Le officine Riv: il centro della ragnatela. - Alp Cub

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04.06.2013 Views

lavoratori a parteciparvi, considerando la collaborazione tra maestranze e azienda, pur nella duplice autonomia delle due parti, l'unica strada per il progresso. Nel corso degli anni la richiesta di adeguare il salario ai migliori andamenti produttivi è stata una costante tra gli operai della Riv. Fin da dopoguerra la Fiom denuncia le condizioni di supersfruttamento e dei tagli dei tempi di lavoro: nel 1951 viene evidenziato che tra il 1948 e il 1950 la produzione generale aveva subito un balzo in avanti del 31,72%, mentre il premio di produzione generale era aumentato solo del 13% (135). Situazioni simili faranno richiedere anche negli anni successivi, unitariamente da tutta la Commissione Interna, l'adeguamento dei salari in relazione agli aumenti di produttività e anche all'onere del costo della vita. Se le accuse rivolte alla Cisl di essere alla Riv una sindacato servo del padrone erano frutto di una forte ideologizzazione ( la Cisl era, al di là di scelte e atteggiamenti personali anche discutibili come ve ne furono anche nella Cgil, una sindacato moderato e interclassista), è pure vero che la Cgil politicizzò molte volte la vita sindacale di fabbrica con rigidità e intransigenza politica, ma essere comunisti anche nella paternalistica Riv di Villar Perosa era difficile. A metà degli anni Cinquanta, in un questionario distribuito dalla Fiom-Cgil della Riv di Villar, una delle indicazioni che emergeva da esso era la richiesta di maggior libertà sindacale e di offrire pari opportunità a tutte le organizzazioni sindacali. I militanti della Cgil erano stretti da più parti. La Cisl, con la sua politica anticomunista, di fatto offriva la spalla alla Riv per colpire il sindacato in generale. Carlo Borra in più di un'occasione si lamenta della grettezza di molti industriali, i quali invece di appoggiare la politica moderata della Cisl utilizzavano questa per colpire e limitare l'azione sindacale in generale. Alcuni esponenti più retrivi del mondo politico-sindacale porteranno anche attacchi personali, ingiuriando con dei volantini gli esponenti di spicco della Fiom della Riv di Villar Perosa. E' il caso, nel 1955, del volantino distribuito dal Comitato "Pace e libertà", legato al movimento di Edgardo Sogno, alla Riv di Villar Perosa. In esso i principali esponenti del Pci e della Cgil della Riv vengono diffamati nominandoli personalmente. Tutti i metodi erano utilizzati per bandire la Fiom, e in generale tutti gli oppositori, dalla scena politica, in un paese, Villar, dove alle elezioni i partiti della sinistra conseguivano la maggioranza dei consensi. In primo luogo la strategia padronale si fondava sulla creazione del consenso di massa. Un aspetto di questa erano le condizioni salariali e normative dei lavoratori Riv. Lavorare alla Riv voleva dire essere dei privilegiati, far parte dell'élite della classe operaia: alti salari, premi di produzione e collaborazione, assistenza sanitaria Malf, colonie per i figli, assistenza sociale diffusa e capillare, case per i lavoratori, organizzazione del tempo libero, i pacchi natalizi per i figli (e la tanto attesa proiezione dei film Disney). Insomma non c'era l'angolo più privato di ogni dipendente che la lunga mano materna dell'azienda non arrivasse per assistere e confortare. Inoltre, il marchio della famiglia Agnelli impregnava anche l'aria che si respirava. Per molti anni parlare di Agnelli voleva rimandare alla Riv (oltre alla Fiat), a Villar Perosa e ... alla Juventus. Il paternalismo si fondava anche sulle garanzie delle generazioni future: i figli. Essere un buon operaio o impiegato significava nutrire speranza di veder assunti i propri figli o parenti. Durante i processi di "svecchiamento" della manodopera i primi ad essere assunti erano i figli. Alle teste calde

e irriverenti certamente non si facevano questi favori. Quindi meglio non iscriversi al sindacato e, se proprio si voleva fare, la Cgil era sinceramente sconsigliata. Prima la Cisl e Uil, poi solo più gli indipendenti erano i sindacati meno a rischio. Se si finiva in un reparto con turni massacranti e lavori faticosi, per cambiare era opportuno avere la tessera giusta in tasca. Inoltre, aumenti di stipendio sulla paga oraria individuale non era neppure da parlarne, se si militava nel sindacato sbagliato anche se si era degli ottimi lavoratori. Leopoldo Armandi scriveva che "Ogni espressione di idea è controllata ed ogni azione è misurata con il loro metro. Qui non vigono i sistemi aperti della Fiat. Per esempio, il lavoratore che nell'azienda manifesta opinioni contrarie o non gradite alla Direzione, indirettamente questa porta a conoscenza della famiglia dell'interessato come a Villar Perosa non sia il caso di creare agitazioni rivendicative per ottenere miglioramenti economici, ma sia sufficiente che l'interessato si rivolga alla Direzione stessa poiché tutto possa essere sistemato amichevolmente con prestiti o con l'intervento dell'Ufficio assistenza" (136). Il passo successivo era quello, ancora sempre soft, dell'emarginazione, se vogliamo anche intelligente: i reparti confino. Non si privava del lavoro un dipendente scomodo, ma lo si metteva in un piccolo reparto, magari con un lavoro anche meno faticoso, ma sicuramente alienante e senza significato. L'importante tranciare ogni comunicazione con gli altri operai. "Io, insieme a tre altri miei compagni, siamo stati messi - ricorda Mario Mauro - in uno stanzino fuori dallo stabilimento a montare e smontare motori. Sempre all'esterno dello stabilimento, in un'ala, hanno messo 40-45 operai tutti nostri attivisti Fiom, Pci e Psi. Nel reparto gabbie acciaio c'era Bivi, Morero e tanti altri" (137). Tale strategia di limitazione dell'attività sindacale ci viene confermato da Livio Notta, il quale racconta che "gli attivisti della F.I.O.M. furono emarginati i due piccoli reparti, o Pela-barre e le Gabbie-acciaio, e anch'io, dal reparto manutenzione, fui spostato in quest'ultimo repartino con la qualifica di aggiustatore di reparto. Tra questi operai emarginati ricordo Emilio Michellonet, Alberto Richiardone di Villar, Eugenio Morero di Pinerolo, Cesare Castagna di Inverso Pinasca e altri. Carlo Ribetto e Antonio Dalla Vittoria erano isolati nel reparto elettricisti. I compagni della commissione interna avevano conservato una controllata possibilità di muoversi, mentre noi non potevamo uscire dal reparto per nessun motivo. Questo ci impediva di prendere contatto con gli altri operai e ci indeboliva non poco come organizzazione sindacale" (138). Tra l'altro i reparti confino era reparti modello: massima efficienza nel lavoro, nella cura dei luoghi, nella, come si direbbe oggi, professionalità. Era una questione di prestigio: essere militanti sindacali e di partito, voleva dire ancor prima essere degli ottimi lavoratori. L'etica del lavoro e il progetto politico di cambiamento erano in stretta simbiosi. Quando un giorno l'ing. Bertolone viene invitato a visita uno di questi reparti di irriducibili, ma anche modello, rifiuta categoricamente con sdegno, quasi nel voler evitare di contaminarsi con ideologie e luoghi riprovevoli. Questa è la strada seguita principalmente dalla Riv: evitare ogni contrapposizione, ogni azione di forza risolvere con pazienza gesuitica i problemi senza creare scontri frontali. Anche perché le stesse polemiche troppo accese tra i diversi sindacati o tra questi e la Direzione avrebbero dato spazio a scioperi e proteste, compromettendo il buon andamento produttivo. Ma quando questo non era sufficiente, rispetto ai militanti più irriducibili la clava del licenziamento colpiva.

lavoratori a parteciparvi, considerando la collaborazione tra maestranze e azienda, pur nella duplice<br />

autonomia delle due parti, l'unica strada per <strong>il</strong> progresso.<br />

Nel corso degli anni la richiesta di adeguare <strong>il</strong> salario ai migliori andamenti produttivi è stata una<br />

costante tra gli operai <strong>della</strong> <strong>Riv</strong>. Fin da dopoguerra la Fiom denuncia le condizioni di<br />

supersfruttamento e dei tagli dei tempi di lavoro: nel 1951 viene evidenziato che tra <strong>il</strong> 1948 e <strong>il</strong><br />

1950 la produzione generale aveva subito un balzo in avanti del 31,72%, mentre <strong>il</strong> premio di<br />

produzione generale era aumentato solo del 13% (135).<br />

Situazioni sim<strong>il</strong>i faranno richiedere anche negli anni successivi, unitariamente da tutta la<br />

Commissione Interna, l'adeguamento dei salari in relazione agli aumenti di produttività e anche<br />

all'onere del costo <strong>della</strong> vita.<br />

Se le accuse rivolte alla Cisl di essere alla <strong>Riv</strong> una sindacato servo del padrone erano frutto di una<br />

forte ideologizzazione ( la Cisl era, al di là di scelte e atteggiamenti personali anche discutib<strong>il</strong>i come<br />

ve ne furono anche nella Cg<strong>il</strong>, una sindacato moderato e interclassista), è pure vero che la Cg<strong>il</strong><br />

politicizzò molte volte la vita sindacale di fabbrica con rigidità e intransigenza politica, ma essere<br />

comunisti anche nella paternalistica <strong>Riv</strong> di V<strong>il</strong>lar Perosa era diffic<strong>il</strong>e.<br />

A metà degli anni Cinquanta, in un questionario distribuito dalla Fiom-Cg<strong>il</strong> <strong>della</strong> <strong>Riv</strong> di V<strong>il</strong>lar, una<br />

delle indicazioni che emergeva da esso era la richiesta di maggior libertà sindacale e di offrire pari<br />

opportunità a tutte le organizzazioni sindacali.<br />

I m<strong>il</strong>itanti <strong>della</strong> Cg<strong>il</strong> erano stretti da più parti.<br />

La Cisl, con la sua politica anticomunista, di fatto offriva la spalla alla <strong>Riv</strong> per colpire <strong>il</strong> sindacato<br />

in generale. Carlo Borra in più di un'occasione si lamenta <strong>della</strong> grettezza di molti industriali, i quali<br />

invece di appoggiare la politica moderata <strong>della</strong> Cisl ut<strong>il</strong>izzavano questa per colpire e limitare<br />

l'azione sindacale in generale.<br />

Alcuni esponenti più retrivi del mondo politico-sindacale porteranno anche attacchi personali,<br />

ingiuriando con dei volantini gli esponenti di spicco <strong>della</strong> Fiom <strong>della</strong> <strong>Riv</strong> di V<strong>il</strong>lar Perosa. E' <strong>il</strong><br />

caso, nel 1955, del volantino distribuito dal Comitato "Pace e libertà", legato al movimento di<br />

Edgardo Sogno, alla <strong>Riv</strong> di V<strong>il</strong>lar Perosa. In esso i principali esponenti del Pci e <strong>della</strong> Cg<strong>il</strong> <strong>della</strong><br />

<strong>Riv</strong> vengono diffamati nominandoli personalmente.<br />

Tutti i metodi erano ut<strong>il</strong>izzati per bandire la Fiom, e in generale tutti gli oppositori, dalla scena<br />

politica, in un paese, V<strong>il</strong>lar, dove alle elezioni i partiti <strong>della</strong> sinistra conseguivano la maggioranza<br />

dei consensi.<br />

In primo luogo la strategia padronale si fondava sulla creazione del consenso di massa.<br />

Un aspetto di questa erano le condizioni salariali e normative dei lavoratori <strong>Riv</strong>. Lavorare alla <strong>Riv</strong><br />

voleva dire essere dei priv<strong>il</strong>egiati, far parte dell'élite <strong>della</strong> classe operaia: alti salari, premi di<br />

produzione e collaborazione, assistenza sanitaria Malf, colonie per i figli, assistenza sociale diffusa<br />

e cap<strong>il</strong>lare, case per i lavoratori, organizzazione del tempo libero, i pacchi<br />

natalizi per i figli (e la tanto attesa proiezione dei f<strong>il</strong>m Disney). Insomma non c'era l'angolo più<br />

privato di ogni dipendente che la lunga mano materna dell'azienda non arrivasse per assistere e<br />

confortare.<br />

Inoltre, <strong>il</strong> marchio <strong>della</strong> famiglia Agnelli impregnava anche l'aria che si respirava. Per molti anni<br />

parlare di Agnelli voleva rimandare alla <strong>Riv</strong> (oltre alla Fiat), a V<strong>il</strong>lar Perosa e ... alla Juventus.<br />

Il paternalismo si fondava anche sulle garanzie delle generazioni future: i figli. Essere un buon<br />

operaio o impiegato significava nutrire speranza di veder assunti i propri figli o parenti. Durante i<br />

processi di "svecchiamento" <strong>della</strong> manodopera i primi ad essere assunti erano i figli. Alle teste calde

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