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Primordi della scrittura o del verso - La Scala di Afrodite

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Proprietà letteraria riservata<br />

<strong>Primor<strong>di</strong></strong> <strong><strong>del</strong>la</strong> <strong>scrittura</strong> o <strong>del</strong> <strong>verso</strong><br />

Per un’interpretazione possibile<br />

<strong>di</strong> Francesco Mercadante<br />

(…) Tutti i poeti credono che chi aguzza le orecchie<br />

giacendo nell’erba o su declivi solitari<br />

venga a conoscenza <strong>del</strong>le cose che sono tra cielo e terra.<br />

E se provano moti affettuosi, i poeti pensano sempre<br />

che la natura stessa sia innamorata <strong>di</strong> loro (…)<br />

Ah, ci sono talmente tante cose tra cielo e terra,<br />

<strong>di</strong> cui solo i poeti hanno potuto sognare!<br />

E specialmente sopra il cielo:<br />

tutti gli dei sono infatti simboli dei poeti, imbrogli dei poeti.<br />

1<br />

F. W. Nietzsche, Così parlò Zarathustra<br />

Io non sono un poeta; <strong>di</strong> certo, non lo sono nella misura in cui con questo velato e mirabolante<br />

sostantivo s’intenda conferire all’uomo una qualche entità sociale e rappresentativa. Se mai dovessi<br />

avvedermi d’essere un poeta, sentirei come violata ed irrime<strong>di</strong>abilmente in pericolo la mia<br />

esistenza, alla maniera <strong>di</strong> un capotribù che, non riuscendo a conciliarsi con gli dei per ottenere la<br />

fecon<strong>di</strong>tà <strong><strong>del</strong>la</strong> terra, s’approssimerebbe alla morte. Il ruolo <strong>del</strong> totem è degno <strong>di</strong> fascinazione, ha<br />

istruito l’umanità primitiva <strong>di</strong>sciplinandola, tracciando attorno ad essa dei confini; tanto più che al<br />

totem si chiede unicamente una presenza luminescente, votiva. Egli – o in taluni casi esso – deve<br />

istituire la <strong>di</strong>mensione <strong>del</strong>l’imperativo, entro cui pensiero ed azione, desiderio ed esau<strong>di</strong>mento e, più<br />

in generale, ogni moto <strong>del</strong>lo spirito e <strong><strong>del</strong>la</strong> materia possono soltanto essere postulati, cioè possono<br />

essere ammessi in armonia con la stessa esistenza totemica. Un sud<strong>di</strong>to non potrà mai toccare il re<br />

né cibarsi <strong>del</strong> suo pasto perché l’inosservanza <strong>del</strong> tabù lo farebbe precipitare in un gorgo<br />

d’abiezione che lo condurrebbe alla morte senza possibilità <strong>di</strong> riscatto. Di conseguenza, in questo<br />

presente storico-poetico, devo fare in modo che la <strong>scrittura</strong> non si sostituisca a me, non posso porre<br />

alcun indugio a <strong>di</strong>fendere strenuamente il mio bisogno <strong>di</strong> raccontare qualcosa a qualcuno, senza che<br />

l’ombra d’una miserrima verità <strong>di</strong> sentimenti universali sopraggiunga a corrompere la naturale ansia<br />

d’appagamento. Presso i Lotuho <strong>del</strong> Sudan, un capopioggia che non fosse in grado <strong>di</strong> donare alla<br />

propria tribù l’acqua piovana e, con essa, la rigenerazione verrebbe decapitato. Allo stesso modo,<br />

superata la perifrasi antropologica, non sono uno scrittore; non lo sono né potrei esserlo, laddove il<br />

titolo, quantunque dai più riconosciuto come merito, mi costringa a girovagare tra i mercati <strong>del</strong><br />

mondo, impegnato a sedurre, più o meno <strong>di</strong>abolicamente, i compratori <strong>di</strong> cianfrusaglie. Sarebbe una<br />

fatica incommensurabile, tenuto conto <strong>del</strong> fatto che quel vagabondaggio interiore che, prima o poi,


si muta in <strong>scrittura</strong>, già da sé, allontana lo scrittore dalla quiete domestica esiliandolo nel deserto<br />

d’una rigenerata Bersabea, dove solamente le braccia ed i seni <strong><strong>del</strong>la</strong> madre-schiava Agar offrono<br />

ristoro e protezione. Non è un caso, allora, che Herman Melville, per il tramite <strong>del</strong> proprio<br />

personaggio-protagonista, prima <strong>di</strong> narrare i fatti de Moby Dick, esorti il lettore a chiamarlo<br />

Ismaele. Per Ismaele, l’andar per mare a caccia <strong>di</strong> balene è 1 , un espe<strong>di</strong>ente psichico – se vogliamo – 2 . Ismaele è, per l’appunto, il figlio illegittimo (illegittimo non sarebbe,<br />

in teoria) <strong>di</strong> Abramo ed Agar 3 ; ovvero, in altri termini, è l’interprete <strong>del</strong>l’illegittimità, non possiede<br />

qualcosa <strong>di</strong> determinato, può aspirare solo all’avvedutezza <strong>di</strong> chi non è mai situato. <strong>La</strong>sciandomi<br />

educare all’avvedutezza <strong>di</strong> Ismaele, l’unico elementare documento d’identità ch’io possa esibire è il<br />

succedersi, per altro non sempre cadenzato e regolare, dei miei respiri, testimonianze d’una vita che<br />

si <strong>di</strong>spiega e si manifesta tra l’una e l’altra <strong>del</strong>le parole Io e Sono, accettate quali requisiti <strong>di</strong> virtù<br />

filosofica da chi con esse pretendeva, forse a ragione, <strong>di</strong> fugare il dubbio che l’intero pensiero<br />

<strong>del</strong>l’uomo fosse opera <strong>di</strong> un demone ingannatore. 4<br />

Con tutti gli occhi la creatura vede / l’aperto. Solo i nostri occhi sono all’in<strong>di</strong>etro / rivolti e<br />

completamente schierati intorno ad essa / come trappole intorno al suo libero esito. / Ciò che è<br />

fuori lo sappiamo soltanto dal viso / <strong>del</strong>l’animale; e già fin dall’inizio il bambino / lo si piega, lo si<br />

costringe a vedere soltanto / figure all’in<strong>di</strong>etro e mai all’aperto, quello che / sì profondo è nel<br />

volto animale. Libero da morte. / Solo noi la ve<strong>di</strong>amo; il libero animale / il suo tramonto ha<br />

sempre <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé / e il <strong>di</strong>vino davanti, e quando va, così va / nell’eterno, come vanno le fonti<br />

(…) 5<br />

Io respiro e <strong>di</strong> ciò posso parlare. Qual è il valore <strong>di</strong> queste parole Io e Sono, che ci eleggono autori e<br />

personaggi <strong>di</strong> un certo mondo? Si può <strong>di</strong>re che esse siano sufficienti a produrre poesia e, più in<br />

generale, arte? Talora, è concepibile che <strong>di</strong>sporsi ad ascoltare il respiro <strong>del</strong>l’altro significhi<br />

conoscere la sua storia, l’evoluzione <strong><strong>del</strong>la</strong> sua materia, compenetrarsi <strong><strong>del</strong>la</strong> sua trascendenza. Non<br />

c’è tempo d’amore per chi ama, fuorché nell’attimo in cui la mano <strong>del</strong>l’uno stringe quella <strong>del</strong>l’altro<br />

sottraendola alla fantasia <strong>di</strong> ciò che potrebbe semplicemente essere e fino a coprirne la nu<strong>di</strong>tà<br />

sacrificale. Allora mi concedo l’insistenza dei termini, per quanto essi siano segni <strong><strong>del</strong>la</strong> passione,<br />

segni – si spera – non contraffatti: non sono poeta né scrittore, sono colui che tocca e vede, al più un<br />

artigiano d’officina che, percuotendo l’incu<strong>di</strong>ne, si oppone all’alienazione ed all’esilio nei deserti<br />

<strong>del</strong>le immanenti Bersabea. Certo, una definizione bisogna pur dare alla materia che va forgiandosi<br />

tra le mani <strong>di</strong> quest’artigiano. Già il lungimirante Aristotele intratteneva i propri accoliti sul<br />

problema <strong><strong>del</strong>la</strong> definizione:<br />

(…) <strong>La</strong> definizione, infatti, è <strong>del</strong>l’universale e <strong><strong>del</strong>la</strong> forma; se, pertanto, non sarà ben chiaro quali<br />

siano parti materiali e quali no, non sarà neppur chiaro quale sia la nozione <strong><strong>del</strong>la</strong> cosa. 6<br />

<strong>La</strong> nozione <strong><strong>del</strong>la</strong> cosa viene espressa in λόγος πράγματος. Non sono pertanto i miei versi a ricevere<br />

l’investitura – ed in ciò guadagno un principio <strong>di</strong> salvezza – <strong>del</strong>l’universale (tòy kathòloy) e <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

forma (tòy èidoys) bensì il pràgma, ovverosia ciò che è stato fatto, il fatto, l’avvenimento, l’azione,<br />

il dramma che è in noi.<br />

1<br />

Melville, H., 1851, Moby Dick, trad. it. <strong>di</strong> P. Meneghelli, 1995, Moby Dick ovvero la Balena, Newton Compton<br />

e<strong>di</strong>tori, Roma, p. 34.<br />

2<br />

Ibid., p. 34.<br />

3<br />

Genesi 21, vv. 8-21.<br />

4<br />

Descartes, R., 1637, Discours de la méthode, trad. it. <strong>di</strong> M. Garin, 1998, Discorso sul metodo, E<strong>di</strong>tori <strong>La</strong>terza, Bari, p.<br />

45.<br />

5<br />

Rilke,, R. M., 1922, Duineser Elegien, trad. it. <strong>di</strong> F. Rella, 1994, Elegie duinesi, Fabbri e<strong>di</strong>tori, Milano, p. 85.<br />

6 a<br />

Aristotele, ΤΑ ΜΕΤΑ ΤΑ ΦΥΣΙΚΑ, a cura <strong>di</strong> G. Reale, 1993, Metafisica, Rusconi Libri, Milano, 1036 , p. 335.<br />

2


Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti <strong>di</strong> rappresentarlo, così come dentro ci urge la<br />

passione! 7<br />

<strong>La</strong> prima forma <strong>di</strong> autenticità creativa ed il primo interesse per il prodotto <strong><strong>del</strong>la</strong> creazione sono<br />

massimamente percepiti già dal bambino, il quale trasferisce nell’atto <strong>del</strong> defecare una salutare<br />

quantità <strong>di</strong> energia, ciò che la psicologia <strong>del</strong> profondo ha in<strong>di</strong>cato come sovvenzione libi<strong>di</strong>ca.<br />

Il pràgma <strong>del</strong> bambino è prepotentemente Uterino giacché egli si muove nell’eterna atemporalità<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> presenza materna, che lo protegge, lo riscalda, lo nutre e, per ciò stesso, gli concede<br />

l’autonomia <strong>di</strong> riproduzione. <strong>La</strong> fecon<strong>di</strong>tà <strong><strong>del</strong>la</strong> Madre è per lui numinosa. Non c’è ragione <strong>di</strong><br />

mettere in dubbio questa esistenza in<strong>di</strong>fferenziata. Ogni intrapresa artistica, dando inizio alla quale<br />

l’artista è sedotto dall’infinita materia originaria perché da essa deve ricavare la coscienza <strong>del</strong>le<br />

<strong>di</strong>fferenze, ingiunge all’artista <strong>di</strong> farsi cosa tra le cose, gli impone una sorta <strong>di</strong> cammino all’in<strong>di</strong>etro<br />

<strong>verso</strong> il mondo inconscio <strong>del</strong> Grembo. Le risorse psichiche ed intellettuali, grazie alle quali si<br />

genera l’opera d’arte, giungono alla nostra coscienza sotto forma <strong>di</strong> simboli, per la cui esplicazione<br />

l’artista non può rinunciare a conoscerne la scaturigine. Diversamente, la pena <strong><strong>del</strong>la</strong> rinuncia<br />

coinciderebbe con inadempienza, insolenza ed acci<strong>di</strong>a. Con l’inizio <strong><strong>del</strong>la</strong> creazione artistica,<br />

l’uomo, soffocato dalla totalità, è, sulle prime, avvinghiato dal Serpente Uroborico che si morde la<br />

coda,. Si tratta – come scrive Neumann 8 – <strong>del</strong>l’archetipo primor<strong>di</strong>ale, sostanza <strong><strong>del</strong>la</strong> nostra memoria<br />

creativa, in cui Positivo e Negativo, Maschile e Femminile, Buono e Cattivo, si trovano<br />

criticamente e caoticamente uniti, inaccessibili allo sforzo <strong><strong>del</strong>la</strong> Coscienza, che invano tenta <strong>di</strong><br />

interpretarli. L’Uroboro, cioè la schiacciante circolarità <strong>del</strong> caotico inizio, è materno in quanto<br />

gravido <strong>di</strong> tutti gli elementi che muovono l’ispirazione: esso è numinoso al pari d’una madre per<br />

l’autopercezione (il termine, se decontestualizzato, può apparire scientificamente improprio) <strong>del</strong><br />

bambino. Le più considerevoli testimonianze <strong><strong>del</strong>la</strong> significatività cultuale e simbolica <strong>del</strong> ruolo<br />

femminile ci sono state tramandate in pitture rupestri e risalgono all’età <strong><strong>del</strong>la</strong> pietra, epoca in cui il<br />

dominio <strong>del</strong> ruolo femminile era istituzionalizzato da una società matriarcale. Una <strong>del</strong>le<br />

caratteristiche fondamentali <strong>di</strong> queste pitture era la steatopigìa, cioè l’abbondanza <strong>del</strong> sedere volta a<br />

descrivere la forza con cui la donna si lega alla terra in segno <strong><strong>del</strong>la</strong> capacità <strong>di</strong> Generare e<br />

Possedere. <strong>La</strong> natura cultuale <strong>di</strong> questa legame è già principio e fine <strong>di</strong> sicurezza e stabilità.<br />

<strong>La</strong> nascita viene esperita non solo come liberazione <strong>verso</strong> la vita, ma anche come un rifiuto<br />

espulsivo dal para<strong>di</strong>so uterino, la coscienza viene esperita non solo come sviluppo progressivo<br />

e come affermazione <strong>di</strong> vita tendente <strong>verso</strong> la luce, ma anche espulsione dalla beatitu<strong>di</strong>ne<br />

notturna <strong>del</strong> sonno nell’inconscio e – come in tutte le cosmologie <strong>di</strong> tonalità gnostica – per<strong>di</strong>ta<br />

<strong><strong>del</strong>la</strong> patria originaria. 9<br />

Come la Grande Madre-Terra è fonte <strong>di</strong> vita e luce, così l’Albero, che in essa si ra<strong>di</strong>ca, è simbolo<br />

fallico <strong>del</strong>l’enorme capacità riproduttiva scaturita dalla liberazione. Tanto più l’uomo anela alla<br />

libertà ed al <strong>di</strong>stacco dal Grembo – e quin<strong>di</strong>: tanto più egli riconosce le <strong>di</strong>fferenze senza<br />

rispecchiarsi nell’identità originaria – quanto più essa lo trattiene, lo cattura e lo <strong>di</strong>vora.<br />

L’autonomia <strong><strong>del</strong>la</strong> liberazione che trasmetta significati comporta che l’uomo abbandoni<br />

temporaneamente l’ambiente sicuro per farsi oggetto <strong>di</strong> attenzione e comprensione. L’Io che si<br />

comunica all’Altro è un Io che si presenta come non-Io perché, frattanto, è costretto a sottrarsi alla<br />

cattura, deve rinsaldare il legame appena costruito con una nuova terra. Ogni atto creativo<br />

<strong>del</strong>l’essere maschile è destinato a ricostituirsi nel ritorno all’essere femminile, fino a celebrare<br />

un’androginia filogenetica. Nella <strong>di</strong>mensione cristiana la Vergine-Madre è Madre <strong>di</strong> colui che l’ha<br />

creata ed è, nello stesso tempo, luce, in quanto Luna, cioè sorgente <strong>di</strong> Luce nella Notte. Secondo la<br />

natura mitico-rituale <strong>del</strong>l’Archetipo femminile, il Maschile è capace <strong>di</strong> creazione solo perché dal<br />

7 Piran<strong>del</strong>lo, L., 1921, Sei personaggi in cerca d’autore, ed. Newton, Roma 1993, p. 43.<br />

8 Cfr. Neumann, E., 1956, Die Grosse Mutter, trad. it. <strong>di</strong> A. Vitolo, 1981, <strong>La</strong> Grande Madre, Astrolabio-Ubal<strong>di</strong>ni<br />

e<strong>di</strong>tore, Roma.<br />

9 Neumann, E., 1956, op. cit., p. 74.<br />

3


Grembo riceve la forza e la libertà. Così Dante scrive intorno alla contemplazione <strong>del</strong> Femminino<br />

sacro:<br />

Vergine Madre, figlia <strong>del</strong> tuo figlio / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno<br />

consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ‘l tuo fattore / non <strong>di</strong>sdegnò <strong>di</strong> farsi<br />

tua fattura. / Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è<br />

germinato questo fiore. / Qui se’ a noi meri<strong>di</strong>ana face / <strong>di</strong> caritate, e giuso, intra’ mortali, / se’ <strong>di</strong><br />

speranza fontana vivace. 10<br />

Assumendo un altro resoconto storico-mitologico, è necessario fare un accenno ai ripetuti stupri ed<br />

agli atti <strong>di</strong> violenza che l’Olimpo commetteva ai danni <strong>del</strong>le fanciulle greche per comprendere<br />

quanto fosse sentito spossante l’influsso <strong>del</strong> Grembo. Infatti, se la Vergine-Madre e la greca Sophìa,<br />

rappresentano idealmente le figure <strong><strong>del</strong>la</strong> Madre buona, che dà protezione, dona estasi, ispirazione e<br />

visioni <strong>di</strong> trasformazione spirituale, per con<strong>verso</strong>, Lilith, Astarte e Circe, iniziando l’uomo ai<br />

misteri <strong>del</strong>l’ebbrezza, esigono sangue, provocano impotenza, follia e <strong>di</strong>ssoluzione, pretendono<br />

privazione. Lilith è – per <strong>di</strong>rla con Isaia, che la in<strong>di</strong>ca come civetta 11 – il demone femminile che<br />

vaga tra le rovine; a lei le varie mitologie, da quella ebraica a quella mesopotamica, attribuiscono<br />

tutti gli aspetti deteriori <strong>del</strong>l’identità femminile. Il carattere trasformatore negativo, comune alle tre<br />

dee, è inesauribile ed incontrastabile. Sullo stesso piano si possono interpretare le Madri terribili,<br />

Kali, Ecate e Gorgone, dalle quali l’uomo viene attratto, avvinto, smembrato e <strong>di</strong>vorato: malattia e<br />

morte sono i loro contrassegni simbolici. Ad intuirne la natura si pensi alla più note <strong>del</strong>le tre, la<br />

Gorgone Medusa. Si legga la descrizione che ce ne dà Robert Graves:<br />

(…) Un mostro alato con occhi fiammeggianti, denti lunghissimi dai quali sporgeva la lingua,<br />

unghielli <strong>di</strong> bronzo e capelli <strong>di</strong> serpenti: il suo sguardo faceva impietrire gli uomini. 12<br />

Un esempio illuminante ci giunge dal mito <strong>di</strong> Perseo, che lo stesso Neumann ci offre ne Storia <strong>del</strong>le<br />

origini <strong><strong>del</strong>la</strong> coscienza e che qui viene reinterpretato.<br />

L’eroe Perseo nacque, come nella migliore tra<strong>di</strong>zione eroica, dal connubio tra l’umano ed il <strong>di</strong>vino.<br />

Danae, madre <strong>di</strong> Perseo, venne incarcerata dal padre Acrisio in una torre a guar<strong>di</strong>a <strong><strong>del</strong>la</strong> quale<br />

vennero posti ferocissimi cani perché la profezia <strong>del</strong>l’oracolo aveva avvertito lo stesso Acrisio che<br />

il nipote lo avrebbe ucciso. Ciò non bastò, tuttavia, ad impe<strong>di</strong>re a Zeus <strong>di</strong> sedurre Danae posandosi<br />

su <strong>di</strong> lei come una pioggia d’oro. Di conseguenza, Acrisio, venutone a conoscenza, incarcerò per la<br />

seconda volta la donna, questa volta assieme al neonato e su un’arca <strong>di</strong> legno che venne poi gettata<br />

in mare. Presso l’isola <strong>di</strong> Serifo, il pescatore Ditti trovò l’arca e ne consegnò il contenuto, Danae ed<br />

il piccolo Perseo, a Polidette, re <strong>del</strong>l’isola. Perseo, raggiunta la maturità, si vide imme<strong>di</strong>atamente<br />

costretto a <strong>di</strong>fendere la madre dalle pretese <strong>di</strong> Polidette, che chiedeva in sposa la donna. Ad un certo<br />

punto, l’eroe, lasciatosi ingannare dai loschi espe<strong>di</strong>enti <strong>del</strong> re <strong>di</strong> Serifo, che finse <strong>di</strong> voler sposare<br />

un’altra donna, promise, in cambio <strong><strong>del</strong>la</strong> libertà <strong><strong>del</strong>la</strong> madre, la testa <strong><strong>del</strong>la</strong> Gorgone Medusa.<br />

Si profilò per Perseo il primo grande cimento eroico: la Gorgone aveva per chioma un groviglio <strong>di</strong><br />

serpenti ed inoltre bastava guardarla in volto per esserne pietrificati. Gli giunsero in soccorso due<br />

<strong>di</strong>vinità, Atena, che gli fornì un lucentissimo scudo su cui, in seguito, Perseo vide il riflesso <strong>di</strong><br />

Medusa, ed Ermes (in verità <strong>di</strong>o per metà…), che gli fornì la spada per decapitare la Gorgone.<br />

<strong>La</strong> conclusione <strong>del</strong> racconto è assai semplice: Perseo fece ritorno a Serifo, dove il perfido re stava<br />

banchettando <strong>del</strong> tutto <strong>di</strong>mentico <strong><strong>del</strong>la</strong> promessa ed ignaro <strong>del</strong>l’inaspettato successo <strong>del</strong>l’eroe, e fu<br />

costretto a mutare tutti in pietre a causa <strong>del</strong>l’ ostilità manifestatagli.<br />

L’uomo non può guardare il volto <strong><strong>del</strong>la</strong> Gorgone, il volto <strong>del</strong>l’angoscia, non perché essa sia materia<br />

d’imperscrutabile opposizione, quanto piuttosto perché lo sguardo <strong>verso</strong> la materia che tutto<br />

10<br />

Dante Alighieri, Para<strong>di</strong>so, XXXIII, vv. 1-12.<br />

11<br />

Isaia 34, 14.<br />

12<br />

Graves, R., 1955, Greck Myths, trad. it. <strong>di</strong> E. Morpurgo, 1963, I miti greci, Longanesi & C., Milano, p. 113.<br />

4


include, se abbandonato alla totalità <strong>del</strong> principio e non significato da una presa <strong>di</strong> coscienza in un<br />

ben determinato modo personalistica, segna un regresso incontrovertibile <strong>del</strong>l’Io, un suo<br />

spezzettamento.<br />

Perseo affronta valorosamente la terribile Medusa, ma ne fissa il volto attra<strong>verso</strong> il riflesso <strong>del</strong>lo<br />

scudo <strong>di</strong> Atena, la quale è simbolo <strong><strong>del</strong>la</strong> coscienza attiva <strong>del</strong>l’eroe, cui non sfugge il ricorso<br />

all’espe<strong>di</strong>ente. Non ingannino le presenze numinose! Esse sono solamente atti specifici <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

potenza originaria <strong>di</strong> colui che rischia <strong>di</strong> trarre “il qualcosa” dalla materia: Atena nasce dalla testa<br />

<strong>di</strong> Zeus e ciò equivale per l’eroe, così come per il <strong>di</strong>cente-scrivente, a mettere in gioco il proprio<br />

Io-Sé. Tutto ciò determina anche il rischio <strong>di</strong> castrazione, cui va incontro il giovane-fallo. E’ bene<br />

notare che la testa è assimilabile al fallo nella valutazione <strong>del</strong> rischio: o si decapita l’angoscia-<br />

Medusa o si perde la propria testa.<br />

C’è inoltre una Madre da tenere in considerazione: la Madre è l‘aspetto puramente pulsionale<br />

<strong>del</strong>l’agire e l’eroe ne assume la <strong>di</strong>fesa. Perché ciò avviene? Per affezione famigliare? <strong>La</strong> <strong>di</strong>fesa <strong><strong>del</strong>la</strong><br />

madre non è altro che la <strong>di</strong>fesa <strong>del</strong> Sé, <strong><strong>del</strong>la</strong> propria hybris. Di conseguenza e per ovvietà, <strong>di</strong>fendere<br />

la propria hybris significa preservare la ragione dalla sventura <strong>del</strong>lo spezzettamento per il semplice<br />

fatto che essa non è costretta a svolgere due lavori: quello <strong><strong>del</strong>la</strong> sfera istintuale e quello <strong><strong>del</strong>la</strong> sfera<br />

logica, che, al contrario, risultano perfettamente integrati l’uno con l’altro.<br />

Vien fatto <strong>di</strong> chiedersi cosa possa rappresentare il perfido Polidette. Il re <strong>di</strong> Serifo è simbolo e segno<br />

<strong>del</strong> timore <strong>del</strong>l’altro… L’altro, allorché prende posto innanzi a noi, è il significante <strong><strong>del</strong>la</strong> sfida che il<br />

primo <strong>verso</strong> c’ingiunge <strong>di</strong> accettare. Allo stesso modo in cui l’eroe deve liberare la prigioniera o<br />

conquistare il tesoro nascosto, così il poeta deve guadagnare il transpersonale-pulsionaleangosciante<br />

dando ad esso un senso nel personalistico, che, s’intenda, non è mai versione comune e<br />

volgare <strong>del</strong>l’ego-ismo ma epifania <strong>del</strong> particolare.<br />

(…) Può essere portato a compimento in senso proprio solo ciò che già è. Ma ciò che prima <strong>di</strong><br />

tutto “è” è l’essere. Il pensiero non si fa azione solo per il fatto che da esso scaturisce un effetto<br />

o una applicazione (...) Il linguaggio è la casa <strong>del</strong>l’essere (…) <strong>La</strong> liberazione <strong>del</strong> linguaggio dalla<br />

grammatica per inserirlo in una struttura essenziale più originaria tocca al pensare e al<br />

poetare. 13<br />

Il poeta, nella propria struttura originaria, è ποιητής, cioè colui che fa, il fattore, il creatore. Egli<br />

porta a compimento, come scrive Heidegger, ciò che già è, il proprio essere nel mondo.<br />

13 Heidegger, M., 1947, Platons Lehre von der Wahrheit Brief über den Humanismus, trad. it. <strong>di</strong> F. Volpi, 1995, Lettera<br />

sull’umanismo, A<strong>del</strong>phi, Milano, pp. 31-32.<br />

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CANNICI, F., LA ROSA, M., 1994, Strumenti teorici e operativi per l’analisi dei testi poetici e<br />

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7

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