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XLII
Premio Vasto
di arte contemporanea
Omaggio a Carlo Mattioli
a cura di Anna Zaniboni Mattioli
Terra. Proposte 2009
a cura di Daniela Madonna

XLII Premio Vasto
di arte contemporanea

Promotori
Comune di Vasto
Comitato Manifestazioni d’Arte e Cultura di Vasto
Organizzazione generale
Comitato Premio Vasto d’arte contemporanea
Progetto della mostra
Anna Zaniboni Mattioli
Daniela Madonna
Catalogo e manifesto
Artwork di Bruno D’Adamo
Bruno Scafetta
Stampa
Litografia Botolini srl
Rocca San Giovanni (CH)
Referenze fotografiche
Archivio Carlo Mattioli, Parma
Singoli artisti
Sicurezza
Impianti dei Musei Civici
Allestimento della mostra
Maestranze comunali
Segreteria
Segr. Gen. Roberto Bontempo
Vice Daniela Madonna
Michele D’Annunzio
Ada Mileno
Nicoletta Paganelli
www.premiovasto.it
Foto di copertina: elaborazione di un’opera di Carlo Mattioli

XLII
Regione Abruzzo
Comune di Vasto
Comitato Manifestazioni
d’Arte e Cultura di Vasto
Premio Vasto
di arte contemporanea
Omaggio a Carlo Mattioli
a cura di Anna Zaniboni Mattioli
Terra. Proposte 2009
a cura di Daniela Madonna
11 Luglio - 31Ottobre 2009 - Vasto
Musei Civici in Palazzo d’Avalos

Sommario
Omaggio alla terra p. 7
Luciano Lapenna, Roberto Bontempo
Omaggio a Carlo Mattioli
Biografia dell’Artista p. 11
Anna Zaniboni Mattioli
La Terra e l’ombra p. 13
Roberto Tassi
Ritratto di pittore al chiaro di luna p. 15
Anna Zaniboni Mattioli
Paesaggi e ritratti p. 19
Terra. Proposte 2009
Nel nome della Madre Terra p. 40
Daniela Madonna
Gli artisti e le opere p. 46
I Premi Vasto p. 109
5

Per l’essenziale contributo
si ringraziano
Regione Abruzzo
Provincia di Chieti
Fondazione
Cassa di Risparmio
della Provincia di Chieti
Inoltre si ringraziano
Archivio Carlo Mattioli, Parma
Famiglia Zaniboni Mattioli
Alfredo Paglione
Gianni e Grazia Bolongaro
Soprintendenza PSAE dell’Abruzzo
Francesca Tassi
Giuseppe Iavicoli
Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano

Omaggio alla terra
Roberto Bontempo
Segretario del Premio Vasto
Luciano Lapenna
Sindaco di Vasto
Nell’anno in cui si festeggia il centenario della stesura del manifesto del Futurismo
– senz’altro il più rilevante tra i movimenti d’avanguardia italiani del secolo
scorso – il XLII Premio Vasto sceglie di concentrarsi sul futuro dell’arte contemporanea,
proponendo un percorso di riflessione sul tema della terra. Il 2009 verrà
ricordato, infatti, anche come il momento storico in cui il nostro globo è stato onorato
da importanti istituzioni internazionali, nonché come quello in cui il sottosuolo
abruzzese si è risvegliato determinando ingenti lutti e danni. Proprio dal disastro
s’intende ripartire per riscoprire il rispetto del pianeta in cui abitiamo e riflettere su
quello che l’uomo può fare per prevenire gli effetti del titanico dispiegamento delle
forze della natura.
La mostra, ospitata nell’elegante contenitore spaziale di Palazzo d’Avalos, si articola
in due sezioni organicamente connesse. La prima, a cura di Anna Zaniboni
Mattioli, consiste in un omaggio dedicato al grande Maestro Carlo Mattioli, che ha
saputo restituire in termini poetici la bellezza dei paesaggi naturali e altresì ammantare
di estrema delicatezza la rappresentazione degli affetti terreni. Il Comitato
organizzatore del Premio ringrazia in particolare la signora Marcella Mattioli Zaniboni
e l’intera famiglia dell’artista, nonché l’Archivio parmense che ne custodisce
le opere, per aver reso possibile l’allestimento di questa parte dell’esposizione.
La seconda sezione, a cura di Daniela Madonna, è quella delle Proposte, dedicata
a validi artisti emergenti che forniscono originali interpretazioni del tema in oggetto.
Le loro opere vengono ospitate nelle sale del Museo archeologico cittadino,
creando un’insolita comunicazione tra le testimonianze della storia del passato e
gli odierni linguaggi dell’arte.
Anche quest’anno la rassegna d’arte vastese si prefigge l’obiettivo di sensibilizzare
alla fruizione artistica le giovani generazioni, presentando il calendario di eventi
collaterali denominato IncontrArti e le visite guidate alle scolaresche nel periodo
autunnale, a cura del Laboratorio Mondo a colori di Vasto. Uno speciale ringraziamento
va a Bruno Scafetta, Direttore artistico di tale associazione culturale. Il suo
contributo è stato determinante per l’organizzazione della XLII edizione del Premio.
Vanno ricordate e ringraziate, infine, tutte le persone che hanno reso possibile la
realizzazione di questo nuovo appuntamento con la storica manifestazione.
7

Omaggio a Carlo Mattioli
(Modena 1911 - Parma 1994)

Biografia
dell’Artista
di Anna
Zaniboni Mattioli
Carlo Mattioli nasce l’8 maggio 1911 a Modena in via Canalchiaro, una
strada accanto al Duomo romanico. Il primo diploma in Belle Arti conservato
dalla famiglia risale al 1821 e un Mattioli, lontano antenato, si dice,
fu l’ultimo artificiere del duca di Modena. Il nonno fu decoratore dal tocco
straordinariamente agile: fioriva di rose e pergolati ville e palazzi della provincia
modenese incantando Carlo che, ancora bambino lo seguiva nei
suoi viaggi estivi. Il suo compito alla sera era di pulire e riporre pennelli e
barattoli. Ricorderà per sempre le lunghe notti estive di malinconia struggente
pur al seguito di una brigata bizzarra e rumorosa. Il padre Antonio,
dalla mano leggera e felice, dopo esordi pittorici assai promettenti, lascia
sempre meno tempo al disegno per vivere in prima linea e con il fervore
di un purissimo neofita l’affermarsi degli ideali socialisti. La nuova cattedra
di Antonio a Casalmaggiore costringe la famiglia a trasferirsi a Parma
dove Carlo può seguire regolari studi all’Istituto di Belle Arti. Diplomatosi,
comincia immediatamente ad insegnare a Parenzo in Istria, ad Arezzo, a
Parma, prima all’Istituto d’Arte Paolo Toschi, poi all’Istituto Magistrale dove
trova come collega ed amico carissimo il poeta Mario Luzi suo coetaneo, a
Firenze ed infine a Bologna. Intanto a Parma frequenta il Circolo di Lettura
e il Caffè San Paolo dove si incontra con i giovani intellettuali che allora
gravitavano nella vivace orbita culturale della città: Oreste Macrì, Pietrino
Bianchi, Mario Luzi, Attilio Bertolucci e altri.
Dalla fine degli anni trenta Lina, sposata nel ’37, è l’assoluta protagonista
dei suoi dipinti; sono i primi ritratti e i primi nudi. Si apre allora, negli anni
quaranta, la stagione della grafica che avrà poi altre straordinarie parentesi
come quella delle numerose illustrazioni degli anni Sessanta, testimonianza
del suo interesse mai sopito e della sua profonda conoscenza della letteratura
europea. Vedono la luce Vanina Vanini e la Chartreuse de Parme di
Stendhal (dal 1961), i Ragionamenti dell’Aretino (dal 1960 al 1964), i Sonetti
del Cavalcanti contemporaneamente alle Novelle del Sermini (1963), il
Belfagor del Macchiavelli. Culmina nel 1968 il Canzoniere del Petrarca, a
lungo meditato, e la Veneziana.
Del 1943 è la prima personale alla Galleria del Fiore di Firenze. La presenta
Alessandro Parrochi su sollecitazione di Ottone Rosai. Dal 1948 Mattioli è
puntualmente presente alle varie edizioni della Biennale di Venezia dove riceve,
nel 1956, dalla Commissione presieduta da Roberto Longhi, il Premio
Internazionale del Disegno.
È diventata “storia” della famiglia la prima visita di Ragghianti allo studio di
via San Nicolò; una reciproca autentica scoperta: in un angolo dello studio
giaceva a terra un ammasso di vecchie, grandi carte incollatesi tra di
loro per la travolgente vena del pittore che letteralmente gettava foglio su
11

foglio senza attendere che il colore si asciugasse. Ragghianti smembra
questo corpo informe riportando alla vita, con le tempere, uno dei grandi
cicli dei nudi da lui esposti e commentati nel 1965 in una mostra all’Istituto
di Storia dell’Arte dell’Università di Pisa. Gli oli dello stesso soggetto,
dopo le prime prove durante la guerra hanno subito una radicale rivisitazione
tra il 1960 e il 1962. Seguono immediatamente, dal 1965, le Nature
Morte ocra, nere, brune e grigie, dense, grumose e lievitanti, i Cestini del
Caravaggio e le vedute di Parma e del Duomo dalla finestra dello studio
che era proprio accanto alla cattedrale dove Carlo si era accasato giovanissimo,
sempre attratto dalla fabbrica romanica e dalla sua atmosfera. Il
1969-’70 è il biennio dei Notturni su cui scriverà memorabili pagine Roberto
Tassi. Negli anni Settanta poi, dopo la ripresa di vecchi temi si apre l’era
dei paesaggi, che coprirà anche il decennio successivo. Sono forme di
frequentazione e consuetudine antiche viste, meditate infine disseppellite
dopo molto tempo in un’esplosione di colori per lui inediti: spiagge, campi
di papaveri, di lavanda, ginestre, Aigues mortes, alberi, la Versilia, le colline
di Castrignano, le foreste di Birnam, i boschi. Dal 1974 al 1985 nascono i
ritratti della nipotina Anna con i nuovi colori dei paesaggi; ma non sono che
gli ultimi di una lunga serie che risale a quelli di Lina, a quelli più tardi della
figlia Marcella, a quelli degli amici scrittori, poeti, pittori e giornalisti. Nel
1983 muore Lina. Nello stesso anno avviene la grande donazione all’Università
di Parma, esposta nelle Scuderie della Pilotta e promossa da Arturo
Carlo Quintavalle. Nel 1982 vengono creati i Muri e le travi del ciclo Per una
crocefissione, tenebrosa lancinante preparazione per i grandi Crocifissi ora
collocati in S. Maria del Rosario e in San Giovanni Evangelista a Parma e in
San Miniato al Monte di Firenze. Ma anche l’arte sacra è un capitolo iniziato
molti anni prima nell’attività di Mattioli, come possono testimoniare mosaici,
altari, vetrate e sculture in numerose chiese di Parma. Negli anni Ottanta
vengono allestite grandi mostre antologiche e monografiche: al Palazzo
Reale di Milano nel 1984, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, a Palazzo
Te a Mantova, al Musée Rimbaud di Charleville-Mézières nel 1986 e in altre
prestigiosissime sedi in Italia e all’estero, fino alle ultime dello CSAC di
Parma, della Fondazione Magnani Rocca, del Museo della Cattedrale di
Barcellona, del Lussemburgo e del Palazzo della Pilotta, a Parma, nel 2004.
Nel 1993 esegue gli ultimi quadri a olio. Una nuova pagina. Sono calanchi
bianchi, come fantasmi di pietra con lunghe e stecchite radici di tronchi
spossati avvinghiate alla terra. Poi l’ultima serie di tempere su antiche copertine
di libri. Muore a Parma il 12 luglio del 1994.
12

La Terra e l’ombra
di Roberto Tassi
[…] Già circa quindici anni fa, intorno al 1969, Mattioli aveva compiuto un
passaggio decisivo; dopo tante figure, nudi, ritratti, nature morte, e l’alto
rigore intellettuale delle esercitazioni sul Cestino del Caravaggio, e quell’eccezionale,
breve, ma bellissimo, gruppo di paesaggi urbani con il Duomo di
Parma che sembrava impastato di frumento maturo e della luce dorata dei
platani autunnali, aveva avuto un incontro diretto con la natura; verdi luminosi
e giovani cominciavano a serpeggiare sulla sua tela, alberi meridiani
o notturni a gettare ombre sui prati o a raccogliere il poco lume di una sera
estiva; non erano i paesaggi che già un tempo avevano tentato il suo pennello,
e quello di altri artisti del Novecento, era un modo di entrar dentro al
rapporto con la natura senza nostalgie o rigurgiti naturalistici, entrarvi con il
peso formale che la sua precedente esperienza aveva fatto fortissimo in lui,
e con il peso psicologico che, a differenza di naturalisti informali, era una
forza e una novità di immagine solo sua.
Un frammento di campagna, ridotto al tratto semplice di un verde più scuro
che una siepe segnava, salendo, sul verde più chiaro di un colle, appariva
come assoluto e come frammento nello stesso tempo e rimaneva sospeso
entro l’assedio di un bianco che non aveva nessun riscontro naturale; ma
diventava coronamento luminoso, astrazione spaziale. Quel bianco eliminava
ogni lirismo, ogni consistenza terrena, e si presentava come un’immagine
in positivo del nulla. Oppure se era scelto un albero, unico, solitario e
irreale, a far da centro al frammento, al campo d’erba o di grano, coperto
dai vessilli bruno-viola d’ombra notturna, ecco apparire nel cielo, nel fondo,
in ciò che sta sopra l’orizzonte, un nero così profondo, impenetrabile e incommensurabile
da trapassar di molto il velluto della notte e darsi anch’esso,
come vuoto spazio, come cosmo rarefatto e senza fine, un’immagine in
negativo del nulla. [...]
Nei paesaggi che seguirono, i campi della Versilia, le spiagge, o anche
nella mirabile serie di acquerelli fatti solo di cieli annuvolati che si aprivano
per lasciar vedere, colto in un attimo, il veleggiare della luna, quel nero era
di continuo paragonato, messo a contrasto, messo anzi a monito, dei gialli,
dei rossi, rosa, azzurri, avori, che i boschi, le terre, i cieli, continuavano a
svelare a ogni nuovo apparir della luce. La fila d’alberi, che, là sul fondo,
limitava il campo dei papaveri, era carbonizzata, non dolcemente oscurata,
dalle ombre serali e sulle spiagge immote le sabbie si bruciavano e anche
su di loro la discordia della luce, che ancora le teneva tiepide e trepide,
scendeva dal breve tratto di cielo nel buio più che notturno.
Si è creato così nel lavoro degli anni Settanta un contrappunto, più che
un vero contrasto, fra la trama colorata del mondo e il nero che la limita,
l’assedia, le fa un rispecchiamento negativo, tra la bellezza splendente e
13

il suo velame, la sua ombra, tra la terra e il nulla; qualcosa che arricchisce
l’immagine, le toglie ogni funzione naturalistica, ogni naturalistico piacere,
la doppia di angoscia, e quasi di una disperazione ontologica; non in ogni
momento e non in tutti i casi, ma a tratti, come un fantasma atteso, un
completamento necessario. Cosicché quand’anche il quadro irradia tutta
la sua luce, brilla di tutti i suoi gioielli, resta sempre in esso un velo nascosto,
un’ansia incerta, l’aspettazione o l’incubazione di quell’ala tenebrosa, il
sentimento della morte. […]
(Citazione tratta da Carlo Mattioli, catalogo della mostra-donazione allo CSAC
dell’Università degli Studi di Parma, Palazzo della Pilotta, Parma, 1983)
14

Ritratto di pittore
al chiaro di luna
di Anna
Zaniboni Mattioli
La Melancolia, lo spazio e il tempo
Una parte molto significativa della produzione artistica di Carlo Mattioli è
dedicata ai ritratti, che fin dagli anni giovanili appaiono come l’espressione
di una meditazione insistita, di un dialogo interno. Saranno soprattutto pittori
ed artisti ad essere per lo più ritratti, talvolta letterati, colleghi insomma,
o meglio amici; e tuttavia, solo se queste opere sono considerate nella
loro più immediata apparenza si può parlare, come finora è stato fatto, di
un semplice “diario dell’amicizia”. Quei soggetti, in virtù del ruolo che nel
mondo della cultura esercitavano o avevano esercitato, erano i latori di contenuti
che si andavano man mano chiarificando, nel corso degli anni e dei
successivi ritratti, nella mente del pittore.
Negli anni Sessanta e Settanta, quando compaiono gli ultimi e più noti ritratti,
i numerosi personaggi sembrano confluire in alcuni, che diventano ricorrenti,
come se Mattioli fosse arrivato ormai a definire i suoi veri interlocutori:
Giorgio Morandi, Giorgio De Chirico, Carlo Carrà, Ottone Rosai, Giacomo
Manzù. Come vedremo più avanti, questi suoi personaggi rappresentano,
anche solo per un aspetto, la condizione che accompagna il fare e il pensare
l’Arte. E questo fatto sottende un’implicita concezione dell’Artista e dell’Arte
che si rifà al Neoplatonismo rinascimentale. Attraverso essi, cioè, viene
posta in questione la ridefinizione di un’Idea, l’analisi lucida e allo stesso
tempo drammatica della condizione dell’artista, ed è evocato, inesorabile,
lo spettro della Melancolia, magnifica e oscura signora che aleggia e regna,
grave, ovunque ci sia un’incrinatura, ovunque ci siano grandezza e diversità,
ascesa e caduta, solitudine. Nel dolore e nel tormento dello scacco cui è
condannato, l’Artista può salvarsi soltanto se non elude il suo destino, e cioè
dedicandosi alla fonte più pura della Malinconia che lo affligge, all’attività
propria dei figli di Saturno, l’attività creativa. La Malinconia si dimostra infatti
il farmakon dell’uomo di genio: veleno e antidoto al tempo stesso. Dürer
parafrasò l’idea incidendo, nel 1514, la Malinconia dell’artista, Melancolia I,
che divenne la parola d’ordine di un maledetto sodalizio di infelici demiurghi.
Quel volto oscurato, sorretto da una mano inattiva, stretta a pugno e in cui
l’unico bagliore di luce proviene dagli occhi persi nell’ineffabile, è divenuto
un simbolo, un paradigma su cui declinare, nei secoli a venire, la Malinconia
dell’artista moderno, che dopo le testimonianze poetiche di Baudelaire assume
nuovi aspetti: l’amara ironia contro se stesso, l’autoaccusa, il senso
perenne di esilio, l’autorispecchiamento che sottolinea la vanità di ogni salto
creativo, il rinsaldarsi del cerchio dopo ogni vano tentativo di rottura.
I viri illustres della contemporanea e ideale galleria di ritratti di Mattioli, i
suoi cosiddetti “amici” diventano dunque gli attori di questa tragica farsa
malinconica.
15

Soltanto un non-spazio potrà contenere i protagonisti di questi dialoghi
interiori e serrati, e soltanto il nero della notte più profonda, il Nulla può essere
il tempo in cui declinarli. L’oscurità e il nero sono infatti componenti
fondamentali dell’universo malinconico. Scuro era il colore della pelle dei
malinconici per eccessiva concentrazione di bile nera, ma nero può essere
inteso uno stato d’animo oscurato dalla tristezza, dalla irresolutezza,
dalla coscienza della vanità delle cose, dall’inesorabile trascorrere del
tempo, dalla solitudine e dalla sostanziale distonia con la società. Scuro
era il volto del genio alato di Dürer; ma nero è anche il colore dell’interiorità,
visto che la malinconia è il male che tende più di ogni altro all’interno.
La notte è infatti, insieme al crepuscolo, l’ora del malinconico, l’ora della
luna che, oltre ad essere dea cacciatrice, è anche Ecate, dea degli inferi
e dei morti. È l’ora che induce i pensieri, le idee nere, ma è anche l’ora
della gestazione e della creazione, la madre della morte, degli incubi e dei
mostri, è l’ora delle riflessioni solitarie, del lavoro indisturbato dell’alchimista.
A questi appunti su Melancolia e notte, è necessario aggiungere un’altra
considerazione generale, prima di parlare dei ritratti più in particolare. Nei
ritratti di Mattioli è costante, e dunque programmatica, la rinuncia a inserire
il soggetto in un contesto ambientale; un aspetto che sorprende, se
pensiamo che il pittore è celebrato soprattutto come paesaggista. D’altra
parte, tale scelta non sembra dipendere dalla volontà di concentrare l’attenzione
di chi guarda sulla psicologia del personaggio, che risulta infatti
poco individuata. Sembra piuttosto che quel susseguirsi di fondali neutri,
neri, chiari, bruni, grigi, ora caldi ora gelidi, quel diverso ma sempre
sapiente trattamento della tessitura pittorica, ora a pennellate evidenti e
disordinate, tormentate, ora invece rilassata, compatta, soffice, lenta e
senza soluzione di continuità alcuna, abbia una sua specifica necessità.
Per poter trarre una conclusione a questo proposito, lasciamo per un
istante i ritratti per volgere la nostra attenzione ai paesaggi che Mattioli
ha declinato lungo tutto l’arco della propria attività fino agli ultimi dipinti
del 1993. Ebbene, in tutte quelle accezioni del visibile, dalle cattedrali, ai
campi di grano e papaveri, alle lavande, alle ginestre, alle sinopie bianche,
alle colline verdi, alle aigues mortes, agli alberi, in tutti questi luoghi (o non
luoghi) manca la figura umana.
Di fronte alla palese inconciliabilità che diviene reciproca elisione fra uomo
e paesaggio, possiamo alla fine ipotizzare che Mattioli, non vedendo e
concependo che desolazione, abbia deciso di pensare solo il pensiero di
sé, abbia stabilito di attuarsi nella molteplicità e proiettare mondo e uomini
contro lo schermo della propria anima. Un’anima malinconica.
16

De Chirico
Rivolgiamoci ora, finalmente, ai ritratti, cominciando da quelli di De Chirico,
eseguiti in un lasso di tempo che va dal 1969 fino al 1975.
L’inquietudine, il nero, la fissità, la densità di una notte che tutto divora sono
i reali protagonisti di questa serie di dipinti. Lo dimostra ancora lo sfondo
sempre denso, compatto, e soprattutto, nella stragrande maggioranza dei
casi, nero, bruno, grigio scuro. A De Chirico è toccato in sorte di essere
ritratto da Mattioli sempre di notte. L’intenzione è scoperta, l’ora della malinconia
è definita chiaramente. La luna compare il più delle volte, in alto
a destra, dove misteriosamente immaginiamo che il pittore rivolga il suo
sguardo che però per noi è invisibile, sempre volontariamente rabbuiato da
un’ombra spessa. Non li vediamo mai, gli occhi di De Chirico, perché prevalgono
in quella zona nere pennellate stese violentemente, quasi a cancellarne
rabbiosamente l’identità. Evidentemente, i pensieri dell’artista corrono
lontano, come per la Melancolia di Dürer, scivolano per fissarsi su cose
invisibili, che sarebbe vano rendere percepibili agli occhi dell’osservatore
esterno.
Per De Chirico Mattioli sceglie un gesto che lascia immutato in molti ritratti:
il pittore stringe nella destra un pennello, nella sinistra a volte una tavolozza.
Sono gli attrezzi elementari del pittore, potremmo dire il simbolo del suo lavoro
pratico. La tela invece manca sempre. Potremmo azzardarci a dire che
la tela di De Chirico è la notte, perché è ad essa che il pittore si rivolge con il
suo pennello teso che, significativamente, a volte solleva imperiosamente,
come la bacchetta di un ispirato direttore d’orchestra, a volte deprime verso
terra, nella stanchezza, oppure, più probabilmente, nell’eccessiva ricchezza
d’ispirazione che la mano non arriva a seguire.
Rosai e Morandi
I ritratti di Ottone Rosai e di Giorgio Morandi meritano di essere osservati
insieme, perché hanno molti tratti che li avvicinano e che indicano una comunanza
di ispirazione.
Rosai e Morandi erano già due maestri affermati ai tempi della giovinezza di
Mattioli. Egli li conobbe in modi e circostanze diverse. I loro ritratti nacquero
molti anni più tardi, quando entrambi erano già scomparsi. Nacquero, cosa
ancor più strana, contemporaneamente. Come se la rada frequentazione,
o forse meglio la loro stessa esistenza, avesse impedito i loro ritratti. Come
se fosse stato necessario molto tempo per chiarire le cose, sistemare gli
eventi e i ricordi.
A chi le guarda, le due figure, che ritornano dal 1969 al 1972, sono soltanto
due fantasmi, i ritratti di due morti. A loro toccano colori che appartengono
17

al freddo e alla mancanza di vita. I loro volti sono terrei e scavati, segnati
da profonde linee nere. I loro corpi, maestosi, sono però evanescenti, non
hanno corporeità, volteggiano, grandi e imprendibili fantasmi che tornano
e si mostrano ai vivi, fantasmi che qui, soprattutto, non riescono a staccarsi
dal mondo. Le mani sono due volte le dimensioni della testa, sono l’antico
segnale, l’unico elemento scampato alla distruzione. Le mani, che tante
volte hanno stretto il pennello, che tanto mirabilmente hanno lavorato, che
hanno vissuto di vita propria, ragione stessa di esistenza. Il capo, sempre
inclinato, ricorda l’iconografia classica dei figli di Saturno, dei dolenti malinconici
che spesso devono reggersi il capo con una mano o un pugno.
È la postura del meditabondo infelice che non chiude il cerchio dei propri
pensieri. La mano però qui non regge la testa, anzi, è in primo piano, unico
elemento che esce da un’oscurità tanto calda che ribolle, è sempre grande,
molto grande. Il volto, in cui Mattioli ha calcato i tratti del teschio, è quello di
chi è tornato dal regno dei morti. La figura che esce appena, nera nel nero,
sembra voler mostrare forse per l’ultima volta quello che fu: la mano. E
basta. I ritratti di Morandi sono quattro ed eseguiti negli stessi anni. Mattioli
ha voluto dare al maestro di Bologna qualcuno dei propri tratti. Il Morandi
che ne esce somiglia al Mattioli degli autoritratti, per la figura slanciata, per
la forma allungata della testa, per il cappello, quando c’è, e gli occhiali.
Anche questo Morandi è un vecchio Maestro ritornato tra i vivi per mostrare
la sua mano. È così nel primo ritratto: avvolto nel grigio del fondo che gli
fa anche da pastrano. Si presenta di tre quarti, quasi di spalle, spettrale e
come seduto. Il suo è il grigio di un abito per un lungo, malinconico viaggio.
Si vede un po’ del profilo sotto il cappello e una mano in primo piano, il
pollice e l’indice tesi quasi ad afferrare qualcosa. L’espressione, da quello
che l’ombra che ristagna sopra ci lascia intravedere, è mesta, la bocca
piegata dolorosamente verso il basso. Gli occhi annullati nel buio dietro gli
occhiali. Il capo, come per Rosai, ci parla ancora della vecchia iconografia
della Malinconia: è inclinato verso sinistra. Né Morandi né Rosai sono mai
colti nell’attimo della creazione; anzi, ne sono del tutto estranei. Mattioli ha
atteso la loro scomparsa prima di poterli dipingere. A loro non compete più
niente. Una sola volta Mattioli pone un pennello fra le dita di Morandi; ma
il gesto è fra i più innaturali, e la mano, la sinistra, è ritorta indietro quasi a
rinnegare uno stato. È il tempo del Nulla.
18

Ritratto di Morandi, 1969
olio su tela
cm 50 x 50 Carlo Mattioli
19

Il pittore, 1970
olio su tela
cm 80 x 80
20

Anna, 1977
olio su tela
cm 70 x 60 Carlo Mattioli
21

Anna in rosso, 1977
olio su tela
cm 100 x 60
22

Ritratto di Anna, 1977
olio su tela
cm 80 x 60
23
Carlo Mattioli

Ritratto di Ottone Rosai, 1969
olio su tela
cm 92 x 75
24

Autoritratto al chiaro di luna, 1971
olio su tela
cm 70 x 80
25
Carlo Mattioli

Ritratto di Renato Guttuso, 1962
olio su tela
cm 70.5 x 100
26

Ritratto di Ubaldo Bertoli, 1984
olio su tela
cm 150 x 130
27
Carlo Mattioli

Per De Chirico, 1969
olio su tavola
cm 34.5 x 34.5
28

Ritratto di Carrà a Forte dei Marmi, 1961
olio su tavola
cm 37 x 34
29
Carlo Mattioli

Paesaggio, 1990
olio su tela
cm 75 x 57
30

Paesaggio, 1990
olio su tela
cm 73 x 59 Carlo Mattioli
31

Senza titolo (Paesaggio a Castrignano), 1977
olio su tela
cm 82 x 70
32

Spiaggia, 1988
olio su tela
cm 153 x 95
33
Carlo Mattioli

Notturno sulla lavanda, 1979
olio su tela
cm 85 x 65
34

Paesaggio verde, senza data (1979)
olio su tela
cm 130 x 105 Carlo Mattioli
35

Le mele rosse, senza data (1981)
olio su tela
cm 100 x 120
36

Senza Titolo (Paesaggio), 1990
olio su tela
cm 140 x 115 Carlo Mattioli
37

Terra. Proposte 2009

Nel nome della
Madre Terra
di Daniela Madonna
Dopo l’acqua, la terra. Come nel racconto di Genesi I, l’attenzione delle Proposte
del Premio Vasto fa slittare il proprio focus dall’immensità oggettiva e
metaforica dell’elemento liquido alla solida realtà, non meno pregnante a
livello di significati, della materia terrestre.
Il percorso di quest’anno, dunque, prosegue il ciclo di riflessione sui quattro
principi fondamentali della natura, inaugurato nell’ambito dell’edizione
2008 della rassegna dedicata a validi artisti emergenti, voci nuove eppure
decise che contribuiscono a delineare il complesso profilo dell’espressività
contemporanea.
Abbandonati gli abiti interpretativi del periglioso elemento equoreo, la terra
compare all’orizzonte come una prospettiva tematica tutta da esplorare, a
seconda della sensibilità dei singoli partecipanti. Nell’impianto del XLII Premio
Vasto, le loro strade vengono illuminate dalle note cromatiche e dai segni
eloquenti di Carlo Mattioli, un pittore che ha tradotto in forma la propria
esperienza terrena attraverso il filtro della poesia dell’anima. Agli incontri insostituibili
che avvengono nel mondo transeunte il Maestro dedica i ritratti di
familiari e artisti, avvolti da impressioni affettive di forte impatto, mentre i suoi
paesaggi naturali stratificano gli spunti lirici del reale in frammenti lambiti da
un’ineffabile leggerezza, di calviniana memoria.
Nella persona di Mattioli una fetta del Novecento artistico tende la mano
al presente, inevitabilmente proteso verso un futuro continuamente in fieri.
La congiunzione ideale tra le diverse dimensioni del tempo avviene appunto
nell’unico luogo che c’è dato con certezza di conoscere: la terra, intesa
come approdo tangibile dell’umano fluire. Alla terra in quanto scrigno delle
vestigia del passato e dell’avvicendarsi di generazioni semisconosciute è
ispirata, invece, l’idea di collocare la sezione giovanile del Premio nelle sale
del Museo archeologico di Palazzo d’Avalos. Il dialogo tra le opere d’arte
contemporanea e i reperti documentanti la storia locale, lungi dal voler
ottenere un effetto straniante, intende costituire un ponte immaginario tra
il messaggio che i resti catalogati dagli esperti offrono all’epoca odierna e
quella che potremmo definire un’avvenieristica “archeologia dell’attualità”.
Le tele, le sculture, le fotografie e le installazioni cristallizzano, infatti, messaggi
riguardanti le diverse sfaccettature del tema indagato, che non si
esauriscono in considerazioni effimere, ma potrebbero rappresentare, per
i curiosi occhi del domani, un significativo indicatore della percezione estetica
dei nostri giorni.
Prima di passare ad analizzare gli specifici contribuiti degli artisti coinvolti, è
interessante notare che l’omaggio porto alla terra dal Premio Vasto collima
con la conclusione del triennio che l’International Union of Geological Sciences
(IUGS) e l’UNESCO hanno voluto dedicare alla divulgazione della conoscenza
del nostro globo a livello scientifico e latamente culturale. La Madre
40

da cui tutti proveniamo, mitico specchio di Gea e nel contempo umile fons
vitae nel canto di lode levato da Francesco d’Assisi nei confronti del Creatore,
proprio nel corso del 2009 ci ha mostrato anche il suo volto terribile di
furiosa distruttrice.
Con questa mostra la realtà abruzzese, così duramente colpita dall’evento
sismico dello scorso aprile, vuole offrire un piccolo apporto alla ricostruzione
del legame d’appartenenza tra l’atavica genitrice e la famiglia umana, spesso
irriguardosa nei confronti del pianeta che la ospita e troppo superficiale
nel prevenire i danni che possono essere conseguenza degli improvvisi –
ma non sempre imprevedibili – scatenamenti naturali.
Percorriamo virtualmente, ora, le sale del Museo ospitante l’esposizione. I
suoi spazi si fanno crogiolo di esperienze artistiche maturate in diversi contesti
geografici, ma comunque accomunate da un costante impegno sul
territorio nazionale ed internazionale.
Le opere di Zelimir Baric costituiscono un valido esempio di quella che in
precedenza abbiamo definito “archeologia dell’attualità”. Riflettendo sul carattere
spiccatamente consumistico e divoratore della società occidentale,
l’artista utilizza gli scarti della divinizzata tecnologia – indispensabile alla vita
di oggi, ma soggetta ad un ininterrotto processo di invecchiamento precoce
ed inoltre difficilmente smaltibile – per creare organismi imperituri. I suoi
eleganti fossili, resi eterni dall’azione del fuoco sulla duttile natura del metallo,
hanno un’origine diversa da quelli conservati dalla compattezza della
pietra per interi millenni: concretizzano la volontà di lasciare una traccia che
parli delle contraddizioni del mondo contemporaneo, rivestendo di nuove
funzioni simboliche e connettendo a forme di primitiva bellezza i resti di sofisticate
apparecchiature destinate a sparire.
Alla terra come generatrice instancabile di creature vegetali, che con il loro
silenzioso ciclo di sviluppo sintetizzano la parabola esistenziale degli esseri
viventi, s’ispirano le sculture di Giuseppe Colangelo. In particolare, l’artista
si sofferma sulla fase visivamente miracolosa della germinazione: dal ramo,
quiescente durante il lungo letargo invernale, dirompe l’emergere della rinascita
primaverile; allo stesso modo la pianta, spontaneamente protesa verso
l’aria e la luce, leva il capo oltre l’inerte superficie del terreno. Al cospetto di
queste opere torna in mente la descrizione biblica del terzo giorno della creazione:
«E Dio disse: “La terra produca germogli, erbe che generano seme e
alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo
la sua specie”. E così avvenne […]» (Genesi I, 11). L’autore conserva intatto
il senso di stupore nei confronti dell’antico prodigio che si ripete, contribuendo
a rinnovarlo.
Nei quadri di Valentina Crivelli il ventre della terra custodisce il transito rapido
e spesso asettico del traffico metropolitano. Entro il dinamismo forzato
41

della quotidianità, che porta perfetti sconosciuti ad intrecciare i propri percorsi
alla stregua di formiche impazzite, vagoni modulari mettono in vetrina
il muto parallelismo di sogni inespressi, fatiche abituali, pensieri animati da
impercettibili refrain. Le arterie sotterranee delle città pulsano di una vitalità
sfuggente, proiettata verso i mille altrove cui si rivolgono gli sguardi dei compagni
di viaggio occasionali. La ricerca della pittrice trova il punto di massimo
interesse proprio nel tentativo di fermare attimi altrimenti condannati alla
dimenticanza, all’assimilazione subitanea, al marchio dell’inutilità. Il raggiungimento
di ogni meta, infatti, discende da un concatenarsi di passaggi solo
apparentemente accidentali.
Leonardo de Lafuente, dal canto suo, offre un’originale interpretazione
della storia personale e collettiva dipingendo figure nomadi sul piano impermeabile
di carte geografiche, normalmente finalizzate all’uso didattico.
I protagonisti dei suoi lavori, dai lineamenti umani o animali, fluttuano sui
confini della rappresentazione terrestre come continenti emozionali alla deriva.
Simboli e segni grafici ne indicano la direzione di movimento, le aspettative
silenti, la capacità di rischiare per mutare la propria sorte. La riproduzione
in scala dei frantumi del reale ecumene fa da sfondo alle vicende di
personaggi che interagiscono con i rilievi, le profondità marine, le frontiere
partorite dalla violenza bellica e dagli accordi politici. Un sentimento ironico
e giocoso invita l’osservatore a riconoscere il proprio ruolo di navigatore
inesperto tra sovramondi possibili.
Le tele di Gregory Di Carlo rendono la terra testimone di velature psicologiche
che trasfigurano il soggetto paesaggistico, interiorizzato e quindi
restituito attraverso tinte brumose ed ampie pennellate. La composizione
situa in primo piano l’estensione imponente delle zolle, immaginabili oltre lo
strato materico delle sovrapposizioni cromatiche che assorbono l’approccio
percettivo del fruitore. La dominante scura e avvolgente, che colpisce
inizialmente, introduce all’elevazione verso sfumature più chiare e luminose,
culminanti nella presenza di cieli azzurro polvere risucchiati oltre il limite più
alto dello spazio pittorico. L’energia narrativa dell’autore si condensa soprattutto
nel fulmineo delinearsi degli elementi che compaiono all’orizzonte,
lasciando intuire forme conosciute ed evocative.
Gli oli di Ettore Frani ignorano il timore dell’horror vacui. Al contrario, in essi
il vuoto e l’assenza appaiono elementi che predispongono ad accogliere un
messaggio altrimenti inafferrabile, ammantato di luci ma non di colori aurorali.
Quella di Frani è una pittura apocalittica, ovvero rivelatrice. Del mondo
non coglie le sembianze concrete e le masse corporee, ma la forza intangibile
del vento che districa i campi, le ombre cariche di mistero, le luci che
piovono dall’alto a volo d’uccello. L’impressione è che l’artista voglia creare
una nicchia in cui racchiudere la levità dell’universo, la sua impronta sacrale,
42

le sue componenti nascoste. Della terra conserva solo particolari filtrati da
nobili evanescenze, vapori essenziali, abbagli repentini e souvenir da riconoscere
in prospettive lontane.
Nell’installazione di Eliana Frontini il trait d’union tra la realtà terrena ed il
cielo è costituito da divini messaggeri, non privi degli strumenti del volo eppure
schiacciati dall’oppressione della materia. Bloccati da tenaci cuciture
sulla tela, quasi leggiadre farfalle catturate da un ambizioso entomologo,
sembrano degli ex voto abbandonati nel santuario dell’oblio. Silenziosi ed
immobili, hanno perso la capacità di svolgere i loro compiti fondamentali:
annunciare la salvezza, confortare, custodire, lodare. Nulla hanno dell’empatia
degli angeli di Wim Wenders; sono, piuttosto, relitti delle speranze sovrannaturali
alle quali l’uomo contemporaneo si affida con sempre maggiore
difficoltà. Sulla bilancia l’artista pone il senso di disorientamento dei mortali e
la crisi d’identità della spiritualità rivelata; nel mezzo si trova il filo, che tenta
di rinsaldare la fiducia in un legame di protezione esclusivo.
Le sculture di Alberto Garuffio nascono dalla pregressa raccolta e catalogazione
di numerosi oggetti terrestri di uso comune, nonché di reperti naturali
come rami ormai non più percorsi dalla linfa vitale. Lo scultore fruga
nel baule degli stanchi arnesi da lavoro e li osserva come se lo facesse per
la prima volta, cogliendone la pulizia del design e sottoponendoli ad una
metamorfosi che ne lascia emergere il carattere sommerso. Persa l’ordinaria
funzionalità, gli utensili si prolungano plasticamente, si innestano, mutano
come insetti che percorrono inconsapevolmente le tappe della propria evoluzione.
Nelle loro curve inedite si cela il divertissement dell’autore, che in
parte s’identifica con i suoi prodotti estetici nell’annunciare che nulla coincide
con i meri dati dell’apparenza.
La fotografia digitale di Michele Leccese rende la terra protagonista di
scatti d’effetto, rielaborati grazie ad un notevole apporto di fantasia. Vari
sono i discorsi affrontati, in ogni caso pronti a risvegliare negli interlocutori
la meraviglia entusiastica tipica dell’età infantile. In una delle opere un fiore
gigantesco interpella l’uomo chiedendogli di farsi riconoscere; non sa che
l’essere indiscreto è solito arrecare gravi danni alla natura. Una seconda
fotografia mostra il fascino dell’etere, elemento cosmico immutabile che si
contrappone direttamente alla terra, teatro di cambiamenti continui. La galleria
delle immagini prosegue con la rappresentazione di un incubo, ovvero
la paura di precipitare nel vuoto, metafora dei timori dell’uomo che giornalmente
si trova in sospeso nell’affrontare i problemi caratterizzanti il nostro
mondo. La nostalgia della terra degli impressionisti, infine, trasforma il Déjuner
sur l’herbe in un pittoresco Drink en plein air.
Il rapporto di Vanni Macchiagodena con la terra abbraccia diverse dimensioni.
Innanzitutto essa rappresenta il docile materiale che permette alle abili
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mani dell’artista di plasmare il racconto del proprio microcosmo: è l’argilla
che si lascia tagliare, scavare, stringere e levigare, adattandosi arrendevolmente
alla ricerca espressiva in atto. In secondo luogo, la terra degli uomini
è il complesso contenitore da cui Macchiagodena estrapola i contenuti dei
suoi gruppi statuari, imponenti per dimensioni ma nel contempo alleggeriti
da un garbato slancio verso l’alto. Figure di oblunga bellezza raccontano
la storia di viaggi e tempeste, di santità e smarrimento, di dubbi e certezze
talvolta fittamente intrecciati. La geometria dei corpi si combina in moti di
ieratica compostezza, da seguire tacitamente per comprendere la chiave di
lettura dell’opera.
Massimiliano Pelletti collega il riferimento alla terra alla riflessione antropologica
e filosofica, giocando con scioglilingua ed espressioni idiomatiche.
La sua impostazione tematica è arricchita da un arguto spirito critico e da
una velata ironia nei confronti della cultura di massa e delle incongruenze
riscontrabili nel modus vivendi attuale. La perizia dello scultore sfida il marmo
di Carrara riproducendo l’emisfero sinistro del cervello umano, la cui
importanza è resa ipertrofica da una società che preferisce la freddezza razionale
– della quale il lobo anatomico è sede – alla creatività e all’emotività.
Le opere in resina smaltata s’incentrano, invece, sullo studio di animali che
si prestano all’elaborazione visiva di concatenazioni verbali, suscitando nel
fruitore il sorriso ma anche un immediato raccoglimento.
Le sculture di Emiliano Rubinacci forniscono una lettura multifocale dell’argomento
attorno al quale la mostra si struttura. La prima lente d’ingrandimento
indirizzata sulla terra è quella che punta l’attenzione sui cosiddetti
Worlds in progress, visioni neofuturiste di architetture che si sviluppano senza
controllo e inglobano ogni cosa voracemente, in nome di un progresso
che porta a sconsiderate indigestioni urbane. Ulteriori interpretazioni coincidono
con la serie di opere sulle prigioni, in cui si instaurano comunicazioni
efficaci tra materiali e percezioni sensoriali diverse (i loro titoli, ad esempio,
sono sonori), ed infine con le sculture In-nonsense. Queste ultime considerano
la perdita dell’innocenza da parte del nostro mondo, soffermandosi
a pensare anche all’infanzia che riceverà in eredità le conseguenze di tale
mancanza.
Nelle tele di Sergio Silvi la superficie terrestre diventa l’archivio degli umani
passaggi. La polvere ne raccoglie l’impronta, l’asfalto ne registra le probabili
direzioni. Le tracce dei pneumatici sulla strada sottolineano l’avvicendarsi
di viaggi spinti da diverse motivazioni: dal richiamo della sopravvivenza
all’indagine sulla propria identità, dagli itinerari dell’elevazione mistica a
quelli della perdizione, non sempre preannunciati da precise indicazioni. La
corposità della colla, che solidificandosi ferma nel tempo segni solitamente
labili, esalta il valore di qualsiasi cammino percorso. Il marchio che affiora
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dai fondi monocromatici costituisce un promemoria del tragitto compiuto,
ma anche l’orientamento dei passi successivi; è, insieme, il filo di Arianna, la
briciola di pane lasciata cadere da Pollicino, la mappa che proietta verso la
conquista di un appetibile Eldorado.
La pittura di Giuseppe Termine è un crocevia di influenze ricevute da diverse
culture e fatte proprie, come l’autore stesso ammette, attraverso il
palcoscenico delle vie della città. L’artista si sofferma molto sul rapporto
tra l’uomo e la natura, sull’equilibrio che il temporaneo inquilino della Terra
dovrebbe raggiungere con l’habitat in cui è chiamato ad esistere. Spesso le
persone smarriscono la freschezza di tale vincolo privilegiato e cercano la
felicità in altri luoghi, descritti come perfetti, perdendo parte della loro libertà.
I quadri di Termine, in cui campeggiano simboli estrapolati dal bagaglio
conoscitivo di vari popoli e di differenti epoche storiche, invitano l’osservatore
a cercare nel proprio intimo la verità di cui ciascuno è latore. Oggi più che
mai, la sete di assoluto si trasforma nel tentativo di ricercare un’armonia tra
gli eventi unici ed irripetibili che costellano le singole esistenze.
Alla tematica ecologica si rifà l’installazione del collettivo TheBagArtFactory,
intitolata Scultura differenziata. L’opera, realizzata da tre componenti della
“fabbrica artistica” milanese (Baric, Garuffio e Rubinacci), prende spunto
da un’emergenza assoluta a livello globale – lo smaltimento di rifiuti ed il
reimpiego dei materiali riciclabili – per schedare e ammonticchiare nel Museo
una gran quantità di oggetti ritenuti inutili oppure obsoleti. Chi si ricorderà,
in futuro, di un vecchio cellulare, di un phon malfunzionante, di lattine
non inserite negli appositi raccoglitori? Persino un libro, secolare strumento
di trasmissione del sapere, fa bella mostra di sé nel bazar improvvisato dei
vuoti a perdere. L’instabile cumulo di pseudoimmondizia ceramica è un’icona
del pianeta che consuma smodatamente e rischia, attualmente, di risultare
soffocato dai propri scarti.
A completare il ventaglio di proposte del Premio Vasto, l’artista della parola
Alessandra Piano presenta, in diversi momenti del periodo di durata
della mostra, la video installazione Antica Madre. Il lavoro si articola in un
elaborato percorso di immagini, proiettate sulle pareti di Palazzo d’Avalos,
che parafrasano visivamente una poesia della stessa autrice. L’opera, connubio
perfetto tra diversi canali espressivi, interagisce con l’ambiente che
l’accoglie aggiungendo ulteriori significati a quelli già connessi al reciproco
scambio tra verba e simulacra. In un mondo talvolta disorientato, la poetessa
parla della comunione con la propria terra lasciando trapelare un
sentimento panico e di profonda passione. Le radici, talvolta, hanno le ali.
La terra, quella che si contempla e con cui ci si sporca le mani, un giorno
sarà la culla in cui ci addormenteremo tranquillamente, ricongiungendoci
alle nostre origini.
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Zelimir Baric
Nasce il 1 agosto 1975 in Serbia, a Novi Sad. Vive e lavora a Milano.
2009
Special Guest alla collettiva Künstler Alltag. Macht der Farbe, Galerie Zangbieri,
Basilea; installazioni Biped e C 30 alla Collettiva Digitali s Human, Museo Nazionale
della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano in occasione del
Salone del Mobile 2009; asta di beneficenza a favore di “Save the Children” a cura
di Emanuele Beluffi e Philippe Daverio, Conservatorio di Milano; Pandora’s box.
Zeliko Baric e il collasso della civiltà nata morta, personale con testi di Emanuele
Beluffi, Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano;
2008
Collettiva Gadewe, a cura di Tom Gefken, Galerie des Westens, Brema; Sold Out,
collettiva a cura di Chiara Canali, ex Strada Statale 527 Monza-Saronno, Limbiate
(MI); Thebagartfactory-Culture Bag, collettiva a cura di Alessandra Panaro, Libreria
Ubik, Savona;
2007
Art Verona, Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano; Personale C 30 e numeri, Galleria
Bianca Maria Rizzi, Milano; asta benefica a favore di “Child Priority, Sotheby´s
Italia”, Montecarlo; Out, collettiva a cura di E. Saccardi e E. Scuto, complesso
monumentale di Santa Caterina, Finale Ligure (SV).
2005
Caro Babbo Natale, collettiva a cura di Chiara Canali, Cecilia Antolini e Silvia
Bonomini, Galleria Aus 18, Milano; Dimensione materia, collettiva a cura di Mimmo
Di Marzio, Galleria Bianca Maria Rizzi, Milano e contemporaneamente esposizione
presso lo Spazio Stresa6, Milano; Altre voci, altre stanze, evento collaterale della
Catania Arte Fiera (CAF), Le Ciminiere, a cura di Alessandro Riva.
2004
Personale Retroactive, video installazione, Yugoslav gallery of art works, Belgrado.
46

Fossile, 2008
ferro battuto e saldato
cm 25x25
47

Fossile, 2008
ferro battuto e saldato
cm 15x21
48

Ragno, 2009
metalli vari assemblati
cm 50x60x30
49
Zelimir Baric

Giuseppe Colangelo
Nato in Svizzera, a Liestal, nel 1968, si è diplomato presso l’Istituto Statale d’Arte
di Vasto nel 1988, in Arte dei metalli e dell’oreficeria. Nel 1992 ha concluso gli studi
presso l’Accademia delle Belle Arti di Firenze, sezione Scultura. Ha insegnato
Storia dell’arte e Linguaggio Visuale, prima presso il Liceo Artistico di Lecco, poi
presso il Liceo Artistico di Basilea; a partire dal 1998 è stato docente di Discipline
plastiche presso gli Istituti d’Arte di Perugia, Lanciano e Chieti. La sua attività di
ricerca si è rivolta ai diversi settori delle arti visive: scultura, pittura, grafica, cinema,
fotografia. Nel campo della didattica ha operato attraverso progetti artistico-educativi,
allestendo il Laboratorio Sperimentale d’Arte Dallo scarabocchio alla creatività
rivolto ai minori, all’integrazione e ai diversamente abili. Ha preso parte a numerosi
simposi internazionali di scultura, in particolare: XV Simposio Internazionale
di Scultura a Carrara, Morphè e Tragitti nella Provincia di Cremona e Scolpire in
Piazza a Sant’Ippolito (PU).
Numerose sono le sue partecipazioni a mostre personali e collettive sia in Italia
che all’estero (Svizzera, America, Australia, Spagna, Belgio, Olanda, Cina, Belgio,
Germania) e diversi i premi e le menzioni ottenuti. Dal 1994 ha organizzato e diretto
manifestazioni come CastigliArte e il Premio Primavera presso la Galleria Artis di
Basilea e il Consolato Generale d’Italia di Basilea. Dal 1998 ha organizzato e diretto
diversi eventi artistici: simposi di scultura a Rapino (CH), in collaborazione con la
Biennale di Venezia & Sensi Contemporanei, e a Castiglione Messer Marino (CH),
Maya a Palena (CH), Forme nel territorio della Marrucina a Canosa Sannita (CH),
Scultura Live a Pescopennataro (IS), Incontaminazioni Art Workshop_07 a Celenza
sul Trigno (CH), Happening di Land Art–X SALVARTI a Tufillo (CH).
Attualmente è docente di Arte e Immagine nelle scuole medie e svolge la propria
attività artistica a Castiglione Messer Marino (CH).
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Dervisci, 2009
limestone turca
cm 50x45x45
51

Maggiociondolo, 2007
travertino rosso Persia e pietra della Maiella
cm 40x18x20
52

Vite, tralcio e germoglio, 2007
bianco Carrara
cm 21x28x12 Giuseppe Colangelo
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Valentina Crivelli
Nata ad Amelia (TR) nel 1971, vive e lavora in Umbria.
Laureata in antropologia, è docente di disegno grafico presso l’Università di
Perugia e Counsellor a mediazione artistica.
Principali mostre personali
2009
Mostra personale di Valentina Crivelli, Galleria Minima Arte Contemporanea, Roma;
Rescue#2, a cura di B. Pavan, Libreria Mondadori, Pompei (NA); Rescue#1, a
cura di B. Pavan, Galleria Montoro, Roma; Perché io cioè, a cura di B. Pavan,
Studio 7.it, Anatolia di Narco (PG).
2008
Qui ed ora, a cura di D. Madonna, Galleria 3)5 arte contemporanea, Rieti.
2007
Frequenze rituali, a cura di L. Grasso, Galleria 03, Orvieto (TR).
Principali mostre collettive
2009
One Planet, a cura di B. Pavan Studio7.it, Palazzo Marcotulli, Rieti; Espace Art, a
cura di B. Pavan, Studio7.it, Fiera di Nizza (Francia); Fleurs. Opere d’amore II, a
cura di F. Santaniello, Spoleto (PG); La memoria e le immagini, a cura di M. Testa,
Museo Diocesano e Capitolare, Terni; Kappa 100%, a cura di B. Pavan, Galleria
Montoro, Roma.
2008
Penelope non abita più qui, a cura di B. Pavan, Studio7.it, Rieti; L’arte nell’arte, a
cura di B. Pavan, Studio 7.it, Castello Malaspina, Massa; Qual piuma al vento...,
a cura di B. Pavan, Studio 7.it, Vitorchiano (VT); Isolina e le altre... , a cura di B.
Pavan, Studio 7.it , Palazzo Marcotulli, Rieti; Fleurs. Opere d’amore, a cura di F.
Santaniello, Cascia (PG); Crazy Boys, a cura di F. Santaniello, Terni; Quaranta alle
terza per Ampasilava, a cura di B. Pavan, Museo d’Arte delle Generazioni italiane,
Pieve di Cento (BO); VII Biennale Internazionale di Roma.
2007
La follia gentile. Rintracciarti 2007, Palazzo della Ragione, Mantova; Ritratti, a cura
di I. Millesimi, Galleria 3)5 arte contemporanea, Rieti; Mulier. IncontrArti 2007 a
cura di D. Madonna, Vasto (CH).
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Ottaviano San Pietro #11, 2009
acrilico si tela
cm 60x90
55

Ottaviano San Pietro #10, 2009
acrilico si tela
cm 100x120
56

Ottaviano San Pietro #1, 2007
acrilico si tela
cm 100x150 Valentina Crivelli
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Leonardo de Lafuente
Nasce a Buenos Aires il 12 novembre 1977. A partire dal 1997 frequenta la Facoltà di
Belle Arti dell’ Università Nazionale di La Plata (Argentina), diplomandosi nel 2001.
In seguito partecipa a diversi corsi di approfondimento: fotografia, illustrazione,
aerografia e disegno dal vero. Dal 2004 risiede in Alto Adige.
Sedi delle principali esposizioni
2008
Galleria Elements, Barcellona.
2007
Galleria Goethe 2, Bolzano; Circolo artistico e culturale di Ortisei (BZ).
2006
Al grande ponte, Ortisei (BZ); Castello Trostburg, Ponte Gardena (BZ); Galleria
Goethe 2, Bolzano; Galleria Civica di Chiusa.
2004
La Plata (Argentina), Concorso Edelap; Museo Provinciale di Cordoba (Argentina).
2003
Centro Culturale Teatro Argentino e Foro provinciale, Mar del Plata; Museo
provinciale di Belle Arti della provincia di Buenos Aires.
2001
Buenos Aires e San Paolo del Brasile, Premio Maimeri America Latina; Buenos
Aires, Biennale di arte giovane, primo premio.
58

Chek in chek out, 2008
tecnica mista
cm 178x182
59

Perro pourvenir, 2008
tecnica mista
cm 136x192
60

Shangai dreams, 2008
tecnica mista
cm 150x198 Leonardo de Lafuente
61

Gregory Di Carlo
Nasce a Roubaix nel 1975 e fino all’età di sette anni vive nel Nord della Francia,
ai confini con il Belgio, per poi trasferirsi con la famiglia in Italia. Diplomato in
Pittura presso l’Accademia delle Belle Arti di Roma, nel 2003 dà inizio la sua attività
espositiva presso l’ex cartiera-Rampa Prenestina, dove vive per brevi periodi. Nel
2004 concorre per il Premio Nazionale delle Arti e l’anno seguente è presente alla
mostra mercato Immagina Arte in Fiera di Reggio Emilia. Nel 2006 espone nella
Sala Vittoria Colonna di Palazzo d’Avalos a Vasto con la personale Roma Città
Immobile, partecipa alla V Biennale Internazionale di pittura Premio F. Casorati
presso l’Istituto Italiano di cultura a Cracovia. Nel 2008 lavora ad un’installazione
per il ciclo di mostre Sagome 547 (galleria Horti Lamiani Bettivò) e nello stesso
anno è invitato a dipingere una serie di acquerelli per una video proiezione, Attese
Circolari, nel circuito d’arte contemporanea Framment 2008. Nell’ultimo biennio
realizza diverse scenografie teatrali su tematiche interculturali, collaborando al
progetto del Miur Arca di Pace, proposta per l’ora di pace nelle scuole (UNESCO).
Vive e lavora a Roma.
62

Loin de la ligne, 2008
olio su tela
cm 75x120
63

L’arbre de Pauline, 2009
olio su tela
cm 50x100
64

Clin d’oeil, 2009
olio su tela
cm 50x100
65
Gregory Di Carlo

Ettore Frani
Nato nel 1978 a Termoli (CB), vive e lavora a Roma. Diplomato in Pittura
presso l’AABB di Urbino e Bologna. Nel 2008 è presente su “Espoarte” n°53
nella sezione giovani e su “Flash Art” n°273 nella sezione speciale pittura.
Parallelamente all’attività espositiva, dal 2004 ha realizzato opere per i gruppi
musicali Obsolescenza Programmata e Arpia. Ha altresì collaborato con AltroVersoquadernodisegnicontemporanei
e con la Casa Editrice Marietti 1820.
Principali esposizioni personali
2008
Vana Immagine, GiaMaArtstudio, Benevento; Umano non umano, Horti-Lamiani
Bettivò, Roma; Esistenziali_smi. Il Pane e l’Apocalisse, doppia personale con
Gianfranco Ferroni, LibraArte, Catania; Ierofanica 2008, Galleria Maniero, Roma.
2007
Incontri Ravvicinati, Monteodorisio (CH);
2005
Phisys, Museo Mineralogico Campano, Vico Equense (SA).
Principali esposizioni collettive
2009
7x7-sette artisti nati negli anni settanta, L’Ariete artecontemporanea, Bologna;
Premio Artivisive San Fedele. L’uomo e il suo destino, Galleria San Fedele, Milano;
Premio Parati 2009, Rinascitarte, Milano; Segno e Scatto, Museo Crocetti, Roma;
..Scanning…Ad Memoriam, Studio Soligo, Roma; ArteFiera Bologna, Galleria
Edieuropa, Roma;
2008
Quadro d’Autore, Libraarte, Catania; Nuovi cantieri in corso, Galleria Aratro,
Campobasso; Fuoriluogo 13, Galleria Limitiinchiusi, Campobasso; La Falce e il
Martello. Simboli di ferro, MUSPAC-Museo sperimentale d’arte contemporanea,
Aquila; Arte senza tempo, Galleria Edieuropa QUI, Roma.
2007
La Bellezza del Mondo, GiaMaArtstudio, Benevento; A Certain form of Heaven/
Male, Artsinergy, Bologna; selezionato per il catalogo “Premio Celeste 2007” .
2006
51° Premio Termoli, Galleria Civica, Termoli (CB); Premio Italian Factory 2006, Casa
del Pane, Milano.
66

Vane immagini (dittico), 2009
olio su mdf
cm 105x60
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Notte saturnale (polittico), 2008
olio su mdf
cm 105x105
68

Ombre, 2009
olio su mdf
cm 50x60 Ettore Frani
69

Eliana Frontini
È nata a Novara nel 1968. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, si iscrive
all’Accademia delle Belle Arti di Brera e si diploma in Scenografia nel 1991. Nella
stessa Accademia, nel 2007, conclude il biennio di specializzazione in Arti Visive
e Discipline dello Spettacolo, indirizzo Scultura, con una tesi dal titolo Il tema della
memoria nel contemporaneo con riferimento a Christian Boltanski e Roman Opalka.
Dal 1990 al 2001 lavora all’Informagiovani del Comune di Novara, collaborazione che
la porta a conoscere il mondo dell’arte di provincia dalla parte dell’organizzazione,
occupandosi delle associazioni novaresi, predisponendo scambi europei anche di
giovani artisti, tenendo lezioni e conferenze nelle scuole medie superiori sull’arte
del ’900 per conto della Provincia. Nel 2001 fa nascere il Circuito dei Giovani Artisti
(GAI) di Vercelli. Dal 1994 inizia a collaborare con diverse testate locali per la
pagina dell’arte, dello spettacolo e della cultura; è giornalista pubblicista dal 1996.
È stata, per diversi anni, coordinatrice del laboratori didattici di varie associazioni
novaresi e, per la Prefettura di Novara, ha collaborato alla formazione della parte
artistica di un laboratorio di creatività per adolescenti, dopo aver frequentato un
corso biennale di arteterapia organizzato dalla stessa Prefettura. Dal 2000 al 2007
ha insegnato nelle scuole elementari Italiano, Storia e Arte. Nell’a.a. 2007/2008 è
stata delegata per Arona (NO) per il Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI). Ora si
divide tra l’insegnamento di Disegno e Storia dell’Arte al Liceo Scientifico di Arona
(NO), l’attività di fotografa e giornalista, la rappresentazione di proprie performance
e l’esecuzione di disegni e testi per CD ROM.
Principali esposizioni recenti
2009
Natura Naturans, collettiva a cura di Angela Madesani, Isola della Certosa, Venezia;
One Planet, collettiva a cura di Barbara Pavan, Palazzo Marcotulli, Rieti.
2008
Abito ancora in parte forse, personale a cura di Stefano Venezia e Domenico Olivero,
Cuneo; Arte mutante, alchimie surreali, collettiva a cura di Angela Madesani e Maria
Rosa Pividori, Galleria Studio Dieci, Vercelli (evento collaterale alla mostra Peggy
Guggenheim e l’immaginario surreale).
2007
Verbum Caro factum est, performance per la terza edizione del Festival di Poesia
Civile “Città di Vercelli”, Vercelli.
70

Nuntius Dei, installazione, 2008
fotografia cucita su stoffa con filo da sutura
(particolare)
71

Nuntius Dei, installazione, 2008
fotografia cucita su stoffa con filo da sutura
(particolare)
72

Nuntius Dei, installazione, 2008
fotografia cucita su stoffa con filo da sutura
(particolare) Eliana Frontini
73

Alberto Garuffio
Nato a Bergamo l’11 gennaio 1979, termina la propria formazione presso l’Accademia
delle Belle Arti di Brera. Nel 2004 approda nel gruppo TheBagArtFactory, una
giovane realtà artistica milanese nel quartiere Bovisa, dove espone per la prima
volta a Bagarre. Attualmente vive e lavora a Milano.
Principali esposizioni
2009
26 forTibet, collettiva a scopo benefico, Milano e Fortunato (PV); Street without
wall, evento collettivo di beneficenza in collaborazione con La Confraternita della
Misericordia di Firenze; Art Charity, a cura di Chiara Canali, Firenze; Save the
children, a cura di E. Beluffi, Galleria New Ars Italica, con asta benefica diretta da
Philippe Daverio, Milano; Segnali umani. Urban Signal Art Project, bipersonale con
Emanuele Alfieri, Puzzle art Gallery, Milano.
2008
Metamorfosi. La seconda vita degli oggetti, esposizione collettiva Orzinuovi, Brescia;
Sold-Out, Limbiate, (MI); Scultura differenziata, performance con installazione alla
Fiera internazionale della Maiolica, Albissola (SV); Multicolored Puppets School
(you SchoolTube), installazione in occasione del Premio Agazzi 2008, Mapello
(BG); Fuori Salone, expo con Puzzle4Peace, Milano; MiArt Off, esposizione al
TheBag con Puzzle4Peace, Milano; Milano 2008-Bitte-Meet the peace night show,
esposizione con Puzzle4Peace, Milano; Love & The City, Hotel Eden Casinò,
collettiva TheBagArtFactory, Juan Les Pins (Francia).
2007
Installazione di sculture Garuffio-Rubinacci-Loconte del collettivo TheBagArtFactory,
Piazza Duomo Milano; AlbiSoulArt, mostra TheBag annessa alla performance
in Albissola Marina (SV); Carnedamacello, performance di scultura ad Albissola
Marina e Albissola Superiore (SV); Open Source, collettiva presso The Bar Art
Factory, Milano; Materiali Urbani Indiferenziati, collettiva presso lo Spazio 6/A,
Milano; Mostra di scultura presso lo Spazio Pervinca, Milano.
2006
Sitin, installazione TheBagArtFactory alle colonne di S. Lorenzo, Milano; Arte
giovane, mostra di scultura, Imbersago (LC); Uno sguardo a parte per una causa
giusta, collettiva presso TheBagArtFactory in collaborazione con Emergency,
Milano.
2004
Bagarre, collettiva presso TheBagArtFactory , Milano.
74

Ramo n.7.jpg, 2008
assemblaggio corteccia
cm 53x21x18
75

Lo scalpello.jpg, 2009
assemblaggio ferro e legno
cm 29x9x4
76

Ferro 35.jpg, 2008
assemblaggio ferro
cm 26x9x4 Alberto Garuffio
77

Michele Leccese
Nasce nel 1980 in Puglia, sul Gargano. Nel 2000, dopo aver conseguito la maturità
classica, si trasferisce a Firenze per iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia,
indirizzo musica e spettacolo. Vari sono i suoi approcci al mondo dell’arte: studia
violino, pianoforte, chitarra, canto, danza, e lavora come animatore/cabarettista in
villaggi turistici. Appassionato di arte concettuale, e di tutte le sperimentazioni in
ambito artistico, si avvicina al mondo della fotografia digitale nel 2007. Da subito si
orienta su uno stile molto personale; nei suoi scatti privilegia attimi di vita quotidiana
riproposti in chiave ironica ai quali accompagna particolari rielaborazioni con
colori vivaci e prospettive insolite (es. il lavoro svolto sulle Unusual Perspectives),
al limite tra fotografia ed illustrazione. Artista in continua evoluzione, affascinato
dalle sperimentazioni, impronta i suoi ultimi studi fotografici su un concept di tipo
surreale, metafisico e visionario. Pubblica vari lavori: per il DDMagazine (rivista
d’arte online), su “Repubblica” aderendo al progetto Urliamo di Domenico Gioia,
un calendario benefico per l’ospedale pediatrico Mayer di Firenze, e varie foto su
diversi portali di musica come Rockit, xL. Attualmente collabora con vari artisti per
concerti Live.
Principali esposizioni
2009
I cant’ stop thinking about it, personale presso il Cafè Deluxeé, Firenze; Daydreaming
Time, associazione Daydreaming project e Knulp, Trieste; L’amore a scatti,
installazione con l’associazione culturale “CON” progetto condiviso, Guggenheim
Cafè, Foggia; Tendenze Attuali, Galleria Studio Arte Q, Pontedera (Fi); Lussuria, Blu
Concept Store, Bologna.
2008
OltrArte, Galleria il Serraglio, associazione culturale OltrArte, Firenze; Dalle gallerie
virtuali agli spazi reali, associazione culturale DDMagazine, Trieste.
78

E tu chi sei!... disse il fiore, 2009
fotografia digitale
cm 60x90
79

Etere, 2009
fotografia digitale
cm 60x90
80

Incubus, 2008
fotografia digitale
cm 60x90 Michele Leccese
81

Vanni Macchiagodena
Nasce a Termoli (CB) il 22 aprile 1968. Nel campo dell’arte, nella scultura predilige
materiali come la terracotta, il legno e la pietra e si dedica contemporaneamente
alla pittura. Fin dagli inizi si occupa dello studio della figura umana, che lo porta
a sintetizzarne lineamenti e volumi, mirando ad una pulizia espressiva, sia dei
materiali che dei significati. È del 1995 la sua prima esposizione, cui fanno seguito
altre mostre in diverse città italiane. Nel 2003 viene selezionato per la seconda
edizione della manifestazione Gemine Muse: giovani artisti nei musei italiani
presso il Museo Sannitico di Campobasso. Alla Galleria Civica di Termoli nel 2005
partecipa alla mostra Genius Loci, Arte Contemporanea in Molise e sempre nello
stesso anno ad IncontrArti. Le Proposte del Premio Vasto, nella Sala Colonna del
Palazzo d’Avalos a Vasto (CH).
Sempre qui, nel 2008, tiene una mostra personale di scultura presso la Sala
Michelangelo e ancora a Firenze presso la Galleria Gadarte.
All’arte sacra dedica parte della sua produzione artistica. Nel 2000 realizza una
Crocifissione in bronzo per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Ururi (CB) e
nel 2001 un Ambone in pietra per la Chiesa Madre di Lucito (CB). È del 2003 la
realizzazione di una Via Crucis in terracotta presso la sede vescovile a Gorè, in
Ciad, e del 2007 una Crocifissione in pietra presso il santuario della Madonna dei
Miracoli a Casalbordino (CH).
Vive e lavora a Termoli (CB).
82

Il viaggio, 2009
terracotta
h cm 180
83

La tempesta, 2008
terracotta
h cm 170
84

La Storia, 2009
terracotta
h cm 80 Vanni Macchiagodena
85

Massimiliano Pelletti
Nasce nel 1975 a Pietrasanta, cittadina di nobili radici artistiche. Formatosi attraverso
studi superiori in Arte e Architettura e universitari in Filosofia, sin da bambino
è a contatto, nel laboratorio d’arte del nonno scultore (Mario Pelletti), con creta
e marmo. Da lì, nel tempo, intraprende l’esperienza con svariati materiali, come
bronzo, legno e ceramica, oltre a composti innovativi e sintetici come resine e
materie plastiche. Pelletti analizza la forma con attenzione e sensibilità narrativa,
ricercando un insieme equilibrato tra concetto e risultato estetico.
Partecipa a svariate esposizioni tra cui la XII Biennale d’arte d’Europa e Mediterraneo
di Napoli, il Salone internazionale d’Arte di Alessandria in Egitto, la Biennale
d’Arte città di Pisa. Tiene inoltre una personale alla Vehicle Art Gallery di Milano,
espone nell’Abbazia di San Zeno a Pisa, partecipa a vari progetti artistici come
BAU. Contenitore di cultura contemporanea, presente nei più importanti musei italiani
ed europei. Inaugura, con un progetto d’arte denominato Interferenze Conteporanee
a cura di Enrico Mattei, la stagione teatrale e musicale oltre che il trentesimo
anniversario della Versiliana Festival.
86

Dog eat dog, 2008
resina smaltata
cm 40x50
87

Senza titolo, installazione, 2008
resina smaltata
dimensioni variabili
88

Sinistro, 2008
marmo bianco statuario di Carrara
cm 30x22x13 Massimiliano Pelletti
89

Emiliano Rubinacci
Nasce a Buenos Aires, Argentina, nel 1979. Nel 2002 si trasferisce a Milano per
frequentare l’Accademia delle Belle Arti di Brera, indirizzo Scultura dove nel 2007
conclude i suoi studi. Nel 2004 si unisce al gruppo TheBagArtFactory e dal 2007
assiste occasionalmente il maestro Giuseppe Spagnulo presso il suo studio di
Gaggiano (MI).
Principali esposizioni
2009
26 forTibet, collettiva a scopo benefico, Milano e Fortunago (PV); Street without
wall, evento collettivo di beneficenza in collaborazione con La Confraternita della
Misericordia di Firenze; Art Charity, a cura di Chiara Canali, Firenze; Save the
children, a cura di E. Beluffi, Galleria New Ars Italica, con asta benefica diretta da
Philippe Daverio, Milano; collettiva presso la Galleria Grillo Arte, Uruguay.
2008
Ritratto nello specchio, colletiva presso Avantgarden Gallery, Milano; S_Oldout,
collettiva in un ex supermercato a Liumbiate (MI); Scultura differenziata, performance
con installazione alla Fiera internazionale della Maiolica, Albissola (SV);
installazione Multicolored Puppets School (you SchoolTube), in occasione del Premio
Agazzi, Mapello (BG); Fuori Salone, expo con Puzzle4Peace, Milano; MiArt
Off, esposizione al TheBag con Puzzle4Peace, Milano; Milano 2008-Bitte-Meet the
peace night show, esposizione con Puzzle4Peace, Milano.
2007
Installazione di sculture Garuffio-Rubinacci-Loconte dal collettivo TheBagArtFactory,
Piazza Duomo, Milano; AlbiSoulArt, mostra TheBag annessa alla performance in
Albissola Marina (SV); Open Source, collettiva presso The Bar Art Factory, Milano;
Punti Di Vista Sulla Metropoli, collettiva con Pho e Termine presso lo Spazio Mortara
15, Milano; Materiali Urbani Indiferenziati, collettiva presso lo Spazio 6/A, Milano.
2006
Uno sguardo a parte per una causa giusta, collettiva presso TheBagArtFactory in collaborazione
con Emergency, Milano; 1380, collettiva presso lo Spazio 1380, Milano.
2005
Morte Alle Stenografe, collettiva presso TheBagArtFactory; Bagage, collettiva presso
TheBagArtFactory, Milano; Dario Fo vs TheBag, collettiva presso TheBagArtFactory,
Milano.
2004
Bagarre, collettiva presso TheBagArtFactory, Milano; Bagdad, collettiva presso
TheBagArtFactory, Milano.
90

In-nonsense, 2008
ferro saldato e toy
cm 12x12x15
91

Prigioni, 2008
ferro saldato e resina
cm 24x18x23
92

Worlds in progress, 2008
ferro saldato
cm 50x50x76 Emiliano Rubinacci
93

Sergio Silvi
Nasce a Terni nel 1968. Si diploma presso l’Istituto Europeo di Design in Architettura
di Interni. Vive e lavora a Terni.
2009
Tracce a Palazzo, a cura di M. Angeli e M. Pulcinella, Palazzo dei Priori, Narni (TR);
Fleurs. Opere d’amore 2° ed., a cura di F. Santaniello e T. Dominijanni, Palazzo del
Comune, Spoleto (PG); La memoria. Le immagini, a cura di M. Testa e G. Cecca,
Museo Diocesiano, Terni.
2008
I Draw, a cura di M. Testa, Galleria Restaurarte, San Gemini (TR); Heads, a cura di
L. Barbaresi, Galleria Canovaccio, Spoleto.
2007
SuperArt, a cura di F. Santaniello, Terni; Informa, Chiesa di S. Maria Maddalena, a
cura di Marco Testa, San Gemini (TR); Ancora Pop, a cura di Gabriele Bianconi,
Galleria d’arte contemporanea il Narciso, Roma.
2006
Cuori ad Arte, Palazzo di Primavera, Terni; Ars Palliorum. Premio per l’arte contemporanea
(Primo premio), a cura di Gaia Cecca, Narni (TR); Amori Imperfetti, Jerico
Spazio Contemporaneo, Perugina; Faccia a Faccia, a cura di F. Santaniello, Centro
Sociale di Palmetta, Terni; selezionato per il catalogo Premio Celeste 2006; Pigri e
Viaggiatori, a cura di Marco Testa, Chiesa di S. Maria Maddalena, Sangemini (TR);
Salone del Mobile di Milano, stands Ipe Cavalli e Medea.
2005
Visionnaire, showroom, Milano.
2004
Artisti Contemporanei, a cura di Giuliana Stella, Associazione culturale Archè, Terni.
94

Senza titolo, 2009
tecnica mista su tela
cm 100x100
95

Senza titolo, 2009
tecnica mista su mdf
cm 120x65
96

Senza titolo, 2009
tecnica mista su mdf
cm 100x30 Sergio Silvi
97

Giuseppe Termine
L’artista, il cui nome d’arte è Termine Growth, nasce nel 1982 a Milano, dove lavora
tuttora. La sua poetica si incentra sul rapporto tra uomo e natura, ovvero su un’attenta
analisi dell’habitat che circonda la nostra vita, per comprendere appieno il
segreto di essa.
Nel corso degli anni sviluppa attraverso la strada, palcoscenico di molteplici culture,
un linguaggio basato su segni, simboli e forme primitive, prediligendo la grafica
d’arte, la pittura e l’installazione. L’utilizzo dei materiali di riciclo che la città offre è
un’implemento di questo percorso.
Attraverso la riproduzione di simboli e particolari di essi, ricorrenti in molte culture e
usati in passato per descrivere queste conoscenze nascoste, l’artista lascia a noi
stessi la capacità di trovare un’armonia, di cercare molteplici soluzioni, negando
l’assoluto.
Principali esposizioni
2009
Bazaart, Londra; Street Art Without Wall, Museo della Misericordia , Firenze; 26
for Tibet, Milano; CollezioneContemporanea, GalleriaAccademiaContemporanea,
Milano.
2008
International Poster Art 3, Roma; Sold Out Expò, Milano; Free For Wall part 3, The-
BrickLaneGallery, Londra; Evil Xmas Fayre, TheEastRoom-Shoreditch, Londra; Via
Brick Lane E1, Italian Street Art- TheBrickLaneGallery, Londra.
2007
Punti Di Vista Sulla Metropoli, Pho-Rubinacci-Termine, Milano; Street Art, Piacenza.
2006
In The Street : Street Art, Milano; M-Multimedia, Milano e Torino; Pho-Rae Martini-
Termine, AvantgardenGallery, Milano.
2004
Street Madness, Milano; Beyond The Streets, Ghent (Belgio); Where Is 101, Milano.
98

Purezza ed illusione, 2009
tecnica mista
cm 60x50
99

Nessuno dei due (inferno&paradiso), 2009
tecnica mista
cm 100x80
100

In tutti i modi pacifici, 2009
tecnica mista
cm 100x80
101
Giuseppe Termine

TheBagArtFactory
Il progetto TheBag è nato dalla volontà di creare a Milano una realtà artistica energica,
dinamica e aperta a qualunque linguaggio estetico, una fabbrica d’arte che
attraverso la sua “produzione” sia metro di analisi della società moderna e del
territorio in cui si sviluppa.
TheBag non è una collettiva artistica, nè un movimento culturale, la fabbrica è di
fatto un contenitore di 600 mq nel quale si scontrano modi differenti di pensare e
di interpretare l’arte e forze artistiche profondamente diverse fra loro.
Il collettivo artistico TheBag non si pone né come movimento artistico né come
corrente motivata da scopi omogenei o estetiche condivise. È di fatto un gruppo
che porta il concetto informatico di “Open Source” in ambito artistico, mettendo
a disposizione spazi e materiali a chiunque voglia contribuire allo sviluppo del
progetto.
Fisicamente situato a Milano, TheBag ospita artisti giovani e meno giovani provenienti
da diverse località sia italiane che estere. Un “contenitore” che fa del dialogo
tra le proprie soggettività fatto imprescindibile per qual si voglia operazione artistica.
Tali soggettività, comunque, vengono incoraggiate a mantenere le proprie
motivazioni e i propri scopi, a mantenere inalterato un modus operandi personale
che arricchisca le sensibilità altrui lavorando sulla propria. Queste contaminazioni
portano ad una struttura fresca, aperta ed elastica, predisposta al dialogo e alla
condivisione delle risorse.
TheBag considera i propri membri “operai” di una fabbrica. Una fabbrica utopica
che produce linguaggi attraverso molteplici punti di vista. In sostanza, una voce
formata da voci.
Scultura differenziata è un’installazione di rifiuti in terracotta realizzata nell’estate
2007 dagli artisti Baric, Garuffio e Rubinacci.
102

Scultura differenziata, installazione, 2008
ceramica smaltata
dimensioni variabili
103

Scultura differenziata, installazione, 2008
ceramica smaltata
(particolari)
104

Scultura differenziata, installazione, 2008
ceramica smaltata
(particolari) TheBagArtFactory
105

Antica madre
Video installazione
di Alessandra Piano
Fermati e ascolta il mio dire
Non passare senza prima dare un senso a ciò che giace sotto i tuoi piedi
Scricchiola la zolla assetata di pioggia
Racconta la sua fame e, come un viso,
reca su di sé i segni dell’incessante divenire.
Osserva l’infuocato tramonto,
la passione che mai affievolisce tra cielo e terra.
Consapevole delle brocche infrante
-quanto nettare irrimediabilmente perduto-
Sono l’estate, la forza, il temporale violento
L’ermetica noce di cocco –ostinato guscio dal candido cuore-
Io sono la mia terra
Con lei canto i vigneti gravidi e succosi
Ho il sapore del frutto nato dalla sapiente semina.
Mi trovi nella corteccia degli alberi secolari
Immersi nel terreno ingordi fanno l’amore
-lo sentite il loro sospirare? Gli odori, gli ardori…-
Sono l’ala di una farfalla che fugge, l’ape che si riposa dopo aver indossato il suo oro
E lenta, ostinata, morde il mio pensare
Abbagliata dai colori, incollata a profumi che stordiscono l’anima.
Nasco nel fiume in piena
Perduta in un filamento d’acqua che non vuole trovare la sua via verso il mare.
Salto giù dall’uragano, non voglio mi porti via
’che tante lune m’ha già rubato con promesse ed illusioni –tempo ingrato-
Resto qui a guardare il sole che nasce e poi muore, ferito dalla notte
Respiro la luna mentre infrange bagliori argentei tra tenaci foglie ed intricati rami.
Resto tra tutte queste vite, in ciò che ancora possiede un’anima
E i capelli avranno l’odore di carnose piantagioni.
Nel frattempo le lancette appuntite
come lame affilate di chissà quale dio,
avanzano lente, insonore, seguendo la luce e la luce la sua notte.
Saranno leggere le mie mani, fino a quando
Il Ventre che mi ha cullato tra sorgenti, pendii e rocce smussate dall’iroso cielo,
mi ricondurranno all’Antica Madre.
106

Antica madre, 2009
still dal video presentato
107

I Premi Vasto
1959
Mostre antologiche di dieci pittori vastesi (Lucia
Borghi Perrozzi, Vincenzo Canci, Carlo D’Aloisio
Da Vasto, Saverio Della Guardia, Michele Fiore,
Nicola Galante, Filandro Lattanzio, Luigi Martella,
Ennio Minerva, Franco Paolantonio) operanti in Italia
e all’estero, premiati ex aequo.
1960
Concorso nazionale di pittura. Primo premio a Orazio
Celeghin.
1961
Raffaele Barscigliè, Antonietta Lande, Luigi Martella,
Giulio Vito Poggiali (ex aequo).
1962
Michele Fiore, Alfonso Grassi, Cesare Peruzzi (ex
aequo).
1963
Antonietta Raphael Mafai.
1964
Angelo Mario Crepet.
1965
Ennio Pozzi.
1966
Orfeo Tamburi e Carlo Caroli.
1967
Nicola Galante. Oltre la collettiva dei partecipanti al
Premio la personale dello scultore Adolfo Minardi
(Fide).
1968
Elsa De Agostini ed Emilio Contini (ex aequo).
Oltre la collettiva, “Omaggio” a Filippo Palizzi, nel
centocinquantesimo anniversario della nascita.
1969
Giannetto Fieschi.
109
1970
Massimo Quaglino e Pierangelo Tronconi (ex aequo).
Oltre la collettiva, “Omaggio” al pittore vastese
Nicola Galante.
1971
Marcello Muccini.
1972
Robert Carroll. Oltre la collettiva, “Omaggio” a Mario
Lepore e le personali di due artisti operanti in
Abruzzo, Marcello Ercole e Gigino Falconi, presentati
da Luigi Carluccio.
1973
Piero Manai. Oltre la collettiva, espongono gli
abruzzesi Antonio Di Fabrizio, Augusto Pelliccione
e Luciano Primavera (introdotti da Liana Bortolon),
più altri quindici “giovani maestri”.
1974
Gigino Falconi. Edizione rivolta a verificare gli
Aspetti attuali della pittura d’immagine. Oltre la
collettiva, mostre di tre pittori operanti in regione:
Alfredo Del Greco, Ennio Di Vincenzo e Gaetano
Memmo, presentati da Vanni Ronsisvalle.
1975
Le figure dell’Enigma. A cinquant’anni dalla prima
esposizione dei surrealisti. Oltre la collettiva, mostra
personale di Aroldo Governatori.
1976
L’uomo e i miti contemporanei: eros e macchina.
Accanto alla collettiva, mostra antologica di Dante
Panni.
1977
La donna oggi. Testimonianze nell’arte. Oltre la collettiva,
“Omaggio” a Fausto Pirandello.
1978
Vent’anni di arte in Abruzzo. Documenti e nuove
proposte. Alla collettiva degli artisti operanti in
Abruzzo si accompagnano le personali di Pietro
Cascella e Claudio Verna, attivi altrove.

1985-’86
Biennale di arte e critica d’arte. Saggio inedito e
rassegna collettiva Il significante visivo (l’icona
inquietante e il “fantastico oggettuale; i valori del
segno; l’estetica progettuale; struttura visiva e colore)
a cura di Guido Montana.
1987-’88
Biennale di arte e critica d’arte. Saggio inedito e rassegna
collettiva Memorie di avanguardia (arte italiana
degli anni ’60 e ’70), a cura di Claudio Cerritelli.
1989-’90
Biennale di arte e critica d’arte. Saggio inedito e
rassegna collettiva Moralità dell’immagine. Pittori
italiani non effimeri, a cura di Giorgio Seveso.
1991
L’arte italiana nell’ultimo mezzo secolo. I. Da «Corrente»
al Realismo. Oltre la collettiva, “Omaggi” a
Venanzo Crocetti ed Ernesto Treccani.
1992
L’arte italiana nell’ultimo mezzo secolo. II. Dall’Informale
alla Nuova Figurazione. Rassegna collettiva e
“Omaggi” ad Umberto Mastroianni, Sante Monachesi,
Mario Bionda, Arturo Vermi e Gigino Falconi.
1993
L’arte italiana nell’ultimo mezzo secolo. III. Cinquant’anni
d’arte in Abruzzo. Presenze 1943-1953.
1994
L’arte italiana nell’ultimo mezzo secolo. IV. Dall’arte
Neo-concreta all’Iperrealismo. Oltre la collettiva,
“Omaggi” ad Alberto Biasi, Emilio Isgrò, Guglielmo
Achille Cavellini, Mario Schifano e Sergio Sarri.
1995
L’arte italiana nell’ultimo mezzo secolo. V. Dall’Arte
povera al postmoderno. Oltre la collettiva, “Omaggi”
a Carlo Mariani, Elio Torrieri e Salvatore Emblema.
1996
Memorie del futuro. Generazioni a confronto verso
il 2000. La mostra ospita anche “Omaggi” a Piero
Dorazio e Augusto Perez.
110
1997
Figure inquiete. Oltre la collettiva, “Omaggio” a Virgilio
Guidi, presentato da Toni Toniato.
1998
Effetto Città. L’esposizione include mostre - “Omaggio”
a Pasquale Di Fabio e Giovanni Guerrini.
1999
Mito-Miti. Artisti giovani di fine millennio. Oltre la
collettiva, “Omaggi” ai ceramisti di Castelli (TE)
Fausto Cheng, Vincenzo Di Giosaffatte e Giancarlo
Sciannella.
2000
Il paesaggio come metafora. Dalla natura alla storia.
Una sezione espositiva è dedicata agli “Omaggi”
a Carlo Ceci, Antonio D’Acchille, Giulia Napoleone,
Alberto Rocco e Aldo Turchiaro.
2001
Labirinto dell’immaginario. Artisti dall’Accademia di
Brera.
2002
Il secondo Novecento in Italia. Riferimenti forti.
2003
Nel corpo dell’immagine. Nuove prospettive italiane.
2004
Metamorfosi. Le ambiguità della visione.
2005
Piazza del Popolo e dintorni. La Scuola romana degli
anni Sessanta.
2006
Vertigini. Il fantastico oggettuale. Artisti italiani contemporanei.
2007
In corso d’opera. Itinerari abruzzesi 2007.
2008
Metamorfosi del fantastico. L’immagine ritrovata.

Hanno presieduto le giurie o curato le varie edizioni del Premio:
Mario Massarin (1960); Franco Miele (1961); Raffaello Biordi (1962); Emilio Notte (1963); Giorgio Grai
(1964); Virgilio Guzzi (1965- 66-67-68-69-71); Renzo Biasion (1970); Luigi Carluccio (1972-74-75); Alberico
Sala (1973); Floriano De Santi (1976); Giorgio Mascherpa (1977); Giuseppe Rosato (1978); Mario De Micheli
(1985); Guido Montana (1986); Mario De Micheli (1987); Claudio Cerritelli (1988); Mario De Micheli (1989);
Giorgio Seveso (1990); Floriano De Santi (1991-92); Antonio Gasbarrini - Giuseppe Rosato - Giammario
Sgattoni - Leo Strozzieri (1993); Floriano De Santi (1994-95); Gabriele Simongini (1996); Enzo Di Martino
(1997); Carlo Fabrizio Carli (1998); Carlo Fabrizio Carli e Gabriele Simongini (1999); Floriano De Santi (2000),
Claudio Cerritelli (2001), Enrico Crispolti (2002), Lorenzo Canova (2003), Alessandro Riva (2004), Maurizio
Calvesi e Alberto Dambruoso (2005), Silvia Pegoraro (2006), Leo Strozzieri e Maria Cristina Ricciardi (2007),
Floriano De Santi (2008).
Hanno, altresì, fatto parte delle giurie o dei comitati artistici:
Gaetano Alibrandi, Giuseppe Appella, Maria Augusta Baitello, Paolo Biondi, Liana Bortolon, Vanni Bramanti,
Gianfranco Bruno, Domenico Cantatore, Gastone Chiodi, Nicola Ciarletta, Arnaldo Ciarrocchi, Vitaliano
Corbi, Antonio De Angelis, Carlo Giacomozzi, Lorenzo Gigotti, Guido Giuffrè, Mario Lepore, Luciano Luisi,
Ugo Marinangeli, Garibaldo Marussi, Carlo Melloni, Duilio Morosini, Riccardo Notte, Tommaso Paloscia,
Franco Passoni, Giorgio Pillon, Antonio Pinto, Francesco Prestipino, Eugenio Riccitelli, Vanni Ronsisvalle,
Aleardo Rubini, Umberto Russo, Benito Sablone, Giuseppe Sciortino, Franco Simongini, Toni Toniato,
Giancarlo Vigorelli.
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Finito di stampare nel mese di luglio 2009
dalla Litografia Botolini srl
di Rocca San Giovanni (CH)