologici nel Para<strong>di</strong>so) per cui l’uomo si “ritrova” nel peccato suo malgrado,<br />

senza il contributo dell’azione; tale pericolo, sempre in agguato,<br />

deve ammonire l’uomo a vegliare costantemente contro la forza, quella<br />

sì, sempre attiva ed efficiente, del Male.<br />

per: nella stessa funzione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care uno stato in luogo circoscritto<br />

(“entro”) è usato da Cavalcanti in Io non pensava: “l’anima sento per lo<br />

cor tremare”).<br />

– 103 –


selva: si tratta <strong>di</strong> un luogo-simbolo enormemente pregnante, <strong>di</strong> antica<br />

ascendenza allegorica, come si vedrà, e scelto da Dante a racchiudere<br />

una vera e propria “selva” <strong>di</strong> significati. Il senso allegorico che appare<br />

imme<strong>di</strong>atamente è quello, è evidente, del peccato: se l’immagine è<br />

mutuata da Virgilio (la selva intricata dell’Averno), da testi me<strong>di</strong>oevali<br />

(la foresta in cui, nel Trésor, Brunetto Latini racconta <strong>di</strong> essersi smarrito<br />

al ritorno dalla Spagna) ed anche dalla <strong>di</strong>mestichezza <strong>di</strong> Dante con<br />

il paesaggio rustico della Toscana <strong>di</strong> allora, l’allegoria è <strong>di</strong> <strong>di</strong>retta derivazione<br />

agostiniana (Conf. X, 35), scritturale (Eccl. 7,27) e... dantesca<br />

(Conv. IV, XXIV, 12: “la selva erronea <strong>di</strong> questa vita”). Ma, come<br />

spesso accade nella Divina Comme<strong>di</strong>a, l’allegoria morale si accontenta<br />

<strong>di</strong> un ruolo da comprimaria per lasciare spazio alla metafora ideologica<br />

e politica: così, la selva incarnerà la lotta per il potere tra Chiesa ed<br />

Impero, causa <strong>di</strong> decadenza e <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne (Sanguineti), ma anche la<br />

Firenze corrotta, meschina ed avida (la “trista selva” <strong>di</strong> Purg. XIV, 74)<br />

forgiata a propria immagine e somiglianza dalla gretta borghesia<br />

mercantile che da decenni deteneva il potere economico della città.<br />

oscura: determinante questa assenza <strong>di</strong> luce, riba<strong>di</strong>ta a v. 60 dal “tacere” del<br />

sole; la luce, infatti, è il luogo dell’armonia, nella quale, per citare<br />

Guar<strong>di</strong>ni, “il significato si rivela”. Qui, infatti, nulla può essere rivelato,<br />

proprio per la mancanza della luce-Dio, che non può essere attinta<br />

senza il cammino teoretico: “...Dante, dalla sua oscurità, non la può<br />

raggiungere <strong>di</strong>rettamente. Deve prima attraversare tutta l’esistenza, riconoscersi<br />

nelle immagini della storia <strong>di</strong>venute manifeste nella luce<br />

dell’eternità e, superandosi, giungere alla libertà” (R. Guar<strong>di</strong>ni, Stu<strong>di</strong> su<br />

Dante, Brescia, 1979, pp. 281-2).<br />

che: benché non causi mutamenti determinanti nell’intelligenza generale del<br />

passo, la locuzione sembra passibile <strong>di</strong> varie sfumature interpretative:<br />

causale (“perché”), consecutiva (“così che”), modale (“nella con<strong>di</strong>zione<br />

in cui”).<br />

<strong>di</strong>ritta: dopo tanta simbologia, l’aggettivo ci rammenta che Dante è, soprattutto,<br />

poeta e profondo conoscitore della letteratura contemporanea:<br />

non gli saranno state certamente estranee le selve dei romanzi cavallereschi,<br />

dove l’eroe, al culmine del dramma, doveva scegliere la via <strong>di</strong>ritta,<br />

cioè la destra, quella del bene. Anche in Dante, come nell’immaginario<br />

poetico collettivo, la selva avrà rappresentato il luogo dell’avventura,<br />

così come sarà per Ariosto e, in modo molto più complesso,<br />

per Tasso.<br />

– 104 –


smarrita: in una situazione in cui sembra non esservi alcuna via d’uscita, il<br />

verbo “smarrire” suggerisce almeno una speranza, che presto si farà<br />

certezza grazie ad un intervento salvifico; infatti l’espressione non ha il<br />

senso definitivo <strong>di</strong> “perdere”, ma in<strong>di</strong>ca una con<strong>di</strong>zione provvisoria che<br />

si avvia, nonostante le apparenze, alla soluzione, che coincide con il<br />

viaggio stesso. Una soluzione molto più gravida <strong>di</strong> conseguenze che<br />

non la semplice salvezza <strong>di</strong> un poeta fiorentino.<br />

v. 3: ah: il sospiro lamentoso del Poeta, che peraltro è variamente letto<br />

(“Eh” dal Witte, “Ahi” da altri) non rappresenta una semplice interiezione,<br />

ma ha la precisa funzione <strong>di</strong> attrarre il lettore nella sfera della<br />

sensibilità del poeta-che-ricorda, anticipando emotivamente quel senso<br />

dell’ineffabile che <strong>di</strong>venterà concetto con “dura”.<br />

dura: per la prima volta, ed è emblematico il fatto che compaia già in questa<br />

sede, Dante ci pone <strong>di</strong> fronte all’idea dell’ineffabile, verso cui il linguaggio<br />

pare inadeguato; il Poeta, che riprenderà l’argomento con tonalità<br />

molto più elevate ed immagini necessariamente più complesse all’inizio<br />

della terza Cantica, trae tale concetto dal mondo mistico, ma lo personalizza<br />

attraendolo nella sua Weltanschauung lirica.<br />

v. 4: esta: più volte ricorrente e comunque <strong>di</strong> uso comune come <strong>di</strong>mostrativo<br />

sia <strong>di</strong> vicinanza (“questo”) sia <strong>di</strong> lontananza relativa (“codesto”), il<br />

termine rappresenta una forma arcaica (da “iste” latino).<br />

selva selvaggia: appare qui una prima figura etimologica, ampiamente in<br />

uso nel Me<strong>di</strong>oevo e fruita da Dante con estrema misura, affinché la<br />

poesia non debba soffrirne; tale schema retorico, chiamato “paronomasia”<br />

ovvero annominatio, consiste nell’avvicinare parole nascenti<br />

dallo stesso tema e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> suono simile, con sicuro effetto retorico.<br />

selvaggia e aspra e forte: mi sembra che i tre aggettivi, inframmezzati da<br />

quelle congiunzioni che contribuiscono a dare il senso <strong>di</strong> un respiro<br />

affannoso, proprio <strong>di</strong> chi sia preda dello sgomento, tentino <strong>di</strong> costituire<br />

un climax ascendente: infatti selvaggia (dato naturale, esterno) rappresenta<br />

una constatazione paesaggistica, aspra (dato fisico) connota la<br />

<strong>di</strong>fficoltà dell’attraversamento, forte (dato emotivo-morale) definisce<br />

l’angoscia che attanaglia irrime<strong>di</strong>abilmente il Poeta nella selva.<br />

v. 6: nel pensier: dopo il momentaneo ritorno al tempo del dramma (esta)<br />

Dante riprende le vesti dell’io narrante.<br />

– 105 –


v. 7: amara: Dante ricorre qui ad una metafora tratta dall’ambito del gusto,<br />

al fine <strong>di</strong> rendere con maggiore densità la realtà sensibile che ha vissuto<br />

ed in cui intende attrarre il lettore; spesso il Poeta si avvarrà <strong>di</strong> tale possibilità<br />

espressiva, specialmente quando sarà assolutamente necessario<br />

il coinvolgimento totale <strong>di</strong> chi legge (è il caso, ad esempio, <strong>di</strong> Pd. XVII,<br />

117, “a molti fia sapor <strong>di</strong> forte agrume”, dove stringe l’urgenza <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re<br />

l’impegno dell’intellettuale anche <strong>di</strong> fronte al pericolo <strong>di</strong> “perder<br />

vita”, in ogni senso). Per dovere <strong>di</strong> cronaca, si segnala l’ipotesi, ormai<br />

datata, secondo cui “amara” non sia riferibile a “selva” bensì a “paura”.<br />

morte: solo un pensiero estremo può concludere degnamente l’escalation<br />

emotiva aperta dall’“ah” <strong>di</strong> v. 4; e certamente niente è più amaro della<br />

morte, specialmente quando quella fisica evoca all’immaginazione una<br />

morte ben più temibile, la dannazione indotta dal peccato, che è morte<br />

spirituale. Colonna sonora <strong>di</strong> questa prima, sal<strong>di</strong>ssima sequenza è il<br />

sistema fonematico, nella stu<strong>di</strong>ata prevalenza dei suoni aspri (tn, r, rt).<br />

v. 8: ma: come spesso in Dante, anche stavolta l’avversativa viene rivestita<br />

<strong>di</strong> un valore enfatico che va ben oltre la semplice retorica: qui si<br />

adombra un accenno <strong>di</strong> salvezza “ch’era follia sperar” in una situazione<br />

apparentemente chiusa e <strong>di</strong>sperante. Si fa strada, insomma, una Presenza<br />

che ad inizio canto sembrava inimmaginabile: Dio, che nel momento<br />

più arduo, nonostante ci si senta sconsolatamente soli, manifesta<br />

il Suo esserci che restituisce l’uomo a se stesso, alla propria capacità<br />

<strong>di</strong> agire e reagire (donde lo sciamare <strong>di</strong> “io”, prima mai osati, dei vv. 8,<br />

9, 10).<br />

ben: si è molto congetturato sulla realtà del “ben” che Dante trovò nella<br />

selva: i più hanno pensato all’incontro con Virgilio, che porta alla conoscenza<br />

del male (Inferno), al ravve<strong>di</strong>mento (Purgatorio) e quin<strong>di</strong> alla<br />

salvezza (Para<strong>di</strong>so); Di Salvo ritiene invece non trattarsi <strong>di</strong> persona o<br />

evento, bensì del proposito, nato nel cuore del Poeta, <strong>di</strong> liberarsi dal<br />

peccato. Credo più plausibile quest’ultima ipotesi, che raffigura in<br />

Dante la svolta coscienziale già in<strong>di</strong>viduata dal “ma” del nostro verso e<br />

che anticipa enigmaticamente ma con certezza <strong>di</strong> positività l’esito <strong>di</strong><br />

quella che è, ricor<strong>di</strong>amolo, una “comedìa”.<br />

v. 9: altre cose: il significato dell’espressione è, evidentemente, strettamente<br />

collegato a quello <strong>di</strong> “ben”: chi preferisce per questo l’interpretazione<br />

“materiale” deve necessariamente vedere nelle “altre cose” le tre<br />

– 106 –


fiere, anche se va osservato che Dante si imbatterà in esse fuori dalla<br />

selva, ciò che non collima con lo stato in quel luogo espresso da “v’”.<br />

Propendere per un significato più ampio <strong>di</strong> “ben”, come presa <strong>di</strong> coscienza,<br />

momento esperienziale, implica invece comprendere nelle “tre<br />

cose” tutto ciò che accade e che si mostra a Dante sino all’apparizione<br />

<strong>di</strong> Virgilio. Da segnalare, a margine, la lezione “alte”, <strong>di</strong> pregnanza<br />

semantica e poetica <strong>di</strong> gran lunga inferiore ad “altre”, qui accolta.<br />

vv. 10-27: Dante cerca <strong>di</strong> darsi una spiegazione razionale <strong>di</strong> quanto è successo<br />

e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> uscire da quella situazione angosciosa, confortato<br />

dal giorno nascente e dalla vista rassicurante <strong>di</strong> un colle illuminato dal<br />

sole; tuttavia perdura nel suo animo come una sensazione negativa, che<br />

prefigura quanto sta per accadergli.<br />

v. 10: io...io: nello stesso verso, Dante passa con <strong>di</strong>sinvoltura dall’io narrante<br />

all’io personaggio, dando luogo così ad una <strong>di</strong>alettica che, accompagnando<br />

tutta la lettura, non consentirà mai <strong>di</strong> sentire il viaggio come<br />

semplice visione, ma lo manifesterà sempre nel suo pieno fieri.<br />

v. 11: sonno: ancora un termine fisico applicato alla sfera morale: il sonno<br />

(ve<strong>di</strong> Intr. al I canto) qui evocato dal Poeta è, infatti, quello indotto dal<br />

peccato, quella caduta <strong>di</strong> tensione che spesso, più ancora della volontà<br />

del male, provoca l’inavvertito scivolamento nel peccato. Anche in<br />

questo caso Dante si appoggiava saldamente ad una vetusta tra<strong>di</strong>zione<br />

allegorica, <strong>di</strong> cui si scorgono chiaramente i precedenti: San Paolo,<br />

Lettera ai Romani, 13,11; S. Agostino, Enarratio in Psalmos, LXII,<br />

4 (“Somnum animae est oblivisci Deum”); Boezio, De consolatione<br />

philosophiae, I, 2 (“...lethargum patitur, communem illusarum mentium<br />

morbum”); B. Latini, Trésor, II, 39 (“Il savio, che opera secondo sua<br />

scienza, è simile a colui che veglia; e quegli, che non opera secondo sua<br />

scienza, è simile a colui che dorme, e all’ubriaco”); S. Tommaso,<br />

Summa theologica, I, 84,8 (“Nel sonno non si può avere perfetto il<br />

giu<strong>di</strong>zio della ragione”).<br />

Alcuni, basandosi sul senso letterale del termine “sonno”, hanno inferito<br />

che Dante voglia presentare il suo viaggio come una visione mistica:<br />

ma ciò contrad<strong>di</strong>ce con forza al continuo, quasi insistentemente puntiglioso,<br />

richiamarsi del Poeta al corpo come elemento materiale (cfr. n.<br />

al verso 28).<br />

– 107 –


v. 12: verace via: l’espressione rappresenta una variatio <strong>di</strong> “<strong>di</strong>ritta via”; ma<br />

mentre questa appartiene all’ambito morale, “verace” suggerisce un più<br />

intimo contatto con la sfera religiosa, dove Dio è verità. Come appare<br />

evidente, qui Dante ha ben presente la <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> Cristo in Gv.<br />

14,6: “Ego sum via et veritas et vita”.<br />

v. 13: colle: come appare dal “ma” che, aprendo il verso, chiude la scena<br />

angosciosa precedente, troviamo qui il primo in<strong>di</strong>zio materiale della<br />

salvezza imminente, o almeno della possibilità, per Dante-umanità-<br />

Istituzioni, <strong>di</strong> coltivare una sia pur labile speranza: è il colle, simbolo<br />

della vita virtuosa, quella cui porta la “<strong>di</strong>ritta-verace” via, che Dante<br />

ha “smarrito”, ma non perso, e che gli si pone come obbiettivo. Come<br />

presto gli sarà chiaro, il percorso fisico che conduce al colle non è<br />

affatto agevole, ma arduo ed ad<strong>di</strong>rittura impraticabile se non preceduto<br />

da un durissimo percorso iniziatico-morale che lo guiderà dapprima alla<br />

conoscenza delle profon<strong>di</strong>tà del peccato, quin<strong>di</strong> all’esercizio <strong>di</strong> una<br />

asperrima penitenza, infine alla non meno dolorosa penetrazione della<br />

accecante gloria <strong>di</strong> Dio.<br />

v. 14: valle: notevole la “quasi rima” con la quale Dante lega “colle” <strong>di</strong> v.<br />

13 con “valle” <strong>di</strong> v. 14, quasi a creare tra i due termini, <strong>di</strong> per sé pressoché<br />

omofoni, una forte opposizione. In effetti i due elementi paesaggistici<br />

rappresentano realtà profondamente antitetiche: mentre la valle,<br />

infatti, <strong>di</strong>pinge un Dante ignaro <strong>di</strong> sé ed intorpi<strong>di</strong>to dal sonno spirituale<br />

che porta al peccato, il colle già lo in<strong>di</strong>vidua come uomo autocosciente<br />

e pronto all’azione per riconquistare la sua identità morale. Significativa<br />

mi sembra anche la <strong>di</strong>versa esposizione alla luce scelta dal Poeta<br />

per <strong>di</strong>fferenziare nettamente l’una e l’altra realtà etico-ambientale:<br />

oscura la valle ed evocatrice <strong>di</strong> insicurezza e <strong>di</strong> paura; risplendente <strong>di</strong><br />

sole, invece, il colle, e garanzia <strong>di</strong> stabilità morale nella certezza dell’approvazione<br />

<strong>di</strong> Dio (“mena dritto”).<br />

v. 16: in alto: l’“uomo nuovo” in Dante, già preconizzato dall’apparizione<br />

del colle, si concretizza tutto in questo guardare in alto, quasi a rispondere<br />

il suo “sì” all’azione salvifica <strong>di</strong> Dio. Il poeta, benché ancora lontano<br />

dal pieno compimento, su <strong>di</strong> sé e su tutta l’umanità, <strong>di</strong> questa<br />

azione, è però già <strong>di</strong>sponibile a farsene strumento. Egli è già risorto dal<br />

peccato.<br />

– 108 –


In altre occasioni ancora Dante si troverà a guardare in alto, come<br />

vedremo: nel Purgatorio, proprio ai pie<strong>di</strong> del ripi<strong>di</strong>ssimo monte, quasi<br />

cercando un’ispirazione per risolvere il problema dell’ascensione,<br />

ostico allo stesso Virgilio-Ragione; nel Para<strong>di</strong>so, per ringraziare i beati<br />

o per porre loro questioni teologiche.<br />

Da ricordare, infine, il modello scritturale, in questo caso il Salmo<br />

122,1: “Alzai i miei occhi verso il monte da dove arriverà il mio aiuto”.<br />

v. 17: vestite: cfr. Aen. VI, 640: “largior hic campos aether et lumine vestit”.<br />

pianeta: da uomo del suo tempo, Dante seguiva il modello astronomico<br />

elaborato da Tolomeo sulla scorta <strong>di</strong> Aristotele, secondo cui il sole rappresentava<br />

il quarto pianeta del sistema; anche la chiarissima simbologia<br />

del sole-Dio appartiene inequivocabilmente al mondo me<strong>di</strong>oevale,<br />

benché se ne possano rintracciare le lontane ascendenze nell’antichità<br />

orientale. Tuttavia è solo nel Me<strong>di</strong>oevo che l’immagine solare <strong>di</strong> Dio<br />

<strong>di</strong>venta “letteraria”, così da costituire un τóπος della scrittura mistica e<br />

francescana; lo stesso Dante si <strong>di</strong>ffonde sull’argomento in Cv III, XII,<br />

7: “Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno <strong>di</strong> farsi essemplo <strong>di</strong><br />

Dio che ‘l sole; lo quale <strong>di</strong> sensibile luce sé prima e poi tutte le corpora<br />

celestiali e le elementali allumina; ...”<br />

v. 18: altrui: Dante è decisamente uscito dallo stato <strong>di</strong> torpore che lo aveva<br />

obnubilato al punto <strong>di</strong> farlo “ritrovare” nella selva: ormai il suo<br />

sguardo, cui era stata data la possibilità <strong>di</strong> scorgere il “colle”, è talmente<br />

limpido da poter constatare, come una volta, la portata vastissima dell’amore<br />

<strong>di</strong> Dio. In “altrui” sembra <strong>di</strong> sentire, allo stesso tempo, un moto<br />

<strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne da parte <strong>di</strong> Dante-umanità, una consapevolezza dell’attuale<br />

stato <strong>di</strong> indegnità <strong>di</strong> Dante-peccatore, un senso <strong>di</strong> sollievo, da<br />

parte del Dante-trascrittore, per essere ormai anch’egli parte del gruppo<br />

degli “altrui”.<br />

calle: (= strada); il termine, d’uso comune nella Firenze <strong>di</strong> Dante, rimane al<br />

giorno d’oggi nello spagnolo e nel <strong>di</strong>aletto veneziano.<br />

v. 20: lago del cor: cavità interna dove la me<strong>di</strong>cina me<strong>di</strong>oevale poneva la<br />

<strong>di</strong>mora degli spiriti vitali (E. Colonna, Il reggimento de’ principi, I, III,<br />

9: “In avendo paura... il sangue si muove delle membra <strong>di</strong> fuore e torna<br />

a quelle dentro, donde l’uomo <strong>di</strong>venta pallido”); presto <strong>di</strong>venne,<br />

seguendo la sorte <strong>di</strong> molti fenomeni naturali, τóπος stilnovistico: lo<br />

– 109 –


smarrimento d’amore, infatti, provoca la concentrazione del sangue nella<br />

cavità car<strong>di</strong>aca ed il conseguente pallore tipico della fisionomia dell’amante.<br />

Il fenomeno clinico-poetico è descritto dallo stesso Dante nella<br />

rima Donne io non so, allorché si sente catturato dagli occhi della sua<br />

donna, dai quali “<strong>di</strong>scende una saetta che [gli] asciuga il lago del cor”.<br />

v. 21: notte: da sempre l’immaginario religioso, in particolar modo quello<br />

ebraico-cristiano, ha sentito la notte come momento <strong>di</strong> offuscamento<br />

spirituale: nel Purgatorio, come vedremo, durante la notte le anime<br />

bloccheranno il loro cammino penitenziale, impraticabile in assenza<br />

della luce-Dio (cfr. n. al verso 17). Qui, specificatamente, il periodo notturno<br />

<strong>di</strong> Dante è “il tempo in che nella ignoranza era stato” (Jacopo Alighieri):<br />

un tempo ormai passato, come abbiamo avuto modo <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re,<br />

ma rievocato da Dante a monito costante del pericolo sempre in agguato<br />

e sul quale deve soffermarsi la me<strong>di</strong>tazione del cristiano.<br />

Comunque, la notte è solo un brutto ricordo, superato ormai dall’alba,<br />

rassicurante emblema dell’imminente avvento della Grazia salvifica:<br />

Dante ancora non conosce forme e modalità <strong>di</strong> questa, che è tuttavia<br />

intuita attraverso la presenza del sole.<br />

pièta: dal greco πα´ θος , trasmesso ai Romani come pietas (che però si connota<br />

<strong>di</strong> una polisemia contestualizzata al co<strong>di</strong>ce culturale romano) in<strong>di</strong>ca<br />

un sentimento, o meglio una sensazione, che Dante proverà più volte nel<br />

corso del suo cammino infernale e che si potrebbe definire come uno<br />

stato <strong>di</strong> angustia morale, <strong>di</strong> turbamento <strong>di</strong> fronte ad un’umanità, nella<br />

quale il Poeta include se stesso, tanto sor<strong>di</strong>da e vile e tanto capace <strong>di</strong><br />

peccare contro quello stesso Dio che l’ha dotata <strong>di</strong> “intelletto e amore”.<br />

v. 22: E come...: è la famosa bellissima prima similitu<strong>di</strong>ne delle molte (cinquecentonovantasette)<br />

presenti del poema. Perfetta nella sua architettura<br />

retorica si compone, strutturalmente, <strong>di</strong> tre versi per parte con un<br />

effetto <strong>di</strong> armonia potenziato dal perfetto péndant tra le singole espressioni<br />

(“lena affannata” - “ancor fuggiva”; “uscito fuor” - “si volse a<br />

retro”; “l’acqua perigliosa - che non lasciò giammai persona viva”).<br />

Tuttavia, nonostante il rigore retorico che anima la comparazione, non<br />

si ha neanche per un attimo la sensazione <strong>di</strong> stentatezza o <strong>di</strong> macchinosità<br />

talvolta ingenerato da simili artifici letterari: Dante riesce infatti a<br />

celare il tecnicismo del suo gioco <strong>di</strong> poeta <strong>di</strong>etro immagini <strong>di</strong> possente<br />

realismo e <strong>di</strong> forte impatto psicologico.<br />

– 110 –


v. 23: pelago: latinismo (dal neutro pelagus)<br />

v. 24: si volge: nel De rerum natura (II, 1) Lucrezio scrive: “Dolce è mirar<br />

da ben sicuro porto / l’altrui fatiche all’ampio mare in mezzo”.<br />

Ma Dante non conobbe il grande poeta latino, sprofondato nell’oblio<br />

comminatogli dal Me<strong>di</strong>oevo cristiano da cui lo avrebbe tratto alla luce<br />

Poggio Bracciolini nel 1417.<br />

guata: intensivo <strong>di</strong> “guardare”, risponde bene all’espressione <strong>di</strong> sentimenti<br />

“intensi”, qui variamente qualificati: “paura”, “compunto”, “lago del<br />

cor”, “tanta pièta”, “lena affannata”; nell’opera si trova sempre a fin <strong>di</strong><br />

verso, in rima.<br />

v. 25: fuggiva: un’espressione efficacissima, allo stesso tempo poetica e realistica<br />

nell’in<strong>di</strong>viduare lo stato d’animo <strong>di</strong> sospensione, <strong>di</strong> trepidazione<br />

(chi non l’ha mai provato?) che permane anche dopo il raggiungimento<br />

della salvezza; un’immagine molto simile si trova in Purg. II, 12: “che<br />

va col core, e col corpo <strong>di</strong>mora”.<br />

v. 26: si volse a retro: nonostante il soggetto dell’azione sia un ente spirituale,<br />

l’immagine si evidenzia per la sua plasticità: Dante sente forte<br />

l’esigenza <strong>di</strong> fermarsi a riflettere sul “passo” che è stato il luogo del suo<br />

passato <strong>di</strong> peccatore e che tanto influisce sul destino morale dell’umanità.<br />

Da questo momento <strong>di</strong> acuta contemplazione prende le mosse la<br />

consapevolezza della profon<strong>di</strong>tà della sua esperienza: vale la pena<br />

osservare a fondo la realtà della vita passata nell’errore, imprimersi<br />

bene nella mente la negatività del passato per concepire un nuovo progetto<br />

per il futuro. Ma il pellegrino Dante ancora non sa (a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

Dante-narratore) che ben altro percorso necessiterà alla palingenesi<br />

della sua anima, ora che è stato scelto da Dio come promotore <strong>di</strong> quella<br />

µετα´ νοια (conversione) che porterà il mondo sulla “retta via”.<br />

v. 27: che...viva: l’ambiguità semantica e sintattica del verbo “lasciare”<br />

rende problematica l’interpretazione del passo; alcuni ritengono <strong>di</strong> poterlo<br />

rendere con “(passo) che non nessun vivente lasciò mai” (ma così<br />

l’umanità appare invischiata nel peccato senza possibilità <strong>di</strong> redenzione,<br />

a <strong>di</strong>spetto della venuta <strong>di</strong> Cristo). Il Pagliaro ha proposto <strong>di</strong> intendere<br />

“passo” non come “selva” ma come luogo <strong>di</strong> passaggio dalla selva al<br />

– 111 –


colle, cioè, allegoricamente, dalla vita attiva alla vita contemplativa<br />

(Ulisse. Ricerche semantiche sulla D.C. I, 17-23, Firenze, 1966), interpretando<br />

il verso nel senso secondo cui questo passaggio è inagibile ai<br />

viventi, gravati dal peso del corpo: ipotesi limitata però nei suoi presupposti<br />

dall’improbabile significato assegnato a “passo”, che inficerebbe<br />

l’efficacia della similitu<strong>di</strong>ne precedente. Altri vedono in “viva” un pre<strong>di</strong>cativo<br />

dell’oggetto, leggendo “(passo) che non lasciò (spiritualmente)<br />

vivo nessuno”: nella sua semplicità, mi sembra l’ipotesi più accettabile,<br />

se pensiamo che lo stesso Dante, nel passo-selva, stava per perdere la<br />

vita (spirituale: “tant’è amara che poco è più morte”).<br />

vv. 28-60: Ormai ritenendosi al sicuro, Dante intraprende la via del colle,<br />

ma imme<strong>di</strong>atamente è bloccato da una lonza; superato questo ostacolo<br />

grazie al sollievo che gli offrono l’alba e la stagione primaverile, il<br />

Poeta deve affrontare un feroce leone e, subito dopo, una vorace lupa:<br />

la situazione sembra irrime<strong>di</strong>abile.<br />

v. 28: corpo lasso: recentemente la Risset (Dante scrittore, trad. <strong>di</strong> M. Galletti,<br />

Milano, 1984) ha definito la Divina Comme<strong>di</strong>a “epopea del corpo<br />

<strong>di</strong> Dante”: infatti il Poeta fa spesso riferimento alla propria corporeità, a<br />

<strong>di</strong>fferenza degli altri racconti me<strong>di</strong>oevali <strong>di</strong> viaggi compiuti nell’al<strong>di</strong>là,<br />

che narrano sempre esperienze extracorporee (cfr. n. al verso 1).<br />

v. 29: piaggia: dal latino me<strong>di</strong>oevale plagia = leggera salita.<br />

deserta: alcuni autori si soffermano sul pessimismo <strong>di</strong> Dante, che ritiene<br />

assai infrequenti le conversioni dal male al bene, cioè il cammino dalla<br />

selva al colle; altri hanno sottolineato come il senso <strong>di</strong> vuoto interiore e<br />

<strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne che il peccato ha provocato nel Poeta si materializzino<br />

nella desolazione della “piaggia”. Pur tenendo fermo il valore <strong>di</strong> queste<br />

letture, mi sembra da evidenziare anche la valenza positiva della solitu<strong>di</strong>ne<br />

in quanto momento <strong>di</strong> raccoglimento interiore, <strong>di</strong> preparazione ad<br />

un evento rituale-drammatico quale sarà, tra breve, l’apparizione e la<br />

messa in fuga delle tre fiere; analogamente in Purgatorio l’azione liturgica<br />

sarà sempre accompagnata dalla tendenza all’isolamento ed al<br />

silenzio.<br />

v. 30: ‘l piè fermo: dal punto <strong>di</strong> vista letterale, è chiaro il movimento ascensionale<br />

compiuto dal Poeta, mentre meno limpida si presenta l’interpre-<br />

– 112 –


tazione allegorica <strong>di</strong> un’espressione troppo allusiva per essere liquidata<br />

invocando, come alcuni fanno, la primazia del senso letterale su quello<br />

allegorico. Illuminante mi sembra la lettura <strong>di</strong> J. Freccero (Dante: la<br />

poetica della conversione, Bologna, 1989), che parte dall’osservazione<br />

per cui non è affatto normale che si proceda in salita tenendo un piede<br />

sempre più basso dell’altro. Questa <strong>di</strong>sarmonia tra i due pie<strong>di</strong>, che conferisce<br />

un’andatura clau<strong>di</strong>cante peraltro perfettamente conforme alle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> profonda prostrazione e debilitazione <strong>di</strong> Dante, è per noi<br />

una “spia allegorica”: il piede “alto”, il destro, raffigura l’intellectus,<br />

la conoscenza razionale, mentre il sinistro (“basso”) rappresenta<br />

l’affectus, costituito da volontà, passioni, desideri. Così, mentre il piede<br />

destro procede spe<strong>di</strong>to, certo della via da intraprendere, il sinistro,<br />

appesantito dai desideri materiali, si mostra ancora impacciato nel<br />

seguirlo; l’andatura incerta sarà quin<strong>di</strong> lo specchio <strong>di</strong> un “<strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o interiore”,<br />

per cui la facoltà razionale riesce a scorgere la verità ma si trascina<br />

<strong>di</strong>etro il gravame del cuore, che, imbolsito dalla concupiscenza,<br />

patisce nel seguirla.<br />

v. 31: Ed ecco: l’espressione, <strong>di</strong> carattere formulare e <strong>di</strong> repertorio scritturale,<br />

ha lo scopo <strong>di</strong> attirare l’attenzione del lettore su un evento imminente<br />

e rilevante, ma anche <strong>di</strong> creare l’effetto del “coup de théatre”; nel<br />

poema, con questa stessa finalità, la troveremo quattor<strong>di</strong>ci volte, sempre<br />

ad inizio <strong>di</strong> verso. Analogamente l’ellissi del verbo nei due versi 31-32<br />

crea un’atmosfera stringente, come se il Poeta, preso dallo spavento,<br />

abbia smarrito anche le facoltà logiche anche a livello linguistico-strutturale.<br />

quasi al cominciar de l’erta: si <strong>di</strong>rebbe che il vizio, specialmente quello<br />

meno appariscente, o in realtà meglio mascherato, insegua l’uomo fin<br />

“quasi” alle soglie della salvezza.<br />

v. 32: lonza: la denominazione deriva dal latino me<strong>di</strong>oevale “leuncia” o<br />

“luncea” attraverso il francese antico “lonce”. Per quanto riguarda la<br />

natura dell’animale, possiamo ritenere che si tratti <strong>di</strong> una lince, o <strong>di</strong> una<br />

pantera, o <strong>di</strong> un ghepardo: certamente è un felino dall’aspetto gradevole<br />

ed insieme spaventoso, il cui nome ricorre in vari testi del periodo. In<br />

particolare, un documento del 1285 attesta l’esposizione <strong>di</strong> una “lonza”<br />

nel Palazzo del Podestà <strong>di</strong> Firenze; nei bestiari è rappresentata come un<br />

animale crudele e sempre in calore. Ne parla ancora, comparativamente,<br />

– 113 –


Brunetto Latini (Trésor, I, V, 193): “I lupi cervieri sono pomellati <strong>di</strong><br />

macchie nere proprio come la lonza” (la sottolineatura è mia). Ma<br />

qualche richiamo è provenuto a Dante anche dalla civiltà classica: la<br />

descrizione della lonza, infatti, sembra ricalcare quella della Venere virgiliana<br />

(Aen. I, 323) che appare coperta <strong>di</strong> una pelle <strong>di</strong> “lince maculata”.<br />

Nell’Etica (VII, 5), infine, Dante trovava un particolare che dovette<br />

suggestionarlo in senso “cromatico”, ma anche allegorico: Omero,<br />

infatti, descrisse come “vario” il cinto con cui Venere ingannò le menti<br />

dei saggi; allo stesso modo la lasciva bellezza del manto della “lonza”<br />

illude l’uomo spingendolo alla ricerca dei beni ingannevoli e lontani<br />

dalla verità. Infatti, al <strong>di</strong> là dell’incertezza sulla realtà naturale della<br />

“lonza”, il vero nucleo problematico è legato al senso allegorico della<br />

bestia, come delle altre due che Dante incontrerà ad impe<strong>di</strong>rgli il cammino<br />

veritativo. Per i commentatori più antichi, essa, parte del trittico<br />

allegorico dei vizi <strong>di</strong> Dante, adombrerebbe il peccato della lussuria: il<br />

suo mantello attraente, il fascino sottile che promana dalle sue movenze<br />

leggere ed eleganti, la sua aggressività velata ben si accorderebbero con<br />

la realtà morale <strong>di</strong> un peccato seducente quanto insi<strong>di</strong>oso. D’Ovi<strong>di</strong>o, invece,<br />

preferisce pensare che il Poeta voglia qui tracciare il quadro dei<br />

tre vizi che gravano su Firenze, riferendosi in questo caso all’invi<strong>di</strong>a; il<br />

Pascoli, con Casella, intende invece la “lonza” come simbolo <strong>di</strong> incontinenza,<br />

figurando così che Dante ambisca tratteggiare il <strong>di</strong>segno delle<br />

partizioni infernali. Infine, imprescin<strong>di</strong>bilmente, è da ricordare l’interpretazione<br />

politica, che vede nella lonza “maculata” la città “partita”,<br />

quella sua amatissima Firenze <strong>di</strong>visa in fazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa coloritura<br />

ideologico-economica. Ma sopra tutte queste pur convincenti letture del<br />

testo svetta altissimo il volo poetico della pagina <strong>di</strong> Borges (Antologia<br />

personale, Milano, 1965, p. 119), dove Dio appare in sogno alla<br />

“lonza” prigioniera a Firenze e le rivela che il suo sacrificio sarà funzionale<br />

alla realizzazione del poema <strong>di</strong> un grande uomo. Solo la potenza<br />

fantastica <strong>di</strong> un poeta poteva restituire ad un passo così vessato e tormentato<br />

dalla pur giusta pignoleria dei critici la sua delicata e soave<br />

bellezza.<br />

leggera e presta: apparentemente una <strong>di</strong>ttologia sinonimica, il binomio<br />

aggettivale nasconde in sé una delicata sfumatura: in “leggero” è riposto<br />

il senso della levità del corpo, mentre in “presta” è sottintesa l’idea della<br />

rapi<strong>di</strong>tà dell’incedere.<br />

– 114 –


v. 34: non mi si partia: la fiera, come detto, non aggre<strong>di</strong>sce Dante, ma ciò<br />

non la rende meno insi<strong>di</strong>osa: la sua pericolosità risiede infatti non tanto<br />

nel persuadere al male, quanto nel non permettere il bene, creando false<br />

apparenze ed ostacolando il cammino verso la verità. Il Poeta conosce<br />

bene la forza seduttiva della lussuria, avendola combattuta già nell’età<br />

giovanile (cfr. Vita Nuova). Quando sarà più sicuro <strong>di</strong> sé, quando il pericolo<br />

sarà ormai lontano ed il viaggio un chiaro itinerario teoretico, egli<br />

potrà persino celebrare la propria liberazione, almeno razionale, dal vizio<br />

della “lonza”: ciò avverrà nel V canto, dove potrà misurare con precisione<br />

la <strong>di</strong>stanza che ormai lo <strong>di</strong>vide dalla realtà morale <strong>di</strong> Francesca.<br />

v. 36: più volte volto: la profonda confusione emotiva in cui Dante si trova<br />

è sapientemente scolpita nella “paronomasia” o annominatio, figura largamente<br />

utilizzata dai letterati me<strong>di</strong>oevali, consistente nell’avvicinare<br />

parole pressoché omofone, con sicuro effetto retorico. Ulteriore gioco<br />

linguistico, stavolta in ambito metrico, è creato dalla rima equivoca<br />

volto-vòlto (vv. 34 e 36).<br />

v. 37-40: Temp’era...: Dante, spaventato ma ripreso il pieno controllo <strong>di</strong> sé,<br />

riesce a dominare la situazione, coltivando persino un speranza <strong>di</strong> imminente<br />

salvezza: a questo scopo interrompe il racconto e ci introduce<br />

alla considerazione del momento temporale, propizio in quanto primigenio,<br />

nuovo e rinnovativo. Siamo infatti al “principio del mattino”,<br />

tempo sempre carico <strong>di</strong> promesse <strong>di</strong> ben per l’uomo che opera rettamente,<br />

ma c’è <strong>di</strong> più: il richiamo astrologico (“quelle stelle” raffigurano<br />

la costellazione dell’Ariete), come si vedrà, è funzionale alla determinazione<br />

<strong>di</strong> una relazione <strong>di</strong>retta tra la realtà fisica della stagione ed il suo<br />

significato morale. Infatti già nella cultura classica la stagione primaverile<br />

era posta come tempo della creazione, come attestano Virgilio<br />

(Georgiche, II,336 segg.: “Crederei che non <strong>di</strong>versi splendessero i<br />

giorni all’origine / del mondo crescente, e non avessero <strong>di</strong>versa con<strong>di</strong>zione:<br />

/ quella fu primavera, ...) e Macrobio (nel commento al Somnium<br />

Scipionis, I,21: “Dicono che al principio <strong>di</strong> quel giorno che risplendé<br />

primo <strong>di</strong> tutti... l’Ariete fosse in mezzo al cielo”). Suggestiva ipotesi,<br />

ripresa dal mondo cristiano e da questo rivisitata, come sempre, secondo<br />

una visione religiosa: il sole che appare sul mondo ancora increato è<br />

l’emblema <strong>di</strong> Dio, che si accinge a compiere il suo primo atto d’amore<br />

(“l’amor <strong>di</strong>vino”... “le cose belle”). Sembra <strong>di</strong> sentire nella voce del<br />

– 115 –


Poeta la stessa commossa gratitu<strong>di</strong>ne del Cantico <strong>di</strong> Francesco e lo<br />

stesso sentimento <strong>di</strong> partecipazione alla suprema bellezza del creato.<br />

Così, Dante ha superato con un certo successo, grazie alla presa <strong>di</strong><br />

coscienza <strong>di</strong> un io rinnovato ed alla virtù palingenetica della primavera,<br />

la prima prova contro il peccato: si tratta però, ricor<strong>di</strong>amolo, <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>fficoltà non proprio insormontabile, essendo la lussuria, in realtà,<br />

l’esasperazione <strong>di</strong> un naturale desiderio umano.<br />

dal principio: qui la preposizione “da” è utilizzata con senso temporale<br />

(= circa).<br />

mosse: come vedremo soprattutto nel Para<strong>di</strong>so, “muovere” rappresenta il<br />

tipico verbo attributivo della potenza creativa <strong>di</strong>vina, nel rispetto della<br />

visione aristotelico-tomistica <strong>di</strong> Dio come motore immobile.<br />

v. 42: a la: si tratta <strong>di</strong> uno dei non infrequenti gallicismi presenti nella<br />

Comme<strong>di</strong>a: qui ha valore qualitativo (= dalla).<br />

gaetta pelle: l’aggettivo, tratto sicuramente dalla lingua d’oltralpe, ha tuttavia<br />

derivazione incerta: potrebbe infatti originarsi da gai, “leggiadro,<br />

piacevole” ovvero rappresentare la traduzione <strong>di</strong> caiet, che, nel suo<br />

significato <strong>di</strong> “screziato” <strong>di</strong>pingerebbe forse meglio la realtà materiale<br />

della pelle della “lonza”.<br />

v. 43-44: ma non...leone: con un sapiente gioco retorico, che ci fa allentare<br />

la tensione (“bene sperar”... “dolce stagione”) per poi portarla, improvvisamente,<br />

a valori altissimi (“paura non mi desse”), Dante ci presenta<br />

la seconda fiera, il leone, minaccioso nell’atteggiamento non meno che<br />

nell’aspetto. Il suo gioco, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello della “lonza”, dalla seducente<br />

terribile bellezza, è scoperto: vuole aggre<strong>di</strong>re, fidando nella<br />

sua forza e nell’incedere aggressivo e superbo. A testa alta, secondo<br />

quell’iconografia aral<strong>di</strong>ca che ancor oggi campeggia in alcuni stemmi<br />

o emblemi citta<strong>di</strong>ni, la bestia procede verso Dante “con rabbiosa<br />

fame”, emettendo cioè un ruggito che è una <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> assalto,<br />

secondo il rigoroso co<strong>di</strong>ce animale. Dante non sembra reagire a tale<br />

situazione, o forse non ne ha bisogno: e qui scatta, evidentemente, il<br />

momento allegorico. Infatti, come si pensa da parte dei commentatori<br />

antichi in generale e da molti critici <strong>di</strong> oggi, il leone ipostatizza un<br />

vizio che Dante conosceva assai bene, e contro il quale era avvezzo a<br />

combattere da sempre: la superbia, <strong>di</strong> cui ripropone persino il tipico<br />

portamento (“con la test’alta”). Peccato più grave, perché porta al<br />

– 116 –


<strong>di</strong>sprezzo ed alla violenza, ma meno insi<strong>di</strong>oso della lussuria, che si sa<br />

ben mascherare.<br />

v. 46: venisse: accanto a questa lezione è attestata quella che riporta<br />

“venesse”, nel tentativo <strong>di</strong> “esorcizzare” l’eventualità che Dante possa<br />

utilizzare uno schema proso<strong>di</strong>co su cui ancora oggi grava la definizione<br />

<strong>di</strong> “imperfetto” (ma Contini ha recentemente rivisto tale giu<strong>di</strong>zio) tipico<br />

della poesia siciliana, laddove la “è” si trova a rimare con la “i”.<br />

v. 48: parea: l’uso ripetuto <strong>di</strong> verbi inerenti la sfera onirica (“parea”, “sembiava”)<br />

ci ricorda che Dante ancora non si rende ben conto della realtà<br />

della situazione in cui si trova (“pieno <strong>di</strong> sonno”): il provvidenziale<br />

intervento <strong>di</strong> Virgilio, ipostasi della Ragione, lo condurrà al “risveglio”,<br />

riportandolo alla piena autocoscienza sia fisica sia razionale.<br />

tremesse: la lezione a testo è stata restituita nel 1967 da Petrocchi, che,<br />

analizzando i co<strong>di</strong>ci trecenteschi, ha potuto operare svariate correzioni<br />

alle e<strong>di</strong>zioni basate su manoscritti più recenti; in queste si riportava<br />

“temesse”, <strong>di</strong>feso da Pagliaro. Comunque risulta indubbia l’efficacia<br />

tutta “dantesca” del “tremesse”, nel quale la potenza della sensazione si<br />

fonde alla realtà fisica <strong>di</strong> un’atmosfera <strong>di</strong> estrema tensione.<br />

v. 49: lupa: ecco infine l’ultima delle tre fiere, la più spaventosa, quella che<br />

impegna maggiormente le forze fisiche e morali <strong>di</strong> Dante; ed anche<br />

quelle poetiche, <strong>di</strong>rei, visto che ad essa sono de<strong>di</strong>cate ben quattro<br />

terzine contro le due riservate alla “lonza” e le “quasi” due prese dal<br />

leone. L’animale è descritto nella sua sinistra magrezza e nel suo essere<br />

femmina, ciò che aggrava la torbi<strong>di</strong>tà dell’apparizione e le conferisce<br />

un senso <strong>di</strong> squallore quasi pornografico (ricor<strong>di</strong>amo che in latino<br />

lupa era sinonimo <strong>di</strong> “prostituta”); un’apparizione, oltretutto, già <strong>di</strong> per<br />

sé agghiacciante per la sua repentinità, come in<strong>di</strong>cato dall’ellissi del<br />

verbo, efficacemente sostituito dalla congiunzione “ed” <strong>di</strong> inizio verso.<br />

Come era logico aspettarsi, anche per la lupa si porge una lettura allegorica,<br />

anche in questo caso, ovviamente, controversa: l’opinione più<br />

<strong>di</strong>ffusa, anche tra i commentatori antichi, vede questa sembianza bestiale<br />

legata simbolicamente al vizio della cupi<strong>di</strong>gia, o avi<strong>di</strong>tà, o avarizia<br />

(ma nel senso latino!). Qui davvero Dante parla chiaramente,<br />

come <strong>di</strong>mostra l’uso dell’immagine, sempre per in<strong>di</strong>care lo stesso peccato,<br />

in vari altri luoghi della Comme<strong>di</strong>a (Inf. VII, 8; Pg. XIV, 50; Pg.<br />

– 117 –


XX, 10; Pd. IX, 132; Pd. XXV, 6). In effetti non pochi riferimenti lo<br />

autorizzavano a tale operazione: S. Paolo, in 1Tm. 6,10), scriveva infatti:<br />

“La cupi<strong>di</strong>gia... è la ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> tutti i mali”; cfr. anche Ez 20,27, Os<br />

13,5 e infine, Ger. 5,6. Così, sulla base scritturale, colorata però <strong>di</strong><br />

straor<strong>di</strong>naria forza immaginifica, Dante crea una situazione che oscilla<br />

sapientemente tra un energico realismo ed una potente carica simbolica,<br />

ciò che si spiega con il particolare interesse che il Poeta sentiva<br />

nei confronti <strong>di</strong> problema morale così attuale e gravido <strong>di</strong> conseguenze;<br />

infatti egli guardava con sempre crescente preoccupazione a<br />

quella sua società comunale sempre più incline ad una gestione economica<br />

<strong>di</strong> tipologia capitalistica ante litteram. Si venivano sempre più<br />

precisando le linee <strong>di</strong> una nuova organizzazione sociale, il cui fine era<br />

ormai <strong>di</strong>venuto, materialisticamente, l’accumulo <strong>di</strong> ricchezze, che<br />

creavano un sistema gerarchico non più basato sulla nobiltà <strong>di</strong> sangue<br />

o, come avrebbe voluto Dante, <strong>di</strong> sentire, bensì sul possesso. Tutto ciò,<br />

ovviamente, a detrimento <strong>di</strong> quei valori umani universali <strong>di</strong> cui la civiltà<br />

classica prima ed il mondo cortese poi, si erano mantenuti attenti<br />

depositari; potente sincretizzatore <strong>di</strong> quella e <strong>di</strong> questo, Dante non poteva<br />

rassegnarsi alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> quelle inestimabili ricchezze dell’anima<br />

che vedeva <strong>di</strong>sfarsi ogni giorno sotto i colpi del mercantilismo imperante.<br />

E non ha senso parlare <strong>di</strong> un Dante reazionario, avversario del<br />

progresso ed inconsapevole dei mutamenti storici che si producevano<br />

sotto i suoi occhi: a parte il fatto che l’intellettuale non deve essere necessariamente<br />

un “integrato” nella società, non forzatamente deve farsi<br />

“vate” dei suoi tempi, ma può benissimo opporre una sua Weltanschauung<br />

a quella a lui contemporanea (devo citare Foscolo, Leopar<strong>di</strong>,<br />

gli Scapigliati, S. Weil...?), il Poeta, ma sarebbe meglio <strong>di</strong>re l’uomo in<br />

generale, ha il <strong>di</strong>ritto, inalienabile, <strong>di</strong> perseguire un ideale per cui vivere,<br />

e, magari, morire. Quello <strong>di</strong> Dante, per il quale egli si è giocato<br />

“ogne cosa <strong>di</strong>letta”, era l’Or<strong>di</strong>ne: il superiore or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>vino, concretizzabile<br />

sulla terra nelle forme della monarchia universale e nella Chiesa<br />

ecumenica, ognuno con le sue competenze e le sue funzioni, ma entrambi<br />

con lo scopo sublime <strong>di</strong> favorire quell’istinto naturale che porta<br />

l’uomo verso Suo Padre, se non è “torto da falso piacere”.<br />

v. 50: carca... magrezza: interessante proce<strong>di</strong>mento ossimorico, che avvicina<br />

un aggettivo in<strong>di</strong>cante abbondanza (“carca”) ad un sostantivo<br />

denotante privazione (“magrezza”); come sempre, non si tratta <strong>di</strong> un<br />

– 118 –


lusus retorico <strong>di</strong> stampo virtuosistico, ma assolve la funzione <strong>di</strong> illuminare<br />

la contrad<strong>di</strong>zione insita nella cupi<strong>di</strong>gia, che vuole pur possedendo.<br />

v. 51: grame: qui il <strong>di</strong>scorso si allarga dal piano in<strong>di</strong>viduale a quello<br />

sociale: Dante non parla più solo per sé, ma per gli uomini che vivono<br />

la sua stessa epoca così gravida <strong>di</strong> cambiamenti e <strong>di</strong> tensioni talvolta<br />

contrad<strong>di</strong>ttorie; l’aggettivo “grame” proveniva al poeta dalla voce<br />

germanica gram, che significa “affanno”.<br />

v. 52: tanto <strong>di</strong> gravezza: da notare la costruzione latina <strong>di</strong> “tanto” seguito da<br />

un complemento partitivo. Nell’italiano moderno il termine “gravezza”<br />

attiene per lo più alla sfera emotiva, sentimentale: ma qui credo sia<br />

giusto riportarlo all’originario ambito materiale, per accentuare ancora<br />

il senso tutto fisico dell’angoscia provocata dalla cupi<strong>di</strong>gia che “grava”<br />

sul Poeta e sui suoi tempi, tanto da averne alterato il sistema <strong>di</strong> valori.<br />

Dante <strong>di</strong>mostra in questo modo <strong>di</strong> aver ben presente il valore dell’azione<br />

dell’intellettuale, che “legge” i suoi tempi, li interpreta e propone<br />

un modello alternativo; e questa funzione è così importante per lui da<br />

fargli ad<strong>di</strong>rittura mo<strong>di</strong>ficare l’assetto gerarchico istituito dal testo teologico<br />

(1 Gv. 2,16), dove si legge che i tre vizi che dannano l’uomo sono,<br />

nell’or<strong>di</strong>ne, “concupiscentia carnis [la lussuria] ...concupiscentia oculorum<br />

[l’avi<strong>di</strong>tà] ...superbia vitae [la superbia]. Ma l’Evangelista si riferiva<br />

a ben altra epoca, quando il mondo non era stato ancora corrotto<br />

dal veleno che infettava la borghesia commerciale, quell’avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> cui<br />

Dante già constatava gli effetti nefasti e che, quin<strong>di</strong>, poteva ben porre in<br />

cima alla lista dei peccati mortali. La <strong>di</strong>fferenza, insomma, sta nella<br />

prospettiva da cui il vizio viene osservato: il teologo ne considera la<br />

ricaduta sulla coscienza in<strong>di</strong>viduale, l’intellettuale ne verifica il risvolto<br />

storico-sociale.<br />

v. 53: la paura ch’uscia <strong>di</strong> sua vista: sembra un riferimento al problema<br />

della conoscenza (presocratici, Platone) attraverso le immagini<br />

(Telesio); gli atomi si “staccano” (Democrito). Inoltre: ancora una volta<br />

Dante prova paura, così come era successo per il leone (ma non per la<br />

“lonza”, che non spaventa, e se colpisce, lo fa con la forza della seduzione).<br />

Ma si tratta <strong>di</strong> due sensazioni <strong>di</strong>verse, come sta a <strong>di</strong>mostrare la<br />

<strong>di</strong>versa strutturazione delle partiture relative ai due animali: la paura<br />

scaturita dalla vista del leone deriva dal senso autocritico <strong>di</strong> Dante, che<br />

– 119 –


si conosce facile preda <strong>di</strong> quel vizio, ma proprio per questo si trova più<br />

a suo agio nell’affrontarlo, mentre la cupi<strong>di</strong>gia è un male epocale, verso<br />

il quale è necessario affilare ancora le armi. Siamo così giunti al culmine<br />

del climax <strong>di</strong> comportamenti (degli animali e, conseguentemente,<br />

<strong>di</strong> Dante) che aveva visto la luce con la “lonza”: questa, infatti, ostacola<br />

il Poeta ma non gli si fa contro, mentre il leone si fa più aggressivo<br />

nel ruggito e nell’incedere; la lupa, infine, non solo assale Dante, ma lo<br />

respinge anche verso la selva.<br />

v. 54: la speranza de l’altezza: espressione molto sintetica, efficacissima,<br />

che ci mostra un Poeta ormai vinto dallo strapotere della lupa; egli<br />

ha “perso” qualcosa <strong>di</strong> vitale, non “smarrito”, come ad inizio canto,<br />

quando la sua inconsapevolezza non gli aveva ancora mostrato l’“altezza”.<br />

Così la <strong>di</strong>sperazione si concentra in un sostantivo astratto (“altezza”),<br />

che qualifica un profondo stato <strong>di</strong> svuotamento interiore, come<br />

prima il concreto “gravezza” aveva espresso, invece, un’impressione<br />

pesantemente fisica.<br />

v. 55: quei che volentieri acquista: ancora una metafora, meno chiara della<br />

precedente, che evoca una tipologia umana; l’ipotesi tra<strong>di</strong>zionale vede<br />

nel personaggio la figura dell’avaro, che soffre nel perdere, per circostanze<br />

impreve<strong>di</strong>bili, quanto ha accumulato con tanta cura. Ma è possibile<br />

che qui Dante si paragoni proprio al portatore del vizio contro il<br />

quale ha appena pronunciato la sua allegorica requisitoria? Più convincente<br />

l’ipotesi del Contini, che pensa al personaggio del giocatore: “Il<br />

linguaggio allude... al giocatore..., in assoluta coerenza con la con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> Dante che si è ‘giocata’ o vede ‘in gioco’, improvvisamente, la<br />

sua salute” (G.F. Contini, Varianti e altra linguistica, Einau<strong>di</strong>, Torino<br />

1979, p. 429). Comunque sia, l’immagine, oltre a caratterizzare con<br />

piena aderenza lo stato d’animo <strong>di</strong> Dante, che vede svanire quella salvezza<br />

che riteneva acquisita, ha una funzione <strong>di</strong> exemplum: come spesso<br />

ammonisce il Vangelo, è necessario vegliare continuamente contro la<br />

subdola (“lonza”), minacciosa (leone), aggressiva (lupa) minaccia del<br />

peccato.<br />

v. 57: piange e s’attrista: siamo davanti ad una non frequente forma retorica,<br />

quella dello ‘υ´στερον πρóτερον: infatti è logico pensare che ci rattristi<br />

prima <strong>di</strong> piangere.<br />

– 120 –


v. 58: sanza pace: con questa espressione Dante fa scivolare un’ulteriore<br />

pennellata, quella <strong>di</strong> rifinitura, sul ritratto della “bestia morale” che non<br />

solo non trova pace, perché sempre bramosa <strong>di</strong> denaro, ma riesce anche<br />

a toglierla alle sua vittime in quanto le spinge a macchiarsi dei peccati<br />

ad essa correlati, come l’invi<strong>di</strong>a, la violenza, la corruzione.<br />

v. 60: dove ‘l sol tace: efficacissima sinestesia che congloba con potente<br />

sintesi due sensazioni avvertite in quel momento, da Dante, come totalizzanti:<br />

l’angoscia <strong>di</strong> chi ha visto la luce ed ora si ritrova nelle tenebre<br />

e la solitu<strong>di</strong>ne dell’uomo la cui coscienza, da poco ritrovata, non gli<br />

parla più ma tace <strong>di</strong> un silenzio carico <strong>di</strong> sgomento. Dante si sente<br />

abbandonato da quella luce rassicurante che lo aveva portato a “bene<br />

sperar”, e ne ha ben donde: ormai la salvezza, data l’assenza del sole-<br />

Dio, è impossibile senza una guida, che in<strong>di</strong>chi al Poeta, ancora una<br />

volta errante (nel senso dell’errore ma anche dell’errare senza una<br />

meta sicura), una via d’uscita. E stavolta potrà trattarsi solo dell’intervento<br />

<strong>di</strong> un ente che esuli dalla sfera dell’uomo, le cui forze, evidentemente,<br />

si sono rivelate insufficienti a superare l’ostacolo dell’ultima<br />

fiera: quella capace non solo <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere la vita <strong>di</strong> un uomo, ma<br />

anche <strong>di</strong> infettare l’intera specie umana e, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> alterare le linee<br />

del suo percorso storico, teleologicamente or<strong>di</strong>nato ad incontrare il suo<br />

Principio.<br />

vv. 61-99: Dante, sentendosi perduto, sembra rassegnarsi alla sua sorte:<br />

ma un’ombra, emergendo improvvisamente, gli conferisce nuova speranza.<br />

È Virgilio, il celebre poeta latino che, dopo essersi brevemente<br />

presentato, provoca in Dante, meravigliato e riverente, una richiesta<br />

d’aiuto contro la lupa.<br />

v. 61: rovinava: intendere il termine in senso materiale pone alquante <strong>di</strong>fficoltà<br />

<strong>di</strong> collegamento con l’“a poco a poco” <strong>di</strong> v. 59: mentre questo,<br />

infatti, implica un’idea <strong>di</strong> movimento lento, il verbo lascia invece<br />

immaginare una <strong>di</strong>namica accelerata. Una possibile opzione potrebbe<br />

essere rappresentata dall’unione sintattica tra “venendomi incontro” e<br />

“a poco a poco”: insomma, il moto lento sarebbe da attribuire alla lupa<br />

e non a Dante. Ma probabilmente, più che addentrarci in forzature<br />

formali, faremmo meglio a caricare il verbo “rovinare” <strong>di</strong> un forte<br />

valore morale, come si propone da più parti.<br />

– 121 –


v. 62: mi si fu offerto: da notare l’uso <strong>di</strong> un tempo alquanto inconsueto, il<br />

trapassato remoto, con il quale il Poeta vuol informarci che la misteriosa<br />

apparizione si trovava in quel luogo ancor prima <strong>di</strong> essere da lui<br />

scorta. Anche in questo caso, come si vede, la comparsa <strong>di</strong> un personaggio<br />

si presenta improvvisa, come era accaduto per le tre fiere:<br />

questo ci inserisce in un’atmosfera solenne e carica <strong>di</strong> attesa, benché<br />

in questa circostanza sembra <strong>di</strong> avvertire piuttosto chiaramente che<br />

ciò che sta per avvenire non avrà l’impatto negativo delle esperienze<br />

precedenti, bensì prepara all’uscita dalla trappola.<br />

v. 63: parea: qui il verbo non ha sfumature oniriche (come vedremo nel<br />

Para<strong>di</strong>so) ma risponde al significato <strong>di</strong> “apparire”.<br />

silenzio-fioco: ai nostri occhi <strong>di</strong> lettori moderni che non sanno più leggere<br />

<strong>di</strong> poesia (tanto meno crearla, come si <strong>di</strong>sperava Leopar<strong>di</strong>), il verso<br />

appare ricco <strong>di</strong> insanabili contrad<strong>di</strong>zioni: anticamente, infatti, si ritenne<br />

che “fioco” fosse da relazionare alla voce, che non parla da tanti secoli,<br />

<strong>di</strong> Virgilio che, però, almeno per il momento, non fa motto... Si può allora<br />

ricorrere al significato allegorico, escamotage non <strong>di</strong> basso profilo,<br />

se si pensa al calibro, se non altro storico, <strong>di</strong> chi l’ha suggerito: Pietro,<br />

figlio <strong>di</strong> Dante: “...Dante...vuol significare in che modo la ragione in<br />

questo inizio non gli parlava ancora in modo <strong>di</strong>stinto”. Ma, come recita<br />

la regola d’oro del dantista, l’allegoria deve sempre essere sostenuta dal<br />

senso letterale del testo: Boccaccio, piuttosto ingiustamente, mi sembra,<br />

ritenne che Dante si volesse riferire, con “lungo silenzio”, all’in<strong>di</strong>fferenza<br />

che ai suoi tempi aveva ormai avvolto l’opera <strong>di</strong> Virgilio: cosa<br />

che davvero non si può <strong>di</strong>re, se pensiamo che, anzi, il Poeta latino<br />

costituì un punto <strong>di</strong> riferimento sia letterario sia morale lungo tutto il<br />

corso del me<strong>di</strong>oevo. Il Pagliaro (Ulisse. Ricerche semantiche sulla<br />

Divina Comme<strong>di</strong>a, Messina-Firenze, 1967) <strong>di</strong>ede il suo contributo<br />

correlando “fioco” all’inconsistenza corporea delle anime in generale<br />

(ipotesi negata dal “mi si fu offerto”, che fa pensare ad un’immagine<br />

ben rilevata, ma contemporaneamente sostenuta da “od ombra od omo<br />

certo!”) e “lungo silenzio” alla morte del personaggio, avvenuta molto<br />

tempo prima. Il Mazzoni (Saggio <strong>di</strong> un nuovo commento della Divina<br />

Comme<strong>di</strong>a, Firenze, 1967) propone una lettura alquanto convincente,<br />

anche sotto il profilo allegorico: Dante stenterebbe a <strong>di</strong>stinguere i tratti<br />

(“fioco”) <strong>di</strong> colui che ha <strong>di</strong> fronte a causa dell’assenza del sole (“silenzio”),<br />

qui nella piaggia, dove il buio è fisico ma anche segno tangibile<br />

– 122 –


della morte della speranza, uccisa dal peccato. Altri tentativi <strong>di</strong> <strong>di</strong>panare<br />

l’intricata matassa, nonostante il notevole sforzo esegetico, sono apparsi<br />

meno persuasivi, talvolta forzati.<br />

v. 65: miserere: sembra <strong>di</strong>fficile che Dante, in questo momento <strong>di</strong> concitazione<br />

ed angoscia, si senta in vena <strong>di</strong> citare un testo sacro (con Miserere<br />

inizia, infatti, il Salmo 50): piuttosto credo che qui al Poeta, istintivamente,<br />

sia corsa sulle labbra un’invocazione propria del linguaggio<br />

colloquiale, benché <strong>di</strong> ascendenza liturgica.<br />

v. 66: qual...certo: Dante non è affatto sicuro che la figura che gli compare<br />

davanti sia un essere vivente, ma la sua angoscia è tale da spingerlo ad<br />

aggrapparsi anche a qualcosa <strong>di</strong> indefinito o sconosciuto: segno che il<br />

peccato ha intaccato le sue facoltà razionali, ma anche che egli non si<br />

rassegna a soggiacergli e con tutte le forze, anche con quelle dell’irrazionale,<br />

si <strong>di</strong>batte per sfuggirgli.<br />

v. 67: non...fui: con un andamento che sembra riecheggiare certe movenze<br />

da letteratura popolare, in cui l’antagonista risponde al protagonista<br />

riprendendo la sua stessa espressione, Virgilio, con una flemma che non<br />

avrà certamente contribuito a rassicurare Dante, procede all’autopresentazione.<br />

Innanzitutto tiene a precisare la sua attuale con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “non<br />

più uomo”, che rappresenta in fondo anche la sua situazione morale.<br />

Infatti, privato del corpo (“omo già fui”, sembra <strong>di</strong>re con una punta <strong>di</strong><br />

nostalgia), privato della possibilità <strong>di</strong> nutrire l’anima della luce <strong>di</strong> Dio,<br />

egli vive una sofferenza tutta interiore, che ne fa una figura <strong>di</strong> considerevole<br />

spessore elegiaco, ben tornita da Dante con l’efficace strumento<br />

stilistico del chiasmo. Da questo momento faremo bene a prestare una<br />

delicata attenzione verso questo straor<strong>di</strong>nario carattere, che, <strong>di</strong>gnitoso e<br />

sempre all’altezza della sua missione, porterà dentro <strong>di</strong> sé, senza mai<br />

ostentarlo, un dolore chiuso ed irrime<strong>di</strong>abile: è quella Sehnsucht virgiliana<br />

che si materializza ora in una parola, ora in un gesto, ora (questo<br />

sarà visibile nel Purgatorio) in un momento <strong>di</strong> incertezza. Spesso gli insegnanti<br />

non sanno cosa rispondere a quella domanda che, puntuale,<br />

viene loro rivolta ogni anno dagli allievi che non possono capacitarsi<br />

dell’“ingiustizia” subita dal grande poeta latino: cosa ha fatto per meritarsi<br />

la dannazione eterna? Cosa ha a che spartire con la lussuriosa<br />

Francesca, con l’eretico Farinata, con il suicida Pier delle Vigne? Da-<br />

– 123 –


vanti a quei volti <strong>di</strong> adolescenti sinceramente stupiti ed anche un po’<br />

amareggiati come si può parlare <strong>di</strong> allegoria, <strong>di</strong> simbolo, <strong>di</strong> arte? Si può<br />

e si deve, perché la risposta è contenuta proprio in considerazioni <strong>di</strong> carattere<br />

storico-culturale che rientrano in un <strong>di</strong>scorso generale su Dante,<br />

sulla civiltà classica, sulla prospettiva <strong>di</strong> questa nel mondo me<strong>di</strong>oevale.<br />

Virgilio, al <strong>di</strong> là dell’interpretare la sua figura storica, rappresenta infatti<br />

tutto intero il dramma della civiltà classica, che ha raggiunto le vette<br />

più alte del pensiero e dell’ispirazione poetica, ma non ha saputo leggere<br />

nella storia l’orma costante della presenza <strong>di</strong> Dio; non c’è stato,<br />

insomma, quello “scatto” verso la trascendenza che avrebbe illuminato<br />

il gran<strong>di</strong>oso pensiero dei filosofi pagani <strong>di</strong> una luce totale, riempito i<br />

soavi versi dei poeti classici <strong>di</strong> una sublimità sovrumana. Una civiltà<br />

“monca”, insomma, quella classica, ma non per questo meno ammirevole:<br />

Dante sa <strong>di</strong> aver molto da imparare, e per questo sceglie a sua<br />

guida l’infelice Virgilio, costante monito a non sopravvalutare la ragione<br />

umana, ma anche splen<strong>di</strong>do esempio delle sue vertiginose possibilità.<br />

Tuttavia sorge un legittimo interrogativo: se tanti, e tanto gran<strong>di</strong>,<br />

sono stati gli intellettuali dell’antichità, perché Dante designa ad ipostasi<br />

della cultura classica proprio Virgilio e non, per esempio, Seneca,<br />

o Aristotele, o Livio (autori verso cui, tra l’altro, il debito del Poeta<br />

toscano appare evidente)? Intanto è da evidenziare come nel Me<strong>di</strong>oevo<br />

la figura del Poeta latino fosse avvolta da un grande fascino, soprattutto<br />

perché aveva saputo dar voce a quell’ansia <strong>di</strong> universalismo che pervadeva<br />

la cultura contemporanea: egli racconta infatti la vicenda <strong>di</strong> Enea,<br />

strumento <strong>di</strong> una missione provvidenziale finalisticamente or<strong>di</strong>nata alla<br />

creazione <strong>di</strong> una struttura globale come quella <strong>di</strong> Roma. Dante, assertore<br />

convinto (cfr. De Monarchia) della necessità storica dell’Impero<br />

romano, avrà certamente sentito una qualche affinità tra se stesso l’eroe<br />

troiano, come vedremo nel II canto. Ma non bisogna tralasciare il fatto<br />

che Virgilio fu poeta, come Dante: questa con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> esperienze<br />

culturali farà sì che i due, pur con le ovvie <strong>di</strong>stanze storico-culturali, si<br />

troveranno sempre in sintonia e parleranno, per così <strong>di</strong>re, la stessa<br />

lingua. Infine, in quanto poeta, Virgilio appare, secondo la visione me<strong>di</strong>oevale,<br />

come portatore <strong>di</strong> saggezza: qualità “necessarissima” in un<br />

viaggio che promette insicurezze e pericoli. Comunque anche dal punto<br />

<strong>di</strong> vista poetico Virgilio riveste un ruolo fondamentale: è il “Docente”<br />

delle “visioni”, viaggi immaginari nell’al<strong>di</strong>là spesso raccontati dai<br />

mistici me<strong>di</strong>oevali. Suo compito è quello <strong>di</strong> accompagnare il pellegrino,<br />

– 124 –


<strong>di</strong> istruirlo ed iniziarlo ai significati profon<strong>di</strong> della visione, <strong>di</strong> agevolare<br />

la realizzazione della volontà <strong>di</strong>vina. Tuttavia nel nostro caso si tratta <strong>di</strong><br />

qualcosa <strong>di</strong> ben più articolato <strong>di</strong> una visione, come abbiamo avuto<br />

modo <strong>di</strong> chiarire più sopra; si tratta <strong>di</strong> un vero e proprio viaggio, del<br />

corpo oltre che dell’anima e con la partecipazione attenta ed attiva, e<br />

non estatica, del pellegrino. Questo fondersi <strong>di</strong> valori e significati<br />

implica necessariamente l’impossibilità, per Dante, <strong>di</strong> rappresentare se<br />

stesso ed il suo Docente come figure piatte, senza spessore: entrambi<br />

sono autentici, <strong>di</strong>segnati a tutto tondo, dotati <strong>di</strong> una propria personalità.<br />

Solo a questo punto, dopo aver chiarito i motivi storico-culturali e letterari<br />

della presenza <strong>di</strong> Virgilio nella Divina Comme<strong>di</strong>a, possiamo parlare<br />

<strong>di</strong> allegoria: come innumerevoli generazioni <strong>di</strong> studenti hanno appreso,<br />

senza troppa convinzione, sui banchi del liceo, Virgilio ipostatizza la<br />

Ragione, “summa” delle potenzialità intellettuali dell’uomo, che si è<br />

espressa gran<strong>di</strong>osamente nell’antichità e che nel me<strong>di</strong>oevo, grazie alla<br />

me<strong>di</strong>azione <strong>di</strong> San Tommaso, ha ricomposto la sua integralità con l’in<strong>di</strong>spensabile<br />

apporto della fede: tuttavia bisogna sfuggire alla tentazione<br />

<strong>di</strong> esaurire il ruolo (anzi: i “ruoli”, come apparirà nei suoi svariati interventi<br />

e come cercherò <strong>di</strong> volta in volta <strong>di</strong> chiarire) del Poeta latino nella<br />

esclusiva species allegorica, da considerare invece solo e sempre come<br />

complementare ad una figura autentica, con tutte le sue prerogative<br />

umane, con tutte le sue movenze intellettuali e con tutto il suo sommesso<br />

iter emotivo, uscita dallo scalpello poetico <strong>di</strong> Dante come una<br />

scultura finita, levigata dal dolore e polita con la pomice <strong>di</strong> una tragica<br />

consapevolezza.<br />

Eppure Benedetto Croce ha potuto pensare che questo scorcio del primo<br />

canto, questo “avvio”, sia “stentato”, a causa <strong>di</strong> un uso pesante dell’allegoria,<br />

per l’idealismo crociano “assassina” della poesia. Interpretazione<br />

da tempo superata: era sin troppo facile accorgersi che la complessità<br />

concettuale dei simboli <strong>di</strong> questa prima parte <strong>di</strong> canto si sposa<br />

perfettamente con l’altissimo valore poetico delle allegorie.<br />

omo...omo: da notare il chiasmo, imperfetto per la mancanza del verbo nella<br />

prima tranche della frase.<br />

v. 68: parenti...lombar<strong>di</strong>: Virgilio “latineggia” con grande <strong>di</strong>sinvoltura: qui<br />

si rifà a “parentes”, con il significato <strong>di</strong> “genitori”. In quanto a “lombar<strong>di</strong>”,<br />

si tratta <strong>di</strong> un evidente anacronismo: al tempo <strong>di</strong> Virgilio, infatti,<br />

Mantova era compresa nella Gallia cisalpina, mentre nel 1300 essa rien-<br />

– 125 –


trava nel territorio della Lombar<strong>di</strong>a (il cui nome ricorda la dominazione<br />

longobarda), che press’a poco comprendeva l’Italia settentrionale, almeno<br />

nominalmente. Perché Dante compie un errore tanto grossolano?<br />

In realtà egli non fa altro che, ancora una volta, comportarsi da uomo<br />

del suo tempo, <strong>di</strong> quel Me<strong>di</strong>oevo che, lontano dalla concezione evolutiva<br />

moderna, tendeva a porre la storia su un piano orizzontale. Questo<br />

non certo per ignoranza, quanto per coerenza al principio secondo il<br />

quale la storia umana altro non è che l’impronta <strong>di</strong> Dio sulla Terra:<br />

essendo Dio eterno, quin<strong>di</strong> non passibile <strong>di</strong> evoluzione, ed universale,<br />

la storia non può che conformarglisi, rimanendo così uguale a se stessa,<br />

aderente alla Causa prima.<br />

v. 69: mantovani...ambedui: sembra <strong>di</strong> avvertire una vibrazione affettiva<br />

in questo verso in cui le due parole-chiave si abbracciano in una voluta<br />

sinalefe “patriambedui”. Da notare anche la <strong>di</strong>eresi che indugia, accarezzandola,<br />

sulla cara “patria”.<br />

v. 70: sub Iulio: con la formula che in<strong>di</strong>ca, in latino, un consolato o il periodo<br />

<strong>di</strong> regno <strong>di</strong> un imperatore, Virgilio racconta <strong>di</strong> essere stato contemporaneo<br />

<strong>di</strong> Giulio Cesare, che tuttavia a quell’epoca non rivestiva<br />

ancora alcuna carica pubblica; probabilmente Dante incorre in una inesattezza,<br />

ma mi convince maggiormente l’idea che Virgilio utilizzi<br />

questo modulo i<strong>di</strong>omatico per manifestare l’orgoglio <strong>di</strong> aver partecipato,<br />

almeno come spettatore storico, al compiersi del destino <strong>di</strong> Roma<br />

attraverso la vicenda cesariana: resta il rammarico <strong>di</strong> non aver potuto<br />

stringere rapporti <strong>di</strong> mutua ammirazione con il <strong>di</strong>ctator, ucciso nel 44<br />

a.C. (“ancor che fosse tar<strong>di</strong>”).<br />

v. 71: buono Augusto: Dante conferisce a questo comune aggettivo, ormai<br />

logoro nel nostro italiano, un significato intensissimo, ponendolo su un<br />

livello <strong>di</strong> estrema pregnanza. Infatti in esso (che ritorna, con lo stesso<br />

senso, in Inf. XXII, 52, in Purg. XVIII, 119 e, riferito non più ad un re<br />

bensì ad Apollo, in Pd. I, 13) sono compen<strong>di</strong>ate tutte quelle virtutes che<br />

fanno <strong>di</strong> Augusto un principe “valente”, secondo il pensiero liviano:<br />

prima tra tutte la clementia, garanzia <strong>di</strong> concor<strong>di</strong>a civile, quin<strong>di</strong> il rispetto<br />

degli antiqui mores, la cui eco è giunta all’orecchio del me<strong>di</strong>oevo,<br />

e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> Dante, non soltanto per via storica ma anche tramite<br />

la letteratura cavalleresca, che su <strong>di</strong> essi si modella.<br />

– 126 –


v. 72: falsi e bugiar<strong>di</strong>: nei versi 71 e 72 sta tutta l’ambiguità del periodo<br />

classico, con il suo splendore e con la sua miseria: lo splendore <strong>di</strong> un<br />

tempo in cui ancora esistevano principi “buoni” (cosa darebbe Dante<br />

per inchinarsi ad un Augusto del ’300!), la miseria <strong>di</strong> un cielo senza<br />

Dio, popolato dagli antichi con figure mistificanti la Verità, quegli dèi<br />

che ora l’antico Virgilio riconosce, quasi con rabbia, posticce ed ingannevoli<br />

(“falsi e bugiar<strong>di</strong>”) rappresentazioni dell’uomo.<br />

v. 73: Poeta: Dante riserva il posto d’onore, a capoverso, alla parola, per lui<br />

sacra, <strong>di</strong> “poeta”. Virgilio ha ormai espresso le sue credenziali: essere<br />

vissuto al tempo <strong>di</strong> Cesare e <strong>di</strong> Augusto, credere nella “falsità” degli dèi<br />

antichi, ma soprattutto essere poeta; ciò in particolar modo farà sentire<br />

al sicuro Dante, che conosce l’alta funzione della poesia e la totale affidabilità<br />

morale <strong>di</strong> chi la pratica.<br />

giusto: Virgilio si concede quasi una autocitazione (come farà nei versi<br />

successivi): nella sua Eneide (I, vv. 544-5) egli scriveva infatti: “Rex<br />

erat Aeneas nobis, quo iustior alter / nec pietate fuit nec bello maior et<br />

armis”.<br />

v. 74: figliuol... Troia: stavolta a “capotavola” siede Enea (per cedergli il<br />

posto Dante si produce ad<strong>di</strong>rittura in un enjambement): perché? È possibile<br />

che qui Virgilio voglia introdurre il <strong>di</strong>scorso sul viaggio provvidenziale<br />

<strong>di</strong> Dante, sulla sua missione voluta dal Cielo perché si compiano i<br />

<strong>di</strong>segni prestabiliti ab aeterno: e chi altri può prefigurare Dante se non<br />

Enea, anch’egli investito <strong>di</strong> un compito escatologico, quello <strong>di</strong> dar vita a<br />

quell’Impero che avrebbe poi fatto da culla al cristianesimo? Così, come<br />

ha fatto ben notare Singleton, con l’entrata in scena <strong>di</strong> Virgilio la situazione<br />

iniziale subisce una poderosa svolta, passando dal piano psicologico,<br />

in<strong>di</strong>viduale (Dante-umanità e la sua con<strong>di</strong>zione esistenziale)<br />

a quello storico-sociale (la missione del Poeta “me<strong>di</strong>ata” da Virgilio).<br />

A margine, sottolineo ancora una autocitazione: “...Troiae qui primus<br />

ab oris / Italiam fato profugus laviniaque venit / litora...” (Aen. I, 1-3).<br />

v. 75: poi...combusto: accanto ad una ulteriore autocitazione (“superbum /<br />

Ilium”, Aen. III, 3-4) troviamo il curioso latinismo biblico “combusto”:<br />

Dante quasi istintivamente “ricorda” a Virgilio che, al <strong>di</strong> là della perfezione<br />

linguistica raggiunta dal latino classico, la Verità, quella della<br />

Bibbia, è raccontata con il latino me<strong>di</strong>oevale.<br />

– 127 –


Da notare l’inversione <strong>di</strong> proce<strong>di</strong>mento rispetto all’inizio: lì si partiva<br />

dal simbolo fantastico che si concretizzava in realtà fisiche (selva, colle,<br />

fiere), qui al contrario tutto muove dalla determinazione oggettiva, ed<br />

ad<strong>di</strong>rittura precisata nei dati biografici, del poeta latino, che <strong>di</strong>venta<br />

simbolo ma che non perde mai, come già sottolineato, la sua <strong>di</strong>mensione<br />

umana, psicologica, nella sua Sehnsucht verso Dio.<br />

v. 76: Ma tu...: dopo la presentazione essenziale ma compen<strong>di</strong>osa del suo<br />

personaggio, Virgilio, forzando sull’avversativa enfatica con cui inizia<br />

il verso, “provoca” Dante, ponendolo <strong>di</strong> fronte alla sua realtà <strong>di</strong> pericolo:<br />

come se volesse avvertirlo che la propria sola presenza non basta<br />

a salvarlo da un male contro il quale, accanto alla forza della ragione,<br />

deve agire in piena coscienza la responsabilità personale.<br />

noia: il termine ha subito nei secoli uno scivolamento semantico, perdendo<br />

parte della carica negativa che aveva nel me<strong>di</strong>oevo: nella lirica provenzale,<br />

infatti, troviamo il genere dell’enueg, elenco poetico <strong>di</strong> ciò che angoscia<br />

o <strong>di</strong>spiace a chi scrive. Così “noia” potrebbe approssimativamente<br />

tradursi come “fonte <strong>di</strong> angoscia”.<br />

v. 77: perché...monte: si tratta del “colle” <strong>di</strong> v. 13, obiettivo dell’umanità<br />

attualmente traviata dal peccato; Dante concretizza il concetto in un<br />

ambiente incantevole, che ricorda i “deliciani”, luoghi nati dall’immaginario<br />

popolare, oppure gli affreschi dei palazzi me<strong>di</strong>oevali, che raffiguravano<br />

raffinati giovani e delicate fanciulle intenti alle più amene e<br />

deliziose occupazioni.<br />

v. 79: quel: quasi per “simpatia”, Dante gratifica Virgilio <strong>di</strong> un “ille”, trasposto<br />

con “quel”, che nell’italiano me<strong>di</strong>oevale non aveva ancora perso<br />

il valore enfatico (“proprio quello”, “quello in persona”, “quel celebre”)<br />

proprio del corrispondente latino.<br />

vv. 79-80: fonte...fiume: grande affrescatore <strong>di</strong> figure, Dante si compiace<br />

<strong>di</strong> completare, quando possibile, il quadro cui aveva dato le prime pennellate;<br />

così avviene anche in questo caso, dove l’immagine dell’acqua,<br />

<strong>di</strong>segnata con “fonte”, si precisa e si compie con “fiume”.<br />

v. 81: lui: da notare l’ellissi della preposizione “a”, fenomeno alquanto consueto<br />

nel volgare me<strong>di</strong>oevale.<br />

– 128 –


vergognosa: certamente, come sostengono i commentatori moderni, la<br />

“vergogna” <strong>di</strong> Dante consiste nella soggezione, o meglio nel timore<br />

reverenziale dell’allievo davanti al suo ideale maestro; tuttavia proprio<br />

per questo non mi sento <strong>di</strong> negargli anche un senso <strong>di</strong> minorità, lo<br />

stesso che proverà Brunetto Latini, nel XV canto, davanti a Dante. Qui<br />

l’Alighieri, incapace <strong>di</strong> salvarsi da solo e quin<strong>di</strong> non “saggio” come la<br />

sua con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> poeta gli imporrebbe <strong>di</strong> essere (e come Virgilio è),<br />

sente <strong>di</strong> essere inferiore non soltanto a Virgilio, ma anche al ruolo che<br />

ricopre.<br />

v. 82: onore e lume: Virgilio onora il nome della poesia, da lui portata alle<br />

massime vette espressive, e fa luce agli altri poeti, che da lui traggono<br />

la consapevolezza del proprio ruolo <strong>di</strong> intellettuali, l’intensità dell’ideologia<br />

e l’altezza dello stile.<br />

v. 83-84: vagliami...volume: interessante sottolineare come la sottile, acuta<br />

ma sincera captatio benevolentiae <strong>di</strong> Dante si muova in maniera alquanto<br />

articolata: il Poeta, nel proclamare la sua ammirazione (“stu<strong>di</strong>o”<br />

e “amore” in<strong>di</strong>cano una <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> tensione) per il “volume” <strong>di</strong> Virgilio,<br />

<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essersi adoperato per “cercarlo”. Credo infatti che il verbo<br />

vada interpretato nel modo più elementare, data la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> reperire<br />

libri nell’epoca me<strong>di</strong>oevale. Questo blando “ricatto”, seguito dall’altra<br />

iperbole “tu se’ solo colui da cu’ io tolsi / lo bello stilo...”, pone Virgilio<br />

nella delicata situazione <strong>di</strong> chi si sente moralmente coinvolto nell’evento<br />

in fieri; evento nel quale peraltro, come egli ben sa e come presto rivelerà,<br />

è stato implicato da ben altri che dal Poeta fiorentino. Per quanto riguarda<br />

poi l’identità del “volume”, ritengo trattarsi generalmente dell’opera<br />

<strong>di</strong> Virgilio, mentre altri si sono soffermati sul singolare, che farebbe<br />

pensare ad un componimento particolare, come le Bucoliche o, forse meglio,<br />

l’Eneide; per quanto riguarda le Georgiche, sembrano il can<strong>di</strong>dato<br />

più improbabile, come <strong>di</strong>mostra il fatto che alcuni ritengono che Dante<br />

non le abbia mai lette, o ad<strong>di</strong>rittura ne ignorasse l’esistenza.<br />

v. 85: Tu se’...autore: con “maestro” Dante inquadra imme<strong>di</strong>atamente<br />

Virgilio nel ruolo <strong>di</strong> esperto <strong>di</strong> eloquenza, materia base dell’arte poetica;<br />

in quanto ad “autore”, il termine è modellato sul latino auctor, derivato<br />

sostantivale <strong>di</strong> augeo, che dà vita, tra l’altro, ad Augustus; il verbo<br />

risponde al significato <strong>di</strong> “accrescere”, “far aumentare”, “promuovere”.<br />

– 129 –


Così l’“autore” è per il Poeta, in senso attivo, il promotore <strong>di</strong> un’esperienza,<br />

nel caso <strong>di</strong> Dante quella intellettuale-poetica; in senso passivo,<br />

è colui che è depositario <strong>di</strong> auctoritas, cioè, come si trova scritto nel<br />

Convivio, “persona degna <strong>di</strong> essere creduta e obe<strong>di</strong>ta” (IV, vi, 5).<br />

v. 86: tu...tolsi: sempre nel segno <strong>di</strong> una sincera ma non sprovveduta captatio<br />

benevolentiae, Dante sottolinea la sua ammirazione per Virgilio<br />

solennizzando ancora, se ce ne fosse bisogno, l’incontro con l’anafora<br />

“tu...tu”.<br />

v. 87: lo bello stilo: Dante, non senza orgoglio e quasi a guadagnarsi la considerazione<br />

<strong>di</strong> Virgilio, cita latentemente le proprie canzoni allegoricodottrinali,<br />

laddove si valeva dello stile “tragico”, il più nobile, quello<br />

riservato agli argomenti più elevati.<br />

v. 88: ve<strong>di</strong>...volsi: finalmente, dopo essersi in qualche modo <strong>di</strong>chiarato<br />

meritevole <strong>di</strong> aiuto, Dante avanza nei confronti <strong>di</strong> Virgilio la richiesta<br />

che gli urgeva dentro: quella <strong>di</strong> essere liberato dal pericolo incombente,<br />

la “bestia”. Non c’è bisogno <strong>di</strong> argomentazioni retoriche, della ricostruzione<br />

dei fatti, della descrizione fenomenologica: la “bestia”, cioè il<br />

peccato, nella sua patente irrazionalità, parla da sé.<br />

v. 89: saggio: per Dante, uomo del suo tempo e quin<strong>di</strong> aderente alla sua<br />

Weltanschauung, la personalità del poeta coincide con quella del saggio<br />

per eccellenza, <strong>di</strong> colui che vede più in là rispetto agli altri (in fondo, è<br />

la concezione baudelairiana del poeta-veggente): nel Convivio “saggio”<br />

è Giovenale, nella Vita Nuova Guinizelli, nell’Inferno Omero, <strong>Orazio</strong>,<br />

Ovi<strong>di</strong>o, Lucano, nel Purgatorio Stazio.<br />

v. 90: le vene e i polsi: giustamente celebre per la sua efficacia, l’espressione<br />

rappresenta, dal punto <strong>di</strong> vista retorico, una metonimia: Dante<br />

qualifica in un attimo (non c’è tempo da perdere, ed egli ne ha già speso<br />

tanto nella pur necessaria celebrazione del poeta mantovano!) l’intera<br />

realtà del il suo stato psico-fisico, allo scopo <strong>di</strong> guadagnarsi la simpatia,<br />

e quin<strong>di</strong> l’aiuto, <strong>di</strong> Virgilio.<br />

v. 91: a te...: in quel “conviene” c’è tutta la saggezza <strong>di</strong> Virgilio, ma anche il<br />

suo ruolo, a Dante ancora non noto, <strong>di</strong> esecutore della volontà <strong>di</strong>vina:<br />

– 130 –


evidentemente le sue domande precedenti (...perché ritorni a tanta<br />

noia? perché non sali il <strong>di</strong>lettoso monte...?) rappresentavano un rituale<br />

<strong>di</strong> riconoscimento, come se con queste avesse voluto saggiare l’intenzione<br />

<strong>di</strong> Dante <strong>di</strong> ritornare, in qualche modo, sulla “<strong>di</strong>ritta via”. E<br />

questo modo sarà l’“altro viaggio”, lungo e irto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, ma latore<br />

<strong>di</strong> un’esperienza profonda non solo per Dante, ma per l’intera umanità.<br />

v. 92: poi che lagrimar...: che Virgilio stesse sottoponendo Dante ad una<br />

sorta <strong>di</strong> inchiesta è documentato, oltre che da quanto detto sopra, da<br />

queste lacrime, versate dal poeta fiorentino, probatorie della sua determinazione<br />

a risolvere il proprio problema morale: solo dopo queste,<br />

infatti, Virgilio scioglie ogni sua riserva sulla serietà delle intenzioni <strong>di</strong><br />

Dante e gli mostra con le parole ciò che poi nei fatti dovrà affrontare,<br />

ma anche le conseguenze benefiche del viaggio.<br />

v. 94: questa bestia: il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Virgilio, almeno fino al verso 111, è tutto<br />

incentrato intorno alla “bestia” contro la quale Dante-umanità non può<br />

vincere se non tiene “altro viaggio”, cioè se non promuove una palingenesi<br />

a tutti i livelli: morale, politico, religioso; quella che il Poeta si<br />

sobbarcherà, alter Christus, per mostrare all’uomo la via. I vv. 94-111<br />

sono un capolavoro <strong>di</strong> intercambiabilità tra senso allegorico e senso<br />

letterale, l’uno rinforzo dell’altro: quando sembra completa l’immagine<br />

della lupa affamata, ecco che da questa rampolla la figura della cupi<strong>di</strong>gia,<br />

che rende l’uomo sempre avido <strong>di</strong> nuove ricchezze, <strong>di</strong> più vasto potere.<br />

A margine, una nota linguistica: la -e <strong>di</strong> “gride” è la comune terminazione,<br />

nell’italiano del Trecento, della seconda persona del presente<br />

in<strong>di</strong>cativo.<br />

v. 96: lo uccide: Virgilio sembra alludere al pericolo corso da Dante, che<br />

infatti era stato “impe<strong>di</strong>to” dalla lupa (“la bestia per cu’ io mi volsi”),<br />

che lo avrebbe sicuramente ucciso senza il suo intervento: si tratta <strong>di</strong> un<br />

implicito richiamo all’importanza della propria presenza, ma, ancor più,<br />

alla necessità <strong>di</strong> Dante <strong>di</strong> “tenere altro viaggio”.<br />

v. 97: malvagia e ria: per alcuni si tratta <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ttologia sinonimica,<br />

mentre altri rilevano la sfumatura <strong>di</strong> significato tra “malvagia”, semplice<br />

qualificativo, e “ria”, che sembra in<strong>di</strong>care uno stato esistenziale<br />

totalizzante: si tratterebbe allora <strong>di</strong> un climax ascendente.<br />

– 131 –


v. 98: bramosa voglia: questa ridondanza mette bene in luce l’essenziale caratteristica<br />

della cupi<strong>di</strong>gia, che alimenta se stessa in senso esponenziale<br />

(cfr. Ov., Met., VIII, 834, dove il poeta latino si riferisce ad Erisittone:<br />

plusque cupit, quo plura suam demittit in alvum).<br />

v. 99: dopo il pasto...pria: per rinforzare il concetto espresso sopra, Dante<br />

insiste sulla incontentabilità della lupa (ma ora più cupi<strong>di</strong>gia) ripetendo<br />

quasi le sue parole <strong>di</strong> Conv. IV, XII, 6: “in nullo tempo si compie né si<br />

sazia la sete della cupi<strong>di</strong>tate”.<br />

vv. 100-111: Virgilio rassicura Dante profetizzando l’avvento <strong>di</strong> un misterioso<br />

“Veltro”, che riuscirà a riportare la pace e la giustizia nel<br />

mondo, dopo aver cacciato la terribile lupa.<br />

v. 100: animali...ammoglia: alcuni hanno inteso “animali” nel senso figurato<br />

dei vizi che fanno da corollari alla cupi<strong>di</strong>gia; sembra tuttavia più<br />

persuasiva l’interpretazione attributiva della parola, per cui essa verrebbe<br />

a significare “esseri animati”, cioè dotati <strong>di</strong> anima: gli uomini.<br />

Tale lettura, confortata da analoghe occorrenze e da un passo <strong>di</strong> Ep. XI,<br />

14 (cupi<strong>di</strong>tatem unusquisque sibi duxit in uxorem), rivela ancora una<br />

volta l’amaro pessimismo del Poeta, che non vede altra via d’uscita che<br />

la soluzione messianico-palingenetica.<br />

v. 101: Veltro: Dante affida la sua prima ipostasi profetica ad uno splen<strong>di</strong>do<br />

animale: il veltro (dal tardo latino vertagum). Questo, agile ed inesorabile<br />

cane da caccia, nasce figurativamente dall’immagine della lupa, e<br />

come essa <strong>di</strong>spone (almeno in questa prima rapida presentazione: in<br />

seguito noteremo il <strong>di</strong>stanziarsi <strong>di</strong> Dante dall’aspetto letterale per dare<br />

più forza a quello ideologico) <strong>di</strong> un doppio corredo interpretativo: quello<br />

letterale, che vede la lupa, animale temibile per la sua ferocia, infine<br />

preda dell’implacabile veltro; quello allegorico, per cui il più insi<strong>di</strong>oso<br />

dei vizi, la cupi<strong>di</strong>gia, sarà presto debellata da... chi?<br />

Ed eccoci giunti ad uno dei più oscuri misteri <strong>di</strong> cui Dante ha voluto<br />

maliziosamente <strong>di</strong>sseminare il suo capolavoro. Chi sarà mai il personaggio<br />

cui il Poeta demanda l’auspicato ed inevitabile rinnovamento<br />

che, estirpata la tabe della cupi<strong>di</strong>gia, restituirà al mondo pace e giu-<br />

– 132 –


stizia? Inutile <strong>di</strong>re che intere generazioni <strong>di</strong> critici si sono prodotte nelle<br />

più spericolate acrobazie ermeneutiche, incuranti delle comprensibili<br />

derisioni da parte <strong>di</strong> profani e <strong>di</strong> chi crede <strong>di</strong> ravvisare nel veltro nient’altro<br />

che un simbolo dell’istanza <strong>di</strong> una riforma morale, religiosa e<br />

politica da tempo caldeggiata a vari livelli. Se non altro per un’esigenza<br />

<strong>di</strong> chiarezza storica, vale qui la pena <strong>di</strong> ricordare le interpretazioni tra<strong>di</strong>zionali<br />

che si sono susseguite nei secoli relativamente al Veltro, tenendo<br />

ben presenti i vv. 103-105, che ci avvertono del fatto che questi nascerà<br />

“tra feltro e feltro” e che si ciberà non <strong>di</strong> “terra né peltro”, ma <strong>di</strong> “sapienza,<br />

amore e virtute”. Il campo in cui sembrò più plausibile scavare<br />

fu subito quello religioso: da questo si trasse la figura <strong>di</strong> Benedetto XI<br />

(Nicola Boccasini), domenicano (quin<strong>di</strong> amante della sapienza, oltre<br />

che dell’amore per Dio e della virtù), papa dal 1303 al 1304, nato a Treviso<br />

(quin<strong>di</strong> tra Feltre e il Montefeltro), grande inascoltato pacificatore<br />

tra le fazioni italiane (“Di quella umile Italia fia salute”), beatificato nel<br />

1733; si è ovviamente pensato anche a Cristo, nato povero (quin<strong>di</strong> tra<br />

panni ruvi<strong>di</strong> e miseri, come il feltro), sdegnoso delle ricchezze (“non<br />

ciberà...”) ma concentrato nella contemplazione della Trinità (Padre,<br />

Figlio e Spirito Santo = sapienza, amore, virtù): e tuttavia, come chiariscono<br />

le Scritture, nella παρoυσι´α Cristo tornerà per giu<strong>di</strong>care, non per<br />

cacciare la “lupa”. Altro livello d’indagine fu, già in Pietro <strong>di</strong> Dante,<br />

quello politico: inevitabile l’automatica identificazione del Veltro in<br />

Arrigo VII, imperatore (l’urna che conteneva il risultato dell’elezione<br />

era foderata <strong>di</strong> panno [feltro?]), attivo in nome dei principi morali e<br />

religiosi (virtù, sapienza, amore) e, come Dante fermamente sperava,<br />

futuro salvatore d’Italia (cfr. v. 106); una variante fu rappresentata da<br />

Cangrande della Scala, cui il Poeta, riconoscente, de<strong>di</strong>cò il Para<strong>di</strong>so:<br />

questi, signore <strong>di</strong> Verona (e qui si ritorna al territorio compreso tra<br />

Feltre e il Montefeltro), aveva più volte confermato a Dante, fattivamente,<br />

<strong>di</strong>sprezzo per la ricchezza ed amore per le virtù morali (v. 104),<br />

come gli si riconoscerà ampiamente nel XVII canto della terza cantica;<br />

infine si è fatto anche il nome del condottiero Uguccione della Faggiola,<br />

podestà <strong>di</strong> Vicenza ed uomo valente in armi e virtù cavalleresche;<br />

sostenitore <strong>di</strong> Arrigo VII, fu suo vicario a Genova. Avventata è invece<br />

sembrata la lettura Veltro = Dante, per la quale ci si è anche affannati a<br />

cercare spiegazioni per il v. 105 (il Poeta è nato sotto il segno dei Gemelli,<br />

Castore e Polluce, rappresentati con un cappello <strong>di</strong> feltro; oppure:<br />

“feltro” potrebbe in<strong>di</strong>care i cieli che Dante attraverserà).<br />

– 133 –


Di non minore interesse le interpretazioni “sopra le righe”, formulate<br />

peraltro da personaggi autorevolissimi, come Ungaretti, che vede nel<br />

Veltro l’età dell’oro; Salvadori, che lo identifica con la povertà espressa<br />

come valore dagli or<strong>di</strong>ni men<strong>di</strong>canti; Filomusi Guelfi, secondo il quale<br />

esso simboleggerebbe lo Spirito Santo.<br />

Come si vede, malgrado l’autorevolezza e l’indubbio acume <strong>di</strong> molte<br />

delle ipotesi riportate, nessuna <strong>di</strong> queste si rivela pienamente persuasiva.<br />

Il vero nucleo del problema sta nell’impossibilità, malgrado tutto,<br />

<strong>di</strong> pervenire ad una qualsivoglia interpretazione puntuale senza provare<br />

un sottile senso <strong>di</strong> colpa: trattandosi, infatti, <strong>di</strong> una profezia post<br />

eventum, lo stesso Dante non poteva certamente riferirsi ad avvenimenti<br />

o persone ben precise, a meno che non coltivasse dentro <strong>di</strong> sé un’aspettativa<br />

nei confronti degli uni o delle altre. E davvero scommettere sulle<br />

speranze <strong>di</strong> Dante sembra quasi invaderne prepotentemente l’universo<br />

morale. Tutto ciò che, secondo me, è lecito pensare riguarda più che<br />

altro quell’atmosfera <strong>di</strong> attesa, talvolta sotto forma messianica, che<br />

pervadeva i tempi <strong>di</strong> Dante, specialmente nell’ambito popolare: basti<br />

ricordare l’impatto prodotto dalla pre<strong>di</strong>cazione francescana, oppure<br />

l’immensa popolarità del movimento gioachimita, che, contro le leggi<br />

dell’incipiente “capitalismo” tanto temuto da Dante, parlavano <strong>di</strong> rinnovamento<br />

in termini sia coscienziali, sia sociali, sia religiosi. Questa è,<br />

dunque, la speranza-profezia <strong>di</strong> Dante: un Rinnovamento totale, una<br />

palingenesi che, partendo dal centro propulsore, quell’Italia così bisognosa<br />

<strong>di</strong> aria pulita, si <strong>di</strong>ffonda in tutto il mondo, riportandolo ai valori<br />

del cristianesimo primitivo.<br />

v. 103: peltro: con proce<strong>di</strong>mento metonimico, Dante così in<strong>di</strong>ca la moneta,<br />

composta da una lega <strong>di</strong> stagno, argento e piombo. Sembra quasi <strong>di</strong><br />

sentire il suo <strong>di</strong>sprezzo <strong>di</strong> intellettuale “puro” verso qualcosa che invece<br />

è risultato <strong>di</strong> una commistione <strong>di</strong> materiali: la moneta, vessillo ed orgoglio<br />

del potente capitalismo comunale, rappresenta per il Poeta il<br />

simbolo della decadenza morale e del degrado <strong>di</strong> una società che, persi<br />

i valori basilari, non può che sperare nel “Veltro”, restauratore dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong>vino.<br />

v. 104: sapienza...: Dante indugia con un certo compiacimento su questo<br />

trinomio, i primi due membri del quale rappresentano un crescendo<br />

musicale (sostenuto sia dalla <strong>di</strong>eresi <strong>di</strong> “sapienza” sia dalla sinalefe<br />

– 134 –


“sapienz- a-more”) che si riposa infine sulla salda sicurezza fonetica ma<br />

anche semantica <strong>di</strong> “virtute”. Sono questi, infatti, i tre fondamenti della<br />

religione cristiana, che hanno il loro principio rispettivamente nel<br />

Figlio, nello Spirito Santo e nel Padre.<br />

v. 105: tra feltro...: l’espressione è in stretta <strong>di</strong>pendenza dalla “nazione” (nascita)<br />

del Veltro: se si propende per l’ipotesi <strong>di</strong> un personaggio<br />

proveniente da umili origini, o ad<strong>di</strong>rittura al più povero tra i poveri,<br />

Gesù Cristo, il “feltro” sarà il panno <strong>di</strong> lana non tessuto, indumento <strong>di</strong><br />

scarsissimo valore destinato ai meno abbienti; se invece si pensa ad un<br />

imperatore, il “feltro” costituisce la fodera dell’urna che contiene il<br />

risultato <strong>di</strong> un’elezione; se, infine, il Veltro viene assimilato a papa Benedetto<br />

XI, trevigiano, o al veronese Cangrande della Scala, il termine<br />

può valere come una connotazione geografica (tra Feltre e Montefeltro).<br />

Ultima ipotesi, anche dal punto <strong>di</strong> vista della verosimiglianza, quella<br />

che vede nel Veltro lo stesso Dante; e tuttavia anche per lui si è trovato<br />

un “tra feltro e feltro” la cui plausibilità trovo invero alquanto opinabile.<br />

Il feltro, infatti, sarebbe rappresentato dal materiale <strong>di</strong> cui è tessuto<br />

il berretto dei Dioscuri, sotto il cui segno (i Gemelli), Dante ha avuto<br />

“nazione”. Resta, comunque, la suggestione <strong>di</strong> cui il Poeta ha circonfuso<br />

questi splen<strong>di</strong><strong>di</strong> quanto enigmatici versi, tesi e vibranti <strong>di</strong> una forza<br />

profetica che <strong>di</strong>ce tutta la protesta e la speranza <strong>di</strong> un cristiano deluso<br />

ma <strong>di</strong>speratamente aggrappato ad una fede incrollabile.<br />

v. 106: <strong>di</strong> quella umile...: quasi automaticamente, Dante si ritrova a citare<br />

Virgilio (“humilemque/ videmus Italiam”, Aen. III, 522-3); tuttavia, il<br />

testo latino viene completamente rielaborato dal Poeta italiano, che<br />

impronta <strong>di</strong> un significato morale, e forse anche sociologico, quanto in<br />

origine aveva valenza esclusivamente geografica, anzi, più precisamente,<br />

corografica (Virgilio si riferiva infatti alla bassezza delle coste<br />

italiche). L’Italia è, attualmente, “povera”: in senso morale, perché è<br />

stata abbandonata dall’imperatore e quin<strong>di</strong> degradata, essa che era pur<br />

sempre “il giar<strong>di</strong>n dello imperio” (Purg. VI, 105), a “nave sanza nocchiere<br />

in gran tempesta/ non donna <strong>di</strong> province, ma bordello”(Purg. VI,<br />

77-78). In senso sociologico, perché l’affermarsi della rapace classe<br />

mercantile, arricchitasi a <strong>di</strong>smisura, ha provocato un sempre maggior<br />

impoverimento <strong>di</strong> chi già era povero, anche istillando in lui l’esigenza<br />

<strong>di</strong> “falsi bisogni”.<br />

– 135 –


v. 107: per cui morì...: come si evince dalla lettura del De Monarchia,<br />

che approfon<strong>di</strong>sce le problematiche politiche nell’orizzonte <strong>di</strong> una<br />

prospettiva universalistica, Dante sente con forte urgenza il problema<br />

dell’unità d’Italia, che in lui si identifica con quella dell’Impero,<br />

unica garanzia <strong>di</strong> pace e stabilità. Per questo motivo riunisce, in<br />

una sintesi che amalgama vinti e vincitori, colonizzatori ed autoctoni,<br />

tutti i protagonisti dell’epos romano, quasi fossero gli attori che, calato<br />

il sipario, escono in scena presentandosi al pubblico. Ma Dante<br />

non crede che la “comme<strong>di</strong>a” sia giunta all’ultimo atto. Quell’impero<br />

che costò tanto sangue e tanti sacrifici è ancor oggi una realtà possibile<br />

ed attuabile: anzi è doveroso, per il cristiano, battersi per ristabilirlo,<br />

in quanto esso rappresenta la manifestazione della volontà<br />

<strong>di</strong>vina, che ha orientato tutta la storia del mondo in questo senso e<br />

che non può essere <strong>di</strong>sattesa. Tanto più che, per realizzarlo, due<br />

popoli tanto lontani hanno fuso il loro sangue e le proprie tra<strong>di</strong>zioni,<br />

in nome <strong>di</strong> un progetto pensato ab aeterno, quin<strong>di</strong> sacro e provvidenziale.<br />

Interessante sottolineare la parte <strong>di</strong> prima attrice che Dante ha assegnato<br />

a Camilla, la prima a presentarsi al lettore-spettatore: si tratta solo <strong>di</strong><br />

calcoli proso<strong>di</strong>ci, o <strong>di</strong> rima, oppure il Poeta vuole suggerirci un suo<br />

pensiero, un suo convincimento? Personalmente, seguendo la logica<br />

dantesca e, soprattutto, percependo qui il forte tentativo <strong>di</strong> persuadere il<br />

lettore, anche attraverso il coinvolgimento emotivo, della necessità dell’impero<br />

allora, ora e sempre, credo che il <strong>di</strong>scorso del Poeta si possa<br />

tradurre press’a poco in questo modo: se la donna, tra<strong>di</strong>zionalmente non<br />

partecipe della vita politica e bellica dei popoli, è potuta morire per<br />

l’impero, evidentemente questo reca impresso in sé il segno destinale<br />

della volontà <strong>di</strong>vina. Una donna antica che muore per un ideale: uno<br />

sprone per l’uomo moderno a proseguire la sua opera, fidando nel<br />

sostegno <strong>di</strong> Colui che l’ha voluta.<br />

v. 109: Questi...: con la consueta efficacia realistica, Dante ci mostra qui<br />

un’immagine largamente utilizzata nella pittura del periodo: si tratta del<br />

motivo della caccia infernale, deterrente me<strong>di</strong>oevale al peccato. Per<br />

quanto riguarda il gallicismo “villa”, credo che Dante non voglia qui<br />

porla come un’espressione generica, ma conferirle il suo proprio senso<br />

<strong>di</strong> “città”: proprio in essa, come più volte ricordato, risiedeva, per lui,<br />

il nucleo peccaminoso dei suoi tempi.<br />

– 136 –


v. 111: invi<strong>di</strong>a prima: il significato dell’espressione <strong>di</strong>pende dalla funzione<br />

grammaticale <strong>di</strong> “prima”: se la si considera avverbio, allora Dante ha<br />

voluto riferirsi alla primigeneità del peccato dell’invi<strong>di</strong>a, antico quanto<br />

l’uomo; se al contrario, come mi sembra più plausibile, “prima” è usato<br />

dal Poeta come aggettivo, l’immagine che ne scaturisce è quella dell’invi<strong>di</strong>a<br />

in persona, Lucifero, che, volendo assurgere alla potenza <strong>di</strong> Dio,<br />

incarna la prima terribile esemplificazione <strong>di</strong> quel peccato così rovinoso<br />

per l’umanità. A sostegno <strong>di</strong> tali ipotesi intervengono un passo biblico<br />

(tra cui Sap. 2,24: “Invi<strong>di</strong>a autem <strong>di</strong>aboli mors introivit in orbem terrarum”)<br />

e la consuetu<strong>di</strong>ne metonimica me<strong>di</strong>oevale <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care una persona<br />

con la sua caratteristica principale (Dio è chiamato “primo amore”<br />

in Inf. III, 6).<br />

v. 112: Ond’io...: Dante non perde occasione per chiarire il carattere Virgilio,<br />

ma soprattutto il suo ruolo <strong>di</strong> accompagnatore razionale che si propone<br />

non solo come in<strong>di</strong>catore <strong>di</strong> un iter, ma anche nelle vesti <strong>di</strong> guida operativa,<br />

pronta a spiegare ed a risolvere dubbi e problemi del Poeta: in<br />

questo senso va letta l’espressione “penso e <strong>di</strong>scerno” che, lungi dal costituire<br />

un’en<strong>di</strong>a<strong>di</strong>, in<strong>di</strong>ca proprio questa duplice specificità funzionale<br />

<strong>di</strong> Virgilio. Infatti segue la promessa “e io sarò tua guida”, che rassicura<br />

Dante sulla competenza e sulla fattività del maestro. Per quanto riguarda<br />

“me’”, si tratta <strong>di</strong> un’apocope.<br />

vv. 114 segg.: e trarrotti...: Dante affida a Virgilio il compito poetico della<br />

protasi, lasciandogli esporre il piano dell’opera; tuttavia <strong>di</strong>etro, o meglio<br />

accanto a questa scelta che potremo definire “metaletteraria” (parafrasando<br />

il concetto <strong>di</strong> metateatro) si colloca un preciso percorso teologico<br />

tratto <strong>di</strong> peso dal testo tomistico. Il viaggio nei tre regni, infatti,<br />

non è altro che il pellegrinaggio dell’anima attraverso le varie fasi della<br />

sua vita spirituale, ognuna necessaria al raggiungimento del “ben dell’intelletto”<br />

(Dio): l’esperienza visiva del peccato ed il turbamento che<br />

questo provoca (inferno); la determinazione ad uscire dallo stato peccaminoso<br />

attraverso la sofferenza e la riflessione sull’essenza della virtù<br />

(purgatorio); la contemplazione <strong>di</strong> Dio, essenza pura della beatitu<strong>di</strong>ne,<br />

realizzazione della massima aspirazione <strong>di</strong> ogni cristiano (para<strong>di</strong>so).<br />

Da notare la grafia “etterno”, trascrizione me<strong>di</strong>oevale del latino<br />

ecternus. A proposito dell’eternità dell’inferno (infatti è solo questo il<br />

“loco etterno” cui accenna Virgilio), mi sembra <strong>di</strong> ravvisare in questa<br />

– 137 –


definizione una precisa allusione, da parte del poeta latino, al proprio<br />

status <strong>di</strong> dannato senza speranza, quasi a voler virilmente attrarsi la<br />

compassione <strong>di</strong> Dante.<br />

v. 115: <strong>di</strong>sperate strida: Virgilio sente <strong>di</strong> dover preavvertire Dante della<br />

sconvolgente realtà u<strong>di</strong>tiva che gli si sta per presentare, e correttamente<br />

prepone tale esperienza a quella visiva, che infatti giungerà solo in un<br />

secondo momento: è precisamente ciò che accadrà all’inizio del III<br />

canto (v. 22 segg.), quando Dante, varcata la soglia dell’inferno, udrà<br />

“sospiri, pianti e alti guai” non percependo ancora la fonte <strong>di</strong> tali suoni.<br />

Da ciò si evince la rilevanza della <strong>di</strong>mensione sonora, nell’Inferno<br />

come anche nel Para<strong>di</strong>so, dove non c’è paesaggio che fornisca un suo<br />

apporto narrativo-descrittivo.<br />

v. 116: antichi spiriti: qualche problema ha creato l’aggettivo “antichi” in<br />

riferimento agli spiriti infernali: infatti, come vedremo, Dante incontrerà<br />

non solo dannati appartenenti ai tempi passati ma anche, e non<br />

infrequentemente, suoi contemporanei. Qualcuno ha ritenuto che Virgilio<br />

si riferisca alle anime del limbo, “antiche” perché vissute prima<br />

dell’avvento <strong>di</strong> Cristo: ma l’ipotesi è confutata dalla parola magisteriale<br />

della Chiesa, che pone nel limbo le anime dei bambini morti prima <strong>di</strong><br />

essere battezzati. Congettura più accettabile sembra quella del Pagliaro,<br />

secondo il quale Dante conferirebbe all’aggettivo il valore <strong>di</strong> “celebri”:<br />

in effetti, proprio ad uomini e donne celebri appartengono le anime con<br />

le quali Dante verrà a contatto.<br />

v. 117: seconda morte: il verso si presenta alquanto problematico sotto il<br />

profilo esegetico, in quanto riporta un’espressione, “la seconda morte”,<br />

che si presta a varie interpretazioni; a questa è collegato il verbo<br />

“grida”, la cui area semantica non si presenta così ristretta come nell’italiano<br />

moderno. Infatti si può anche intenderlo con il significato <strong>di</strong><br />

“imprecare” contro la “seconda morte” che ovviamente raffigura lo<br />

stato attuale delle anime dei dannati, “morti”, oltre che nella carne,<br />

anche dal punto <strong>di</strong> vista spirituale. Ma tale “seconda morte” potrebbe<br />

anche configurarsi come la sentenza ultima che segue al giu<strong>di</strong>zio universale,<br />

dopo il quale le anime si riapproprieranno del corpo. A questo<br />

punto “grida” offre due possibilità interpretative: o quella precedente,<br />

che ci mostra i dannati imprecanti contro il decreto <strong>di</strong>vino, oppure<br />

– 138 –


quella che legge “grida” nel senso <strong>di</strong> “invoca”. Ma perché i dannati<br />

dovrebbero invocare l’irrevocabile sentenza finale, quella che non lascia<br />

loro scampo e che, inoltre, inasprisce le loro sofferenze a causa<br />

della presenza del corpo? Se si leggono i vv. 109-111 del c. VI ci si<br />

rende conto del dramma estremo <strong>di</strong> queste anime, che possono aspirare<br />

(ed è umanamente legittimo che lo facciano) solo a tale misera<br />

perfezione, laddove per “perfezione” non si intende certo il ricongiungimento<br />

della creatura al Creatore, ma semplicemente la ricomposizione<br />

dell’unità originaria anima-corpo. Tuttavia rimane ancora una<br />

possibile lettura, legata ad un’interpretazione, per <strong>di</strong>r così, apocalittica,<br />

<strong>di</strong> “seconda morte”: tale espressione appare infatti nel testo <strong>di</strong><br />

Giovanni (Ap. 20,6 e 15), che parla <strong>di</strong> un totale annullamento dei malvagi<br />

in uno stagno <strong>di</strong> fuoco, dopo il giu<strong>di</strong>zio universale. Se ammettiamo<br />

tale ipotesi, dobbiamo comunque tenere ben presente il fatto che<br />

Dante, che parla <strong>di</strong> un Inferno eterno e <strong>di</strong> pene inestinguibili, qui sta<br />

riportando nient’altro che una <strong>di</strong>sperata illusione dei dannati: poiché il<br />

giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Dio è irreversibile (è il “magno volume / u’ non si muta<br />

mai bianco né bruno” <strong>di</strong> Pd. XV, 50-51) ad essi non resta che aggrapparsi<br />

all’attesa <strong>di</strong> un improbabile annichilimento <strong>di</strong> sé, che li precipiti<br />

in un eterno oblio.<br />

v. 118-119: e vederai...: come nei versi precedenti Dante ha evidenziato con<br />

poche sapienti linee quelli che sono gli aspetti principali dell’Inferno, e<br />

cioè l’irreversibilità e l’eternità della dannazione, così in questi caratterizza<br />

rapidamente la realtà del Purgatorio, che consiste nella speranza<br />

della salita al cielo e nella <strong>di</strong>sponibilità a sottoporsi alle pene più dure<br />

al fine <strong>di</strong> conseguire la libertà dal peccato: con felice sintesi Virgilio<br />

racchiude tutte queste in quella simbolica del “foco”, precisamente<br />

riservata ai lussuriosi della settima cornice, ma adattissima a descrivere<br />

l’azione purificatrice delle penitenze purgatoriali. En passant, nota<br />

l’epentesi in “vederai”.<br />

v. 120: quando che sia: nel mondo della dannazione non c’è “quando”,<br />

perché essa è eterna; il purgatorio, invece, vive <strong>di</strong> attesa, <strong>di</strong> un “quando<br />

che sia” che <strong>di</strong>pende dalla volontà <strong>di</strong> Dio ma anche dall’impegno purificatorio<br />

delle anime. Sembra <strong>di</strong> sentire nella voce <strong>di</strong> Virgilio una vibrazione<br />

<strong>di</strong> pianto sommesso, il rimpianto dell’irrevocabilità della sua<br />

lontananza da Dio, in un’attesa eterna ed eternamente inesau<strong>di</strong>ta.<br />

– 139 –


v. 123: con lei ti lascerò: quanta premura, quasi materna, in queste parole <strong>di</strong><br />

Virgilio che, superato momentaneamente lo sconforto, rientra nel ruolo<br />

della guida sempre affidabile e sicura! Ma, anche, quanta allegoria! È<br />

chiaro, infatti, l’impianto tomistico della scena: è la Ragione che, giunta<br />

ai limiti delle sue possibilità, deve cedere il posto ad una “facoltà” più<br />

alta, sovrumana, la Fede, o Verità rivelata, o anche Teologia, rappresentata<br />

da Beatrice. Nel Para<strong>di</strong>so, reggia <strong>di</strong> Dio, l’uomo non ha più nulla<br />

da capire: l’unica sua possibile attività è la contemplazione del Mistero,<br />

fonte <strong>di</strong> ogni beatitu<strong>di</strong>ne ed attingibile solo con la fede.<br />

v. 124: imperador: la politica contemporanea a Dante pone una rigida <strong>di</strong>scriminazione<br />

tra re ed imperatore, il primo governando su un territorio occupato<br />

da un popolo omogeneo per etnia, lingua, tra<strong>di</strong>zioni, il secondo<br />

invece raccogliendo sotto la propria autorità un insieme <strong>di</strong> genti anche<br />

<strong>di</strong>versissime tra loro; è inteso che quest’ultimo, a sua volta, ha giuris<strong>di</strong>zione<br />

specifica, da re, su una ben determinata regione. Come vuole la<br />

concezione figurale me<strong>di</strong>oevale, che nella Divina Comme<strong>di</strong>a ha uno<br />

degli esempi più eclatanti, Dante applica al Cielo ciò che è in terra: così,<br />

Dio è imperatore sull’universo, ma re in Para<strong>di</strong>so, come avrà modo <strong>di</strong><br />

specificare nei versi seguenti (in tutte parti impera e quivi regge, v. 127)<br />

attraverso Virgilio che, da Romano, quin<strong>di</strong> incline alle sottigliezze giuri<strong>di</strong>che<br />

e giuris<strong>di</strong>zionali, non vuol lasciare dubbi in proposito.<br />

v. 125: ribellante: Virgilio usa nei propri confronti una parola forte, volutamente<br />

ambigua, che accentua la sua posizione <strong>di</strong> “colpevole” rispetto<br />

alla giustizia <strong>di</strong>vina, quasi a voler convincere Dante dell’equità della<br />

propria condanna: in realtà il termine è da considerare non nella sua<br />

accezione comune, quanto in quella <strong>di</strong> “estraneo”, “alieno”. La rigida<br />

concezione me<strong>di</strong>oevale, ma neanche troppo <strong>di</strong>versa da quella o<strong>di</strong>erna,<br />

che <strong>di</strong>ce “extra ecclesiam nulla salus”, <strong>di</strong>videva infatti gli uomini in<br />

“cristiani” e “infedeli”, anche in<strong>di</strong>pendentemente dalle leggi della storia.<br />

v. 126: per me si vegna: da notare l’uso del gallicismo “per” (da “par”),<br />

che si accompagna a quello della forma dell’impersonale “si vegna”:<br />

Virgilio nella sua <strong>di</strong>gnitosa <strong>di</strong>sperazione sembra quasi ripu<strong>di</strong>are il suo<br />

“sé” <strong>di</strong> uomo precristiano che gli ha fatto perdere il Para<strong>di</strong>so, a lui che<br />

cantò la virtus e l’humanitas, valori sommi ma assolutamente privi <strong>di</strong><br />

significato senza il superiore suggello della Fede.<br />

– 140 –


v. 128: quivi è la sua città: spesso nel linguaggio me<strong>di</strong>oevale ricorre il<br />

termine “città” in senso metaforico religioso, desunto dal lessico scritturale<br />

ed agostiniano.<br />

v. 129: oh felice...: un ultimo virile sospiro <strong>di</strong> Virgilio sulla propria frustrante<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> dannato senza speranza e tuttavia pregno <strong>di</strong> inane<br />

desiderio <strong>di</strong> Dio; non gli resta che il suo alto compito, quello <strong>di</strong> guidare<br />

Dante, e la coscienza della sua romanità, che gli fa <strong>di</strong>re “elegge”, come<br />

se Dio-imperatore fosse omologo a quell’Augusto che tanto tempo<br />

prima lo ammise alla sua corte, “eleggendolo” poeta dell’Impero.<br />

v. 130: Poeta...: quasi a consolare Virgilio del suo dramma, Dante lo gratifica<br />

del titolo che, se non gli ha potuto garantire la vita eterna, almeno<br />

gli ha conferito un’immortalità intellettuale (“non omnis moriar”, <strong>di</strong>ceva<br />

con convinzione <strong>Orazio</strong>).<br />

v. 131: per quello Dio... più che una generica invocazione, l’espressione è<br />

qui usata da Dante con lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare a Virgilio <strong>di</strong> aver capito<br />

la vera natura del suo “peccato”, che non è stato <strong>di</strong> “ribellione” ma <strong>di</strong><br />

“non conoscenza”.<br />

v. 132: questo male e peggio: Dante ha capito che il “male”, cioè il peccato<br />

(in particolare quello rappresentato dalla lupa) non è semplicemente<br />

riprovevole dal punto <strong>di</strong> vista morale, ma conduce alla morte spirituale;<br />

e, al punto <strong>di</strong> non ritorno in cui egli, ma l’umanità non meno <strong>di</strong> lui, ora<br />

si trova, è chiaro che l’unico modo per sfuggire alla sorte della dannazione<br />

è rappresentato dal viaggio che, sotto la scorta <strong>di</strong> Virgilio, si<br />

accinge ad intraprendere: <strong>di</strong> qui la sua fretta <strong>di</strong> partire.<br />

v. 134: la porta <strong>di</strong> san Pietro: generalmente l’espressione si intende riferita<br />

al Para<strong>di</strong>so, dove effettivamente <strong>di</strong>mora san Pietro: in questo caso,<br />

naturalmente, la locuzione avrebbe valore metaforico, in quanto il<br />

Para<strong>di</strong>so è costituito da spazio e luce, e riecheggerebbe la tra<strong>di</strong>zionale<br />

“ianua coeli” delle Scritture. Tuttavia qualcuno ha pensato alla porta<br />

del Purgatorio, custo<strong>di</strong>ta da un angelo confessore: forse per delicatezza<br />

verso Virgilio, che non può oltrepassare il limite della terra, Dante<br />

ha voluto limitare il tratteggio del suo percorso futuro ai luoghi a lui<br />

accessibili?<br />

– 141 –


v. 136: Allor si mosse...: un solo verso per <strong>di</strong>pingere, o meglio scolpire, una<br />

partenza semplice quanto solenne. I due poeti, profondamente consapevoli<br />

<strong>di</strong> quanto stanno per affrontare, si avviano verso il proprio destino,<br />

ognuno al posto che gli compete: Virgilio, la Ragione, davanti, come<br />

una lampada che illumini le tenebre in cui spesso si perde l’anima dell’uomo;<br />

Dante, il <strong>di</strong>scepolo smarrito, <strong>di</strong>etro, nell’atteggiamento trepido<br />

e riverente <strong>di</strong> chi si affida completamente, senza remore né perplessità,<br />

se non, come si vedrà nel II canto, nei confronti <strong>di</strong> se stesso e delle proprie<br />

capacità.<br />

– 142 –


ANGELA D’ADAMO DEL PRETE<br />

Il tema della morte in letteratura:<br />

un percorso inter<strong>di</strong>sciplinare per una terza liceale<br />

(anno scolastico 1999-2000)<br />

La rappresentazione letteraria della morte rimanda sempre ad un<br />

sistema <strong>di</strong> valori, ad una filosofia, ad una fase particolare della civiltà: ed è<br />

questa precisa relazione che cercherò <strong>di</strong> indagare nella mia ricerca.<br />

Nel mondo antico la rappresentazione della morte tocca uno dei suoi<br />

apici in Tuci<strong>di</strong>de, in Lucrezio e in Tacito: nei primi due autori prende rilievo<br />

il potente affresco della peste <strong>di</strong> Atene, in cui la morte è un fenomeno <strong>di</strong><br />

massa, collettivo, invece nello storico romano sono state oggetto <strong>di</strong> particolare<br />

indagine critica le pagine degli Exitus inlustrium virorum, in cui la<br />

morte esce dall’anonimato e <strong>di</strong>venta la morte delle personalità <strong>di</strong> eccezione.<br />

All’interno del quadro già drammatico della guerra del Peloponneso,<br />

Tuci<strong>di</strong>de rappresenta l’effetto del contagio innanzitutto nella sua sintomatologia<br />

clinica e nell’evolversi degli effetti patologici, registrati con apparente<br />

oggettività e con la stessa esattezza scientifica a cui aspireranno, dopo molti<br />

secoli, i narratori del verismo e del naturalismo; ma l’interesse dello storico<br />

si in<strong>di</strong>rizza soprattutto sui risvolti sociali <strong>di</strong> quell’evento, <strong>di</strong> cui vengono<br />

denunciati il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, la deriva delle leggi, l’imbarbarimento del costume,<br />

l’efferatezza dei comportamenti: come se la humanitas, conquistata con<br />

tanta fatica attraverso processi secolari <strong>di</strong> incivilimento, fosse cancellata<br />

sotto il rovescio dei lutti e delle sofferenze; il male non purifica né rende<br />

più buoni, sembra <strong>di</strong>rci Tuci<strong>di</strong>de, che adotta un metodo storiografico razionalistico<br />

ed un’ottica tutta immanentistica, ispirata a lucido realismo.<br />

L.II, § 52 “L’imperversare dell’epidemia era reso più insopportabile dal<br />

continuo afflusso <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni alla città: la prova più dolorosa colpiva gli sfollati.<br />

Poiché non <strong>di</strong>sponevano <strong>di</strong> abitazioni adatte, e vivevano in baracche soffocanti<br />

per quella stagione dell’anno, il contagio mieteva vittime con furia <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata.<br />

I cadaveri giacevano a mucchi e tra essi, alla rinfusa, alcuni ancora in<br />

agonia. Per le strade si voltolavano strisciando uomini già prossimi a morire, <strong>di</strong>speratamente<br />

tesi alle fontane, pazzi <strong>di</strong> sete. I santuari, che avevano offerto una<br />

sistemazione provvisoria, erano colmi <strong>di</strong> morti: in<strong>di</strong>vidui che erano spirati là<br />

dentro, l’uno dopo l’altro. La violenza del morbo aveva come spezzato i freni<br />

morali degli uomini che, preda <strong>di</strong> un destino ignoto, non si attenevano più alle<br />

– 143 –


leggi <strong>di</strong>vine e alle norme della pietà umana. Le pie usanze che fino ad allora<br />

avevano regolato le esequie funebri caddero travolte in abbandono. Ciascuno<br />

seppelliva come poteva. Molti si ridussero a funerali indecorosi per la scarsità<br />

degli arre<strong>di</strong> necessari, causata dal gran numero dei morti che avevano già avuto<br />

in famiglia: deponevano il cadavere del proprio congiunto su pire preparate per<br />

altri e vi appiccavano la fiamma prima che i proprietari vi facessero ritorno,<br />

mentre altri gettavano sul rogo già acceso per un altro il proprio morto, allontanandosi<br />

subito dopo.<br />

L.II, § 53 Anche in campi <strong>di</strong>versi l’epidemia travolse in più punti gli argini della<br />

legalità fino allora vigente nella vita citta<strong>di</strong>na. Si scatenarono <strong>di</strong>lagando impulsi<br />

prima lungamente repressi, alla vista <strong>di</strong> mutamenti <strong>di</strong> fortuna inaspettati e fulminei:<br />

decessi improvvisi <strong>di</strong> persone facoltose, gente povera da sempre che ora,<br />

in un battere <strong>di</strong> ciglia, si ritrovava ricca <strong>di</strong> inattese ere<strong>di</strong>tà. Considerando ormai<br />

la vita e il danaro come beni <strong>di</strong> passaggio, bramavano piaceri e go<strong>di</strong>menti che<br />

s’esaurissero in fretta, in sod<strong>di</strong>sfazioni rapide e concrete. Nessuno si sentiva trasportare<br />

dallo zelo <strong>di</strong> impegnare in anticipo energie in qualche impresa ritenuta<br />

degna, nel dubbio che la morte giungesse a folgorarlo nel mezzo del cammino.<br />

L’imme<strong>di</strong>ato piacere ed ogni espe<strong>di</strong>ente atto ad appagarlo costituivano gli unici<br />

beni considerati onesti e utili. Nessun freno <strong>di</strong> pietà <strong>di</strong>vina o umana regola:<br />

rispetto e sacrilegio non si <strong>di</strong>stinguevano più da parte <strong>di</strong> chi assisteva al quoti<strong>di</strong>ano<br />

spettacolo <strong>di</strong> una morte che colpiva senza <strong>di</strong>stinzione, ciecamente. Inoltre<br />

nessuno concepiva il serio timore <strong>di</strong> arrivare vivo a rendere conto alla giustizia<br />

dei propri crimini. Avvertivano sospesa sul loro capo una condanna ben più pesante;<br />

e prima che s’abbattesse, era umano cercare <strong>di</strong> godere qualche po’ la vita”<br />

(traduzione <strong>di</strong> Ezio Savino).<br />

Le annotazioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne psicologico fatte dallo storico greco a proposito<br />

<strong>di</strong> questo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne collettivo <strong>di</strong>verranno un topos che ritornerà negli<br />

autori successivi: da Boccaccio (Proemio del Decameron) a Defoe (La peste<br />

<strong>di</strong> Londra) a Manzoni (I Promessi Sposi) a Camus (La Peste); ma, ai fini<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso inter<strong>di</strong>sciplinare, a me interessa l’analoga rappresentazione<br />

proposta da Lucrezio nel De rerum natura con la livida scena dei parenti<br />

delle vittime che si <strong>di</strong>sputano sanguinosamente, con aggressività ferina, un<br />

posto e uno spazio sulla pira su cui bruciare i cadaveri straziati.<br />

“Intanto nei campi i pastori, i bifolchi,<br />

i mandriani, i robusti aratori si ammalavano;<br />

ammucchiati in fondo a capanne sul fieno<br />

nella miseria e nel male giacevano.<br />

Si potevan vedere i gravi corpi degli uomini<br />

riversi sui fanciulli sfiniti e i figli sui padri<br />

e su le madri morire.<br />

E molti venivano in lacrime alla città<br />

pensando chissà mai <strong>di</strong> salvarsi<br />

– 144 –


aumentando il contagio: si mettevano dappertutto,<br />

gremivan le case, e la morte<br />

accumulava a cataste quanti più ne vedeva riuniti.<br />

Corpi assetati si rotolavano per le strade<br />

e vicino alle fontane morivano giunti appena<br />

su la freschezza dell’acqua.<br />

Molti errando coperti <strong>di</strong> cenci cadevano<br />

su liquido sterco stecchiti e chiazzati <strong>di</strong> ulcere.<br />

Miseria, pena, urgenza improvvisa<br />

spingevano a compiere gesti nefan<strong>di</strong>:<br />

alcuni con gran<strong>di</strong> clamori ponevan su roghi<br />

composti da altri le spoglie dei cari<br />

e vi appressavan le faci spesso lottando<br />

in risse cruente a <strong>di</strong>fesa del morto;<br />

intorno ai sepolcri sorgevano aspre contese,<br />

e poi, sfiniti dal pianto, venivano via,<br />

e molti, oppressi d’affanno, s’abbattevan sul letto.<br />

Nessuno poteva trovarsi che non assalisse<br />

in quel tempo e morbo e morte e lutto”<br />

(L.VI De rerum natura, vv. 1246-1285 - Traduzione <strong>di</strong> Enzio Cetrangolo)<br />

Rispetto alla fonte greca questo quadro della peste <strong>di</strong> Atene viene amplificato<br />

ed arricchito <strong>di</strong> particolari che accentuano il pathos e il realismo<br />

della descrizione: è il caso dello “sterco liquido” su cui piombano i corpi<br />

stecchiti e piagati <strong>di</strong> ulcere, del pianto e dello sfinimento spirituale che<br />

rovescia sul letto i superstiti, mentre il riferimento a vere e proprie contese<br />

sanguinose, che si accendono con urla e faci intorno alle pire, contribuisce a<br />

sottolineare i comportamenti egoistici <strong>di</strong> collettività <strong>di</strong>sgregate, per le quali<br />

nessuna legge umana e <strong>di</strong>vina ha ormai valore.<br />

Si chiude con questo crescendo desolato, con un verso ricco <strong>di</strong> liquide e<br />

<strong>di</strong> allitterazioni, rallentato dalle congiunzioni neque... nec... nec (nec poterat<br />

quisquam reperiri, quem neque morbus / nec mors nec luctus temptaret tempore<br />

tali) il poema concepito da Lucrezio proprio per combattere a Roma la<br />

stessa battaglia che Epicuro aveva condotta nel mondo ellenistico in <strong>di</strong>fesa<br />

dell’uomo: una battaglia per sottrarlo alla paura degli dei, al timore della<br />

morte, al timore dell’oltretomba, al timore del prossimo.<br />

De<strong>di</strong>cando il suo poema all’aristocratico Memmio, infatti, Lucrezio si<br />

rivolgeva alla classe <strong>di</strong>rigente nel momento delle guerre civili per invitarla<br />

alla pratica del “lathe biosas”, alla ricerca del piacere catastematico, e al<br />

vincolo della filia (amicizia) <strong>di</strong>sinteressata, capace <strong>di</strong> superare ad un tempo<br />

la grettezza del clientelismo romano, a cui si riducevano troppo spesso i<br />

– 145 –


apporti interpersonali, e l’in<strong>di</strong>vidualismo solitario, implicito nel <strong>di</strong>stacco<br />

dalla vita politica e sociale. Sappiamo che nel secondo secolo si era arrivati<br />

a un provve<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> espulsione nei confronti <strong>di</strong> due filosofi epicurei,<br />

Alceo e Filisco, che volevano <strong>di</strong>ffondere la loro dottrina a Roma; ma nel<br />

I secolo questa filosofia ebbe successo presso la classe <strong>di</strong>rigente sia tra i<br />

populares che tra gli optimates: epicureo fu Attico che rinunciò al cursus<br />

honorum in nome della cultura; un personaggio <strong>di</strong> rango consolare, Calpurnio<br />

Pisone Cesonino, si presentava come protettore <strong>di</strong> filosofi epicurei;<br />

nella sua villa <strong>di</strong> Ercolano teneva lezione Filodemo <strong>di</strong> Gadara; un altro<br />

cenacolo sorgeva a Napoli, dove sotto la guida <strong>di</strong> Sirone stu<strong>di</strong>arono giovani<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>versa estrazione sociale, fra i quali i <strong>di</strong>scendenti <strong>di</strong> varie famiglie nobili<br />

e i futuri poeti Virgilio e <strong>Orazio</strong>; anche Cesare, che entrò tar<strong>di</strong> nella lotta<br />

politica, aderì alla ricerca dell’atarassia e lo fece anche il futuro cesaricida<br />

Cassio. Lo stesso Cicerone appare allarmato dal potenziale eversivo <strong>di</strong><br />

questa dottrina rispetto ai valori tra<strong>di</strong>zionali del mos maiorum, il che equivale<br />

ad ammettere una larga penetrazione sociale dell’epicureismo, sia nelle<br />

sue versioni popolareggianti, me<strong>di</strong>ate dalla cattiva prosa <strong>di</strong> Amafinio e<br />

Cazio, <strong>di</strong> semplice perseguimento dell’edonismo e dei piaceri spiccioli, sia<br />

nella sua pratica più severa e nobile (Tusculanae, IV, 7).<br />

È bene perciò ricordare il punto centrale della filosofia epicurea riguardo<br />

al tema della morte.<br />

“La morte non è nulla per noi, perché ciò che si è <strong>di</strong>ssolto non ha più sensibilità; e<br />

ciò che non ha sensibilità non è nulla per noi”<br />

Con questo aforisma Epicuro cerca <strong>di</strong> fondare la tesi della per<strong>di</strong>ta totale<br />

della coscienza con la morte, poiché tutta la sua dottrina tende alla pacificazione<br />

dell’anima umana. Pertanto egli rifiuta innanzitutto le credenze che<br />

concepiscono l’anima come immortale e prevedono un sistema <strong>di</strong> premi e<br />

castighi eterni commisurati ai comportamenti tenuti dagli uomini durante la<br />

vita terrena; credenze che dovevano essere molto <strong>di</strong>ffuse a Roma nel I secolo<br />

a.C., se si pensa alla pratica dei riti misterici e alla filosofia <strong>di</strong> Platone che<br />

conclude la sua Repubblica con il mito <strong>di</strong> Er relativo al destino ultraterreno<br />

dei morti e ai premi e castighi che ad essi saranno assegnati per la condotta<br />

tenuta sulla terra: dottrina <strong>di</strong> cui avvertiamo un’eco suggestiva nel finale del<br />

De re publica <strong>di</strong> Cicerone, meglio noto come Somnium Scipionis. Anche la<br />

dottrina della metempsicosi, oltre a quella della sopravvivenza dell’anima<br />

dopo la morte e della sua preesistenza, apre in Platone prospettive escatologiche,<br />

quelle che prima Epicuro e poi il suo entusiasta <strong>di</strong>scepolo Lucrezio<br />

– 146 –


vogliono combattere. Ma ciò non basta: anche chi non è preoccupato della<br />

morte per timore <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio ultraterreno pensa ad essa con angoscia, e<br />

ciò fa parte del bagaglio comune <strong>di</strong> esperienza psicologica; perciò il filosofo<br />

greco insiste sulla per<strong>di</strong>ta della coscienza quando c’è la morte, dottrina<br />

riecheggiata da Lucrezio nel L.III del De rerum natura: “...noi possiamo<br />

essere certi che colui che più non esiste non può essere turbato da affanni”<br />

(v. 867). Epicuro, quando ci parla <strong>di</strong> “anima”, cioè <strong>di</strong> psyche, intende qualcosa<br />

<strong>di</strong> corporeo, costituito <strong>di</strong> atomi più leggeri, che si lega al corpo, fatto a<br />

sua volta <strong>di</strong> atomi più pesanti, un principio vitale <strong>di</strong>ffuso in tutte le membra,<br />

cosicché con la morte anche l’anima si <strong>di</strong>ssolverà, esattamente come il<br />

corpo, nella <strong>di</strong>sgregazione degli atomi costituenti l’uno e l’altra. Ne deriva la<br />

fine della coscienza, dell’animus o mens che è situato nel petto vicino al<br />

cuore, e che presiede ai processi interiori <strong>di</strong> gioia e dolore. Di qui l’assioma<br />

che non dobbiamo temere la morte perché non l’incontriamo mai: quando lei<br />

c’è non ci siamo noi, e quando ci siamo noi lei non c’è. È raggiunto così il<br />

primo obiettivo del tetrafarmacon: il superamento della paura della morte.<br />

Ora la cosa che stupisce in Lucrezio è l’entusiasmo per la dottrina del<br />

maestro, più volte esaltato come un uomo superiore, anzi come un <strong>di</strong>o, che<br />

ha liberato i viventi dai lacci delle superstizioni e delle angosce, e nello<br />

stesso tempo la presenza <strong>di</strong> scene poetiche piene <strong>di</strong> immagini <strong>di</strong> orrore e <strong>di</strong>sperazione,<br />

come quella della peste <strong>di</strong> Atene e il lungo passo del V libro<br />

sulla “culpa naturae”, culminante nell’immagine del neonato, che, espulso<br />

dal grembo materno, approda alle plaghe della luce emettendo “un lugubre<br />

vagito”, come è giusto per chi dovrà attraversare tante sofferenze, cosicché,<br />

unico tra gli esseri viventi, ha bisogno che la madre con sonagliuzzi e dolci<br />

vezzeggiamenti “il prenda a consolar dell’esser nato”.<br />

Non voglio addentrarmi sulla intima contrad<strong>di</strong>ttorietà <strong>di</strong> questa grande<br />

poesia che alterna a parti robustamente argomentative visioni poetiche<br />

piene <strong>di</strong> bellezza e <strong>di</strong> estasi contemplativa ed altre percorse da una angosciosa<br />

drammaticità. Questo è, infatti, un problema complesso, che investe<br />

una serie <strong>di</strong> questioni: il “pessimismo” <strong>di</strong> Lucrezio, la sua eventuale visionarietà,<br />

la conclusione luttuosa dei libri II, IV e VI 1 della sua opera, per la<br />

1 Nel finale del L.II appare il mondo che crolla su se stesso, nel finale del L.IV c’è una<br />

rappresentazione <strong>di</strong>sturbata della fenomenologia amorosa, e in particolare una satira misogina<br />

così ra<strong>di</strong>cale da aver rafforzato la leggenda della morte <strong>di</strong> Lucrezio per avvelenamento da un<br />

filtro d’amore; nel VI libro troviamo la descrizione della peste <strong>di</strong> Atene.<br />

– 147 –


quale si è fatto ricorso ad una giustificazione strutturale, quella della “legge<br />

della isocolia”, 2 la fedeltà del poeta all’epicureismo, la completezza stessa<br />

del De rerum natura: c’è infatti tra gli stu<strong>di</strong>osi chi sostiene che non in<br />

questo modo apocalittico doveva concludersi il poema, interrotto dalla<br />

morte improvvisa del suo autore. È certo che Epicuro aveva elaborato una<br />

filosofia materialistica coerente, soprattutto per illuminare le tenebre dell’ignoranza<br />

con la “ratio”, la conoscenza scientifica della natura, e quin<strong>di</strong><br />

offrire agli uomini una morale laica, mentre è <strong>di</strong>fficile ammettere che al<br />

grande poeta Lucrezio, così sensibile alla rappresentazione del dolore e tormentato<br />

dall’interrogativo “cur mors immatura vagatur?”, (perché la morte<br />

si aggira prematura fra i giovani?), sia riuscito appieno l’impegno <strong>di</strong> assicurare<br />

al lettore della sua straor<strong>di</strong>naria opera il raggiungimento dell’atarassia e<br />

la capacità <strong>di</strong> esorcizzare la paura in<strong>di</strong>viduale e collettiva della morte.<br />

Rispetto a questa rappresentazione della morte collettiva nella peste <strong>di</strong><br />

Atene, molto <strong>di</strong>versa negli Annales <strong>di</strong> Tacito appare quella delle nobili<br />

morti degli oppositori del regime imperiale.<br />

Occorre innanzitutto dare un giu<strong>di</strong>zio estetico-letterario su queste famosissime<br />

pagine e poi uno <strong>di</strong> natura politica e filosofica, poiché <strong>di</strong>etro le<br />

morti <strong>di</strong> Cremuzio Cordo, <strong>di</strong> Trasea Peto, <strong>di</strong> Seneca c’è la dottrina dello<br />

stoicismo.<br />

Negli Annales le uccisioni descritte sono al massimo una cinquantina<br />

raggruppate nell’arco <strong>di</strong> tre principati: ma l’effetto che la loro descrizione<br />

produce è moltiplicativo, non sommativo, così che, come per il Terrore giacobino,<br />

la nostra associazione mentale è assolutamente angosciosa: è proprio<br />

grazie a Tacito che Tiberio, Caligola o Nerone hanno per noi l’aspetto orrido<br />

<strong>di</strong> mostri sanguinari. A questo contribuisce lo stile del “barocco funerario”,<br />

come lo definisce in un suo saggio lo stu<strong>di</strong>oso francese Roland Barthes, con<br />

il quale Tacito riesce a <strong>di</strong>ssociare il fatto in sé dall’alone che lo circonda, <strong>di</strong>latandolo<br />

a <strong>di</strong>mensioni gran<strong>di</strong>ose. Sulle stragi <strong>di</strong> guerra o sulle carneficine<br />

servili Tacito quasi sorvola, non le ravviva né dona ad esse un’anima, e ciò<br />

<strong>di</strong>pende dalla sua scarsa sensibilità sociale e dalla sua ideologia conservatrice.<br />

Per comprendere questo limite che Tacito manifesta nelle sue pagine,<br />

2 Questa legge vuole appunto motivare la profonda simmetria strutturale del poema che<br />

alternerebbe questi finali drammatici alle aperture serene e a volte esultanti dei libri <strong>di</strong>spari:<br />

l’Inno a Venere del L.I, l’esaltazione <strong>di</strong> Epicuro rispettivamente nel L.III e L.V – Ci sono critici<br />

che sostengono che al quadro della peste <strong>di</strong> Atene doveva seguire una conclusione luminosa,<br />

che facesse da pendant all’apertura dell’Inno a Venere. Sicura è la mancata revisione finale del<br />

poema, pubblicato, com’è noto, proprio da Cicerone.<br />

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asterebbe il confronto con Cesare, che esalta la morte eroica dei suoi milites<br />

ancor più che quella degli ufficiali e dei condottieri, o il raffronto con la novella<br />

Libertà <strong>di</strong> Verga, ispirata alla strage <strong>di</strong> Bronte del 1860, in cui lo scrittore,<br />

senza parteggiare per i rivoltosi, ne rappresenta con straor<strong>di</strong>naria efficacia<br />

la protesta sociale, la furia omicida e il successivo smarrimento, ed infine<br />

la condanna da parte della giustizia “borghese”, da parte dei “cappelli”:<br />

gli assassini <strong>di</strong> un tempo sono <strong>di</strong>ventati vittime e Verga fa propria la loro<br />

protesta: “Perché mi condannate? Ma se c’era la libertà!” Ma questa è una<br />

rappresentazione letteraria con<strong>di</strong>zionata da milleesettecento anni <strong>di</strong> storia,<br />

dallo sviluppo del capitalismo, del liberalismo e della democrazia, dalla lotta<br />

<strong>di</strong> classe. Nell’ottica <strong>di</strong> Tacito, invece, da quando c’è l’impero, i citta<strong>di</strong>ni romani<br />

sono <strong>di</strong>ventati “fango”, una massa anonima, priva <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> valori,<br />

facile preda delle passioni e dei bisogni elementari: che questa folla viva o<br />

muoia, sembra importare poco a Tacito, che la <strong>di</strong>sprezza profondamente. Ora<br />

la politica è agita nel palazzo, tra cortigiani servili, delatori e tiranni folli e<br />

crudeli, secondo gli schemi propri del <strong>di</strong>spotismo <strong>di</strong> ogni età, ed è dunque<br />

l’in<strong>di</strong>vidualismo quello che conta. Per questo la storiografia tacitiana si nutre<br />

<strong>di</strong> biografia, procede per potenti ritratti psicologici e conferisce vera drammaticità<br />

solo alla morte in<strong>di</strong>viduale, quella che esce dall’anonimato.<br />

È la morte terribile <strong>di</strong> Agrippina, quella <strong>di</strong> Britannico, giovinetto fiero<br />

ed innocente, è il suici<strong>di</strong>o eroico della liberta Epicari, più virile, lei donna e<br />

già schiava, che non tanti citta<strong>di</strong>ni romani, senatori ed aristocratici, piegati<br />

alla delazione dalla paura e dalle torture: mentre il poeta Lucano, appartenente<br />

alla potente famiglia degli Annei e nutrito <strong>di</strong> filosofia stoica, arriva a<br />

denunciare ad<strong>di</strong>rittura sua madre, nella vana speranza <strong>di</strong> aver salva la vita,<br />

Epicari invece, benché il suo corpo sia tutto slogato, per non tra<strong>di</strong>re i congiurati<br />

e dubitando <strong>di</strong> se stessa, trova la forza <strong>di</strong> impiccarsi con una fascia al<br />

sostegno della lettiga in cui è adagiata.<br />

Memorabile è soprattutto il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Petronio, arbiter elegantiarum.<br />

“Per caso in quei giorni Cesare s’era recato in Campania e Petronio, che s’era<br />

spinto fino a Cuma, venne colà trattenuto; egli non sopportò l’idea <strong>di</strong> starsene più<br />

a lungo sospeso tra timore e speranza. Tuttavia non si tolse la vita con precipitazione,<br />

ma, secondo il suo capriccio, si fece tagliare le vene, poi richiudere, poi<br />

aprire <strong>di</strong> nuovo, mentre conversava con gli amici, non già su argomenti austeri o<br />

tali che gli procurassero fama <strong>di</strong> grande fermezza; né dagli amici egli voleva sentire<br />

nulla che trattasse dell’immortalità dell’anima o delle massime dei filosofi,<br />

ma solo poesie leggere e versi scherzosi. Ad alcuni schiavi fece dare delle ricompense,<br />

ad altri bastonate; si mise a tavola e si abbandonò al sonno, affinché la<br />

morte, sebbene imposta, sembrasse fortuita. Nemmeno nelle <strong>di</strong>sposizioni testa-<br />

– 149 –


mentarie egli si lasciò andare, come facevano i più che si toglievano la vita, ad<br />

adulare Nerone, Tigellino o qualunque altro; ma vi descrisse accuratamente la<br />

vita scandalosa del principe, citando con i loro nomi giovani corrotti e donne <strong>di</strong><br />

malaffare, e, per filo e per segno, l’enormità <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>ssolutezza del principe;<br />

quin<strong>di</strong>, postovi il sigillo, mandò ogni cosa a Nerone.<br />

Spezzò poi l’anello del sigillo, perché non dovesse più tar<strong>di</strong> servire a provocare<br />

altre vittime”.<br />

(Annales, L.XVI, cap. 19, traduzione <strong>di</strong> Mario Stefanoni)<br />

Questa uscita <strong>di</strong> scena è consona al personaggio, <strong>di</strong> cui Tacito ci ha<br />

consegnato un mirabile ritratto “paradossale”, come <strong>di</strong> uno scettico gaudente<br />

e raffinato che rivela insospettabili doti <strong>di</strong> governo e <strong>di</strong> energia nel comando<br />

militare. Ma questo tipo <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o fa in realtà da contraltare alla ambitiosa<br />

mors degli altri congiurati, per es. <strong>di</strong> Seneca. Infatti se sul piano artistico Tacito<br />

celebra gli exitus inlustrium virorum, conferendo ad essi quella finezza<br />

<strong>di</strong> rappresentazione psicologica e quello stile fatto <strong>di</strong> potenti scorci, <strong>di</strong> ellissi<br />

e <strong>di</strong> concisione nelle acute sententiae, sul piano ideologico lo storico in realtà<br />

anche nell’Agricola esprime il suo aperto <strong>di</strong>ssenso rispetto a scelte che non<br />

con<strong>di</strong>vide: poiché c’è sempre un legame tra le scelte della vita e della morte,<br />

lo stoicismo nell’età imperiale era <strong>di</strong>ventato, anche grazie alla setta dei Sestii,<br />

la filosofia degli oppositori del regime, senatori scontenti, che rimpiangevano<br />

la Libertas repubblicana per conservatorismo, ed avevano creato il<br />

mito politico ed umano <strong>di</strong> Catone Uticense (come risulta chiaro dal poema<br />

lucaneo 3 della Pharsalia). Costoro filosofeggiavano, e all’occorrenza congiuravano<br />

contro il tiranno, per poi suicidarsi e proporsi come martiri del<br />

regime. Tacito ritiene sterile e velleitario questo tipo <strong>di</strong> opposizione, capace<br />

<strong>di</strong> produrre danni alla res publica, a cui i congiurati sottraevano contributi <strong>di</strong><br />

3 Come altri poeti ed intellettuali contemporanei Lucano, nipote <strong>di</strong> Seneca, si era lasciato<br />

lusingare dal programma neroniano <strong>di</strong> rinascita delle humanae litterae e dal mecenatismo dell’imperatore;<br />

<strong>di</strong> questa illusione rimane traccia nell’elogio <strong>di</strong> Nerone che ricorre nei libri iniziali<br />

del Bellum Civile, poema noto anche col titolo <strong>di</strong> Pharsalia. Successivamente gli aspetti illiberali<br />

e maniacali <strong>di</strong> Nerone gli alienarono questi consensi, e Lucano stesso esprime la sua avversione<br />

all’impero facendo <strong>di</strong> Catone Uticense il vero e proprio eroe positivo della storia del I sec.<br />

a.C., mentre in luce sfavorevole appaiono Cesare e in qualche misura Pompeo: da qui nasce la<br />

lunga tra<strong>di</strong>zione che accompagnando la fortuna del poema lucaneo, straor<strong>di</strong>naria per tutto il<br />

Me<strong>di</strong>oevo, giunge fino a Dante che <strong>di</strong> Catone fa il severo custode del Purgatorio: eppure si<br />

trattava <strong>di</strong> un pagano e <strong>di</strong> un suicida! Quanto a Lucano, entrò anche lui nella congiura dei Pisoni<br />

(64 d.C.) e Tacito ne rievoca la morte, macchiata dalla vergogna <strong>di</strong> una denuncia fatta dal poeta<br />

a carico della propria madre, nel vano tentativo <strong>di</strong> sfuggire così alla repressione neroniana ed<br />

alla propria fine.<br />

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officia e negotia che invece Agricola, e Tacito stesso, avevano continuato a<br />

prestare all’impero, <strong>di</strong>mostrando quale debba essere la condotta <strong>di</strong> un uomo<br />

onesto e <strong>di</strong> un onesto funzionario al tempo della <strong>di</strong>ttatura.<br />

Dunque se è vero che – imposta o scelta – la morte, o l’uccisione pro<strong>di</strong>toria,<br />

assumono una innegabile grandezza artistica e morale nelle pagine<br />

degli Annales, soprattutto in quelle riservate alla congiura <strong>di</strong> Pisone, è innegabile<br />

che il suici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Petronio, <strong>di</strong>staccandosi dall’enfasi drammatica <strong>di</strong><br />

chi filosofeggia morendo, incarna una parte delle riserve dello storico,<br />

emerse molto chiaramente proprio nell’elogio del suocero Agricola. 4 Era<br />

stata d’altronde la posizione ideologica dello stesso Tacito, il quale aveva<br />

servito l’impero anche sotto la tirannia <strong>di</strong> Domiziano, senza lasciarsi contaminare<br />

dai crimini e dai delitti che la caratterizzavano.<br />

Quando alla fine del Settecento la borghesia conquista, dopo il potere<br />

economico, anche quello politico, la letteratura e le arti interpretano in<br />

modo nuovo il tema della morte. Dapprima nell’ambito del neoclassicismo,<br />

poi con la rivoluzione romantica ed infine con il trionfo del romanzo in tutta<br />

la sua ricca tipologia, questo tema subisce una rivisitazione in chiave via via<br />

più moderna e più vicina alla nostra sensibilità; l’arte si accompagna necessariamente<br />

all’evoluzione del costume e dell’immaginario collettivo: basti<br />

pensare agli eroi romantici del suici<strong>di</strong>o, quali Werther e Ortis, alle morti<br />

e<strong>di</strong>ficanti <strong>di</strong> Adelchi ed Ermengarda nel Manzoni, alle impassibili ed agghiaccianti<br />

descrizioni della fine <strong>di</strong> papà Grandet in Balzac, <strong>di</strong> Madame<br />

Bovary in Flaubert e <strong>di</strong> Nana in Zola, o allo splen<strong>di</strong>do romanzo già profondamente<br />

“esistenzialistico” <strong>di</strong> Tolstoi: La morte <strong>di</strong> Ivan Illich, su cui si<br />

sarebbe sviluppata la riflessione <strong>di</strong> Heidegger.<br />

Nell’area tedesca dello Sturm und Drang il dolore cosmico e il <strong>di</strong>sgusto<br />

per il filisteismo <strong>di</strong> una società, ancora largamente feudale nel suo assetto,<br />

inducono al suici<strong>di</strong>o “anime belle”, tormentate dall’anelito all’infinito, pur<br />

in assenza <strong>di</strong> motivazioni politiche – ed è il caso <strong>di</strong> Werther –, mentre<br />

in Italia Ortis si uccide anche in conseguenza <strong>di</strong> “una delusione storica”.<br />

Nei romanzi epistolari <strong>di</strong> Goethe e <strong>di</strong> Foscolo, come poi nelle Canzoni<br />

4 Si tratta della monografia intitolata appunto Agricola, in cui la critica ha riconosciuto il<br />

genere misto della biografia e dell’elogio funebre: quello che Tacito fa del proprio suocero, con<br />

intenti anche <strong>di</strong> apologia personale, rispetto a coloro (e dovevano essere molti!) che con l’avvento<br />

<strong>di</strong> Traiano intendevano far pagare a Tacito il suo attivismo politico a fianco <strong>di</strong> Domiziano,<br />

o<strong>di</strong>oso tiranno, in un’epurazione dei ranghi amministrativi e delle carriere militari che appariva<br />

nella logica della transizione ad un regime imperiale “illuminato”.<br />

– 151 –


leopar<strong>di</strong>ane <strong>di</strong> Bruto e Saffo, questi eroi Romantici esprimono una filosofia<br />

dolorosa e solitaria, in cui emerge il rifiuto delle gran<strong>di</strong> utopie illuministiche<br />

e della Ragione, la quale con il suo slancio costruttivo aveva mo<strong>di</strong>ficato<br />

la storia, il costume, le istituzioni. Ora, ripiegando sull’intimismo e<br />

soprattutto sulla passione amorosa contrastata ed impossibile, rispettivamente<br />

per Carlotta e per Teresa, Werther e Ortis piegano il capo sfiduciati<br />

davanti a pregiu<strong>di</strong>zi e convenzioni, e si immolano sul rogo del Sentimento.<br />

Quel sentimento che Rousseau aveva rivalutato, intendendo però farne una<br />

potente leva in funzione dell’eversione politica e sociale. Si <strong>di</strong>scute se il<br />

carattere <strong>di</strong> tali suici<strong>di</strong> sia quello del naufragio intriso <strong>di</strong> vittimismo, o<br />

quello della protesta, straripante <strong>di</strong> ubris, contro il padre (il signor T* e<br />

Napoleone, secondo l’ipotesi critica psicoanalitica proposta da Amoretti a<br />

proposito del romanzo <strong>di</strong> Foscolo): il mito <strong>di</strong> Prometeo, che è infatti al<br />

centro dell’interesse drammaturgico degli stürmer, sembrerebbe avvalorare<br />

piuttosto la tesi <strong>di</strong> una componente ribellistica e titanica all’interno <strong>di</strong><br />

queste scelte suicide.<br />

In ogni caso il modello letterario eserciterà un’influenza negativa sui<br />

giovani nell’età della Restaurazione, fino al punto da indurre Goethe ad una<br />

sorta <strong>di</strong> sconfessione della sua opera giovanile più fortunata. Dunque non<br />

solo oggi la cronaca deve registrare la fragilità psicologica <strong>di</strong> tanti ragazzi<br />

che rifiutano <strong>di</strong> vivere e che plasmano le loro morti sull’imitazione del loro<br />

ultimo mito me<strong>di</strong>atico; ciò è accaduto evidentemente anche agli esor<strong>di</strong> del<br />

sec. XIX.<br />

Ma, guardando sempre alla società civile, a partire dalla fine del Settecento,<br />

i governi si preoccupano <strong>di</strong> regolamentare le procedure per l’inumazione<br />

dei cadaveri e per la sistemazione dei cimiteri in spazi suburbani, lontani<br />

dalle cinte murarie, (si possono citare la legislazione <strong>di</strong> Maria Teresa<br />

per l’Impero austriaco, e quin<strong>di</strong> anche per la Lombar<strong>di</strong>a, e, più tar<strong>di</strong>, l’e<strong>di</strong>tto<br />

napoleonico <strong>di</strong> Saint Cloud). Haussman, il più grande architetto ed<br />

urbanista del sec. XIX, ri<strong>di</strong>segnando il volto <strong>di</strong> Parigi, concepisce e fa realizzare<br />

il modello dei nuovi cimiteri europei, il Père Lachaise, che appare ai<br />

visitatori con le caratteristiche <strong>di</strong> un grande parco, abbellito da monumenti<br />

funebri, viali, piante ecc., in aperto contrasto con le prospettive escatologiche<br />

del terribile Giu<strong>di</strong>zio Universale tanto temuto dai cristiani. L’opinione<br />

pubblica apre al riguardo un <strong>di</strong>battito nel quale prevale una mentalità<br />

laica. È favorevole alle nuove misure igienico-sanitarie la borghesia europea<br />

che non crede nella sopravvivenza ultraterrena dell’anima e valorizza<br />

– 152 –


la vita terrena in una prospettiva <strong>di</strong> autoaffermazione e <strong>di</strong> perpetuazione del<br />

proprio ricordo nelle opere nobili realizzate; assumono invece posizioni più<br />

tra<strong>di</strong>zionaliste il clero e quella fetta della popolazione che non accetta <strong>di</strong><br />

rinnegare il culto cattolico, la presenza delle tombe nelle chiese, il fasto lugubre<br />

dello stile funerario barocco, e il memento mori delle epigrafi, dei riti<br />

espiatori e del sistema delle indulgenze.<br />

Un’eco <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>battito si avverte nel carme de I Sepolcri <strong>di</strong> Foscolo,<br />

la cui filosofia è tutta mondana ed antiascetica, avendo ere<strong>di</strong>tato il pensiero<br />

materialistico ed ateo <strong>di</strong> La Mettrie, Holbach ed Helvétius, per il quale<br />

l’anima non sopravvive al corpo e la tomba dunque non serve al morto, ma<br />

al vivo, nutrendo in lui “l’illusione” <strong>di</strong> una sopravvivenza del proprio valore<br />

in<strong>di</strong>viduale nella storia e nella poesia.<br />

Non sapendo rassegnarsi al “nulla eterno” 5 a cui in termini materialistici<br />

si riduce la morte, l’uomo deve ritornare al culto del sepolcro, come<br />

nodo d’affetti per cui si vive “con l’amico estinto e l’estinto con noi”, con la<br />

donna amata e con il “passegger solingo” che ode il sospiro che dal “tumulo<br />

a noi manda natura”.<br />

Il pensiero della morte si trasforma perciò in una vigorosa riaffermazione<br />

della vita e dei suoi valori, investiti da un sentimento mitizzante tutto<br />

foscoliano: l’“armonia del giorno”, “la bella d’erbe famiglia e d’animali”,<br />

lo “spirto delle vergini Muse e dell’amore”, la danza delle Ore future con<br />

il loro corteo <strong>di</strong> speranze e promesse. La critica ha infatti osservato che<br />

dall’ardua tessitura concettuale del carme è possibile enucleare una serie <strong>di</strong><br />

petrarcheschi Trionfi, sottratti all’ispirazione profondamente cristiana tipica<br />

del Me<strong>di</strong>oevo: il Trionfo della morte sulla vita (vv. 1-20), quello del sepolcro<br />

sulla morte (vv. 21-210), del tempo sul sepolcro (vv. 211-235), della<br />

poesia eternatrice sul tempo (vv. 236-275). In definitiva sul nucleo originario<br />

del pensiero materialistico si riafferma una concezione idealistica, che<br />

rimanda soprattutto a Vico e al suo culto <strong>di</strong> Omero e del poeta-vate (cfr.<br />

Asor Rosa e Pagliaro). Il carme si chiude infatti con l’immagine del cieco<br />

cantore che abbraccia le urne nella Troade “inseminata” e con l’esaltazione<br />

del sangue <strong>di</strong> Ettore versato per la patria. Presto tutta una generazione <strong>di</strong> patrioti,<br />

a partire da Mazzini, riconoscerà il carattere risorgimentale <strong>di</strong> questa<br />

poesia che il pathos civile e politico sottrae all’ambito dell’autobiografismo,<br />

facendone un modello <strong>di</strong> arte impegnata.<br />

5 Sonetto Alla Sera <strong>di</strong> Foscolo: “Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme / che vanno al<br />

nulla eterno”.<br />

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Grande è perciò la <strong>di</strong>stanza dei Sepolcri dalla produzione sepolcrale<br />

inglese tardo-settecentesca, nella quale era prevalso un gusto sentimentale,<br />

espresso talora in forme me<strong>di</strong>tative e malinconiche. È il caso della Elegia<br />

sopra un cimitero campestre <strong>di</strong> Thomas Gray che avvolge nella luce del<br />

crepuscolo la visione <strong>di</strong> tombe modeste, nelle quali sono racchiuse le ceneri<br />

<strong>di</strong> uomini ignorati dalla storia; e queste virtù sconosciute il poeta intende<br />

rievocare e celebrare. Collocandosi al punto più alto del processo storico<br />

della rivoluzione inglese, questa elegia precorre – ed insieme influenza –<br />

una concezione democratica del ruolo del poeta che sarà propria <strong>di</strong> Wordsworth,<br />

<strong>di</strong> Tolstoi e <strong>di</strong> George Eliot:<br />

“I rintocchi della campana salutano il giorno che muore,<br />

l’armento si <strong>di</strong>sperde muggendo per i pascoli,<br />

il conta<strong>di</strong>no volge i passi affaticati verso casa,<br />

e lascia il mondo alle tenebre e a me.<br />

Forse in questo luogo abbandonato giace<br />

Qualche cuore una volta ardente <strong>di</strong> fuoco celeste,<br />

mani che avrebbero potuto impugnare lo scettro del comando,<br />

o destare l’estasi con la lira vibrante <strong>di</strong> vita.<br />

Ma il Sapere non volse mai ai loro occhi<br />

Il suo grande volume ricco delle spoglie del tempo.<br />

Il freddo della povertà represse il loro nobile ardore<br />

E ne gelò in fondo all’anima le vocazioni”<br />

(traduzione <strong>di</strong> D. Caminita - vv. 1/5 e 45/54).<br />

A nessuno sfugge l’ideologia democratica che ispira questi versi. Foscolo<br />

invece, dopo una fase giacobina, coincisa con la <strong>di</strong>scesa dell’armata<br />

francese in Italia e la proclamazione della Repubblica Veneta, in seguito alla<br />

delusione indotta dal tra<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> Napoleone (trattato <strong>di</strong> Campoformio,<br />

1798), ripu<strong>di</strong>a l’ideologia egualitaria e democratica, e si volge all’esaltazione<br />

dei “forti”, cioè <strong>di</strong> un’élite intellettuale e spirituale che opera bene<br />

sulla terra, pratica la virtù, ama il bello ideale e la poesia, vive con la passione<br />

<strong>di</strong> Ortis, prefigurandosi una patria per la cui libertà lottare e morire:<br />

questa tipologia umana – non nobile <strong>di</strong> nascita ma <strong>di</strong> cuore e <strong>di</strong> animo – è<br />

l’unica che “lasci ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> affetti” e che dunque abbia <strong>di</strong>ritto al culto delle<br />

tombe. Questo forte in<strong>di</strong>vidualismo meritocratico – che lega la memoria dei<br />

superstiti alla grandezza e alle passioni del morto – sarebbe pur esso in linea<br />

con il pensiero borghese se non si esprimesse in Foscolo in forme elitarie, e<br />

quin<strong>di</strong> aristocratiche, ispirate all’estetica winckelmanniana della “nobile<br />

semplicità e quieta grandezza”: forme che il poeta raccoglie nei Sepolcri<br />

dalla tra<strong>di</strong>zione romanza e classica, riecheggiando Petrarca, Lucrezio,<br />

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Omero, <strong>Orazio</strong> e Pindaro, ad esempio nella densità concettuale delle transizioni,<br />

e nella preziosità sublime del lessico. I frequenti latinismi, i riferimenti<br />

mitologici, gli iperbati, le metonimie, le audaci inversioni, le costruzioni<br />

alla greca, i valori simbolici delle onomatopee, tutto rimanda al gusto<br />

del neoclassicismo romantico <strong>di</strong> cui la lirica foscoliana è, con quella <strong>di</strong><br />

Keats e <strong>di</strong> Hölderlin, l’estrema e più nobile espressione. Vengono dunque a<br />

collocarsi su un piano <strong>di</strong> profonda affinità la tela neoclassica <strong>di</strong> David che<br />

esalta in termini politici e <strong>di</strong> serena compostezza la morte del tribuno<br />

Marat, eroe della rivoluzione francese, e la celebrazione foscoliana dei<br />

gran<strong>di</strong> italiani, le cui “urne”, racchiuse in Santa Croce, potranno affidare “ai<br />

forti” – alle generazioni che verranno – il compito <strong>di</strong> “trarne gli auspici”:<br />

attraverso la mitologia degli uomini gran<strong>di</strong> in tutti i campi dello scibile, da<br />

Galileo a Machiavelli, da Michelangelo ad Alfieri, da Dante a Petrarca si ra<strong>di</strong>cherà<br />

nelle future generazioni l’idea <strong>di</strong> nazione, e prenderà vita il risorgimento<br />

<strong>di</strong> un popolo che allora, nel 1806, anno <strong>di</strong> composizione dei Sepolcri,<br />

era ancora “un volgo <strong>di</strong>sperso che nome non ha”.<br />

Conformemente a questa ideologia laica e mondana, ne I Sepolcri la<br />

condanna del sentimento barocco della morte risalta con evidenza nei versi<br />

destinati ai culti me<strong>di</strong>evali.<br />

“Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi<br />

fean pavimento; né agl’incensi avvolto<br />

de’ cadaveri il lezzo i supplicanti<br />

contaminò; né le città fur meste<br />

d’effigiati scheletri: le madri<br />

balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono<br />

nude le braccia su l’amato capo<br />

del lor caro lattante onde nol desti<br />

il gemer lungo <strong>di</strong> persona morta<br />

chiedente la venal prece agli ere<strong>di</strong><br />

dal santuario” (vv. 104-114).<br />

È un passo <strong>di</strong> gusto lugubre in cui il virtuosismo stilistico del poeta ha<br />

funzione polemica: ne sono in<strong>di</strong>zio quei particolari della “venal prece”, del<br />

“gemer lungo”, “del lezzo dei cadaveri” mescolato al profumo degli incensi,<br />

e la paura delle madri “esterrefatte”, che si destano in preda agli incubi e proteggono<br />

con gesto drammatico i loro nati dalla vista degli scheletri effigiati<br />

nelle sculture delle città. A questa condanna della tra<strong>di</strong>zione cristiana, che<br />

utilizzava in senso terroristico il <strong>di</strong>scorso sulla morte e sull’al<strong>di</strong>là, si contrappone,<br />

subito dopo, la rievocazione del culto antico: il colloquio con il caro<br />

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estinto si svolge in un locus amoenus, un paesaggio sereno <strong>di</strong> amaranti, viole<br />

e fontane lustrali. È il grande mito della classicità che illumina questa ed altre<br />

scene più drammatiche de I Sepolcri, specie nel finale, creando un continuum<br />

spirituale tra i moderni e i Greci, per sublimare poeticamente e travestire <strong>di</strong><br />

forme, desunte da un nobile passato, il mondo della potente e spesso utilitaria<br />

borghesia contemporanea. In definitiva questa chiave <strong>di</strong> interpretazione<br />

foscoliana del culto funebre costituisce un corrispettivo stilistico ed estetico<br />

delle gran<strong>di</strong> Tombe <strong>di</strong> Alfieri e <strong>di</strong> Maria Cristina d’Austria, realizzate da<br />

Canova, anch’esse in funzione antibarocca: sublimi e solenni, ma classiche<br />

nella loro monumentale serenità. 6<br />

Il romanticismo, con la sua poliedrica ricchezza <strong>di</strong> motivi e stilemi, privilegia<br />

il tema della morte a tal punto che un raffinato saggista, quale Mario<br />

Praz, ha potuto scrivere il suo libro più famoso intitolandolo La carne, la<br />

morte e il <strong>di</strong>avolo nella letteratura romantica. Naturalmente si può <strong>di</strong>scutere<br />

il criterio storiografico per il quale D’Annunzio e Baudelaire vengono posti<br />

sullo stesso piano <strong>di</strong> Byron e <strong>di</strong> Delacroix, essendo molto più chiara oggi<br />

l’appartenenza dei primi due ad un’area già propriamente decadente, ma le<br />

linee interpretative globali rimangono suggestive e inconfutabili: il gusto<br />

morboso del <strong>di</strong>sfacimento, della putre<strong>di</strong>ne, della violenza e del sangue, della<br />

morte con le sue componenti <strong>di</strong> erotica perversione fa effettivamente parte<br />

della rivoluzione espressiva e tematica dell’irrazionalismo romantico come<br />

poi <strong>di</strong> quello decadente ed estetizzante.<br />

Così i quadri <strong>di</strong> Delacroix fastosamente esaltano la violenza dei soggetti<br />

mortuari con uno stile rutilante e lussureggiante, nel Massacro <strong>di</strong> Scio, negli<br />

stu<strong>di</strong> sulle tigri che si azzannano, persino nella personificazione della Libertà<br />

che erge il suo vessillo su cumuli <strong>di</strong> cadaveri; nell’area del simbolismo novecentesco<br />

le stesse componenti <strong>di</strong> gusto trionferanno in modo più cerebrale ed<br />

intellettualistico. Nella Salomé <strong>di</strong> Moreau, oggetto <strong>di</strong> culto da parte dell’este-<br />

6 Nei monumenti funebri <strong>di</strong> Canova si ripete il tema della “soglia”, che tutti dobbiamo<br />

varcare, e che iconograficamente viene rappresentata in vario modo: nel caso della tomba <strong>di</strong><br />

Clemente XIV nella basilica dei Santi Apostoli a Roma, la porta della sacrestia che il monumento<br />

sovrasta viene genialmente inglobata nell’architettura, con la mano destra del pontefice<br />

che dall’alto la in<strong>di</strong>ca perché il fedele la attraversi; nella tomba <strong>di</strong> Maria Cristina d’Austria nella<br />

chiesa degli Agostiniani a Vienna un corteo aperto da un fanciullo si <strong>di</strong>rige verso la soglia<br />

fatale, che spicca con la sua ombra nel complesso architettonico luminoso, per deporvi le ceneri<br />

contenute in un’urna. La simbologia sembra esprimere il monito ad accettare il destino che può<br />

coglierci in qualunque età, se è vero che ultimo si avanza un vecchio dolente.<br />

– 156 –


tismo, (tema abusato nell’arte del tempo: si pensi a R. Strauss, a D’Annunzio<br />

e a Wilde, a Mallarmé e Flaubert, per citare tutti gli autori che a questo celebre<br />

personaggio biblico si sono ispirati nel giro <strong>di</strong> pochi anni), la tipologia<br />

della donna-vampiro, lussuriosa e perversa, si contamina con la <strong>di</strong>ssacrazione<br />

del soggetto religioso, cosicché l’ostensione della testa <strong>di</strong> Giovanni<br />

Battista implica il sottile brivido dell’eros.<br />

In questo modo il fondo mostruoso dell’animo umano, il “sottosuolo”<br />

per <strong>di</strong>rla con Dostojewskij, gli orrifici fantasmi a <strong>di</strong>mensione onirica e tutto<br />

ciò che si lega al visionario si addensano in un’unica immagine della morte,<br />

come accade nel romanzo <strong>di</strong> Th. Mann La Morte a Venezia dove, sia pure in<br />

forme limpidamente classiche e tra<strong>di</strong>zionali, trova espressione il gusto<br />

bizantino dell’Oriente che propone un volto della città lagunare in linea con<br />

il gusto del decadentismo: sullo sfondo <strong>di</strong> un’epidemia <strong>di</strong> colera, la morte<br />

<strong>di</strong>venta simbolo osceno <strong>di</strong> corruzione e <strong>di</strong> decadenza senile, quando Gustav<br />

von Aschenbach, un severo stu<strong>di</strong>oso, si trasforma in poche settimane in<br />

grottesco pagliaccio, innamorato <strong>di</strong> un enigmatico efebo e si prepara a<br />

morire per lui in un circuito <strong>di</strong> crescente ebbrezza ed abiezione.<br />

“Questa era Venezia, la bella e lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà<br />

trappola, nella cui atmosfera corrotta l’arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che<br />

suggerì ai musicisti melo<strong>di</strong>e che cullano in sogni voluttuosi. All’errante sembrava<br />

che i suoi occhi si abbeverassero <strong>di</strong> quella sontuosità, che il suo orecchio fosse<br />

corteggiato da quelle melo<strong>di</strong>e; ricordava anche che la città era malata, ma lo teneva<br />

nascosto per sete <strong>di</strong> guadagno, e scrutava con maggior frenesia la gondola<br />

che ondeggiava davanti a lui. Così lo smarrito non desiderava altro che seguire<br />

senza ritegno l’oggetto che lo infiammava, sognava <strong>di</strong> lui quando era assente<br />

e, come sogliono gli innamorati, rivolgeva parole tenere anche soltanto alla sua<br />

ombra. La solitu<strong>di</strong>ne, il paese straniero e la gioia <strong>di</strong> un’ebbrezza tar<strong>di</strong>va e<br />

profonda lo incoraggiavano e lo spingevano a permettersi senza timore o vergogna<br />

le cose più strane, come era avvenuto una sera che, tornando tar<strong>di</strong> da Venezia, era<br />

salito al primo piano dell’albergo e s’era fermato davanti alla porta <strong>di</strong> Tadzio,<br />

quasi folle, col capo appoggiato allo stipite della porta, e per lungo tempo non era<br />

più riuscito a staccarsene, col rischio <strong>di</strong> essere sorpreso mentre si trovava in una<br />

posa così pazzesca”.<br />

Ma per non andare troppo in là con una ricerca che ci allontanerebbe<br />

dalla letteratura italiana, va ricordato che essa non ha conosciuto nell’Ottocento<br />

le manifestazioni più estreme del romanticismo irrazionalistico; perciò<br />

va dato maggiore rilievo alla presenza ossessiva <strong>di</strong> simboli funerei in<br />

Myricae e ne I Canti <strong>di</strong> Castelvecchio <strong>di</strong> Pascoli. Ben <strong>di</strong>ssimulati dall’apparente<br />

tenuità delle scelte tematiche e stilistiche, questi simboli contribuiscono<br />

– 157 –


al rinnovamento della nostra poesia grazie alla sensibilità morbosa dell’autore<br />

più che per la sua appartenenza consapevole alla poetica del decadentismo:<br />

egli ha rivolto la sua perizia tecnica, maturata ancora una volta nel<br />

limae labor del classicismo, ad una trasformazione dall’interno, più profonda,<br />

anche se meno vistosa, <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> D’annunzio.<br />

NOVEMBRE<br />

Gemmea l’aria, e il sole così chiaro<br />

Che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,<br />

e del prunalbo l’odorino amaro<br />

senti nel cuore.<br />

Ma secco è il pruno, e le stecchite piante<br />

Di nere trame segnano il sereno,<br />

e vuoto il cielo, e cavo al pié sonante<br />

sembra il terreno.<br />

Silenzio intorno: solo, alle ventate,<br />

o<strong>di</strong> lontano, da giar<strong>di</strong>ni ed orti,<br />

<strong>di</strong> foglie un cader fragile. È l’estate,<br />

fredda, dei morti.<br />

Nella perfezione cristallina dell’ode saffica, nel cuore stesso della precisione<br />

semantica degna <strong>di</strong> un ornitologo e <strong>di</strong> un botanico, Pascoli sa aprire<br />

sospensioni e brivi<strong>di</strong>, sottolineati da sinestesie (un cader fragile), da pause<br />

sapienti, dal ritmo franto delle costruzioni nominali, dall’infittirsi della punteggiatura,<br />

cosicché il ”mazzolin <strong>di</strong> rose e <strong>di</strong> viole” della tra<strong>di</strong>zione i<strong>di</strong>lliaca,<br />

dall’Arca<strong>di</strong>a giù giù fino a Leopar<strong>di</strong>, perde ogni connotazione gioiosa<br />

e si trasfigura in un inquietante “simbolismo mortuario degli oggetti”, come<br />

accade nel Gelsomino notturno:<br />

E s’aprono i fiori notturni,<br />

nell’ora che penso ai miei cari.<br />

Sono apparse in mezzo ai viburni<br />

Le farfalle crepuscolari.<br />

Sono le tenaci presenze fantasmatiche dei cari morti che impe<strong>di</strong>scono al<br />

poeta <strong>di</strong> “andare” e <strong>di</strong> allontanarsi dal “nido” ancestrale, bloccandolo ad una<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> turbamento, quello <strong>di</strong> un adolescente che rimuove il sesso o<br />

lo sente come sangue e violenza:<br />

È l’alba: si chiudono i petali<br />

Un poco gualciti; si cova<br />

Dentro l’urna molle e segreta,<br />

non so che felicità nuova.<br />

– 158 –


In tutto il componimento, che nonostante le apparenze, si ricollega alla<br />

tra<strong>di</strong>zione degli epitalami, essendo stato composto in occasione delle nozze<br />

<strong>di</strong> un amico, Gabriele Briganti, e del concepimento del suo primo figlio, il<br />

contrappunto vita-morte è proposto attraverso relazioni e metafore assai delicate<br />

quasi impalpabili, come quelle necrofile de I due cugini:<br />

I<br />

Si amavano i bimbi cugini.<br />

Pareva, un incontro <strong>di</strong> loro,<br />

l’incontro <strong>di</strong> due lucherini:<br />

volavano. Nell’abbracciarsi<br />

i tocchi cadevano, e l’oro<br />

mescevano i riccioli sparsi.<br />

Poi l’uno appassì, come rosa<br />

Che in boccio appassisce nell’orto:<br />

ma l’altra la piccola sposa<br />

rimase del piccolo morto.<br />

II<br />

Tu, piccola sposa, crescesti:<br />

man mano intrecciavi i capelli,<br />

man mano allungavi le vesti.<br />

Crescevi sott’occhi che negano<br />

ancora; ed i petali snelli<br />

cadevano: il fiore già lega.<br />

Ma l’altro non crebbe. Dal mite<br />

suo cuore, ora, senza perché,<br />

fioriscono le margherite<br />

e i non ti scordare <strong>di</strong> me.<br />

III<br />

Ma tu... ma tu l’ami. Lo ve<strong>di</strong>,<br />

lo chiami. La senti da lunge<br />

la fretta dei taciti pie<strong>di</strong>...<br />

Tu l’ami, egli t’ama tuttora;<br />

ma egli col capo non giunge<br />

al seno tuo nuovo che ignora.<br />

Egli esita: avanti la pura<br />

Tua fronte ricinta d’un nimbo,<br />

piangendo l’antica sventura<br />

tentenna il suo capo <strong>di</strong> bimbo.<br />

Come ha sostenuto nelle prose del Fanciullino, il poeta riscopre nelle<br />

cose il loro segreto, il loro mistero, ormai <strong>di</strong>ssipato e <strong>di</strong>strutto dalla raziona-<br />

– 159 –


lità e dalla scienza, ed è in quegli stupori tramati <strong>di</strong> brivi<strong>di</strong> sottili e sospensioni<br />

angosciose che può trovare voce una <strong>di</strong>mensione lirica frammentaria e<br />

moderna, in cui il paesaggio rurale, i lavori dei campi e le siepi e le nebbie,<br />

il lampo e il tuono e la stessa notte del X Agosto col suo “pianto <strong>di</strong> stelle<br />

sull’atomo opaco del male” non hanno più niente da spartire né col classicismo<br />

bucolico né con il verismo rusticano.<br />

Ma sul tema della morte l’apporto più interessante dal punto <strong>di</strong> vista sociologico<br />

non può che venire dalla narrativa del realismo e del verismo:<br />

l’arte perfetta <strong>di</strong> Flaubert non solo rappresenta l’agonia <strong>di</strong> Madame Bovary,<br />

suicidatasi con l’arsenico, in tutto il suo sviluppo, dai dolori lancinanti alla<br />

fase <strong>di</strong> una labile quiescenza fino alla respirazione che solleva le costole e<br />

al roteare degli occhi e alla fuoriuscita della lingua, ma intorno al letto della<br />

moribonda <strong>di</strong>spone la pietà, la superficialità, la chiacchiera degli altri personaggi<br />

e la <strong>di</strong>sperazione autentica, quella del marito, la vista della bambina<br />

che si spaventa e viene quin<strong>di</strong> allontanata. È il rituale della società ottocentesca,<br />

in cui soli non si poteva morire, come d’altronde due secoli prima, né<br />

nelle case dei poveri né nelle <strong>di</strong>more regali. E la presenza dei bambini era<br />

ad<strong>di</strong>rittura necessaria: al funerale partecipavano oltre alle beghine e alle<br />

prefiche prezzolate tutti gli orfanelli e le orfanelle degli istituti religiosi,<br />

mentre la comunità interveniva all’elaborazione del lutto da parte dei superstiti<br />

con le visite <strong>di</strong> condoglianza.<br />

Soprattutto nella letteratura meri<strong>di</strong>onale, e dei siciliani in modo specifico,<br />

è documentata la consuetu<strong>di</strong>ne dell’affollamento nella stanza del moribondo:<br />

in Paolo il caldo <strong>di</strong> Vitaliano Brancati, estranei, curiosi e parenti si<br />

accalcano nella stanza del barone Castorini, pigiandosi nel corridoio, sulla<br />

soglia, per seguire le pratiche del me<strong>di</strong>co, le parole dell’agonizzante, le preghiere<br />

delle prefiche che si prolungheranno nella notte durante la veglia funebre<br />

intorno al cataletto, interrotte dall’urlo rituale, dai gemiti e dalle manifestazioni<br />

teatrali del dolore. Un’ere<strong>di</strong>tà dei threnoi della Magna Graecia<br />

in cui il cristianesimo si è inserito con il sacramento dell’Estrema Unzione<br />

(Il Viatico) annunziato da un campanello funebre che gettava angoscia nelle<br />

strade del paese, ricordando a tutti il comune destino. Anche nelle tele dei<br />

pittori ottocenteschi (si pensi a Courbet) il soggetto è presente: prete e chierichetto<br />

procedono verso la casa del morente come in una lugubre processione.<br />

Ma il romanzo <strong>di</strong> Brancati è stato scritto nel 1963 ed è ambientato a<br />

Catania nel secondo dopoguerra: ancora in quel tempo dunque le donne meri<strong>di</strong>onali<br />

e <strong>di</strong> tutte le provincie arretrate del Nord indossavano l’abito nero<br />

– 160 –


del lutto e non lo smettevano mai, tante erano le morti <strong>di</strong> consanguinei che<br />

susseguendosi le legavano a quest’obbligo. La vita me<strong>di</strong>a era meno lunga,<br />

l’esperienza della morte, familiare anche ai bambini, era comune argomento<br />

<strong>di</strong> conversazione, e sofferta con gli altri: una delle pratiche <strong>di</strong> solidarietà<br />

collettiva era quella della “tazza del consolo”, ben documentata anche in<br />

Verga (I Malavoglia, cap. IV): poiché il lutto dei superstiti doveva prolungarsi<br />

per almeno una settimana, imponendo la reclusione in casa, le visite<br />

degli amici e la cessazione delle normali attività lavorative, affini e conoscenti<br />

portavano in dono, a turno, pranzi e cene ai superstiti (ere<strong>di</strong>tà dei<br />

banchetti funebri testimoniati dall’iconografia e dalla letteratura antiche<br />

nell’area me<strong>di</strong>terranea), poiché le donne colpite dal dolore erano costrette in<br />

quel periodo ad interrompere anche le cure domestiche più elementari.<br />

“La casa del nespolo era piena <strong>di</strong> gente; e il proverbio <strong>di</strong>ce Triste quella casa<br />

dove ci è la visita per il marito... Ognuno che passava, al vedere sull’uscio quei<br />

piccoli Malavoglia col viso su<strong>di</strong>cio e le mani nelle tasche, scrollava il capo e<br />

<strong>di</strong>ceva: – Povera comare Maruzza! Ora cominciano i guai per la sua casa! Gli<br />

amici portavano qualche cosa, com’è l’uso, pasta, ova, vino e ogni ben <strong>di</strong> Dio,<br />

che ci avrebbe voluto il cuor contento per mangiarsi tutto, e perfino compar Alfio<br />

Mosca era venuto con una gallina per mano”.<br />

Era raro che qualcuno morisse in ospedale, e la cosa era vissuta quasi<br />

con vergogna, essendo primario il desiderio del malato <strong>di</strong> morire nel proprio<br />

letto: si veda la “<strong>di</strong>sperazione” dei Malavoglia che rifiutano <strong>di</strong> ricoverare il<br />

vecchio padron ‘Ntoni, ormai <strong>di</strong> peso alla famiglia, e la desolazione <strong>di</strong><br />

quella morte lontana dalle mura della casa del nespolo, in un luogo asettico,<br />

in cui “le bianche mani delle suore <strong>di</strong>stribuiscono un bianco pane tra<br />

bianche lenzuola” (Fantasticheria): e il vecchio, che ha deciso lui <strong>di</strong> farsi<br />

trasferire lì, in quelle anonime corsie, si lascia andare, abbandonando la<br />

lotta. Il ragazzino Menico che gli portava le lumache cotte da succhiare, un<br />

bel giorno non lo trova più.<br />

Con la fine del naturalismo e soprattutto del positivismo, Schopenhauer<br />

e Freud introducono nel linguaggio comune termini nuovi come “pulsioni”,<br />

“complessi” e quella forza cieca che, identificata nella voluntas, si maschera<br />

a livello psicologico con la messa in scena dell’innamoramento e <strong>di</strong> tutte le<br />

forme in<strong>di</strong>viduali e collettive <strong>di</strong> corteggiamento, con la passione romantica,<br />

e con l’idealizzazione amorosa. Questi pensatori demistificano le certezze e<br />

le fe<strong>di</strong> ottocentesche in<strong>di</strong>viduando la molla potente del vivere e morire nel<br />

fermento dell’istinto <strong>di</strong> conservazione: una lotta si combatte dentro <strong>di</strong> noi<br />

– 161 –


tra eros e thanatos, così afferma Freud – o tra voluntas e noluntas, come sostiene<br />

Schopenhauer.<br />

Un grande scrittore <strong>di</strong> cultura mitteleuropea, Italo Svevo, suggestionato<br />

da queste fonti filosofiche, variamente combinate con la teoria dell’evoluzione<br />

<strong>di</strong> Darwin e con la critica nietzscheana condotta contro gli stereotipi<br />

mentali e le convenzioni sociali persistenti, reinterpreta letterariamente il<br />

tema della morte in tutti e tre i suoi romanzi, nei quali rappresenta una nuova<br />

tipologia umana, quella dell’inetto. L’inetto Alfonso Nitti sembra fare apposta<br />

a scegliere i percorsi più fallimentari nel lavoro e nella vita sociale<br />

come nell’amore, cosicché il suici<strong>di</strong>o a cui approda non è che inevitabile<br />

conclusione delle sue fughe e <strong>di</strong> quei ghirigori mentali nei quali vanifica<br />

anche ciò che <strong>di</strong> buono il caso, nuovo deus ex machina del romanzo novecentesco,<br />

sembra avergli offerto: la frequentazione <strong>di</strong> casa Maller, l’infatuazione<br />

<strong>di</strong> Annetta Maller per lui, infine la seduzione. In una delle scene memorabili<br />

del romanzo Una Vita, mentre si trovano in barca nel golfo <strong>di</strong><br />

Trieste, quando ancora le sorti del gioco sono in bilico e sembrano favorire<br />

Alfonso, Macario, cugino <strong>di</strong> Annetta e suo futuro marito, mostra al suo rivale<br />

dei gabbiani che si immergono a carpire la preda nelle acque, osservando che<br />

alcuni in<strong>di</strong>vidui della specie umana nascono come i gabbiani, forniti <strong>di</strong><br />

becchi e artigli, ed altri ne sono invece sprovvisti: Alfonso è tra questi ultimi.<br />

Facile profezia. Preda delle pulsioni <strong>di</strong> morte, l’inetto, un passo dopo<br />

l’altro, si metterà in un tunnel senza uscita.<br />

Ma dove il tema della morte si presenta nella <strong>di</strong>mensione più originale e<br />

sfaccettata è nel capitolo IV de La coscienza <strong>di</strong> Zeno. L’antieroe, protagonista<br />

e narratore omo<strong>di</strong>egetico 7 del romanzo, ricostruisce questa pagina fondamentale<br />

della sua vita già fornendone una chiave <strong>di</strong> lettura come <strong>di</strong> una<br />

vera trage<strong>di</strong>a, tale da rendere sbia<strong>di</strong>ta la precedente esperienza della morte<br />

della madre. Prendono rilievo qui non solo le capacità narrative, apprese su<br />

Flaubert, <strong>di</strong> ricostruire nelle sue fasi strazianti e per scorci potenti la malattia<br />

e l’agonia, ma tutta una serie <strong>di</strong> temi sveviani ed universali: l’ambivalenza<br />

7 Quando la voce narrante in un romanzo è quella dello stesso protagonista si definisce<br />

“omo<strong>di</strong>egetica”; è questo il punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza maggiore con il romanzo ottocentesco, in cui il<br />

narratore “esterno onnisciente” costituisce un vero e proprio personaggio, portatore <strong>di</strong> valori,<br />

fabbro e ideatore <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi, intrecci, prolessi, descrizioni, tutte all’apparenza “vere”, anzi<br />

“oggettive”, incar<strong>di</strong>nate nel principio della causalità. Nel romanzo <strong>di</strong> Svevo, come in quelli <strong>di</strong><br />

Pirandello, anch’essi a narratore omo<strong>di</strong>egetico (Il fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila),<br />

la destrutturazione del romanzo ottocentesco comincia dal totale soggettivismo e relativismo del<br />

racconto.<br />

– 162 –


del rapporto affettivo con il padre, rivale o<strong>di</strong>ato ed amato insieme, la <strong>di</strong>pendenza<br />

e la ribellione nei confronti dell’autorità (il me<strong>di</strong>co, ennesima figura<br />

maschile in conflitto con il protagonista), la lotta interiore, combattuta al capezzale<br />

del malato, tra la pietas filiale e l’egoistica molla dell’edonismo che<br />

ha in o<strong>di</strong>o il sacrificio: “Al letto <strong>di</strong> mio padre concepii un grande rancore”,<br />

infine il rovesciamento delle parti e dei ruoli tra chi è il più forte: tutti motivi<br />

che solo “la filosofia della crisi” poteva <strong>di</strong>schiudere alla narrativa, motivi<br />

culminanti nella scena dello schiaffo paterno che si abbatte su Zeno.<br />

“Con uno sforzo supremo arrivò a mettersi in pie<strong>di</strong>, alzò la mano alto alto, come<br />

se avesse saputo ch’egli non poteva comunicarle altra forza che quella del suo<br />

peso, e la lasciò cadere sulla mia guancia. Poi scivolò sul letto e <strong>di</strong> là sul pavimento.<br />

Morto! Non lo sapevo morto, ma mi si contrasse il cuore dal dolore della<br />

punizione ch’egli, moribondo, aveva voluto darmi. Con l’aiuto <strong>di</strong> Carlo lo sollevai<br />

e lo riposi in letto. Piangendo, proprio come un bambino punito, gli gridai nell’orecchio:<br />

– Non è colpa mia! Fu quel maledetto dottore che voleva obbligarti <strong>di</strong><br />

star sdraiato! – Era una bugia. Poi, ancora come un bambino, aggiunsi la promessa<br />

<strong>di</strong> non farlo più: – Ti lascerò muovere come vorrai. L’infermiere <strong>di</strong>sse: – È<br />

morto. Dovettero allontanarmi a viva forza da quella stanza. Egli era morto ed io<br />

non potevo provargli la mia innocenza!... Poi al funerale, riuscii a ricordare mio<br />

padre debole e buono come l’avevo sempre conosciuto dopo la mia infanzia e mi<br />

convinsi che quello schiaffo che m’era stato inflitto da lui moribondo, non era<br />

stato da lui voluto. Divenni buono, buono e il ricordo <strong>di</strong> mio padre si accompagnò<br />

a me, <strong>di</strong>venendo sempre più dolce. Fu come un sogno delizioso: eravamo ormai<br />

perfettamente d’accordo, io <strong>di</strong>venuto il più debole e lui il più forte”.<br />

L’inettitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tanti “uomini senza qualità” della narrativa degli anni<br />

20 prende rilievo nel confronto-scontro con la figura paterna, come accade<br />

nelle opere <strong>di</strong> Kafka, La Metamorfosi e La Condanna, in cui è invece il<br />

padre a determinare la morte del figlio, e nel romanzo <strong>di</strong> Federico Tozzi<br />

Con gli occhi chiusi. Parlare <strong>di</strong> complesso e<strong>di</strong>pico è forse riduttivo ma non<br />

improprio, specie per Zeno che così ironizza nel Capitolo VIII intitolato<br />

Psicoanalisi: “Scriverò intanto sinceramente la storia della mia cura. Ogni<br />

sincerità fra me e il dottore era sparita ed ora respiro. Non m’è più imposto<br />

alcuno sforzo. Non debbo costringermi ad una fede né ho da simulare <strong>di</strong><br />

averla. Proprio per celare meglio il mio vero pensiero, credevo <strong>di</strong> dover <strong>di</strong>mostrargli<br />

un ossequio supino e lui ne approfittava per inventarne ogni<br />

giorno <strong>di</strong> nuove. La mia cura doveva essere finita perché la mia malattia era<br />

stata scoperta. Non era altra che quella <strong>di</strong>agnosticata a suo tempo dal defunto<br />

Sofocle sul povero E<strong>di</strong>po: avevo amato mia madre e avrei voluto ammazzare<br />

mio padre.<br />

– 163 –


Né io mi arrabbiai! Incantato stetti a sentire. Era una malattia che mi<br />

elevava alla più alta nobiltà. Cospicua quella malattia <strong>di</strong> cui gli antenati<br />

arrivavano all’epoca mitologica! E non mi arrabbio neppure adesso che<br />

sono qui solo con la penna in mano. Ne rido <strong>di</strong> cuore.”<br />

La descrizione della morte del padre è per Svevo solo un mezzo <strong>di</strong> indagine<br />

per risalire alla propria malattia, riannodando le fila del suo itinerario<br />

tortuoso nel labirinto della “coscienza”: vengono così alla luce le false<br />

costruzioni, gli alibi, le bugie, l’assenza <strong>di</strong> principi e <strong>di</strong> “carattere” che<br />

fanno <strong>di</strong> Zeno, uno “straniero” (Xenos in greco vuol <strong>di</strong>re straniero), un<br />

uomo-onda, che non si può più definire né buono né cattivo, né bello né<br />

brutto ma solo “originale”, proprio come la vita.<br />

Oggi il prolungamento della vita me<strong>di</strong>a in Occidente, favorito dalla me<strong>di</strong>cina<br />

preventiva e dalla sanità pubblica, dalle misure igienico-sanitarie, dal<br />

benessere e dai progressi straor<strong>di</strong>nari della ricerca scientifica, dà all’uomo<br />

l’illusione della propria eternità: si pensa inconsciamente che la morte toccherà<br />

a qualcun altro, e che la propria eventuale malattia sarà curabile, e<br />

d’altronde persone più che adulte spesso non hanno mai materialmente assistito<br />

alla morte <strong>di</strong> qualcuno, o sono state sfiorate dal lutto altrui solo episo<strong>di</strong>camente;<br />

questo ha mo<strong>di</strong>ficato profondamente le strutture psicologiche e<br />

mentali, e ha rimosso nell’immaginario collettivo la realtà della fine. Leggendo<br />

il romanzo <strong>di</strong> Yeoshua, Viaggio alla fine del millennio, ambientato nel<br />

primo millennio dopo Cristo, allorché ci si imbatte in un ricco mercante<br />

ebreo <strong>di</strong> origine africana che, trentacinquenne, pensa già a far testamento e<br />

calcola in termini <strong>di</strong> pochi anni le proprie possibilità <strong>di</strong> sopravvivenza, pur<br />

essendo nel pieno vigore fisico e mentale <strong>di</strong> padre e <strong>di</strong> marito, si rimane<br />

quasi traumatizzati, tanto siamo abituati a considerare in modo retroattivo<br />

il privilegio della nostra generazione <strong>di</strong> poter giungere ottuagenari, se non<br />

centenari all’appuntamento con la morte. E <strong>di</strong> questa si ha pudore: persino<br />

la chiesa, come sempre prontissima a cogliere le trasformazioni in atto, per<br />

rendere meno traumatico l’impatto con l’Estrema Unzione, la fa impartire<br />

collettivamente, in cerimonie serene, ad anziani in buone con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

salute, e che siano ovviamente consenzienti.<br />

Ma, come hanno <strong>di</strong>mostrato sia Ariès in Storia della morte in Occidente,<br />

sia Norbert Elias in La solitu<strong>di</strong>ne del morente, questo sentire collettivo ha dei<br />

costi: intanto oggi è rarissimo che si muoia nel proprio letto e nella propria<br />

casa, assistiti dai propri cari: tutti hanno fretta, nessuno, neanche i me<strong>di</strong>ci<br />

<strong>di</strong> famiglia, è <strong>di</strong>sponibile al prezzo da pagare in pazienza, de<strong>di</strong>zione, costi<br />

– 164 –


materiali <strong>di</strong> un’assistenza domiciliare. Così il morente <strong>di</strong>venta numero nell’ospedale,<br />

dove il personale me<strong>di</strong>co ed infermieristico, per quanto umano e<br />

gentile, rappresenta il potere: e si impadronisce <strong>di</strong> lui fino all’accanimento<br />

terapeutico. Non è un caso che si <strong>di</strong>scuta proprio oggi <strong>di</strong> eutanasia, e che ai<br />

parenti si presenti a volte lo spettacolo <strong>di</strong> un povero corpo intubato, con<br />

flebo nelle vene, macchine <strong>di</strong> <strong>di</strong>alisi ecc, mentre il coma che può durare<br />

anni, pone seri problemi morali, scientifici e <strong>di</strong> costi sociali. Quando avviene<br />

il decesso oggi si è veramente soli.<br />

E la <strong>di</strong>sperazione dei congiunti non trova più intorno a sé la rete <strong>di</strong> protezione<br />

<strong>di</strong> una solidarietà collettiva, come era fino a qualche decennio fa:<br />

cosicché il dolore e l’angoscia in<strong>di</strong>viduale del superstite si devono rivolgere<br />

ad altre forme <strong>di</strong> sostegno: i farmaci antidepressivi e le sedute <strong>di</strong> terapia<br />

psicologica.<br />

Tutto questo si accompagna ad altre esperienze ancora più impensabili<br />

fino a tre decenni fa: la donazione degli organi. Spesso i congiunti, che decidono<br />

in tal senso, motivano la propria scelta non solo per una generosità altruistica<br />

verso sconosciuti sofferenti, ma anche per una ragione più egoistica:<br />

quella <strong>di</strong> voler pensare che non tutto del proprio caro è scomparso dalla<br />

faccia della terra.<br />

Queste ultime annotazioni aprono forse una riflessione, senza tuttavia<br />

<strong>di</strong>menticare che, mentre noi occidentali ve<strong>di</strong>amo per fortuna allontanarsi lo<br />

spettro della morte, ci sono popolazioni che si trascinano nella polvere alla<br />

ricerca <strong>di</strong> cibo e <strong>di</strong> acqua, morendo a milioni nella denutrizione e nella<br />

mancanza <strong>di</strong> igiene, in età assolutamente immatura.<br />

– 165 –


ADRIANA DE NICHILO<br />

Tipologia B: la prima prova dell’esame <strong>di</strong> stato<br />

La pluriennale e tenace contestazione del “classico” tema ha fatto infine<br />

breccia, se è vero che la stragrande maggioranza degli studenti ha optato per<br />

la “tipologia B” nell’Esame <strong>di</strong> Stato dell’anno scolastico <strong>2004</strong>/2005. C’è<br />

tuttavia da chiedersi quanto <strong>di</strong> questo successo debba essere attribuito<br />

all’impraticabilità della tipologia A (analisi del testo), D (tema <strong>di</strong> carattere<br />

generale) e sostanzialmente anche C (tema <strong>di</strong> carattere storico) che, ad ogni<br />

modo, è sempre stato approdo <strong>di</strong> una scelta piuttosto minoritaria.<br />

La vittoria del saggio breve o dell’articolo <strong>di</strong> giornale ha, tuttavia,<br />

l’amaro sapore “<strong>di</strong> sale” del pane altrui, del cibo dell’esilio, della misericor<strong>di</strong>a<br />

estorta. Non solo per le più che giustificate proteste degli istituti<br />

tecnici e professionali, 1 ma, più in generale, per il depauperamento culturale<br />

che certe scelte denotano. Alberto Asor Rosa (Dire la verità è rischioso oggi<br />

come sette secoli fa in “La Repubblica”, 23 giugno 2005) osanna i “pochi<br />

giovani bennati” che hanno scelto Dante, pur lamentando l’“amplissimo e<br />

debordante apparato <strong>di</strong>dascalico-interpretativo, dal quale, more solito scolastico,<br />

il testo è accompagnato”. Indubbiamente era in<strong>di</strong>spensabile per lo sviluppo<br />

dell’analisi del testo proposta nell’anno scolastico appena trascorso la<br />

conoscenza <strong>di</strong> Dante, del Para<strong>di</strong>so, e preferibilmente del Canto XVII, ma si<br />

chiedeva inoltre qualcosa <strong>di</strong> più negli “Approfon<strong>di</strong>menti” che invitavano a<br />

“richiamare anche altri casi a te noti, <strong>di</strong> scrittori o artisti o pensatori o altri<br />

ancora, che secondo te hanno fatto, con piena consapevolezza questo dono<br />

1 GIULIO BENEDETTI, Viaggio e tsunami: i temi preferiti. Dante non piace, in “Corriere<br />

della Sera”, 21 giugno 2005: “La scelta Ministeriale <strong>di</strong> Dante per l’analisi del testo ha fatto crollare<br />

del 12 per cento dello scorso anno al 6 le scelte dei ragazzi per questa tipologia. I docenti <strong>di</strong><br />

alcuni professionali hanno accusato gli esperti della Moratti <strong>di</strong> aver confezionato una traccia ad<br />

uso esclusivo dei licei. Dal “Pessina” <strong>di</strong> Casatenovo (Lecco) è partita la protesta dei professori<br />

<strong>di</strong> lettere Fabio Luini, Daniele Zangheri e Francesco Raspa. “Come dovrebbe essere noto<br />

– spiegano – Dante non rientra nei programmi degli istituti professionali e anche negli istituti<br />

tecnici esso viene affrontato in terza”. “Siamo <strong>di</strong> fronte, quin<strong>di</strong>, a due possibilità – aggiungono i<br />

prof. –: incompetenza (al Ministero non sanno questa cosa, che <strong>di</strong> fatto esclude da una delle<br />

prove più dei due terzi dei can<strong>di</strong>dati) o deliberata provocazione (lasciate la letteratura ai licei).<br />

In entrambi i casi, la frustrazione <strong>di</strong> chi ha lavorato per due anni con i propri studenti e vede<br />

vanificato il proprio lavoro (anche futuro?) è davvero fortissima”.<br />

– 166 –


[scilicet “svelare il male del mondo, perfino correndo dei rischi personali”]<br />

agli altri uomini.<br />

Accantonando le tipologie A, C e D, meno gra<strong>di</strong>te ai can<strong>di</strong>dati, ed<br />

addentrandoci nelle proposte della tipologia B, si constata una sovrabbondanza<br />

dei materiali forniti, per giunta in alcuni casi piuttosto ardui, 2 <strong>di</strong><br />

modo che la domanda più ricorrente degli esaminan<strong>di</strong> <strong>di</strong> fronte ad essi è<br />

stata: “Ma dobbiamo usarli tutti?”.<br />

Per l’ambito artistico-letterario, sul quale vorrei soffermarmi in particolare,<br />

si spaziava da Omero a Martin Luther King (peraltro “intruso” tra tanti<br />

letterati e, <strong>di</strong> conseguenza, fuorviante); <strong>di</strong> fronte ai brani prescelti ci si<br />

chiede se sei ore possano essere sufficienti per un elaborato decoroso, data<br />

la varietà e complessità degli “stimoli”. I materiali per il tema sul viaggio<br />

(che, tuttavia, era in modo incongruo inserito nell’ambito “socio-economico”<br />

quando la sua etichetta <strong>di</strong> “metafora della vita” spingeva indubbiamente<br />

verso una <strong>di</strong>mensione intimistica) si presentano certamente più omogenei<br />

e maneggevoli. Questa, forse, la ragione profonda <strong>di</strong> una scelta,<br />

mentre l’opzione per le catastrofi naturali si può giustificare con le aspettative<br />

e le conoscenze dei can<strong>di</strong>dati rispetto ad una traccia ampiamente<br />

annunciata.<br />

Per trarre qualche prima conclusione, si può ritenere che l’insi<strong>di</strong>a incombente<br />

(fatta eccezione per le tracce scartate o scelte solo marginalmente) sia<br />

quella della banalità. 3 La traccia sulla libertà era poderosa, ma per essere<br />

svolta adeguatamente richiedeva una preparazione non comune. Perché, poi,<br />

non inserire qualche spunto letterario <strong>di</strong> intonazione “liberticida” per stimolare<br />

negli alunni la capacità argomentativa che è la vera anima della modalità<br />

del saggio breve 4 e dell’articolo <strong>di</strong> giornale?<br />

2 Per il primo ambito nove spunti, per il secondo otto, per il terzo, più equilibratamente,<br />

quattro, per il quarto sette, tutti piuttosto estesi. Arduo, certamente, il brano tratto dal Frammento<br />

sulla natura <strong>di</strong> J.W. Goethe.<br />

3 GASPARE BARBIELLINI AMIDEI, Idee prudenti poche emozioni in “Corriere della Sera”, 23<br />

giugno 2005: “Con molta evidenza gli ideatori delle tracce non volevano grane. Con altrettanta<br />

evidenza i can<strong>di</strong>dati non coltivano spirito <strong>di</strong> avventura, neppure filologica [...]. Un esame che<br />

promuove oltre il 90% può ben dare un buon voto a queste prudenti idee”.<br />

4 AURELIA DE MARTIN PINTER, Il saggio breve. Ipotesi <strong>di</strong> un percorso <strong>di</strong>dattico nel<br />

triennio della scuola superiore, in Letteratura a scuola, vol. II Letteratura e scrittura, Franco<br />

Angeli, Milano 2002 pp. 118-134 “Indubbiamente il saggio breve è un testo <strong>di</strong> tipo argomentativo<br />

(lo studente deve affrontare la tematica scelta da un certo punto <strong>di</strong> vista che deve sostenere<br />

me<strong>di</strong>ante prove adeguate), come del resto le altre forme testuali proposte in sede d’esame”<br />

(p. 119).<br />

– 167 –


La libertà <strong>di</strong> cui si fa <strong>di</strong>fensore Ettore è ben <strong>di</strong>versa dalla libertà <strong>di</strong><br />

Catone e <strong>di</strong> Dante; la machiavelliana ban<strong>di</strong>era della libertà che attende un<br />

principe che la prenda è un’ulteriore variante della medesima aspirazione; la<br />

libertà che Manzoni agogna è <strong>di</strong> fatto una meta <strong>di</strong> popoli e nazioni, in tempi<br />

ben <strong>di</strong>versi.<br />

“Libertà voleva <strong>di</strong>re che doveva essercene per tutti” fa <strong>di</strong>re alla folla<br />

Verga, mentre per Quasimodo la libertà torna ad essere riscatto dal “piede<br />

straniero sopra il cuore”. Per Martin Luther King la libertà non può che<br />

essere l’emancipazione degli afro-americani e per Delacroix...<br />

Come avrebbe potuto ottemperare lo studente, per così <strong>di</strong>re, “me<strong>di</strong>o”<br />

a tale richiesta? Avrebbe potuto tentare il collage <strong>di</strong> citazioni più o meno<br />

arguto e arricchito <strong>di</strong> qualche ulteriore tassello del variegato puzzle oppure<br />

lanciarsi nel panegirico della libertà... o sarebbe più corretto <strong>di</strong>re nel suo<br />

elogio funebre?<br />

Il timore è che la vittoria della tipologia B sia <strong>di</strong> fatto un ripiego, piuttosto<br />

dozzinale e a buon mercato, che, se certamente non fa rimpiangere<br />

l’ottocentesco tema, invita a maggiore rigore nelle scelte e nelle proposte<br />

che debbono tornare ad essere più prossime a ciò che nelle scuole (in ogni<br />

or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> scuola) ed in particolare nell’ultimo anno <strong>di</strong> corso concretamente<br />

si fa e si riesce a fare. La frustrazione dei docenti dei tecnici e dei professionali<br />

è anche la frustrazione dei docenti dei licei che si affannano a spiegare<br />

il Novecento, ma forse privilegiando altri aspetti. Oppure che si affannano a<br />

spiegare Dante, ma forse optando per altri canti o cantiche, visto che non<br />

esiste un canone all’interno del quale operare delle scelte. 5<br />

Credo che provino un senso <strong>di</strong> frustrazione anche i docenti <strong>di</strong> storia e<br />

<strong>di</strong> materie scientifiche, vista la complessità del saggio breve/articolo <strong>di</strong><br />

giornale del terzo ambito o nella forma della tipologia C e D. Il saggio sulle<br />

5 PAOLA FERTITTA, Il canone scolastico “reale”. I classici e le sorprese della <strong>di</strong>dattica, in<br />

“Chichibìo” numero 12/13 - anno III, marzo-giugno 2001: “[...] l’esistenza <strong>di</strong> un canone reale<br />

scolastico, non perfettamente coincidente con i programmi ministeriali <strong>di</strong>mostra che nella<br />

scuola il sapere non viene imposto dall’alto in modo autoritario, ma che ciò che trasforma una<br />

scelta autonoma <strong>di</strong> opere e <strong>di</strong> autori in un canone definito è il concetto stesso <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione,<br />

<strong>di</strong> intesa <strong>di</strong> valori, <strong>di</strong> comunicabilità; l’autonomia scolastica non può e non deve, né a breve né<br />

a lunga <strong>di</strong>stanza, implicare la caduta <strong>di</strong> una certa omogeneità della cultura, non può creare citta<strong>di</strong>ni<br />

che abbiano magari acquistato competenze spen<strong>di</strong>bili nel mondo del lavoro e del mercato,<br />

ma che nella vita quoti<strong>di</strong>ana e nel momento delle scelte politiche e sociali non riescano a con<strong>di</strong>videre<br />

valori o problemi, non riescano a percepire la voce del proprio vicino”. Cfr. anche<br />

MAURIZIO REBAUDENGO, Quale canone per il terzo millennio. Una recensione tra critica e<br />

scuola, in “Chichibìo”, numero 16/17 anno IV, gennaio-aprile 2002.<br />

– 168 –


catastrofi naturali potrebbe aver risollevato l’umore degli insegnanti <strong>di</strong><br />

materie scientifiche i quali, peraltro, continuano (e giustamente) ad insegnare<br />

scienza e non metafisica.<br />

Senza parlare della delusione <strong>di</strong> tanti studenti che, pur addestrati e<br />

spesso abili nelle nuove tipologie <strong>di</strong> scrittura, vorrebbero forse dare anche<br />

prova delle loro conoscenze profonde, acquisite con sacrificio ed ore <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o sui famigerati libri <strong>di</strong> testo e sui programmi i cui contorni <strong>di</strong>vengono<br />

sempre più sfumati.<br />

In altri termini si rischia nuovamente una sclerosi, su percorsi nuovi e<br />

già vecchi perché stravolti nelle loro ragioni ed anche perché sono state<br />

immotivatamente escluse le altre ipotesi <strong>di</strong> scrittura (lettera, 6 intervista, relazione)<br />

che, pur previste dalla legge <strong>di</strong> riforma, non sono mai state proposte.<br />

Lo storico sorpasso del saggio breve e dell’articolo <strong>di</strong> giornale, in ogni<br />

modo, è pur sempre una vittoria, perché la riforma ha portato una folata<br />

d’aria fresca nell’incancrenita pratica scolastica, ma si paventa che lo scossone<br />

<strong>di</strong>venti uno tsunami che travolga fatica, lavoro, serietà, qualità e conoscenze.<br />

Un saggio (anche se breve) e un buon pezzo sono frutto <strong>di</strong> un serio<br />

lavoro <strong>di</strong> ricerca e documentazione come ogni stu<strong>di</strong>oso o giornalista sa. 7<br />

La variante scolastica edulcorata rischia <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire una rie<strong>di</strong>zione, anche se<br />

più stimolante ed ingegnosa, dell’esercizio del bello scrivere fine a se stesso<br />

e grondante retorica (in senso deteriore). Per arginare questa prospettiva <strong>di</strong><br />

manierismo post-moderno è forse necessario tornare ad ancorare le proposte<br />

<strong>di</strong> elaborati ed i relativi testi o dossier a tematiche inerenti un canone, mai<br />

definito dopo le ultime riforme della scuola, <strong>di</strong> autori ed opere o <strong>di</strong> argomenti<br />

dai quali attingere per le tracce d’esame, come sbocco <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong><br />

un anno (o più) ed effettivamente svolto. Il saggio finale dovrebbe essere<br />

l’esito <strong>di</strong> un percorso; eventualmente anche <strong>di</strong> uno o più itinerari <strong>di</strong> ricerca,<br />

6 ADRIANA DE NICHILO, Una risorsa versatile per la <strong>di</strong>dattica: la lettera, in Letteratura a<br />

scuola, Vol. II Letteratura e scrittura,cit. pp. 135-145: “La lettera, soprattutto informale, ha a<br />

mio avviso anche un altro pregio: consente <strong>di</strong> valutare la gradualità dei processi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />

ed i progressi qualitativi nel passaggio dal biennio al triennio, nel segno della continuità.<br />

Inoltre essa si presta ottimamente ad un lavoro inter<strong>di</strong>sciplinare (italiano - lingue straniere -<br />

latino - storia ecc.) e <strong>di</strong> sollecitazione culturale, vista la vastissima e secolare produzione epistolografia<br />

in tutte le lingue ed in tutte le letterature” p. 136.<br />

7 AURELIA DE MARTIN PINTER, op.cit: “Il percorso proposto presuppone naturalmente un<br />

piano <strong>di</strong> lavoro specifico, articolato nel corso del triennio, a cura del docente, da inserirsi nella<br />

programmazione curricolare” p. 121.<br />

– 169 –


lanciati all’inizio dell’anno scolastico e sui quali si siano concentrati gli<br />

sforzi, preferibilmente congiunti in un’ottica inter<strong>di</strong>sciplinare, <strong>di</strong> più<br />

docenti e l’impegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e documentazione degli alunni. In questo caso<br />

ci sarebbe, senza dubbio, il rischio <strong>di</strong> “preconfezionamento” dei compiti,<br />

ma con tante fughe <strong>di</strong> notizie tale dubbio non può che insinuarsi in ogni<br />

caso.<br />

La riflessione può facilmente estendersi alla tipologia A che talora<br />

concerne autori non affrontati, non approfon<strong>di</strong>ti, perché il lavoro <strong>di</strong> docenti<br />

e studenti è privo <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> riferimento o <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni chiare (che,<br />

comunque, quando presenti, sono spesso <strong>di</strong>sattese dalle stesse istituzioni<br />

proponenti).<br />

L’auspicato canone, pur non dovendo essere in nessun modo tassativo e<br />

coercitivo, ma scaturire dalla prassi “reale”, generalizzata ed eletta a norma<br />

orientativa sia per gli esperti ministeriali che elaborano le tracce d’esame,<br />

sia per i docenti, in<strong>di</strong>rizzerebbe e salvaguarderebbe il lavoro svolto.<br />

Lo stanco ripetersi del nuovo è l’insi<strong>di</strong>a che si affaccia e che minaccia<br />

le buone intenzioni <strong>di</strong> riformatori, <strong>di</strong> docenti aperti all’innovazione, <strong>di</strong><br />

studenti avi<strong>di</strong> <strong>di</strong> conoscenza e non inclini a sterili funambolismi.<br />

– 170 –


LICIA FIERRO<br />

Noterelle a margine<br />

PER UNA PUBBLICA DIFESA DELLE RAGIONI INTIME<br />

Il campo dell’esteriorità si lascia determinare. Si <strong>di</strong>ce l’oggetto esterno<br />

a me e lo si colloca nello spazio, si vedono le persone, i luoghi, le cose e si<br />

definiscono come mondo esterno, realtà esterna. Sul piano squisitamente<br />

filosofico tanto il neoplatonismo quanto il cristianesimo hanno portato a<br />

definire questi ambiti in modo netto: la sfera dell’esteriorità è quella del<br />

mondo cui appartengono le cose e gli esseri naturali, quella dell’interiorità<br />

non può che identificarsi con la coscienza, quel mondo chiuso ed unico che<br />

riguarda ogni essere per sé solo, nella profon<strong>di</strong>tà insondabile della sua<br />

essenza. In questa prospettiva l’esistenza interiore si configura come in<strong>di</strong>viduale,<br />

irripetibile. E tale riconoscimento implica il rischio effettivo <strong>di</strong> chiusura,<br />

<strong>di</strong> ripiegamento, <strong>di</strong> concentrazione eccessiva su sé stessi. Chi <strong>di</strong> noi<br />

non ha provato anche una sola volta la tentazione <strong>di</strong> considerare inattingibile<br />

agli altri il proprio mondo interiore? Quello che è intimo <strong>di</strong> solito è<br />

solo “mio”, forse può leggerlo ed in piccola parte chi riesce a rubarne la<br />

chiave, uno <strong>di</strong> cui posso fidarmi, chi stimo degno <strong>di</strong> una figura gran<strong>di</strong>ssima.<br />

Si <strong>di</strong>ce che questo accada nell’amicizia e nell’amore. Rousseau nelle<br />

Confessioni descrive l’impossibilità <strong>di</strong> raggiungere “gli esseri reali”, la sua<br />

necessità <strong>di</strong> nutrirsi <strong>di</strong> un mondo ideale che l’immaginazione popola in<br />

breve <strong>di</strong> esseri fatti ad immagine del suo cuore. L’amico o l’amante, ne<br />

sono convinta, altro non sono che la personificazione <strong>di</strong> quell’immagine<br />

ideale <strong>di</strong> cui così bene parla il filosofo e questo ci permette <strong>di</strong> trovare le<br />

affinità elettive, <strong>di</strong> comunicare, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre ciò che è intimo. Ci sono<br />

gesti, sguar<strong>di</strong>, tanto eloquenti da sfidare e vincere le più ambiziose trattazioni<br />

teoriche o l’impotenza manifesta della parola. I desideri mascherati,<br />

le angosce non esibite, le allusioni appena accennate: tutte vie <strong>di</strong> comunicazione<br />

dell’interiorità che non seguono le strade rettilinee, e ariose dei messaggi<br />

<strong>di</strong>retti. Vi è mai capitato <strong>di</strong> trovarvi in una situazione veramente imbarazzante?<br />

E qual è secondo voi una situazione <strong>di</strong> tal fatta? Un giorno ero<br />

in attesa del mio turno in un posto qualunque, c’era folla, ognuno parlava<br />

del più e del meno. La <strong>di</strong>mensione era quella nota del “ci conosciamo tutti<br />

– 171 –


e nessuno si conosce veramente”, quella del si <strong>di</strong>ce, dei luoghi comuni, insomma<br />

il nostro mondo esterno giornaliero fatto <strong>di</strong> chiacchiera, <strong>di</strong> equivoco,<br />

<strong>di</strong> curiosità (quell’esistenza banale che nessuno meglio <strong>di</strong> Heidegger<br />

ha sondato nelle sue caratteristiche estreme e tragicamente insignificanti).<br />

Ad un certo punto ho visto quei due che prima piano, poi sempre più ad<br />

alta voce si raccontavano esperienze <strong>di</strong> reciproco tra<strong>di</strong>mento, quasi che<br />

ognuno chiedesse conferma e appoggio pubblico alle sue “buone e sacrosante<br />

ragioni”. Poche <strong>di</strong> quelle persone presenti provavano <strong>di</strong>sagio. I più si<br />

esaltavano <strong>di</strong> una curiosità insana, veramente perversa perché <strong>di</strong>ssolvitrice<br />

<strong>di</strong> quel pudore sostanziale <strong>di</strong> cui dovrebbe ammantarsi il privato. Tutti, in<br />

realtà, abbiamo un po’ perduto il senso autentico dell’intimità. Ci sono programmi<br />

televisivi in cui il controllo delle azioni umane (spontanee o costruite)<br />

è senza limite dal risveglio alla notte successiva; ci sono ragazzi<br />

che non trovano il tempo <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> sé ai genitori o agli amici non perché<br />

immersi nello stu<strong>di</strong>o, ma perché <strong>di</strong>spersi in giochi stupi<strong>di</strong> ed occupazioni<br />

inutili. Il mondo interiore è minacciato, asse<strong>di</strong>ato. E se qualcuno prova a<br />

<strong>di</strong>fenderlo rischia nel migliore dei casi <strong>di</strong> apparire uno snob o un superbo.<br />

Trovo più affascinante dei percorsi <strong>di</strong> Internet il viaggio alla scoperta dell’altro.<br />

Mi intriga ascoltare ed essere ascoltata; qualche volta è bellissimo<br />

scrivere perché un rapporto si consoli<strong>di</strong>, in modo che l’introspezione <strong>di</strong>a<br />

frutto, si trasformi in scambio <strong>di</strong> intimità. In una lettera (non è qui il luogo<br />

<strong>di</strong> fare <strong>di</strong>scorsi sull’autenticità dell’Epistolario tra Seneca e S. Paolo) Seneca<br />

scrive a Paolo <strong>di</strong> Tarso: “dato che tu sei la cima e il vertice <strong>di</strong> tutte le<br />

montagne più alte, come dunque non vuoi che io gioisca se sono così<br />

vicino a te da essere considerato un altro te stesso?”. Quando si è raggiunta<br />

una tale affinità, la confidenza torni nel segreto e sfugga trionfante ad ogni<br />

esibizione!<br />

CON QUALI OCCHI GUARDO...<br />

Non è una questione da poco «con quali occhi guardo...» anche se<br />

qualcuno fin da subito potrebbe interrompere la riflessione affermando che<br />

tutti gli uomini sani possiedono gli occhi e con essi guardano il mondo. E<br />

che cosa vedono? Le cose come appaiono, i fenomeni. L’aggettivo greco<br />

phainòmenon già si presta ad essere interpretato almeno in due sensi: ciò<br />

che appare in quanto ne abbiamo una rappresentazione attraverso i sensi,<br />

oppure ciò che appare rispetto ad una realtà “vera” che rimane sottesa, na-<br />

– 172 –


scosta. Nel primo caso la nostra visione del mondo è quella che ci fornisce<br />

l’occhio fisico, nel secondo caso «la verità abita nel profondo» come<br />

<strong>di</strong>ceva Democrito, e può coglierla solo l’occhio della mente. Quello che<br />

vedo fisicamente non corrisponde dunque a ciò che è nella sua essenza.<br />

L’interrogativo <strong>di</strong> partenza impone dunque una serie <strong>di</strong> problemi complessi<br />

se è vero che i filosofi continuano a percorrere la strada del materialismo o<br />

dell’idealismo e risultano <strong>di</strong>visi proprio come gli uomini comuni, come<br />

tutti noi quando si deve attribuire un valore a ciò che si vede, o meglio<br />

bisogna scegliere con quali occhi guardare se stessi, gli altri, il mondo in<br />

cui siamo. Al mattino davanti alla mia scuola c’è una folla <strong>di</strong> giovani e<br />

sembrano tutti dello stesso colore: non <strong>di</strong>co solo della pelle ma anche dei<br />

vestiti. Poi in classe li <strong>di</strong>stingui finalmente e ti accorgi che pure con gli<br />

stessi jeans strappati, ognuno ha il suo modo <strong>di</strong> portarli, <strong>di</strong> starci dentro.<br />

Gli adulti (io stessa qualche volta) storcono gli occhi e <strong>di</strong>cono parole velenose<br />

per deprecare l’orecchino o il piercing e gridano all’omologazione.<br />

Davanti a una Chiesa o al Municipio il giorno <strong>di</strong> un matrimonio è <strong>di</strong>fficile<br />

non capire quali siano gli invitati: sono tutti ugualmente vestiti, portano<br />

con <strong>di</strong>sinvoltura gli stessi abiti firmati o ben copiati, ostentano con orgoglio<br />

l’ultimo modello <strong>di</strong> Louis Vuitton. Nessuno si sconvolge, nessuno<br />

grida allo scandalo. Di certo anche tra quegli adulti, come tra i miei ragazzi,<br />

ci sono persone intelligenti che, consapevoli o inconsapevoli, giocano<br />

nel teatro delle apparenze. Nei salotti della buona borghesia ancora<br />

si sente <strong>di</strong>re «bisogna salvare le apparenze». Dunque i più sanno che è necessario<br />

squarciare il velo per cogliere il nocciolo della realtà. Il fenomeno,<br />

<strong>di</strong>ceva Schopenhauer, è proprio un’illusione, il velo <strong>di</strong> Maya, appunto, dovuto<br />

alla rappresentazione spazio-temporale e alla connessione causale;<br />

queste tre categorie producono un’obiettività fittizia, costituita <strong>di</strong> fatto<br />

dalla proiezione esterna <strong>di</strong> sensazioni e immagini soggettive. Ma c’è un<br />

contenuto intuito solo dal pensiero “noùmenon” che sia accessibile ai<br />

nostri strumenti cognitivi? Kant, il grande filosofo <strong>di</strong> Königsberg, lo nega,<br />

pur riconoscendo <strong>di</strong> questo concetto limite la valenza regolativa del sapere:<br />

esso segna i limiti entro i quali possiamo esser certi della nostra conoscenza.<br />

Il “noùmenon” viene paragonato ad un faro, che, in<strong>di</strong>cando ai naviganti<br />

la propria posizione del tutto inaccessibile, in<strong>di</strong>rettamente li guida<br />

per le uniche rotte possibili. Siamo dunque condannati a conoscere solo ciò<br />

che appare, ciò che si manifesta anche se ci ren<strong>di</strong>amo conto della carica<br />

ingannatrice dell’apparenza? In realtà l’uomo è un essere straor<strong>di</strong>nario,<br />

pensiamo ai poeti, agli artisti, ai mistici. In questa sfera creativa è possibile<br />

– 173 –


la visione non come contemplazione fine a se stessa, ma come apertura,<br />

superamento dell’apparenza, ingresso nella profon<strong>di</strong>tà che si traduce in<br />

nuove forme <strong>di</strong> azione e <strong>di</strong> comunicazione. In un mondo in cui prevale la<br />

tecnica, in cui il corpo si espande oltre misura, c’è bisogno, come <strong>di</strong>ce<br />

Bergson, <strong>di</strong> un “supplemento <strong>di</strong> anima”, la meccanica esigerebbe una<br />

mistica. Il filosofo si pronunciava in questo senso mentre l’Europa combatteva<br />

il cancro del nazismo, già vittorioso in paesi come la Francia e in altre<br />

nazioni. Egli auspicava l’intervento salvifico <strong>di</strong> un genio mistico animato<br />

da un amore profondo ed eccezionale per il genere umano. Personalità<br />

<strong>di</strong> questo tipo sono comparse nell’antica Grecia e nell’In<strong>di</strong>a, anche se in<br />

quest’ultimo paese il bud<strong>di</strong>smo si è risolto in un misticismo contemplativo<br />

non votato all’azione. I mistici cristiani come San Paolo, San Francesco,<br />

Santa Caterina, Santa Teresa, hanno coltivato l’estasi, non come un punto<br />

<strong>di</strong> arrivo ma come punto <strong>di</strong> partenza dell’azione trasformatrice del mondo.<br />

La particolare esperienza dei mistici rappresenta un modo unico <strong>di</strong> “vedere<br />

Dio” e <strong>di</strong> amarlo <strong>di</strong> quell’amore assoluto che trasfuso negli uomini si renda<br />

tangibile al punto <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare le loro relazioni. Non è una <strong>di</strong>mensione<br />

irrazionale, non è la visione dell’assurdo: è una prospettiva. È trascorso ancora<br />

altro tempo, siamo stati capaci <strong>di</strong> ulteriori manipolazioni della natura,<br />

abbiamo costruito macchine infernali, sappiamo lanciare missili a <strong>di</strong>stanze<br />

supersoniche,eppure mai come oggi siamo solo apparentemente felici.<br />

IL DOVERE DELLA SPERANZA<br />

Nella Retorica Aristotele afferma che “la paura è un’agitazione prodotta<br />

dalla prospettiva <strong>di</strong> un male futuro che sia capace <strong>di</strong> generare morte o<br />

dolore”. In realtà gli uomini poco si preoccupano <strong>di</strong> ciò che appare loro<br />

come lontano, specie se nel frattempo fanno esperienza della loro forza e<br />

della loro potenza acquistando ricchezza, rincorrendo il potere, ottenendo il<br />

successo. Da questi due sentimenti uniti,cioè da quello della nostra forza e<br />

da quello della nostra miseria derivano tutte le passioni perché, come affermano<br />

molti stu<strong>di</strong>osi, se insistiamo sulla piccolezza e la miseria rischiamo<br />

<strong>di</strong> uscire da noi stessi, se abbiamo consapevolezza e cre<strong>di</strong>amo nelle nostre<br />

risorse ci apriamo a quella fiduciosa attesa dell’avvenire che si chiama<br />

speranza. Nel 1959 E. Bloch pubblicò un libro dal titolo emblematico “Il<br />

principio speranza”. Qui la speranza <strong>di</strong>venta il principio dell’azione, un<br />

pensiero che si pone come “OLTREPASSAMENTO” del presente proprio<br />

– 174 –


in quanto sa costruire un’alternativa ad esso o sa svilupparne le potenzialità<br />

recon<strong>di</strong>te. Si tratta <strong>di</strong> smascherare le false lusinghe, gli inganni della storia,<br />

tutte le false speranze consolatorie dell’al <strong>di</strong> qua o proiettate nella stratosfera<br />

dell’al <strong>di</strong> là.<br />

Trovo molto interessante questa prospettiva laica che pone l’accento<br />

sulla responsabilità dell’uomo a costruire la speranza intesa come mondo<br />

<strong>di</strong> giustizia, <strong>di</strong> progresso, <strong>di</strong> superamento delle <strong>di</strong>suguaglianze. E mi pare<br />

più che mai attuale il dover insistere sulla “TENSIONE VERSO IL COM-<br />

PIMENTO”, giacché da più parti del mondo si manifestano i segni <strong>di</strong> una<br />

società <strong>di</strong>sperata. La <strong>di</strong>sperazione, per <strong>di</strong>rla con Kierkegaard, è la malattia<br />

mortale, essa nasce nell’uomo dall’impossibilità riferita a sé stesso; essa è<br />

un continuo morire senza mai morire, è un continuo vivere la morte dell’io.<br />

“QUANDO UNO SVIENE SI MANDA PER ACQUA, ACQUA DI<br />

COLONIA, GOCCE DI HOFFMANN; MA QUANDO QUALCUNO<br />

VUOL DISPERARSI BISOGNA DIRE: TROVATE UNA POSSIBILITÀ,<br />

TROVATEGLI UNA POSSIBILITÀ”. Che cosa offriamo ai poveri del<br />

terzo e quarto mondo, che cosa rispon<strong>di</strong>amo ai protagonisti della nuova<br />

<strong>di</strong>aspora? E li ve<strong>di</strong>amo anche quelli <strong>di</strong>sperati e ricchi <strong>di</strong> casa nostra, quelli<br />

con la pancia piena e lo spirito guasto? Qui deve poter agire con forza la<br />

cristiana autentica “PROMESSA DI SALVEZZA” nuovamente simboleggiata<br />

dall’immagine biblica dell’Esodo verso la terra promessa. Non la salvezza<br />

intimistica, in<strong>di</strong>viduale, ma la salvezza attiva, la salvezza comunitaria,<br />

quella auspicata e promossa dal Vaticano II che partendo dall’attenzione<br />

ai segni dei tempi, calava la dottrina cristiana nella “PRESENTE<br />

DIFFICOLTÀ DELL’ESSERE”. La speranza come liberazione dell’uomo<br />

può e deve <strong>di</strong>ventare un concetto unificante. In un contesto <strong>di</strong> miseria e <strong>di</strong><br />

degradazione sociale (gli ammazzamenti giornalieri <strong>di</strong> intere famiglie nella<br />

civilissima Italia) non bisogna tanto preoccuparsi del “NON CREDENTE”,<br />

quanto del “NON UOMO”. Il peccato capitale è il peccato sociale, quello<br />

causato dall’ingiustizia e dalla sopraffazione,dalla violenza, dalla guerra,<br />

dall’egoismo. Qui è l’origine della <strong>di</strong>sperazione,qui bisogna trovare il coraggio<br />

<strong>di</strong> accettare la sfida che Kant poneva alla ragione “CHE COSA<br />

POSSO FARE, CHE COSA DEVO FARE, CHE COSA HO DIRITTO DI<br />

SPERARE”. Giacché io credo che non esistano due mon<strong>di</strong>, uno sacro e<br />

l’altro profano, uno in cui si prega e l’altro in cui se ne fa a meno, allora in<br />

questo mondo unico vivo insieme il Silenzio <strong>di</strong> Dio e la Sua possibile Parola<br />

con la Speranza che sia in Lui il nocciolo delle risposte alle domande<br />

della ragione.<br />

– 175 –


...PER NON PERDERE LA MEMORIA!<br />

È un bel <strong>di</strong>re che gli uomini si <strong>di</strong>fferenziano dagli altri animali per le<br />

capacità logiche!<br />

Molti e importanti stu<strong>di</strong>osi attribuiscono anche ai nostri parenti stretti la<br />

facoltà <strong>di</strong> apprendere e generalizzare sulla base dell’esperienza.<br />

Ma è questo il tema della nostra riflessione? Cosa c’entra? Il fatto è che<br />

l’uomo intanto è tale in quanto non solo apprende,co<strong>di</strong>fica ed elabora, ma<br />

anche conserva, mo<strong>di</strong>fica ed è in grado <strong>di</strong> recuperare quello che pensava <strong>di</strong><br />

aver <strong>di</strong>menticato. Che miracolo, la memoria!<br />

Noi viviamo e quasi senza accorgercene raccogliamo tutto in questa<br />

gran<strong>di</strong>ssima cassaforte. Se uno ci pensa, si rende conto che l’uomo è l’unico<br />

essere a potersi definire historicus proprio perché solo lui, e non gli altri<br />

animali, è in grado <strong>di</strong> recuperare il suo passato, <strong>di</strong> attingerlo, aprendo quello<br />

scrigno con chiavi del tutto originali che ne rendono possibile la lettura. È<br />

necessario, infatti, <strong>di</strong>stinguere la memoria in<strong>di</strong>viduale da quella collettiva.<br />

Sul piano soggettivo essa è alimentata da esperienze e stati d’animo, da rappresentazioni<br />

acquisite o in via <strong>di</strong> acquisizione; sul piano sociale la memoria<br />

collettiva <strong>di</strong>venta necessariamente storia. In tutto il pensiero antico,<br />

specie nella tra<strong>di</strong>zione neo-platonica, si insiste sul valore della memoria<br />

proprio come anàmnesis, come aspetto fondamentale del processo conoscitivo<br />

perché essa fornisce l’immagine <strong>di</strong> quelle verità eterne che “riposano”<br />

nel profondo dopo che l’anima le ha contemplate in un mondo perfetto, l’iperuranio,<br />

prima <strong>di</strong> cadere nel corpo <strong>di</strong>menticandole. Questo è un modo <strong>di</strong><br />

concepire la memoria in senso attivo: grazie all’esperienza, utilizzando le<br />

sensazioni noi siamo capaci <strong>di</strong> recuperare ciò che in origine avevamo solamente<br />

intuito. Sono bellissime le pagine che S. Agostino de<strong>di</strong>ca nelle confessioni<br />

al rapporto tra la memoria e il tempo: “...e là incontro a me stesso,<br />

ricordo quello che ho fatto e dove e quali emozioni abbia provato nel<br />

farlo...”. In realtà la ricerca <strong>di</strong> sé stesso coincide con la consapevolezza che<br />

per quanto si possa spaziare, l’anima non si placherà fino a quando non avrà<br />

riconosciuto che Dio è lì, nella zona più riposta della mente. “E ti sei degnato<br />

<strong>di</strong> prendere <strong>di</strong>mora nella mia memoria dal momento in cui ti ho conosciuto.<br />

Ma perché mai vado a domandarmi in quale parte <strong>di</strong> essa abiti, come<br />

se vi esistesse <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> luoghi? Tu vi abiti, questo è certo, perché io ti ricordo<br />

– dal momento in cui ti ho conosciuto – e ti trovo in essa quando<br />

penso a Te...”. La memoria qui non ha più nulla <strong>di</strong> empirico, <strong>di</strong> acquisito,<br />

essa è memoria innata, la parte più riposta della nostra mente dove splende<br />

– 176 –


la “ratio superior”, la luce <strong>di</strong>vina. La reminiscenza platonica <strong>di</strong>venta in<br />

Agostino un ricordarsi <strong>di</strong> Dio. Il fascino <strong>di</strong> scavare nel profondo alla ricerca<br />

della propria identità ha contagiato nel tempo scienziati, teologi e letterati<br />

oltre che i filosofi. Tutti hanno riconosciuto, ognuno nel suo campo, il carattere<br />

creativo, costruttivo della memoria; essa non è solo un grande magazzino<br />

cui attingere, ma ha una valenza <strong>di</strong>namica del tutto originale. Basti<br />

pensare a Proust e al suo cammino alla ricerca del tempo perduto o allo<br />

stesso Freud quando riconosce alla memoria una funzione terapeutica per il<br />

suo valore <strong>di</strong> verità. Infatti: “nella memoria l’uomo conserva tutte quelle<br />

promesse o potenzialità che sono state tra<strong>di</strong>te o perfino <strong>di</strong>chiarate fuori<br />

legge dall’in<strong>di</strong>viduo maturo e civile, ma che una volta nel suo passato nebuloso<br />

furono realizzate e non sono state mai completamente <strong>di</strong>menticate...”.<br />

Per questo il recupero, l’esplorazione del profondo significa scoperta <strong>di</strong> verità<br />

rigorose “il cui peso dovrà alla fine infrangere la cornice entro la quale<br />

esse furono confinate”. Voglio davvero ricordare? In genere il passato conta<br />

perché ha un significato per me e tuttavia quando provo a “ricostruirmi” incontro<br />

necessariamente gli altri, cosicché <strong>di</strong>venta inevitabile il confronto<br />

con la memoria collettiva, quella che si espande nel più vasto ambito storico-sociale.<br />

J. Chesneaux afferma che la memoria collettiva, il richiamo<br />

alla storia, operano in rapporto col futuro: “il rapporto <strong>di</strong>alettico tra passato<br />

e futuro fatto <strong>di</strong> continuità e <strong>di</strong> rottura, <strong>di</strong> coesione e <strong>di</strong> lotta, è la trama<br />

stessa della storia...”.<br />

Facciamo i conti, dunque, col nostro passato, non chiu<strong>di</strong>amo le porte<br />

della memoria, affrontiamo a livello in<strong>di</strong>viduale e sociale quello che siamo<br />

stati e quello che siamo, perché solo nella consapevolezza sono possibili le<br />

scelte coraggiose.<br />

Come voglio che parlino <strong>di</strong> me? Se questa domanda banalmente semplice<br />

se la fossero posta in passato e se la ponessero oggi i responsabili del<br />

destino dei popoli forse la Luce <strong>di</strong> cui parlava Agostino avrebbe la meglio<br />

fin negli angoli più bui della nostra memoria.<br />

DIMMI CHE SOGNI FAI E TI DIRÒ CHI SEI<br />

Tra la vita e il sogno c’è una relazione forte, come <strong>di</strong> parentela. Gli uomini<br />

lo hanno sempre saputo. Spesso illusione, a volte messaggio che contiene<br />

in sé una sapienza nascosta, il sogno rappresentava già per i Greci una<br />

sorta <strong>di</strong> sfida davanti alla quale i poteri dell’intelletto mostrano <strong>di</strong> essere<br />

– 177 –


inadeguati o del tutto insufficienti. Vari nomi e funzioni avevano i sogni in<br />

quella cultura e l’interpretazione <strong>di</strong> essi va per lo più inserita nel quadro<br />

della <strong>di</strong>vinazione, anche se l’interpretazione dei sogni è figura solo parzialmente<br />

collegabile alla sfera religiosa e comunque resta ai margini della religione<br />

ufficiale. Questi personaggi utilizzavano un vasto patrimonio orale <strong>di</strong><br />

interpretazioni simboliche e poi si possono trovare compen<strong>di</strong>ate nei libri dei<br />

sogni <strong>di</strong> cui ci è rimasto solo quello <strong>di</strong> Artemidoro. Intorno all’interprete dei<br />

sogni si affollava un vasto pubblico: schiavi, conta<strong>di</strong>ni, artigiani, atleti, professionisti.<br />

Sapere per rendere vano il sogno, per esorcizzarlo quando fa<br />

paura, per prevedere il futuro, per dare corpo ai desideri? Gli esperti stu<strong>di</strong>avano<br />

per dare risposte e già intuivano, ad esempio, la maggiore verità del<br />

sogno “visto” al mattino rispetto a quello notturno. Non potendo qui riassumere<br />

le indagini secolari sul team voglio fermarmi soprattutto su Freud il<br />

quale nota che più ci si avvicina all’alba più è complesso il processo <strong>di</strong> elaborazione<br />

primaria del contenuto latente. Perché, secondo l’inventore della<br />

psicoanalisi, il sogno non è una funzione meramente organica, un insieme<br />

casuale <strong>di</strong> immagini. L’attività onirica è sicuramente collegata con la vita<br />

profonda <strong>di</strong> ogni uomo. Durante il sonno, quando la censura dell’Io si affievolisce<br />

e l’in<strong>di</strong>viduo è parzialmente libero dai con<strong>di</strong>zionamenti, allora l’inconscio<br />

emerge e nel sogno bisogni e desideri trovano un appagamento fantasmatico,<br />

ovvero allucinatorio. Le pulsioni, i desideri si esprimono solo<br />

come possono, in modo “improprio”; questo li rende irriconoscibili e spiega<br />

la <strong>di</strong>fferenza tra contenuto manifesto del sogno e pensiero onirico latente.<br />

Nel sogno sussiste lo stesso antagonismo <strong>di</strong> forze psichiche che interviene<br />

nella formazione del sintomo: “...il contenuto onirico manifesto è il surrogato<br />

<strong>di</strong>storto dei pensieri onirici inconsci, e questa <strong>di</strong>storsione è opera <strong>di</strong><br />

forze <strong>di</strong> sbarramento dell’Io, <strong>di</strong> resistenze, che nella vita vigile impe<strong>di</strong>scono<br />

generalmente ai desideri rimossi l’accesso alla coscienza, mentre pur ridotte<br />

nello stato <strong>di</strong> sonno, sono ancora abbastanza forti da imporre loro un travestimento<br />

che li maschera...”. Freud è convinto che attraverso l’analisi dei<br />

sogni noi possiamo scoprire in parte quel mondo <strong>di</strong> impressioni, avvenimenti,<br />

emozioni che abbiamo provato nella prima infanzia e che hanno con<strong>di</strong>zionato<br />

il nostro sviluppo, tutto quello che siamo <strong>di</strong>ventati. Quali desideri<br />

abbiamo potuto mantenere come aspirazioni, quali realizzare, quali rimuovere;<br />

ognuno porta dentro <strong>di</strong> sé una lunga storia fatta per lo più <strong>di</strong> rimozione.<br />

La psicoanalisi come lo stesso Freud più volte confermò, intende<br />

portare il materiale rimosso della vita psichica ad un riconoscimento cosciente:<br />

“...la presunzione della coscienza che rifiuta il sogno con tanto<br />

– 178 –


spregio, fa parte dei più robusti meccanismi protettivi previsti in noi contro<br />

l’infiltrazione dei complessi inconsci; ed è per questo che è così <strong>di</strong>fficile<br />

convincere gli uomini della realtà dell’inconscio e insegnare loro a conoscere<br />

cose nuove, che contrad<strong>di</strong>cono il loro sapere cosciente...”. Rispetto al<br />

sogno come chiave <strong>di</strong> lettura dell’inconscio, non è meno rilevante quel<br />

mondo <strong>di</strong> sogni che costruiamo ad occhi aperti o per sfuggire alla realtà in<br />

cui viviamo, o per darle una <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> cui essa ci appare priva. In questa<br />

<strong>di</strong>rezione uno dei luoghi comuni dominanti è che solo i giovani hanno forti<br />

desideri perché proiettati nel futuro; gli adulti no, loro smettono <strong>di</strong> sognare<br />

calati come sono nella precarietà del presente, impegnati a sopravvivere.<br />

Non credo sia vero. Da bambina, ricordo che spesso mi estraniavo e se mi<br />

chiamavano fingevo <strong>di</strong> rispondere; allora mio padre <strong>di</strong>ceva: “La creatura è<br />

impegnata a modo suo, sta nel mondo dei suoi sogni”. In quella fase non<br />

esisteva lo spartiacque tra desiderio e realtà, tutto sembrava a portata <strong>di</strong><br />

mano, persino il castello delle fate. Poi da gran<strong>di</strong> bisogna <strong>di</strong>stinguere. E uno<br />

si chiede: quali sogni posso veramente realizzare? E lì... tutti a progettare, a<br />

mettere mattone su mattone cercando <strong>di</strong> ingabbiare la vita. E quella fugge<br />

sempre più in là e non si lascia afferrare. La bellezza del vivere sta proprio<br />

in questo continuo sognare che è un perenne, inappagato desiderare. Ogni<br />

giorno mi impegno per quello in cui credo, nel lavoro, nell’amicizia, nella<br />

vita civile, consapevole che le realizzazioni sono piccola cosa. Ma ne vale<br />

la pena: altrimenti dovremmo tutti riconoscere con Pindaro che l’uomo è<br />

solo il sogno <strong>di</strong> un’ombra.<br />

– 179 –


CLAUDIO JANKOWSKI<br />

Sceneggiatura per una fiaba,<br />

idea per un balletto<br />

Un cavaliere ritorna dalla guerra dove è <strong>di</strong>ventato un eroe per aver<br />

ucciso moltissimi nemici. Ritornato in patria incontra una maga (la sua<br />

coscienza) che lo fa temporaneamente impazzire mostrandogli le atrocità<br />

commesse; inorri<strong>di</strong>to da queste il cavaliere chiede <strong>di</strong> essere ammesso al<br />

cospetto del grande saggio per parlare con lui e purificarsi. Alla fine<br />

riprende la strada <strong>di</strong> casa rasserenato e decide <strong>di</strong> trasformarsi in un albero<br />

dopo la morte per ri<strong>di</strong>ventare parte della natura.<br />

____ ____ ____<br />

Nella prima scena si deve vedere un’immagine della guerra descritta<br />

dalla scenografia, dalla musica, dalla danza della ballerina. Finisce la guerra<br />

e l’“eroe” sale a cavallo ed inizia un lungo cammino che lo porterà ad attraversare<br />

tempeste, neve, piogge e luoghi lontani fra i più strani e <strong>di</strong>versi (il<br />

cammino dell’uomo alla ricerca <strong>di</strong> sé) finché non giunge, accompagnato<br />

dalla voce del commentatore, entro i confini della sua terra. Stanco ed affamato<br />

apre una cassa dove aveva riposto l’oro depredato e le provviste ma<br />

tutto si è magicamente trasformato in maschere bagnate <strong>di</strong> sangue ed in<br />

quel momento scopre il proprio destino umano che si rivolta contro la<br />

propria aspirazione <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>ventare un semi<strong>di</strong>o (ragnatela). NOTTE.<br />

MATTINA. A questo punto, mentre è terrorizzato per l’accaduto, gli<br />

viene incontro un uccello (ballerino) che inizia a parlargli ed a in<strong>di</strong>cargli la<br />

giusta strada del pentimento, si uniscono a questo altri animali ed anche<br />

fiori ed alberi cominciano a parlare con lui. (Danza della natura) Il guerriero<br />

incredulo del giu<strong>di</strong>zio espresso dalla natura riprende il cammino<br />

finché giunge nel territorio della strega-maga che vuole a tutti i costi terrorizzarlo<br />

per farlo pentire dei crimini commessi. (Danza della morte e dell’angoscia)<br />

Il cavaliere viene precipitato negli inferi e lì vive scene demoniache,<br />

viene affrontato da mostri e da ricor<strong>di</strong> raccapriccianti riguardanti i<br />

delitti commessi in guerra e la guerra in genere. (Danza dell’inferno e dei<br />

mostri) Il guerriero non più eroe è terrorizzato e chiede <strong>di</strong> poter ritornare<br />

– 180 –


sulla terra. La maga glielo concede convinta del suo pentimento ma prima<br />

<strong>di</strong> fargli ottenere la purificazione lo trasporta in un mondo incantato: il<br />

mondo dei non ancora – vivi, non ancora – morti, dove risiede tutta la gente<br />

che non sa apprezzare la propria vita. (Danza del nulla) Attraverso <strong>di</strong>aloghi<br />

con strane creature il cavaliere capisce che per ottenere la serenità deve<br />

aprire una porta magica e conferire con il grande “Padre”. Aiutato dagli uccelli<br />

apre la porta ed attraverso una luce accecante incontra il Gran Vecchio<br />

che lo spinge a voler cambiare completamente vita ed a voler <strong>di</strong>ventare<br />

parte dell’armonia della natura. Nel mentre il cavaliere chiede al Gran Vecchio<br />

<strong>di</strong> rivelargli la propria identità, il Vecchio si addormenta ed il cavaliere<br />

levatagli la maschera si accorge che il Gran Vecchio altri non è poi che lui<br />

stesso e decide <strong>di</strong> ritornare nel mondo. Saluta la maga che <strong>di</strong>venta una parte<br />

della natura e risale a cavallo prendendo definitivamente la via del ritorno.<br />

Alla fine dopo molti anni in cui avrà vissuto pacificamente ed amorevolmente<br />

con gli altri uomini muore serenamente ed il suo corpo <strong>di</strong>venta un<br />

albero. (Danza finale della vita)<br />

– 181 –


ANNA MARIA ROBUSTELLI<br />

Christina Rossetti,<br />

“Il cui cuore si spezzava per un po’ d’amore” 1<br />

Give me the lowest place: or if for me<br />

That lowest place too high, make one more low<br />

Where I may sit and see<br />

My God and love Thee so. 2<br />

“Her great gift was to take us inside ourselves, to that<br />

Inner space, to describe that moment of truth when<br />

We have to face what we are”. 3<br />

Ancora oggi – quando le poesie delle scrittrici vittoriane trovano attenzione<br />

in alcune se<strong>di</strong> accademiche italiane, oltre che nel più vasto panorama<br />

<strong>di</strong> ricerca angloamericana – Christina Georgina Rossetti (1830-1894) è ricordata,<br />

nelle più note antologie <strong>di</strong> letteratura inglese della scuola secondaria<br />

superiore italiana – quando lo è – come la sorella del più famoso e considerato<br />

pittore e poeta Dante Gabriel Rossetti e come l’autrice <strong>di</strong> ‘Remember’<br />

and ‘Song’, composizioni pregne <strong>di</strong> una delicata qualità musicale e una vaga<br />

melanconia, che si snodano tra antitesi basate sul ricordo e l’oblio e i ricorrenti<br />

pensieri <strong>di</strong> morte, ma prive <strong>di</strong> quella densità espressiva e simbolica <strong>di</strong><br />

creazioni più tarde. Questo ristagno culturale che circonda la sua figura,<br />

1 Espressione tratta dalla poesia L.E.L., <strong>di</strong> Christina Rossetti.<br />

2 Quartina fatta incidere sulla sua tomba nel Cimitero <strong>di</strong> Highgate a Londra dal fratello<br />

William. È tratta dalla poesia ‘The Lowest Place’, Christina Rossetti. Sisson, C.H. (ed.), Selected<br />

Poems, Carcanet Press Limited, Manchester, 1984.<br />

Datemi il posto più basso: o se per me<br />

Quel posto così basso è troppo alto, fatemene uno più basso<br />

Dove possa sedere e vederti<br />

Dio mio e così amarti.<br />

(Traduzione <strong>di</strong> Anna Maria Robustelli per questa come per le altre poesie citate nell’articolo).<br />

3 Citazione da Kathleen Jones, sua biografa, tratta dal libro Learning not to be first. The<br />

Life of Christina Rossetti, The Windrush Press, Gloucestershire, 1991, p. 56.<br />

“Il suo grande dono è stato <strong>di</strong> portarci dentro noi stessi, in quello spazio interiore, a descrivere<br />

quel momento <strong>di</strong> verità, quando dobbiamo affrontare ciò che siamo”.<br />

– 182 –


finisce con <strong>di</strong>sconoscerne l’intenso conflitto che caratterizzò la sua vita <strong>di</strong>visa<br />

tra una natura appassionata e profonda e la rigida educazione vittoriana<br />

che aveva ricevuto.<br />

È per questa persistente mancanza <strong>di</strong> riconoscimento da parte <strong>di</strong> una<br />

certa cultura “co<strong>di</strong>ficata” italiana che mi sembra giusto contribuire a <strong>di</strong>ffondere<br />

<strong>di</strong> lei un’immagine meno falsamente “poeticizzata” e più intimamente<br />

autentica.<br />

Quasi tutte le scrittrici dell’Ottocento inglese che hanno raggiunto<br />

qualche forma <strong>di</strong> notorietà – poiché possiamo presumere che <strong>di</strong> altre non si<br />

sia mai scoperta l’opera nascosta in qualche sperduto cassetto – non si sono<br />

mai sposate o per lo meno non hanno avuto una vita matrimoniale convenzionale<br />

o stabile. Parliamo <strong>di</strong> Jane Austen, <strong>di</strong> Dorothy Wordsworth, <strong>di</strong><br />

Anne, Charlotte e Emily Brontë, <strong>di</strong> Elizabeth Gaskell, <strong>di</strong> George Eliot, <strong>di</strong><br />

Elizabeth Barrett Browning e <strong>di</strong> Christina G. Rossetti, per citare solo alcune<br />

delle scrittrici più note. Altri tratti che le caratterizzarono e che le <strong>di</strong>stinsero<br />

dalle altre donne del loro tempo sono che, nella maggioranza dei casi, non<br />

ebbero figli, dovettero usare uno pseudonimo per pubblicare o non pubblicarono<br />

mai in vita – come nel caso della sorella <strong>di</strong> William Wordsworth –<br />

poterono in qualche modo permettersi <strong>di</strong> non lavorare e osarono scrivere<br />

in un contesto a loro totalmente ostile, in cui anche gli intellettuali più progressisti<br />

trovavano incomprensibile che una donna potesse avere le capacità<br />

adatte per esprimersi nella scrittura e potesse avere qualcosa <strong>di</strong> rilevante<br />

da <strong>di</strong>re. 4 Il curriculum <strong>di</strong> una donna sposata consisteva nel <strong>di</strong>ventare una<br />

perfetta donna <strong>di</strong> casa, modello che era stato co<strong>di</strong>ficato nel poema The<br />

Angel in the House (1854-56) <strong>di</strong> Coventry Patmore, e una zelante generatrici<br />

<strong>di</strong> figli, 5 in modo tale che, specialmente nel caso <strong>di</strong> appartenenza a una<br />

classe sociale me<strong>di</strong>a e non me<strong>di</strong>o-alta o alta, il coinvolgimento con la routine<br />

familiare l’avrebbe resa incapace <strong>di</strong> adempiere ad altro che non fossero<br />

la cura dei figli, l’accu<strong>di</strong>mento dei parenti più anziani e il ruolo <strong>di</strong> moglie<br />

perfetta.<br />

4 Possiamo ricordare qui che il poeta Robert Southey, amico <strong>di</strong> William Wordsworth,<br />

rispose alla ventenne Charlotte Brontë, che gli aveva mandato alcune sue poesie che “la letteratura<br />

non è un’attività adatta alle donne”.<br />

5 Il che ci riporta a Martin Lutero che, come è stato rilevato da Margaret L. King in Women<br />

in the Renaissance, University of Chicago Press, 1991 (trad. ital. Le Donne nel Rinascimento,<br />

Bari, Laterza, 1991), “auspicava che le donne si consumassero pure <strong>di</strong> stanchezza, perché fare i<br />

figli era ‘questo lo scopo per cui esistono’”.<br />

– 183 –


A parte l’essere mogli-madri, “angeli della casa”, alle donne colte si<br />

offriva la possibilità <strong>di</strong> essere insegnanti, governanti, suore o impegnate<br />

in opere caritatevoli: nei primi due casi erano malpagate e spesso trattate<br />

male (ne sono testimonianza i romanzi <strong>di</strong> Anne Brontë e Charlotte Brontë).<br />

Christina provò per brevi perio<strong>di</strong> della sua vita a fare l’insegnante e la<br />

governante, venendo incontro ad esigenze economiche della sua famiglia<br />

ma poi, provando un profondo <strong>di</strong>sagio psichico e fisico – un po’ come<br />

Emily Brontë – ci rinunciò. Quello che le permise <strong>di</strong> non lavorare fu il fatto<br />

<strong>di</strong> avere una salute malferma. Nell’adolescenza ebbe vari malanni probabilmente<br />

<strong>di</strong> tipo psicosomatico, più tar<strong>di</strong> mali più specifici. 6 È sintomatico che<br />

così come molte donne sono riuscite a trovare il tempo per se stesse, per<br />

scrivere, nel corso dei secoli, perché vivevano in un convento, molte altre<br />

sono riuscite a svolgere questa occupazione in quanto non lavoravano a<br />

causa <strong>di</strong> patologie non meglio identificate.<br />

Quella dei Rossetti fu sempre una famiglia molto unita, i cui membri<br />

si aiutarono a livello affettivo ed economico. Originario <strong>di</strong> Vasto, il padre<br />

Gabriele, poeta e dantista, fu costretto ad espatriare in Inghilterra dopo<br />

essere stato condannato a morte dal Borbone <strong>di</strong> Napoli per la sua partecipazione<br />

ai moti del 1820. Giunto a Londra, aiutato dalla comunità italiana<br />

in esilio e dai loro amici inglesi simpatizzanti della rivoluzione italiana,<br />

cominciò a dare lezioni d’italiano e ottenne una cattedra al King’s College.<br />

Sei anni più tar<strong>di</strong> sposò Frances Polidori, figlia <strong>di</strong> un altro esule italiano,<br />

Gaetano Polidori, che era stato segretario dell’Alfieri. Ebbe quattro figli:<br />

Maria, Dante Gabriel, William e Christina Georgina, tutti educati nella<br />

religione della madre, che era anglicana. Frances era un modello perfetto <strong>di</strong><br />

buona moglie: il figlio Dante Gabriel pensava che avesse delle notevoli doti<br />

intellettuali che erano state sacrificate per il bene della famiglia.<br />

Questo tema ricorrente nella vita delle donne: la cancellazione <strong>di</strong> sé<br />

(‘self-effacing’) sarà proprio anche <strong>di</strong> Christina:<br />

…<br />

I lock my door upon myself,<br />

And bar them out; but who shall wall<br />

Self from myself, most loathed of all?<br />

6 Christina era consapevole che le sue malattie l’avevano lasciata libera <strong>di</strong> occuparsi <strong>di</strong><br />

se stessa. Al suo primo e<strong>di</strong>tore, Alexander MacMillan, confessò: “Non sono, né mi aspetto <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ventare molto robusta, ma sono ben contenta dei privilegi e delle immunità legate alla semiinvali<strong>di</strong>tà”.<br />

– 184 –


…<br />

Myself, arch-traitor to myself;<br />

My hollowest friend, my deadliest foe,<br />

My clog whatever road I go.<br />

… 7<br />

Tuttavia sembra che da bambina avesse un carattere impetuoso e ribelle<br />

come il fratello Dante Gabriel. A <strong>di</strong>fferenza degli altri bambini vittoriani,<br />

inoltre, Christina e i suoi fratelli non crebbero nel clima segregato delle<br />

nursery borghesi. La loro casa era un ambiente per nulla tra<strong>di</strong>zionale, e<br />

aperto alle visite <strong>di</strong> esuli, patrioti, uomini politici, letterati e musicisti. Ai<br />

bambini era permesso <strong>di</strong> restare a giocare nella stessa stanza in cui tutte<br />

queste persone <strong>di</strong>scutevano; inoltre tutti i Rossetti, come avvenne per i<br />

Brontë, si influenzarono reciprocamente e furono sempre molto attaccati gli<br />

uni agli altri.<br />

Certamente un cambiamento ebbe luogo in lei nell’età adolescenziale<br />

che il fratello William collegò a preoccupazioni finanziarie per la famiglia,<br />

a cattiva salute e a emulazione della madre.<br />

La sua espansività fu repressa e lei sviluppò una tendenza alla svalutazione<br />

<strong>di</strong> sé e alla rinuncia. È <strong>di</strong>fficile capire esattamente che cosa ebbe: le ipotesi<br />

formulate dai biografi inclinano a imputare questo stato a mania religiosa,<br />

alla per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> libertà personale, dato che le adolescenti <strong>di</strong> allora dovevano<br />

essere sempre accompagnate, a un periodo <strong>di</strong> anemia, a sintomi <strong>di</strong> angina<br />

pectoris, all’afflizione della bronchite che, nelle aree industriali era molto<br />

frequente all’epoca, a sintomi <strong>di</strong> isteria e sensazioni <strong>di</strong> soffocamento (quelli<br />

che oggi si chiamano attacchi <strong>di</strong> panico). L’amore per gli animali e soprattutto<br />

7 …<br />

Mi chiudo la porta <strong>di</strong>etro<br />

E li taglio fuori: ma chi proteggerà<br />

Il mio io da me stessa, più <strong>di</strong> tutto aborrita?<br />

…<br />

Io, la peggiore tra<strong>di</strong>trice <strong>di</strong> me stessa,<br />

L’amica più falsa, la nemica più fatale,<br />

La mia pastoia, qualunque strada prenda.<br />

…<br />

(versi tratti dalla poesia ‘God stregthen me to bear myself’ (‘Dio mi rafforzi perché possa<br />

sopportare me stessa’, R.W. Crump (ed.), Complete Poems of Christina Rossetti: A<br />

Variorum E<strong>di</strong>ton, Baton Routge: Louisiana State University Press, 1986).<br />

– 185 –


per quelli in gabbia che poteva vedere nello zoo <strong>di</strong> Regent’s Park, vicino a<br />

casa sua, sembra avvalorare la tesi che lei stessa si sentisse in gabbia come è<br />

evidente in questi versi tratti da ‘A Royal Princess’, una poesia del 1861:<br />

Two and two my guards behind, two and two before<br />

Two and two on either hand, they guard me evermore,<br />

Me, poor dove that must not coo – eagle that must not soar. 8<br />

Come nota la sua ottima biografa Kathleen Jones,“Christina stava<br />

cominciando a sentire la <strong>di</strong>fferenza, non solo dell’artista creativo, ma anche<br />

<strong>di</strong> genere insieme all’isolamento <strong>di</strong> una cultura <strong>di</strong>versa”. 9 In questi anni<br />

scrisse poesie che il nonno Polidori pubblicò e cominciò a partecipare della<br />

ricca atmosfera artistica e letteraria che si andava consolidando sotto l’etichetta<br />

<strong>di</strong> Fratellanza ‘Pre-Raffaellita’, iniziata dal fratello Dante Gabriel. È<br />

significativo che William Holman Hunt, un pittore, che ne fece parte,<br />

grande amico del fratello, la vide come una “ragazza pura e docile”: l’arte<br />

<strong>di</strong> nascondere se stessa si stava indubbiamente perfezionando. Christina, fra<br />

l’altro, molto brava e competitiva quando giocava a scacchi, decise <strong>di</strong><br />

rinunciarvi come esercizio <strong>di</strong> self-denial, rinunciò anche ad andare a teatro<br />

che, come nel Seicento, quando i puritani furono al potere nel periodo della<br />

Guerra Civile e dopo, era considerato fucina <strong>di</strong> immoralità a causa del<br />

comportamento degli attori e delle attrici.<br />

Sua madre, dotata <strong>di</strong> ardente fervore evangelico, contribuì fortemente a<br />

trasformarla in una puritana e lei lavorò strenuamente per tenere un profilo<br />

basso (“to keep her soul low”) durante tutta la sua vita. 10 Comunque, a<br />

8 Due e due i miei guar<strong>di</strong>ani <strong>di</strong>etro, due e due davanti<br />

Due e due su ciascun lato, mi guardano sempre,<br />

Io povera colomba che non deve tubare – aquila che non deve volare in alto.<br />

9 Kathleen Jones, op. cit., p. 15.<br />

10 L’aggettivo “puritano” è comunemente associato ad un atteggiamento negativo concernente<br />

la sfera dei sentimenti o a qualcuno che reprime le proprie emozioni e giu<strong>di</strong>ca in maniera<br />

molto limitativa quelle degli altri, ma nella tra<strong>di</strong>zione angloamericana, dove è nato, è carico <strong>di</strong><br />

connotazioni ben più profonde. Spesso il titolare o la titolare delle emozioni pensa <strong>di</strong> non<br />

averne <strong>di</strong>ritto , considerando la propria piccolezza <strong>di</strong> fronte al padre Dio. Basti ricordare qui che<br />

i primi puritani in terra americana, hanno scritto <strong>di</strong>ari <strong>di</strong> una rara bellezza, che venivano usati<br />

come strumenti <strong>di</strong> indagine dell’anima per capire se erano degni della grazia <strong>di</strong> Dio. Ma questo<br />

continuo esercizio esplorativo, che ha contribuito a sviluppare la complessità dell’io moderno,<br />

come hanno rilevato stu<strong>di</strong>osi del settore – ha spesso posto questi in<strong>di</strong>vidui in contrad<strong>di</strong>zione con<br />

se stessi. Ad esempio, quando Thomas Shepard narra della morte della moglie, si trova a giustificarsi<br />

<strong>di</strong> fronte al suo Dio, per sentire <strong>di</strong> averla amata più <strong>di</strong> Dio stesso.<br />

– 186 –


<strong>di</strong>ciotto anni, Christina si fidanzò con un membro della Pre-Raphaelite<br />

Brotherhood dal carattere mite e timido, James Collinson, e questo segnò<br />

un periodo felice della sua vita.<br />

Il fidanzamento durò fino al 1850, quando Collinson si riconvertì al<br />

Cattolicesimo dopo una fase <strong>di</strong> ripensamenti religiosi e Christina ruppe il<br />

suo legame con lui.<br />

Seguì un periodo <strong>di</strong> depressione, accompagnato da seri problemi familiari,<br />

che Christina cercò <strong>di</strong> superare cercando conforto nella religione.<br />

È degli anni cinquanta la poesia ‘The Hearth Knoweth its own Bitterness’,<br />

che rivela questa con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> desiderio intenso per qualcosa <strong>di</strong> irrealizzato,<br />

un tema che impronta la parte più originale della poesia <strong>di</strong> Christina<br />

Rossetti:<br />

When all the over-work of life<br />

Is finished once, and fast asleep<br />

We swerve no more beneath the knife<br />

But taste that silence cool and deep;<br />

Forgetful of the highways rough,<br />

Forgetful of the thorny scourge,<br />

Forgetful of the tossing surge,<br />

Then shall we find it is enough?<br />

How can we say ‘enough’ on earth –<br />

‘Enough’ with such a craving heart?<br />

I have not found it since my birth,<br />

But still have bartered part for part.<br />

I have not held and hugged the whole,<br />

But paid the old to gain the new:<br />

Much have I paid, yet much is due,<br />

Till I am beggared sense and soul.<br />

I used to labour, used to strive<br />

For pleasure with a restless will:<br />

Now if I save my soul alive<br />

All else what matters, good or ill?<br />

I used to dream alone, to plan<br />

Unspoken hopes and days to come: –<br />

Of all my past this is the sum –<br />

I will not lean on child of man.<br />

– 187 –


To give, to give, not to receive!<br />

I long to pour myself, my soul,<br />

Not to keep back or count or leave,<br />

But king with king to give the whole.<br />

I long for one to stir my deep –<br />

I have had enough of help and gift –<br />

I long for one to search and sift<br />

Myself, to take myself and keep.<br />

You scratch my surface with your pin,<br />

You stroke me smooth with hushing breath: –<br />

Nay pierce, nay probe, nay <strong>di</strong>g within,<br />

Probe my quick core and sound my depth.<br />

You call me with a puny call,<br />

You talk, you smile, you nothing do:<br />

How should I spend my heart on you,<br />

My heart that so outweighs you all?<br />

Your vessels are by much too strait:<br />

Were I to pour, you could not hold. –<br />

Bear with me: I must bear to wait,<br />

A fountain sealed through heat and cold.<br />

Bear with me days or months or years:<br />

Deep must call deep until the end<br />

When friend shall no more envy friend<br />

Nor vex his friend at unawares.<br />

Not in this world of hope deferred,<br />

This world of perishable stuff: –<br />

Eye hath not seen nor ear hath heard<br />

Nor heart conceived that full ‘enough’:<br />

Here moans the separating sea,<br />

Here harvest fail, here breaks the heart:<br />

There God shall join and no man part,<br />

I full of Christ and Christ of me. 11<br />

11 Il Cuore Conosce le Proprie Amarezze<br />

Quando tutta la fatica della vita<br />

Sarà finita una volta per tutte, e nel profondo sonno<br />

– 188 –


Non ci <strong>di</strong>batteremo più sotto il coltello<br />

Ma gusteremo quel freddo, profondo silenzio;<br />

Dimentichi delle aspre vie maestre,<br />

Dimentichi dello spinoso flagello,<br />

Dimentichi del montante desiderio,<br />

Ne avremo abbastanza allora?<br />

Come possiamo <strong>di</strong>re ‘basta’ sulla terra –<br />

‘Basta’ con un cuore così ardente?<br />

Da quando sono nata mai ne ho avuto abbastanza,<br />

Ma sempre ho barattato una parte per l’altra.<br />

Senza mai tenere e abbracciare il tutto,<br />

Col vecchio pagando per avere il nuovo:<br />

Molto ho pagato, pure molto è dovuto,<br />

Finché mén<strong>di</strong>co il senso e l’anima.<br />

Lavoravo, lottavo<br />

Con piacere con una volontà indomita:<br />

Ora se solo mi resta viva l’anima<br />

Tutto il resto che importa, bene o male?<br />

Sognavo da sola, progettavo<br />

Speranze taciute e giorni a venire: -<br />

Di tutto il passato questo mi resta –<br />

Non mi appoggerò su un figlio d’uomo.<br />

Dare, dare, non ricevere!<br />

Voglio riversare me stessa, la mia anima,<br />

Non tenermi in<strong>di</strong>etro o fare calcoli o rinunciare,<br />

Ma da re a re dare tutto.<br />

Desidero qualcuno che smuova il mio profondo –<br />

Ne ho abbastanza <strong>di</strong> aiuto e dono –<br />

Desidero qualcuno che mi cerchi e son<strong>di</strong>,<br />

Che mi prenda e tenga.<br />

Graffi col tuo spillo la mia pelle,<br />

Mi hai colpito lieve col tuo respiro soffice: -<br />

No trafiggi, no frughi, no scavi dentro,<br />

Frughi il mio fondo vivo e fai risuonare le mie profon<strong>di</strong>tà.<br />

Mi chiami con un richiamo debole,<br />

Mi parli, mi sorri<strong>di</strong>, non fai niente:<br />

Come potrei impegnare il mio cuore con te.<br />

Il cuore che tanto vi sovrasta tutti?<br />

I tuoi vasi sono veramente troppo stretti:<br />

Dovessi io versare, tu non potresti contenere, -<br />

Sopporta con me: devo sopportare l’attesa,<br />

Fontana sigillata nel caldo e nel freddo.<br />

Sopporta con me giorni o mesi o anni:<br />

Profondamente devi chiamare profondamente sino alla fine<br />

Quando l’amico non invi<strong>di</strong>erà più l’amico<br />

Né irriterà l’amico senza volerlo.<br />

– 189 –


Molti sono i versi che si potrebbero mettere in luce in questa poesia, ma<br />

forse il più bello qui per intensità espressiva è quel I long for one to stir my<br />

deep, in cui la monosillabicità della lingua inglese si sposa con un craving<br />

heart che tutto è fuorché vittoriano. Christina sarà stata anche repressa dalla<br />

famiglia e dall’educazione religiosa, ma certamente non era repressa nell’espressione<br />

poetica, nella resa lucida e puntuale <strong>di</strong> ciò che sentiva nel profondo<br />

del suo cuore. Molte parole fanno riferimento al suo profondo:<br />

silence cool and deep/ sound my depth/ deep must call deep/ search and sift/<br />

take myself and keep/ scratch/ stroke me smooth/ pierce/ probe/ <strong>di</strong>g within.<br />

La quarta strofe insiste sul suo desiderio intenso: I long to pour myself,<br />

my soul/ I long for one to search and sift e tutta la poesia è una protesta fatta<br />

da una donna intelligente, colta e sensibile a cui, come a quasi tutte le<br />

persone appartenenti a questo genere, è stato insegnato a dare, a curare, a<br />

donare ma che, dopo essersi perfezionata in questa arte, si è ritrovata profondamente<br />

delusa nelle sue aspettative affettive e <strong>di</strong> affermazione personale<br />

nel mondo.<br />

Come in quasi tutte le sue poesie, alla fine Christina esprime la speranza<br />

che le promesse non realizzate vengano sod<strong>di</strong>sfatte nell’Al<strong>di</strong>là. Kathleen<br />

Jones osserva che la vita era dura e <strong>di</strong>fficile e la morte un genere <strong>di</strong><br />

lieto fine, che segnava il passaggio a un Al<strong>di</strong>là <strong>di</strong> dolcissimo piacere”. 12<br />

Fra le varie occupazioni e preoccupazioni <strong>di</strong> quegli anni (l’insegnamento<br />

in una scuola insieme alla madre, la morte della nonna materna, il continuare<br />

a scrivere poesie) troviamo alcune righe da una lettera <strong>di</strong> Dante Gabriel che<br />

le consiglia <strong>di</strong> trarre ispirazione dalla natura, d’accordo in questo con l’amico<br />

Theodore Watts-Dunton. 13 Giustamente commenta l’acuta biografa già<br />

Non in questo mondo <strong>di</strong> speranza <strong>di</strong>fferita,<br />

Questo mondo <strong>di</strong> merce deperibile: -<br />

Occhio non ha visto né orecchie u<strong>di</strong>to<br />

Né cuore concepito in pieno quell’’abbastanza’:<br />

Qui mormora il mare che ci separa<br />

Qui va a male il raccolto, qui il cuore si spezza:<br />

Là Dio unirà e nessun uomo separerà,<br />

Io piena <strong>di</strong> Cristo Cristo <strong>di</strong> me.<br />

(Christina Rossetti, Selected Poems, C.H. Sisson ed., pp. 64-66.<br />

12 Kathleen Jones, op. cit., p. 40.<br />

13 Kathleen Jones ci riferisce che questa “mancanza” <strong>di</strong> Christina veniva messa in risalto<br />

dal paragone con Jean Ingelow, una poeta vittoriana che si riferiva spesso alla natura nella<br />

sua poesia; in particolare Theodore Watts-Dunton attribuiva questa “pecca” in lei al fatto che<br />

Christina era cresciuta in città. Op. cit., pp. 61-62.<br />

– 190 –


citata, “l’idea che Christina avrebbe potuto preferire scrivere <strong>di</strong> paesaggi interiori<br />

piuttosto che esteriori non era presa in considerazione”.<br />

Anche il padre Gabriele morì nel 1854.<br />

Christina ormai era <strong>di</strong>venuta consapevole delle sue capacità espressive<br />

e del suo valore come poeta, ma viveva il conflitto tra la volontà <strong>di</strong> affermazione<br />

letteraria e il desiderio <strong>di</strong> annullamento della propria personalità.<br />

Una zia <strong>di</strong> Christina partecipò al gruppo <strong>di</strong> infermiere che andavano in<br />

Crimea con Florence Nightingale, anch’essa una donna che ebbe malattie<br />

psicosomatiche, che dovette lottare contro una famiglia autoritaria e che<br />

rifiutò <strong>di</strong> sposare l’uomo che amava in nome <strong>di</strong> quello in cui credeva. Florence<br />

spiegava l’origine del suo comportamento con il fatto che quest’uomo<br />

avrebbe certamente sod<strong>di</strong>sfatto la sua natura intellettuale e la sua natura<br />

passionale, ma lei aveva anche una natura morale e attiva da sod<strong>di</strong>sfare. È<br />

evidente che queste considerazioni possono valere anche per Christina.<br />

Per un breve periodo <strong>di</strong> tempo Christina fece la governante in una casa<br />

<strong>di</strong> Hampstead Heath. Si ammalò e passò l’inverno in questo stato. Siamo<br />

però alle soglie della sua fase creativa più vivace. Nel febbraio 1859 scrisse<br />

L.E.L., sigla <strong>di</strong> Laetitia Elizabeth Landon, una poeta su cui aveva già scritto<br />

E. Barrett Browning. Un altro possibile riferimento è alla poesia ‘Felicia<br />

Hemans’, sempre della Browning, il cui sottotitolo è ‘To L.E.L.’. L’incrocio<br />

<strong>di</strong> riferimenti tra tutte queste poete vittoriane enfatizza il fatto che Christina<br />

si immedesimava con alcune <strong>di</strong> loro per il senso <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne che avevano<br />

sperimentato e la frustrazione <strong>di</strong> non essersi realizzate. Questa è una delle<br />

più belle poesie <strong>di</strong> Christina e non è certamente una delle più note in Italia:<br />

L.E.L.<br />

‘Whose heart was breaking for a little love.’<br />

Downstairs I laugh, I sport and jest with all;<br />

But in my solitary room above<br />

I turn my face in silence to the wall;<br />

My heart is breaking for a little love.<br />

Though winter frosts are done,<br />

And birds pair every one,<br />

And leaves peep out, for springtide is begun.<br />

I feel no spring, while spring is well-nigh blown,<br />

I find no nest, while nests are in the grove<br />

Woe’s me for mine own heart that dwells alone,<br />

– 191 –


My heart that breaketh for a little love.<br />

While golden in the sun<br />

Rivulets rise and run,<br />

While lilies bud, for springtide is begun.<br />

All love, are loved, save only I; their hearts<br />

Beat warm with love and joy, beat full thereof:<br />

They cannot guess, who play the pleasant parts,<br />

My heart is breaking for a little love.<br />

While bee-hives wake and whirr,<br />

And rabbit thins his fur,<br />

In living spring that sets the world astir.<br />

I deck myself with silks and jewelry,<br />

I plume myself like any mated dove:<br />

They praise my rustling show, and never see<br />

My heart is breaking for a little love.<br />

While sprouts green lavender<br />

With rosemary and myrrh,<br />

For in quick spring the sap is all astir.<br />

Perhaps some saints in glory guess the truth,<br />

Perhaps some angels read it as they move,<br />

And cry one to another full of ruth,<br />

‘Her heart is breaking for a little love.’<br />

Though other things have birth,<br />

And leap and sing for mirth,<br />

When springtime wakes and clothes and feeds the earth.<br />

Yet saith a saint, “Take patience for thy scythe’;<br />

Yet saith an angel: ‘Wait, and thou shalt prove<br />

True best is last, true life is born of death,<br />

O thou, heart-broken for a little love.<br />

Then love shall fill thy girth,<br />

And love make fat thy dearth,<br />

When new spring builds new heaven and clean new earth’. 14<br />

Il tema non è nuovo, ma è il modo con cui è stato espresso che è <strong>di</strong> una<br />

rara intensità. Qui Christina – come ogni vero artista – è riuscita a portare<br />

allo scoperto la sua anima senza reticenze ed a imprimere un ritmo serrato e<br />

incalzante alla sua pena.<br />

– 192 –


14 L.E.L.<br />

‘A cui il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore spezzava il cuore’<br />

Da basso rido, mi <strong>di</strong>verto e scherzo con tutti;<br />

Ma nella mia stanza solitaria <strong>di</strong> sopra<br />

Volgo il volto al muro in silenzio;<br />

Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore mi spezza il cuore.<br />

Sebbene le gelate invernali siano finite,<br />

E gli uccelli tutti si accoppino,<br />

E spuntino le foglie, perché la primavera è tornata.<br />

Io non sento la primavera, ma la primavera è quasi stremata,<br />

Non trovo un nido, ma i ni<strong>di</strong> sono nel bosco:<br />

Provo dolore per il cuore solo.<br />

Che si spezza per il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore.<br />

Mentre nel sole dorati<br />

Ruscelletti sgorgano e scorrono,<br />

Mentre i gigli sbocciano, perché la primavera è tornata.<br />

Tutti amano, sono amati, salvo me; i loro cuori<br />

Battono cal<strong>di</strong> <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong> gioia , battono pieni d’amore:<br />

Quelli che hanno le parti più belle non possono capire,<br />

Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore mi spezza il cuore.<br />

Mentre gli alveari si destano e ronzano,<br />

E il coniglio assottiglia il mantello,<br />

Nella primavera brulicante <strong>di</strong> vita.<br />

Mi vesto <strong>di</strong> sete e gioielli,<br />

Di piume mi copro come una colomba in amore:<br />

Lodano la mia foggia frusciante, e non vedono che<br />

Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore mi spezza il cuore.<br />

Mentre spunta la verde lavanda<br />

Col rosmarino e la mirra,<br />

Poiché nel vigore della primavera la linfa scorre.<br />

Forse qualche santo in gloria indovina la verità,<br />

Forse qualche angelo in moto la legge,<br />

E gridano fra <strong>di</strong> loro impietositi,<br />

‘Il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore le spezza il cuore.’<br />

Sebbene altre cose nascano,<br />

E saltino e cantino per la gioia,<br />

Quando la primavera si desta e veste e nutre la terra.<br />

Pure <strong>di</strong>sse un santo, ‘Aspetta con pazienza la falce’;<br />

Pure <strong>di</strong>sse un angelo: ‘Aspetta, e tu saprai che<br />

Il vero bene è l’ultimo, la vera vita nasce dalla morte,<br />

O tu, col cuore spezzato per il desiderio <strong>di</strong> un po’ d’amore,<br />

Poi l’amore ti cingerà,<br />

E l’amore ingrasserà la tua carestia,<br />

Quando un’altra primavera costruirà un altro cielo e <strong>di</strong> nuovo pulirà la terra.’<br />

(Christina Rossetti, Selected Poems, op. cit., pp. 98-99).<br />

– 193 –


L’anno 1962 vide la pubblicazione <strong>di</strong> Goblin Market, una delle opere<br />

più riuscite e <strong>di</strong>scusse <strong>di</strong> Christina per l’innovativa scioltezza linguistica, la<br />

vena subliminale <strong>di</strong> sensualità che la percorre e l’elusività del significato.<br />

Lasciamo al lettore il piacere <strong>di</strong> scoprire questo gioiello, che è comunque<br />

una delle opere più conosciute della poeta inglese in Italia. Il poemetto ricevette<br />

recensioni positive sul MacMillan Magazine e sul British Quarterly e<br />

piacque al poeta Swinburne che approfondì la sua amicizia con Christina.<br />

Insieme a Elizabeth Barrett Browning, probabilmente la più nota poeta<br />

vittoriana, Christina godeva ormai <strong>di</strong> una <strong>di</strong>screta notorietà e appariva<br />

lontano e quanto mai fuori luogo il giu<strong>di</strong>zio negativo sull’aspetto formale<br />

delle sue poesie, formulato in anni precedenti da John Ruskin, il critico che<br />

aveva sostenuto con il suo prestigio l’esperimento della Pre-Raphaelite<br />

Brotherhood.<br />

Alla fine degli anni cinquanta era cominciato il suo rapporto <strong>di</strong> amicizia<br />

con l’uomo che sarebbe <strong>di</strong>ventato il secondo grande amore della sua vita,<br />

Charles Cailey, (un ex-allievo <strong>di</strong> suo padre), la cui presenza è resa evidente<br />

in alcune sue poesie. Quello che ci interessa è che la sua relazione con<br />

Cailey le ispirò una serie <strong>di</strong> sonetti, ‘Monna Innominata’ Sonnets, in cui lei<br />

si finse un troubador donna che si rivolge a un uomo che non può avere. Il<br />

capovolgimento della situazione classica dantesca e petrarchesca è intrigante<br />

ed è singolare che queste poesie non siano ancora molto conosciute.<br />

La struttura controllata del sonetto permette a lei, come a tutti quei<br />

poeti nelle cui mani è passato: Dante, Petrarca, W. Shakespeare, J. Donne e<br />

così via, <strong>di</strong> combinare l’espressione <strong>di</strong> un sentimento intenso con la scansione<br />

<strong>di</strong> un ragionamento che deve giungere a conclusione in tempi brevi.<br />

Diamo qui due esempi <strong>di</strong> sonetti <strong>di</strong> questa serie che sono testimonianza<br />

della padronanza espressiva a cui Christina era giunta, precisando che il<br />

secondo componimento risale al periodo in cui “ricordava” il rapporto con<br />

Cayley, dato che anche in questo caso, per motivi religiosi – Cayley era<br />

un agnostico – Christina pose fine al loro fidanzamento, anche se continuò<br />

a frequentarlo come amico con il quale aveva sempre con<strong>di</strong>viso notevoli<br />

affinità.<br />

I loved you first: but afterwards your love,<br />

Outsoaring mine, sang such a loftier song<br />

As drowned the friendly cooings of my dove.<br />

Which owes the other most? My love was long,<br />

And yours one moment seemed to wax more strong;<br />

– 194 –


I loved and guessed at you, you construed me<br />

And loved me for what might or might not be –<br />

Nay, weights and measures do us both a wrong.<br />

For verily love knows not ‘mine’ or ‘thine’;<br />

With separate ‘I’ and ‘thou’ free love has done,<br />

For one is both and both are one in love:<br />

Rich love knows nought of ‘thine that is not mine’;<br />

Both have the strength and both the length thereof,<br />

Both of us, of the love which makes us one. 15<br />

Still sometimes in my secret heart of hearts<br />

I say ‘Cor mio’ when I remember you,<br />

And thus I yield us both one tender due,<br />

Wel<strong>di</strong>ng one whole of two <strong>di</strong>vided parts.<br />

Ah Friend, too wise or unwise for such arts,<br />

Ah noble Friend, silent and strong and true,<br />

Would you have given me roses for the rue<br />

For which I bartered roses in love’s marts?<br />

So late in autumn one forgets the spring,<br />

Forgets the summer with its opulence,<br />

The callow birds that long have found a wing,<br />

The swallows that more lately got them hence:<br />

Will anything like spring, will anything<br />

Like summer, rouse one day the slumbering sense? 16<br />

15 Monna Innominata n. 4<br />

Io ti ho amato per prima: ma dopo il tuo amore,<br />

Sorpassando il mio, ha cantato un canto così elevato<br />

Che ha oscurato il mio gentile tubare <strong>di</strong> colomba.<br />

Chi deve all’altro <strong>di</strong> più? Il mio amore è durato a lungo,<br />

E il tuo per un po’ è sembrato il più forte;<br />

Io ho amato e mi sono chiesta che cosa provavi tu, tu mi hai inventata<br />

E amata per quello che potevo e non potevo essere –<br />

No, pesi e misure ci fanno torto<br />

Poiché è vero che l’amore non conosce “mio” e “tuo”;<br />

Un amore vero finisce se “io” e “tu” sono separati,<br />

Poiché uno è due e due sono uno in amore:<br />

Un amore ricco non ne vuole sapere <strong>di</strong> “tuo” che non sia “mio”;<br />

Entrambi posse<strong>di</strong>amo la forza e la durata <strong>di</strong> questo amore<br />

Di ciò che ci rende entrambi una cosa sola.<br />

(Kathleen Jones, op. cit., p. 117).<br />

– 195 –


All’inizio degli anni sessanta fece anche amicizia con Anna Gilchrist,<br />

un’intellettuale che scrisse biografie <strong>di</strong> W. Blake e Mary Lamb. La figlia <strong>di</strong><br />

Anne, Grace, più tar<strong>di</strong>, tracciò un ritratto <strong>di</strong> Christina all’età <strong>di</strong> trentatrè<br />

anni:<br />

“...aveva gli occhi scuri ed era snella, nella pienezza delle sue capacità<br />

poetiche. Nell’aspetto era italiana, con una carnagione olivastra e profon<strong>di</strong><br />

occhi bruni. Possedeva anche la bella voce italiana <strong>di</strong> cui erano dotati<br />

i Rossetti – una voce fatta <strong>di</strong> strane dolci inflessioni, che assumeva<br />

modulazioni argentine quando la conversazione si faceva sostenuta, e<br />

le comuni parole ed espressioni inglesi ricadevano sull’orecchio con<br />

un’intonazione morbida, straniera, musicale, sebbene lei pronunciasse le<br />

parole stesse con il più puro degli accenti”. 17<br />

Avvenne nel maggio 1865 il suo unico viaggio in Italia insieme alla<br />

madre e al fratello William, passando per la Francia e la Svizzera. Rimase<br />

colpita dalla bellezza dei paesaggi e dalle persone che incontrò. Si sentì<br />

fiera del suo sangue italiano.<br />

Al ritorno i suoi sentimenti per Cayley erano sempre vivi e sembravano<br />

precludere alla possibilità concreta <strong>di</strong> un matrimonio. Scrisse la poesia ‘An<br />

Immurata Sister’, ancora una volta usando parole italiane, che mostra una<br />

rara sensibilità <strong>di</strong> genere. Ne riportiamo solo alcuni versi:<br />

16 Cor mio<br />

Ancora a volte nel segreto profondo del cuore<br />

Dico ‘Cor mio’ quando ti ricordo,<br />

E così do a entrambi quello che è giusto,<br />

Saldando in un tutt’uno due parti <strong>di</strong>vise.<br />

Ah Amico, troppo o poco saggio per tali arti,<br />

Ah nobile Amico, silenzioso e forte e sincero,<br />

Mi avresti dato rose per la ruta<br />

Con cui barattai rose al mercato dell’amore?<br />

In questo tardo autunno si <strong>di</strong>mentica la primavera,<br />

Si <strong>di</strong>mentica l’opulenza dell’estate,<br />

Gli uccelli implumi che da tanto hanno trovato le ali,<br />

Le ron<strong>di</strong>ni che da poco le hanno messe lontano da qui:<br />

Qualcosa come la primavera come l’estate<br />

Risveglierà un giorno i sensi assopiti?<br />

(Kathleen Jones, op. cit., p. 169<br />

17 Kathleen Jones, op. cit., p. 121.<br />

– 196 –


Men work and think, but women feel;<br />

And so (for I’m a woman, I)<br />

And so I should be glad to <strong>di</strong>e,<br />

And cease from impotence of zeal,<br />

And cease from hope, and cease from dread,<br />

And cease from yearnings without gain,<br />

And cease from al this world of pain,<br />

And be at peace among the dead.<br />

…<br />

Sparks fly upward toward their fount of fire,<br />

Kindling, flashing, hovering: –<br />

Kindle, flash, my soul; mount higher and higher,<br />

Thou whole burnt-offering! 18<br />

Accanto alla sua natura appassionata sempre evidente, Christina anticipa<br />

una problematica e una consapevolezza tutta novecentesca, che sono<br />

state indagate nei vari filoni dei Women’s Stu<strong>di</strong>es <strong>di</strong> quel secolo e sono ancora<br />

stu<strong>di</strong>ate: le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> genere nel pensare e nel sentire tra gli uomini<br />

e le donne. 19<br />

18 Gli uomini lavorano e pensano, ma le donne sentono;<br />

E allora (poiché sono una donna io)<br />

E allora vorrei morire,<br />

E non sentirmi impotente <strong>di</strong> fronte al mio entusiasmo,<br />

E non sperare, e non temere,<br />

E non vivere in questo mondo <strong>di</strong> pene,<br />

E essere in pace tra i morti.<br />

…<br />

Scintille volano verso l’alto, verso la fonte del fuoco,<br />

Accendendo, avvampando, volteggiando: -<br />

Accen<strong>di</strong>ti, avvampa, anima mia; sali sempre più in alto,<br />

Tu che ti offri intera per essere bruciata!<br />

(Kathleen Jones, op. cit., pp. 136-37).<br />

19 La psicologa evolutiva americana Carol Gilligan ha messo in evidenza i tratti specifici<br />

della moralità maschile e femminile, in<strong>di</strong>viduando nella donna un’attenzione alla relazione con<br />

gli altri, mentre l’uomo tenderebbe a aderire a un’idea <strong>di</strong> morale che tiene conto <strong>di</strong> un insieme<br />

<strong>di</strong> norme comuni pattuite in precedenza. (Carol Gilligan, In a Different Voice. Psychological<br />

Theory and Women’s Development, Harvard University Press, 1982, (Trad. ital. Carol Gilligan,<br />

Con Voce <strong>di</strong> Donna, Feltrinelli, Milano, 1987).<br />

– 197 –


Non è stato possibile se non dare un quadro frammentario della complessa<br />

e affascinante personalità <strong>di</strong> Christina Rossetti, che si è voluto evidenziare<br />

nei suoi lati più conflittuali e irrisolti. La sua vita continuerà tra<br />

malattie, lutti, momenti <strong>di</strong> impegno sociale e persino politico, nella cerchia<br />

<strong>di</strong>screta <strong>di</strong> amicizie e relazioni che mantenne sempre, e seguita dall’affetto<br />

profondo del fratello William che le sopravvivrà.<br />

Il tema della morte l’aveva sempre accompagnata e, del resto, questo è<br />

uno dei temi più espliciti dell’Ottocento, così come <strong>di</strong> tutti i tempi.<br />

La sua ultima poesia, ‘Passing away’, scritta durante la malattia (il<br />

cancro) che la porterà alla morte, tratta della morte come sollievo dalla sofferenza<br />

della vita:<br />

Sleeping at last, the trouble and tumult over,<br />

Sleeping at last, the struggle and horror past,<br />

Cold and white, out of sight of friend and lover,<br />

Sleeping at last.<br />

No more a tired heart downcast or overcast,<br />

No more pangs that wring or shifting fears that hover,<br />

Sleeping at last in a dreamless sleep locked fast.<br />

Fast asleep. Singing birds in their leafy cover<br />

Cannot wake her, not shake her the gusty blast.<br />

Under the purple thyme and the purple cover<br />

Sleeping at last. 20<br />

20 Morire<br />

Alla fine dormire, cessati l’affanno e il tumulto,<br />

Alla fine dormire, dopo la lotta e l’orrore,<br />

Fred<strong>di</strong> e palli<strong>di</strong>, senza più amici e amore,<br />

Alla fine dormire.<br />

Il cuore stanco non più abbattuto o sopraffatto,<br />

Non più spasimi che lacerano o labili paure che aleggiano,<br />

Alla fine dormire stretti in un sonno senza sogni.<br />

Profondamente addormentati. Gli uccelli canori nei ripari tra le foglie<br />

Non la possono destare, né le raffiche <strong>di</strong> vento scuotere.<br />

Sotto il timo purpureo e il purpureo trifoglio<br />

Alla fine dormire.<br />

(Kathleen Jones, op. cit., p. 234).<br />

– 198 –


Possiamo affiancarla alla poesia giovanile ‘Song’, scritta nel 1848, che<br />

compare in quasi tutte le antologie <strong>di</strong> cui si parlava all’inizio <strong>di</strong> questo articolo,<br />

per cogliere le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> tono:<br />

When I am dead, my dearest,<br />

Sing no sad songs for me;<br />

Plant thou no roses at my head,<br />

Nor shady cypress tree:<br />

Be the green grass above me<br />

With showers and dewdrops wet:<br />

And if thou wilt, remember,<br />

And if thou wilt, forget.<br />

I shall not see the shadows,<br />

I shall not fear the rain;<br />

I shall not hear the nightingale<br />

Sing on as if in pain:<br />

And dreaming through the twilight<br />

That doth not rise nor set,<br />

Haply I may remember,<br />

And haply may forget. 21<br />

21 Canto<br />

Quando sarò morta, amore,<br />

Non cantare tristi canzoni per me;<br />

Non piantare rose sul mio capo,<br />

Né ombrosi cipressi:<br />

Mi copra l’erba verde<br />

Bagnata <strong>di</strong> pioggia e <strong>di</strong> rugiada:<br />

E, se vuoi, ricordami,<br />

E, se vuoi, <strong>di</strong>menticami.<br />

Non vedrò le ombre,<br />

Non temerò la pioggia;<br />

Non udrò l’usignolo<br />

Cantare come se fosse in pena:<br />

E in sogno nel crepuscolo<br />

Che non si alza né si abbassa,<br />

Potrò forse ricordare felice,<br />

E felice forse <strong>di</strong>menticherò.<br />

(Christina Rossetti, Selected Poems, op. cit., p. 25).<br />

– 199 –


Colpisce il tono più leggero <strong>di</strong> questa poesia giovanile, che riecheggia<br />

anche motivi presenti nei sonetti <strong>di</strong> Shakespeare (‘And if thou wilt, remember,<br />

/ And if thou wilt, forget’). In ambedue le poesie ci sono riferimenti<br />

alla natura: quell’usignolo che da morta lei non potrà più ascoltare in ‘Song’,<br />

o quegli uccelli canori che non la potranno più destare in ‘Passing Away’.<br />

Ancora una volta Christina ha pensato a quella primavera che non aveva<br />

potuto vivere. Come il nostro Leopar<strong>di</strong>, questa apparentemente <strong>di</strong>messa<br />

donna vittoriana sentiva <strong>di</strong> rimproverare alla vita la mancata realizzazione<br />

delle promesse formatesi nell’infanzia e inseguite per tutta la vita.<br />

‘Song’ appare un esercizio <strong>di</strong> stile, ma ‘Passing Away’ ci dà la misura<br />

della sofferenza della vita che Shakespeare nel celebre monologo <strong>di</strong> Amleto<br />

aveva espresso e che avrebbe <strong>di</strong> certo con<strong>di</strong>viso con la Rossetti.<br />

Ci sorprende anche in Christina l’assenza <strong>di</strong> quella speranza religiosa<br />

che lei aveva nutrito per tutta la vita con un ferreo rigore e tormenti spirituali<br />

continui, ma si sa che nell’ultimo periodo della sua vita era stata<br />

scossa da terribili sensi <strong>di</strong> colpa e da dubbi riguardanti l’irreprensibilità del<br />

suo comportamento religioso.<br />

Moriva, alle 7,25 del 29 <strong>di</strong>cembre 1894 nella sua casa <strong>di</strong> Torrington<br />

Square a Londra.<br />

Il suo primo biografo, MacKenzie Bell, che fu presente alla cerimonia<br />

funebre al cimitero <strong>di</strong> Highgate, notò come<br />

‘...il sole invernale, che riluceva attraverso i rami senza foglie <strong>di</strong> alcuni<br />

alberi... metteva in risalto tutta la loro trama delicata, mentre un pettirosso<br />

cantava’. 22<br />

22 Kathleen Jones, op. cit., p. 225.<br />

– 200 –


Sezione <strong>di</strong>dattica<br />

(collaborazioni degli studenti)


DONATELLA ARCURI<br />

Fu vera storia?<br />

(Una ricerca della classe 3ª I del <strong>Liceo</strong> Linguistico,<br />

anno scolastico <strong>2004</strong>-2005)<br />

PREMESSA<br />

La ricerca qui presentata è stata svolta dalla Classe 3ª sez. I del <strong>Liceo</strong><br />

Linguistico nella seconda parte dell’anno scolastico <strong>2004</strong>-2005, a completamento<br />

del progetto, promosso dal Comune <strong>di</strong> Roma, cui aveva partecipato<br />

nell’autunno precedente insieme alla classe 2ª B del <strong>Liceo</strong> Classico, coor<strong>di</strong>nata<br />

dalla prof.ssa Fierro.<br />

Nel marzo 2005 gli studenti della 3ª I hanno raccolto una testimonianza<br />

orale su un episo<strong>di</strong>o poco noto avvenuto nella Toscana, occupata dai nazisti,<br />

il 13 e 14 aprile del 1944 (l’episo<strong>di</strong>o noto agli stu<strong>di</strong>osi della Resistenza<br />

come l’Ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Stia Vallucciole, in provincia <strong>di</strong> Arezzo). Gli tratta <strong>di</strong><br />

un’intervista, <strong>di</strong> cui si riportano alcuni stralci particolarmente significativi,<br />

ad una superstite e testimone oculare <strong>di</strong> quei fatti. L’intervista è stata poi<br />

analizzata, commentata e <strong>di</strong>scussa in classe; si è tentato un confronto con le<br />

fonti per così <strong>di</strong>re ufficiali e pubbliche sullo stesso evento e si è soprattutto<br />

avviato un lavoro sui percorsi della memoria, tanto interessanti quanto internamente<br />

problematici e contrad<strong>di</strong>ttori, emergenti dal racconto.<br />

La signora da noi intervistata si chiama Ida F., 1 è stata per molti anni<br />

pe<strong>di</strong>atra nel quartiere Montesacro, ed anche in questa veste ha consolidato<br />

nel tempo un profondo legame personale con l’estensore <strong>di</strong> queste note. Ida<br />

è nata a Trieste il 3 novembre del 1923: ha oggi quin<strong>di</strong> 82 anni ed appartiene,<br />

per generazione e storia personale, a quella classe <strong>di</strong> ultimi testimoni<br />

<strong>di</strong> un’epoca, considerati, a ragione o a torto, “risorse” della ricerca orientata<br />

alla “microstoria” ed alle fonti orali. In particolare, la storia <strong>di</strong> Ida F. è stata<br />

– nei suoi vari passaggi – portatrice della vicenda tumultuosa e dolorosa che<br />

ha riguardato gli Ebrei italiani, in particolare a partire dal ’38, anno della<br />

promulgazione delle leggi razziali.<br />

1 Per ovvie ragioni <strong>di</strong> riservatezza, non ne riportiamo per esteso il cognome. Ulteriori e più<br />

specifiche informazioni possono essere richieste all’estensore <strong>di</strong> queste note.<br />

– 203 –


Nel 1943 l’armistizio e l’occupazione nazista trovano Ida e suo padre a<br />

Firenze, dove la ragazza, allora ventenne, sta stu<strong>di</strong>ando Me<strong>di</strong>cina. Ida ha<br />

già alle spalle, allora, un’aspra vicenda personale: l’espulsione dalla scuola<br />

pubblica, a Trieste, in seguito alle leggi razziali, l’arresto del padre ed il suo<br />

confino politico per attività antifascista, la morte – in circostanze drammatiche<br />

– della madre, nel 1939, la deportazione <strong>di</strong> molti membri della sua<br />

famiglia negli anni della guerra. L’iscrizione all’Università <strong>di</strong> Firenze le è<br />

possibile solo grazie ad un falso certificato <strong>di</strong> battesimo “comprato” dal<br />

padre a carissimo prezzo. Infine gli eventi drammatici dell’occupazione la<br />

costringono, insieme al padre, alla fuga nel Casentino, sul Monte Falterona,<br />

dove Ida è appunto testimone dell’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Stia.<br />

L’INTERVISTA<br />

“Non sono balli a Schömbrunn”.<br />

Intervista a Ida F.<br />

(Roma, marzo 2005)<br />

Cominciamo dall’inizio. Vorremmo sapere quando e perché vi siete rifugiati<br />

in Casentino, perché avete lasciato Firenze?<br />

Dunque praticamente l’8 settembre ’43, quando è successo l’armistizio, il<br />

cosiddetto armistizio, sono piombati in Toscana i Tedeschi. Abbiamo avuto<br />

letteralmente l’invasione dell’esercito tedesco, perché poi lo sbarco gli<br />

Americani lo hanno fatto qua sotto ad Anzio. Io da piazza Cavour, che era<br />

la piazza più vicina, dove finiva una strada che veniva dal bolognese li ho<br />

visti arrivare.<br />

Perché Firenze, dal momento che siete <strong>di</strong> Trieste?<br />

Ho stu<strong>di</strong>ato a Firenze. Stavamo a Firenze.<br />

Perché avete scelto questa città e per quale ragione avete poi dovuto fuggire<br />

da Firenze?<br />

Perché mio padre era ebreo. Io sono sangue misto.<br />

Suo padre era ebreo ma lei era stata battezzata, cioè <strong>di</strong>ciamo che aveva un<br />

documento <strong>di</strong> battesimo falso, questa famosa storia dell’archivio rifatto.<br />

– 204 –


Mio papà ha fatto rifare l’archivio della parrocchia <strong>di</strong> Bancora <strong>di</strong> Trieste.<br />

Dicendo che praticamente mia nonna materna, atea ma ufficialmente cattolica,<br />

spaventata che questa sua nipotina morisse non battezzata, <strong>di</strong> nascosto<br />

dai genitori mi aveva portato a Bancora e mi aveva fatto battezzare: questo<br />

non era niente vero. Mio papà poi pagando fior <strong>di</strong> quattrini ha dovuto far<br />

rifare un anno intero <strong>di</strong> battesimi <strong>di</strong> quella parrocchia per mettermi dentro<br />

l’archivio.<br />

Quin<strong>di</strong> siete scappati da Firenze, avevate un’informazione su Stia Vallucciole.<br />

Come avevate saputo <strong>di</strong> questo posto?<br />

Siamo scappati da Firenze come Ebrei. Allora il Franco Mori che poi è<br />

<strong>di</strong>ventato <strong>di</strong>rettore della clinica neuro-psichiatrica che allora era innamorato<br />

<strong>di</strong> me e mi stava appiccicato, un giorno faceva il servizio militare, in quel<br />

momento, e venne a sapere che quel pomeriggio avrebbero cominciato a<br />

fare un retata degli ebrei a Firenze. Venne a casa nostra non trovò né mio<br />

papà né me e lasciò un biglietto nella cassetta delle poste: “scappate, oggi<br />

prima retata”, e basta. Si capì subito io gli telefono e gli <strong>di</strong>co dove an<strong>di</strong>amo?<br />

E lui mi <strong>di</strong>ce senti in Casentino a Stia c’è la balia che mi ha allattato,<br />

vai a nome mio dalla mia balia. Abbiamo preso quattro cose, abbiamo<br />

portato via i gioielli <strong>di</strong> mia mamma che c’erano ancora, un po’ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong>, i<br />

piatti d’argento <strong>di</strong> casa che poi abbiamo dovuto vendere e così coi piatti<br />

d’argento, abbiamo preso il treno e siamo andati a Stia, dove il parroco <strong>di</strong><br />

Prato Vecchio...<br />

Prato Magno o Prato Vecchio?<br />

No, Prato Magno è l’altro. È la montagna da dove io vedevo poi bombardare<br />

la Val d’Arno. E naturalmente il parroco <strong>di</strong>ce no qui a Prato Vecchio<br />

non potete stare. Si andò su in un posto alla Consuma, il valico. Un mezzadro<br />

che aveva un campo alla Consuma ci affittò una camera, se nonché<br />

questo vecchio <strong>di</strong> sessant’anni, io ne avevo <strong>di</strong>ciotto <strong>di</strong>ciannove, si innamorò<br />

<strong>di</strong> me e cominciò a tentare <strong>di</strong> mettermi le mani addosso, anche brutalmente,<br />

e allora mio papà lo affrontò.<br />

Lei doveva avere vent’anni, vero?<br />

Io sono del novembre del ’23 e nel ’44 avevo vent’anni. Praticamente<br />

questo intendeva mettermi le mani addosso, io lo <strong>di</strong>ssi a papà guarda che<br />

– 205 –


questo vecchiaccio mi allunga le mani sul sedere lui lo affrontò e venimmo<br />

via. Mio papà andò dal parroco <strong>di</strong>cendo guar<strong>di</strong> che io ho questa ragazza <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ciannove anni e questo porco vorrebbe... E allora il parroco ci mandò a<br />

Santa Maria delle Grazie. Dal Casentino fai tutto l’Arno arrivi a Stia e in<br />

quaranta minuti <strong>di</strong> strada nei boschi in posti stupen<strong>di</strong> arrivi a Santa Maria<br />

delle Grazie, che è un santuario. E noi siamo stati lì, in questo santuario,<br />

ospiti del parroco, anzi io figuravo come nipote del parroco. Naturalmente<br />

c’erano i partigiani, tu praticamente in quaranta minuti andavi in Romagna<br />

e questi facevano il <strong>di</strong>n don, 2 gli si faceva il pane, io gli facevo il bucato. Se<br />

ce ne era qualcuno malato tra questi partigiani ce li tenevamo lì, insomma<br />

in fondo questa parrocchia era un pied-à-terre per i partigiani. Era una base.<br />

Sennonché un giorno vengono questi, della Toz 3 (o Tot?) era una frazione<br />

che faceva assistenza agli anziani, che facevano opere <strong>di</strong> manutenzione,<br />

delle mense e cose così. Vennero su a ispezionare, dentro in quel momento<br />

c’era un partigiano, quando questo del camion tedesco monta sul camion<br />

per andar via e <strong>di</strong>cevo meno male, questa bestia <strong>di</strong> partigiano, tac... lo<br />

ammazza. Sono venuti su subito quelli della Toz.<br />

Ma cos’era esattamente questa Toz?<br />

Questa Toz era una specie <strong>di</strong> organo del genio, <strong>di</strong> soldati anziani germanici<br />

che <strong>di</strong>sponevano le mense, le caserme, la manutenzione <strong>di</strong> queste cose qua.<br />

E c’è stata l’uccisione da parte <strong>di</strong> un partigiano <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> questi.<br />

Sì, sono venuti e si sono portati via il morto. Dopo due giorni albeggiava,<br />

mio papà si sveglia e gli chiedo cosa hai, sentiamo un rumore erano i carri<br />

armati della Hermann Goering che hanno fatto la rappresaglia. Hanno<br />

chiuso la strada che andava a Stia, cioè andava all’Arno e si tornava in Toscana.<br />

I partigiani si sono ritirati in Romagna e siamo rimasti io, il parroco,<br />

la perpetua del parroco, mio papà e i conta<strong>di</strong>ni del posto. I conta<strong>di</strong>ni del<br />

posto che ovviamente gli facevo il bucato, mio papà faceva il lavoro <strong>di</strong><br />

sostegno veramente non è che eravamo purissimi dal punto <strong>di</strong> vista politico.<br />

Sentivamo degli spari ma il parroco, che per poco non impazziva, non<br />

vedeva venire nessuno allora il parroco con mio papà andarono a vedere<br />

2 Cioè facevano la spola con il versante romagnolo del Falterona [n.d.r].<br />

3 Ida è incerta sull’esatta denominazione del gruppo, che chiama in<strong>di</strong>fferentemente Toz,<br />

Todt o anche Tot [n.d.r].<br />

– 206 –


cosa era successo. Perché erano case una qua e una là, ognuna sul suo<br />

campo, un posto splen<strong>di</strong>do. Tutti morti, praticamente erano venuti <strong>di</strong>cendo<br />

che avevano aiutato i partigiani e gli avevano sparato. Io ho visto un bambino<br />

piccolo <strong>di</strong> pochi mesi, un colpo in testa davanti a me, insomma erano<br />

tutti morti, hanno fatto piazza pulita <strong>di</strong> tutti i conta<strong>di</strong>ni toscani locali. I partigiani<br />

sono passati dall’altra parte. Siamo stati così per un giorno, a un dato<br />

momento sentiamo che cominciano a sparare contro la canonica e abbiamo<br />

detto è venuto il nostro momento. Mio papà e il parroco si ricordavano tutti<br />

quei morti, anche senza occhi, sì senza occhi, poveretti. Il parroco e la perpetua<br />

hanno detto Cristo mi ha messo in questa chiesa e in questa chiesa<br />

resto. Io mio papà e la nipotina del prete siamo saltati sul retro del primo<br />

piano e attraverso i boschi siamo andati a Stia, però man mano che passavamo<br />

davanti alle case non trovavamo nessuno perché trovavamo solo<br />

morti. Abbiamo attraversato un cinque sei chilometri avevano fatto piazza<br />

pulita <strong>di</strong> Santa Maria delle Grazie. Siamo andati a Stia e il parroco ci ha accolti,<br />

i preti rischiarono la vita, siamo stati lì un <strong>di</strong>eci do<strong>di</strong>ci giorni a Stia.<br />

Intanto questi qua erano sbarcati ad Anzio e venivano su. Ad un dato momento<br />

il parroco ci venne a <strong>di</strong>re qui abbiamo un’unica macchina, questa<br />

macchina va a Firenze, volete venire. È l’ultimo momento per andare a Firenze.<br />

Qui può essere benissimo che ammazzino tutti come può essere benissimo<br />

che ci si salvi. Io e mio papà siamo montati in questa macchina con<br />

altre due persone e abbiamo fatto la Consuma e siamo arrivati alla statale<br />

della Val d’Arno. Arrivati a valle ci ferma un camion tedesco e io e mio<br />

papà facciamo finta <strong>di</strong> non conoscerci, e ci buttano io in un camion e mio<br />

papà in un altro. E noi siamo tornati a Firenze, avendo perso molte cose<br />

anche dell’argenteria, e ci hanno portato sempre su questo camionetto <strong>di</strong><br />

Tedeschi alla gendarmeria <strong>di</strong> Porta Romana. Lì c’erano due file per qualificarci,<br />

noi non avevamo carte d’identità. 4 Molti ebrei avevano la carta <strong>di</strong><br />

Palermo, <strong>di</strong> Tunisi, noi avevamo quella <strong>di</strong> Trieste. Uno si è messo in una<br />

fila uno nell’altra e abbiamo fatto finta <strong>di</strong> non conoscerci, abbiamo fatto un<br />

paio d’ore <strong>di</strong> fila perché lì qualificavano tutti, perché lì deportavano gli<br />

uomini in Germania. E allora io sono passata mio papà che allora aveva già<br />

quasi sessant’anni anche lui ebreo piccoletto, insomma non andava bene.<br />

Lo hanno salvato non lo hanno preso.<br />

4 Ida intende qui <strong>di</strong>re che lei e suo padre non erano in possesso <strong>di</strong> documenti falsi – che<br />

non li avrebbero resi imme<strong>di</strong>atamente riconoscibili come Ebrei – ma erano delle carte <strong>di</strong> identità<br />

autentiche [n.d.r].<br />

– 207 –


Né per la deportazione né per lavoro?<br />

No, aveva già sessant’anni. Questo era primi <strong>di</strong> Luglio fine Giugno del ’44.<br />

Mio papà che era del ’82 aveva già più <strong>di</strong> sessant’anni. Siamo usciti insieme<br />

facendo finta <strong>di</strong> non conoscerci, ognuno ha preso un tram <strong>di</strong>verso e ci<br />

siamo ritrovati a casa un’altra volta. Lì a Firenze avevamo una casa che<br />

dava sulla ferrovia, gli Americani ci hanno bombardato e poi hanno combattuto<br />

strada per strada. Una notte sentiamo urlare, era l’alba, era un<br />

gruppo <strong>di</strong> Tedeschi in ritirata che stavano violentando una ragazza nella<br />

casa <strong>di</strong> fronte. Nel buio della notte sentivi questa che urlava, ci siamo affacciati,<br />

mio papà che sapeva il tedesco capì che in ritirata stavano violentando<br />

così per sfizio. Mi prese, e <strong>di</strong>ce adesso passano il portone e allora mi portò in<br />

terrazza e mi fece mettere <strong>di</strong> fuori oltre una colonna. Mi <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> rimanere lì,<br />

dopo o vieni a casa o vai dai vicini e io sono rimasta qualche momento attaccata<br />

<strong>di</strong> fuori per vedere se venivano e se suonavano.<br />

Ma a proposito <strong>di</strong> lingua tedesca, lei <strong>di</strong>ceva, raccontando dell’ecci<strong>di</strong>o che i<br />

nella canonica i Tedeschi si sono seduti a tavola, e lei li ha serviti...<br />

Praticamente loro sono arrivati, sono venuti da noi, hanno or<strong>di</strong>nato il pranzo<br />

e hanno voluto che le due donne della parrocchia li servissero, ve<strong>di</strong> l’ufficialità.<br />

Li ho serviti e siccome capivo e parlavo il tedesco ero quasi<br />

bilingue. Ho dovuto servire a tavola mentre capivo quello che facevano, ho<br />

dovuto resistere a questi che raccontavano che avevano ammazzato un<br />

bambino, che avevano violentato una ragazza prima <strong>di</strong> ammazzarla. Io che<br />

capivo benissimo, molto meglio <strong>di</strong> adesso, e io imperterrita ho avuto la<br />

forza <strong>di</strong> non tra<strong>di</strong>rmi.<br />

Ci sono stati dei processi, qualcuno è stato denunciato?<br />

Era la migliore sezione delle SS, la Hermann Goering, la crema delle SS.<br />

A me un ragazzino che non avrà avuto nemmeno <strong>di</strong>ciotto anni ci ha portato<br />

via tutti i sol<strong>di</strong> che avevamo, cinque lire ci ha lasciato. La trage<strong>di</strong>a, mio<br />

papà parlava perfettamente tedesco io anche molto bene, capivo quello che<br />

si <strong>di</strong>cevano. A parte la paura <strong>di</strong> come si muore il dramma era questo, capivo<br />

ma dovevo fare finta <strong>di</strong> niente.<br />

Lei è rimasta in contatto con qualcuno dei superstiti negli anni successivi?<br />

Ma superstiti non ce ne sono stati, solo il parroco e la nipotina. Poi io non<br />

– 208 –


ho avuto più il coraggio <strong>di</strong> andare, vorrei andare ma credo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperarmi<br />

troppo.<br />

A Firenze poi quanti anni è rimasta?<br />

Mio papà poi ha comprato casa si è risposato, io ho la tomba a Firenze.<br />

Lei ha mai letto mai qualcosa delle stragi toscane,è riuscita a farsi un’idea<br />

al <strong>di</strong> là della sua storia privata <strong>di</strong> quello che è accaduto?<br />

Mio papà era ispettore delle Assicurazioni Generali e girava tutta la<br />

Toscana. Un giorno tornò sconvolto quasi piangeva perché attorno a Lucca<br />

fecero un altro ecci<strong>di</strong>o e però quello è stato molto reclamizzato.<br />

Sarà stato Sant’Anna <strong>di</strong> Stazzema...<br />

Sì, e mio papà <strong>di</strong>ce tu non sai che non siamo i soli che anche a Sant’Anna<br />

hanno fatto una strage.<br />

Ma in moltissimi luoghi ci sono una quantità infinita <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> violenza.<br />

Anche in Emilia a Marzabotto, ma quello si conosce perché è molto reclamizzato.<br />

Però <strong>di</strong> Stia nessuno sa quasi niente.<br />

Infatti è molto importante che lei lo racconti. Lo sa quanti morti ci sono stati?<br />

Ma io credo un centotrenta, cento quaranta in tutta la vallata.<br />

Sì, e duecentoottantanove in tutta l’area del Falterona...<br />

È probabile, gli unici sopravvissuti eravamo io, mio padre, la perpetua, il<br />

parroco e la sua nipotina perché noi passavamo ed erano tutti morti.<br />

In questi anni ha cercato <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare, o comunque che sentimenti prova<br />

nei confronti <strong>di</strong> questo passato così terribile?<br />

Io ringrazio Dio che a quattor<strong>di</strong>ci anni mi ero fissata in testa che avrei fatto<br />

il me<strong>di</strong>co, perché lavoravo talmente tanto e quando facevo il me<strong>di</strong>co lì<br />

dovevo stare, lì dovevo vedere cos’era e cosa scrivevo <strong>di</strong> ricette perciò<br />

tornavo a casa mangiavo e mi buttavo a dormire, qualche volta mi invitava<br />

qualcuno a cena. Tutte queste cose sono venute fuori inaspettatamente<br />

– 209 –


adesso che non lavoro più. Perché allora alla mattina alle sette e mezza<br />

incominciavano a telefonarmi, poi dovevo stare attenta a come rispondevo<br />

alle mamme, lavoravo venivo a casa pranzavo, riposavo un po’. Facevo<br />

l’ambulatorio il pomeriggio poi la sera prima delle nove facevo qualche<br />

altra visita e questo io lo ho fatto fino ai miei settant’anni. Ma poi anche<br />

in pensione mi chiamavano privatamente adesso sono quattro anni che non<br />

lavoro più. Adesso che ho la mattinata libera piacevolmente leggo delle<br />

cose, mi guardo storia dell’arte e improvvisamente mi metto a piangere<br />

perché torno in<strong>di</strong>etro. La trage<strong>di</strong>a in fondo la vivo questi anni che non ho<br />

niente da fare. Quando facevo il pe<strong>di</strong>atra ero occupata, dovevo stare attenta<br />

a quello che facevo. Io ho avuto la grazia <strong>di</strong> avere un lavoro per cinquant’anni<br />

impegnativo.<br />

Oggi che cosa sente rispetto a tutto questo?<br />

Piango. Purtroppo non so fare altro che piangere quei tempi, quei bambini<br />

morti, quei poveri morti che avevano aiutato dei partigiani, che sono scappati<br />

<strong>di</strong> là, i partigiani via dall’altra parte. E noi d’altra parte avevamo la<br />

base. Se stavano male stavano da noi, gli si faceva il pane, gli si lavava la<br />

biancheria. Un posto stupendo, magnifico.<br />

Lei non ha mai parlato <strong>di</strong> questa storia in una sede non privata, in una<br />

sede pubblica, istituzionale?<br />

Ma io non ne sento il bisogno. Sono esperienze, è vita mia e non è giusto che<br />

venga con<strong>di</strong>visa. Siccome non sono cose allegre, sono cose tristi non voglio<br />

rattristare la gente. Me li tengo per me, non sono balli a Schömbrunn.<br />

Come citta<strong>di</strong>na italiana lei cosa si sentirebbe <strong>di</strong> <strong>di</strong>re ai ragazzi che del<br />

ventennio non sanno quasi nulla, <strong>di</strong> questa storia così violenta... della<br />

guerra?<br />

La zia Amalia quella che mi ha fatto da mamma la hanno portata via da<br />

Trieste. Zia Amalia e il marito quando è morta mia mamma che io avevo se<strong>di</strong>ci<br />

anni mi hanno preso in casa loro e mi ha fatto lei da mamma. La hanno<br />

portata via con il marito Alberto, 5 lui era ingegnere, io tante volte piangevo<br />

5 Ida fa qui riferimento, evidentemente, alla deportazione dei suoi familiari ad Auschwitz<br />

[n.d.r].<br />

– 210 –


per zia Amalia. Quella bestia del mio papà si è fatto mandare al confino<br />

politico, quando è morta mia mamma, quando mia mamma è stata male. Già<br />

mi avevano buttato fuori scuola come sporca ebrea, mia mamma aveva avuto<br />

un tumore al cervello, è morta a quarantotto anni, per fortuna è stata male<br />

solo venticinque giorni perché il tumore è stata un’emorragia ed è morta subito;<br />

l’imbecille era al confino politico, mio papà si è fatto due anni <strong>di</strong> confino.<br />

Buttato fuori dalle Assicurazioni Generali come sporco ebreo, allora lui<br />

ha cominciato a scrivere lettere contro il fascismo, stupidaggini. Così lo<br />

hanno beccato: due anni <strong>di</strong> confino politico a Moliterno. E a mamma le<br />

venne il tumore, per fortuna emorragia cerebrale e in venticinque giorni è andata.<br />

Ma io i giorni <strong>di</strong> malattia <strong>di</strong> mia mamma me li sono fatti tutti da sola,<br />

perché quell’imbecille era al confino politico. Io sono forte come carattere,<br />

come mio nonno boemo. Io sono un misto <strong>di</strong> culture e <strong>di</strong> esperienze <strong>di</strong> vita.<br />

Queste esperienze si sentono ora che ho il tempo <strong>di</strong> pensarci, perché prima<br />

ero talmente indaffarata... che non avevo neanche il tempo...<br />

GLI EVENTI<br />

La ricostruzione dei fatti avvenuti il 13 e 14 aprile 1944 a Stia Vallucciole<br />

non è del tutto priva <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong> incertezza: almeno su alcuni “dettagli”<br />

restano dubbi significativi.<br />

Nella primavera-estate del 1944 ci troviamo in una fase critica del conflitto:<br />

la ritirata tedesca, la rapida avanzata degli alleati, l’assestamento della<br />

linea gotica. Per quel che riguarda l’Italia Centrale, e la Toscana in particolare,<br />

emerge l’importanza <strong>di</strong> una strategia militare tedesca, messa a punto<br />

dopo l’attentato romano <strong>di</strong> Via Rasella, il cosiddetto “sistema degli or<strong>di</strong>ni”<br />

emanato da Kesserling, autore della famosa “clausola dell’impunità” garantita<br />

a chi avesse “ecceduto” nella repressione dell’attività partigiana. Si<br />

tratta <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> guerra “totale” in cui il confine fra combattenti e civili è<br />

veramente labile. Tutta l’atroce catena <strong>di</strong> ecci<strong>di</strong>, stragi e rappresaglie, censite<br />

in Toscana tra la primavera e l’autunno del ’44 evoca appunto una spaventosa<br />

e in<strong>di</strong>scriminata “guerra ai civili”. 6 Sui fatti <strong>di</strong> Stia Vallucciole esistono<br />

versioni <strong>di</strong>vergenti nel riferire alcuni dati. Sembra tuttavia sufficiente-<br />

6 Cfr., in particolare, BATTINI-PEZZINO, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del<br />

massacro. Toscana 1944, Padova, Marsilio, 1997; L. Paggi, Storia e memoria <strong>di</strong> un massacro<br />

or<strong>di</strong>nario, Roma, manifestolibri, 1996.<br />

– 211 –


mente accertato che nella zona (Alto Casentino, versante meri<strong>di</strong>onale del<br />

Monte Falterona) erano presenti, già dall’armistizio, formazioni partigiane e<br />

che l’area era <strong>di</strong>venuta strategicamente importante ed oggetto <strong>di</strong> rastrellamenti<br />

sistematici da parte <strong>di</strong> unità tedesche <strong>di</strong>verse. Le informazioni <strong>di</strong>vergono<br />

sostanzialmente sul dato che si riferisce ai protagonisti dell’ecci<strong>di</strong>o:<br />

secondo la maggioranza delle fonti (così come secondo la memoria della<br />

nostra testimone) a Stia Vallucciole operò la <strong>di</strong>visione Göering, sostenuta<br />

da contingenti <strong>di</strong> SS e da elementi della RSI. Le fonti concordano tuttavia<br />

nel valutare l’ecci<strong>di</strong>o non come un atto <strong>di</strong> rappresaglia, ma come una delle<br />

pre-or<strong>di</strong>nate e sistematiche azioni <strong>di</strong> “ripulitura” del territorio dai ribelli.<br />

Stia, del resto, vanta il triste primato del primo partigiano caduto in Toscana<br />

(Pio Borri, novembre ’43). A Vallucciole, comunque, vengono sterminate<br />

intere famiglie, con una grande maggioranza <strong>di</strong> donne e bambini, compreso<br />

un neonato <strong>di</strong> tre mesi. I sistemi adottati appaiono atroci: incen<strong>di</strong> <strong>di</strong> casolari,<br />

fucilazioni <strong>di</strong> massa, feroci violenze sulle vittime. I caduti furono 108 a<br />

Vallucciole (137 secondo le fonti militari tedesche citata da Battini e Pezzino)<br />

e 289 in tutta l’area del Falterona. L’ecci<strong>di</strong>o fu l’avvio <strong>di</strong> una catena <strong>di</strong><br />

sangue che avrebbe attraversato tutta la Toscana, da sud a nord, tra la primavera<br />

e l’autunno del ’44, con un tragico bilancio <strong>di</strong> 3.770 vittime civili, ed è<br />

peraltro significativo che sempre le stesse fonti militari facciano riferimento<br />

ad un numero molto maggiore, circa 6.000 morti.<br />

Gli stu<strong>di</strong> già citati <strong>di</strong> Battini e Pezzino, e quelli <strong>di</strong> Giovanni Contini, 7<br />

che si è occupato in particolare dell’aretino, hanno tutti rilevato la grande<br />

varietà dei casi occorsi e l’estrema <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> una classificazione tipologica<br />

chiara delle atrocità commesse (stragi, ecci<strong>di</strong>, rappresaglie...). Ma al <strong>di</strong><br />

là dell’impossibilità <strong>di</strong> costruire para<strong>di</strong>gmi tipologici e categorie assolute<br />

resta, in tutte le valutazioni, la certezza della “guerra ai civili” data per<br />

scontata e del terrore da somministrare anche preventivamente. In questa<br />

sorta <strong>di</strong> sociologica seren<strong>di</strong>pity sulla lettura dei fatti le ricerche sono più o<br />

meno d’accordo su questo dato: solo una ristretta minoranza <strong>di</strong> azioni punitive<br />

sono state in Toscana classificabili come rappresaglie, se per rappresaglia<br />

si intende “una reazione militare imme<strong>di</strong>atamente percepibile come risposta<br />

ad una azione partigiana” (Cfr. Battini, Pezzino, passim). In Toscana,<br />

su 192 azioni classificate dalla ricerca <strong>di</strong> Battini e Pezzino, solo il 19% e<br />

costituito da rappresaglie, ed il molte <strong>di</strong> esse si riscontra una partecipazione<br />

esplicita <strong>di</strong> reparti della RSI.<br />

7 G. CONTINI, La memoria <strong>di</strong>visa, Milano, Rizzoli, 1997.<br />

– 212 –


Ma il tema davvero emergente in tutte le ricostruzioni dei fatti della<br />

primavera-estate del ’44 in Toscana, e non solo quin<strong>di</strong> nella minoranza <strong>di</strong><br />

azioni classificabili come rappresaglie, è senza dubbio quello del complesso<br />

rapporto tra Resistenza e popolazioni civili. Su questo punto sembra essere<br />

molto problematico il raccordo delle memorie personali e private con i<br />

para<strong>di</strong>gmi del <strong>di</strong>scorso politico collettivo e istituzionale. Si è parlato <strong>di</strong><br />

“memorie <strong>di</strong>vise, segmentate e conflittuali” (cfr. Contini, 1997) ed è abbastanza<br />

noto, anche grazie al lavoro <strong>di</strong> Portelli sulla memoria delle Fosse<br />

Ardeatine, 8 che le rappresaglie o comunque le ritorsioni praticate su larga<br />

scala contro le popolazioni civili hanno prodotto o allargato la frattura tra<br />

queste e le forze partigiane. Certamente la ricerca <strong>di</strong> colpevoli, la possibilità<br />

<strong>di</strong> reperire e materializzare una responsabilità, costituisce un meccanismo<br />

antichissimo <strong>di</strong> allentamento della tensione. Spiega, dalla parte delle vittime,<br />

un inesplicabile che inesplicabile non è affatto, se guardato dalla parte<br />

della strategia militare del terrore, come quella che si abbatte in Toscana<br />

nel ’44. L’argomento è impervio: al <strong>di</strong> là del fatto che i Partigiani fossero a<br />

volte protagonisti <strong>di</strong> imprudenze o <strong>di</strong> atti dalle conseguenze non adeguatamente<br />

previste (come pure in qualche occasione è avvenuto), resta il dato<br />

certo che le rappresaglie tedesche prescindevano <strong>di</strong> norma da una effettiva<br />

attività partigiana nei confronti delle truppe occupanti. La Toscana del ’44<br />

non potrebbe <strong>di</strong>mostrarlo più chiaramente: si trattava, infatti, <strong>di</strong> punire le<br />

popolazioni civili in genere sia per l’ostilità anti-tedesca che per il sostegno<br />

“eventuale” offerto alla lotta partigiana e <strong>di</strong> farlo magari preventivamente, e<br />

con l’unica variabile della misura del terrore da praticare.<br />

Attorno alla memoria della Resistenza – come è noto – si è combattuta e<br />

si combatte un’aspra contesa per il senso, la cui complessità stratigrafica – si<br />

<strong>di</strong>rebbe – mostra in quanti e quali mo<strong>di</strong> possa essere declinato il concetto<br />

generale <strong>di</strong> Resistenza. 9 Specularmente sono complesse le memorie, quelle<br />

<strong>di</strong> entrambe le parti, e particolarmente lo sono quelle dell’uomo comune –<br />

collocato in quella sorta <strong>di</strong> “zona grigia” <strong>di</strong> cui parla Primo Levi – che non si<br />

riconosce nei gran<strong>di</strong> miti fondativi e collettivi della Repubblica. 10 A questa<br />

zona ed al suo spazio incerto, come una sorta <strong>di</strong> terra <strong>di</strong> nessuno tra due riconoscibili<br />

territori appartiene probabilmente questa memoria <strong>di</strong> Ida.<br />

8 A. PORTELLI, L’or<strong>di</strong>ne è già stato eseguito, Roma, Donzelli, 2000.<br />

9 C. PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino,<br />

Einau<strong>di</strong>, 1991.<br />

10 Cfr. BATTINI-PEZZINO, op.cit., pp. XII-XIV.<br />

– 213 –


LA MEMORIA DI IDA<br />

Ottima la polvere <strong>di</strong> sandalo per alleviare il dolore del ricordo<br />

C.B. Divakaruni, La maga delle spezie<br />

Da una lettura attenta dell’intervista proposta emerge abbastanza chiaramente<br />

l’ambivalenza del rapporto che la protagonista intrattiene con la propria<br />

storia. Come Portelli <strong>di</strong>ce delle memorie legate alla guerra, anche questa<br />

appare “troppo cruciale per essere <strong>di</strong>menticata e troppo traumatica e conflittuale<br />

per essere interamente ricordata”. 11 Si costruisce e si decostruisce,<br />

perde e trova il suo senso nell’interazione con l’oblio e ancora <strong>di</strong> più, forse,<br />

in questo caso, con una sorta <strong>di</strong> inconsapevolezza. Memoria e oblio da un<br />

lato, passato e presente dall’altro, si annidano profondamente gli uni negli<br />

altri, si scambiano le parti, mescolano i loro confini, e allineano su uno<br />

stesso segmento narrativo cose <strong>di</strong>verse, ma che sono o si sentono reciprocamente<br />

compatibili, come le due <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong> un faticoso palindromo. Più<br />

volte, nel corso del suo racconto, la nostra testimone sembra andare incontro<br />

alla catastrofe emotiva: la sua voce si incrina, piange, ma poi torna al racconto<br />

come ciò che la salverà da quella stessa catastrofe. Per molti anni non<br />

si è affrontata la memoria <strong>di</strong> quegli eventi, ed ora che “ho molto tempo<br />

libero” essa incombe, con un insopprimibile carico <strong>di</strong> angoscia.<br />

Va da sé che il racconto non mira ad alcuna ricostruzione oggettiva<br />

né ad alcuna veri<strong>di</strong>cità storica: la protagonista ignora del tutto cosa sia<br />

successo prima dei fatti <strong>di</strong> Stia Vallucciole, perché siano accaduti quei fatti<br />

e come la storia sia poi andata avanti. La strage “più reclamizzata” <strong>di</strong> cui<br />

le parla il padre può essere in<strong>di</strong>fferentemente Sant’Anna <strong>di</strong> Stazzema (del<br />

suggerimento in questo senso Ida si appropria in effetti subito) o uno degli<br />

infiniti episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> violenza <strong>di</strong> cui è costellata la primavera-estate del ’44 in<br />

Toscana. Se ne appropria peraltro come <strong>di</strong>strattamente, per fuggirne via e<br />

tornare imme<strong>di</strong>atamente alla sua storia. Cosa sia questo famoso “organo del<br />

Genio” <strong>di</strong> cui racconta, non è affatto chiaro, anzi del tutto oscura è persino<br />

la sua denominazione (Toz, Tot, Todt...) alla quale le stesse fonti ufficiali<br />

non trovano riscontro. Chi viene “a prendere il morto”, anche questo è<br />

dubbio: nel suo racconto sembrano essere soldati tedeschi, ma una fonte<br />

accre<strong>di</strong>tata parla invece <strong>di</strong> reparti italiani della RSI. È chiaro comunque che<br />

non si tratta <strong>di</strong> dettagli fondamentali. L’obiettivo del racconto non è affatto<br />

11 A. PORTELLI, conferenza tenuta in Campidoglio nel marzo 2005.<br />

– 214 –


quello <strong>di</strong> una ricostruzione atten<strong>di</strong>bile e verace, ma quello <strong>di</strong> un tentativo<br />

sofferto, peraltro mancato, <strong>di</strong> riconciliazione con quella storia così <strong>di</strong>fficile:<br />

la speranza, forse, <strong>di</strong> recuperarne un senso, magari anche un valore, ripercorrendola.<br />

In tutta evidenza, i nuclei narrativi sono circondati da vaste<br />

zone <strong>di</strong> silenzio e <strong>di</strong> rabbia: la chiave – senza voler troppo indulgere a facili<br />

psicologismi, ma è inevitabile cogliere questo elemento – è il rapporto con<br />

il padre, l’ebreo piccoletto che sfugge del tutto incomprensibilmente al rastrellamento<br />

per il lavoro coatto ed alla deportazione, pur non <strong>di</strong>sponendo<br />

<strong>di</strong> una falsa identità. Nel racconto sul ritorno a Firenze, assieme ad altri<br />

sfollati, la <strong>di</strong>versione è imme<strong>di</strong>ata. Il racconto si sposta sul bombardamento<br />

alleato, sulla ragazza stuprata dai tedeschi in fuga, nella casa accanto, su<br />

un’orticaria che comincia con una scheggia <strong>di</strong> quelle bombe, che la manca<br />

per un soffio, e che durerà tutta la vita, ad ondate ricorrenti, come una sorta<br />

<strong>di</strong> memorandum inciso sulla pelle. La <strong>di</strong>ce lunga il fatto che proprio questa<br />

parte del racconto, sempre ben presente nei vagabondaggi rapso<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Ida<br />

intorno al proprio passato, qui invece sia assente. Il racconto ci si avvicina,<br />

come un satellite ad alta definizione, e poi <strong>di</strong>verge.<br />

La ricostruzione dell’episo<strong>di</strong>o cruciale, l’uccisione <strong>di</strong> un tedesco da<br />

parte del partigiano nascosto nella canonica, fatto che avrebbe poi innescato<br />

la vendetta sul paese intero, può bensì essere un ricordo preciso, un vero<br />

ricordo, anche se <strong>di</strong>versamente e con <strong>di</strong>versa enfasi raccontato da altre fonti.<br />

Ma certamente il racconto lo ricostruisce come un episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> violenza partigiana,<br />

tanto improvvisa quanto sconsiderata e immotivata: improvvisamente<br />

e immotivatamente, appunto, un partigiano – quella “bestia <strong>di</strong> partigiano” –<br />

spara, uccidendo un soldato tedesco, proprio quando i tedeschi stanno per<br />

andarsene, dopo l’ispezione. Altrettanto sconsiderata e immotivata è stata la<br />

scelta del padre. Quella che gli sarebbe costata il confino politico a Moliterno<br />

per attività antifascista: “stupidaggini”, conclude frettolosamente Ida a<br />

proposito delle lettere incriminate, scritte dal padre, e prefigura, nella rappresentazione<br />

<strong>di</strong> quel passato, una sorta <strong>di</strong> responsabilità, <strong>di</strong> “quell’imbecille”<br />

del padre non tanto – forse? – rispetto alla morte della moglie, quanto alla<br />

solitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Ida se<strong>di</strong>cenne davanti alla malattia e alla morte della madre.<br />

Anche i partigiani del resto, sono passati dall’altra parte, sul versante emiliano,<br />

facevano il “<strong>di</strong>n don”... In tre punti <strong>di</strong>stinti del racconto è ricordato<br />

questo passaggio dei partigiani dall’altra parte, come a sottintendere anche<br />

qui una solitu<strong>di</strong>ne delle vittime, che invece restano sole a subire ogni possibile<br />

vendetta: della vita o della storia. Sessant’anni non sono stati sufficienti<br />

per colmare un fossato <strong>di</strong> incomprensione e riempirlo <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> positivo<br />

– 215 –


e <strong>di</strong> forte, magari qualcosa con cui rapportarsi con orgoglio. Ma qui ovviamente<br />

ciascuno è solo davanti alla propria storia, one by one: per essere in<br />

compagnia occorrerebbe rinunciare allo “sguardo da nessun luogo” <strong>di</strong> cui<br />

Ida <strong>di</strong>spone. Sarebbe necessario collocarsi in un una rete <strong>di</strong> appartenenze e <strong>di</strong><br />

relazioni da cui guardare: un noi – insomma – che ricorda e racconta, anziché<br />

la solitu<strong>di</strong>ne senza ra<strong>di</strong>ci e senza scampo in cui la nostra testimone si<br />

colloca. Da questa solitu<strong>di</strong>ne e questo non-luogo non viene agli epigoni<br />

nessun monito <strong>di</strong>retto. Interrogata sul “cosa <strong>di</strong>re” ai giovani <strong>di</strong> quella storia<br />

terribile, Ida risponde infatti svagatamene – ma insieme animosamente –<br />

limitandosi a richiamare il ricordo insuperabilmente privato “della zia<br />

Amalia”, attirata a se stessa e al suo unico orizzonte da un’indomabile forza<br />

<strong>di</strong> gravità.<br />

CONCLUSIONI<br />

Avere raccolto questo racconto, e portato l’attenzione degli studenti su<br />

una memoria personale, contigua o contenuta in un segmento fondamentale<br />

della storia collettiva e pubblica, non voleva <strong>di</strong>re – nelle mie intenzioni –<br />

partecipare al coro <strong>di</strong> approvazione generale sul <strong>di</strong>luvio <strong>di</strong> memorie private<br />

che hanno, negli ultimi anni, affollato il mercato delle idee. È ben vero che<br />

nella considerazione comune il ricordo, dono dei testimoni alle giovani generazioni,<br />

che non hanno visto né vissuto, deve funzionare da monito,<br />

adempiendo ad un compito pedagogico intrascen<strong>di</strong>bile. Ma è altrettanto<br />

vero che memorie <strong>di</strong>vise, separate e antagoniste si prestano, come i temi<br />

essenziali <strong>di</strong> questa intervista, a stucchevoli scontri <strong>di</strong> fazione. Memorie<br />

così “angolate”, internamente conflittuali ed esternamente configgenti con<br />

altre memorie o ad<strong>di</strong>rittura con dati oggettivi (che pure esistono, al <strong>di</strong> là del<br />

problema <strong>di</strong> metodo che riguarda tutte le scienze umane) hanno bisogno <strong>di</strong><br />

una sintesi la cui responsabilità non può essere scaricata su alcuno, tanto<br />

meno su ragazzi notoriamente resistenti allo stu<strong>di</strong>o della storia. Molto<br />

spesso negli ultimi anni una tentazione simile ha riguardato per esempio<br />

l’insegnamento della Shoàh. 12 Servirsi delle memorie sparse, accumulandole<br />

e lasciandole parlare da sé, consentire alla loro ricchezza i<strong>di</strong>ografica <strong>di</strong><br />

“esondare”, per <strong>di</strong>ventare fondamento <strong>di</strong> ricostruzioni o inferenze genera-<br />

12 Cfr. D. ARCURI, Il giorno della memoria e gli anni dell’oblio, Miscellanea Iª, <strong>Liceo</strong><br />

<strong>Orazio</strong>, <strong>2004</strong>-2005.<br />

– 216 –


liste, può essere – a mio avviso – una attitu<strong>di</strong>ne pericolosa per chi insegna o<br />

scrive la storia. Le memorie della guerra lasciano intravedere sempre<br />

sguar<strong>di</strong> troppo angolati, appunto, o troppo dolorosi. 13 Rappresentano – è<br />

banale <strong>di</strong>rlo – un punto <strong>di</strong> vista prezioso ma insufficiente. Qualcuno deve<br />

prendere in carico questi angoli e questi dolori, tesserli in una procedura<br />

con<strong>di</strong>visa, in un uso razionale delle fonti, delle categorie <strong>di</strong>mostrative, dei<br />

criteri <strong>di</strong> rilevanza. Comunque si voglia intendere il rapporto fra storia e<br />

memoria, sono ormai dato <strong>di</strong> fatto tutte le opportunità legate alla “democratizzazione”<br />

della memoria, 14 che moltiplica i depositi e gli archivi a cui<br />

accedere per la ricostruzione del passato. Altrettanto chiaro è ormai quanto<br />

complicato e polisemico sia il territorio delle memorie private, quanto<br />

silenzio, oblio, <strong>di</strong>storsioni, pregiu<strong>di</strong>zi, deperibilità, volatilità, processi <strong>di</strong><br />

significazione – tutti segni meritevoli <strong>di</strong> essere accolti come “eventi”, certo,<br />

ma non come totem – questo territorio contenga.<br />

Come per i pirandelliani sei personaggi, c’è forse anche qui bisogno <strong>di</strong><br />

un Autore, <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione extra-soggettiva che proponga una rotta e –<br />

ove ce ne sia bisogno – corregga o almeno rilevi gli strabismi più evidenti.<br />

Non in nome <strong>di</strong> un’improbabile Storia Oggettiva e sopra le parti, evidentemente,<br />

ma per sottrarre le memorie stesse al rischio <strong>di</strong> un’orizzontale ed<br />

universale insignificanza, laddove su <strong>di</strong> esse non si eserciti uno sguardo responsabile<br />

ed ermeneutico. Il passato perduto, e ciò che ciascuno sente <strong>di</strong><br />

aver perduto, 15 ciò che siamo stati e ciò che ricor<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> essere stati 16 dovranno<br />

cercare una ricongiunzione in quello sguardo responsabile: al riparo<br />

dai toni alti ed altissimi sul dovere della memoria, e rifuggendone gli abusi.<br />

13 Cfr. W. BARBERIS, La storia e la memoria, in “La repubblica”, 25.02.05.<br />

14 Cfr. P. MONTESPERELLI, Sociologia della memoria, Roma-Bari, Laterza, 2003.<br />

15 Y.H. YERUSHALMI, Usi dell’oblio, Parma, Pratiche E<strong>di</strong>trice, 1990.<br />

16 U. GALIMBERTI, La cancellazione della memoria, in AA.VV., Feltrinelli per Firenze,<br />

Milano, Feltrinelli, 1993.<br />

– 217 –


CLAUDIO JANKOWSKI<br />

Antologia <strong>di</strong> racconti<br />

Lo scorso anno gli studenti dell’attuale 2ª G hanno intrapreso, con il<br />

laboratorio <strong>di</strong> scrittura, de<strong>di</strong>cando un’ora a settimana al componimento <strong>di</strong> vari<br />

racconti, un progetto consistente nel creare romanzi su tematiche a scelta. Al<br />

termine dell’anno scolastico è stato redatto un libro (su supporto magnetico) e<br />

stampato con copia in biblioteca contenente tutti i racconti scritti.<br />

In quest’anno scolastico (2005-2006) si cercherà, tramite il laboratorio<br />

<strong>di</strong> scrittura, <strong>di</strong> elaborare un’antologia <strong>di</strong> racconti riguardanti le tematiche<br />

maggiormente sentite dai ragazzi ed espresse attraverso il genere Fantasy.<br />

A seguire due racconti del laboratorio dello scorso anno.<br />

____ ____ ____<br />

Il romanzo <strong>di</strong> Enea<br />

<strong>di</strong> FABRIZIO COSMI<br />

INTRODUZIONE<br />

Poche righe per spiegare come è nato questo racconto. Tempo fa, ultimato<br />

<strong>di</strong> leggere l’Iliade nell’e<strong>di</strong>zione adattata da Alessandro Baricco, ho<br />

pensato che sarebbe stato bello poter scrivere l’opera secondo la mia inventiva,<br />

prendendo spunto sia dal testo originale che dal film “Troy”, del regista<br />

Wolfgang Petersen. E così ho fatto, dando la possibilità a tutti i ragazzi<br />

<strong>di</strong> poter leggere questo libro senza doversi impegnare troppo per capire una<br />

singola parola, e <strong>di</strong> provare le sensazioni <strong>di</strong> curiosità che ho provato io<br />

quando sfogliavo una pagina, e quando la notte mi immaginavo nei sogni le<br />

battaglie e gli avvenimenti che il libro narra. In questo romanzo il protagonista<br />

è Enea ed allo stesso tempo Enea fa anche da narratore. Ma non indugiamo<br />

oltre e iniziamo la nostra lettura. Però ho un consiglio da darvi: se<br />

siete “un pubblico” inferiore ai 12 anni, è sconsigliata questa lettura. Spero<br />

che tutti Voi possiate capire la mia scelta <strong>di</strong> riproporre l’Iliade.<br />

– 218 –


In questo adattamento, come Voi noterete, ho apportato qualche cambiamento,<br />

e spero che le scelte Vi piacciano, e Vi rendano più avvincente la<br />

lettura in modo da poterVi anche stupire.<br />

IL RACCONTO DI ENEA<br />

Nel mio tempo, l’uomo era ossessionato dalla mania <strong>di</strong> grandezza. Era<br />

sempre soggetto <strong>di</strong> domande, del tipo: “Come mi ricorderanno gli uomini<br />

futuri quando il mio tempo sarà terminato? Con quanto ardore <strong>di</strong>ranno che<br />

mi sono battuto? Come e quanto ho amato la mia donna? In che modo verrò<br />

ricordato nella storia a venire?”.<br />

Su una cosa però credo che siamo tutti d’accordo, la storia è sempre<br />

scritta dai vincitori. Quando due culture si scontrano, chi perde viene cancellato<br />

e il vincitore scrive i libri <strong>di</strong> storia, libri che sostengono la sua causa<br />

e condannano quella del nemico sconfitto. Ma in realtà cos’è la storia, se<br />

non una favola su cui ci si è messi d’accordo? Per sua stessa natura la storia<br />

è sempre un racconto da una sola prospettiva. Secondo alcuni la storia si<br />

scrive con le guerre e con le battaglie, che sono frutto solo <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione,<br />

gli uomini pensano che le loro gesta <strong>di</strong> violenza riecheggeranno<br />

nell’eternità, e anche per questo motivo esistevano gli eroi; perché quelli<br />

come Achille, gran<strong>di</strong> guerrieri dal cuore nobile, non si tiravano mai in<strong>di</strong>etro<br />

nelle battaglie per non passare la vita come un nessuno.<br />

PRIMI GIORNI DI BATTAGLIA<br />

Questa è la storia <strong>di</strong> un tempo lontanissimo, <strong>di</strong> eroi e cavalieri, <strong>di</strong> dame<br />

e <strong>di</strong> schiave; questa è la storia della guerra combattuta a Troia, tra Troiani e<br />

Greci, e solo gente come me la può narrare poiché io sono uno dei pochi<br />

sopravvissuti. Il mio nome è Enea, figlio d’Anchise.<br />

Tutto cominciò quando la bella Elena, moglie <strong>di</strong> Menelao, figlio <strong>di</strong><br />

Atreo e fratello <strong>di</strong> Agamennone, allora il re dei re signore degli Atri<strong>di</strong>, fuggi<br />

a Troia con Paride, figlio <strong>di</strong> Priamo il saggio, signore della terra troiana. In<br />

quel tempo era appena stata proclamata la pace tra e Troiani ma la fuga <strong>di</strong><br />

Elena provocò un’imme<strong>di</strong>ata posizione <strong>di</strong> ostilità. Quando Ettore e Priamo,<br />

rispettivamente protettore e signore <strong>di</strong> Troia, vennero a conoscenza che<br />

Elena era fuggita da Menelao, ormai rassegnati si prepararono alla guerra;<br />

– 219 –


in pochi mesi riuscirono a costituire un esercito, inferiore <strong>di</strong> numero rispetto<br />

a quello greco, e fecero fortificare tutte le mura, raddoppiando le sentinelle<br />

<strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a in attesa <strong>di</strong> avvistare lo sbarco dei nemici nelle nostre belle terre.<br />

Queste, brune e fertili, presto sarebbero <strong>di</strong>ventate rosse dal sangue degli uomini<br />

morti sotto i colpi delle armi. Io andai sulla spiaggia per piantare trappole<br />

nella sabbia e per creare delle rientranze nel terreno, dove si sarebbero<br />

in seguito appostati gli arcieri. Inoltre realizzammo una sostanza oleosa infiammabile,<br />

che spargemmo per <strong>di</strong>versi chilometri sulla riva, in modo che<br />

al momento dello sbarco avremmo potuto accendere attraverso frecce infuocate,<br />

creando un “muro” <strong>di</strong> fuoco alto circa 4 metri. Tutto era pronto, e ogni<br />

giorno per me sembrava essere l’ultimo <strong>di</strong> una pace tanto desiderata e che<br />

stava per finire.<br />

Presto apparvero i Greci. Erano numerosissimi, le loro navi erano sicuramente<br />

più <strong>di</strong> mille, a quel punto mi si strinse il cuore cominciando a temere<br />

la nostra sconfitta nel giro <strong>di</strong> pochi mesi, ma tra <strong>di</strong> noi c’era il grande<br />

Ettore, il più forte <strong>di</strong> Troia che con un sorriso ironico <strong>di</strong>sse: “An<strong>di</strong>amo ad<br />

augurare loro il buon arrivo...” e noi tutti rapi<strong>di</strong> come non mai andammo a<br />

schierarci fuori le mura e a cavallo e a pie<strong>di</strong> corremmo verso il nemico. Io<br />

ero su un carro molto attrezzato in prima fila, accanto a me c’era il mio<br />

fedelissimo amico Democoonte conosciuto come figlio bastardo <strong>di</strong> Priamo,<br />

e sul campo <strong>di</strong> battaglia fu lui a scagliare la prima lancia che colpì in pieno<br />

petto Antiloco, successivamente in corsa i nostri arcieri considerati i<br />

migliori, uccisero con le loro frecce alate tutti quelli che scendevano dalle<br />

navi; mettemmo in atto il nostro piano e con frecce infuocate la pece bruciò<br />

e si alzò un muro <strong>di</strong> fuoco, che bruciò tutti quelli che tentavano <strong>di</strong> oltrepassarlo;<br />

noi però eravamo inferiori <strong>di</strong> numero, e la <strong>di</strong>fferenza si sentì quando i<br />

Mirmidoni scesero da una barca nera, e tra loro io per primo lo vi<strong>di</strong>, vi<strong>di</strong><br />

Achille nella sua lucente e bronzea armatura che si fece largo nella mischia,<br />

e insieme a lui vi<strong>di</strong> anche Diomede figlio <strong>di</strong> Tideo, valoroso principe acheo:<br />

le armi gli risplendevano sulle spalle e sulla testa. Era sceso dalla sua nave e<br />

infuriava nella pianura come un torrente in piena gonfiato dalle piogge,<br />

nulla poteva sembrarlo fermare, lo vedevo combattere e sembrava che un<br />

<strong>di</strong>o avesse deciso <strong>di</strong> combattere al suo fianco. Ma dovetti pensare a altro<br />

perché in<strong>di</strong>rizzai il carro contro gli arcieri che stavano facendo strage dei<br />

nostri soldati, ne schiacciai sei con le ruote del carro, e altrettanti ne uccisi<br />

con la lancia e mozzando teste con la spada. Ma subimmo una sbalzata dal<br />

carro e Democoonte, caduto a terra nella polvere, sfortunatamente si imbattè<br />

proprio contro Achille e dopo pochi secon<strong>di</strong> giaceva a terra senza vita<br />

– 220 –


sommerso <strong>di</strong> frecce e con la gelida spada <strong>di</strong> Achille nel petto. Non lontano<br />

da me c’era Ettore che mozzava braccia e teste e con urli terrificanti spronava<br />

i suoi compagni, ma dopo poco tempo dovette or<strong>di</strong>nare la ritirata.<br />

Quando riuscimmo a tornare nelle solide mura contammo i feriti dando così<br />

la possibilità ai Greci <strong>di</strong> accamparsi e <strong>di</strong> erigere una lunga palizzata in<br />

legno. E così terminò il primo giorno della guerra <strong>di</strong> Troia. In serata i soldati<br />

andarono a coricarsi per poter combattere il giorno dopo, mentre Ettore<br />

con altri generali si unì in consiglio per pianificare le strategie <strong>di</strong> battaglia<br />

per il seguente dì. Prima <strong>di</strong> andarmi a coricare, percorsi tutta la mia città a<br />

pie<strong>di</strong> ed ogni angolo che vedevo faceva tornare alla mia mente momenti<br />

delle mia infanzia felice.<br />

Vi<strong>di</strong> un salice sotto al quale ero solito stare quando avevo circa un<strong>di</strong>ci/do<strong>di</strong>ci<br />

anni, dopo aver terminato la scuola, e sulla sua corteccia avevo<br />

scolpito un cuore con la scritta: Creusa + Enea. Non mi sembrava vero che<br />

la mia bella città era stata asse<strong>di</strong>ata dagli solo per una ingenua fanciulla <strong>di</strong><br />

nome Elena, che era scappata con Paride. Ma in quel momento vi<strong>di</strong> una<br />

figura incappucciata <strong>di</strong> bianco girare l’angolo, così accelerai il passo per<br />

scoprire chi fosse.<br />

Appena la raggiunsi, quella figura misteriosa si voltò togliendosi il cappuccio,<br />

ne intravi<strong>di</strong> un volto limpido e bello con due occhi azzurri, luminosi<br />

come le stelle, e con dei boccoli <strong>di</strong> capelli color oro che scendevano sulla<br />

fronte; mi sorrise e mi <strong>di</strong>sse: “Ciao, tu devi essere Enea figlio d’Anchise”,<br />

poi continuò: “Ho sentito <strong>di</strong>re che dopo Ettore e Sarpedonte tu sei uno dei<br />

migliori soldati Troiani, e ti batti con molto ardore...”.<br />

Io perplesso, temendo che fosse un’abile spia Greca, le chiesi: “Di<br />

grazia, mia signora, e Voi chi siete?” Seguirono pochi secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> silenzio,<br />

ma alla mia domanda non vi fu risposta. La fanciulla si sedette su un<br />

piccolo prato dove crescevano splen<strong>di</strong><strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> gelsomino, e odorandoli<br />

cominciò a descrivere la città <strong>di</strong> Troia.<br />

Io timidamente cominciai a parlare <strong>di</strong> me e delle mia famiglia, e <strong>di</strong>alogammo<br />

fino a notte fonda. Mi convinsi che non era una spia, quando andai<br />

a coricarmi, infatti mi fermò e mi <strong>di</strong>ede un braccialetto <strong>di</strong> perle e d’oro, era<br />

raffinatissimo, e mettendomelo mi <strong>di</strong>sse: “Con questo Atena sarà con te, e<br />

ti proteggerà”. Poi lesta scomparve nel buio e fin dove potei la seguii con<br />

lo sguardo. Non sapevo chi fosse e ignoravo il suo nome, ma cominciai a<br />

pensare che si trattasse <strong>di</strong> una servitrice della Dea Atena. Mi avviai verso<br />

casa, stranamente con il cuore sollevato per il <strong>di</strong>alogo tenuto. Mi svegliai<br />

all’alba, e prima <strong>di</strong> indossare le gloriose armi salutai velocemente Creusa,<br />

– 221 –


che mi porse una coppa <strong>di</strong> vino rosso e insieme brindammo ad Atena<br />

pregandola <strong>di</strong> farmi tornare sano e salvo, poi salutai affettuosamente il<br />

piccolo Julo e il mio vecchio padre Anchise che mi baciò sulla fronte, così<br />

andai a prendere il mio carro e mi schierai con il resto dell’esercito al <strong>di</strong><br />

fuori dalle mura.<br />

Non avendo più un compagno feci salire al mio fianco sul carro Pandaro<br />

<strong>di</strong> Zelea figlio <strong>di</strong> Licaone, e quest’ultimo nel suo paese era considerato il<br />

migliore tra tutti gli arceri, ma purtroppo il suo arco e le sue frecce non gli<br />

servirono a molto. In breve tempo facemmo subito amicizia, lui mi parlò<br />

della sua terra che mi apparve splen<strong>di</strong>da, e gli promisi che se fossi rimasto<br />

vivo alla fine della guerra, un giorno l’avrei visitata; io invece gli descrissi<br />

la città <strong>di</strong> Troia, e lui mi rispose che ne era rimasto incantato per la bellezza<br />

e per l’organizzazione; entrambi giurammo <strong>di</strong> proteggerci come due fratelli.<br />

Infine Ettore tenne un breve <strong>di</strong>scorso per incitarci a combattere.<br />

“Amici miei, fedeli soldati <strong>di</strong> Troia, preziosi alleati, io vi ringrazio tutti<br />

per essere qui questo giorno, vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe<br />

da un momento all’altro prendere il mio cuore, ma non è questo il<br />

giorno <strong>di</strong> morire, non oggi. Combattiamo insieme e vedrete che vinceremo,<br />

e costringeremo l’esercito Acheo a fuggire dalle nostre belle terre”.<br />

Fu così che ci preparammo al secondo giorno <strong>di</strong> battaglia. Ad un tratto<br />

si presentarono davanti a noi.<br />

Un centinaio <strong>di</strong> carri, e come minimo <strong>di</strong>ecimila soldati; noi aspettammo<br />

il nemico sotto alle mura poiché c’erano appostati sulle torri e sulle mura<br />

decine e decine <strong>di</strong> abili arcieri, che al segnale <strong>di</strong> Ettore, quando il nemico<br />

era a portata <strong>di</strong> tiro, avrebbero fatto sibilare centinaia <strong>di</strong> frecce e facendo<br />

così finire nella polvere numerosissimi soldati e cavalieri. Quando l’esercito<br />

Acheo cominciò a scagliare lance, Ettore <strong>di</strong>ede il segnale, e successivamente<br />

Aiace <strong>di</strong> Oileo che era uno dei principali generali fece aumentare il<br />

passo a tutti or<strong>di</strong>nando uno scontro frontale. Io incitai i miei cavalli e con<br />

un colpo <strong>di</strong> frusta partirono al galoppo. Invece Pandaro scocco una freccia<br />

proprio in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Aiace, mancandolo d’un soffio e colpendo mortalmente<br />

Leuco uno dei compagni <strong>di</strong> Ulisse nel ventre, e quando Ulisse re <strong>di</strong><br />

Itaca vide il suo compagno morente si gonfiò d’ira e or<strong>di</strong>nò ai suoi uomini<br />

<strong>di</strong> galoppare verso il nemico, ma non fece in tempo a <strong>di</strong>rlo, che Pandaro<br />

scagliò altre due frecce colpendolo prima al braccio e poi alla spalla, e<br />

cadde. Al suo posto Diomede scagliò una lancia con tutta la sua forza credo,<br />

in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Pandaro, ma io lo coprii lesto con il mio scudo <strong>di</strong> bronzo<br />

che lo salvò ma si contorse in due. Lo scontro fu durissimo: i miei cavalli<br />

– 222 –


furono infilzati dalle lance dei Mirmidoni, scu<strong>di</strong> vennero fracassati, spade<br />

infilzate nei corpi dei nemici, inoltre si levarono al cielo urli <strong>di</strong> dolore da<br />

parte dei feriti. Io atterrato dovetti combattere con lancia e spada e mi feci<br />

largo nella mischia, mentre Ettore uccideva eroi come pochi. Subii una<br />

botta in testa e svenni ma ricordo prima <strong>di</strong> aver visto Ettore scontrarsi con<br />

Aiace, i due combatterono con le dure spade e i gran<strong>di</strong> scu<strong>di</strong>, ma quando il<br />

protettore <strong>di</strong> Troia inciampò su una pietra, il Greco lo ferì a un braccio<br />

impedendogli <strong>di</strong> sollevare il suo pesante scudo, ma in quel momento Diore<br />

figlio <strong>di</strong> Amarinceo scagliò una lancia nel braccio <strong>di</strong> Aiace che cadde a terra<br />

in ginocchio urlando <strong>di</strong> dolore, ma prima che Ettore potesse decapitarlo<br />

alzò la spada e i due valorosi principi continuarono il duello anche se feriti.<br />

In un’altra mischia Diomede faceva strage, infatti uccise Toante e Idomeneo<br />

infilzandoli con due lance, Xiode e Xanto figli <strong>di</strong> Aimello il vecchio, uno<br />

facendogli sentire la fredda lama in bocca e l’altro trapassandolo da parte a<br />

parte della testa con una freccia raccolta per terra; poi c’era anche Agamennone<br />

re dei re che uccise il grande O<strong>di</strong>o signore degli Alizoni e tutti i suoi<br />

quattro scu<strong>di</strong>eri, ferendoli alla gola o al petto per farli accasciare a terra per<br />

poi darli il colpo <strong>di</strong> grazia infilzandoli con la lancia o con la spada. In quel<br />

momento stavamo perdendo e tutti i principi che sfidavano i nostri riportavano<br />

gloriose vittorie. Inoltre c’era Achille che come un aquila si gettava su<br />

eroi Troiani e in pochi secon<strong>di</strong> li uccideva e li faceva cadere nella polvere<br />

sotto i colpi della sua splen<strong>di</strong>da spada.<br />

Tutto era perso, e se non fosse stato per tutti gli arcieri alle torri saremmo<br />

stati uccisi nel giro <strong>di</strong> poche ore. Quando riaprii gli occhi era notte<br />

fonda e mi trovavo nella pianura con tutti i morti della battaglia: tra loro<br />

vi<strong>di</strong> anche il mio amico Festo ucciso da Menelao, ma vi<strong>di</strong> anche una gambiera<br />

<strong>di</strong> Aiace e capii che fortunatamente era morto sotto i colpi <strong>di</strong> Ettore<br />

ma riconobbi anche i volti dei nostri principi più forti, e tirando un sospiro<br />

<strong>di</strong> sollievo non vi<strong>di</strong> né Ettore né il coraggioso Sarpedonte, mi alzai e mi<br />

accorsi <strong>di</strong> essere sbalor<strong>di</strong>to a tal punto <strong>di</strong> rimanere in pie<strong>di</strong> con <strong>di</strong>fficoltà<br />

tuttavia mi incamminai zoppicando verso le mura della mia città e quando<br />

le sentinelle mi videro e fecero aprire le porte mi fu riservato un trattamento<br />

speciale; nonostante fosse notte fonda una volta entrato mi vennero incontro<br />

Creusa che piangendo mi baciò, Pandaro che mi <strong>di</strong>ede una pacca al braccio<br />

e mi sussurrò: “Oggi non ho mantenuto fede al nostro giuramento <strong>di</strong> proteggerti...<br />

perdonami”, Julo che saltando <strong>di</strong> gioia mi strinse forte, e gran parte<br />

dell’esercito che dagli angoli della città avevano sentito il mio ritorno, e<br />

urlavano: “Enea, come mai sei tornato? Forse non ti volevano nell’al<strong>di</strong>là!!!”,<br />

– 223 –


e tutti festeggiarono.Poi mi fecero mangiare pane, carne e bere tanto vino<br />

per ridarmi la forza e mi fu raccontata la fine della battaglia.<br />

Ormai tutto sembrava perso, si pensava che per noi fosse stata la fine<br />

poiché eravamo stati schiacciati contro le mura, eravamo pochi numericamente<br />

e la maggior parte <strong>di</strong> noi era ferita, a stento i soldati Troiani riuscivano<br />

a reggersi in pie<strong>di</strong>, tuttavia con le urla <strong>di</strong> Ettore, che quando si accorgeva<br />

che uno dei nostri era in serio pericolo <strong>di</strong> vita, si metteva tra lui e il<br />

suo aggressore, salvandogli così la vita e uccidendo il Greco che stava tentando<br />

<strong>di</strong> prendersi le armi una volta ucciso il Troiano, e <strong>di</strong> mandare l’anima<br />

nell’Ade. Sicuramente grazie all’aiuto <strong>di</strong> Apollo <strong>di</strong>o del sole e <strong>di</strong> Atena dea<br />

della caccia, eravamo riusciti a respingere i colpi e a scacciare lontano gli<br />

facendoli in<strong>di</strong>etreggiare per qualche centinaio <strong>di</strong> metri; mentre la mia amata<br />

Creusa continuava il racconto della battaglia, venne interrotta da Pandaro,<br />

che tutto contento e fiero <strong>di</strong> sé <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> aver fatto in<strong>di</strong>etreggiare persino il<br />

grande Achille con le sue frecce, e che quel giorno aveva ucciso almeno<br />

duecento soldati, ferito Ulisse l’astuto e aver aiutato Ettore a uccidere Aiace<br />

figlio <strong>di</strong> Oileo, infatti Ettore stava ancora combattendo contro il Greco, entrambi<br />

erano feriti e quando stava per arrivare Estoleo, figlio <strong>di</strong> Dioinisio il<br />

tiranno, si pensava che Ettore sarebbe morto, ma Pandaro prima uccise<br />

Estoleo, poi piantò quattro frecce nel busto <strong>di</strong> Aiace che successivamente<br />

venne infilzato da Ettore. Il giorno dopo non si combatté nessuna battaglia,<br />

tutti i Troiani passarono la giornata riposandosi sotto le fronde dei salici, i<br />

fabbri martellarono fino a notte le armature, gli scu<strong>di</strong>, le spade e gli elmi,<br />

altri costruirono nuove frecce per gli arcieri, e altri ancora raccolsero i corpi<br />

dei compagni caduti in battaglia, mentre le donne troiane si rinchiusero nei<br />

tempi con i vecchi saggi per fare sacrifici, per pregare e per rendere<br />

omaggio agli dei con veli bellissimi e pregiatissimi <strong>di</strong> Nilo.<br />

Invece i generali organizzavano piani <strong>di</strong> battaglia per il giorno dopo,<br />

sperando <strong>di</strong> riportare meno vittime possibili.<br />

Nell’accampamento Greco invece si stava verificando un episo<strong>di</strong>o che<br />

cambiò il corso e gli eventi della guerra <strong>di</strong> Troia.<br />

Quando i Greci avevano invaso la spiaggia, Achille e i suoi Mirmidoni<br />

avevano <strong>di</strong>ssacrato il tempio <strong>di</strong> Apollo, ucciso i sacerdoti e rapito la sacerdotessa<br />

Briseide, nipote <strong>di</strong> Priamo, e <strong>di</strong> conseguenza cugina <strong>di</strong> Ettore e<br />

Paride. Da quanto sapemmo Briseide era stata portata nella tenda <strong>di</strong> Achille;<br />

quando il figlio <strong>di</strong> Peleo la vide così come era con le lacrime agli occhi,<br />

sporca <strong>di</strong> sangue, con una tunica bianca che, metteva in risalto le lisce<br />

gambe e il piccolo seno,fu colto da un senso <strong>di</strong> amore che non aveva mai<br />

– 224 –


provato prima; probabilmente non per l’aspetto estetico ma per qualcosa <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verso, forse per i suoi occhi, che gonfi <strong>di</strong> lacrime trasmettevano un o<strong>di</strong>o<br />

che sarebbe apparso persino a un cieco, imme<strong>di</strong>atamente la sciolse e le<br />

<strong>di</strong>ede uno straccio bagnato, in modo da potersi pulire i piccoli tagli che si<br />

era procurata sulla faccia e sulle braccia quando aveva urtato contro Saleo,<br />

il capo dei Mirmidoni, cercando inutilmente <strong>di</strong> opporre resistenza tentando<br />

la fuga.<br />

Anche Briseide cominciò a provare qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso da gli altri per<br />

Achille, forse un senso <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne, perché era stata liberata da quelle<br />

dure corde che le stavano lasciando il segno; ci fu un momento <strong>di</strong> silenzio<br />

tra i due, Achille non accennava a smettere <strong>di</strong> fissarla e fu lui il primo a<br />

parlare chiedendole il nome; Briseide guardava fisso da un’altra parte e non<br />

voleva scambiare una sola parola con il Greco che l’aveva rapita.<br />

Poi arrivò Saleo e alla sua vista Briseide rabbrividì ma con il coraggio e<br />

con la forza che gli rimaneva, gli urlò contro: «Assassino! Hai ucciso i<br />

ministri <strong>di</strong> Apollo, non erano neanche armati!!! Assassino!!! Il <strong>di</strong>o sole <strong>di</strong><br />

fulminerà per questo!». Saleo infuriato andò in contro alla ragazza in<strong>di</strong>fesa,<br />

e fece per darle un pugno, ma Achille lo fermò, e poi aggiunse: «E io ho<br />

<strong>di</strong>ssacrato la statua <strong>di</strong> Apollo, che cosa aspetta a punirmi?». A quelle parole<br />

Briseide fu zittita, e sperava <strong>di</strong> morire il prima possibile, per non respirare<br />

più l’aria <strong>di</strong> quei due assassini.<br />

Il comportamento <strong>di</strong> Briseide aveva suscitato in Achille una strana<br />

sensazione, il campione greco con grande sorpresa si era innamorato della<br />

sacerdotessa <strong>di</strong> Apollo, ma non sapeva ancora che per proteggere quella<br />

donna sarebbe morto, e che un giorno l’avrebbe privata <strong>di</strong> un cugino buono<br />

e generoso <strong>di</strong> nome Ettore.<br />

GIORNI DI TREGUA<br />

Passarono circa tre giorni dall’ultima battaglia che avevamo combattuto<br />

contro gli. E non riuscivamo a comprendere perché il nemico esitasse tanto<br />

ad attaccarci, alcuni pensarono che i Greci si fossero ritirati perché si erano<br />

indeboliti molto durante l’ultima respinta nei loro confronti, invece altri<br />

temevano che stessero tramando qualche cosa, ma quando le nostre spie ci<br />

riferirono che i Greci si erano <strong>di</strong>visi poiché era stata tolta ad Achille,<br />

Briseide; e quando fummo a conoscenza che il figlio <strong>di</strong> Peleo non intendeva<br />

più combatterci perché era rinchiuso nella sua tenda con il cuore pieno<br />

– 225 –


d’ira, minacciando inoltre <strong>di</strong> partire da un momento a l’altro, per fare ritorno<br />

nella sua terra fertile <strong>di</strong> Ftia, cominciammo a nutrire qualche speranza<br />

<strong>di</strong> vittoria, pregando gli dei <strong>di</strong> far terminare la guerra il prima possibile,<br />

nessuno <strong>di</strong> noi Troiani desiderava altro... ma non dovevamo <strong>di</strong>menticare che<br />

con Achille c’era Patroclo, il suo cugino preferito ma soprattutto il suo migliore<br />

amico, capace <strong>di</strong> spronarlo e <strong>di</strong> incitarlo per la battaglia in qualsiasi<br />

momento. A quel punto c’era chi proponeva <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere l’accampamento<br />

degli per farli scappare, ma c’era chi come me, come Ettore, o come Sarpedonte<br />

consigliava <strong>di</strong> non attaccare, ma, la voglia <strong>di</strong> scacciare il nemico era<br />

troppa, quin<strong>di</strong> si armò l’esercito per un eventuale attacco.<br />

Però, i Greci anticiparono i nostri tempi... infatti all’alba del quarto<br />

giorno il loro esercito si fece trovare pronto per un grande attacco, seppur<br />

senza Achille infuriato, Aiace morto, Diomede ferito e impossibilitato <strong>di</strong><br />

combattere, ma sempre con Ulisse, che combatteva per incoraggiare i compagni,<br />

Agamennone, Menelao, e altri valorosi principi. Per evitare un altro<br />

bagno <strong>di</strong> sangue, Paride coraggiosamente propose un duello tra lui e Menelao,<br />

e al vincitore sarebbe andata Elena; inoltre, se avesse vinto il greco,<br />

Troia avrebbe dovuto pagare un caro prezzo in tessuti, animali, gioielli, oro,<br />

e altro. Se invece avesse vinto Paride, gli se ne sarebbero tornati a casa, <strong>di</strong>chiarando<br />

pace. In quel momento Paride era stato molto coraggioso ma<br />

anche molto ingenuo.<br />

Ulisse e Ettore segnarono il luogo dove si sarebbe tenuto il duello, e<br />

una volta designato il campo, iniziò lo scontro: io mi trovavo tra le prime<br />

file, e se pur da lontano potei assistere a quell’incontro.<br />

Iniziò Paride, che lanciò la sua lancia contro Menelao, la lancia si infilò<br />

proprio al centro dello scudo <strong>di</strong> Menelao, e quest’ultimo scagliò la lancia<br />

contro Paride che si protesse con lo scudo, però il colpo fu terribile lo scudo<br />

si squarciò e volò via... allora i due sguainarono le spade e Paride riportò<br />

subito la peggio, infatti non poteva competere con un esperto <strong>di</strong> armi come<br />

Menelao; i primi colpi furono fatali per il figlio <strong>di</strong> Priamo che in meno <strong>di</strong><br />

pochi minuti cadde a terra, ferito al braccio ed al ginocchio. Ma ebbe la<br />

forza <strong>di</strong> alzarsi e con un pugno sul naso <strong>di</strong> Menelao riuscì ad allontanarsi e<br />

barcollando arrivò alle gambe <strong>di</strong> Ettore, e sputando sangue chiese l’aiuto<br />

del fratello; allora infuriato Menelao si avvicino urlando «Dove cre<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

andare, razza <strong>di</strong> farabutto!!! Il duello non è concluso!!!», Ettore si mise in<br />

mezzo, ed estraendo la spada <strong>di</strong>sse «Beh ora è concluso...» e non fece<br />

neanche in tempo a finire la frase che il corpo <strong>di</strong> Menelao giaceva a terra<br />

senza vita poiché era stato infilzato da Ettore e tutte le viscere si riversarono<br />

– 226 –


a terra. A quella visione i generali urlarono vendetta, e si lanciarono contro<br />

<strong>di</strong> noi.<br />

Detto questo raccolse il fratello e se lo pose sulle spalle, correndo più<br />

veloce che potesse verso le mura <strong>di</strong> Troia or<strong>di</strong>nando la ritirata al suo esercito<br />

inseguito da quello Acheo. Quando i Troiani furono dentro le mura ben<br />

poco poterono i soldati Greci, perché gli arcieri Troiani avevano iniziato a<br />

scagliare frecce e lasciando nella polvere numerosi soldati.<br />

All’interno delle mura Ettore parlò all’esercito, <strong>di</strong>sse a tutti i soldati <strong>di</strong><br />

riposare per il giorno dopo perché all’alba i Greci avrebbero attaccato con<br />

tutte le loro forze volendo ven<strong>di</strong>care la morte <strong>di</strong> Menelao.<br />

Effettivamente così fu. Il giorno successivo i soldati si riversarono tutti<br />

nella pianura decisi più che mai ad attaccare, facendo riportare al nemico<br />

gravi per<strong>di</strong>te. Così, dopo <strong>di</strong>versi giorni <strong>di</strong> tregua che avevano fatto sperare<br />

in una fine imme<strong>di</strong>ata della guerra, le battaglie ricominciarono più intense<br />

che mai. Purtroppo non ho molto da raccontarvi, poiché noi soldati tutti i<br />

giorni combattevamo una battaglia, ci riposavamo e il giorno dopo ne combattevamo<br />

un’altra. Gli anni <strong>di</strong> guerra trascorsero abbastanza velocemente<br />

senza alcuna conseguenza, solo con la morte dei soldati. Strano ma vero<br />

Achille rimase sempre nella sua tenda, <strong>di</strong>verse volte le nostre spie avevano<br />

visto il figlio <strong>di</strong> Peleo passeggiare solo sulla riva del mare. Evidentemente<br />

anche lui amava passeggiare la sera, ed era per lui un modo per reistere alla<br />

tentazione <strong>di</strong> scendere sul campo <strong>di</strong> battaglia.<br />

Ogni sera sedevo sotto il mio salice e vedevo sempre la fanciulla vestita<br />

<strong>di</strong> bianco, tuttavia non comprendendone mai il nome. Ma una sera fu lei a<br />

svelarmelo, ricorderò per sempre che mi <strong>di</strong>sse «È giunto il momento che tu<br />

sappia il mio nome, io mi chiamo...» esitò, ma poi concluse «Elena».<br />

Preso dalla rabbia, sguainai la spada e mi gettai su <strong>di</strong> lei, ma qualcosa<br />

mi trattenne... Andai su tutte le furie... “Io ho parlato delle mie confidenze<br />

con la causa <strong>di</strong> questa inutile guerra” pensai, “le ho raccontato <strong>di</strong> me e della<br />

mia famiglia!!!”. Questi furono i miei primi pensieri. Ma poi mi misi nei<br />

suoi panni, e capii che persino io avrei fatto scatenare questa guerra per<br />

seguire una persona che avrei davvero amato.<br />

Ogni giorno si verificava sempre una battaglia, a volte i nostri avversari<br />

riportavano la meglio, a volte noi Troiani ne uscivamo vincitori, ma un<br />

giorno dovetti <strong>di</strong>re ad<strong>di</strong>o a due miei carissimi amici: Pandaro e Sarpedonte.<br />

Infatti nel bel mezzo della battaglia Pandaro ed io ci <strong>di</strong>rigemmo contro<br />

Diomede e Ulisse. Pandaro scagliava le sue mortali frecce, mentre io con<br />

uno scudo grande il doppio <strong>di</strong> uno normale proteggevo me stesso e lui,<br />

– 227 –


infilzavo con la mia spada tutti coloro che si mettevano davanti. Ricordo<br />

che uccidemmo in pochi minuti mezza imbarcazione <strong>di</strong> Ulisse, infatti ci<br />

scontrammo contro Zato e Salao figli <strong>di</strong> Riano, signore della Tessaglia, con<br />

i loro otto scu<strong>di</strong>eri e Fiode cugino <strong>di</strong> Ulisse, mentre Pandaro faceva cadere<br />

a terra i picchieri e gli arcieri. In quel momento Diomede e Ulisse si <strong>di</strong>ressero<br />

correndo verso <strong>di</strong> noi, e neanche Pandaro riusciva ad atterrarli con le<br />

sue frecce. Infine Diomede scagliò una lancia nel petto <strong>di</strong> Pandaro trapassandolo,<br />

che tuttavia riuscì a scoccare debolmente una freccia, che si infilzò<br />

non del tutto nel ventre <strong>di</strong> Diomede, ma poi cadde nella polvere e le tenebre<br />

presero la sua anima; a quella visione urlai come non mai, e con tutto il mio<br />

dolore scaraventai il mio scudo su Ulisse che cadde in ginocchio sbigottito,<br />

e mi gettai come un falco su una preda contro Diomede, ci battemmo<br />

gloriosamente con le spade per circa un’ora, ma quando lo fermai mozzandogli<br />

il braccio con cui combatteva, la mia voglia <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>care Pandaro non<br />

si placò. Infatti decapitai Diomede e con una lancia infilzai la sua testa,<br />

facendo restare la punta, e la scagliai contro i soldati, che a quella vista si<br />

ritirarono; ma allo stesso tempo Ulisse si rialzò e colpì alle spalle Sarpedonte,<br />

che cadde e poi lo infilzò sotto i miei occhi. Ma quel giorno gli Dei<br />

erano propizi a noi, tanto che schiacciammo i Greci fino al loro accampamento,<br />

facendogli riportare una schiacciante sconfitta con per<strong>di</strong>te devastanti.<br />

Le loro continue sconfitte erano dovute alla mancanza <strong>di</strong> Achille che<br />

non combatteva, e questo ci dava coraggio per affrontare i Greci e per<br />

respingerli.<br />

Ma nonostante tutto il nostro coraggio e la nostra forza non eravamo<br />

ancora riusciti a scacciarli, comunque eravamo sicuri per come stavano<br />

andando le cose, avremmo potuto vincere la guerra da un momento all’altro.<br />

Alla sera quando tornammo celebrammo la nostra vittoria con un<br />

immenso banchetto in onore agli Dei.<br />

La sera facemmo ardere i corpi dei soldati valorosi morti, io conservai<br />

le ceneri <strong>di</strong> Pandaro e il suo arco, rendendogli in omaggio alla Dea della<br />

caccia Atena (Minerva per i Romani), affinché il suo viaggio nell’al<strong>di</strong>là<br />

potesse andare a buon fine.<br />

Poiché entrambi gli eserciti erano stremati dalle battaglie, furono <strong>di</strong>chiarati<br />

pochi giorni <strong>di</strong> tregua, anche se il re Agamennone non era d’accordo,<br />

ma infine si dovette arrendere perché il morale dei soldati era a<br />

pezzi, Achille non combatteva più, Aiace <strong>di</strong> Oileo e Diomede erano morti,<br />

Ulisse sembrava aver perso la sua astuzia e il suo coraggio per cui tanto<br />

andava famoso, e molti si rifiutavano <strong>di</strong> combattere.<br />

– 228 –


Allora da quanto ci <strong>di</strong>ssero le nostre spie, Agamennone aveva restituito<br />

Briseide ad Achille che però non si decise <strong>di</strong> muovere e anzi stabilì la data<br />

<strong>di</strong> partenza per fare ritorno nella sua terra, ma prima <strong>di</strong>sse «Voglio vedere lo<br />

sbaragliamento dell’esercito e la caduta <strong>di</strong> Agamennone».<br />

Questo ci consolava e molti <strong>di</strong> noi erano sicuri che era solo questione <strong>di</strong><br />

tempo per la vittoria <strong>di</strong> Troia e c’era chi credeva che con un ultimo decisivo<br />

attacco, si sarebbe conclusa una volta per sempre la guerra. Ettore era assolutamente<br />

contrario, infatti pensava che un attacco all’accampamento dei<br />

Greci avrebbe potuto far così riunire l’esercito Acheo. Il suo timore era fondato<br />

perché...<br />

Il giorno seguente per noi ci fu una durissima battaglia, e noi Troiani<br />

ricor<strong>di</strong>amo sempre questa battaglia, e la chiamiamo: la battaglia del nuovo<br />

generale.<br />

TEODOS X DI MERIDIO<br />

Non so spiegarmi la causa della nostra devastante sconfitta, ma forse<br />

avevamo sottovalutato il nemico, pensando che larga parte delle truppe si<br />

fosse imbarcata per la via <strong>di</strong> casa, oppure che un numero maggiore <strong>di</strong> soldati<br />

fosse morto... ma <strong>di</strong> fatto non fu così.<br />

Io quel giorno fui costretto a rimanere in città a causa delle ferite che<br />

avevo riportato nei combattimenti precedenti ma nonostante tutto mi appostai<br />

sulle mura per essere d’aiuto, facendo da sentinella. Ricordo che vi<strong>di</strong><br />

partire il nostro esercito, forte <strong>di</strong> circa <strong>di</strong>ecimila uomini anche con il rinforzo<br />

dalle alleanze dei Greci che si erano ribellati ad Agamennone, ma<br />

quando tornò al calare della sera, era ridotto a meno della metà. Da quanto<br />

ci <strong>di</strong>ssero i sopravvissuti, l’esercito Acheo era stato spronato da un nuovo<br />

generale, giunto dal sud dell’Argolide con <strong>di</strong>eci navi cariche <strong>di</strong> circa cinquemila<br />

uomini, cavalli e carri splendenti color oro. Il nome <strong>di</strong> questo generale<br />

era Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o, e con i suoi uomini era conosciuto per ardore<br />

e tenacia. Ettore, ferito, tornò al palazzo reale, presso il quale erano stati<br />

convocati i generali; poiché Sarpedonte era morto, io venni prescelto come<br />

nuovo generale. Mentre tutti noi parlavamo, Ettore veniva me<strong>di</strong>cato e poté<br />

così raccontare l’andamento della catastrofica battaglia. Quin<strong>di</strong> fu il mio<br />

turno <strong>di</strong> parlare e, sebbene fossi un poco imbarazzato per il mio nuovo incarico,<br />

<strong>di</strong>ssi: «Secondo me, dovremmo restare protetti dalle mura della città<br />

per un periodo <strong>di</strong> un mese o due; in questo modo potremmo fortificare le<br />

– 229 –


mura, far riposare i soldati, riparare le spade e le armature e, soprattutto,<br />

progettare e costruire nuove armi».<br />

Detto questo tornai a sedermi ed in sala, per pochi minuti vi fu un gran<br />

silenzio. Quin<strong>di</strong> si alzò Priamo e <strong>di</strong>sse quasi bisbigliando, con gli occhi<br />

pieni <strong>di</strong> fiducia e <strong>di</strong> speranza «E tu Enea, figlio d’Anchise, cosa proponi?»<br />

La mia proposta fu accettata, ed io contento per la mia nuova carica<br />

cominciai subito a <strong>di</strong>segnare insieme ad architetti <strong>di</strong> guerra, i nuovi mezzi.<br />

L’INVENZIONE DI NUOVE ARMI<br />

Nei giorni seguenti, mentre il nostro esercito restava protetto dalle<br />

mura, l’esercito Acheo si riversava nella pianura ed i soldati, accortisi che<br />

non c’era nessuno ad affrontarli, infuriavano contro le mura, venendo ripetutamente<br />

colpiti dalle frecce dei nostri arcieri. Noi, intanto, al riparo delle<br />

mura, progettavamo la costruzione <strong>di</strong> mici<strong>di</strong>ali carri, forniti <strong>di</strong> spuntoni e <strong>di</strong><br />

arpioni. Io stesso ebbi l’idea <strong>di</strong> montare sui carri un congegno attraverso il<br />

quale sarebbe stato possibile scagliare lance più lunghe del normale che<br />

avrebbero potuto infilzare anche due uomini per volta.<br />

Poi feci montare sulle ruote dei carri spuntoni che avrebbero tranciato<br />

le gambe dei nemici; quin<strong>di</strong> decisi <strong>di</strong> attaccare con una corda una quarantina<br />

<strong>di</strong> lance; questa corda sarebbe stata collegata con due carri, e quando<br />

sarebbe stata tesa avrebbe infilzato i soldati in prima fila. Con queste nuove<br />

armi avremmo sicuramente sacrificato meno vite, sperando <strong>di</strong> riportare<br />

sempre la meglio nelle battaglie. Ormai si ripeteva sempre la stessa cosa, i<br />

Greci si riversavano nella pianura e invocavano il combattimento, ricevevano<br />

risposta in frecce e imprecando in<strong>di</strong>etreggiavano. Ma vi devo informare<br />

<strong>di</strong> una cosa, forse avete sentito parlare <strong>di</strong> Troia, solo per la mitologica<br />

guerra che durò più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni, ma dovete sapere che Troia fu anche<br />

luogo <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse storie d’amore; a Voi forse è nota soprattutto quella <strong>di</strong><br />

Achille e Briseide ma noi Troiani ricor<strong>di</strong>amo appunto quella tra Elena e<br />

Paride. Io infatti molte volte avevo visto camminare per le strade <strong>di</strong> Troia i<br />

due innamorati, e la cosa spesso mi lasciava sorpreso perché molto spesso<br />

Elena mi guardava e mi sorrideva, io rigido non accennavo a smuovermi,<br />

ero ancora furioso e non riuscivo a comprendere il perché <strong>di</strong> questa guerra;<br />

alcune voci <strong>di</strong>cevano che questa guerra veniva combattuta solo perché il<br />

nostro principe Troiano potesse avere una donna. Inizialmente mi accorsi<br />

che per amore gli uomini fanno cose molto strane; ma mentre stavo comin-<br />

– 230 –


ciando a ragionare come Paride, pensai che nonostante tutto l’uomo debba<br />

sempre ragionare con il cervello e non con il cuore, nonostante l’amore sia<br />

una delle cose più belle del mondo.<br />

Io stesso feci scatenare una specie <strong>di</strong> guerra tra famiglie per sposare<br />

Creusa, infatti sia da bambini l’uno era innamorato dell’altra e quando crescemmo<br />

desiderammo sposarci, ma suo padre l’aveva promessa ad un principe<br />

<strong>di</strong> cui nessuno conosceva il nome; naturalmente Creusa voleva sposare<br />

me ma la cosa <strong>di</strong> prospettava molto <strong>di</strong>fficile poiché il padre non voleva<br />

darla in sposa a me, ma dopo anni <strong>di</strong> corteggiamento dovette arrendersi<br />

perché si accorse che tra me e Creusa c’era più che amore. Ma il principe a<br />

cui era stata promessa Creusa si rivoltò. E così la mano <strong>di</strong> Creusa si decise<br />

nel più brutale dei mo<strong>di</strong>, con un duello all’ultimo sangue tra me ed il principe<br />

<strong>di</strong> origine Achee; nel duello si potevano utilizzare una lancia, una<br />

spada, uno scudo ma nessuna armatura, entrambi eravamo appiedati ma<br />

nonostante ciò ricordo che per tutto il duello combattemmo con molto ardore.<br />

Naturalmente vinsi io, altrimenti non potrei raccontarvelo, ma se non<br />

fosse stato per la mia rapi<strong>di</strong>tà, probabilmente ora mi troverei nell’oltretomba,<br />

rimpiangendo la mia giovinezza e la forza.<br />

Quel giorno faceva molto caldo, e il terreno sul quale combattemmo era<br />

pieno <strong>di</strong> sassi appuntiti e <strong>di</strong> sabbia, il mio avversario era molto più forte <strong>di</strong><br />

me e me ne accorsi quando scagliò la sua lancia che si schiantò contro il<br />

mio scudo piegandolo in due, poi sguainò la spada e urlando si <strong>di</strong>resse<br />

verso <strong>di</strong> me, io con la lancia in una mano e con la spada nell’altra mi feci<br />

coraggio e così cominciammo a batterci come veri leoni che si contendono<br />

il corpo <strong>di</strong> una preda morta. Ci fu un gran frastuono, ogni mio colpo andava<br />

a vuoto e riuscivo a parare i suoi con <strong>di</strong>fficoltà; lui era molto abile e riusciva<br />

a schivare i colpi della mia lancia. Riportai <strong>di</strong>verse ferite e privo <strong>di</strong><br />

forze azzoppato, mi accasciai al suolo, e quando il principe stava per darmi<br />

il colpo <strong>di</strong> grazia, alzò le braccia e scoprì il petto, io rapido agguantai spada<br />

e lancia lo trapassai uccidendolo. Cadde per terra ma prima <strong>di</strong> morire lesto<br />

gli sussurrai all’orecchio «Perdonami...avrai un rito funebre degno <strong>di</strong> un re».<br />

E lui piano piano mi rispose «Ti ringrazio Enea figlio d’Anchise... Sanuel<br />

nono <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o ti saluta». Ormai credo che Voi da soli abbiate capito che<br />

Sanuel e Teodos furono fratelli, e quando sentii pronunciare il nome del<br />

nuovo generale dell’esercito acheo mi si gelò il sangue: e capii il perché<br />

fosse venuto qui, voleva uccidermi per ven<strong>di</strong>care la morte del fratello<br />

seppur quin<strong>di</strong>ci anni dopo. Aveva ritardato il suo arrivo probabilmente per<br />

raccogliere più uomini possibili, e per <strong>di</strong>struggere oltre a me tutti i Troiani.<br />

– 231 –


Ma tornando al mio piano riguardante quello <strong>di</strong> costruire nuove armi,<br />

circa dopo un mese e mezzo terminammo. Così ci armammo delle nuove<br />

armi splendenti e portammo fuori dalle mura i nuovi carri. A quella visione<br />

i soldati dell’esercito Acheo, nonostante fosse maggiore <strong>di</strong> numero, furono<br />

talmente impauriti che scapparono verso le loro navi. Eravamo sicuri <strong>di</strong> noi<br />

e senza alcun timore galoppammo come mai prima d’ora contro i Greci, le<br />

nostre nuove armi funzionarono perfettamente e migliaia <strong>di</strong> soldati gloriosi<br />

rimasero nella polvere. Ci fu un gran frastuono e noi riportammo subito la<br />

meglio, gli arceri in corsa trafissero numerosissimi eroi, i nostri cavalli calpestarono<br />

i soldati che strano ma vero volarono via con teste o braccia mozzate;<br />

invece per noi le per<strong>di</strong>te furono minime, i soldati erano incoraggiati<br />

per le vittorie riportate e per gli urli <strong>di</strong> Ettore che non si placavano. Io mi<br />

battevo a cavallo vicino ad Ettore e molte volte gli salvai la vita, uccidendo<br />

i soldati che tentavano <strong>di</strong> colpirlo alle spalle. Spingemmo gli Achei fino al<br />

loro accampamento.<br />

Ogni volta si ripeteva lo stesso scenario, ma era sempre <strong>di</strong>verso, erano<br />

anni che Achille non combatteva, e non riuscimmo a capire perché, poiché<br />

le nostre spie erano state scoperte e uccise.<br />

Ma un giorno, poco prima della morte <strong>di</strong> Ettore, riportai una gran<strong>di</strong>ssima<br />

vittoria contro Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o. Infatti eravamo proprio nel<br />

mezzo <strong>di</strong> una battaglia, ci guardammo a vicenda, in mezzo a noi si creò<br />

un varco, i due generali migliori, i due più forti dopo Achille ed Ettore, si<br />

sfidavano. Da sotto l’elmo ci guardammo negli occhi per pochi secon<strong>di</strong> e<br />

nel frattempo facemmo entrambi qualche passo in tondo avvicinandoci,<br />

sempre con lo scudo e la spada sollevati, e così iniziò il duello.<br />

IL DUELLO<br />

Tutto iniziò con un urlo <strong>di</strong> Ettore «Vai Enea figlio d’Anchise, <strong>di</strong>mostra<br />

la forza dei Troiani sul campo <strong>di</strong> battaglia!!!». Detto questo si scatenò una<br />

vera e propria bolgia, c’era chi urlava «Teodos... Teodo...» e chi rispondeva<br />

«Enea... Enea...» ma poi mi venne in mente un idea, e <strong>di</strong>sse ad alta voce<br />

«Teodos... questo duello è tra me e te, dì ai tuoi uomini <strong>di</strong> allontanarsi, io<br />

farò la stessa cosa» Teodos comprese e fece un cenno con il capo or<strong>di</strong>nando<br />

al suo esercito <strong>di</strong> allontanarsi. Si u<strong>di</strong>rono i rimbalzi rumorosi delle armature,<br />

causati dai sobbalzi dei passi dei soldati. Prima del combattimento<br />

Teodos gettò a terra l’elmo, posò spade e scudo e venne verso <strong>di</strong> me per<br />

– 232 –


stringermi la mano, io capii tutto dall’inizio e lo anticipai. Ci stringemmo la<br />

mano e capii che oltre ad essere un valoroso soldato era un gran<strong>di</strong>ssimo<br />

uomo d’onore, e in quel momento quasi provai <strong>di</strong>spiacere nel dover scontrarmi<br />

contro <strong>di</strong> lui ma... prima <strong>di</strong> lasciare la sua mano, mi afferrò per il<br />

polso e mi gettò nella polvere con una ginocchiata nella pancia, rotolai nella<br />

polvere tossendo in mancanza <strong>di</strong> fiato, dovetti rialzarmi subito perché<br />

Teodos estrasse da una gambiera un pugnale molto lungo, e tentò subito<br />

<strong>di</strong> uccidermi, ma io una volta recuperate le forze schivai tutti i suoi colpi,<br />

intanto erano ricominciati gli urli dei due eserciti, e per ogni colpo che uno<br />

dei due riportava gli schiamazzi aumentavano <strong>di</strong> intensità.<br />

Ricevetti nuovi colpi, tre in pancia e due in faccia, così cad<strong>di</strong> nuovamente<br />

nella polvere, rotolando e sputando sangue dalla bocca, intanto<br />

Teodos raccolse la sua spada e corse verso <strong>di</strong> me urlando, ma lesto presi lo<br />

scudo e mi coprii parando così i suoi colpi, raccolsi la mia spada e con un<br />

foro apposito nel mezzo dello scudo, feci passare la lama (questa era<br />

un’altra mia invenzione), e per poco non lo uccisi all’istante lasciandogli un<br />

profondo taglio sul fianco destro, impedendogli così <strong>di</strong> fare altre mosse<br />

<strong>di</strong>soneste nei miei confronti. Sguainai la spada dal foro dello scudo e con un<br />

gran slancio mi gettai su <strong>di</strong> lui, combattemmo con ardore e entrambi riportammo<br />

numerose ferite, e stanchi ci accasciammo a terra, le nostre spade<br />

erano infrante, e io probabilmente ero ferito più gravemente del mio nemico,<br />

non avevo più armi, sanguinavo da quasi tutte le parti del corpo, e<br />

non avevo neanche la forza <strong>di</strong> scagliare un pugno; se non fosse stato per<br />

l’intervento <strong>di</strong> mia madre sarei stato sicuramente ucciso.<br />

Infatti con uno dei suoi astuti inganni, Ulisse re <strong>di</strong> Itaca scagliò una<br />

lancia verso Teodos, la lancia si infilò nel terreno e Teodos con grande maestria,<br />

ebbe modo <strong>di</strong> raccoglierla, la rigirò e la scagliò verso <strong>di</strong> me: pensai<br />

che per me fosse la fine, e proprio quando la lancia stava per trafiggermi, si<br />

fermò bruscamente e cadde per terra.<br />

A quella visione improvvisamente mi tornarono gran parte delle forze, e<br />

raccolsi rapidamente la lancia sollevandola in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Teodos, che aveva<br />

raccolto il pugnale con il quale voleva uccidermi all’inizio del nostro duello,<br />

si precipitò verso <strong>di</strong> me con il braccio in modo da potermi infilzare, ma io<br />

con una splen<strong>di</strong>da giravolta lo evitai e con un urlo accompagnato da un rapido<br />

movimento del braccio lo trapassai tra la scapola e il torace sinistro. Per<br />

non farlo soffrire ulteriormente, estrassi la lancia... Teodos aveva ancora<br />

pochi minuti <strong>di</strong> vita e versando qualche lacrima <strong>di</strong>sse: «Hai tolto la vita a<br />

mio fratello, adesso a me... ma ti prego, conce<strong>di</strong>mi i giusti onori funebri...»<br />

– 233 –


Prima che potesse morire io gli risposi: «Non temere avrai lo stesso<br />

trattamento <strong>di</strong> tuo fratello... sarai venerato e le tue ceneri deposte al tempio<br />

<strong>di</strong> mia madre Venere, affinché il tuo viaggio possa non essere travagliato;<br />

oggi avresti dovuto vincere tu e perire io, ma gli dei hanno protetto me...<br />

ora riposa in pace...».<br />

Mi sorrise e mi <strong>di</strong>ede una pacca sul braccio; poi la sua vita lo abbandono<br />

e le tenebre avvolsero la sua anima che volò nell’oltretomba, rimpiangendo<br />

l’ardore e il coraggio perduti. Fu così che tolsi la vita al generale<br />

Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o. Questo affronto probabilmente ora non viene narrato<br />

nelle melo<strong>di</strong>e dei cantori,ma solo chi ha vissuto abbastanza per vederlo lo<br />

sa. Strappai un pezzo della mia tunica e pulii il volto insanguinato <strong>di</strong><br />

Teodos, poi ad alta voce con tutte le forze rimaste gridai: «Soldati Greci,<br />

oggi avete subito una grande per<strong>di</strong>ta, per oggi basta... se me lo permettete<br />

prenderò io il corpo <strong>di</strong> Teodos, affinché possa ricevere gli onori a modo<br />

mio».<br />

Detto questo raccolsi il corpo del mio avversario morto, e lo portai<br />

dentro le mura, e zoppicando lo portai a casa mia, dove Creusa e la sua<br />

ancella lavarono il suo corpo, venni curato anche io e fortunatamente verso<br />

sera quasi tutte le mie ferite si rimarginarono. Inoltre feci erigere un soppalco<br />

dove fu deposto il corpo <strong>di</strong> Teodos in un pregiatissimo telo <strong>di</strong> Nilo.<br />

Gettai una fiaccola nella legna e il cadavere bruciò.<br />

Infine salutai il mio nemico per l’ultimi volta <strong>di</strong>cendogli «Ad<strong>di</strong>o<br />

Teodos X <strong>di</strong> Meri<strong>di</strong>o, sei stato il migliore dei miei avversari, sono sicuro<br />

che un giorno ci incontreremo ancora».<br />

Un’altra vita fu spezzata, io mi chiesi quanti uomini ancora sarebbero<br />

dovuto morire, perché questa guerra finisse, perché la sete <strong>di</strong> Ares <strong>di</strong>o della<br />

guerra fosse placata... Non trovai mai risposta alla mia domanda,ma <strong>di</strong> una<br />

cosa ero certo, la guerra <strong>di</strong> Troia avrebbe portato agli uomini avi<strong>di</strong> <strong>di</strong> gloria,<br />

ricchezze <strong>di</strong> tutti i tipi, ed a uomini onesti e buoni, solo morte e paura <strong>di</strong><br />

perdere la propria famiglia, la propria patria.<br />

IL RAMMARICO DI ELENA E LA PRIGIONIA DI BRISEIDE<br />

«Elena, ragazza giovane e bella, cosa hai fatto? Perché hai lasciato tuo<br />

marito Menelao? Tu sei la causa <strong>di</strong> tutto questo: se gli uomini muoiono, se i<br />

bambini <strong>di</strong>ventano orfani, e le mogli vedove, la colpa è solo tua». Elena<br />

dentro <strong>di</strong> se non faceva altro che torturarsi con queste parole, si tormentava,<br />

– 234 –


piangeva <strong>di</strong>sperata, soffriva. Nessuno era in gradoni comprenderla, ma<br />

nessuno voleva comprenderla. Stava sempre chiusa nella sua stanza, lì non<br />

faceva che urlare <strong>di</strong>sperata, Paride tentava <strong>di</strong> consolarla, e falsa speranza le<br />

davano le parole <strong>di</strong> Priamo: «Elena non è colpa tua, se la causa <strong>di</strong> questa<br />

guerra fossi stata tu, quando Menelao morì, i Greci sarebbero tornati alla<br />

loro patria da molti anni. I Greci ci o<strong>di</strong>ano da sempre, da secoli progettano<br />

<strong>di</strong> asse<strong>di</strong>arci, la tua fuga è stata solo un pretesto». Questo era vero, ma non<br />

bastava a Elena. Non aveva amici, e ogni giorno che passava, si sentiva<br />

sempre più in colpa. Quando un uomo moriva si sentiva responsabile, come<br />

se lo avesse ucciso lei, desiderava tanto che fosse consegnata ai Greci, così<br />

la guerra sarebbe finalmente terminata.<br />

Se gli anni passarono per Elena, altrettanto passarono anche per Briseide.<br />

Infatti per lei erano aumentati anche gli anni <strong>di</strong> prigionia. La ragazza<br />

in fin dei conti, non era proprio prigioniera, perché, era <strong>di</strong>ventata la serva<br />

<strong>di</strong> Achille e godeva quin<strong>di</strong> della sua protezione. Passava le sue giornata<br />

pregando per un imminente fine della guerra, desiderava tanto rivedere i<br />

suoi cari, abbracciarli tutti, baciarli, <strong>di</strong>re loro che era ancora viva; ma,<br />

sapeva che non era possibile, e per questo piangeva, si <strong>di</strong>sperava, urlava...<br />

In cuor suo però si era accorta <strong>di</strong> una cosa. Si era innamorata, si era<br />

innamorata dell’uomo sbagliato, si era innamorata <strong>di</strong> Achille. Non capiva<br />

cosa la spingeva ad amare quell’uomo, ma ne era attratta. Altre donne<br />

probabilmente avrebbero manifestato un finto interesse per Achille, per non<br />

essere uccisa, o per non essere molestata. Ma Briseide era veramente innamorata;<br />

quando passeggiava sulla riva del mare, pensava cosa avrebbero<br />

detto i suoi parenti, ma già si immaginava la reazione del cugino Ettore:<br />

«Hai portato a Troia il mio peggior nemico!!! Hai calpestato l’onore della<br />

nostra famiglia!!!» E a questi pensieri rideva. Stranamente desiderava che<br />

Achille restasse con lei, ma se Achille fosse rimasto la guerra sarebbe continuata,<br />

portando morte e dolore per le famiglie dei soldati morti in battaglia,<br />

invece se la guerra fosse terminata, cosa che sperava, sarebbe dovuta andare<br />

a Ftia con lui, e lasciare per sempre la sua terra natale. Un giorno però rimase<br />

molto sorpresa perché Achille si rivolse a lei <strong>di</strong>cendo: «Ho programmato<br />

il mio ritorno a casa, e con me vorrei che venissi anche tu. Ma, certamente<br />

non ti posso costringere ad abbandonare la terra dei tuoi padri. Perciò<br />

ti lascio decidere il tuo destino, io vorrei una risposta al tramonto. Ma sappi<br />

che se verrai con me, mi renderai l’uomo più felice del mondo, e inoltre<br />

sarai la regina della terra dove sono nato io e dove sono cresciuto. Aspetterò<br />

con impazienza la tua risposta». Dopo ciò che aveva u<strong>di</strong>to da Achille, andò<br />

– 235 –


a passeggiare lungo la riva del mare. Sapeva che se fosse andata con<br />

Achille, non avrebbe più riabbracciato i suoi cari, ma sapeva anche che se<br />

non fosse partita con l’uomo <strong>di</strong> cui si era profondamente innamorata, lo<br />

avrebbe rimpianto per tutto il resto della sua vita. Quando si decise, andò da<br />

Achille, ma da come andarono le cose capì che sarebbe rimasta a Troia.<br />

Infatti quello era solo l’inizio della svolta. La svolta della guerra tra<br />

Troiani e Greci, che per sempre rimase leggendaria.<br />

LA SVOLTA<br />

La morte <strong>di</strong> Teodos, aveva <strong>di</strong>mostrato la fragilità dell’esercito greco, se<br />

pur molto numeroso. Tutti i soldati ormai invocavano l’aiuto <strong>di</strong> Achille,<br />

Agamennone passava le giornate nella sua tenda <strong>di</strong>sperato, cercando <strong>di</strong> trovare<br />

il modo <strong>di</strong> compiacere Achille e <strong>di</strong> farsi perdonare; ogni giorno faceva<br />

portare doni bellissimi davanti la tenda del campione greco, ma quest’ultimo<br />

senza neanche degnarli <strong>di</strong> un’occhiata, li respingeva o li dava ai suoi<br />

uomini, che erano impazienti <strong>di</strong> combattere sotto le mura <strong>di</strong> Troia; e una<br />

sera Saleo coraggiosamente si rivolse ad Achille domandandogli «Mio<br />

signore, lo sai che io ti ho sempre seguito in tutte le battaglie, ma se mi è<br />

permesso, perché esitiamo a combattere? L’esercito greco non ha possibilità<br />

<strong>di</strong> vittoria ormai...». Achille lo stette ad ascoltare, ma poco dopo infuriato si<br />

alzò in pie<strong>di</strong> e rispose spingendo Saleo fuori dalla tenda, facendolo rotolare<br />

nella sabbia «Combatti per me o per Agamennone? E Saleo? Proprio tu mi<br />

fai questa domanda, tu che mi conosci meglio degli altri!!!».<br />

Vi fu subito una risposta: «Hai ragione mio signore, io combatto per te,<br />

perdonami». Achille tornò nella sua tenda dove si fece portare della brocche<br />

<strong>di</strong> vino, per tentare <strong>di</strong> <strong>di</strong>menticare, e <strong>di</strong> nascondere il suo desiderio <strong>di</strong> combattere;<br />

che però passò evidente a Patroclo. Infatti il giovane cugino entrò<br />

nella sua tenda, e sicuro <strong>di</strong> quello che faceva, strappò dalle mani un bicchiere<br />

<strong>di</strong> bronzo dal quale Achille stava bevendo e urlò «Perché non combatti e<br />

resti a guardare?! Tu sei il primo che si butterebbe nella mischia... perché<br />

esiti tanto!!!». Achille rimase colpito, e fissando il vuoto sembrava essere<br />

deciso sul da farsi... infatti rispose «Hai ragione Patroclo, sono rimasto a<br />

guardare anche troppo...». E a quel punto il bel viso con le lentiggini <strong>di</strong><br />

Patroclo, colorato <strong>di</strong> marrone chiaro per l’effetto del sole, s’illuminò speranzoso<br />

<strong>di</strong> aver finalmente convinto il cugino, ma Achille terminò la frase<br />

<strong>di</strong>cendo «Domani si torna a casa».<br />

– 236 –


Allora Patroclo uscì dalla tenda, con il rimorso <strong>di</strong> non aver potuto combattere<br />

sotto le mura <strong>di</strong> Troia, e con le lacrime che rigavano quel bellissimo<br />

viso da ragazzo.<br />

Dal canto suo Achille cominciò a ubriacarsi, preparando il suo ritorno a<br />

Ftia. Noi Troiani, invece, ci stavamo organizzando in gruppi per l’assalto<br />

all’accampamento acheo all’alba, avremmo formato una schiera molto<br />

lunga, cercando in questo modo <strong>di</strong> attaccare da tutte le parti il nemico cercando<br />

così <strong>di</strong> trovarlo impreparato. In quel momento stavamo tutti i generali<br />

intorno a un tavolo stu<strong>di</strong>ando le tecniche che avremmo potuto effettuare.<br />

Io stavo vicino ad Ettore, e quando la nostra riunione terminò Ettore<br />

mi fece segno <strong>di</strong> rimanere un momento con lui, quando gli altri terminarono<br />

e andarono a informare i soldati Ettore prese un calice <strong>di</strong> vino e due bicchieri,<br />

e mi <strong>di</strong>sse «Da quando è morto Sarpedonte dei migliori generali sei<br />

rimasto solo tu; con la tua strategia delle nuovi armi, abbiamo riportato<br />

meno <strong>di</strong> 174 morti, con la tua spada hai ucciso Diomede, con il tuo scudo<br />

hai parato i colpi che i Greci davano a me, e se sono ancora vivo lo devo<br />

anche, se non soprattutto a te... ti ringrazio e ti prego <strong>di</strong> schierarti al mio<br />

fianco domani finché uno dei due non muoia».<br />

Io onorato dalle sue parole gli porsi la mano, lui me la strinse, e si<br />

accorse del braccialetto che mi aveva regalato Elena, e mi chiese «Bello, è<br />

il dono della tua sposa?».<br />

Guardando le bellissime perle imbarazzato, pensai che non era il caso<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>rgli che era il regalo <strong>di</strong> Elena e mentii affermando con la testa. Poi <strong>di</strong>rigendomi<br />

verso casa gli augurai la buona notte. Quella notte cad<strong>di</strong> in un sogno<br />

molto agitato, sognai due guerrieri che si sfidavano, uno aveva un’armatura<br />

d’orata, sull’elmo una piuma nera e con grande maestria bran<strong>di</strong>va una spada e<br />

una lancia, l’altro tentava con un grande scudo <strong>di</strong> parare i colpi, e dai suoi<br />

movimenti sembrava un abile comandante troiano. Dopo pochi minuti <strong>di</strong><br />

duello il guerriero che aveva l’elmo con la piuma nera, infilzò la lancia nel<br />

corpo del suo avversario tra le urla <strong>di</strong> spavento dei partecipanti presenti al<br />

combattimento, e proprio in quel momento io mi svegliai <strong>di</strong> soprassalto.<br />

Non chiusi occhio più per tutta la notte, quin<strong>di</strong> annoiandomi a letto mi<br />

alzai e invocando l’aiuto <strong>di</strong> mia madre Venere e della dea Atena mi misi<br />

l’armatura, e andai a preparare il cavallo, aspettando il momento della battaglia.<br />

Ma più precisamente il momento della svolta. Non sapevo a quello a<br />

cui stavo andando in contro, non sapevo che solo il giorno dopo la guerra<br />

sarebbe potuta finire, ma soprattutto non sapevo che <strong>di</strong> lì a poche ore tutta<br />

l’ira <strong>di</strong> Achille si sarebbe scatenata...<br />

– 237 –


In quel momento non era ancora sorto il sole ma quando verso sera, la<br />

luna avrebbe rischiarato la notte, tra le vittime ci sarebbe un giovane<br />

sciocco ed ingenuo ma con un grande amore per la patria, quella sera la sua<br />

pira avrebbe arso più in alto <strong>di</strong> tutte, e nell’Ade sarebbe scesa un’altra<br />

anima. Infatti quel giorno sarebbe morto Patroclo.<br />

Tutto cominciò all’alba, quando ci schierammo intorno all’accampamento<br />

del nemico con grande silenzio. Al mio comando gli arcieri del mio<br />

battaglione, cominciarono a scoccare frecce contro le sentinelle, che con un<br />

ultimo urlo <strong>di</strong> dolore <strong>di</strong>edero l’allarme. Tutti i soldati si armarono in fretta,<br />

e uscirono dalle tende, quello era il nostro piano, le frecce aumentarono <strong>di</strong><br />

intensità, trafiggendo tutti i soldati e costringendoli a rifugiarsi nelle tende.<br />

A quel punto i soldati sotto il comando <strong>di</strong> Ettore attaccarono alle spalle i<br />

Greci che colti <strong>di</strong> sorpresa furono subito schiacciati, io invece penetrai centralmente,<br />

e con gli uomini che avevo a <strong>di</strong>sposizione sfondai il mura, la<br />

torre si macchiò <strong>di</strong> sangue troiano e acheo, nulla sembrava poterci resistere<br />

infatti tutte le resistenze cedevano come un castello <strong>di</strong> sabbia. C’era un imprevisto.<br />

C’era quel fossato, tutt’attorno al muro che gli avevano costruito<br />

per <strong>di</strong>fendere le loro preziose navi. Ettore ci gridava <strong>di</strong> passarlo, ma i cavalli,<br />

essendo appena arrivati dal nord non erano abituati al sangue, e non<br />

ne volevano sapere, puntavano gli zoccoli e nitrivano, erano terrorizzati.<br />

Le sponde erano ripide e gli Achei avevano piazzato pali aguzzi sui bor<strong>di</strong>.<br />

Pensare <strong>di</strong> passare da lì, con i nostri carri argentati e immensi era una follia.<br />

Polidamante lo <strong>di</strong>sse, a Ettore, gli <strong>di</strong>sse che scendere là dentro era troppo rischioso,<br />

e se gli Achei avessero contrattaccato! Ci saremmo trovati proprio<br />

in mezzo al fossato, in trappola, e sarebbe stata una carneficina. L’unica<br />

possibilità era scendere dai carri, lasciarli prima del fossato e attaccare a<br />

pie<strong>di</strong>. Ettore gli <strong>di</strong>ede ragione, scese lui stesso dal carro e or<strong>di</strong>nò a tutti <strong>di</strong><br />

fare altrettanto. Ci schierammo in cinque gruppi. Ettore comandava il<br />

primo. Paride il secondo. Eleno il terzo. Polidamante il quarto. Il quinto era<br />

il mio. Eravamo pronti ad attaccare, ma all’improvviso si alzò una tempesta<br />

<strong>di</strong> vento che faceva paura, polvere dappertutto, che saliva fino al ponte delle<br />

navi. Coraggiosamente attraversammo il fossato e ci avventammo contro il<br />

muro. Scuotemmo i merli delle torri, abbattemmo i parapetti, cercammo <strong>di</strong><br />

scalzare i pilastri che reggevano tutto. Ma il muro resisteva bene, avrebbero<br />

potuto farcela e quando i Greci cominciavano a sperare in una salvezza, arrivò<br />

Eleno. Con l’enorme scudo <strong>di</strong> bronzo e d’oro, teso davanti e due lance<br />

strette in pugno: il suo coraggio fu tale che arrivò addosso alle sentinelle<br />

come un leone affamato. Era lì in mezzo alla calca, al suo fianco c’ero io e<br />

– 238 –


pronti per scalare il muro ci facemmo coraggio. Ci videro arrivare, da una<br />

delle torri, e si misero a gridare aiuto, e alla fine arrivò Aiace; mentre uccidevo<br />

le guar<strong>di</strong>e vedevo che correva verso <strong>di</strong> me, accanto a lui c’era Teucro,<br />

mici<strong>di</strong>ale con il suo arco e colpì Glauco al braccio, proprio mentre stava per<br />

scavalcare il muro, lo colpì al braccio, e Glauco si lasciò scivolare giù dal<br />

muro. Ora salirono anche Coone, Pisandro e Simo. La situazione si metteva<br />

male per Aiace, che adesso colto dalla paura fuggì. La torre si coprì <strong>di</strong><br />

sangue ma fu conquistata, e una volta penetrati abbassammo il piccolo<br />

ponte levatoio, dando così la possibilità ai cavalieri <strong>di</strong> entrare, con i cavalli<br />

e con i carri più leggeri. Da un’altra parte del muro, Ettore e i suoi guerrieri<br />

non riuscivano a penetrare, e intanto Paride scagliava frecce in tutte le <strong>di</strong>rezioni,<br />

facendo morire così le guar<strong>di</strong>e che tentavano <strong>di</strong> riformare una <strong>di</strong>fesa.<br />

Vedendolo in <strong>di</strong>fficoltà, scesi dalla torre, e lo andai ad aiutare; c’era una<br />

porta <strong>di</strong> legno resistentissimo, presi da un carro una grande scure e cominciai<br />

a staccare parti <strong>di</strong> legno del portone. Ma ecco, Ettore era proprio davanti<br />

a quella porta, e arrabbiato si avvicinò ad un macigno, enorme, era appoggiato<br />

a terra e terminava con una punta aguzza, tagliente. Lo sollevò,<br />

come fece non riuscii mai a realizzarlo, poiché, era un masso che due<br />

uomini avrebbero fatto fatica a tirarlo su, ma lui lo sollevò alto sulla testa.<br />

Lo vedemmo fare qualche passo verso la porta del muro, e poi con tutta la<br />

forza scagliare quel masso contro i battenti. Fu un colpo tale che i car<strong>di</strong>ni<br />

saltarono via, il legno della porta si squarciò, i chiavistelli cedettero <strong>di</strong><br />

schianto: rapi<strong>di</strong> come la notte Ettore ed io entrammo nella voragine aperta,<br />

splen<strong>di</strong><strong>di</strong> nel bronzo, se fossimo stati fratelli <strong>di</strong> sangue, nessuno ci avrebbe<br />

opposto resistenza e nessuno avrebbe osato affrontarci. Io mi addentrai <strong>di</strong><br />

più, cominciando ad ingaggiare duelli con tutti quelli che tentavano sfidarmi,<br />

Ettore invece scatenò i guerrieri, e tutti lo seguirono sicuri del loro<br />

generale. Furono portati i carri, su uno salimmo Ettore ed io, in modo che<br />

tutti ci potessero vedere. I Greci, a cui andavamo incontro, ci videro arrivare<br />

al galoppo e ne sono sicuro, davanti a noi tremarono pregando gli dei<br />

<strong>di</strong> non morire quell’atroce giorno <strong>di</strong> battaglia. Avevano formato un gruppo<br />

pronto a combattere, erano molto numerosi, forse più <strong>di</strong> noi, ma in quel<br />

momento, nello stretto, noi avevamo più possibilità <strong>di</strong> vittoria, e allora caricammo<br />

<strong>di</strong> massa tutti <strong>di</strong>etro noi due, i fratelli <strong>di</strong> spada, Ettore ed Enea. In<br />

quel momento quando un Greco sentiva pronunciare quei nomi rabbrivi<strong>di</strong>va,<br />

e così avvenne; i soldati nemici scapparono via sperando <strong>di</strong> salvarsi.<br />

La strada era spianata, non sapendo da che parte cominciare, attaccammo<br />

l’armeria. Le armi più belle erano lì a portata <strong>di</strong> mano, ma non ci interessa-<br />

– 239 –


vano, prendemmo solo le lance, che sarebbero state piantate poi nel petto o<br />

nella schiena <strong>di</strong> qualche soldato nemico.<br />

Eravamo formidabili. Come un masso che cadendo dall’alto della montagna<br />

rotola e rimbalza, facendo risuonare la selva al suo passaggio, e non<br />

si ferma fino a quando giunge alla pianura, così voleva fare Ettore, voleva<br />

arrivare fino al mare, alle navi, alle tende degli Achei, seminando la morte.<br />

Intorno a lui la battaglia che annienta gli uomini, irta <strong>di</strong> lance taglienti. Noi<br />

avanzavamo da ogni parte, accecati dai bagliori <strong>di</strong> uno splendore fatto <strong>di</strong><br />

elmi lucenti, lucide corazze e scu<strong>di</strong> brillanti. Come potrei mai <strong>di</strong>menticare<br />

quello splendore... ma io vi <strong>di</strong>co: non c’è cuore così fiero da poter guardare<br />

quella bellezza senza esserne atterrito. E atterriti ne eravamo noi, lì, affascinati<br />

ma atterriti, mentre Ettore ci trascinava avanti, come se non avesse<br />

altro che quelle navi, laggiù, da raggiungere e da <strong>di</strong>struggere. Dalle retrovie<br />

degli Achei ci bersagliavano <strong>di</strong> frecce e <strong>di</strong> pietre, mentre in prima linea i<br />

nostri si trovavano davanti ai migliori guerrieri. Incominciammo a sbandare,<br />

a perderci. Polidamante, ancora lui, corse da Ettore, era furibondo, ed<br />

io lì vicino, uccidendo prima un Greco, poi un altro, sentii tutto: «Ettore!!!<br />

Vuoi ascoltarmi una volta? Solo perché sei il migliore <strong>di</strong> noi Troiani, non<br />

vuol <strong>di</strong>re che sei il più saggio. Ascoltami! Abbiamo la battaglia intorno<br />

come una corona <strong>di</strong> fuoco, in questo modo, rischiamo <strong>di</strong> arrivare alle navi<br />

in pochi e non ti <strong>di</strong>menticare, che c’è ancora Achille, affamato <strong>di</strong> guerra».<br />

Aveva ragione. Ettore guardò me e io annuii con la testa. Tornammo in<strong>di</strong>etro,<br />

allora, a raccogliere i nostri migliori soldati, a rimettere insieme l’esercito,<br />

ma lì si accorse che molti <strong>di</strong> noi non ce l’avevano fatta, erano stati<br />

colpiti sul muro da Teucro, il perfido arciere. Erano morti Deifobo, Eleno,<br />

Otrioneo; Ettore li cercava ma non li trovava, trovò Paride, che con coraggio<br />

lo prese per le braccia e gli urlò: «Sono morti, Ettore, feriti o <strong>di</strong>spersi,<br />

tutti vittime <strong>di</strong> Aiace e Teucro, io stesso ho visto come è morto Eleno<br />

che stava per uccidere Aiace, ma slealmente è stato colpito alle spalle.<br />

Siamo rimasti noi, portaci con te, ti seguiremo fino alla morte». Come<br />

aveva fatto con Polidamante, Ettore fece <strong>di</strong> nuovo con Paride, lo ascoltò, e<br />

così or<strong>di</strong>natamente <strong>di</strong> nuovo ci scagliammo all’attacco. Davanti a noi c’era<br />

Aiace. Gli si fece contro Ettore, con l’elmo splendente sulla testa che gli<br />

oscillava sulle tempie. Io mi misi a correre verso Ulisse che era appena<br />

uscito dal campo me<strong>di</strong>co, e colto <strong>di</strong> sorpresa, fece solo in tempo a bran<strong>di</strong>re<br />

la spada, perché mi lanciai al duello.<br />

Mentre da una parte Ettore combatteva contro Aiace, io inseguivo<br />

Ulisse per le tende. Impaurito, chiamò l’aiuto dei suoi uomini. Uno ad uno<br />

– 240 –


uscivano dalle tende, ma io rapido li uccidevo tutti, Pendoro, Sabo, Xanto,<br />

Balio, tutti, nessuno mi poteva fermare. Ulisse fuggiva, non aveva il coraggio<br />

<strong>di</strong> affrontarmi, allora pensai <strong>di</strong> andare dai miei uomini per soccorrerli.<br />

Trovai Paride che nascosto sotto un cavallo morto scagliava frecce verso<br />

Teucro, e quest’ultimo, al sicuro nella torre <strong>di</strong> pietra cercava in tutti i mo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> uccidere Ettore che stava sconfiggendo Aiace. Paride inoltre <strong>di</strong>sse: «Male<strong>di</strong>zione,<br />

ha ucciso e sta continuando a uccidere i nostri migliori soldati,<br />

senza contare che mira ad uccidere Ettore, qualcuno deve fermarlo».<br />

A quelle parole, misi la spada nel fodero, raccolsi tre lance e mi misi lo<br />

scudo sulle spalle. In quel modo corsi verso Teucro, e in corsa gli scagliai<br />

contro una lancia, poi raggiunsi le scale della torre e scagliai la seconda<br />

lancia infilzando un soldato, che rimase attaccato al muro; salii le scale e<br />

trovai Echepolo e Antiloco, uno lo uccisi trafiggendolo con la lancia, l’altro<br />

decapitandolo con il bordo dello scudo. Salii ancora e trovai Teucro che mi<br />

aspettava, mi coprii con lo scudo, e accovacciandomi mi avvicinai, sentivo<br />

il rumore e lo scontro delle frecce infrangersi sul mio scudo <strong>di</strong> bronzo. Poi<br />

quando ebbe finito le frecce, mi scagliò addosso le lance e i giavellotti. Non<br />

potevo continuare così, sarebbero arrivate altre guar<strong>di</strong>e e mi avrebbero<br />

ucciso alle spalle, allora con un guizzo raccolsi per terra un pugnale; era<br />

molto piccolo ma affilato come pochi, e lo lanciai nel petto <strong>di</strong> Teucro, ruotò<br />

nell’aria e si fermò nel petto dell’arciere. Una volta colpito, si inginocchiò.<br />

E sputando sangue capii che <strong>di</strong> lì a poco sarebbe morto. Provò a raccogliere<br />

una lancia, ma la forza lo abbandonò, allora mi cercò con lo sguardo, e<br />

preoccupato non mi vide. Io nascosto <strong>di</strong>etro una colonna uscii e con la<br />

spada lo decapitai. Così morì Teucro, le sue frecce non avrebbero più ucciso<br />

nessun Troiano, e le sue vittime furono ven<strong>di</strong>cate.<br />

Mi affacciai dalla torre e con la spada alta, feci capire ai Troiani che<br />

adesso avevano una preoccupazione alle spalle in meno, ma quando mi<br />

girai, vi<strong>di</strong> un esercito che marciava qui, erano forse cinquemila. Finalmente<br />

capii, erano i Lici appena giunti dall’ovest in soccorso <strong>di</strong> Glauco. Sapevo<br />

che ci avrebbero aiutato, ma non immaginavo, che avrebbero mandato un<br />

tale esercito in così poco tempo. Prima <strong>di</strong> scendere, vi<strong>di</strong> gli effetti della nostra<br />

invasione, c’erano migliaia <strong>di</strong> cadaveri per terra, il terreno era <strong>di</strong>ventato<br />

rosso, inoltre vi erano piantate lance e frecce. Scesi dalla torre, e all’entrata<br />

mi <strong>di</strong>ressi verso i Lici, e <strong>di</strong>ssi a tutto l’esercito: «Siete più che i benvenuti.<br />

Io sono Enea secondo generale. Vi avverto subito, vi <strong>di</strong>spiacerà sapere che<br />

il vostro capo Sarpedonte è morto». A quel punto si avvicinò un ragazzo,<br />

avrà avuto forse più <strong>di</strong> vent’anni e mi <strong>di</strong>sse: «Io sono Elo, soldato fedele <strong>di</strong><br />

– 241 –


questa armata, sono il nipote <strong>di</strong> Sarpedonte, ven<strong>di</strong>cherò mio zio, e da adesso<br />

in poi siamo tutti al tuo comando». Io li ringraziai, ma senza perdere troppo<br />

tempo entrammo nell’accampamento Greco. Urlammo tutti in coro: «Tremate<br />

Greci, arrivano i Lici!!!». Cominciammo a combattere, corsi da Ettore<br />

e lo trovai sfinito, che si appoggiava ad un masso per riprendere fiato. Gli<br />

comunicai la situazione e il suo volto si illuminò. Feci portare un carro, e<br />

così cominciammo a marciare verso le navi con un esercito numerosissimo<br />

alle spalle, i cui passi risuonarono.<br />

I Greci fuggirono davanti a noi. Erano terrorizzati. Neanche Aiace riuscì<br />

a fermarli, e dovette retrocedere con i compagni per organizzare una <strong>di</strong>fesa,<br />

ma prima raccolse un sasso, era abbastanza grande e correndo in avanti lo<br />

scaraventò verso <strong>di</strong> noi. Il destino volle che andò a colpire proprio Ettore. Il<br />

principe Troiano cadde all’in<strong>di</strong>etro; e vomitando sangue nero svenne, una<br />

tenebra scura gli scese sugli occhi. Quando videro che noi portammo via<br />

Ettore, presero coraggio. Aiace per primo si lanciò verso <strong>di</strong> noi, portandosi<br />

tutti <strong>di</strong>etro. Fu uno scontro selvaggio. Non così forte risuonano le onde del<br />

mare sugli scogli quando soffia violenta la bora. Non così forte è il rombo<br />

dell’incen<strong>di</strong>o quando <strong>di</strong>vampa nelle valli in montagna e <strong>di</strong>vora la foresta.<br />

Non così forte ulula il vento quando infuria tra le alte fronde delle querce.<br />

Non così forte come esplose l’urlo <strong>di</strong> Achei e Troiani quando si gettarono<br />

gli uni sugli altri. Si mise male per noi, perché senza Ettore che ci trascinava,<br />

e che ci dava coraggio non riuscivamo a fare neanche un passo. A poco<br />

servirono le mie parole, l’esercito sbandò. Cominciammo ad in<strong>di</strong>etreggiare,<br />

impauriti. Impauriti come cervi incalzati fin nel folto della foresta dai cacciatori:<br />

quando sembrava la fine per noi tra le file Troiane uscì un uomo. Era<br />

Ettore. Tutti lo credevano morto. Lo vedemmo noi, e lo videro anche i Greci,<br />

sembrava uno spirito fuggito dall’al<strong>di</strong>là, come un incubo che non li lasciava<br />

in pace, come un leone che aveva piantato i denti nella loro carne, e adesso<br />

non li mollava più.<br />

Se ne scapparono quasi tutti, in<strong>di</strong>etro verso le loro navi. Rimasero solo i<br />

più forti e i più valorosi: Aiace, Idomeneo, Merione, Mege e suo fratello<br />

Solone. A gran<strong>di</strong> passi marciammo contro <strong>di</strong> loro. Caddero uno dopo l’altro<br />

sotto i nostri colpi. Medonte e Iaso uccisi da me. Stichio e Arcelisao, uccisi<br />

da Ettore. Mecisteo, ucciso da Polidamante. Echio, ucciso da Polite. Clonio<br />

e Deico, uccisi da Paride, con due frecce al centro del petto. Mentre noi<br />

spogliavamo i cadaveri, loro scappavano da ogni parte. Anche i migliori,<br />

tutti. Arretrarono fino alle navi, ed è lì dove Ettore, io e tutti i Troiani desideravamo<br />

arrivare.<br />

– 242 –


ATTACCO ALLE NAVI<br />

Io ero davanti a tutti e vi<strong>di</strong>, alla fine, là, davanti a me, le navi. I primi<br />

scafi neri, puntellati sulla terra, e poi a per<strong>di</strong>ta d’occhio, navi,navi,navi fino<br />

alla spiaggia e al mare, migliaia <strong>di</strong> alberi e <strong>di</strong> chiglie, prue puntate verso<br />

il cielo fino a dove si poteva guardare. Le navi. Nessuno può capire cosa<br />

è stata quella guerra per noi Troiani senza immaginare il giorno in cui le<br />

vedemmo arrivare. Erano più <strong>di</strong> mille, in quel pezzo <strong>di</strong> mare che era nei nostri<br />

da quando eravamo bambini, ma mai avevamo visto solcato da qualcosa<br />

che non fosse amico, e piccolo, e raro. E adesso era oscurato fino all’orizzonte<br />

da mostri venuti da lontano per annientarci. ripensando a quella battaglia<br />

mi giunge alla mente un pensiero, ricordo me e i giovani maschi <strong>di</strong> Troia,<br />

vestiti con le armi più belle, uscire dalla città, marciare verso la pianura, e<br />

giunti al mare, cercare <strong>di</strong> fermare quella flotta, terrorizzante a colpi <strong>di</strong> pietre,<br />

la pietre della spiaggia. Le tiravamo capite? Mille navi e noi con le nostre<br />

pietre. Rimasi per qualche minuto immobile, Ettore <strong>di</strong>menticando, paura e<br />

dolore, scatenò l’esercito, ed esso <strong>di</strong>venne mare in tempesta per quelle navi.<br />

Scalavamo le chiglie, con le fiaccole in mano, per dar fuoco a tutto. Ma gli<br />

Achei si <strong>di</strong>fendevano duramente. C’era Aiace, ancora lui, a incitarli e a guidarli.<br />

Era a poppa su una nave, e uccideva chiunque riuscisse a salire o anche<br />

solo ad avvicinarsi. In una mano teneva la spada <strong>di</strong> Diomede presagli una<br />

volta morto, e nell’altra una scure enorme molto affilata. Io puntai dritto<br />

contro <strong>di</strong> lui e quando fui abbastanza vicino mirai e sferrai la lancia. La punta<br />

<strong>di</strong> bronzo volò in alto ma mancò il bersaglio e colpì uno scu<strong>di</strong>ero, Licofrone.<br />

Vi<strong>di</strong> Aiace rabbrivi<strong>di</strong>re. Spaventato fuggì, ed io salii insieme ad Ettore su una<br />

nave lanciandoci all’inseguimento. Con le fiaccole in mano cominciammo a<br />

dar fuoco alle vele piegate, ed è in quelle fiamme che io ricorderò Ettore, lo<br />

sconfitto, lo dovete ricordare in pie<strong>di</strong>, sulla poppa <strong>di</strong> quella nave circondato<br />

dal fuoco. Ettore il morto trascinato da Achille per tre volte intorno alle mura<br />

della sua città, lo dovete ricordare vivo, e vittorioso, e splendente nelle sue<br />

armi d’argento e <strong>di</strong> bronzo. Le navi presero fuoco una ad una e inseguendo<br />

ancora Aiace, scendemmo dalla nave e ci imbattemmo contro Achille.<br />

Gridava, Patroclo, davanti a tutti, splendente nelle armi <strong>di</strong> Achille. Lo<br />

vedemmo tutti e come tutti anch’io ebbi paura. Marciava a gran<strong>di</strong> passi<br />

verso <strong>di</strong> noi, l’esercito ormai era in rotta. Ettore era l’unico che non <strong>di</strong>mostrava<br />

timore, e anzi volle affrontare Patroclo nelle vesti <strong>di</strong> Achille. Io dovetti<br />

trattenerlo e gli urlai contro: «Che cosa fai Ettore? Vuoi morire?», e lui<br />

rispose subito: «Se morirò, morirò combattendo!!!». Io replicai: «Se Vuoi<br />

– 243 –


morire, muori da eroe, muori sotto le porte Scee, almeno così potremo recuperare<br />

il tuo corpo». Ettore parve capire e mi seguì or<strong>di</strong>nando la ritirata.<br />

Fuggimmo tutti come cervi inseguiti dai leoni. Patroclo si gettò all’inseguimento<br />

e trascinò tutti con sé. Non smetteva <strong>di</strong> uccidere, correndo verso le<br />

mura <strong>di</strong> Troia, Adrasto, Autonoo, Echeclo, Perimo, tutti caduti sotto i suoi<br />

colpi e poi Epistore, Melanippo, Elaso, Mulio, Pilarte, e quando arrivò alle<br />

porte Scee si slanciò per cercare Ettore. Quest’utlimo sembrava indeciso se<br />

ritirare l’esercito dentro le mura o rimanere lì a combattere. Scelse <strong>di</strong> far<br />

entrare l’esercito, lasciando fuori solo la retroguar<strong>di</strong>a, e noi generali più<br />

valorosi. E poi si trovò davanti Patroclo, i due si misero a combattere, prima<br />

con lancia e poi con spada, dopo poche ore, come tutti sapete, Patroclo<br />

morì. Venne infilzato nel ventre, e cadde per terra. Ettore pietoso lo voleva<br />

infilzare una seconda volta per non farlo soffrire, e quando levò l’elmo vide<br />

il volto can<strong>di</strong>do <strong>di</strong> un ragazzo, ormai morente. Urlò per la <strong>di</strong>sperazione e,<br />

deciso più che mai a porre fine alle sofferenze <strong>di</strong> Patroclo. Ma il ragazzo<br />

lo fermò: «Aspetta, puoi vantarti adesso, Ettore, perché mi hai vinto ma la<br />

verità è che morire era il mio destino. E adesso ascoltami, e non <strong>di</strong>menticare<br />

quello che ho da <strong>di</strong>rti. Tu sei un morto che cammina, Ettore, quella poca vita<br />

che hai ancora te la toglierà Achille. Che gli dei abbiano pietà <strong>di</strong> te, perché<br />

non ne riceverai da mio cugino.» Poi il velo della morte lo avvolse. L’anima<br />

volò via e se ne andò all’Ade, rimpiangendo la forza e la giovinezza perdute.<br />

Fu così che Patroclo morì. Ettore fece rientrare i soldati, e lasciò il<br />

corpo ai Greci, affinché potesse ricevere le giuste onorificenze. Poi rientrò<br />

dentro la città. Il giorno passò rapido. Tutti vedevano che aveva paura <strong>di</strong><br />

morire, infatti rimase sempre con le mani nei capelli piangendo. Aveva timore<br />

<strong>di</strong> non vedere la crescita del figlio, non era la morte che lo spaventava.<br />

E rammaricato e rassegnato aspettò che il suo destino fosse compiuto.<br />

Nell’accampamento Greco, Briseide stava tornando da Achille con la risposta.<br />

Entrò nella tenda e trovò Achille che piangeva sul corpo <strong>di</strong> Patroclo.<br />

Le lacrime cominciavano a scorrerle dagli occhi, e <strong>di</strong>sse subito: «Povero Patroclo,<br />

era solo un ragazzo. Achille si alzò <strong>di</strong> scatto, furioso, le <strong>di</strong>ede un<br />

pugno e la legò a letto. Poi cominciò a frustarla, ogni volta sempre più forte;<br />

la povera ragazza con urli <strong>di</strong> dolore lo implorava <strong>di</strong> smettere. Achille sapeva<br />

che non era colpa <strong>di</strong> Briseide ma su qualcuno si doveva sfogare. Piansero sul<br />

corpo <strong>di</strong> Patroclo tutta la notte. L’avevano lavato dal sangue e dalla polvere,<br />

e nelle sue ferite avevano versato un unguento finissimo. Perché non perdesse<br />

la sua bellezza, avevano fatto colare ambrosia e nettare nelle narici.<br />

Poi avevano adagiato il corpo sul letto funebre, avvolto in un soffice telo <strong>di</strong><br />

– 244 –


lino, e coperto da un bianco mantello. Patroclo. Era solo un ragazzo, non<br />

credo nemmeno che fosse stato un eroe. Adesso ne avevano fatto un Dio.<br />

Con la sua morte aveva evitato che la guerra fosse vinta in nostro favore.<br />

Sorse l’alba e venne il giorno che per sempre avrei ricordato come il<br />

giorno della fine <strong>di</strong> Ettore. Da quanto seppi portarono ad Achille le armi che<br />

i migliori artigiani Achei avevano costruito per lui, quella notte, lavorando<br />

con arte <strong>di</strong>vina. Lui era abbracciato al corpo del cugino, girò lo sguardo<br />

verso le armi. Sembravano fatte da un <strong>di</strong>o per un <strong>di</strong>o. Era una tentazione a<br />

cui Achille non avrebbe potuto resistere.<br />

Così si alzò da quel corpo, si fece mettere l’armatura e marciò con il<br />

cavallo verso le porte <strong>di</strong> Troia. Si arrabbiò con il cavallo, così lo insultava e<br />

gli gridava contro. Ce l’aveva con lui perché non era stato in grado <strong>di</strong> proteggere<br />

Patroclo dalla morte, fuggendo dalla battaglia. E <strong>di</strong>ce la leggenda<br />

che il cavallo gli rispose, abbassando il muso, e strappando le re<strong>di</strong>ni parlò<br />

con voce umana e gli <strong>di</strong>sse: «Correrò veloce come il vento, Achille, ma più<br />

veloce <strong>di</strong> me corre il tuo destino incontro alla morte». Achille più <strong>di</strong> ogni<br />

altra cosa desiderava uccidere, uccidere, uccidere.<br />

UCCIDERE, UCCIDERE, UCCIDERE<br />

Arrivato sotto le mura <strong>di</strong> Troia urlò per tre volte, Ettore. Senza farsi<br />

aspettare troppo il protettore della nostra città uscì dalle porte. Non era<br />

obbligato a combattere ma tuttavia non si tirò in<strong>di</strong>etro. Io mi trovavo sulla<br />

reggia, ero affacciato al balcone insieme agli altri. C’erano: Andromaca,<br />

Paride, Elena, il re Priamo, la regina Ecuba, i generali più importanti e i<br />

servi. Prima <strong>di</strong> incominciare il duello Ettore parlò ad alta voce: «Voglio fare<br />

un patto con te, impegnamoci nel promettere che al vinto verranno resi gli<br />

onori funebri giusti». Achille risposte subito: «Non si fanno patti tra uomini<br />

e leoni, prima <strong>di</strong> stasera brinderò sul tuo cadavere, e tu vagherai nell’Ade<br />

irriconoscibile, e il tuo corpo farà da banchetto per cani e uccelli». Era<br />

come nel mio sogno, i due guerrieri si sfidavano, uno aveva una armatura<br />

dorata, un elmo splendente che terminava con una piuma nera, uno scudo<br />

possente, mai visto uno così e bran<strong>di</strong>va una lancia con grande maestria;<br />

l’altro tentava con un grande scudo <strong>di</strong> parare i colpi e dai suoi movimenti<br />

sembrava un abile comandante Troiano.<br />

Ettore si <strong>di</strong>fendeva con <strong>di</strong>fficoltà dagli attacchi <strong>di</strong> Achille. Riuscì ad allontanarsi<br />

per qualche metro e scagliò la sua lancia contro Achille. La lancia<br />

– 245 –


si conficcò in mezzo allo scudo, e allora Ettore capì che il suo destino alla<br />

fine lo aveva raggiunto. E poiché era un eroe, estrasse la spada, per morire<br />

combattendo, in un modo che tutti gli uomini a venire avrebbero per sempre<br />

raccontato. Prese lo slancio, come un’aquila avida <strong>di</strong> piombare sulla preda.<br />

Di fronte a lui Achille si raccolse nello splendore delle sue armi. Si balzarono<br />

addosso, come due leoni. La punta <strong>di</strong> bronzo della lancia <strong>di</strong> Achille<br />

avanzava come avanza brillando la stella della sera nel cielo notturno. Cercava<br />

un punto scoperto nell’armatura <strong>di</strong> Ettore, le armi che un giorno erano<br />

state <strong>di</strong> Achille, e poi <strong>di</strong> Patroclo. Cercava tra il bronzo un punto scoperto<br />

per arrivare alla carne e alla vita. Lo trovò nel punto in cui il collo si appoggia<br />

sulla spalla, penetrò nella gola e la trapassò da parte a parte e con<br />

l’ultimo soffio <strong>di</strong> vita che aveva chiese ad Achille: «Ti prego consegna il<br />

mio corpo a mio padre, non lasciarmi ai cani». Achille gelido rispose: «Non<br />

mi pregare, è troppo il male che mi hai fatto». E stava per legarlo al carro<br />

ma le porte <strong>di</strong> Troia si spalancarono. Uscimmo io e Paride. Ci <strong>di</strong>rigemmo<br />

contro il figlio <strong>di</strong> Peleo. Io con una lancia e una spada, Paride con il suo<br />

arco e le frecce. Achille ci vide e senza darci troppo importanza ci voltò le<br />

spalle. Io furioso gli scagliai la lancia contro e lui la prese con lo scudo.<br />

Sguainò la spada e si <strong>di</strong>resse contro <strong>di</strong> me. Per pochi minuti combattemmo.<br />

Mi accorsi <strong>di</strong> quanto era forte e fortunatamente procurandogli un taglio<br />

sulla mano lo allontanai da me. Lì Paride mirò basso per non colpirmi e<br />

prese Achille proprio al tallone.<br />

L’eroe Greco urlò dal dolore. E lo finii io trapassandolo con lancia e<br />

spada. Non accennava a morire. Che fosse immortale? No, no. Morì<br />

IL CAVALLO<br />

Qualche giorno dopo, dopo aver osservato i giorni <strong>di</strong> lutto per Ettore ci<br />

preparammo per un ultimo decisivo attacco. Andammo sulla spiaggia ma<br />

lì non trovammo nessuno. C’erano dei cadaveri <strong>di</strong> uomini. Sui loro corpi vi<br />

erano strane macchie nere. La peste. E cosa trovammo? Un cavallo.<br />

EPILOGO<br />

Lo so, le cose non andarono veramente così. Spero <strong>di</strong> non avervi creato<br />

un po’ <strong>di</strong> confusione in testa. Ma il fatto è che volevo donare all’opera un<br />

– 246 –


pizzico del mio stile, mi auguro che vi sia piaciuto, e che non vi abbia<br />

annoiato. Credo <strong>di</strong> aver scritto tutto sommato un racconto comprensibile.<br />

Ho esagerato forse nei personaggi, mi riferisco ad Ettore, Pandaro,<br />

Enea, che era il mio personaggio preferito, e credo <strong>di</strong> aver fatto apparire<br />

Achille un po’ troppo spietato e crudele. Se vi ho confuso le idee così tanto<br />

sono davvero rammaricato... e non preoccupatevi, il finale non è che non è<br />

stato proseguito, ma preferivo farlo terminare così, per far calare in voi la<br />

famosa suspense. Grazie a tutti per aver letto il mio libro, e vorrei de<strong>di</strong>carlo<br />

alla mia sorellina Chiara, che, quando scrivevo, si sedeva sopra le mie<br />

gambe.<br />

____ ____ ____<br />

Made in America<br />

<strong>di</strong> LORENZO PANI<br />

TRAMA<br />

Il racconto parla <strong>di</strong> Benjamin Chase Harper, un giovane <strong>di</strong> colore che<br />

conduce la sua vita nella citta<strong>di</strong>na <strong>di</strong> Claremount. Si mantiene lavorando in<br />

un negozio <strong>di</strong> musica, la sua vera passione. Un giorno, tornando a casa,<br />

trova nella buca della posta una lettera che gli sconvolgerà la vita: obbligo<br />

<strong>di</strong> leva militare e spe<strong>di</strong>zione in Vietnam. Il ragazzo, scoprirà in seguito il<br />

vero volto della “Sporca Guerra”. Il racconto è un’interpretazione libera<br />

della guerra del Vietnam, ed è una denuncia verso ciò che è accaduto durante<br />

quegli anni, descritto tramite gli occhi <strong>di</strong> un giovane.<br />

Erano le otto <strong>di</strong> sera e l’unica cosa che passava per Beaumont street era<br />

una leggera brezza <strong>di</strong> vento che scompigliava i rasta <strong>di</strong> Benjamin. Il ragazzo<br />

era appena uscito dal suo negozio e stava chiudendo la serranda quando<br />

sentì il rombo <strong>di</strong> una macchina che inchiodava <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui. Si girò <strong>di</strong> scatto<br />

e vide Juan, il suo vicino <strong>di</strong> casa nonché suo migliore amico. – Ti accompagno<br />

a casa? – gli chiese Juan. Ben annuì con la testa e salì sulla decappottabile.<br />

Mentre percorrevano Lincoln avenue, inserì una cassetta nella ra<strong>di</strong>o e<br />

subito dopo si sentì la voce soul <strong>di</strong> Bob Marley che riecheggiava nella via.<br />

– 247 –


Subito il ragazzo afferrò la chitarra e si mise a seguire la base <strong>di</strong> “Buffalo<br />

sol<strong>di</strong>er” senza sbagliare neanche una nota. Era bravissimo con la “slide”;<br />

suo padre Leonard gli aveva insegnato a suonare e gli aveva trasmesso la<br />

passione per il soul. – Ben, non suonare mai più in macchina – gli <strong>di</strong>sse<br />

Juan – altrimenti mi fai rilassare troppo e finiamo addosso ad un lampione.<br />

Arrivati a casa, Benjamin scese dalla macchina e mentre l’amico parcheggiava<br />

la sua Ca<strong>di</strong>llac lo salutò ed entrò in casa. Non era una bella casa<br />

ma, anche se era limitata nei confort, rimaneva accogliente.<br />

Dopo cena, si sedette sotto la veranda <strong>di</strong> casa e si mise a pensare alla<br />

sua opera: stava scrivendo una canzone ma non sapeva cosa buttar giù. Era<br />

intenzionato a scrivere un brano per poter sfondare nella musica e aveva<br />

pensato <strong>di</strong> scrivere una denuncia contro il mondo <strong>di</strong> oggi. Si accese una<br />

sigaretta e pensò al titolo. Dopo poco un colpo <strong>di</strong> reni lo staccò dalla se<strong>di</strong>a e<br />

lo mise in pie<strong>di</strong>: I CAN CHANGE THE WORLD WITH MY OWN TWO<br />

HANDS.<br />

– Sì, con quello che sta accadendo in Vietnam, sicuramente è un ottimo<br />

titolo – pensò Ben e, dopo questa gran conquista, se n’andò a letto.<br />

La mattina dopo si alzò, con il rintocco <strong>di</strong> una sveglia particolare: Juan<br />

era tornato dalla sua corsetta mattutina e gli aveva portato la colazione.<br />

– Buongiorno pigrone! Sono le sette e mezzo e ti devi preparare altrimenti<br />

farai tar<strong>di</strong> a lavoro.<br />

– Per fortuna che ci sei tu, mamma Juan, altrimenti non saprei come<br />

fare.<br />

– Ah ah ah... spiritoso. Preferisce la versione maggiordomo, signorino<br />

Harper?<br />

I due, finita la colazione, si <strong>di</strong>ressero verso il negozio <strong>di</strong> <strong>di</strong>schi che avevano<br />

in comproprietà.<br />

– Juan, ieri ho trovato il titolo alla mia canzone: I can change the world<br />

with my own two hands.<br />

– Uno dei tuoi nuovi successi. Bello, mi piace.<br />

– Sarà una minaccia contro la guerra del Vietnam.<br />

– Ottimo! Gli farai barba e capelli a Bruce Springsteen!<br />

– Gli faremo... tu sarai il mio manager. Non è così?<br />

– Certo. Basta che ti ricorderai <strong>di</strong> me. Ora però scen<strong>di</strong> dalle nuvole<br />

perché siamo arrivati.<br />

Quel giorno, Beaumont street era invasa <strong>di</strong> gente, per il mercato della<br />

domenica. Il signor Jefferson, il vero padrone del locale del negozio, li<br />

stava aspettando davanti alla saracinesca. Era molto arrabbiato dall’aspetto<br />

– 248 –


e Ben cercò <strong>di</strong> raggirarlo con le classiche frasi da bravo ragazzo: – Buongiorno<br />

signor Jefferson, cosa posso fare per lei?<br />

– L’affitto... mi dovete pagare l’affitto.<br />

– Puntuale come un orologio svizzero e... – <strong>di</strong>sse Juan con un sorrisetto<br />

finto stampato sulla faccia.<br />

– Ho capito – <strong>di</strong>sse il signor Jefferson – non avete ancora i sol<strong>di</strong>...<br />

aspetterò una settimana, dopo<strong>di</strong>ché vi farò sgomberare il locale, capito<br />

giovani?<br />

Detto così, il signore se n’andò e i due ragazzi lo guardarono con o<strong>di</strong>o,<br />

poi Ben si girò verso Juan e <strong>di</strong>sse:<br />

– Quando <strong>di</strong>venterò una rockstar, mi comprerò tutto il locale e ingaggerò<br />

qualcuno per uccidere quel dannato vecchiaccio!<br />

Quel giorno gli incassi non andarono a gonfie vele ma Ben si consolò<br />

con la sua chitarra, cercando qualche base per la sua canzone.<br />

La sera, appena chiusero il negozio, salirono in macchina e se n’andarono<br />

dal vecchio Bo, a prendere una birretta per rilassarsi.<br />

Arrivati lì, entrarono nel locale e trovarono la solita gente: Jack occhio<br />

<strong>di</strong> vetro, un veterano della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale che si ubriacava per<br />

<strong>di</strong>menticare. Poi c’era Mike, un vecchio scorbutico che si fermava a<br />

gabbare i novellini del poker con le sue giocate scorrette. E infine c’era Bo,<br />

il proprietario del locale, che era sempre <strong>di</strong> buon umore e offriva spesso da<br />

bere a tutti quando si ubriacava lui stesso.<br />

Juan e Ben si sedettero al solito posto e or<strong>di</strong>narono il solito Jack Daniel’s<br />

fino ad essere completamente sbronzi. A quel punto Ben iniziò a cantare e a<br />

suonare il pianoforte mentre Juan e Bo ballavano sul bancone barcollando<br />

qua e là.<br />

I due ragazzi tornarono a casa verso mezzanotte e crollarono in un<br />

sonno profondo.<br />

La mattina dopo, Juan entrò in casa <strong>di</strong> Ben alle sette e mezzo, puntuali<br />

come al solito e i due si recarono a lavoro.<br />

Appena scesero dalla macchina, i ragazzi incrociarono lo sguardo <strong>di</strong><br />

Carol, una ragazza che Ben conosceva da tanto tempo e con la quale aveva<br />

avuto una storia al liceo che durò due anni. La cotta che aveva per lei non<br />

era passata, infatti il ragazzo arrossì e la ragazza ricambiò il gesto salutandolo<br />

con un sorriso smagliante.<br />

– Cosa aspetti a riprovarci? – gli <strong>di</strong>sse Juan.<br />

– Dici che dovrei invitarla a cena?<br />

– 249 –


– Certo! Acchiappala tigre!<br />

Ben non se lo fece ripetere due volte, e le corse <strong>di</strong>etro per parlarci.<br />

– Carol?<br />

La ragazza si girò <strong>di</strong> colpo e si trovò spiazzata. Era bellissima. Ogni<br />

cosa. Quasi perfetta. E aveva un caratterino! Al liceo, se Ben rivolgeva la<br />

parola ad un’altra ragazza, Carol gli faceva il terzo grado e, concludeva il<br />

tutto con: – Sono io la tua unica ragazza, capito! –<br />

– Oh, ciao Ben, ehm... come va?<br />

Il ragazzo, anche lui sprovvisto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso per rompere il ghiaccio<br />

passò <strong>di</strong> nuovo la parola a lei.<br />

– Bene, eh... e a te?<br />

– Bene, sì... tutto bene.<br />

Pausa. Solo sguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> sottecchi. Intanto Juan se la rideva da lontano<br />

guardando la paro<strong>di</strong>a “Giulietta & Romeo” che durò per circa <strong>di</strong>eci secon<strong>di</strong>:<br />

un’infinità.<br />

Ad un tratto Ben, con aria titubante, <strong>di</strong>sse:<br />

– Io...mi stavo chiedendo se ti andrebbe <strong>di</strong> uscire con me stasera.<br />

La ragazza lo guardò con aria stupita e <strong>di</strong>sse:<br />

– Certo! Sarà un piacere. Vienimi a prendere alle nove. Ci ve<strong>di</strong>amo<br />

stasera.<br />

Detto così, gli <strong>di</strong>ede un bacio sulla guancia e scappò via sorridendo.<br />

Ben era rimasto lì, immobile, ma sembrava che si stesse sciogliendo al<br />

sole. A quel punto arrivò Juan e gli <strong>di</strong>sse:<br />

– Romeo scen<strong>di</strong> dalle nuvole e an<strong>di</strong>amo a lavoro!<br />

Durante il pomeriggio, Ben non fece altro che pensare a lei. Ricordava i<br />

bei momenti che passò con lei durante il liceo. E accompagnava il tutto con<br />

il suono della chitarra con note abbastanza malinconiche.<br />

Appena arrivarono a casa, Juan portò Ben a casa sua e <strong>di</strong>sse:<br />

– Con i tuoi stracci, non rimorchieresti neanche una vecchia. Ora lascia<br />

lavorare me e vedrai che Carol cadrà ai tuoi pie<strong>di</strong>.<br />

Quando Ben fu pronto, uscì da casa dell’amico ed erano le nove meno<br />

cinque: era in ritardo e doveva arrivare dall’altro lato della città.<br />

Inforcò la moto <strong>di</strong> Juan e sentì l’amico che gli strillava:<br />

– Vai e colpisci, fratello!<br />

Detto così, Ben partì a razzo mentre continuava a male<strong>di</strong>re i vestiti dell’amico,<br />

che lo facevano sembrare un figlio <strong>di</strong> papà.<br />

Il quartiere <strong>di</strong> Carol era molto chic e si sentiva quasi a <strong>di</strong>sagio. Era la<br />

– 250 –


stessa sensazione che provò quando andava a prenderla al liceo del suo<br />

quartiere. Arrivato a destinazione, scese dalla moto e si trovò davanti ad una<br />

villa gigantesca. Arrivato alla porta, suonò il campanello, e dopo poco si<br />

trovò davanti una persona che aveva <strong>di</strong>menticato: il padre <strong>di</strong> Carol.<br />

– Buonasera signor Santos, come sta?<br />

Il signore lo guardò con aria minacciosa e si passò la mano sui suoi<br />

lunghi baffi neri, tipico dei messicani. Carol era mezza brasiliana e mezza<br />

messicana, ma non sembrava aver ripreso dal papà.<br />

– Ah... tu devi essere Ben, l’ex ragazzo <strong>di</strong> mia figlia. Cosa vuoi?<br />

Poco dopo arrivò anche la madre <strong>di</strong> Carol, una bellissima signora, che<br />

era sempre stata gentile con lui.<br />

– Ciao Ben, come stai? Accomodati, mia figlia arriverà a momenti.<br />

Il ragazzo si sedette in salotto e aspettò ansioso la ragazza.<br />

Si trovava in una situazione molto imbarazzante perché stava seduto sul<br />

<strong>di</strong>vano e, <strong>di</strong> fronte a lui, il signore e la signora Santos che lo fissavano senza<br />

batter ciglio.<br />

Ad un tratto Ben guardò verso le scale e vide Carol: bellissima come<br />

sempre. Non era né truccata, né vestita in modo particolare, ma il ragazzo<br />

rimase incantato dal suo magico sorriso.<br />

– Ciao Ben. An<strong>di</strong>amo?<br />

Arrivati al molo, i due salirono sulla barca dello zio <strong>di</strong> Carol e si sedettero<br />

sul bordo della prua.<br />

– Ti ricor<strong>di</strong> quando venivamo qua da bambini? Io ero già cotto <strong>di</strong> te e<br />

ogni volta che passavi arrossivo come un pomodoro. Poi al college decisi <strong>di</strong><br />

provarci con te e tu...<br />

Ben si girò a guardarla e non oppose resistenza al bacio K.O. che gli<br />

<strong>di</strong>ede Carol. La luna si specchiava nel mare dando un’atmosfera romantica<br />

a tutta la barca, dove i due continuavano ad “amoreggiare” fino a tarda<br />

notte.<br />

La mattina dopo i due uscirono dalla barca e Ben esclamò:<br />

– Se tuo padre non mi ammazza adesso allora possiamo anche sposarci!<br />

– Scapperei in cima al mondo con te anche senza il permesso <strong>di</strong> mio<br />

padre, capito signor Harper?<br />

Ben accompagnò Carol davanti casa e la lasciò sul vialetto con un bacio<br />

e il suo numero <strong>di</strong> telefonino, esclamando: – Mi raccomando, chiamami – e<br />

partì a razzo con la sua moto.<br />

– 251 –


Appena Ben tornò a casa incrociò il postino:<br />

– Buongiorno signor Peterson, ha mica qualche lettera per me?<br />

Il postino si girò verso il ragazzo e lo guardò con aria malinconica porgendogli<br />

una lettera, poi inforcò la bicicletta e <strong>di</strong>sse:<br />

– Buona fortuna, figliolo.<br />

Il ragazzo aprì la lettera e si mise a leggere:<br />

Il signor Benjamin Chese Harper ha l’obbligo <strong>di</strong> frequentare il corso <strong>di</strong><br />

una settimana per l’addestramento militare e, dopo il corso, verrà mandato<br />

in Vietnam. Il corso inizierà il giorno 15/05/65 presso la base militare <strong>di</strong><br />

Fort Winterness.<br />

Cor<strong>di</strong>ali saluti, Generale Payne<br />

Ben rimase pietrificato. Non sapeva cosa <strong>di</strong>re. Solo silenzio. La guerra<br />

era la cosa che più o<strong>di</strong>ava al mondo e lui stava per essere istruito su come<br />

<strong>di</strong>ventare una macchina da guerra.<br />

Entrò dentro casa <strong>di</strong> Juan e lo trovò ancora a letto.<br />

– Cosa fai già in pie<strong>di</strong>, Ben? Sono le sei del mattino.<br />

– Leggi questa lettera.<br />

Il ragazzo si alzò dal letto e guardò la lettera per alcuni secon<strong>di</strong>. Poco<br />

dopo guardò <strong>di</strong> nuovo Ben con un’espressione vuota e <strong>di</strong>sse:<br />

– Mi <strong>di</strong>spiace amico. Non so cosa <strong>di</strong>rti. Tu per me sei come un fratello e<br />

sai che farei il possibile per te, ma non posso fare miracoli. Domani, dopo<br />

averti accompagnato a Los Angeles, parlerò con Carol e gli spiegherò tutto.<br />

– No, la chiamerò io stasera. Ci ve<strong>di</strong>amo domani mattina alle sette.<br />

Erano le <strong>di</strong>eci <strong>di</strong> notte e Ben si trovava davanti al telefono, e ogni minuto<br />

che passava davanti all’apparecchio gli sembrava un’eternità... “Come<br />

posso <strong>di</strong>rle che parto per un viaggio, dove è probabile che rimarrò per<br />

sempre?”<br />

Si fece coraggio e compose il numero. Dopo poco sentì la voce <strong>di</strong><br />

Carol:<br />

– Pronto.<br />

– Ciao Carol, sono Ben...<br />

– Oh Ben...ciao, come va?<br />

Appena il ragazzo sentì questa domanda si pietrificò e non sapeva se<br />

mentirle e non <strong>di</strong>re niente o confessarle del suo viaggio. Così attaccò il<br />

telefono, cadde sul letto e si ubriacò con il “suo amico” Jack Daniel’s.<br />

Poco dopo, sentì il campanello <strong>di</strong> casa suonare: era Carol.<br />

– 252 –


La ragazza entrò e lo trovò sbracato sul letto.<br />

– Ben, perché mi hai attaccato in faccia? Pensavo che ti fosse successo<br />

qualcosa. Stai bene?<br />

– Mai stato meglio in vita mia! Vai via, non ti voglio vedere.<br />

– Ma cosa stai <strong>di</strong>cendo? Sei ubriaco vero? Non ti riconosco! Ad<strong>di</strong>o.<br />

Detto così, la ragazza corse fuori <strong>di</strong> casa piangendo.<br />

La mattina dopo, Ben si svegliò stor<strong>di</strong>to e dopo la doccia iniziò a preparare<br />

tutto quello che doveva portarsi: vestiti e chitarra.<br />

Ancora assonnato, il ragazzo bussò alla porta <strong>di</strong> Juan e lo trovò pronto<br />

per partire.<br />

La strada era lunga e attorno alla macchina c’erano solo montagne e<br />

deserto. Il silenzio incombeva anche nella macchina, e Ben guardava fuori<br />

del finestrino pensando a Carol.<br />

Si era fatto trovare ubriaco e l’aveva anche mandata a quel paese. Ci<br />

teneva troppo a lei e se sarebbe tornato a casa le avrebbe chiesto <strong>di</strong> sposarlo.<br />

Arrivati a destinazione, i due si trovarono davanti alla base militare <strong>di</strong><br />

Fort Winterness. La base aveva mura mastodontiche e s’intravedevano alcuni<br />

aerei militari: macchine <strong>di</strong> sterminio che Ben o<strong>di</strong>ava.<br />

– Promettimi che baderai a lei, Juan. Promettimelo!<br />

– Certo, amico. Tu invece promettimi <strong>di</strong> ritornare! Ci ve<strong>di</strong>amo presto,<br />

fratello.<br />

La marmitta della Ca<strong>di</strong>llac sparò una nube <strong>di</strong> fumo e partì lasciandosi<br />

<strong>di</strong>etro una scia <strong>di</strong> nebbiolina nera.<br />

Ben si avvicinò alla guar<strong>di</strong>ola e trovò un vecchio mezzo assonnato, intento<br />

a dormire.<br />

– Scusi, io dovrei frequentare il corso della lettera... ha presente?<br />

– Un altro patriota che si sacrifica per niente... da quella parte figliolo.<br />

Buona fortuna...<br />

Ben si <strong>di</strong>resse verso un grande hangar e trovò una schiera <strong>di</strong> civili, uno<br />

<strong>di</strong> fianco all’altro e davanti a loro, un uomo tutto <strong>di</strong> un pezzo: <strong>di</strong>visa stirata,<br />

scarpe lucide, posizione eretta e sguardo serio.<br />

– Scusi, è qui che si fa il corso d’addestramento militare?<br />

L’uomo si gira <strong>di</strong> scatto e lo fulmina con uno sguardo che più militare<br />

non si può: – Ti sembra per caso un parco gioco questo, brutta checca? In<br />

– 253 –


fila con gli altri, altrimenti ti mando subito a pulire le latrine!<br />

Detto così, Ben si girò <strong>di</strong> scatto e si andò a mettere in riga.<br />

– Io sono il sergente istruttore Artman. Ogni volta che dovete parlare o<br />

fare qualcosa mi dovrete chiedere il permesso e la prima e ultima parola che<br />

mi <strong>di</strong>rete sarà “signore”, capito bene luri<strong>di</strong>ssimi vermi?<br />

– Signorsì signore!<br />

– Io sono un duro e non mi aspetto <strong>di</strong> piacervi, ma se mi <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>rete<br />

sarò costretto a punirvi <strong>di</strong> brutto. Per ora siete uno sputo, la più bassa forma<br />

<strong>di</strong> vita organica e io v’insegnerò a <strong>di</strong>ventare uomini, macchine <strong>di</strong> morte.<br />

Qui non ci sono <strong>di</strong>stinzioni razziali e siete tutti uguali: vermi in via evolutiva.<br />

Ora vi mostrerò gli alloggi e tra un’ora inizierà l’addestramento.<br />

L’alloggio era piuttosto piccolo e conteneva quattro posti letto. Le<br />

coperte erano tutte impolverate e il como<strong>di</strong>no ospitava un esercito d’acari.<br />

C’erano anche due piccoli arma<strong>di</strong>etti in metallo con uno spazio <strong>di</strong>viso all’interno,<br />

per poggiare le poche cose utili. Il bagno era in comune ed era in<br />

con<strong>di</strong>zioni pietose: polvere e scarafaggi.<br />

Ben si sedette sul letto, si mise la <strong>di</strong>visa e gli scarponi e attese i suoi<br />

compagni <strong>di</strong> camerata. Poco dopo varcò la soglia della sua camera un<br />

ragazzo molto alto e grosso, <strong>di</strong> carnagione piuttosto scura, probabilmente<br />

un altro afroamericano come Ben.<br />

– Ciao, io sono Benjamin, ma gli amici mi chiamano Ben. Tu sei?<br />

– Jeremy... Jeremy Nelson, ma tutti mi chiamano Jerry. Vengo da Los<br />

Angeles. Tu da dove vieni?<br />

– Claremount. Una citta<strong>di</strong>na ai pie<strong>di</strong> delle montagne: un para<strong>di</strong>so terrestre.<br />

Poco dopo Ben, scoprì <strong>di</strong> avere in camera un ragazzo appassionato <strong>di</strong><br />

musica quanto lui: un bassista. Jerry era un ragazzo brillante, abbastanza<br />

per entrare nel progetto <strong>di</strong> “Change the world whith the music”. Un semplice<br />

ragazzo <strong>di</strong> strada che, dopo esser stato bocciato per ben tre volte <strong>di</strong><br />

fila, decise <strong>di</strong> aprire un negozio <strong>di</strong> Cd musicali: una fotocopia ingran<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

Ben, quin<strong>di</strong> un possibile componente del gruppo che Ben aveva sempre<br />

sognato. Un buon inizio.<br />

– Voglio tornare a casa dalla mia Carol... sono qui solo da mezz’ora e<br />

già tornare a casa. Cercherò <strong>di</strong> farmi mandare a casa per infermità mentale...<br />

magari se gli <strong>di</strong>co che voglio <strong>di</strong>ventare una rockstar mi ci mandano...<br />

Jerry scoppiò a ridere e prese il suo basso intonando un pezzo <strong>di</strong> “Born<br />

in the U.S.A.” del boss del Rock: Bruce Springsteen.<br />

– 254 –


– Dai – <strong>di</strong>sse Jerry scherzando – fammi vedere che sai fare con quella<br />

slide da quattro sol<strong>di</strong>!<br />

Ben si girò verso la chitarra e <strong>di</strong>sse: – Piccola, non ti offendere... facciamogli<br />

vedere a questo sbruffone!<br />

Dopo poco Ben entrò in sintonia con la chitarra e, accarezzando le<br />

corde, interpretò un pezzo <strong>di</strong> Bob Dylan:<br />

– ...I can’t use it anymore...<br />

La canzone fu interrotta dall’arrivo del sergente istruttore: – Vi sembra<br />

per caso il festival <strong>di</strong> Woodstock questo? Faccia a terra e venti flessioni!<br />

I due ragazzi si sdraiarono per terra e si guardarono stupiti. Artman li<br />

fissava sorridendo, con il suo sguardo da sa<strong>di</strong>co. Ogni flessione lo faceva<br />

più contento e, quando i due finirono <strong>di</strong> fare le flessioni, uscì dalla camera<br />

sod<strong>di</strong>sfatto.<br />

– Fratello, mi sa che dobbiamo suonare da un’altra parte – <strong>di</strong>sse Jarry –<br />

altrimenti questo ci uccide a forza <strong>di</strong> flessioni.<br />

Le reclute si trovavano schierate davanti ad un percorso a ostacoli, uno<br />

più complicato <strong>di</strong> un altro: missione impossibile.<br />

– Buonasera femminucce! Questi ostacoli vanno superati senza fermarsi<br />

o cadere per ben due volte, altrimenti non vi faccio toccare cibo fino a<br />

domani sera! Soldato Harper... soldato Nelson, voi due partite per primi!<br />

Via!<br />

Ben aveva un fisico da lanciatore <strong>di</strong> coriandoli, ma era abbastanza agile<br />

mentre Jerry, pur essendo ben piazzato, non riusciva a muoversi facilmente.<br />

Ad un tratto, il ragazzo <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> Ben si sbilanciò all’in<strong>di</strong>etro e fece per<br />

cadere dall’ostacolo più alto, ma Ben lo afferrò e con un colpo secco gli<br />

evitò una brutta caduta.<br />

– Soldato Harper – <strong>di</strong>sse Artman – se ti fermi <strong>di</strong> nuovo a salvare il culo<br />

a qualche tuo amichetto, dovrai trovare qualcuno che ti salvi il tuo dai miei<br />

calci.<br />

Dopo un’ora <strong>di</strong> esercizi fisici, le reclute stavano tutte piegate in due per<br />

cercar <strong>di</strong> riprendere fiato. Jerry e Ben, stavano sdraiati per terra, come due<br />

manichini, e non davano segni <strong>di</strong> vita, giusto qualche colpo <strong>di</strong> tosse o alcuni<br />

rantoli <strong>di</strong> stanchezza.<br />

– Perché siamo qui, Ben? – chiese Jerry.<br />

– Tanto tra una settimana ci manderanno in Vietnam e dopo finiremo a<br />

marcire in un ospedale a giocare a carte con dei vecchietti. Di che ti<br />

lamenti? – <strong>di</strong>sse Ben scherzando.<br />

– 255 –


Finita la cena i due ragazzi presero gli strumenti musicali e uscirono<br />

dalla camerata correndo. Si fermarono vicino i campi d’addestramento e,<br />

iniziarono a suonare. Era tutta una cosa improvvisata, ma le note del basso e<br />

quelle della chitarra concordavano come due tessere <strong>di</strong> puzzle.<br />

– Sto scrivendo una canzone... una sorta <strong>di</strong> guida su come cambiare<br />

il mondo. Il punto è che non so come iniziare la canzone. Cosa mi consigli?<br />

– Se è un pezzo reggae potresti iniziare ripetendo il testo e poi continuare<br />

con i vari mo<strong>di</strong> per “cambiare il mondo”. Poi, lo sai meglio <strong>di</strong> me che<br />

il reggae ha una tonalità cadenzata quin<strong>di</strong> potresti ripetere il titolo più volte.<br />

Non è <strong>di</strong>fficile.<br />

– Noooo! Basta solo tanta fantasia, le note giuste e il produttore<br />

<strong>di</strong>sposto ad investire su <strong>di</strong> te. Che ci vuole!<br />

Jerry ritornò in camera verso le <strong>di</strong>eci e mezzo mentre Ben rimase a<br />

fissare le stelle, cercando una piccola ispirazione.<br />

Ad un tratto, si accese un faro nella sua mente: – La semplicità, nel<br />

comporre del reggae, sta nell’essere ripetitivi ed incisivi, per trasmettere il<br />

messaggio della canzone che è quello <strong>di</strong> “cambiare il mondo”.<br />

Detto così, il ragazzo iniziò a scrivere delle frasi e le provò mo<strong>di</strong>ficando<br />

sia le note che le parole, per completare l’opera.<br />

Alle due <strong>di</strong> notte Ben rientrò in camera e non dormì per altre due ore,<br />

perché era troppo entusiasmato dalla sua creazione.<br />

La mattina dopo, Ben fu svegliato dal suono del megafono e si avvicinò<br />

al letto <strong>di</strong> Jerry, per raccontargli della notte passata:<br />

– Sono riuscito a finire la mia canzone ieri sera. Questa notte dovrai<br />

sorbirti la mia creazione per valutare il mio capolavoro.<br />

– Sono ansioso <strong>di</strong> sentirla – <strong>di</strong>sse Jerry sba<strong>di</strong>gliando – ma ora è meglio<br />

se ci sbrighiamo altrimenti Artman ci uccide.<br />

La giornata non finiva più e Ben non vedeva l’ora che arrivasse la sera,<br />

per poter chiamare Juan e Carol, per informarli della canzone. E poi la sera<br />

stessa doveva anche cantare e suonare davanti ad un pubblico numerosissimo:<br />

Jerry Nelson.<br />

Arrivata la sera, Ben chiamò Carol per <strong>di</strong>rgli della canzone. Gli sudavano<br />

le mani e non sapeva cosa <strong>di</strong>rle. “E se mi attacca in faccia...” pensava<br />

tra sé e sé il piccolo “Romeo Harper”.<br />

– Pronto, buona sera, sono Benjamin, potrebbe passarmi sua figlia per<br />

favore?<br />

– 256 –


– Certo, Ben. Te la passo subito.<br />

Il ragazzo era stato fortunato perché aveva risposto la madre <strong>di</strong> Carol,<br />

altrimenti non avrebbe sopportato le domande in<strong>di</strong>screte del padre, scorbutico<br />

come sempre. Quei pochi secon<strong>di</strong> d’attesa non finivano più e Ben non<br />

sapeva cosa <strong>di</strong>rle ma l’improvvisazione era il suo forte.<br />

– Pronto?<br />

– Ciao Carol, sono io, Ben... so che non mi vorresti neanche sentire ma<br />

ti rubo solo pochi minuti. Inizio chiedendoti scusa per la sera che ero<br />

ubriaco e anche per essere partito senza <strong>di</strong>rti niente, ma non sapevo cosa<br />

fare, ero molto confuso. Mi perdoni? Ti prego...<br />

– Come posso <strong>di</strong>rti <strong>di</strong> no? Benjamin Chase Harper, se riproverai a farmi<br />

soffrire, io non ti rivolgerò mai più la parola, capito bene?<br />

– Vorrei prendere il primo pullman per Claremount ma qui ci tengono al<br />

guinzaglio. Prometto che prima <strong>di</strong> partire per il Vietnam, passo a salutarti.<br />

Ti amo...<br />

Carol cercò <strong>di</strong> rispondergli ma Ben aveva già attaccato la cornetta<br />

perché non voleva sentire la sua risposta. Un ragazzo <strong>di</strong> ghiaccio.<br />

Poco dopo Ben chiamò Juan e gli raccontò <strong>di</strong> tutto quello che era successo,<br />

della canzone, <strong>di</strong> Carol e promise anche a lui che sarebbe tornato<br />

prima <strong>di</strong> partire per il Vietnam.<br />

– Jerry, sono innamorato! Voglio tornare a casa da lei – <strong>di</strong>sse Ben –<br />

Carol è la mia vita. Lei, la chitarra e gli amici e non il Vietnam: non è qui il<br />

mio posto.<br />

– Anche io ho una famiglia che mi aspetta – <strong>di</strong>sse Jerry con un tono<br />

molto malinconico. – È lì a Los Angeles che voglio finire i miei giorni: io,<br />

mia moglie e il bambino che stiamo per avere. Mancano solo due mesi.<br />

– Wow, auguri. Spero che ti manderanno a casa il più presto possibile.<br />

Però, quando torno a Los Angeles, voglio che mi presenti tutta la tua famiglia.<br />

Tua moglie deve essere una santa per poterti sopportare!<br />

– Ah, ah, ah... Molto spiritoso... Dài, sono ansioso <strong>di</strong> sentire questo<br />

capolavoro. Attacca.<br />

La canzone non era niente <strong>di</strong> che, ma con il suo ritmo e le sue strofe,<br />

ricordava “Get up” <strong>di</strong> Bob Marley, perché entrambe le canzoni ripetevano<br />

un messaggio cadenzato e incisivo.<br />

– Cosa ti è sembrata questa canzone? – <strong>di</strong>sse Ben compiaciuto.<br />

– Non male, ma ora dobbiamo cercare <strong>di</strong> inserire anche il mio basso<br />

nelle note.<br />

– 257 –


Durante tutta la settimana, Ben e Jerry trascurarono molto il corso dei<br />

marines per cercare <strong>di</strong> perfezionare la canzone <strong>di</strong> Ben. I due ragazzi cercavano<br />

<strong>di</strong> non pensare alla guerra che li attendeva, ma ben presto, si sarebbero<br />

trovati in Vietnam e lì, molto probabilmente, avrebbero trascorso il resto dei<br />

loro giorni.<br />

– Il vostro corso è terminato e, domani pomeriggio, partirete dal porto <strong>di</strong><br />

Los Angeles, per arrivare a Hanoi. Avete un giorno <strong>di</strong> licenza, quin<strong>di</strong> potete<br />

tornare a casa dalle vostre famiglie, ma domani, chi mancherà all’appello<br />

alla base militare della marina, verrà mandato sotto corte marziale.<br />

Appena Artman finì <strong>di</strong> fare la sua pre<strong>di</strong>ca, i cadetti ruppero le righe e<br />

uscirono dalla base militare con il pullman che li avrebbe portati a casa.<br />

Ben scese dal pullman e si trovò davanti casa sua: era passata solo una<br />

settimana ma sembrava che fosse passato più <strong>di</strong> un anno.<br />

Appena arrivò a casa, lasciò la borsa e corse da Juan, per fargli sapere<br />

della canzone.<br />

Ben suonò il campanello e dopo poco, l’amico aprì la porta:<br />

– Buonasera soldato Harper. Cosa desidera? ...abbracciami fratello!<br />

Juan lo strinse al petto e iniziò a scompigliargli tutti i capelli, cosa che<br />

Ben non sopportava:<br />

– Ehi, sono mancato solo una settimana. Lasciami o ti faccio vedere<br />

cosa mi hanno insegnato al campo.<br />

– Non <strong>di</strong>re cavolate. Sono sicuro che posso ancora metterti al tappeto.<br />

Io <strong>di</strong>rei <strong>di</strong> andarci a mangiare qualcosa dal vecchio Bo per festeggiare il tuo<br />

ritorno.<br />

Ben spense il sorriso che fino a poco fa arrivava quasi agli occhi e tornò<br />

serio:<br />

– Non mi trattengo molto... devo tornare a Los Angeles domani pomeriggio.<br />

– Ma il corso non è finito oggi?<br />

– Sì, infatti, domani si parte per Hanoi...<br />

Juan tornò serio e, con voce roca <strong>di</strong>sse:<br />

– Mi <strong>di</strong>spiace. Dai, oggi è il tuo giorno <strong>di</strong> riposo. Non pensarci.<br />

– Giusto. Vado a prendere la chitarra e ti suono il mio pezzo, peccato<br />

che non c’è Jerry.<br />

I due ragazzi stettero tutto il giorno a parlare, accompagnati dal suono<br />

della chitarra <strong>di</strong> Ben, che non smetteva più <strong>di</strong> suonare la sua nuova canzone.<br />

– 258 –


Il ragazzo raccontò a Juan del campo e gli parlò <strong>di</strong> Jerry, il suo nuovo bassista.<br />

Arrivata la sera, Ben non vedeva l’ora <strong>di</strong> rivedere Carol, e decise <strong>di</strong> andarla<br />

a trovare. Compose il numero e la chiamò:<br />

– Ciao Carol, come stai?<br />

– Oh, ciao Ben. Ora che mi hai chiamato sto molto meglio.<br />

– Che fai stasera? Ti va una pizza al molo?<br />

– Certo! Voglio sapere tutto del campo. Ci ve<strong>di</strong>amo tra mezz’ora al<br />

molo.<br />

Il molo era il posto più tranquillo e romantico <strong>di</strong> Claremount. Non era<br />

un vero e proprio porto, perché vi erano una decina <strong>di</strong> barche, ma rimaneva<br />

sempre molto bizzarro, soprattutto grazie al ristorante “Il molo”: Ben non<br />

c’era stato molte volte, perché era un posto molto costoso.<br />

Dopo poco arrivò anche Carol e i due entrarono nel ristorante. Dentro,<br />

il locale aveva luci smorte e qualche candela qua e là: sembravano i sotterranei<br />

<strong>di</strong> un castello.<br />

– Allora che mi <strong>di</strong>ci? Che mi racconti <strong>di</strong> questa esperienza?<br />

– Non ti aspettare rose e fiori... non è come nei film. Questa è roba da<br />

duri.<br />

Carol scoppiò a ridere e Ben rimase incantato ancora dal suo sorriso<br />

perfetto: era bellissima. I due “piccioncini” rimasero a parlare del campo e<br />

Ben gli parlò <strong>di</strong> Jerry e della loro canzone.<br />

– Un giorno me la farai sentire questa canzone? Sono sicura che è un<br />

vero capolavoro. Qual è il titolo?<br />

– I can change the world whith my own two hands.<br />

– Oooh... che titolo. E come speri <strong>di</strong> cambiare questo mondo?<br />

– Magari con piccoli gesti come <strong>di</strong>rti “Ti amo”, oppure pagando il<br />

conto...<br />

– Devo pagare il conto?!<br />

– Ehi, rilassati... scherzavo. Già ho fatto tutto io. An<strong>di</strong>amo?<br />

Ben e Carol uscirono dal ristorante ridendo e scherzando e camminarono<br />

lungo tutto il molo, mano nella mano, senza pensare ai loro problemi<br />

e, arrivati alla barca dello zio, i due si sdraiarono a prua, fissando le stelle.<br />

Il posto era molto romantico e l’acqua che s’infrangeva sulle barche, era il<br />

sottofondo perfetto per quel momento.<br />

– 259 –


– Domani pomeriggio partirò per Hanoi.<br />

– Come?! Devi già tornare lì? Perché proprio tu?<br />

– Anche il mio amico Jerry verrà con me. Pensa che sua moglie aspetta<br />

un figlio e Jerry non sa neanche se potrà vederlo... Non so se tornerò<br />

neanche io, ma se tornerò, voglio prometterti che avremo una famiglia. Che<br />

ne pensi?<br />

Carol si girò verso Ben e, con le lacrime agli occhi, lo baciò.<br />

La mattina dopo, Ben, Carol e Jerry stavano tutti e tre in attesa del<br />

pullman che sarebbe passato a prendere Ben davanti casa. Non parlava nessuno<br />

dei tre: solo silenzio interrotto <strong>di</strong> tanto in tanto dai singhiozzi strozzati<br />

<strong>di</strong> Carol, che stava per scoppiare.<br />

Dopo pochi minuti lo stridulo dei freni del pullman ruppe il silenzio che<br />

fino a qualche minuto prima dominava la strada.<br />

Le porte si aprirono e Ben entrò nel pullman senza fiatare, scrutando <strong>di</strong><br />

sottecchi l’amico e la ragazza che si commuovevano <strong>di</strong>speratamente.<br />

– Juan stai attento a Carol... prometto che tornerò presto. Ci ve<strong>di</strong>amo.<br />

Detto così le porte del pullman si chiusero e le sagome dei suoi due<br />

amici svanirono a poco a poco.<br />

Erano le nove <strong>di</strong> sera e Ben stava dormendo rannicchiato sul suo se<strong>di</strong>le.<br />

Il pullman frenò bruscamente e il ragazzo sobbalzò, sbattendo sul se<strong>di</strong>le<br />

davanti: erano arrivati. Le reclute scesero dal pullman e gli fu or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong><br />

mettersi in riga per l’appello.<br />

Ben ritrovò anche il suo amico Jerry e i due salirono assieme sulla portaerei<br />

che li avrebbe portati vicino Hanoi. Le cuccette erano molto piccole e<br />

all’interno regnava un caldo soffocante.<br />

I due ragazzi si sistemarono e dopo pochi secon<strong>di</strong>, iniziarono a suonare.<br />

– Allora come sta tua moglie?<br />

– Abbastanza bene, le mancano solo tre mesi e poi arriverà il piccolo<br />

– Come lo chiamerai?<br />

– Ancora non lo abbiamo deciso ma cercherò <strong>di</strong> dargli un nome africano.<br />

E a te come va con Carol? Quando vi sposate?<br />

– Lasciamo perdere... mi ha lasciato davanti casa con le lacrime agli<br />

occhi... mi sono sentito un verme.<br />

– Spero che la rivedrai presto.<br />

– Certo! Magari lei mi vedrà tornare dentro una scatola <strong>di</strong> legno larga<br />

cinquanta centimetri e lunga due metri con una ban<strong>di</strong>era sopra.<br />

– 260 –


– Dài, non essere pessimista... un mese <strong>di</strong> servizio e poi torneremo tutti<br />

a casa.<br />

– Davvero? Non lo sapevo...allora ci sono ancora delle speranze per<br />

pubblicare la mia canzone.<br />

– Ti prometto che se usciamo da quest’inferno, noi pubblicheremo la<br />

canzone. È una promessa...<br />

E, detto così, Jerry spense le luci e i due si addormentarono in un sonno<br />

profondo.<br />

La sirena della portaerei suonò verso le sei del mattino. Era passata più<br />

o meno una settimana e i due ragazzi avevano trascorso questi giorni sotto<br />

dure esercitazioni per ciò che li attendeva: un inferno <strong>di</strong> fuoco.<br />

Il portellone dell’imbarcazione si aprì e le truppe scesero dalla portaerei<br />

sopra una serie <strong>di</strong> pullman. La città in cui erano arrivati non era Hanoi, ma<br />

Hai Phong, una piccola citta<strong>di</strong>na nel golfo del Tonchino che era finita sotto<br />

il dominio delle truppe americane. Dal finestrino Ben vide solo due tipi <strong>di</strong><br />

persone vietnamite: prostitute e ladri. Queste persone non le aveva mai viste<br />

quando facevano vedere i documentari sul Vietnam: l’americano che porta<br />

da mangiare al povero vietnamita... che falsità.<br />

– È incre<strong>di</strong>bile che l’America fa vedere solo scene <strong>di</strong> bontà nei confronti<br />

dei Vietnamiti. Non è vero niente <strong>di</strong> ciò che ci fanno vedere alla televisione...<br />

– Lo so Ben. Tutto quello che ve<strong>di</strong> ora è niente in confronto a ciò che<br />

troveremo ad Hanoi: cadaveri in mezzo alle strade pubbliche, e molto<br />

altro... questo è il vero volto dell’America...<br />

Ben rimase molto toccato per le parole dell’amico e si rigirò verso il<br />

finestrino del pullman, intento a riflettere.<br />

Erano le nove <strong>di</strong> sera e il pullman si fermò davanti ad un cancello mastodontico,<br />

che delimitava l’area <strong>di</strong> una zona militare. Poco dopo, il veicolo<br />

si fermò davanti ad una serie <strong>di</strong> container.<br />

Davanti al pullman vi era una fila <strong>di</strong> venti soldati, che attendevano<br />

qualcuno. Poco dopo si avvicinò un uomo piuttosto basso e robusto che<br />

sembrava essere un ufficiale del posto:<br />

– Buona sera ragazzi, sarò breve perché so che non vedete l’ora <strong>di</strong><br />

sdraiarvi su un bel letto. Io sono il generale Payne, e sono a capo <strong>di</strong> questa<br />

zona. Domani sarete mandati imme<strong>di</strong>atamente al fronte e sarete <strong>di</strong>visi in<br />

squadre da cinque. Sarete mandati a conquistare la parte meri<strong>di</strong>onale del<br />

Vietnam e non voglio sapere come... se riuscirete a sopravvivere a quest’in-<br />

– 261 –


ferno per un mese, potrete tornare a casa. Domani mattina partirete alla<br />

volta <strong>di</strong> Vinh per dare il cambio ai sopravvissuti. Buona fortuna.<br />

Appena finì <strong>di</strong> parlare, il generale salutò e scomparve nel buio. Poco<br />

dopo il tenente portò i soldati nelle camerate e, uscì dalla porta spengendo<br />

le luci.<br />

Durante la notte nessuno chiuse occhio e Ben sentiva ogni tanto<br />

qualche singhiozzo strozzato <strong>di</strong> qualche ragazzo. La maggior parte <strong>di</strong> questi<br />

“soldati” aveva intorno ai venti anni e avrebbe sicuramente preferito trascorrere<br />

la propria giovinezza in un pub con gli amici o sdraiato su un prato<br />

con la ragazza.<br />

La mattina seguente il tenente passo tra i letti urlando, e le reclute si alzarono<br />

con fatica. Ben incrociò lo sguardo <strong>di</strong> Jerry e capì che anche lui non<br />

aveva chiuso occhio.<br />

Poco dopo i soldati si misero in fila e salirono sull’elicottero che li<br />

avrebbe portati al fronte. Ben s’infilò l’elmetto che gli era stato dato. Non si<br />

sentiva a suo agio con un mitra in mano e Jerry rispecchiava lo stesso<br />

umore. Almeno i due erano stati messi nella stessa squadra, sapendo <strong>di</strong><br />

poter contare l’uno sull’altro, ma nessuno dei due si sentiva pronto a sparare<br />

ad un ribelle piuttosto che ad un civile. Durante il viaggio sull’elicottero,<br />

Ben scoprì che nella sua squadra era quasi il più vecchio rispetto agli altri:<br />

c’era il tenente, che aveva trentacinque anni, ma gli altri avevano tutti sotto<br />

i venticinque anni. Paul, il più giovane <strong>di</strong> tutti, aveva <strong>di</strong>ciotto anni e tremava<br />

come un bambino, cercando <strong>di</strong> nascondere le lacrime che gli rigavano<br />

la faccia. Poi c’era Mike, ventidue anni, un altro bambino pronto a morire<br />

per la patria, per una causa che non conosceva neanche lui. Cinque giovani,<br />

compreso il tenente, che stavano per fronteggiare un nemico che probabilmente<br />

non avrebbero neanche ucciso.<br />

L’elicottero atterrò presso un piccolo spiazzo in una città abbandonata.<br />

Il plotone dei cinque scese rapidamente e i soldati videro l’elicottero che,<br />

ripreso il volo, scomparve nelle nuvole.<br />

La città era semi<strong>di</strong>strutta e al plotone era stato or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> uccidere i<br />

pochi sopravvissuti. Tra le macerie si potevano scorgere cadaveri, probabilmente<br />

morti in seguito ad un bombardamento aereo. Un silenzio religioso<br />

incombeva sulla città e il vento faceva alzare nubi <strong>di</strong> polvere che giravano<br />

tra le macerie.<br />

– 262 –


Il tenente, dopo aver ispezionato bene la piazza, tornò da Ben e gli altri<br />

quattro per organizzare un’esplorazione della città: – Questa è la prima<br />

volta che avete a che fare con la vera guerra, quin<strong>di</strong> vi consiglio <strong>di</strong> darmi<br />

retta e vi prometto che stasera saremo tutti <strong>di</strong> nuovo a Hanoi. Paul, tu stai<br />

vicino a me perché hai la ricetrasmittente. Vieni anche tu con me Mike. Noi<br />

tre andremo a coprire la parte est <strong>di</strong> questa città mentre tu e Jerry coprirete<br />

la parte ovest. Ci ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> nuovo qui tra mezz’ora. Appena vedete qualcuno<br />

aprite il fuoco e se siete in <strong>di</strong>fficoltà chiamatami. Sapete come funziona<br />

quel mitra, quin<strong>di</strong> vedete <strong>di</strong> usarlo. Buona fortuna ragazzi.<br />

Detto così, il tenente si allontanò con Mike e Paul mentre Jerry e Ben<br />

andarono dall’altro lato, tenendo il fucile stretto al petto, mentre tremavano<br />

<strong>di</strong> paura.<br />

La strada era costeggiata da due palazzi, probabilmente pieni <strong>di</strong> ribelli<br />

che avrebbero sparato da un momento all’altro e, poco dopo, si sentirono i<br />

primi spari, provenienti dalla parte opposta a quella dei due ragazzi. Dalla<br />

ra<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ben si sentì una voce roca e strozzata:<br />

– Sono il tenente... è un’imboscata... scappate...<br />

La chiamata si chiuse con degli spari. Ben rimase impietrito e guardò<br />

Jerry inorri<strong>di</strong>to che rimase a sua volta immobile.<br />

– Sono... sono morti, Ben?<br />

– Temo <strong>di</strong> sì... corriamo via <strong>di</strong> qui...<br />

Detto così i due ragazzi corsero per tutta la città fino a quando non trovarono<br />

un altro plotone. Dopo aver ripreso fiato Ben si fece coraggio e<br />

parlò con il tenente del secondo plotone:<br />

– Sono morti tutti... noi stavamo coprendo la zona ovest che c’era stata<br />

assegnata sino a quando non abbiamo sentito la ra<strong>di</strong>o che trasmetteva la<br />

voce del nostro tenente. Ci ha detto <strong>di</strong> scappare perché era un imboscata e<br />

penso che tra breve arriveranno molti vietcong. Meglio chiamare rinforzi.<br />

– Noi entriamo dentro questo palazzo, così almeno la frequenza ra<strong>di</strong>o è<br />

maggiore. Dal tetto ci vedranno <strong>di</strong> sicuro i nostri elicotteri. Presto, saliamo.<br />

Appena il tenente finì <strong>di</strong> parlare, il plotone salì sino al tetto, per cercare<br />

rinforzi.<br />

Il palazzo era molto alto e si poteva scorgere gran parte della città. Ben<br />

e Jerry erano sconvolti per l’accaduto e respiravano con fatica per l’angoscia<br />

che avevano. Il resto del loro vecchio plotone era molto probabilmente<br />

morto e loro due erano gli unici sopravvissuti: per fortuna, ora si trovavano<br />

in buone mani, anche se stavano per essere <strong>di</strong> nuovo attaccati dai ribelli.<br />

– 263 –


Dopo circa mezz’ora il tenente riuscì a trovare la frequenza e iniziò a<br />

trasmettere:<br />

– Qui parla il plotone due... mi senti?<br />

– Forte e chiaro, plotone due...<br />

– Il plotone uno è stato attaccato e abbiamo due superstiti. Tra breve<br />

arriveranno i ribelli. Venite a prenderci...<br />

– Dimmi dove vi trovate...<br />

– Siamo a Vinh 10 A 4... Cercate <strong>di</strong> fare in fretta.<br />

Il plotone stava raggruppato sul terrazzo <strong>di</strong> un e<strong>di</strong>ficio: dopo circa<br />

un’ora <strong>di</strong> panico e ansia s’intravide un elicottero.<br />

Tutti si alzarono in pie<strong>di</strong> e iniziarono a strillare e a gioire. Mentre l’elicottero<br />

si avvicinava al palazzo, un fischio acuto ruppe il silenzio e un’esplosione<br />

colpì l’elicottero: un lanciarazzi aveva appena colpito la loro unica<br />

speranza <strong>di</strong> vita. L’elicottero cadde a picco su un palazzo e si sentirono delle<br />

grida straniere provenienti dalla strada.<br />

Tutti i soldati si affacciarono e uno <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>sse:<br />

– Sono i vietcong. Hanno capito dove siamo... stanno arrivando.<br />

Il tenente rimase imbambolato per un po’ e poi <strong>di</strong>sse:<br />

– Non vi garantisco che sopravvivremo, ma cerchiamo <strong>di</strong> resistere il più<br />

a lungo possibile...non <strong>di</strong>amogliela vinta.<br />

La terrazza era circondata da una serie <strong>di</strong> muri, dove i soldati si appostarono<br />

pronti per la resistenza. Ben aveva lo sguardo fisso nel vuoto, verso<br />

quella porta da dove ben presto sarebbero arrivati una decina <strong>di</strong> ribelli. Stava<br />

sudando freddo e tremava come se avesse la febbre alta. Jerry, <strong>di</strong> fianco a lui,<br />

era impaurito e teneva goffamente il fucile, stretto e pronto al fuoco.<br />

Passarono cinque minuti: un’infinità <strong>di</strong> tempo. Tra i soldati c’era solo<br />

ansia e paura, perché non erano sicuri <strong>di</strong> sopravvivere a quello scontro.<br />

Poco dopo si sentirono i primi spari. Una serie <strong>di</strong> proiettili iniziarono a<br />

volare sopra le teste dei soldati, scheggiando <strong>di</strong> tanto in tanto il muretto che<br />

li proteggeva. Ben non aveva il coraggio <strong>di</strong> sparare e attese il fuoco dei suoi<br />

compagni. Poco dopo, un soldato del plotone si affacciò e appena lanciò<br />

una granata verso i nemici, si riabbassò avvertendo i compagni <strong>di</strong> coprirsi la<br />

testa. Un boato spezzò il silenzio e molti ribelli furono colpiti a morte.<br />

Un soldato si affacciò per vedere se vi erano superstiti e, appena si alzò,<br />

fu freddato con una fucilata secca: non era ancora finito lo scontro.<br />

Jerry scorse altri quattro soldati e aprì il fuoco verso <strong>di</strong> loro, colpendone<br />

uno.<br />

– 264 –


Il fuoco nemico colpì a morte altri due soldati, che non erano coperti<br />

bene: erano rimasti in quattro e non era ancora finita.<br />

Quando arrivò la notte lo scontro era terminato, ed erano rimasti vivi<br />

anche se avevano perso tre compagni.<br />

I soldati si alzarono in pie<strong>di</strong>, pronti per tornare a casa quando... Ben si<br />

accorse che un ribelle era rimasto vivo e stava puntando la pistola verso<br />

Jerry. A quel punto il ragazzo corse verso l’amico gridando e, con un balzo<br />

secco verso <strong>di</strong> lui, lo atterrò per coprirlo dai proiettili.<br />

Il tenente freddò il nemico e andò verso i due compagni per farli alzare.<br />

Jerry stava sotto Ben, e alzandosi, si accorse che l’amico era rimasto ferito<br />

gravemente, salvandolo dal proiettile del ribelle.<br />

– Ben, fratello, perché ti sei sacrificato per me... grazie.<br />

Ben non era ancora morto e rispose con un sorriso appena accennato.<br />

Non aveva mantenuto la promessa che aveva fatto a Carol, e probabilmente<br />

sarebbe tornato a casa, dentro una cassa <strong>di</strong> legno. E così fu.<br />

Ora Ben si trova vicino a molti dei suoi compagni, due metri sotto terra<br />

e, sopra <strong>di</strong> lui, un’infinita <strong>di</strong> lastre <strong>di</strong> marmo che coprono svariati ettari <strong>di</strong><br />

terra che oggi chiamano “i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> pietra”.<br />

Jerry, invece, riuscì a tornare a casa e chiamò suo figlio Ben. Juan pubblicò<br />

la canzone <strong>di</strong> Ben e fece un video-music, con dei reportage sul<br />

Vietnam. Carol finì con il <strong>di</strong>ventare la moglie <strong>di</strong> un dottore, per il volere del<br />

padre, ma non trovò la felicità che il suo vecchio ragazzo gli avrebbe dato.<br />

– 265 –


CLAUDIO JANKOWSKI<br />

Laboratorio teatrale 2005-2006<br />

PRESENTAZIONE<br />

Nella nostra scuola, ormai da molti anni, è presente un laboratorio <strong>di</strong><br />

teatro stabile che anche quest’anno ha realizzato un progetto che andrà in<br />

scena il 9 giugno 2006 al teatro Greco in Roma.<br />

I ragazzi partecipanti: 1) Abraham Angelica, 2) Abraham Isabella, 3)<br />

Antonioli Lorenzo, 4) Bencivenga Angela, 5) Brandolini Giulia, 6) Carpentieri<br />

Chiara, 7) Carrera Elena, 8) Consiglio Stefano, 9) De Angelis Lorenzo,<br />

10) De Luca Federico, 11) Del Baglivo Federico, 12) Denaro Francesca<br />

Romana, 13) Lai Federica, 14) Lo Forti Maria Chiara, 15) Marrone Jessica,<br />

16) Oliva Valeria, 17) Pezzone Anna, 18) Rossetti Fabiana, 19) Ruscio<br />

Francesca, 20) Saltarella Martina, 21) Tepatti Veronica, 22) Tibu Andrea<br />

Georgiana, 23) Tomei Chiara, 24) Torelli Flavia, 25) Tucci Francesca, 26)<br />

Usai Francesca Romana, 27) Valenti Benedetta, rappresenteranno un’opera<br />

tratta da “L’opera del men<strong>di</strong>cante” <strong>di</strong> John Gay.<br />

Il copione è stato realizzato da un laboratorio <strong>di</strong> scrittura che ha rielaborato<br />

l’opera originale nel quale hanno lavorato alcuni studenti all’interno<br />

del gruppo: 1) Brandolini Giulia, 2) Rossetti Fabiana, 3) Usai Francesca<br />

Romana.<br />

Come sappiamo, all’interno della scuola, sono presenti anche laboratori<br />

curriculari: tra questi è presente anche un altro laboratorio teatrale. Quest’anno<br />

è stato deciso <strong>di</strong> utilizzare lo spettacolo che verrà realizzato dai ragazzi<br />

del secondo laboratorio, come seguito dello spettacolo del primo.<br />

Questo secondo copione è una rielaborazione della comme<strong>di</strong>a “L’impresario<br />

delle Smirne” <strong>di</strong> Goldoni. Anche questo è stato realizzato da un laboratorio<br />

<strong>di</strong> scrittura <strong>di</strong> cui fanno parte: 1) Abraham Angelica, 2) Bencivenga<br />

Angela, 3) Cuomo Viviana, 4) Lai Federica, 5) Rossetti Fabiana.<br />

Entrambe le opere sono state scelte dai laboratori come rappresentanti<br />

<strong>di</strong> un’epoca storica (il ’700) che ha particolarmente interessato i ragazzi e,<br />

anche come tra<strong>di</strong>zione della nostra scuola, sono state messe a confronto due<br />

culture (inglese e italiana) e due autori (Gay e Goldoni) tra i più significativi<br />

e importanti del teatro <strong>di</strong> tutti i tempi ed è per ciò che ancora oggi ritro-<br />

– 266 –


viamo <strong>di</strong> grande attualità attraverso le tematiche dei rispettivi testi.<br />

Il laboratorio si prefigge <strong>di</strong> favorire e sviluppare, attraverso le tecniche<br />

teatrali, la crescita in<strong>di</strong>viduale, artistica e umana <strong>di</strong> ogni ragazzo, favorendo<br />

in questo modo un migliore rapporto con gli altri e con il gruppo.<br />

Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tali tecniche e l’esperienza del teatro servirà poi a sviluppare<br />

e consolidare l’identità personale e il proprio se, così bisognoso in età<br />

adolescenziale <strong>di</strong> conferme, verifiche e affermazioni e ad incrementare le<br />

capacità <strong>di</strong> espressione, interlocuzione e <strong>di</strong> comunicazione intesa nelle sue<br />

varie forme (Verbale, Non verbale e Paraverbale).<br />

Frequentando il laboratorio, inoltre, l’alunno potrà venire a contatto in<br />

prima persona con una particolare realtà del periodo storico a cui l’opera si<br />

riferisce, avrà modo così <strong>di</strong> farne esperienza e <strong>di</strong> comprenderla nelle sue<br />

caratteristiche, grazie alla grande capacità del teatro <strong>di</strong> rendere la realtà più<br />

chiara e comprensibile.<br />

Gli aspetti musicali e coreografici sono stati curati anch’essi da alcuni<br />

studenti all’interno della compagnia teatrale.<br />

Entrambi gli spettacoli saranno <strong>di</strong>retti dal professor Clau<strong>di</strong>o Jankowski<br />

che ne curerà la regia.<br />

Il copione che segue è quello del primo spettacolo.<br />

L’opera del men<strong>di</strong>cante<br />

<strong>di</strong> JOHN GAY<br />

PERSONAGGI<br />

Mardock: capo briganti<br />

Mr Peacock: padre <strong>di</strong> Polly<br />

Mrs Peacock: madre <strong>di</strong> Polly<br />

Polly Peacock<br />

Lockit: responsabile della prigione <strong>di</strong> Newgate e padre <strong>di</strong> Lucy<br />

Lucy Lockit<br />

Filch: servitore della famiglia Peacock<br />

Men<strong>di</strong>cante: narratore<br />

Attore: aiuto narratore<br />

– 267 –


Jemmy Tic<br />

Jack Dita-adunche<br />

Wat Lo squallido<br />

Robin <strong>di</strong> Bagshot<br />

Ned Arraffa<br />

Harry Pad<strong>di</strong>ngton<br />

Matt della Mint<br />

Ben Palo<br />

Taverniere<br />

Diana Trappola: malvivente<br />

Signora Blan<strong>di</strong>zia<br />

Dolly Vacca<br />

Signora Volpe<br />

Betty Ganza<br />

Jenny Crapula<br />

Signora Ceffone<br />

Sally Pigliatutto<br />

Molly <strong>di</strong> Bronzo<br />

INTRODUZIONE<br />

Men<strong>di</strong>cante, attore<br />

MENDICANTE: Dicono dei poveri che sono i più adatti a raccontare<br />

storie. Dunque io, in qualità <strong>di</strong> membro della compagnia dei men<strong>di</strong>canti,<br />

nonché compositore <strong>di</strong> operette e animatore <strong>di</strong> pranzi <strong>di</strong> nobili, vi<br />

allieterò con uno dei miei racconti.<br />

ATTORE: Noi artisti viviamo per merito delle muse che, al contrario delle<br />

altre signore, non badano al vestito e non scambiano la sontuosità dei<br />

ricami con l’intelligenza. Chiunque sia l’autore noi sosteniamo la sua<br />

opera fino in fondo.<br />

MENDICANTE: Quest’opera fu scritta per celebrare le nozze <strong>di</strong> due eccellenti<br />

cantori <strong>di</strong> ballate. Ho inserito una scena <strong>di</strong> prigione perché so che<br />

le signore trovano deliziosamente patetiche queste situazioni. Riguardo<br />

alle parti ho voluto che nessuna delle due prime attrici potesse trovare<br />

ragion d’offesa. Non saprò mai esprimervi abbastanza la mia gratitu<strong>di</strong>ne<br />

ora che volete portare questo mio lavoro sul palcoscenico.<br />

ATTORE: Che gli attori entrino in scena!<br />

– 268 –<br />

}<br />

}<br />

uomini<br />

della banda<br />

<strong>di</strong> Mardock<br />

prostitute


ATTO I - SCENA I<br />

Casa <strong>di</strong> Peacock<br />

MR PEACOCK: La professione dell’avvocato è onesta, e altrettanto lo è<br />

la mia. Come me, egli agisce in due sensi: contro i malfattori e in loro<br />

<strong>di</strong>fesa. È più che giusto che proteggiamo e incoraggiamo la delinquenza<br />

visto che è la nostra fonte <strong>di</strong> sostentamento.<br />

ATTO I - SCENA II<br />

Filch e Mr Peacock<br />

FILCH: Padrone, Tom Gagg è risultato colpevole.<br />

MR PEACOCK: Che cane rognoso! Quando l’ho fatto uscire, l’altra volta,<br />

gli avevo pur detto che se non si sveltiva <strong>di</strong> mano, ci sarebbe ricascato!<br />

Questa volta ci lascia la pelle!<br />

E poi informa Betty Sly che la salverò dalla deportazione: qui in Inghilterra<br />

mi rende <strong>di</strong> più!<br />

FILCH: Quest’anno Betty ci è stata molto utile; sarebbe un vero peccato<br />

perdere una così brava cliente.<br />

MR PEACOCK: Se qualcuno della banda non la fa fuori prima, per affari,<br />

potrà vivere ancora un po’. Non c’è niente da guadagnare dalla morte <strong>di</strong><br />

una donna... a meno che non si tratti <strong>di</strong> nostra moglie.<br />

FILCH: A <strong>di</strong>rla schietta, la vostra è una donna in gamba! È a lei che devo<br />

la mia educazione e per <strong>di</strong>rla tutta, ha addestrato più giovani lei al mestiere,<br />

che non il tavolo da gioco.<br />

MR PEACOCK: Questa volta l’hai detta giusta. Noi e i chirurghi siamo più<br />

debitori alle donne <strong>di</strong> tutte le altre professioni.<br />

FILCH: È la donna che ci induce in tentazione, è lei maestra nell’arte del<br />

sedurre; anche con gli occhi ci inganna, sottraendoci denaro e cuore.<br />

Per lei facciamo follie rischiando anche la nostra vita.<br />

MR PEACOCK: Corri in fretta a Newgate e fa’ sapere le mie intenzioni.<br />

ATTO I - SCENA III<br />

Men<strong>di</strong>cante, attore<br />

MENDICANTE: Nel frattempo, Mr Peacock si è ritirato nella sua stanza<br />

dei conti dove è concentrato a leggere il registro della banda del capitano<br />

Mardock composta da uomini <strong>di</strong> malaffare che lo aiutano a guadagnare<br />

durante l’anno.<br />

– 269 –


ATTORE: Ma questa banda da dove esce? È stata solo frutto della vostra<br />

immaginazione?<br />

MENDICANTE: Veramente non è proprio così, se<strong>di</strong>amoci che vi spiego...<br />

(si siedono) ...dunque, <strong>di</strong>cevo, la banda è sì frutto della mia immaginazione,<br />

però è anche la rappresentazione della realtà che viviamo ogni<br />

giorno ma siccome siamo in continuazione <strong>di</strong> corsa spesso non la<br />

notiamo. Avvicinati che ti rivelo un piccolo segreto... Quando ero più<br />

giovane e più in forze... beh... <strong>di</strong>ciamo che... ma si, a voi lo posso <strong>di</strong>re...<br />

ero uno <strong>di</strong> loro, poi però mi sono accorto che la cosa era troppo<br />

rischiosa, e quin<strong>di</strong> ho abbandonato questi giri loschi e sono <strong>di</strong>ventato un<br />

uomo ligio!<br />

ATTORE: Ahahah... Perdonatemi ma non sono riuscito a trattenermi... il<br />

problema è che non penso sia facile uscir da queste situazioni così facilmente...<br />

ma...<br />

MENDICANTE: Ma cosa? Ho detto che ci sono riuscito e tu DEVI credermi...<br />

sono o non sono il tuo maestro?<br />

ATTORE: Ma certo...<br />

MENDICANTE: E allora basta blaterare... continuiamo con la storia...<br />

(si mettono in <strong>di</strong>sparte)<br />

ATTO I - SCENA III bis<br />

Prostitute e briganti, seduti al tavolo a bere<br />

JACK: Sapete, questo è quello che amo fare <strong>di</strong> più: bere in compagnia!<br />

ROBIN: Hai proprio ragione, non c’è niente <strong>di</strong> meglio!<br />

JEMMY: E allora, se volete <strong>di</strong>vertirvi guardate questo: (facendo l’imitazione<br />

<strong>di</strong> Mr Peacock) ...“Eh, io sono Mr Peacock! (risata generale dei<br />

briganti) ...Voi dovete ascoltarmi perché solo io so come si deve comportare<br />

un vero brigante!”<br />

NED: Sembra proprio quello sbruffone!<br />

WAT: Che i<strong>di</strong>ota, Peacock vuole insegnare il mestiere <strong>di</strong> ladro a noi!<br />

HARRY: Se non fosse un nostro collaboratore gli farei vedere io chi è il<br />

vero brigante.<br />

MATT: Ma non pensiamoci ora, piuttosto preoccupiamoci <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirci...<br />

Taverniere! Portaci dell’altro vino!<br />

BEN: Sì, molto vino! Vogliamo festeggiare!<br />

(entrano le prostitute)<br />

MOLLY: Buonasera signori, se ho sentito bene qui c’è una festa?!<br />

– 270 –


SALLY: E ci sono anche molti giovani signori...<br />

SIGNORA CEFFONE: E che cos’è una festa senza donne?<br />

BEN: Avete ragione signore. Venite qua, unitevi a noi!<br />

SIGNORA VOLPE: Con piacere!<br />

(si mettono sedute accanto ai briganti) (entra Betty)<br />

BETTY: Non vorrete mica far festa senza <strong>di</strong> me?!<br />

SIGNORA BLANDIZIA: Ah, guarda chi è arrivata!<br />

HARRY: Forza Betty, vieni qua vicino a me!<br />

BETTY: Sicuro, se mi offri da bere... una signora non si accontenta solo<br />

della compagnia <strong>di</strong> un uomo, ci vuole anche il vino per farla <strong>di</strong>vertire.<br />

NED: Mi piacciono le donne quando bevono!<br />

WAT: Taverniere! Ancora vino, le signore vogliono bere!<br />

BETTY: Perché non ci cantate una canzone?<br />

SIGNORA VOLPE: Eh, bravi. Fateci ridere! (ridono)<br />

BEN: Compagni, mostriamo alle signore che sappiamo <strong>di</strong>vertirci e far <strong>di</strong>vertire!<br />

IN CORO: “L’acqua ci fa male, il vino ci fa cantare”<br />

(tutti ridono)<br />

SALLY: Ma bravi!<br />

MOLLY: Su, brin<strong>di</strong>amo!<br />

MATT: A cosa brin<strong>di</strong>amo?<br />

DOLLY: Brin<strong>di</strong>amo a noi donne e alle molte feste che ci aspettano... insieme<br />

a questi signori!<br />

JACK: Perché chi non beve in compagnia il <strong>di</strong>avolo se lo porta via!<br />

IN CORO: “L’acqua ci fa male, il vino ci fa cantare!” (ridono)<br />

JACK: Jemmy, facci ancora Mr Peacock... vogliamo ridere!<br />

JEMMY: (alzandosi in pie<strong>di</strong>) “Fannulloni! Sempre a bere e a non far nulla!<br />

Ma vi devo proprio insegnare tutto? Dovete fare questo... e questo...<br />

buoni a nulla!” (tutti ridono)<br />

BETTY: Ehi Jemmy, te la cavi proprio bene! Sei uguale a quell’i<strong>di</strong>ota <strong>di</strong><br />

Peacock!<br />

(continuano a ridere e a bere mentre entra Mr Peacock)<br />

MR PEACOCK: Deficienti! Che state facendo? Vi prendete gioco <strong>di</strong> me?<br />

BEN: No, non ci permetteremmo mai... (risata generale)<br />

MR PEACOCK: Ringraziate che oggi ho altre cose a cui pensare! Andate<br />

via, scansafatiche! E voi, puttane, tornate al vostro lavoro! (esce arrabbiato)<br />

SIGNORA BLANDIZIA: Non capisco perché si scalda tanto...<br />

– 271 –


DOLLY: Infatti, era così <strong>di</strong>vertente!<br />

SIGNORA CEFFONE: Va bene ragazze, an<strong>di</strong>amo via; i nostri clienti ci<br />

aspettano.<br />

ATTO I - SCENA III ter<br />

Il men<strong>di</strong>cante sta per uscire ma l’attore lo ferma<br />

ATTORE: Ma non stiamo <strong>di</strong>menticando qualcosa?<br />

MENDICANTE: E cosa?<br />

ATTORE: (cerca <strong>di</strong> non farsi vedere dal pubblico)... Eh...<br />

MENDICANTE: ...Ah, già! (nel frattempo Mardock e Polly entrano in<br />

scena)<br />

POLLY: Sbrigati amore mio, non vorrai mica farti vedere da qualcuno!<br />

Altrimenti che matrimonio segreto sarebbe?<br />

MARDOCK: Hai ragione mia cara, an<strong>di</strong>amo via! (escono)<br />

MENDICANTE: Come avrete capito Mardock e Polly si sono sposati in<br />

gran segreto, all’insaputa <strong>di</strong> tutti.<br />

ATTORE: Ma sicuramente i genitori <strong>di</strong> Polly sospettano qualcosa...<br />

MENDICANTE: Beh, stiamo a guardare...<br />

ATTO I - SCENA IV<br />

Mrs e Mr Peacock<br />

MRS PEACOCK: Allora marito mio, cos’è successo a Bob Bottino? Lo sai<br />

che è uno dei miei clienti preferiti e poi mi ha regalato questo anello<br />

(mostrandolo)<br />

MR PEACOCK: Ho messo il suo nome sul libro nero... se continua a<br />

trascorrere la vita circondato da donne rischierà la morte e noi il fallimento!<br />

MRS PEACOCK: Lo sai, mio caro, che io non mi immischio mai nelle<br />

questioni <strong>di</strong> morte, queste faccende le lascio sempre a te. Noi donne<br />

abbiamo un debole per tutti quelli che sono condannati alla guerra o<br />

alla forca.<br />

Ma, scherzi a parte marito mio, non dovresti esser tanto duro <strong>di</strong> cuore,<br />

perché non hai mai avuto una banda <strong>di</strong> uomini così scelti e coraggiosi<br />

come questi che hai ora. Da sette mesi a questa parte non c’è ancora<br />

stato un solo assassinio tra loro, e questa, caro mio è una vera bene<strong>di</strong>zione.<br />

MR PEACOCK: L’omici<strong>di</strong>o è il delitto più elegante <strong>di</strong> cui si possa venire<br />

– 272 –


imputati. Quanti gentiluomini <strong>di</strong> rango vanno a finire ogni anno a Newgate<br />

esclusivamente per questo capo d’accusa! Dunque, cara, chiu<strong>di</strong>amo<br />

l’argomento. È venuto questa mattina il capitano Mardock per<br />

quelle banconote che ti avevo lasciato la settimana scorsa?<br />

MRS PEACOCK: Sì, mio caro è tutto risolto. Ma <strong>di</strong>mmi un po’, è ricco il<br />

capitano?<br />

MR PEACOCK: Il capitano frequenta troppo le belle compagnie per potersi<br />

arricchire in qualche modo i ritrovi e il gioco sono la sua rovina.<br />

MRS PEACOCK: Peccato per Polly che il capitano non abbia un po’ <strong>di</strong><br />

buon senso.<br />

MR PEACOCK: Polly? Cosa c’entra ora Polly!<br />

MRS PEACOCK: Il capitano ha un debole per la ragazza... e se mi intendo<br />

un poco <strong>di</strong> gusti femminili, <strong>di</strong>rei che nostra figlia lo trova un bel pezzo<br />

d’uomo.<br />

MR PEACOCK: Non sarai pazza al punto <strong>di</strong> farglielo sposare! I ban<strong>di</strong>ti <strong>di</strong><br />

strada generalmente sono bravi uomini con le loro sgualdrine, ma con le<br />

mogli sono <strong>di</strong>avoli dell’inferno.<br />

MRS PEACOCK: Ma se Polly fosse innamorata? Povera figlia! Sono davvero<br />

in pensiero per lei.<br />

MR PEACOCK: Senti bene, moglie: nel nostro genere <strong>di</strong> affari, una bella<br />

ragazza è un vero capitale. Capisci dunque che sono <strong>di</strong>sposto a chiudere<br />

un occhio con la ragazza fin dove la prudenza lo consente. Tutto,<br />

fuorché il matrimonio, però! Se la ragazza avesse l’abilità delle dame <strong>di</strong><br />

corte che possono tenere una dozzina <strong>di</strong> corteggiatori senza cedere a<br />

nessuno, non me ne curerei ma a Polly basta una favilla a darle fuoco.<br />

Sposarsi! Se già non è stato deciso il tutto cercherò in ogni modo <strong>di</strong><br />

farle cambiare idea. Il tuo dovere, mia cara, è <strong>di</strong> mettere in guar<strong>di</strong>a tua<br />

figlia su ciò che potrebbe portarla alla rovina e <strong>di</strong> insegnarle l’arte della<br />

seduzione. Vado subito da lei a sondar terreno.<br />

ATTO I - SCENA V<br />

Mrs Peacock - monologo<br />

MRS PEACOCK: Non ho mai visto un uomo così testardo... Ma pensandoci<br />

meglio perché la nostra Polly dovrebbe comportarsi <strong>di</strong>versamente<br />

dalle altre donne sposandosi e rimanendo fedele a suo marito? E poi gli<br />

uomini sono tutti ladri in amore, se la donna è proprietà <strong>di</strong> un altro, le<br />

danno la caccia con tanto più ardore.<br />

– 273 –


ATTO I - SCENA VI<br />

Filch e Mrs Peacock<br />

MRS PEACOCK: Vieni un po’ qui, Filch. Ho una vera passione per questo<br />

ragazzo; mi pare quasi che sia mio figlio. Ha una manina così delicata<br />

nel vuotare le tasche altrui che quella <strong>di</strong> una donna non farebbe <strong>di</strong> meglio.<br />

Se una sentenza non ti porta la morte, ti <strong>di</strong>co, figliolo, che passerai<br />

alla storia come un grand’uomo. Dov’eri <strong>di</strong> stazione ieri sera?<br />

FILCH: Ho lavorato davanti all’Opera, signora, e tenendo conto che non<br />

era ancora buio e non pioveva, non è andata poi tanto male... sono sette<br />

fazzoletti signora.<br />

MRS PEACOCK: E anche colorati vedo. Si venderanno benissimo ai marinai<br />

nel nostro spaccio.<br />

FILCH: C’è anche questa tabacchiera.<br />

MRS PEACOCK: Montata in oro!<br />

FILCH: Avevo già adocchiato un magnifico orologio d’oro, ma che gli<br />

venga un cancro ai sarti che fanno i taschini così profon<strong>di</strong> e stretti!... Vi<br />

<strong>di</strong>co, signora, che ho ben paura <strong>di</strong> essere impiccato un giorno o l’altro...<br />

MRS PEACOCK: Stai tranquillo Filch, ci sarò sempre io a impe<strong>di</strong>re che tu sia<br />

impiccato. Ma attento ragazzo mio a non <strong>di</strong>rmi bugie perché sai che le<br />

detesto. Sai se c’è stato qualcosa tra il capitano Mardock e la nostra Polly?<br />

FILCH: Vi prego signora non fatemi questa domanda, o sarei obbligato a<br />

mentire, se non a voi alla signorina Polly. Le ho promesso <strong>di</strong> non aprir<br />

bocca.<br />

MRS PEACOCK: Ma quando è in gioco l’onore della nostra famiglia...<br />

FILCH: Passerò un brutto guaio con la signorina Polly, se viene a sapere<br />

che vi ho detto qualcosa. E, non vorrei compromettere il mio onore tradendo<br />

qualcuno.<br />

MRS PEACOCK: Ecco che vengono mio marito e Polly. An<strong>di</strong>amo, Filch, e<br />

raccontami tutto (Filch e Mrs Peacock escono).<br />

ATTO I - SCENA VII<br />

Polly e Mr Peacock<br />

POLLY: So benissimo come farmi bella davanti al mio uomo. Rientra nella<br />

natura <strong>di</strong> noi donne, padre mio. Se una moglie non vuole trovarsi nel<br />

mazzo degli scarti deve pur saper concedere qualche libertà al proprio<br />

uomo.<br />

– 274 –


MR PEACOCK: Lo sai, Polly, che non ho niente da ri<strong>di</strong>re, anche se fai la<br />

civetta e stuzzichi i clienti per ragion d’affari o per strappare qualche<br />

segreto, ma se vengo a scoprire che hai fatto la sciocchezza <strong>di</strong> sposarti,<br />

bada, sgualdrinella, che ti taglio la gola. Ora sai come la penso.<br />

ATTO I - SCENA VII bis<br />

Men<strong>di</strong>cante, attore<br />

MENDICANTE: A questo punto, <strong>di</strong>rei, che per spiegar meglio la situazione,<br />

sia necessario un mio intervento.<br />

ATTORE: Sono sicuro che il nostro caro pubblico pagante saprà certo comprendere<br />

al meglio un’opera così ben fatta.<br />

MENDICANTE: Non era certo mia intenzione offendere i nostri spettatori...<br />

Ma se talvolta mi intrometterò sarà solo per aiutare i nostri amici a seguir<br />

meglio passaggi <strong>di</strong>fficili da comprendere. Ordunque, tornando a noi.<br />

ATTORE: E dunque? Siamo troppo curiosi <strong>di</strong> saperne ancora.<br />

MENDICANTE: (con tono seccato, schiarendosi la voce) Dicevamo...<br />

Tornando a noi: Mrs Peacock sta cercando in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> corrompere<br />

Filch per avere informazioni riguardo lo sposalizio della figlia Polly.<br />

ATTORE: E lui logicamente non ha parlato, vero?!<br />

MENDICANTE: Mi spiace deludervi, ma... Filch ha parlato e ha rivelato il<br />

matrimonio tra Mardock e Polly. Ma ora mettiamoci in <strong>di</strong>sparte e<br />

stiamo a guardare ciò che accade.<br />

ATTO I - SCENA VIII<br />

Polly, Mrs e Mr Peacock<br />

MRS PEACOCK: (entra dopo aver parlato con Filch) Bagascia svergognata,<br />

si è fatta beffe dei nostri insegnamenti, mocciosa senza cervello!<br />

(al marito) La ragazza è sposata, marito mio.<br />

MR PEACOCK: Sposata?<br />

La credevo solo una puttanella, e adesso ti perde la testa e si sposa!<br />

Giurerei perché vuole burlarsi della nobiltà! Ma te la senti <strong>di</strong> mantenere<br />

un marito che va a bische, liquori, e puttane? E poi, se proprio ti bruciava<br />

<strong>di</strong> sposarti, non potevi trovare qualcosa <strong>di</strong> meglio <strong>di</strong> un ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />

strada da portare in casa nostra? Eh, mocciosa i<strong>di</strong>ota, in ogni caso sarai<br />

maltrattata e abbandonata come se avessi sposato un conte!<br />

MR PEACOCK: Mia cara, non lasciare che la collera ti trascini oltre i limiti<br />

della decenza. E poi, il capitano è sulla buona strada per far fortuna o<br />

– 275 –


lasciarci le cuoia ed entrambe le situazioni sarebbero ottime per una<br />

moglie! Dimmi sciagurata hai scelto la tua rovina, o no?<br />

MRS PEACOCK: (a Polly) Col patrimonio che possie<strong>di</strong> avresti potuto<br />

accasarti con una persona <strong>di</strong>stinta.<br />

(Polly resta in silenzio con aria afflitta)<br />

MR PEACOCK: Come, sei <strong>di</strong>ventata muta tutto d’un colpo? Parla, sei davvero<br />

sua moglie davanti alla legge o lo sei per <strong>di</strong>vertimento? Beh tanto<br />

verrò subito a saperlo: se Mardock non si farà più vedere per casa, vuol<br />

<strong>di</strong>re che siete sposati!<br />

POLLY: Non l’ho sposato, come va <strong>di</strong> moda, per freddo calcolo, per salvare<br />

l’onore o per denaro... ma perché lo amo!<br />

MRS PEACOCK: Lo ama! Di male in peggio! Credevo <strong>di</strong> averla educata<br />

meglio. Oh marito mio! La sua i<strong>di</strong>ozia mi fa impazzire! Sono fuori <strong>di</strong><br />

me! Non mi reggo più in piè... (sviene).<br />

MR PEACOCK: Guarda sciagurata in che stato hai ridotto la tua povera<br />

madre! Un bicchierino <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>ale, subito! Poveretta, come se l’è presa<br />

a cuore! (Polly esce e ritorna col bicchiere).<br />

POLLY: Ci vorrà un altro bicchiere: mammina è abituata a bere doppia<br />

dose, quando qualcosa la <strong>di</strong>sturba. Ecco, vedete, si sta già riprendendo!<br />

MRS PEACOCK: La ragazza è talmente ingenua che mi verrebbe <strong>di</strong> perdonarla...<br />

Oh Polly, ma come hai potuto... per altro con un ban<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />

strada... brutta sgualdrina! È vero che il nostro è un sesso fragile, ma<br />

quando una donna cede alla sua fragilità... lo deve fare con un minimo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità!<br />

MR PEACOCK: Cerca <strong>di</strong> star calma: ho un’idea che riporterà tutto alla<br />

normalità in poco tempo. Dobbiamo solo cercare <strong>di</strong> trarne il miglior<br />

partito.<br />

MRS PEACOCK: Bene Polly per quanto una donna possa fare per un’altra<br />

donna ti perdono...<br />

POLLY: Allora tutti i miei <strong>di</strong>spiaceri sono finiti!<br />

MR PEACOCK: Sento arrivare clienti nella stanza accanto; Polly va’ ad<br />

intrattenerli, ma torna qui subito... ah se fosse il signore <strong>di</strong> ieri per l’orologio<br />

<strong>di</strong>gli che non potrai dargli notizie prima <strong>di</strong> domani. Sai, l’ho prestato<br />

ad uno dei miei ragazzi perché facesse bella figura questa sera se<br />

invece ti chiedono della spada con l’elsa d’argento, tu sai che ce l’ha<br />

Jenny Piattola con sè, e che non tornerà prima <strong>di</strong> martedì; quin<strong>di</strong> nulla<br />

fino allora!<br />

– 276 –


ATTO I - SCENA IX<br />

Mrs e Mr Peacock<br />

MRS PEACOCK: Se solo sì fosse limitata ad una relazione con quel tale...<br />

beh sarei riuscita a scusarla... ma il matrimonio rende tutto indelebile!<br />

MR PEACOCK: Mia cara, calmati un poco, lo smacchiatore infallibile per<br />

certe situazioni è il denaro. Vedrai, moglie, saprò volgere questo matrimonio<br />

a nostro profitto.<br />

MRS PEACOCK: So benissimo che egli possiede una dote piutttosto rilevante<br />

ma ho il dubbio che abbia altre due o tre mogli e che quin<strong>di</strong> alla<br />

sua morte, la dote <strong>di</strong> Polly potrebbe essere messa in <strong>di</strong>scussione.<br />

MR PEACOCK: Questo è un punto che merita davvero grande attenzione.<br />

ATTO I - SCENA X<br />

Polly, Mrs e Mr Peacock<br />

POLLY: Non era altro che uno dei tuoi uomini che ha portato un po’ <strong>di</strong><br />

oggetti preziosi!<br />

MR PEACOCK: Bene, benissimo, ma ora torniamo a te... dunque, sei<br />

sposata a quanto pare?!<br />

POLLY: (con aria sod<strong>di</strong>sfatta) Sissignore.<br />

MR PEACOCK: E come pensi <strong>di</strong> vivere, bambina?<br />

POLLY: Come tutte le altre donne sposate signore: col lavoro <strong>di</strong> mio<br />

marito.<br />

MRS PEACOCK: Cosa? Ma le dà <strong>di</strong> volta il cervello? La moglie <strong>di</strong> un ban<strong>di</strong>to<br />

gode tanto poco del suo denaro quanto della sua compagnia.<br />

MR PEACOCK: Polly, naturalmente tu avrai già pensato al vitalizio in caso<br />

<strong>di</strong> vedovanza, vero?!?<br />

POLLY: (con tono <strong>di</strong> rimprovero)... Ma io lo amo come posso pensare ad<br />

un caso simile?<br />

MR PEACOCK: Ma se è proprio questa la sostanza e lo scopo del matrimonio!<br />

È ciò che tiene alta la morale <strong>di</strong> una donna sposata.<br />

POLLY: Inizio ad avere paura dei vostri <strong>di</strong>scorsi... eppure devo chiedervi <strong>di</strong><br />

essere più chiaro.<br />

MR PEACOCK: Assicurati che tutto sia <strong>di</strong> sua proprietà e poi fallo acciuffare<br />

e vedrai che ben presto <strong>di</strong>verrai una ricca vedova.<br />

MRS PEACOCK: Eh, marito mio ora hai colpito il segno. Farlo acciuffare<br />

è la sola cosa che potrebbe indurmi a perdonarla davvero.<br />

– 277 –


POLLY: Vi prego non siate così crudeli in fondo è sempre mio marito.<br />

MRS PEACOCK: Ma il tuo dovere verso i genitori esige che lo man<strong>di</strong> alla<br />

forca. E che cosa non darebbero tante mogli per una simile occasione!<br />

POLLY: Sono certa <strong>di</strong> non poter sopravvivere alla vedovanza!<br />

MRS PEACOCK: Ma come! Allora sei innamorata sul serio! Mi fai<br />

ribrezzo, con queste idee strane. Ragazza, sei una vergogna per il tuo<br />

sesso!<br />

POLLY: Ma ascoltami, mamma, se tu hai mai amato...<br />

MRS PEACOCK: Se continui a parlare ti faccio saltar fuori il cervello a<br />

furia <strong>di</strong> botte, se pure te ne è rimasto un briciolo.<br />

MR PEACOCK: Togliti dai pie<strong>di</strong>, Polly, e va’ a riflettere su ciò che ti<br />

abbiamo proposto.<br />

ATTO I - SCENA XI<br />

Mrs e Mr Peacock<br />

MRS PEACOCK: Questa cosa, marito mio, dev’essere fatta e si farà. Dobbiamo<br />

farlo condannare anche senza il consenso <strong>di</strong> Polly.<br />

MR PEACOCK: Non riuscirei a far fuori un grand’uomo ripensando a<br />

quanto ci ha fatto guadagnare; avrei preferito che avessi convinto Polly,<br />

per lasciare a lei la cosa. Perciò Mardock dovrà essere eliminato.<br />

MRS PEACOCK: Io mi incarico <strong>di</strong> tenere a bada Polly, al resto, pensaci<br />

tu.<br />

ATTO I - SCENA XII<br />

Polly - monologo<br />

POLLY: Ah, sono davvero una <strong>di</strong>sgraziata! Mi sembra già <strong>di</strong> vederlo un<br />

così bel giovane travolto dalla <strong>di</strong>sgrazia della condanna alla forca. Tutti,<br />

intorno, si sciolgono in lacrime... lo stesso boia esita a compiere il suo<br />

dovere... ma io... forse potrei... sì certo lo farò... lo informerò dei loro<br />

piani e lo aiuterò nella fuga. Ma allora, se riesce a fuggire, mi sarà<br />

lontano e io sarò privata della sua compagnia... sicuramente la sua<br />

assenza farebbe sì che i miei con il tempo cambierebbero idea e noi<br />

potremmo essere felici. Se rimanesse però sarebbe impiccato e perduto<br />

per sempre!... aveva intenzione <strong>di</strong> coricarsi in camera mia e rimanere<br />

nascosto fino al calar della notte...<br />

Se i miei saranno fuori, lo farò scappare prima che succeda qualcosa<br />

che possa portarlo via da me per sempre (esce e ritorna con Mardock).<br />

– 278 –


ATTO I - SCENA XIII<br />

Polly e Mardock<br />

MARDOCK: Dimmi mia bella Polly nel mentre che ero via hai sognato<br />

altri amori?<br />

POLLY: Non c’è neanche da chiederlo puoi averne la conferma guardandomi<br />

negli occhi. E tu sei innamorato come sempre mio caro?<br />

MARDOCK: Certamente... Sarebbe come mettere in <strong>di</strong>scussione il mio<br />

onore. E sono convinto che nulla riuscirà mai a strapparmi da te. E<br />

semmai io dovessi fuggire sarei felice se tu venissi insieme a me.<br />

POLLY: Si anch’io verrei con te. Ma ahimè... come faccio a <strong>di</strong>rtelo?...<br />

dobbiamo separarci!<br />

MARDOCK: Come? Separarci?<br />

POLLY: Dobbiamo, sì, dobbiamo! Mio padre e mia madre stanno complottando<br />

contro <strong>di</strong> te; vogliono la tua pelle, e anche ora, in questo momento,<br />

vanno cercando prove a tuo carico; la tua vita è appesa a quest’istante.<br />

MARDOCK: Come fare a separarsi da te?! Sarebbe come scalare immense<br />

pareti ricoperte <strong>di</strong> specchi...<br />

POLLY: Dovrai riuscirci in qualche modo, ne va’ della tua vita, anzi della<br />

nostra! Fuggi <strong>di</strong> qui! Ancora un bacio e poi... un bacio! Parti! Ad<strong>di</strong>o!<br />

ATTO II - SCENA I<br />

Una taverna nei pressi <strong>di</strong> Newgate:<br />

Jemmy Tic, Jack Dita-adunche, Wat lo Squallido, Robin <strong>di</strong> Bagshot,<br />

Ned Arraffa, Harry Pad<strong>di</strong>ngton, Matt della Mint, Ben Palo e<br />

gli altri della banda intorno a un tavolo con vino, liquori e tabacco<br />

BEN: Dimmi un po’, Matt, che ne è <strong>di</strong> tuo fratello Tom? Non l’ho più visto.<br />

MATT: Il mio povero Tom ha avuto un incidente, sono do<strong>di</strong>ci mesi ormai;<br />

non sono riuscito a salvarlo dalle unghie <strong>di</strong> quei briganti squartatori... e<br />

adesso il poveretto è tra gli scheletri in mostra a Surgeon’s Hall.<br />

JACK: Già, a quanto pare era suonata la sua ora.<br />

JEMMY: Ma adesso questa è anche la nostra ora. Ma perché le leggi ci<br />

prendono <strong>di</strong> mira? Siamo forse più <strong>di</strong>sonesti <strong>di</strong> tutto il resto dell’umanità?<br />

Ciò che pren<strong>di</strong>amo, signori, è cosa nostra per legge <strong>di</strong> guerra e<br />

<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> conquista.<br />

JACK: Dove trovereste uomini pari a questi, superiori dal primo all’ultimo<br />

alla paura della morte?<br />

– 279 –


WAT: Uomini sal<strong>di</strong> e schietti!<br />

ROBIN: Di provato coraggio e instancabile attività!<br />

NED: Chi <strong>di</strong> noi non sarebbe pronto a morire per un amico?<br />

HARRY: Chi <strong>di</strong> noi lo tra<strong>di</strong>rebbe per il proprio interesse?<br />

ROBIN: Ditemi se c’è una banda <strong>di</strong> cortigiani che possa <strong>di</strong>re altrettanto.<br />

BEN: Noi siamo per una giusta sparizione dei beni del mondo, perché<br />

ognuno ha <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> godersi la vita.<br />

MATT: Il mondo è avaro e io detesto l’avarizia. Come la gazza, l’uomo<br />

avido nasconde ciò che non può godere, per il solo piacere <strong>di</strong> nascondere.<br />

Il denaro è stato creato per i generosi e che male c’è nel prendere agli<br />

altri ciò che non sono <strong>di</strong>sposti ad usare?<br />

JEMMY: Che la fortuna ci assista tutti... riempiamo i bicchieri!<br />

ATTO II - SCENA II<br />

I precedenti e Mardock<br />

MARDOCK: Ben trovati signori. Scusate, ma una questione improvvisa mi<br />

ha trattenuto. Niente cerimonie, vi prego.<br />

NED: Stavamo giusto separandoci per andare al lavoro. Avrò l’onore <strong>di</strong> prendere<br />

aria con voi questa sera giù nella landa? So che a quell’ora ci sono<br />

sempre viaggiatori con i quali vale la pena <strong>di</strong> scambiare quattro parole...<br />

MARDOCK: Certo, dovrei venire ma...<br />

MATT: Ma cosa signore?<br />

MARDOCK: (con aria arrabbiata) C’è qualcuno qui che mette in dubbio il<br />

mio coraggio? Oppure il mo onore e la mia fedeltà alla banda? Mi<br />

sembra <strong>di</strong> essere stato sempre equo nella <strong>di</strong>visione del bottino, o forse<br />

non la pensate così?<br />

HERRY: Questo interrogatorio fa pensare che qualcosa vi abbia messo in<br />

agitazione...qualcun <strong>di</strong> noi è sospettato dalla legge?<br />

MARDOCK: Ho un’incrollabile fiducia in voi, signori, come uomini d’onore<br />

e come tali vi apprezzo e vi rispetto, quin<strong>di</strong> non vi preoccupate... e<br />

poi possiamo contare su Peacok, è un in<strong>di</strong>viduo molto utile per noi.<br />

WAT: Ma forse sta covando qualche brutto tiro... io son capace <strong>di</strong> fargli<br />

saltare la testa...!<br />

MARDOCK: Vi prego signori, è necessario agire con la massima <strong>di</strong>screzione<br />

e serietà: lasciate le armi come ultima risorsa. I nostri affari non<br />

possono andare avanti senza <strong>di</strong> lui, saremmo rovinati. Ho avuto con lui<br />

un piccolo <strong>di</strong>sguido, ma sarà tutto chiarito nel giro <strong>di</strong> pochi giorni. Nel<br />

– 280 –


frattempo fategli credere che ho abbandonato la banda... continueremo<br />

a vederci nei nostri ritrovi segreti.<br />

MATT: I vostri or<strong>di</strong>ni saranno eseguiti, signore. Dunque a stasera, al nostro<br />

rifugio. Arrivederci.<br />

MARDOCK: Vi auguro buona fortuna (siede con aria malinconica al tavolo)<br />

(la banda carica le pistole ed esce).<br />

ATTO II - SCENA III<br />

Mardock, taverniere<br />

MARDOCK: Come <strong>di</strong>venta stupida una ragazza innamorata; Polly si è<br />

presa una maledetta cotta. A me piace il bel sesso e mi accontento <strong>di</strong><br />

ogni donna... non c’è niente <strong>di</strong> meglio per spazzar via i pensieri molesti!<br />

In questo momento il denaro non basterebbe a risollevare lo spirito...<br />

Taverniere! (entra il taverniere), avete mandato il portiere a cercare<br />

tutte le signore, secondo le mie istruzioni?<br />

TAVERNIERE: Dovrebbe essere <strong>di</strong> ritorno a momenti... ecco, qualcuna<br />

deve essere già arrivata, sento il suono del campanello (si sente il suono<br />

del campanello). Eccomi, eccomi!<br />

ATTO II - SCENA IV<br />

Mardock, la signora Blan<strong>di</strong>zia, Dolly Vacca, la signora Volpe,<br />

Betty Ganza, Jenny Crapula, la signora Ceffone,<br />

Sally Pigliatutto e Molly <strong>di</strong> Bronzo<br />

MARDOCK: Cara signora Blan<strong>di</strong>zia, benvenuta. Come siete bella oggi!...<br />

Dolly! Su, baciami sgualdrina... Signora Volpe, sono tutto vostro: Betty!<br />

sei sempre una spugna piena <strong>di</strong> alcool?... Come, c’è anche la mia bella<br />

Jenny? Signora Ceffone... più risanata e aristocratica che mai!... Eh, ma<br />

guardate, anche Sally!... Molly... (M. lo bacia). E brava. Così va bene; mi<br />

piacciono le ragazze generose. Ma ora zitte e prendete posto, signore...<br />

Taverniere! Portatemi dell’altro vino! (rivolgendosi alle signore): se<br />

qualcuna delle signore preferisce del gin, spero che saprà chiederlo<br />

senza cerimonie.<br />

JENNY: Si <strong>di</strong>rebbe che vi rivolgiate a me. Ma trovo il vino già abbastanza<br />

forte. E devo <strong>di</strong>rvi, signore, che bevo alcool solo quando ho le coliche.<br />

MARDOCK: La solita scusa delle belle signore! Certo, una dama <strong>di</strong> qualità<br />

ha sempre la colica. Spero, signora Blan<strong>di</strong>zia che i vostri affari procedano<br />

bene...<br />

– 281 –


SIGNORA BLANDIZIA: Non mi posso lamentare: solo la scorsa settimana<br />

ho portato al magazzino <strong>di</strong> Peacock una pezza <strong>di</strong> lustrino a fiorami d’argento<br />

e un’altra <strong>di</strong> velluto nero.<br />

SIGNORA VOLPE: La nostra Molly ha lo sguardo del serpente a sonagli:<br />

ha tanto affascinato un drappiere che prima <strong>di</strong> lasciarsi togliere gli occhi<br />

<strong>di</strong> dosso gli aveva fatto sparire tre pezze <strong>di</strong> tela.<br />

MOLLY: Oh, cara signora! Ma nessuno arriverà mai a eguagliarvi nell’abilità<br />

<strong>di</strong> maneggiare i pizzi. E poi la vostra voce così dolce e persuasiva!<br />

Metter nel sacco un uomo è una sciocchezza, ma una donna che riesce a<br />

ingannare un’altra donna deve essere un genio.<br />

SIGNORA VOLPE: Il pizzo, signora, occupa poco spazio e si può nascondere<br />

facilmente. Ma voi, signora siete incline a pensar troppo bene delle<br />

vostre amiche.<br />

SIGNORA BLANDIZIA: Certo, se c’è una donna che ha più abilità delle<br />

altre quella è Jenny. Anche all’uomo più seducente lei riesce a vuotare le<br />

tasche con un tale sangue freddo da far credere che il suo unico piacere<br />

sia il denaro. Questa padronanza dei propri sentimenti è una cosa rara<br />

nelle donne.<br />

JENNY: Non vado mai con un uomo alla taverna se non per affari. Per il<br />

piacere ho altre ore e altri generi <strong>di</strong> uomini. Ma se io avessi la vostra<br />

destrezza signora...<br />

MARDOCK: Smettetela <strong>di</strong> farvi complimenti, signore, e continuate a bere.<br />

Jenny, non sei più cotta <strong>di</strong> me come lo eri un tempo?<br />

JENNY: Non è opportuno, signore, esibire la mia debolezza fra tante rivali.<br />

In ogni caso ciò che conta è la vostra scelta e tutto il calore della mia<br />

passione non vi spingerebbe a decidere.<br />

MARDOCK: Ah Jenny, sei adorabile e furba.<br />

DOLLY: (a Sally): Scusate, signora, siete mai stata mantenuta?<br />

SALLY: Spero signora che voi non mi riteniate così da poco!<br />

DOLLY: Perdonatemi, non era per offendervi, si faceva così per chiacchierare.<br />

SALLY: Certo, se non fossi stata ingenua avrei potuto passarmela molto<br />

bene con il mio ultimo amico; ma per cinque sterline che si trovò in<br />

meno, mi licenziò su due pie<strong>di</strong>.<br />

SIGNORA CEFFONE: Che tipo <strong>di</strong> uomo. Secondo voi è quello che mantiene<br />

bene una donna?<br />

MOLLY: Questo, signora, <strong>di</strong>pende dal carattere.<br />

SALLY: Io mi trovo molto bene con i vecchi, perché li facciamo pagare per<br />

ciò che non consumano.<br />

– 282 –


SIGNORA VOLPE: Permettetemi <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che un giovane in gamba non è<br />

da <strong>di</strong>sprezzare: sono molto generosi con il denaro.<br />

SIGNORA BLANDIZIA: (rivolgendosi a Mardock) Ma certo voi, signore,<br />

con tutta la fortuna che avete avuto sulla strada, dovete essere immensamente<br />

ricco.<br />

MARDOCK: Lo sarei se il tavolo da gioco non fosse stato la mia rovina.<br />

Ma ora pensiamo ad altro: voglio un bacio per dar sapore al mio vino<br />

(gli gettano le braccia al collo e fanno segni a Peacock e alle guar<strong>di</strong>e<br />

<strong>di</strong> precipitargli addosso).<br />

ATTO II - SCENA V<br />

Gli stessi, Peacock e guar<strong>di</strong>e<br />

MR PEACOCK: Signore, siete in arresto come mio prigioniero!<br />

MARDOCK: Ma signore, come avete potuto prendervi gioco <strong>di</strong> me? Chi<br />

potrebbe fidarsi delle donne? Bestie, bagasce, arpie, furie, sgualdrine!<br />

MR PEACOCK: Il vostro caso, signore, non è un eccezione: anche i più<br />

gran<strong>di</strong> eroi sono stati rovinati dalle donne. Devo riconoscere che sono<br />

graziose bestioline, ma ora dovete congedarvi da queste dame (rivolgendosi<br />

alle donne): se mai aveste intenzione <strong>di</strong> fargli visita, sappiate che<br />

questo gentiluomo risiede a Newgate. Guar<strong>di</strong>e, portate via il capitano!<br />

(Esce Mardock sotto scorta, insieme con Peacock e con le guar<strong>di</strong>e; le<br />

donne rimangono).<br />

ATTO II - SCENA V bis<br />

Attore, men<strong>di</strong>cante<br />

ATTORE: Fermi tutti! Qua non ci sto capendo niente! (tutti gli attori si<br />

immobilizzano) Che sta succedendo?<br />

MENDICANTE: Cosa? Ma siete impazzito? Se vi comportate in questo<br />

modo che figura faremo con il nostro amabile pubblico?<br />

ATTORE: Avete ragione... ma ho paura <strong>di</strong> non aver compreso bene come<br />

mai Mardock sia stato arrestato? Come hanno fatto a trovarlo?<br />

MENDICANTE: Beh, se aveste portato pazienza lo avreste scoperto da<br />

solo; ma, dato che ormai avete combinato questo guaio, sono costretto<br />

ad intervenire nuovamente... non fraintendetemi... per il mio pubblico...<br />

(interviene l’attore facendo finta <strong>di</strong> schiarirsi la voce) “...EHM, EHM”<br />

(riprende il men<strong>di</strong>cante correggendosi) ...eh... volevo <strong>di</strong>re per il NO-<br />

STRO pubblico... farei <strong>di</strong> tutto; perché mi <strong>di</strong>spiacerebbe se trovasse poco<br />

– 283 –


chiari alcuni passaggi.<br />

Dunque, le cose sono andate così: Mr Peacock e Lockit sono riusciti a<br />

catturare Mardock solo grazie all’aiuto <strong>di</strong> queste gentili signore: Jenny<br />

Crapula e Sally Pigliatutto. E le nostre dame sono state molto liete <strong>di</strong><br />

aiutare i due signori, ovviamente grazie ad un generoso compenso <strong>di</strong><br />

Mr Peacock!<br />

ATTORE: Ah, ora è tutto chiaro!<br />

MENDICANTE: Beh, spero che anche il nostro CARISSIMO pubblico sia<br />

del tuo stesso parere! Ma ora penso che lo spettacolo possa continuare...<br />

ATTORE: Sì, e credo che io debba scusarmi con i nostri spettatori, se sono<br />

stato così sgarbato nell’interrompere la comme<strong>di</strong>a.<br />

MENDICANTE: Dunque an<strong>di</strong>amo, mio buon attore, e stiamo a vedere cosa<br />

succede...<br />

ATTO II - SCENA VI<br />

SIGNORA VOLPE: Sentite, signorina Jenny, anche se il signor Peacock<br />

avesse stabilito con voi e Sally un contratto per catturare il capitano, dal<br />

momento che tutte abbiamo contribuito, si dovrebbe <strong>di</strong>videre in parti<br />

uguali.<br />

SIGNORA BLANDIZIA: Sono perfettamente d’accordo con voi, signora<br />

Volpe. Il signor Peacock avrebbe potuto fidarsi <strong>di</strong> me quanto <strong>di</strong> Jenny.<br />

JENNY: E io posso <strong>di</strong>re che tre dei suoi impiccati dovrebbe accre<strong>di</strong>tarli sul<br />

mio conto.<br />

MOLLY: Signora Ceffone, così non va bene, perché lo sapete che uno <strong>di</strong><br />

quelli è stato preso mentre era a letto con me.<br />

JENNY: Finché si tratta <strong>di</strong> un bicchiere <strong>di</strong> vino sono certa che la signora<br />

Sally sarà del mio stesso avviso, ma se volete dell’altro, signore mie,<br />

allora rimarrete deluse (escono con molti complimenti).<br />

SIGNORA CEFFONE: Cara signora... (mandando avanti l’altra).<br />

DOLLY: Per nulla al mondo vorrei... (rifiutandosi <strong>di</strong> passare).<br />

SIGNORA CEFFONE: Già, allora mi toccherà star qui tutta la notte...<br />

DOLLY: Dal momento che mi comandate... (esce, seguita dalla signora<br />

Ceffone e poi dalle altre).<br />

ATTO II - SCENA VII<br />

La prigione <strong>di</strong> Negate; Mardock<br />

MARDOCK: In che spaventosa situazione mi sono cacciato! Ora dovrò<br />

stare qui recluso, giorno dopo giorno, aspettando la forca. Tutto questo<br />

– 284 –


per colpa <strong>di</strong> Polly e <strong>di</strong> suo padre!... Ma alla ragazza ho promesso il matrimonio...<br />

e che significa poi promettere ad una donna? Nel matrimonio<br />

stesso l’uomo promette una serie <strong>di</strong> cose che poi non manterrà.<br />

Nonostante quello che noi facciamo le donne vogliono crederci ad ogni<br />

costo! Oh no, arriva Lucy... e io non posso andarmene... come vorrei<br />

esser sordo!<br />

LUCY: Eccoti, ignobile uomo! Come osi guardarmi in faccia dopo ciò che<br />

c’è stato fra noi? Miserabile, perfido in<strong>di</strong>viduo! Tu mi hai rubato la<br />

pace; non avrò altra gioia se non quella <strong>di</strong> vederti alla tortura!<br />

MARDOCK: Non provi nessuna pietà del tuo povero marito ridotto in<br />

questo stato?<br />

LUCY: Mio marito?<br />

MARDOCK: Sotto ogni aspetto mia cara, tranne che per la formula... la<br />

quale, però, può essere pronunciata in qualsiasi momento... per un<br />

uomo d’onore la parola vale come contratto.<br />

LUCY: Per voi uomini è un <strong>di</strong>vertimento insultare le donne che avete rovinato.<br />

MARDOCK: Alla prima occasione, mia cara, sarai mia moglie nel modo<br />

che più ti piacerà.<br />

LUCY: Viscido mostro! E cre<strong>di</strong> che io non sappia niente della tua storia con<br />

madamigella Polly Peacock? Mi verrebbe da strapparti gli occhi!<br />

MARDOCK: Ma davvero, Lucy, non sarai così ingenua da essere gelosa <strong>di</strong><br />

Polly!<br />

LUCY: E tu, tu bruto non l’hai forse sposata?<br />

MARDOCK: Già sposata, che bella storia! La ragazza lo <strong>di</strong>ce in giro solo<br />

per far <strong>di</strong>spetto a te e per scre<strong>di</strong>tarmi ai tuoi occhi! È vero che vado in<br />

casa sua, chiacchiero con lei, la bacio, le <strong>di</strong>co mille sciocchezze senza<br />

senso, come fanno tutti gli uomini per bene, ma è solo per <strong>di</strong>strarmi. E<br />

adesso quell’ochetta sparge la voce che io l’ho sposata!!!<br />

LUCY: Su, su capitano. Sapete benissimo che la signorina Polly vi ha tolto<br />

ogni possibilità <strong>di</strong> riparare come mi avete promesso.<br />

MARDOCK: Una donna gelosa crede tutto ciò che la collera le suggerisce.<br />

Appena potrò ti farò mia moglie! E sai cosa vorrebbe <strong>di</strong>re averne<br />

due!<br />

LUCY: Ovvero essere impiccato e così reso libero da tutte e due!<br />

MARDOCK: Eccomi pronto, mia cara Lucy, a darti sod<strong>di</strong>sfazione... se cre<strong>di</strong><br />

che nel matrimonio ce ne sia.<br />

LUCY: Vorresti proprio <strong>di</strong>rmi che non sei sposato con Polly?<br />

– 285 –


MARDOCK: Lo sai anche tu Lucy, la ragazza è molto presuntuosa: un<br />

uomo non può <strong>di</strong>rle una parola gentile che lei pensa subito <strong>di</strong> averlo<br />

conquistato per sempre. Le donne sono tutte ugualmente irragionevoli<br />

nelle loro esigenze, perché si aspettano <strong>di</strong> essere amate tanto a lungo<br />

quanto ameranno se stesse.<br />

LUCY: (tra se e se): Vedo laggiù mio padre... forse incontreremo anche un<br />

cappellano... magari, se messo alla prova, saprà mantenere la sua promessa...<br />

io sono impaziente <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare una donna onesta.<br />

ATTO II - SCENA VIII<br />

Mr Peacock e Lockit<br />

MR PEACOCK: Allora per la taglia è tutto risolto?<br />

LOCKIT: (esitando) Sì... <strong>di</strong>ciamo <strong>di</strong> sì... però c’è qualcosa ancora da sistemare...<br />

MR PEACOCK: Ma come pensavo fosse già tutto risolto... vi state prendendo<br />

gioco <strong>di</strong> me?<br />

LOCKIT: Signor Peacock, è la prima volta che la mia parola viene messa in<br />

dubbio!<br />

MR PEACOCK: Basta agire poco onorevolmente una sola volta, e i nostri<br />

rapporti d’affari cessano <strong>di</strong> colpo.<br />

LOCKIT: Ma come?! Mi state accusando?<br />

MR PEACOCK: Non attribuitemi parole che non ho detto!<br />

LOCKIT: Questo modo d’agire non posso tollerarlo. Mi sento offeso nell’onore!<br />

MR PEACOCK: Come osi parlarmi in questo modo!<br />

(prendendosi per il collo)<br />

LOCKIT: Dovresti solo ringraziarmi per averti salvato dalla forca...<br />

MR PEACOCK: Ringraziare un furfante del genere?<br />

LOCKIT: Compare, compare, fermatevi. Siamo entrambi dalla parte del<br />

torto, e nel litigio ci rimettiamo allo stesso modo... sapete perfettamente<br />

che ognuno <strong>di</strong> noi ha il potere <strong>di</strong> mandare l’altro sulla forca.<br />

MR PEACOCK: (ricomponendosi) Avete ragione, non dovremmo lasciarci<br />

prendere così dalla collera...<br />

LOCKIT: È nostro reciproco interesse andare d’accordo. Se ho detto qualcosa<br />

<strong>di</strong> offensivo nei vostri riguar<strong>di</strong> vi chiedo perdono.<br />

MR PEACOCK: Se so arrabbiarmi saprò <strong>di</strong> certo anche perdonare... stringiamoci<br />

la mano da buoni soci. Ma ora devo andare.<br />

– 286 –


ATTO II - SCENA IX<br />

Lockit e Lucy<br />

LOCKIT: Da dove vieni, tu?<br />

LUCY: Le mie lacrime dovrebbero risponderti.<br />

LOCKIT: Sei andata a piangere da quel tipo che ti ha rovinata?<br />

LUCY: Lo sai che all’amore non si comanda. Non posso o<strong>di</strong>are lui per obbe<strong>di</strong>re<br />

a te.<br />

LOCKIT: Impara a rassegnarti alla morte <strong>di</strong> tuo marito, ormai non è più <strong>di</strong><br />

moda provare tanto dolore in simili occasioni. Nessuna <strong>di</strong> voi si sposerebbe<br />

se non potesse sperare <strong>di</strong> liberarsi del proprio sposo prima o poi.<br />

Ringrazia anzi tuo padre per ciò che sta facendo.<br />

Sentimi bene, Lucy, per te non c’è altro da fare che comportarti come le<br />

altre vedove: comprati i vestiti a lutto e cerca <strong>di</strong> consolarti cavandogli<br />

tutto ciò che puoi.<br />

ATTO II - SCENA X<br />

Lucy e Mardock<br />

LUCY: O<strong>di</strong>o mio padre! Ha proprio un cuore <strong>di</strong> pietra!<br />

MARDOCK: Pensi che non lo si possa corrompere in alcun modo? In affari<br />

il più efficace <strong>di</strong> tutti gli argomenti è sempre la busta: il denaro può tutto!<br />

LUCY: Tutto ciò che il denaro può fare sarà fatto!<br />

ATTO II - SCENA XI<br />

Lucy, Mardock e Polly<br />

POLLY: Dov’è il mio <strong>di</strong>letto marito? Ma perché mi volti la schiena? Sono<br />

la tua Polly... Tua moglie.<br />

MARDOCK: Si è mai visto un uomo più sfortunato <strong>di</strong> me?<br />

LUCY: Si è mai visto un delinquente simile?<br />

POLLY: Era per questo che dovevamo separarci? Arrestato, imprigionato,<br />

impiccato! Rimarrò con te fino alla morte... Ma cos’è per te il mio<br />

amore? Pensa alle sofferenze della tua Polly che ti vede in questo stato!<br />

LUCY: Infame! Tra<strong>di</strong>tore! Gli uomini devono essere nati per mentire e le<br />

donne per credere alle loro bugie.<br />

POLLY: Non sono forse tua moglie!? Sangue e carne si rivoltano per la tua<br />

in<strong>di</strong>fferenza!<br />

LUCY: Perfido cane!<br />

– 287 –


POLLY: Stupido incosciente!<br />

LUCY: Se ti avessero impiccato cinque mesi fa mi avresti risparmiato<br />

preoccupazioni inutili!<br />

POLLY: E pure a me! Sarebbero bastati un po’ più <strong>di</strong> rispetto e attenzione<br />

come si deve ad una moglie.<br />

LUCY: Ma allora sei sposato con un’altra! Hai davvero due mogli sciagurato?<br />

MARDOCK: Chiudete il becco e lasciatemi parlare!<br />

LUCY: Non posso... Non ti lascio questa sod<strong>di</strong>sfazione!<br />

POLLY: La giustizia mi impone <strong>di</strong> parlare! Sono io colei che ha più <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> essere tua moglie... Scegli me e allontana questa povera illusa!<br />

LUCY: Infame! Non c’è peggior pettegola <strong>di</strong> te! Se potessi ti manderei alla<br />

forca insieme a quell’insolente!<br />

POLLY: Son truffata!<br />

LUCY: Son truffata!<br />

POLLY: Ferita!<br />

LUCY: Insultata!<br />

MARDOCK: Calma mia cara Lucy, questo non è che un trucco <strong>di</strong> Polly per<br />

rendermi furioso contro <strong>di</strong> te. E poi Polly non è questo il momento <strong>di</strong><br />

fare simili <strong>di</strong>scussioni: mentre voi parlate <strong>di</strong> matrimonio io non penso<br />

che alla forca.<br />

LUCY: In realtà la signorina Peacock non fa altro che mettersi in ri<strong>di</strong>colo;<br />

(rivolta a Polly) Per <strong>di</strong> più, è crudele da parte vostra tormentare un gentiluomo<br />

nelle sue con<strong>di</strong>zioni.<br />

POLLY: Voi invece dovreste imparare a mantenere un comportamento più decoroso<br />

nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> un uomo sposato, almeno finché è presente la moglie.<br />

LUCY: Madama civetta!<br />

POLLY: Silenzio sgualdrina!<br />

ATTO II - SCENA XII<br />

Lucy, Mardock, Polly, Peacock<br />

MR PEACOCK: Impudente che non sei altro... Vieni a casa sciagurata!<br />

E quando quel tuo lazzarone sarà impiccato, impiccati anche tu per<br />

risarcire un po’ la tua famiglia!<br />

POLLY: Mio caro padre non strappatemi da lui... (a Mardock) Legatemi a<br />

voi con catene, che nessuno possa liberarmene!<br />

MR PEACOCK: Via <strong>di</strong> qui! E tieni chiusa la bocca, ormai sei mia prigioniera,<br />

svergognata!<br />

– 288 –


ATTO II - SCENA XIII<br />

Lucy, Mardock<br />

MARDOCK: Mia cara moglie il mio temperamento troppo compassionevole<br />

non mi ha permesso <strong>di</strong> trattare quella ragazza come si meritava e<br />

hai potuto sospettare che tra noi due ci fosse qualcosa.<br />

LUCY: Infatti mio caro ero molto perplessa.<br />

MARDOCK: Se nelle sue parole ci fosse qualcosa <strong>di</strong> vero suo padre non mi<br />

avrebbe ridotto in questo stato.<br />

LUCY: Sono felice <strong>di</strong> sentirti <strong>di</strong>re queste parole... Io ti amo talmente che<br />

vorrei piuttosto vederti impiccato anziché nelle braccia <strong>di</strong> un altro!<br />

MARDOCK: Dunque sopporteresti <strong>di</strong> vedermi pendere dalla forca!<br />

LUCY: Non potrei certo vivere fino a vedere quel giorno!<br />

MARDOCK: Ve<strong>di</strong>, mia Lucy, nel bilancio dell’amore sei tu in debito verso<br />

<strong>di</strong> me. Ren<strong>di</strong>mi invece tuo debitore a vita aiutandomi... Se non lo farai<br />

il signor Peacock e tuo padre mi renderanno subito impossibile la fuga.<br />

LUCY: So per certo che mio padre si è fatto una gran bevuta con i suoi prigionieri<br />

e immagino che ora si stia riposando in camera sua. Se riesco<br />

a procurarmi le chiavi, potrò scappare con te?<br />

MARDOCK: Insieme ci sarebbe impossibile nasconderci!<br />

LUCY: Anche se non mi ami abbi riconoscenza per me: quella Polly non<br />

riesco a togliermela dalla testa...<br />

MARDOCK: Smettila adesso <strong>di</strong> pensare a lei e cerca piuttosto <strong>di</strong> aiutarmi<br />

ad uscire <strong>di</strong> qui.<br />

ATTO III - SCENA I<br />

Lockit e Lucy<br />

LOCKIT: È chiaro, bastarda, che sei tu la complice della sua fuga.<br />

LUCY: Ma Mr. Peacock e sua figlia Polly sono stati qui a trovarlo e quelli<br />

certo conoscono i meandri <strong>di</strong> Newgate come se vi fossero nati. Perché<br />

dovreste sospettare solo <strong>di</strong> me?<br />

LOCKIT: Non mi imbrogli con queste parole.<br />

LUCY: Che io possa finire sul rogo se so qualcosa!<br />

LOCKIT: Se ti scal<strong>di</strong> d’animo così facilmente dovrò sospettare la tua colpevolezza.<br />

LUCY: Cosa potrei fare per convincervi che non è così?<br />

LOCKIT: Se almeno avesse dato una buona mancia forse saresti riuscita a<br />

fare un affare migliore del mio.<br />

– 289 –


LUCY: Ma sapete benissimo che sono innamorata <strong>di</strong> lui e avrei pagato <strong>di</strong><br />

tasca mia per tenerlo con me.<br />

LOCKIT: Ah Lucy, eppure l’educazione che hai ricevuto avrebbe dovuto<br />

farti stare più in guar<strong>di</strong>a! Lo sai che una ragazza al banco <strong>di</strong> una birreria<br />

è sempre asse<strong>di</strong>ata dagli uomini...<br />

LUCY: Non parliamo della mia educazione perché è stata proprio questa la<br />

mia rovina!<br />

LOCKIT: E così lo hai fatto anche scappare, eh, bastarda?<br />

LUCY: Quando una donna è innamorata, basta uno sguardo o una parola<br />

gentile a indurla a fare qualsiasi cosa... E non ho avuto il coraggio <strong>di</strong><br />

chiedere anche un compenso.<br />

LOCKIT: Tu non sarai mai altro che una volgare sgualdrina, Lucy. Non<br />

devi fare mai niente se non per denaro.<br />

LUCY: Ma l’amore è una <strong>di</strong>sgrazia che può capitare anche alla donna più<br />

assennata; Malgrado i suoi giuramenti, sono ormai convinta che Polly<br />

sia davvero sua moglie. E io l’ho fatto scappare perché andasse da lei!<br />

Ora Polly con le sue moine riuscirà a carpirgli denaro o un testamento e<br />

Peacock lo farà impiccare... così saremo truffati tutti e due!<br />

LOCKIT: Così io dovrei andare in rovina perché tu non resisti all’amore?!<br />

LUCY: Mi sentirei <strong>di</strong> ammazzarla quella impudente sgualdrina per <strong>di</strong> più<br />

fortunata!<br />

LOCKIT: Dopo questo <strong>di</strong>sastro devo anche subire i tuoi miagolii da gatta<br />

in calore?! Fuori dai pie<strong>di</strong> puttana! Un bel po’ <strong>di</strong> frustate ti rinfrescheranno<br />

le idee.<br />

ATTO III - SCENA II<br />

Lockit<br />

LOCKIT: Peacock vorrà fare il furbo in questa faccenda ma con me troverà<br />

pan per focaccia. Ognuno <strong>di</strong> noi approfitta del vicino eppure viviamo<br />

tutti insieme. E adesso vedremo chi dei due la farà all’altro. (Entra<br />

Lucy) C’è qualcuno della banda Peacock in casa?<br />

LUCY: C’è Filch, padre, qui nella camera accanto.<br />

LOCKIT: Và a <strong>di</strong>rgli che venga da me.<br />

ATTO III - SCENA III<br />

Lockit e Filch<br />

LOCKIT: Ehi, ragazzo, hai l’aria <strong>di</strong> un morto <strong>di</strong> fame.<br />

– 290 –


FILCH: Sono stato molto occupato negli ultimi tempi... da quando il<br />

miglior maschio si è infortunato ho cercato <strong>di</strong> farmi un gruzzoletto<br />

aiutando le signore a farsi crescere la pancia prima del processo, per<br />

evitare la condanna. Spero che ci sia un modo più semplice per guadagnare<br />

perché sono veramente stremato!<br />

LOCKIT: Proprio vero: se quell’uomo dovesse soccombere, sarebbe una<br />

per<strong>di</strong>ta irreparabile. Ma <strong>di</strong>mmi, ragazzo, dove si trova il tuo padrone in<br />

questo momento?<br />

FILCH: Al magazzino fuori città, signore.<br />

LOCKIT: Molto bene, non mi occorre altro da te. (Filch esce) Andrò io da<br />

lui e troverò il modo <strong>di</strong> scoprire il suo segreto... Mardock non deve<br />

rimanere un giorno <strong>di</strong> più fuori delle mie grinfie.<br />

ATTO III - SCENA IV<br />

Mardock con un bel mantello ricamato, Ben Palo, Matt della Mint<br />

MARDOCK: Sono desolato, signori, che la strada vi sia stata così avara <strong>di</strong><br />

quattrini; quando i miei amici si trovano in <strong>di</strong>fficoltà sono sempre<br />

pronto ad aiutarli. (Distribuisce del denaro) Finché potrò esservi utile<br />

voi potrete approfittarne.<br />

BEN: Mi fa male al cuore pensare che un uomo così generoso sia immischiato<br />

in tali affari...<br />

MARDOCK: Questa notte a Marybone si giocherà forte... è una buona<br />

occasione per guadagnar quattrini. Raggiungetemi e vi <strong>di</strong>rò <strong>di</strong> chi dovete<br />

occuparvi.<br />

BEN: Potete stare certo, signore, che ci metteremo sotto la vostra guida.<br />

MARDOCK: Tenete d’occhio quelli che prestano su pegno. Ma sento baccano<br />

qui accanto... La compagnia deve essersi riunita nell’altra stanza.<br />

Dunque, signori, vi saluto. Ci ve<strong>di</strong>amo a Marybone.<br />

ATTO III - SCENA IV<br />

Il magazzino <strong>di</strong> Peacock. Un tavolo imban<strong>di</strong>to (vino e tabacco)<br />

LOCKIT: Uno strascico <strong>di</strong> broccato finissimo... questo a quel che vedo è<br />

stato venduto.<br />

MR PEACOCK: Alla signora Diana Trappola, la merciaia, e saprà utilizzarlo<br />

molto bene.<br />

Come potete vedere ci sarebbe anche altra merce da esportare... ma ci<br />

occorrerebbe l’intera giornata per organizzare il tutto.<br />

– 291 –


LOCKIT: Allora a domani gli affari, oggi vogliamo il piacere: taverniere,<br />

...TAVERNIERE!<br />

TAVERNIERE: Ditemi signori!<br />

LOCKIT: Portateci altra roba da bere!... Tornando a noi... (rivolto a Mr<br />

Peacock)... Pensate a tener d’occhio vostra figlia Polly e vedrete che<br />

fra un paio <strong>di</strong> giorni Mardock sarà <strong>di</strong> nuovo nelle nostre mani.<br />

MR PEACOCK: A che serve tener d’occhio Polly se poi tanto ci pensa<br />

Lucy a farlo scappare <strong>di</strong> prigione?<br />

LOCKIT: Non vi preoccupate per mia figlia la terrò a bada io.<br />

TAVERNIERE: (porta da bere) Ecco a voi signori... volevo avvertirvi che<br />

qui fuori c’è la signora Diana Trappola che chiede <strong>di</strong> parlarvi... posso<br />

farla entrare?<br />

LOCKIT: Ma certo, falla accomodare.<br />

DIANA: (irrompe nella scena senza aspettare <strong>di</strong> essere chiamata) Ho già<br />

aspettato abbastanza... o<strong>di</strong>o le attese. (prende una se<strong>di</strong>a e si accomoda<br />

al loro tavolo) Taverniere... Portami uno dei tuoi liquori migliori, sono<br />

sempre stata molto esigente in quest’ambito.<br />

TAVERNIERE: Subito signora. Resterà sod<strong>di</strong>sfatta dei miei liquori. (esce)<br />

MR PEACOCK: Parli del <strong>di</strong>avolo e spuntano le corna...<br />

DIANA: Deduco che stavate parlando <strong>di</strong> me...<br />

LOCKIT: Beh, come non parlare <strong>di</strong> una persona capace <strong>di</strong> bere e chiacchierare<br />

con tanta <strong>di</strong>sinvoltura! Una cliente davvero eccezionale...<br />

DIANA: Appunto... Signor Peacock, sono venuta fin qui per parlare d’affari.<br />

In questo momento tutte le mie clienti fanno pazzie per le vesti da<br />

lutto. Dunque, se avete della roba nera <strong>di</strong> qualsiasi genere fatemela<br />

avere al più presto.<br />

MR PEACOCK: Sentite signora, voi pretendete prezzi talmente bassi che<br />

non ci rimane quasi niente da dare a chi ci procura la merce.<br />

marito a ciascuna <strong>di</strong> voi!<br />

SIGNORA TRAPPOLA: È colpa dei tempi duri, che mi obbligano a badare<br />

al centesimo. Devo <strong>di</strong>rvi che in questi ultimi anni sono stata una<br />

grande vittima del Parlamento: tremila sterline basterebbero appena a<br />

risarcirmi. Inoltre, la legge per abolire il <strong>di</strong>ritto d’asilo è stato un grave<br />

colpo per il nostro giro d’affari; prima, se una cliente spariva, sapevamo<br />

dove andare a cercarla... conoscete certo la signora Blan<strong>di</strong>zia...<br />

ecco una, per esempio, che tutt’oggi porta un mio bellissimo completo<br />

e da più <strong>di</strong> tre mesi non riesco a metterle gli occhi addosso. E poi,<br />

anche quella legge contro la prigione per piccoli furti mi ha procurato<br />

– 292 –


per<strong>di</strong>te considerevoli! E come no, se una cliente può portarsi via un bel<br />

capo rimesso a nuovo, senza che io abbia il minimo appiglio per farla<br />

pagare? E, sull’onor mio, ormai le signore provano un gusto matto nel<br />

truffare la gente, visto che lo possono fare senza rimetterci nulla.<br />

MR PEACOCK: Signora, l’altro giorno vi siete presa qui uno splen<strong>di</strong>do<br />

orologio... e... beh... anche noi vorremmo guadagnarci qualcosa...<br />

SIGNORA TRAPPOLA: Ma voi dovete pensare signor Peacock, che quell’orologio<br />

era troppo vistoso e quin<strong>di</strong> rischioso da vendere. Ora, se<br />

avete delle belle sciarpe <strong>di</strong> velluto nero, quelle, d’inverno si portano<br />

molto e piacciono ai gentiluomini che frequentano le mie signore. È<br />

per merito mio che queste donne si fanno una posizione: non è gioventù<br />

o bellezza che stabilisce il prezzo. I gentiluomini pagano sempre<br />

secondo il vestito, eppure quelle svergognate, quando possono, mi truffano;<br />

senza contare poi gli incidenti: tra onorari e spese varie, le uscite<br />

sono maggiori delle entrate; per un mese almeno non avrò nulla da<br />

spendere in vestiti. Eh, corriamo dei grossi rischi, rischi enormi davvero.<br />

MR PEACOCK: Se ben ricordo, poco fa avete accennato alla signora<br />

Blan<strong>di</strong>zia.<br />

SIGNORA TRAPPOLA: Sissignore, non più <strong>di</strong> due ore fa, le ho tolto <strong>di</strong><br />

dosso con queste mani un mio completo, e l’ho lasciata, come <strong>di</strong> dovere,<br />

in camicia con un suo amante in casa mia. Lo ha chiamato lei dalla mia<br />

finestra, mentre passava. Spero, per il suo bene ed il mio, che persuaderà<br />

il capitano a riscattarla. Lui, sì, è un gentiluomo molto generoso con le<br />

signore.<br />

LOCKIT: Che capitano?<br />

SIGNORA TRAPPOLA: Eh, lui credeva che io non lo conoscessi. È un<br />

vostro intimo amico, signor Peacock... nient’altro che il capitano<br />

MARDOCK... splen<strong>di</strong>do come un lord.<br />

MR PEACOCK: Ma siete certa che fosse proprio lui?<br />

SIGNORA TRAPPOLA: Anche se lui crede che io l’abbia <strong>di</strong>menticato,<br />

nessuno lo conosce meglio <strong>di</strong> me. Un bel po’ <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> Mardock, in<br />

altri tempi, sono passati nelle mie tasche <strong>di</strong> seconda mano. Ha sempre<br />

avuto la passione dei bei vestiti anche per le sue donne.<br />

MR PEACOCK: Il signor Lockit ed io abbiamo un piccolo affare da sistemare<br />

col capitano... voi mi capite... il debito con la signora Blan<strong>di</strong>zia ve<br />

lo salderemo noi.<br />

LOCKIT: Ci potete contare, tratteremo le cose da uomini d’onore.<br />

– 293 –


SIGNORA TRAPPOLA: Io non mi immischio nei fatti vostri... qualunque<br />

cosa accada, io me ne lavo le mani. D’altronde la mia massima è che<br />

l’amico deve aiutare l’amico. Ma se non vi <strong>di</strong>spiace mi porterò a casa una<br />

<strong>di</strong> queste sciarpe; è sempre meglio avere qualcosa in mano. (Mr Peacock<br />

e Lockit si alzano per salutare la signora, mentre lei se ne va prendendo<br />

la sciarpa, con aria altezzosa).<br />

ATTO III - SCENA VI<br />

Lucy e Polly<br />

LUCY: Sono furiosa! Anzi, sconvolta! Anzi no, <strong>di</strong>laniata! Per fortuna ho qui<br />

pronto il veleno per topi... da dare a Polly! So <strong>di</strong> non correre rischi,<br />

perché <strong>di</strong>rò che è morta per il troppo bere, ed è una morte così comune<br />

e naturale che nessuno penserà <strong>di</strong> accusare me. Ma se, tanto per <strong>di</strong>re,<br />

dovessi finire impiccata, niente potrebbe consolarmi quanto il pensiero<br />

<strong>di</strong> essere sulla forca per aver avvelenato quella donnaccia! (entra Filch)<br />

FILCH: Signora, qui c’è la signorina Polly, venuta a farvi visita.<br />

LUCY: Fatela entrare (entra Polly). Cara signora, sono vostra serva. Spero<br />

vorrete perdonare l’inaccettabile comportamento che ho avuto l’ultima<br />

volta nei vostri confronti... ma, capirete che ero proprio sconvolta... spero<br />

comunque che le nostre <strong>di</strong>vergenze possano avere una soluzione felice...<br />

POLLY: Io stessa non trovo scuse per il mio comportamento, signora; ma<br />

capirete le mie <strong>di</strong>sgrazie... e sinceramente, soffro anche per le vostre.<br />

LUCY: Ma ora non pensiamoci più... posso offrirvi un bicchierino <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>ale?<br />

POLLY: Spero, signora cara, che vorrete scusarmi se mi trovo costretta a<br />

rifiutare: l’alcool mi da il mal <strong>di</strong> testa.<br />

LUCY: Mi sembrate molto giù <strong>di</strong> corda mia cara... e non c’è niente <strong>di</strong> meglio<br />

per tirarsi un po’ su!<br />

POLLY: Sono desolata signora, ma proprio non posso accettare... e scusatemi<br />

ancora sè altra volta vi ho offeso usando qualche espressione un<br />

pochino... hem... irrispettosa, ma il capitano mi ha trattato con tanta crudeltà<br />

che sento <strong>di</strong> meritare la vostra pietà, anziché il vostro risentimento.<br />

LUCY: E allora, mia cara, le nostre vicende sono identiche: tutte e due<br />

siamo state troppo innamorate e trattate ingiustamente.<br />

POLLY: Ma che può fare la donna in amore?<br />

LUCY: Se li amiamo ci scansano.<br />

POLLY: Se li fuggiamo ci inseguono.<br />

– 294 –


LUCY: Ma se ci prendono ci lasciano... l’amore è talmente capriccioso, è<br />

impossibile che duri per lungo tempo.<br />

POLLY: Gli esseri infi<strong>di</strong>, sia uomini che donne, non amano che se stessi, ed<br />

è un amore <strong>di</strong> cui nessuno può privarli... ho paura, mia cara, che nostro<br />

marito sia uno <strong>di</strong> quelli.<br />

LUCY: Ma su, cara Polly, basta con questi <strong>di</strong>scorsi malinconici... tutte e due<br />

abbiamo bisogno <strong>di</strong> bere qualcosa... vi prego, non rifiutate... sono certa<br />

che vi farà un gran bene (a parte, verso il pubblico) ...<strong>di</strong> sicuro farà meglio<br />

a me che a lei!... (esce)<br />

POLLY: Tutte queste moine da parte <strong>di</strong> Lucy devono avere uno scopo... non<br />

mi convince affatto. Forse, facendomi bere, spera <strong>di</strong> spremermi qualche<br />

segreto... ma io ho capito il suo piano e non assaggerò nemmeno una<br />

goccia del suo liquore!<br />

ATTO III - SCENA VII<br />

Lucy e Polly<br />

LUCY: Su coraggio, signora Polly, fate tanto la schizzinosa davanti a un<br />

bicchierino <strong>di</strong> vino da sembrare una dama che si trova con gente sconosciuta.<br />

Vi giuro, mia cara, che mi offenderò terribilmente se vi rifiutate...<br />

e poi noi donne an<strong>di</strong>amo pazze per alcool e uomini!<br />

POLLY: E io vi assicuro, signora, che non lo posso sopportare... (entra<br />

Filch).<br />

FILCH: Signore, è appena giunta la notizia che il capitano Mardock è stato<br />

arrestato... e presto verrà portato sulla forca (esce).<br />

POLLY: Come? Arrestato? Ormai anche la minima scintilla <strong>di</strong> felicità si è<br />

spenta! (lascia cadere a terra il bicchiere con il vino).<br />

LUCY: (a parte) Visto che le cose stanno così, non mi <strong>di</strong>spiace che la ragazza<br />

l’abbia scampata... non era abbastanza felice da meritare <strong>di</strong> essere<br />

avvelenata.<br />

ATTO III - SCENA VIII<br />

Lockit, Mardock, Peacock, Lucy e Polly<br />

LOCKIT: Mettetevi il cuore in pace, capitano: ormai non potete più scappare;<br />

abbiamo avuto l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> trasferirvi imme<strong>di</strong>atamente al processo.<br />

MR PEACOCK: E voi sgualdrine andate via! (rivolto a Lucy e Polly) Non è<br />

questo il momento <strong>di</strong> tormentare un marito... non vedete che è <strong>di</strong> nuovo<br />

ammanettato?<br />

– 295 –


LUCY: Oh marito mio! Vederti in questo stato mi fa impazzire!<br />

POLLY: Mio caro, perché non hai pensato a me per trovare rifugio? Di<br />

sicuro con me saresti stato in salvo.<br />

LUCY: Ti prego, volgi gli occhi alla tua bellissima Lucy...<br />

POLLY: No, guarda la tua dolce Polly...<br />

LUCY: (con voce scocciata verso Polly) Lucy ti invoca...<br />

POLLY: (idem, verso Lucy) Polly ti parla...<br />

MARDOCK: E che volete che vi <strong>di</strong>ca, signore mie? Calmatevi, tra breve<br />

sarà risolto tutto senza che io faccia torto né a l’una né all’altra.<br />

MR PEACOCK: però, capitano, se almeno vi decideste a sceglierne una, ci<br />

risparmieremmo tutti la lagna <strong>di</strong> queste due!<br />

POLLY: (a Peacock) Mio buon padre, vi prego, fate sparire le prove a suo<br />

carico e fatelo assolvere! (a parte) ...così almeno sceglierà me!<br />

LUCY: Signore, abbiate pietà <strong>di</strong> una figlia; le prove contro <strong>di</strong> lui sono in<br />

mano vostra, liberatelo vi prego! (a parte) ...Così almeno vorrà me<br />

come moglie!<br />

LOCKIT: Lucy, questo è affar nostro ora. Quin<strong>di</strong> non frastornarci con pianti<br />

e lamentele!<br />

MR PEACOCK: Anche tu Polly, mettiti il cuore in pace: tuo marito oggi<br />

dovrà morire, quin<strong>di</strong> cercatene un altro!<br />

LOCKIT: Ecco, siamo pronti ad accompagnarvi alla forca! (a Mardock)<br />

MARDOCK: Va bene, signori, sono a vostra <strong>di</strong>sposizione (escono tutti<br />

tranne Polly, Lucy e Filch).<br />

POLLY: Filch, seguili in tribunale, e quando il processo sarà finito, torna a<br />

riferirmi tutto quello che è stato detto; mi troverai qui con Lucy.<br />

FILCH: Subito signora! (esce).<br />

LUCY: Ritiriamoci mia cara Polly e abbandoniamoci al nostro dolore.<br />

(escono)<br />

ATTO III - SCENA IX<br />

Nella cella dei condannati a morte Mardock<br />

MARDOCK: Oh me sciagurato! Rinchiuso in questa cella sapendo che<br />

presto non sarò più in questo mondo, l’unico conforto è un bicchierino<br />

o più del mio amato liquore (beve) ...l’unica cosa che devo fare ora è<br />

non far vedere agli altri che tremo dalla paura... (beve).<br />

CARCERIERE: Ci sono dei vostri amici, capitano, che chiedono <strong>di</strong> entrare,<br />

vi lascio con loro.<br />

– 296 –


ATTO III - SCENA X<br />

Mardock, Ben Palo e Matt della Mint<br />

MARDOCK: Vedete, signori, per essere evaso dal carcere, mi sono guadagnato<br />

l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata esecuzione. Una cosa che mi sorprende è<br />

che sia stato proprio Jemmy Tic a deporre contro <strong>di</strong> me, è una prova che<br />

perfino nella nostra banda non ci si può fidare l’uno dell’altro, quin<strong>di</strong> vi<br />

prego, signori, state in guar<strong>di</strong>a.<br />

ATTO III - SCENA XI<br />

Mardock, Polly e Lucy<br />

MARDOCK: Mia cara Lucy! Mia cara Polly! Qualunque cosa sia accaduta<br />

tra noi, ormai è la fine.<br />

POLLY: Come resisterò a questa vista?<br />

LUCY: Non c’è niente che tocchi il cuore quanto il vedere il proprio uomo<br />

andare alla forca.<br />

POLLY: Quanto vorrei essere impiccata con te...<br />

LUCY: E anche io lo vorrei...<br />

MARDOCK: Oh, lasciatemi solo mi manca il coraggio (capovolge la bottiglia<br />

vuota).<br />

CARCERIERE: Ci sono altre quattro donne, capitano, e ognuna ha un<br />

bambino con sè. Eccole che arrivano...<br />

MARDOCK: Come? Altre quattro mogli? Questo è troppo. Ehi, voi, <strong>di</strong>te<br />

alle guar<strong>di</strong>e che sono pronto (Mardock esce con la scorta).<br />

ATTO III - SCENA XII<br />

Attore e men<strong>di</strong>cante<br />

ATTORE: Non vorrete <strong>di</strong>rmi che Mardock sarà impiccato sul serio?!<br />

MENDICANTE: Ma certamente! Per rendere l’opera perfetta ho dovuto<br />

attenermi ad una rigorosa giustizia poetica. Mardock sarà impiccato, e<br />

quanto agli altri personaggi del dramma, il pubblico deve già aver supposto<br />

che tutti sono stati impiccati o deportati.<br />

ATTORE: Ma allora, amico, questa è una trage<strong>di</strong>a, perché un’opera necessita<br />

<strong>di</strong> un lieto fine.<br />

MENDICANTE: La vostra obiezione, signore, è giustissima, ma è facile<br />

superarla. Dovete ammettere che in questo genere drammatico sono<br />

permesse le più strane assur<strong>di</strong>tà... Dunque... voi della folla, laggiù...<br />

– 297 –


mettetevi a correre e gridate che la grazia è concessa... il detenuto sia<br />

riportato alle sue mogli in trionfo.<br />

ATTORE: Dobbiamo proprio fare così per assecondare i gusti del pubblico.<br />

MENDICANTE: Se lo spettacolo fosse rimasto come io lo intendevo, ne<br />

sarebbe scaturita un’eccellente morale. Si sarebbe visto, cioè, che la<br />

gente più stolta ha esattamente gli stessi vizi dei ricchi e per questo<br />

vengono impiccati.<br />

ATTO III - SCENA XIII<br />

Mardock e la folla<br />

MARDOCK: Dunque a quanto pare per finire mi devo prendere una moglie.<br />

Sentite, mie care, non facciamo storie proprio ora, per questa volta prenderò<br />

Polly... e per tutta la vita, sgualdrinella, perché noi ci siamo sposati<br />

per davvero. Quanto alle altre... provvederò a trovar marito a ciascuna<br />

<strong>di</strong> voi!<br />

– 298 –


MARIA PAOLA MAIONE<br />

Il Satyrcon <strong>di</strong> Petronio Arbitro<br />

reinterpretato da Federico Fellini<br />

(Saggio degli studenti)<br />

PRESENTAZIONE<br />

“Letteratura e teatro”, “letteratura e cinema” sono stati da sempre<br />

binomi rilevanti per ampliare inter<strong>di</strong>sciplinarmente i contenuti <strong>di</strong>dattici e<br />

per attualizzare, sotto certi aspetti, testi <strong>di</strong> prosa e poesia (anche quelli <strong>di</strong> età<br />

classica, che spesso sembrano così “<strong>di</strong>stanti” ai nostri studenti), rendendoli,<br />

attraverso le trasposizioni teatrali e cinematografiche, più fruibili e stimolanti<br />

per un pubblico giovane e ricco <strong>di</strong> interessi culturali.<br />

Queste sono state le finalità che si sono cercate <strong>di</strong> raggiungere proponendo<br />

agli studenti <strong>di</strong> terzo liceo classico la riflessione su un argomento<br />

<strong>di</strong> letteratura latina della prima età imperiale, il “Satyricon” <strong>di</strong> Petronio<br />

Arbitro, testo complesso per la pluralità <strong>di</strong> contenuti, parallelamente alla<br />

visione della trasposizione cinematografica che, partendo da questo testo, è<br />

stata creata dalla estrosa genialità del regista Federico Fellini nel film del<br />

1969 “Fellini Satyricon”.<br />

Tale esperienza <strong>di</strong>dattica inter<strong>di</strong>sciplinare nell’ambito delle materie<br />

classiche era già stata attuata precedentemente in <strong>di</strong>verse classi con lavori<br />

<strong>di</strong> analisi su testi <strong>di</strong> letteratura, o teatro greco- romano, e successiva partecipazione<br />

ai relativi spettacoli, scelti con attenzione, quali, ad esempio, le<br />

Coefore <strong>di</strong> Eschilo (regia: Calenda), l’Elettra <strong>di</strong> Sofocle (regia: Nardone), la<br />

Fedra <strong>di</strong> Seneca (regia: Salveti), le Nuvole <strong>di</strong> Aristofane (regia: Zingaro), la<br />

Samia <strong>di</strong> Menandro (regia: Prosperi): in tutti i casi il coinvolgimento e<br />

la partecipazione degli studenti sono stati vali<strong>di</strong> strumenti per ampliare la<br />

loro conoscenza del mondo culturale classico e rafforzare le competenze<br />

specifiche.<br />

Tornando al presente lavoro, lo stu<strong>di</strong>o parallelo letteratura-cinema<br />

su Petronio-Fellini, con l’analisi del testo latino e del linguaggio e delle<br />

sequenze filmiche, è stato svolto nel corrente anno scolastico 2005-2006<br />

dalla classe III C, che ha prodotto <strong>di</strong>versi interessanti saggi brevi sull’argomento,<br />

uno dei quali è il seguente, notevole per spessore culturale e capacità<br />

d’indagine e <strong>di</strong> sintesi.<br />

– 299 –


Nel presentarlo, colgo l’occasione per ringraziare gli ideatori e i curatori<br />

<strong>di</strong> questa Miscellanea, e i miei studenti dell’<strong>Orazio</strong> che, con il loro entusiasmo<br />

collaborativo, gratificano e rendono vivo il lavoro non sempre facile<br />

del docente.<br />

Saggio <strong>di</strong>:<br />

Cinzia CAMELLINI, Alessandra MACINANTE, Erica MUCIACCIA,<br />

Chiara PANUNZI, Veronica SAGLIASCHI (Classe 3ª C - Classico)<br />

Petronio versus Fellini<br />

IN SATYRICON<br />

Titolo opera: Satyricon<br />

Autore: Petronius Arbiter (“elegantiae”)<br />

Genere: romanzo<br />

Datazione opera: 63-65 d.C.<br />

Personaggi principali: Encolpio, Ascilto, Gitone, Eumolpo, Trimalchione, Lica.<br />

Fonti: romanzo <strong>di</strong> età ellenistica, fabula milesia, satira esametrica (<strong>Orazio</strong>),<br />

satira priapea e menippea ( , Αποκολοκυƒντωσις <strong>di</strong> Seneca)<br />

Tempo della narrazione: principato <strong>di</strong> Nerone<br />

Ambientazione: Marsiglia, “Graeca urbs” indefinita, Crotone<br />

Motivi conduttori: viaggio, amore, deca<strong>di</strong>mento costumi, poesia, satira sociale<br />

***<br />

Titolo opera: Fellini-Satyricon<br />

Autore: Fedrico Fellini<br />

Genere: opera cinematografica<br />

Datazione opera: 1969<br />

Interpreti principali: Martin Potter (Encolpio), Hiram Keller (Ascilto),<br />

Max Born (Gitone), Salvo Randone (Eumolpo)<br />

Fonti: Satyricon <strong>di</strong> Petronio, Asino d’oro <strong>di</strong> Apuleio<br />

Tempo della narrazione: <strong>di</strong>mensione temporale indefinita<br />

Ambientazione: Roma antica<br />

Motivi conduttori: viaggio, morte, precarietà della vita, interpretazione poetica<br />

Sceneggiatura: F. Fellini, Bernar<strong>di</strong>no Zapponi<br />

Fotografia: Giuseppe Rotunno<br />

Scenografia e costumi: Danilo Donati<br />

Montaggio: Ruggero Mastroianni<br />

Musica: Nino Rota, Ilhan Mimaroglu, Tod Dockstader, Andew Ru<strong>di</strong>n<br />

– 300 –


FONTI DEL ROMANZO<br />

L’in<strong>di</strong>viduazione del genere letterario del Satyricon è oggetto <strong>di</strong> una<br />

complessa questione.<br />

Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio è un’opera originale, non solo da un punto <strong>di</strong><br />

vista artistico, ma anche letterario, poiché non trova precedenti nella letteratura<br />

classica. L’opera è una gigantesca satira menippea, ovvero un’unione <strong>di</strong><br />

prosa e versi ispirata alle <strong>di</strong>atribe del filosofo cinico Menippo <strong>di</strong> Gadara. Il<br />

romanzo greco tra<strong>di</strong>zionale era solito narrare le avventure <strong>di</strong> coppie <strong>di</strong> innamorati<br />

che, separati dopo il matrimonio, si ricongiungono infine dopo<br />

straor<strong>di</strong>narie avventure in <strong>di</strong>versi paesi. Petronio, al contrario, trasforma<br />

maliziosamente la giovane coppia in un triangolo amoroso che si muove tra<br />

ambienti e compagnie equivoci, forse da Marsiglia a Crotone. All’interno<br />

del romanzo confluiscono <strong>di</strong>versi generi letterari: un filone importante è<br />

quello della fabula Milesia, che risale a un’opera greca <strong>di</strong> notevole popolarità,<br />

i Milesiakà <strong>di</strong> Aristide. Vi appartiene la novella “boccaccesca” della<br />

matrona <strong>di</strong> Efeso, una vedova inconsolabile che finisce per esporre sulla<br />

croce il corpo del marito pur <strong>di</strong> salvare il suo amante. Queste fabulae andavano<br />

contro qualsiasi idealizzazione della realtà. Nello stesso periodo, il<br />

mimo romano portava in scena all’incirca il medesimo materiale narrativo.<br />

Altre fonti sono l’epica e la satira. Circa la prima, il Satyricon è una paro<strong>di</strong>a<br />

dell’O<strong>di</strong>ssea (ad esempio: all’ira <strong>di</strong> Nettuno che perseguita Ulisse si sostituisce<br />

quella <strong>di</strong> Priapo nei confronti <strong>di</strong> Encolpio; il nome “L’antro del Ciclope”<br />

della nave su cui viaggiano i protagonisti; l’incontro <strong>di</strong> Encolpio con<br />

la matrona Circe; il falso nome Polieno con cui le sirene invocarono Ulisse,<br />

assunto da Encolpio).<br />

In particolare il Satyricon <strong>di</strong> Petronio si inserisce come ultima tappa del<br />

filone più antico del genere satirico, ossia il filone della varietas (Satura est<br />

carmen quod ex variis poematibus constabat, Quintiliano, Inst. Or. X, 93-<br />

95). Tale linea ascende ad Ennio, si snoda con Pacuvio, Terenzio Varrone<br />

Reatino, con Lucilio, <strong>Orazio</strong> e Seneca, e culmina con Petronio. Il carattere<br />

miscellaneo del Satyricon si coglie nell’alternanza tra prosa e poesia, prosimetrum,<br />

tipico della satira menippea: la declamazione del retore Agamennone<br />

in coliambi ed esametri, la Troiae Halosis in trimetri giambici, il<br />

Bellum Civile in esametri, ne sono i più vistosi esempi.<br />

– 301 –


LA FRAMMENTARIETÀ DEL ROMANZO<br />

RIPRODOTTA CINEMATOGRAFICAMENTE<br />

Il romanzo latino ci è giunto gravemente mutilo, mancante sia della<br />

parte iniziale che <strong>di</strong> quella conclusiva e ricco <strong>di</strong> numerose lacune; secondo<br />

alcune testimonianze sono giunti a noi solo i libri XIV, XV, XVI, il romanzo<br />

sarebbe quin<strong>di</strong> stato molto più esteso. Questa frammentarietà giova ad avvicinare<br />

il Satyricon-romanzo alla sua versione cinematografica. Infatti, guardando<br />

il film, si ha l’impressione che potrebbe durare altrettanti 138 minuti<br />

o che potrebbe finire da un momento all’altro; gli episo<strong>di</strong> del film sembrano<br />

essere tasselli <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nati <strong>di</strong> un puzzle molto più grande: la situazione della<br />

Roma antica.<br />

Ma questo aspetto frastagliato è sicuramente voluto da Fellini, come<br />

si può capire dalle sue parole: “Il racconto ci è giunto per frammenti e il<br />

racconto sarà solo a frammenti, con l’alogicità dei sogni, colmo <strong>di</strong> vuoti<br />

improvvisi. Qualcosa come un mosaico <strong>di</strong>ssepolto. La realtà presentata<br />

sarà non storica, ma onirica”.<br />

LA TRAMA: DIFFERENZE E ANALOGIE NELLO SVOLGIMENTO<br />

Prendendo in considerazione la definizione che lo stesso Fellini dà al<br />

suo Satyricon “saggio <strong>di</strong> fantascienza del passato” e prestando attenzione<br />

soprattutto al termine “fantascienza”, sembra quasi scontato il <strong>di</strong>scostarsi<br />

del film dalla trama del romanzo da cui prende solo spunto.<br />

Fellini mantenne i personaggi principali quali Encolpio, Ascilto, Gitone;<br />

nel contempo alcuni personaggi furono eliminati come il retore Agamennone<br />

e l’ancella accompagnatrice della “Matrona <strong>di</strong> Efeso”; contemporaneamente<br />

il ruolo <strong>di</strong> altri venne ampliato, come nel caso <strong>di</strong> Lica, altri ancora furono<br />

completamente inventati come Vernacchio, attore cui, nelle prime scene del<br />

film, si immagina sia venduto Gitone; ad<strong>di</strong>rittura interi episo<strong>di</strong> completamente<br />

inventati dal regista sono inframezzati durante la narrazione, come il<br />

suici<strong>di</strong>o della coppia patrizia nella splen<strong>di</strong>da villa abbandonata dai servi<br />

affrancati e dai giovani figli, l’episo<strong>di</strong>o dell’Ermafro<strong>di</strong>to, la figura della<br />

Ninfomane, gli attori del circo che inscenano Arianna e il Minotauro.<br />

Possiamo notare come in quasi tutto il film, la traccia originaria del<br />

romanzo del poeta romano sia pressoché tralasciata; in alcuni episo<strong>di</strong> però<br />

ritroviamo l’opera <strong>di</strong> Petronio quasi seguita alla lettera: ad esempio il ban-<br />

– 302 –


chetto <strong>di</strong> Trimalchione, che nel libro occupa tutta la parte centrale ed è un<br />

episo<strong>di</strong>o portante, atto a far venir fuori il carattere e la personalità dello<br />

stravagante liberto. Qui Fellini riesce a cogliere pienamente questo caratteristico<br />

villano e riporta quasi immutate <strong>di</strong>verse scene del romanzo. Un’altra<br />

vicenda analoga, che possiamo trovare nel libro e nel film, è inoltre la fabula<br />

milesia della Matrona <strong>di</strong> Efeso, raccontata nel film da Trimalchione<br />

durante il suo funerale, anziché da Eumolpo; il regista la ripropone nello<br />

stesso modo in cui Petronio l’aveva scritta. Altra vicenda simile possiamo<br />

trovare sulla nave <strong>di</strong> Lica, o ancora più importante la scena dell’impotenza<br />

<strong>di</strong> Ascilto, anche nel film come nel libro, perseguitato dal <strong>di</strong>o della fertilità<br />

Priapo, che condurrà il giovane protagonista in vicende simili al romanzo.<br />

Infine il film si conclude con la scena finale, in cui Eumolpo lascia in ere<strong>di</strong>tà<br />

i suoi beni solo a chi si ciberà delle sue carni dopo la sua morte.<br />

Questi sono in sintesi, piccoli episo<strong>di</strong> in cui Fellini riesce a riproporre le<br />

scene del libro; ciononostante il regista riesce comunque a far trasparire<br />

l’atto <strong>di</strong> accusa e condanna contro la società della tarda Roma imperiale.<br />

Quella che fa Fellini è, come ha sostenuto il critico Vincenzo Patanè, “una<br />

reinvenzione così assolutamente personale” ed è quin<strong>di</strong> inutile tentare <strong>di</strong> far<br />

combaciare in tutto e per tutto il romanzo con la sua versione cinematografica.<br />

LA ROMA DI FELLINI E LA SUA DIMENSIONE PAGANA<br />

La Roma <strong>di</strong> Fellini si <strong>di</strong>scosta nettamente dalla Roma classica, fastosa e<br />

potente, stu<strong>di</strong>ata sui libri si scuola e <strong>di</strong> fronte alla quale il pubblico cinematografico<br />

si è sempre trovato. La sua è sicuramente una visione onirica, infatti<br />

il grande regista riminese afferma: “Non è certo un film storico quello<br />

che voglio fare, né mi propongo <strong>di</strong> ricostruire con devota fedeltà gli usi e i<br />

costumi dell’antica Roma. Ciò che mi interessa è tentare <strong>di</strong> evocare me<strong>di</strong>anicamente,<br />

come sempre fa l’artista, un mondo sconosciuto <strong>di</strong> duemila anni<br />

orsono, un mondo che non è più. Tentare, cioè <strong>di</strong> ricomporlo...”.<br />

Ma la sua fantasiosa ricostruzione è assolutamente fedele al testo, se si<br />

considera il simbolismo ad essa attribuito: in primo luogo è messa in evidenza<br />

la decadenza <strong>di</strong> quella società, i gran<strong>di</strong> problemi sociali del tempo,<br />

tra i quali spiccano sicuramente la corruzione sociale e morale dell’impero e<br />

i sottili giochi <strong>di</strong> potere. In questo decadente contesto si avverte il <strong>di</strong>sagio <strong>di</strong><br />

tutti i personaggi e la caducità degli uomini (il terremoto può essere considerato<br />

un simbolo <strong>di</strong> tale precarietà).<br />

– 303 –


La sua è quin<strong>di</strong> una Roma al <strong>di</strong> fuori del tempo storico, forse a metà tra<br />

la fantasia e l’inconscio; Fellini non vuole riprodurre fedelmente la situazione<br />

dell’epoca, piuttosto si interroga su come poteva figurare l’umanità<br />

prima della venuta <strong>di</strong> Cristo ed è forse proprio l’impossibilità <strong>di</strong> dare una risposta<br />

corretta che ha portato Fellini a parlare <strong>di</strong> fantascienza: l’ambizione <strong>di</strong><br />

Fellini è quin<strong>di</strong> quella <strong>di</strong> indagare le “psicologie precristiane”. Il paganesimo<br />

è sicuramente riscontrabile nei toni cal<strong>di</strong> con i quali è “<strong>di</strong>pinto” questo film,<br />

nel buio che onnipresente campeggia in ogni singola inquadratura (fatta sola<br />

eccezione per il momento del commiato dei figli e dell’affrancamento degli<br />

schiavi), buio che forse in<strong>di</strong>ca un’assenza, l’assenza del cristianesimo.<br />

LA MORTE E LA DECADENZA COME TEMI DOMINANTI<br />

Ciò che maggiormente colpisce del film è la sua tragica riflessione sulla<br />

morte. L’immagine che ne deriva non è certo quella <strong>di</strong> una morte vista come<br />

delicato e sommesso congedo dalla vita (il suici<strong>di</strong>o dei coniugi patrizi dopo<br />

l’affrancamento dei servi e l’allontanarsi dei loro figli) ma, piuttosto, come<br />

corruzione e <strong>di</strong>sfacimento della carne (esemplari, in tal senso, la figura <strong>di</strong><br />

Eumolpo e il finto funerale <strong>di</strong> Trimalchione). Questo senso <strong>di</strong> fine e <strong>di</strong><br />

morte non è contrastato dalla gioia e dall’amore dei protagonisti, che invece<br />

si abbandonano ad un sentimentalismo dubbio e malizioso.<br />

Pertanto l’immagine conclusiva, che vede i personaggi intenti a cibarsi<br />

dei morti e la fuga <strong>di</strong> Encolpio, non assume un significato liberatorio, ma fa<br />

riferimento alla sola istintività.<br />

ATTUALIZZAZIONE DEL ROMANZO<br />

Si può forse sostenere che esiste un collegamento tra quella società e<br />

quella contemporanea a Fellini (gli anni ’60/’70)? A questa domanda è lo stesso<br />

regista a dare la risposta: “L’analogia dunque c’è (tra la contemporaneità e<br />

il mondo descritto nel Satyricon film). Anche ora siamo una società in frantumi,<br />

in attesa <strong>di</strong> qualcosa. Allora questo qualcosa fu Cristo che apparve per <strong>di</strong>re<br />

parole assolutamente nuove, inau<strong>di</strong>te, e, considerando la mentalità, i costumi<br />

della gente a cui si rivolgeva, quasi incomprensibili, paradossali, assurde”.<br />

Il regista <strong>di</strong> Rimini arriverà ad<strong>di</strong>rittura ad associare le figure <strong>di</strong> Encolpio<br />

e Ascilto a due hippies, dato il loro stile <strong>di</strong> vita “sgangherato”.<br />

– 304 –


Fellini si aspettava per la sua generazione un cambiamento tanto imminente<br />

quanto ra<strong>di</strong>cale, come nella Roma <strong>di</strong> Petronio poteva essere stato<br />

l’avvento del cristianesimo.<br />

“Mutamento molto profondo, al quale la nostra generazione non è preparata:<br />

onde resta sull’altra riva a guardare delle forme confuse, che oggi<br />

possono essere la rivolta dei giovanissimi e tutto ciò che i giovani rappresentano<br />

o tendono a rappresentare; e che ieri, per i pagani, potevano essere i<br />

primi cristiani sostenitori <strong>di</strong> nuovi ideali”.<br />

ARTICOLI CRITICI E RICONOSCIMENTI CINEMATOGRAFICI<br />

La regia <strong>di</strong> Fellini ebbe la nomination all’Oscar, ma buona parte del<br />

cast non fu da meno: Fanfulla, uno degli attori non protagonisti, ricevette<br />

nel 1970 il nastro d’argento, insieme a Giuseppe Rotunno per la fotografia e<br />

a Danilo Donati per la scenografia e i costumi.<br />

Una volta <strong>di</strong>stribuito nelle sale, il film seminò consensi e <strong>di</strong>ssensi, la<br />

critica fu letteralmente <strong>di</strong>visa a metà, sui giornali <strong>di</strong> settore si leggevano<br />

opinioni totalmente <strong>di</strong>scordanti.<br />

Eccone riportate alcune:<br />

“Se si passa dalle premesse culturali ai concreti risultati espressivi, le<br />

riserve non mancano: programmatica fin che si vuole, la frammentarietà<br />

non riesce a <strong>di</strong>ventare una cifra stilistica: si ha l’impressione che il film<br />

potrebbe durare mezz’ora in meno o due ore in più senza che il risultato<br />

cambi. Soprattutto se paragonata con quelle delle sue opere precedenti,<br />

la galleria dei mostri finisce con l’essere un esercizio <strong>di</strong> alta acrobazia<br />

barocca fine a se stessa. (Morando Moran<strong>di</strong>ni, “Il Tempo”, 11 ottobre 1969)”<br />

“Tutto il Satyricon è realizzato come una gigantesca caccia all’immagine<br />

che, a costo <strong>di</strong> bruciare i vecchi mo<strong>di</strong> stilistici, <strong>di</strong>a il massimo d’evidenza<br />

figurativa alle fantasie <strong>di</strong> Fellini e le orchestri in un arcano gioco <strong>di</strong><br />

luci e <strong>di</strong> ombre. Qui è la sua gloria, e qui il suo azzardo. Siamo, davvero, su<br />

un altro pianeta. Fin dall’inizio, alle Terme fumiganti, e poi, nel teatro <strong>di</strong><br />

Vernacchio, s’avverte che Fellini ideando le scenografie (come ha tenuto a<br />

far sapere nei titoli <strong>di</strong> coda) ha sfrenato il proprio genio prospettico in una<br />

crescita <strong>di</strong> tensioni figurative. Dal lurido paesaggio dell’Isola Felice al<br />

luminoso sorriso della Pinacoteca, dalla corposa atmosfera della cena ai<br />

panorami marini popolati <strong>di</strong> navi fiabesche, dalla limpida, castissima<br />

– 305 –


cornice in cui si celebra il sacrificio della coppia all’ambiguità dell’antro<br />

dell’Ermafro<strong>di</strong>to, e ancora dal solare labirinto <strong>di</strong> Arianna alle malizie del<br />

Giar<strong>di</strong>no fino all’ultima spiaggia che sublima nella levità del mito la gravezza<br />

della materia, e una serie pressoché ininterrotta <strong>di</strong> invenzioni, dominate<br />

dal desiderio <strong>di</strong> immergersi il più possibile in un irreale trapunto <strong>di</strong><br />

lussuria e <strong>di</strong> tristezza”. (Grazzini, “Corriere della Sera”, 5 settembre 1969).<br />

“Satyricon ci recupera un Fellini tutto maturo e intelligente, in una<br />

folla d’immaturi, interamente legato alla sua opera anche se pronto a rinnegarla<br />

per un rinnovamento: un Fellini che si muove in una schiera <strong>di</strong> tipi,<br />

<strong>di</strong> mostri, <strong>di</strong> pellegrini <strong>di</strong> santuari (antichi oracoli o Divino Amore) come<br />

nella Dolce vita, che torna alle sue Saraghine e Cabirie, che non rinuncia<br />

al <strong>di</strong>alettalismo della sua esperienza neorealista, che rinnova con maggiore<br />

ricchezza le sue invenzioni fotografiche cromatiche, per un impiego del<br />

colore in funzione cine-pittorica. Non si cura <strong>di</strong> afferrare lo spirito <strong>di</strong> Petronio<br />

e della vera romanità – e forse nessuno vi riuscirà giammai – se non<br />

con lo slancio della sua forza immaginativa, che non manca d’indulgenza<br />

verso il proprio mondo, cui non cerca <strong>di</strong> sfuggire…” (Mario Verdone,<br />

“Interventi sullo spettacolo contemporaneo”, Matteo E<strong>di</strong>tore, 1979).<br />

Bibliografia:<br />

Petronio: “Satyricon”, traduzione <strong>di</strong> P. Chiara, introduzione <strong>di</strong> F. Roncoroni,<br />

Mondadori.<br />

Paratore E.: “Profilo della letteratura latina”, Firenze, Sansoni, 1969.<br />

Paratore E.: “Il Satyricon <strong>di</strong> Petronio, Firenze, 1933.<br />

Paratore E.: “La narrativa latina nell’età <strong>di</strong> Nerone: la Cena Trimalchionis<br />

<strong>di</strong> Petronio”, Roma, 1961.<br />

G. Pontiggia-M.C. Gran<strong>di</strong>: “Letteratura latina”, Principato, 2005.<br />

Conte-Pianezzola: “Storia e testi della letteratura latina 3”, Le Monnier,<br />

Firenze.<br />

Fellini Federico: “L’altra notte al Colosseo”, note sulla preparazione del<br />

“Satyricon”, 1969.<br />

P.G. Walsh: “The Roman novel.The Satyricon of Petronius”, Cambridge,<br />

1970.<br />

L. Canali: “L’erotico e il grottesco nel Satyricon”, Roma-Bari, 1986.<br />

L. Luisa e M. Moran<strong>di</strong>ni: “Il Moran<strong>di</strong>ni, <strong>di</strong>zionario <strong>di</strong> film”, Zanichelli.<br />

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