GRAVIDANZA AD ALTO RISCHIO - Psicologiasanitaria.it
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BURLO<br />
ISTITUTO DI RICOVERO E CURA<br />
A CARA TTERE SCIENTIFICO<br />
B U R L O G A R O F O L O<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong><br />
Management in assenza di EBM<br />
A cura di<br />
Salvatore Alberico, Uri Wiesenfeld
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong>...<br />
Management in assenza di EBM<br />
A cura di<br />
Salvatore Alberico, Uri Wiesenfeld
La foto di copertina è di Furio Casali<br />
Direttore responsabile: S. Alberico<br />
Com<strong>it</strong>ato di Redazione: S. Alberico, M. Bernardon, P. Bogatti, M. Costantini, F. De Seta, S. Inglese, G.P. Maso,<br />
M Piccoli, N. Santangelo, A. Sartore,V. Soini, R.Tercolo, M.Vessella, U. Wiesenfeld<br />
Un<strong>it</strong>à Operativa Complessa di Patologia Ostetrica e Ginecologica, IRCCS Burlo Garofolo di Trieste<br />
Ed<strong>it</strong>ing: Gaia Tamaro, Luca Pagan<br />
Grafica e impaginazione: Ekipeventi - Trieste<br />
Stampa: Arti Grafiche Riva - Trieste<br />
Il presente volume è stato pubblicato in occasione del Congresso<br />
“<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong>... Management in assenza di EBM”<br />
che si è tenuto a Trieste il 29-30 novembre 2005<br />
Presidente del Corso: Secondo Guaschino - Direttore del Corso: Salvatore Alberico
Dedico questo lavoro alla Memoria del mio Amico Marco Luchetta,<br />
caduto a Mostar il 28 gennaio 1994<br />
salvatore alberico
L’organizzazione di un Convegno scientifico prevede anche l’onere della stampa degli atti<br />
del convegno. Per il secondo anno consecutivo abbiamo cercato di assolvere questo onere, in<br />
una forma diversa da quella consueta, organizzando un com<strong>it</strong>ato di redazione cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da<br />
Medici del nostro Dipartimento, che hanno lavorato per un anno con il supporto dei Relatori<br />
inv<strong>it</strong>ati ed a Tutti va il mio personale ringraziamento.<br />
Lo scopo di questo metodo era quello di dare un’impostazione omogenea a ciascun<br />
cap<strong>it</strong>olo e nello stesso tempo fornire una serie di indicazioni pratiche di procedura<br />
diagnostico-terapeutica per ciascuna delle patologie trattate durante il convegno.<br />
Non abbiamo ovviamente la presunzione di proporre questo testo come una Linea Guida<br />
per ciascun cap<strong>it</strong>olo, ma da Medici che ogni giorno ci confrontiamo con patologie per le<br />
quali non sempre le linee guida di gestione sono disponibili e delineate, pensiamo<br />
pragmaticamente che lo studio della letteratura disponibile, sostenuto dalla esperienza<br />
maturata nella nostra quotidian<strong>it</strong>à ci possa consentire di delineare flow-charts di gestione<br />
clinica, non sempre disponibili in Letteratura!<br />
… e questo senza alcuna presunzione cattedratica!<br />
R<strong>it</strong>eniamo in mer<strong>it</strong>o più che necessario cercare punti di incontro condivisi da ostetrici<br />
esperti in ciascuna delle patologie trattate in questo meeting, perché oggi il ricorso a<br />
riferimenti dettati dalla Evidence Based Medicine è un cr<strong>it</strong>erio molto corretto per compiere<br />
scelte cliniche, ma lì dove questo metodo di verifica della correttezza procedurale non è<br />
disponibile, ciò non deve trasformarsi in un handicap per chi è comunque chiamato a<br />
decidere, con ripercussioni non sempre pos<strong>it</strong>ive sul paziente.<br />
Il successo ottenuto dal testo stampato lo scorso anno, sul tema del “Taglio cesareo”, che<br />
ancora ci viene richiesto da più parti e non solo da Ostetrici, ci fa quindi ben sperare sulla<br />
valid<strong>it</strong>à di questa scelta, non solo alfine di indicare procedure diagnostico-terapeutiche ma<br />
anche per supportare determinate scelte compiute secondo scienza e coscienza, ma<br />
contestate in amb<strong>it</strong>o medico-legale, in caso di es<strong>it</strong>o avverso derivante dalla nostra<br />
operativ<strong>it</strong>à.<br />
L’augurio che ci facciamo e che lo sforzo compiuto trovi un riscontro favorevole e soddisfi<br />
le attese di quanti avranno avuto la cortesia e la bontà di leggerci.<br />
S. A.
INDICE<br />
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
1. Screening e diagnosi del diabete gestazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11<br />
2. Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25<br />
3. Induzione del travaglio versus expectant management in GDM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .42<br />
4. Distocia di spalla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .55<br />
5. L’ecografia nelle gravidanze diabetiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .75<br />
6. Terapia insulinica del diabete in gravidanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .84<br />
GRANDE PRETERMINE<br />
7. Il parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .86<br />
8. Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .94<br />
9. L’es<strong>it</strong>o a distanza nei neonati
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
SCREENING E DIAGNOSI<br />
DEL DIABETE GESTAZIONALE<br />
A. Lapolla, M.G. Dalfrà, M. Masin, D. Fedele<br />
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Cattedra di Malattie del Metabolismo, Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Padova<br />
Introduzione<br />
Il Diabete Gestazionale (GDM), è classicamente defin<strong>it</strong>o come una condizione di “intolleranza<br />
ai carboidrati, di grav<strong>it</strong>à variabile, ad esordio o primo riconoscimento nel corso della<br />
gravidanza, indipendentemente dal tipo di trattamento e dal fatto che la condizione possa persistere<br />
dopo il parto”.<br />
Questa patologia complica la gravidanza con una frequenza che varia dall’1 al 14%; tale<br />
variabil<strong>it</strong>à è legata ai diversi cr<strong>it</strong>eri diagnostici utilizzati ed alle diverse popolazioni valutate 1,2 .<br />
Recentemente, inoltre, è stato segnalato un aumento della frequenza di Diabete Gestazionale<br />
dal 2.8% al 8.8%, nel corso degli ultimi 20 anni, nei paesi in via di sviluppo e soprattutto nelle<br />
popolazioni immigrate da paesi sottosviluppati a paesi ricchi 3 .<br />
Negli ultimi anni l’eziologia e la patogenesi del GDM sono state riviste 4 e il GDM è stato<br />
considerato, come il diabete di tipo 2, un insieme di condizioni morbose con momenti patogenetici<br />
diversi. Raramente il GDM è il momento dell’esordio di un diabete tipo 1, come dimostrato<br />
dalla frequenza piuttosto bassa, anche se variabile a seconda delle varie casistiche<br />
esaminate, dei markers immunologici pred<strong>it</strong>tivi di diabete tipo 1, quali gli ICA, gli IAAs gli anti<br />
G<strong>AD</strong> 5,6 . Più frequentemente, invece, quello che caratterizza il GDM è una ridotta secrezione<br />
di insulina accompagnata da un aumento dell’insulino resistenza periferica, due condizioni<br />
tipiche del diabete tipo 2. Infatti, secondo alcuni Autori, le due condizioni sono in realtà la<br />
stessa malattia 7,8 , come dimostrato anche dal fatto che esse riconoscono gli stessi fattori di rischio<br />
quali la familiar<strong>it</strong>à di diabete tipo 2, la razza non bianca, l’obes<strong>it</strong>à, l’età avanzata, la presenza<br />
di ipertensione e/o dislipidemia.<br />
Nelle donne con Diabete Gestazionale la secrezione insulinica non è in grado di compensare<br />
l’insulino resistenza caratteristica della gravidanza; la perd<strong>it</strong>a della prima fase di secrezione<br />
insulinica determina, in queste pazienti, iperglicemia post-prandiale, mentre la ridotta soppressione<br />
della produzione epatica di glucosio è responsabile dell’iperglicemia a digiuno 9 .<br />
La resistenza alla insulina è stata dimostrata a livello del tessuto adiposo e muscolare e<br />
può essere ricondotta agli stessi meccanismi fisiopatologici che determinano la comparsa del<br />
diabete di tipo 2: modificazioni del recettore insulinico e del trasporto ed utilizzazione del<br />
glucosio nelle cellule insulino-sensibili 10 ; riduzione dell’attiv<strong>it</strong>à del substrato del recettore insu-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
1<br />
11
12<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
linico: è stato infatti messo in evidenza che la fosforilazione tirosinica insulino-indotta dell’IRS-<br />
1 è ridotta nelle donne affette da GDM rispetto alle gravide normali 11 . L’aumento del TNF-alfa,<br />
correlato alla riduzione della sensibil<strong>it</strong>à insulinica 12 , e la riduzione del contenuto del trasportatore<br />
del glucosio Glut 4 13 potrebbero giocare, inoltre, ruoli importanti.<br />
La ridotta azione dell’insulina, nella gravida con GDM, determina un eccessivo incremento<br />
nel sangue di nutrienti, quali il glucosio, i lipidi, gli aminoacidi, che passando attraverso la<br />
placenta (passaggio facil<strong>it</strong>ato dalle loro concentrazioni più basse nel feto) determinano un iperinsulinismo<br />
in grado di favorire, a sua volta, un aumento del tessuto adiposo con organomegalia<br />
e macrosomia.<br />
I meccanismi fisiopatologici che determinano il Diabete Gestazionale danno ragione dell’elevata<br />
frequenza di sviluppo di diabete tipo 2 dopo il parto, frequenza che varia a seconda<br />
delle casistiche esaminate e che è condizionata dalle modal<strong>it</strong>à di diagnosi del GDM, dal periodo<br />
di follow up preso in considerazione, dalla presenza di obes<strong>it</strong>à, dai gruppi etnici esaminati.<br />
In questo contesto, recentemente, Kim e coll. hanno verificato la relazione tra GDM e<br />
diabete di tipo 2 analizzando gli studi presenti su PubMed dal 1965 al 2001 14 . Da tale analisi<br />
emerge come vi sia una grossa variabil<strong>it</strong>à nell’incidenza cumulativa di diabete di tipo 2, nelle<br />
donne con precedente GDM, e questo è dovuto alla diversa lunghezza del follow up considerato<br />
nei vari studi, ai differenti cr<strong>it</strong>eri utilizzati per la diagnosi di malattia, alla diversa etnia<br />
delle popolazioni esaminate.<br />
Il tasso di progressione della incidenza di diabete, nelle pazienti con pregresso GDM, aumenta<br />
soprattutto nei primi 5 anni dopo il parto e poi presenta un andamento a plateau, con<br />
una frequenza cumulativa che varia dal 2.6 al 70% in studi di follow up tra 6 settimane e 28<br />
anni. Livelli glicemici a digiuno elevati in corso di gravidanza sono, inoltre, forti pred<strong>it</strong>tori di<br />
sviluppo futuro di diabete.<br />
Sulla base di tali riscontri gli Autori concludono che nonostante lo screening universale<br />
per il GDM non sia esegu<strong>it</strong>o ovunque, le conoscenze attuali relative alla possibile prevenzione<br />
del diabete di tipo 2 inducono a promuovere tale screening.<br />
Oltre alla iperglicemia a digiuno in corso di gravidanza, gli altri fattori di rischio associati,<br />
in queste pazienti, allo sviluppo successivo di diabete di tipo 2 sono la alterata tolleranza ai<br />
carboidrati dopo il parto, la familiar<strong>it</strong>à per diabete tipo 2, la razza non bianca, l’obes<strong>it</strong>à, la diagnosi<br />
di GDM in una fase precoce di gravidanza, la necess<strong>it</strong>à di terapia insulinica in corso di<br />
gravidanza, la ridotta funzione beta-cellulare 15,16 .<br />
Occorre sottolineare che oltre ad un’aumentata frequenza di sviluppo di diabete di tipo<br />
2, le pazienti con pregresso GDM presentano anche un maggior rischio di sviluppo di ipertensione,<br />
iperlipemia e sindrome plurimetabolica, condizione quest’ultima da non sottovalutare<br />
visto il maggior rischio di malattia cardiovascolare cui si associa 17,18 .<br />
Se però l’associazione Diabete Gestazionale sviluppo di diabete di tipo 2 è ben validata,<br />
recentemente l’associazione Diabete Gestazionale aumento delle complicanze a breve ter-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
mine della madre e del nato, quali la macrosomia, la distocia di spalla, la Sindrome da Distress<br />
Respiratorio, l’ipoglicemia, l’iperbilirubinemia, la polic<strong>it</strong>emia, l’ipocalcemia, la preeclampsia è stata<br />
messa in dubbio. In questo contesto la US Preventive Services Task Force ha preso in considerazione<br />
gli articoli sullo screening del GDM pubblicati su PubMed dal 1994 al 2002 19 .<br />
Dall’analisi degli articoli emerge come non vi siano studi randomizzati e controllati che mettano<br />
in evidenza un reale beneficio derivante dallo screening del GDM. Anche se la terapia<br />
insulinica riduce la frequenza di macrosomia nelle donne affette da GDM con gradi severi di<br />
iperglicemia, non vi è evidenza che ci sia un reale beneficio conseguente al trattamento delle<br />
pazienti con GDM che mostrano gradi lievi di iperglicemia, che sono la maggior parte. La<br />
US Preventive Services Task Force conclude che è necessaria ed urgente la messa a punto di<br />
uno studio randomizzato e controllato per verificare la reale importanza di screenare e diagnosticare<br />
il Diabete Gestazionale.<br />
Per definire il Diabete Gestazionale una reale ent<strong>it</strong>à clinica è necessario che vi siano la evidenza<br />
di una deviazione dalla normale fisiologia, la dimostrazione che essa determina in gravidanza<br />
outcome avversi, la verifica, infine, che il trattamento di tale patologia è in grado di ridurre<br />
tali eventi avversi. A questi ques<strong>it</strong>i in gran parte rispondono Langher e coll. in un recente<br />
studio che ha valutato l’outcome materno e fetale in 555 pazienti con GDM non trattate,<br />
1110 pazienti con GDM trattate, con terapia dietetica ed insulinica quando necessario,<br />
e 110 gravide non diabetiche scelte come controlli 20 .<br />
Prendendo in considerazione un “indice totale” di outcome neonatale, che comprende la<br />
mortal<strong>it</strong>à neonatale, la macrosomia, l’ipoglicemia, l’iperbilirubinemia, la polic<strong>it</strong>emia, un “outcome<br />
totale negativo” è stato evidenziato nel 59% delle GDM non trattate, nel 18% delle GDM<br />
trattate e nel 11% dei controlli non diabetici. Sulla base di tali risultati gli Autori concludono<br />
che il Diabete Gestazionale non sottoposto a trattamento si accompagna ad una aumentata<br />
morbil<strong>it</strong>à fetale, morbil<strong>it</strong>à che può essere drasticamente ridotta se tale condizione viene segu<strong>it</strong>a<br />
e trattata adeguatamente.<br />
In questo contesto bisogna sottolineare che lo studio che sicuramente darà una risposta<br />
defin<strong>it</strong>iva a tali ques<strong>it</strong>i è l’HAPO Study (Hyperglicemia and Adverse Pregnancy Outcomes) 21 , uno<br />
studio multicentrico che coinvolgerà 25.000 gravide di varie etnie. Gli endpoints di tale studio<br />
sono quelli di rilevare la relazione tra iperglicemia materna e frequenza di taglio cesareo,<br />
macrosomia, iperinsulinemia fetale, morbil<strong>it</strong>à neonatale (distocia di spalla, ipoglicemia, polic<strong>it</strong>emia,<br />
iperbilirubinemia, di stress respiratorio).<br />
È auspicabile quindi che nel giro di 2-3 anni siano disponibili i risultati finali dello studio<br />
che sicuramente stabilirà a livello internazionale quale è il livello di iperglicemia materna associato<br />
ad un rischio misurabile per il feto; a quale livello di iperglicemia materna si deve intervenire<br />
per ridurre la morbil<strong>it</strong>à materna e fetale, quale è il range di normal<strong>it</strong>à da tenere in<br />
considerazione per la curva da carico orale di glucosio con 75 grammi di zucchero, la possibil<strong>it</strong>à<br />
di utilizzare l’OGTT con 75 g per la diagnosi in un’unica fase del GDM.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
13
14<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
Screening del GDM<br />
I presupposti per lo screening di una condizione morbosa sono stati codificati sin dal 1975<br />
da Sackett 22 e sono i seguenti: la malattia deve cost<strong>it</strong>uire un importante problema san<strong>it</strong>ario<br />
per prevalenza nella popolazione generale.<br />
È necessaria una buona conoscenza della storia naturale della malattia, che deve risultare<br />
associata a rilevante morbil<strong>it</strong>à, immediata ed a distanza. Deve essere disponibile un test diagnostico<br />
codificato, affidabile, e riproducibile considerato il “Gold standard”.<br />
Alla diagnosi deve poter seguire una terapia efficace nel prevenire o contenere gli effetti<br />
della malattia. Il test di screening deve avere sensibil<strong>it</strong>à e specific<strong>it</strong>à, rapid<strong>it</strong>à e semplic<strong>it</strong>à di esecuzione,<br />
costo contenuto.<br />
Deve essere previsto, infine, un rapporto costi/benefici favorevole.<br />
In questo contesto, la considerazione che la presenza di fattori di rischio per lo sviluppo<br />
di GDM consente di sottoporre ad un programma diagnostico per tale malattia solo il 50%<br />
delle gravide e la consapevolezza della necess<strong>it</strong>à di una diagnosi precoce di una patologia con<br />
importanti conseguenze per la madre ed il nato, hanno fatto sì che il “Second International<br />
Workshop Conference on Gestational Diabetes” decidesse di consigliare di sottoporre a screening<br />
per il GDM tutte le donne gravide, indipendentemente dalla presenza o meno di fattori<br />
di rischio per tale patologia, alla 24 a -28 a settimana di gravidanza, (screening universale) 23 .<br />
Quale test di screening la Consensus consigliava il “minicarico di glucosio”, che consiste<br />
nella somministrazione di 50 g di glucosio e nella valutazione della glicemia plasmatica un’ora<br />
dopo. Il test viene considerato pos<strong>it</strong>ivo quando la glicemia è ≤ 140mg/dl; la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à del test<br />
è una indicazione ad eseguire un test diagnostico, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o in tal caso dalla curva da carico<br />
orale di glucosio (OGTT).<br />
Il Gruppo di Studio SID Diabete e Gravidanza, per consentire una diagnosi più precoce,<br />
in accordo con altri autori, ha consigliato l’anticipazione dello screening alla 14 a -16 a settimana<br />
di gravidanza in presenza di fattori di rischio per GDM (Tabella 1) 24,25 .<br />
Tabella 1. Fattori di rischio per Diabete Gestazionale (Linee guida SID)<br />
Anamnestici Maggiori Anamnestici Minori Attuali<br />
1 solo cr<strong>it</strong>erio Almeno 2 cr<strong>it</strong>eri 1 solo cr<strong>it</strong>erio<br />
Pregresso GDM o IGT Sovrappeso Incremento ponderale<br />
>1,2 kg nel 1° trimestre<br />
e/o 400 gr/settimana nel 2°-3° trimestre<br />
Familiar<strong>it</strong>à di 1°grado per diabete Ipertensione arteriosa Ricorrente glicosuria a digiuno<br />
Età >30 anni Due o più aborti Poliidramnios<br />
Obes<strong>it</strong>à (BMI>28) Poliidramnios Cresc<strong>it</strong>a fetale accelerata e dismorfica<br />
Pregressa macrosomia Gestosi<br />
(≥ 4kg) o LGA (>90°C)<br />
Mortal<strong>it</strong>à perinatale da causa ignota Elevata par<strong>it</strong>à<br />
Parti pre-termine<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
Recentemente il gruppo di esperti dell’<strong>AD</strong>A, che ha proposto i nuovi cr<strong>it</strong>eri di classificazione<br />
e diagnosi del diabete ha proposto anche nuove indicazioni all’esecuzione dello screening<br />
26 . Su tali indicazioni si è allineata anche la “Fourth Consensus Conference on GDM” 27 , che<br />
ha distinto le gravide in pazienti a rischio basso, medio ed elevato (Tabella II). Secondo tali<br />
esperti nelle gravide che presentino età
16<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
le donne che intraprendono una gravidanza hanno un basso rischio quindi il risparmio di risorse<br />
non è elevato; tuttavia non sottoporre a screening queste pazienti non permette di diagnosticare<br />
un 2% di GDM, ed inoltre si rischia di non diagnosticare le pazienti con diabete di<br />
tipo 1 che la gravidanza può mettere in evidenza e che necess<strong>it</strong>ano di stretta sorveglianza.<br />
Alle stesse conclusioni giungono anche Corcoy e coll. in un recente studio che ha analizzato<br />
la frequenza delle donne a basso rischio in 1635 pazienti affette da GDM 30 .<br />
Lo screening, secondo le raccomandazioni della Consensus Conference 27 , può essere esegu<strong>it</strong>o<br />
indipendentemente dai pasti; dobbiamo però sottolineare che il pasto determina un’iperinsulinemia<br />
che riduce il livello della glicemia, perciò in tal caso il valore soglia del test è di<br />
130 mg/dl 31 . In considerazione, quindi, di tale variabil<strong>it</strong>à è consigliabile comunque l’esecuzione<br />
del test a digiuno tenendo come valore soglia di glicemia i 140 mg/dl.<br />
Sul valore soglia studi di Bonomo et al. 32 segnalano il possibile uso di cut-off differenziati<br />
in funzione del livello di alterazione diagnostica che si vuole identificare Diabete Gestazionale<br />
o alterazioni minori della tolleranza ai carboidrati. Su tale problema comunque la “Fourth<br />
Consensus Conference on Gestational Diabetes” 27 si è espressa a favore dei 140mg/dl: tale valore<br />
presenta una specific<strong>it</strong>à del 87% ed una sensibil<strong>it</strong>à del 79% che sono da considerarsi più<br />
che accettabili per un test di screening (Tabella III).<br />
Tabella III. Minicarico di glucosio: cr<strong>it</strong>eri di interpretazione secondo le raccomandazioni <strong>AD</strong>A.<br />
Cutoff (mg/dl) 130 135 140<br />
Sensibil<strong>it</strong>à 100% 98% 79%<br />
Specific<strong>it</strong>à 78% 80% 87%<br />
Sulla possibil<strong>it</strong>à di utilizzare i fattori di rischio anamnestici come metodo di screening recentemente<br />
alcuni autori hanno proposto un modello basato su 5 indicatori di rischio (familiar<strong>it</strong>à<br />
per diabete, pregressa macrosomia, pregresso GDM, BMI pre-gravidico > di 27, glicosuria)<br />
33 , la sensibil<strong>it</strong>à del test dell’80.6% è simile a quella del minicarico di glucosio, purtroppo<br />
la specific<strong>it</strong>à è bassa cioè del 64.5%.<br />
Diversi cut-off sono stati proposti nel considerare la glicemia a digiuno quale test di screening,<br />
ma come evidente dalla Tabella IV vi è una grande variabil<strong>it</strong>à nei livelli di sensibil<strong>it</strong>à e specific<strong>it</strong>à<br />
dovuti alle differenti popolazioni valutate, ai differenti metodi di analisi utilizzati 34-37 .<br />
Tabella IV. Glicemia a digiuno utilizzata quale metodo di screening del GDM<br />
Autore Cut-off Sensibil<strong>it</strong>à Specific<strong>it</strong>à<br />
mmol/l (mg/dl) (%) (%)<br />
Agarwl (2000) 5.3 (95.4) 79 91<br />
Atilano (1999) 5.8 (104.4) 20.2 99.7<br />
Perrucchini (1999) 4.8 (86.4) 81 76<br />
Reichelt (1998) 4.9 (88.2) 88 78<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
Anche la possibil<strong>it</strong>à di utilizzare il dosaggio dell’HbA1c quale test di screening è stata recentemente<br />
rivalutata, considerando quale soglia diagnostica un valore di HbA1c ≥ a 5.5%: la<br />
sensibil<strong>it</strong>à è risultata del 72.8% e la specific<strong>it</strong>à del 66%, più basse di quelle del minicarico di<br />
glucosio 38 .<br />
Infine, i glucometri vengono periodicamente riproposti a tale propos<strong>it</strong>o perché permettono<br />
di avere un risultato immediato, a costo minore, con possibil<strong>it</strong>à di abbreviare il successivo<br />
percorso diagnostico. Nonostante il miglioramento delle prestazioni diagnostiche ottenute<br />
con l’evoluzione tecnologica di tali strumenti 39 , essi mostrano ancora una variabil<strong>it</strong>à non<br />
compatibile con il loro utilizzo né nelle procedure di screening né in quelle di diagnosi ed attualmente<br />
non sono approvati per tale utilizzo dalle società nazionale ed internazionali.<br />
Diagnosi del GDM<br />
La pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à del test di screening è indicazione all’esecuzione di un test diagnostico cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o,<br />
in questo caso, dalla curva da carico orale di glucosio.<br />
La diagnosi del GDM ancora oggi è un argomento controverso; nonostante 4 workshop<br />
internazionali e prese di posizioni più o meno ufficiali da parte delle varie società scientifiche<br />
internazionali, non vi è ancora univoc<strong>it</strong>à nelle indicazioni riguardanti l’utilizzo della curva da<br />
carico orale di glucosio con 100 g (secondo O’Sullivan) o con 75 g (secondo l’OMS).<br />
O’Sullivan e coll 40 hanno valutato 752 donne, non selezionate, sottoposte ad OGTT con<br />
100 grammi di glucosio e dosaggio della glicemia su sangue intero ogni ora per tre ore.<br />
I lim<strong>it</strong>i diagnostici (Tabella V) sono stati stabil<strong>it</strong>i utilizzando il cr<strong>it</strong>erio statistico delle 2 deviazioni<br />
standard oltre la media sulla base del loro valore pred<strong>it</strong>tivo nei confronti di una successiva<br />
comparsa di diabete nella madre.<br />
La diagnosi di GDM è stata stabil<strong>it</strong>a sulla base della presenza di due valori uguali o superiori<br />
al livello soglia. La prevalenza del GDM, con tali cr<strong>it</strong>eri, è risultata del 2%. Dobbiamo sottolineare<br />
che la validazione di questi cr<strong>it</strong>eri diagnostici è stata fatta sulla base della successiva<br />
evoluzione della madre verso un diabete e non sull’es<strong>it</strong>o negativo ostetrico e/o perinatale della<br />
gravidanza.<br />
Questi cr<strong>it</strong>eri sono stati adottati nel 1978 dall’American College of Obstetricians and<br />
Gynecologists (ACOG) 41 e poi dal NDDG 42 . In tale occasione è stata apportata una modifica<br />
ai lim<strong>it</strong>i diagnostici, infatti in considerazione del passaggio del dosaggio della glicemia su sangue<br />
intero a quello su plasma i singoli cut-off sono stati aumentati del 15% (Tabella V).<br />
Una successiva modifica è stata, poi apportata da Carpenter e Coustan 43 , che in considerazione<br />
del passaggio dal metodo di Somogy-Nelson ai metodi enzimatici più specifici per il<br />
dosaggio della glicemia, hanno operato una riduzione di 5 mg/dl ai valori di riferimento<br />
dell’OGTT (Tabella V). Questi cr<strong>it</strong>eri, sicuramente metodologicamente più corretti sono stati<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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18<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
adottati dalla SID già dal 1994 44 , tuttavia sino a poco tempo fa sia l’ACOG sia l’<strong>AD</strong>A sia altre<br />
importanti ist<strong>it</strong>uzioni scientifiche internazionali hanno continuato ad adottare i cr<strong>it</strong>eri del<br />
NDDG.<br />
Tabella V. Cr<strong>it</strong>eri diagnostici per l’OGTT con 100 gr in gravidanza<br />
O’Sullivan 1964 NDDG 1979 Carpenter 1982<br />
Glucosio mg/dl Glucosio mg/dl Glucosio mg/dl<br />
Sangue venoso Plasma venoso Plasma venoso<br />
0’ 90 105 95<br />
1h 165 190 180<br />
2h 145 165 155<br />
3h 125 145 140<br />
Diagnosi GDM: 2 o più valori > a quelli indicati<br />
In questo contesto la Fourth International Consensus Conference on GDM 27 ha tentato di<br />
omologare i test utilizzati per la diagnosi del GDM ribadendo la necess<strong>it</strong>à di utilizzare quale<br />
test diagnostico l’OGTT con 100 grammi di glucosio (Tabella VI), interpretato secondo i cr<strong>it</strong>eri<br />
di Carpenter e Coustan (Tabella VII) 43 . L’adozione dei nuovi cr<strong>it</strong>eri diagnostici, meno elevati<br />
e più restr<strong>it</strong>tivi, determina una maggiore prevalenza di GDM, prevalenza che in due studi<br />
esegu<strong>it</strong>i su casistiche molto ampie, è stata calcolata intorno al 5% 45,46 . In particolare dallo<br />
studio di Magee e coll 44 è emerso che utilizzando tali nuovi cr<strong>it</strong>eri è possibile identificare un<br />
ulteriore 50% di donne affette da GDM; queste donne presentano fattori di rischio di GDM,<br />
ed una frequenza di macrosomia e morbil<strong>it</strong>à neonatale simile a quella delle pazienti identificate<br />
con i vecchi cr<strong>it</strong>eri.<br />
Tabella VI. Cr<strong>it</strong>eri diagnostici secondo le raccomandazioni <strong>AD</strong>A per l’OGTT in gravidanza con 100 g e 75 g di glucosio<br />
plasma venoso OGTT OGTT<br />
mg/dl 100g 75g<br />
0’ 95 95<br />
1h 180 180<br />
2h 155 155<br />
3h 140 -<br />
Diagnosi GDM:2 o più valori > a quelli indicati<br />
Tabella VII. Modal<strong>it</strong>à di esecuzione dell’OGTT (100 g e 75 g)<br />
Dieta Almeno 150 g CHO/die per 3 gg<br />
Orario Al mattino dopo 8-14 ore di digiuno<br />
Carico 75 g o 100 g glucosio disciolti in acqua 400 ml ,da ingerire in 5’<br />
Prelievo Venoso basale, poi ogni ora per 2-3 ore<br />
Dosaggio Su plasma con metodo enzimatico<br />
Comportamento Durante il test posizione seduta, non fumare<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
Anche sull’approccio da adottare per la diagnosi del GDM, in due fasi con minicarico di<br />
glucosio ed OGTT, o in unica fase con solo OGTT, non vi è consenso; infatti, mentre l’<strong>AD</strong>A<br />
e l’ACOG consigliano il procedimento in due fasi, l’OMS già nel 1985 ha proposto di utilizzare<br />
un unico test cioè l’OGTT con 75 grammi di glucosio, con prelievi a digiuno e dopo 2<br />
ore, interpretato secondo i cr<strong>it</strong>eri utilizzati nella popolazione generale 47 , (Tabella VIII). Questa<br />
posizione è stata ribad<strong>it</strong>a anche recentemente, recependo, però i nuovi livelli diagnostici a digiuno,<br />
proposti dall’Expert Comm<strong>it</strong>teee dell’<strong>AD</strong>A 26 . Adottando questo cr<strong>it</strong>erio un valore di glicemia<br />
2 ore dopo OGTT superiore o uguale a 140 mg/dl è diagnostico per IGT in gravidanza,<br />
condizione che andrebbe trattata come il GDM. Il lim<strong>it</strong>e dell’adozione di questi cr<strong>it</strong>eri sta<br />
nella non validazione del test in gravidanza; inoltre con gli stessi si ha un netto incremento<br />
della frequenza di GDM, come dimostrato da alcuni studi 48,49 .<br />
Tabella VIII. Cr<strong>it</strong>eri per la diagnosi di diabete mell<strong>it</strong>o non in gravidanza.<br />
Normoglicemia FPG
20<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
dell’OGTT, senza il preventivo screening, nelle pazienti a rischio elevato e che appartengano<br />
a popolazioni con alto rischio di diabete, e l’esecuzione dello screening segu<strong>it</strong>o, in caso di pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />
dello stesso, da un OGTT con 100 g di glucosio interpretato secondo i cr<strong>it</strong>eri di<br />
Carpenter e Coustan, in tutti gli altri casi. In alternativa è possibile usare l’OGTT con 75 g di<br />
glucosio, bisogna tener presente però che non è ancora validata.<br />
Come ribad<strong>it</strong>o anche dall’<strong>AD</strong>A 53 , il riscontro, anche nella donna in gravidanza, di una glicemia<br />
plasmatica a digiuno ≥ a 126 mg/dl e/o di una glicemia plasmatica non a digiuno ≥ a<br />
200mg/dl, se confermate in una successiva occasione, permettono già di fare diagnosi di diabete,<br />
senza ricorrere a test di screening e di diagnosi. Una serie di studi hanno poi indicato<br />
la possibil<strong>it</strong>à di riconoscere un risultato del minicarico di glucosio da considerare diagnostico<br />
di GDM. Carpenter e Coustan 43 hanno individuato la soglia dei 182 mg/dl superata la quale<br />
l’OGTT risultava pos<strong>it</strong>ivo nel 95% dei casi. Anche su questo punto manca un consenso internazionale,<br />
in attesa di dati validati comunque è giustificata una soglia di sicurezza diagnostica<br />
quale quella individuata da Ramus e K<strong>it</strong>zmiller 52 di 198 mg/dl.<br />
Il Gruppo di Studio Diabete e Gravidanza della SID, in attesa dei risultati dell’HAPO Study<br />
si è allineato su una posizione per così dire conservativa consigliando perciò di continuare ad<br />
eseguire lo screening universale, utilizzando il procedimento in due fasi.<br />
Lo screening con minicarico di glucosio da eseguirsi a digiuno va fatto perciò a tutte le<br />
gravide tra la 24 a e la 28 a settimana di gravidanza, se la donna non è a rischio, al più presto<br />
se presenta fattori di rischio per GDM; il cut off da considerare è 140 mg/dl. Il test diagnostico<br />
da utilizzare è l’OGTT con 100 gr di glucosio interpretato secondo i cr<strong>it</strong>eri di Carpenter<br />
e Coustan, come evidenziato nella Figura 1.<br />
Figura 1. Screening e diagnosi del GDM. Linee guida SID<br />
Fra la 24 a -28 a settimana gestazionale o appena possibile in presenza di fattori di rischio<br />
GLICEMIA<br />
126 a digiuno<br />
200 random<br />
<<br />
CGT<br />
50 gr<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio<br />
Dopo aver fatto diagnosi di GDM la gravida va mon<strong>it</strong>orata attentamente dal punto di vista<br />
metabolico ed ostetrico per ridurre al massimo le complicanze materne e fetali legate a<br />
tale patologia.<br />
Ad ogni vis<strong>it</strong>a di controllo, di sol<strong>it</strong>o con frequenza quindicinale, la paziente deve essere<br />
sottoposta a valutazione della glicemia plasmatica e della chetonuria, a mon<strong>it</strong>oraggio dell’andamento<br />
del peso e della PAO; i livelli di HbA1c verranno valutati mensilmente.<br />
La paziente deve anche essere educata all’esecuzione dell’autocontrollo domiciliare delle<br />
glicemie, secondo uno schema settimanale a scacchiera che comprenderà la valutazione sia<br />
delle glicemie a digiuno sia di quelle pre e post-prandiali. Poiché il GDM è caratterizzato da<br />
una importante aumento delle glicemie dopo i pasti e visti i risultati del lavoro di DeVeciana<br />
e coll 55 , che ha messo in evidenza che il mon<strong>it</strong>oraggio delle glicemie un’ora post-prandiale e<br />
l’instaurazione della terapia insulinica sulla base di tali glicemie sono in grado di ridurre, nelle<br />
GDM, la frequenza della macrosomia e dei tagli cesarei, sarebbe utile valutare le glicemie<br />
un’ora dopo i pasti, in accordo anche con quanto raccomandato recentemente dall’<strong>AD</strong>A 56 .I<br />
valori di glicemia a digiuno e post-prandiali che si devono ottenere nelle pazienti con GDM<br />
sono a digiuno inferiori a 95 mg/dl, un’ora dopo i pasti inferiori a 140 mg/dl e due ore dopo<br />
i pasti inferiore a 120 mg/dl. I valori dell’HbA1c devono essere entro il range di normal<strong>it</strong>à.<br />
La valutazione della chetonuria, al mattino a digiuno, è importante perché permette di verificare<br />
eventuali errori dietetici,quali un basso apporto di carboidrati, una eccessiva riduzione<br />
delle calorie totali, un digiuno prolungato.<br />
Il trattamento iniziale del GDM è quello basato sulla dieta e sulla moderata attiv<strong>it</strong>à fisica.<br />
Quando con la terapia dietetica non è possibile raggiungere gli obiettivi glicemici prefissati<br />
vi è l’indicazione ad iniziare, nella paziente con GDM, la terapia insulinica.<br />
La recente disponibil<strong>it</strong>à di analoghi dell’insulina a rapido inizio di azione e con maggiore<br />
capac<strong>it</strong>à di ridurre il picco iperglicemico post-prandiale offre un’arma efficace nel GDM, quando<br />
vi sia iperglicemia post-prandiale. Studi recenti, infatti, hanno evidenziato come la terapia<br />
con tali insuline, nelle donne con GDM, è efficace nel ridurre la glicemia post-prandiale e le<br />
ipoglicemie tra un pasto ed il successivo, senza aumentare il rischio di immunogenic<strong>it</strong>à ed essere<br />
accompagnata da passaggio transplacentare 57 .<br />
Gli ipoglicemizzanti orali, che attraversano la barriera placentare, sono sconsigliati in corso<br />
di gravidanza; tuttavia Langer, in un recente studio 58 , riporta che l’uso della gliburide, in pazienti<br />
con GDM, non determina complicanze materne e fetali con frequenza maggiore di quelle<br />
riscontrate nelle pazienti con GDM trattate con insulina. È comunque opportuno, come<br />
sottolineato anche recentemente dall’<strong>AD</strong>A 53 , che vengano condotti ulteriori studi per verificare<br />
la reale possibil<strong>it</strong>à di usare gli ipoglicemizzanti orali in corso di gravidanza.<br />
Per quanto riguarda il mon<strong>it</strong>oraggio ostetrico, esso non si discosta molto da quello che<br />
viene esegu<strong>it</strong>o nelle pazienti con diabete pregravidico.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
21
22<br />
Screening e diagnosi del diabete gestazionale<br />
Follow-up post-parto<br />
La tolleranza ai carboidrati deve essere rivalutata dopo il parto: l’<strong>AD</strong>A, anche nelle recentissime<br />
raccomandazioni 53 , consiglia una prima rivalutazione dopo sei settimane dal parto o a<br />
termine dell’allattamento; in caso venga diagnosticata una ridotta tolleranza ai carboidrati<br />
(IGT) o una alterata glicemia a digiuno (IFG), (Tabella VIII) le rivalutazioni andranno esegu<strong>it</strong>e<br />
annualmente; nei casi in cui la tolleranza ai carboidrati risulti normale le rivalutazioni dovrebbero<br />
essere esegu<strong>it</strong>e ad intervalli non superiori a tre anni.<br />
Le donne con pregresso GDM e soprattutto quelle cui sia stato diagnosticato un IFG o<br />
un IGT dopo la gravidanza, devono essere a conoscenza dell’elevato rischio che hanno di sviluppare<br />
un diabete e dell’importanza sia di mon<strong>it</strong>orare la tolleranza ai carboidrati sia di correggere<br />
gli altri fattori di rischio eventualmente presenti (obes<strong>it</strong>à, dislipidemie, ipertensione<br />
arteriosa); le stesse devono inoltre conoscere i sintomi acuti di insorgenza di diabete in modo<br />
che possano rivolgersi sub<strong>it</strong>o al proprio medico curante.<br />
I nati da madre con GDM hanno un significativo maggiore rischio di sviluppare obes<strong>it</strong>à e<br />
diabete di tipo 2 nel corso dell’adolescenza e questo potrebbe spiegare almeno in parte l’aumento<br />
di tale patologia in età pediatrica osservata negli ultimi anni 59 .<br />
Conclusioni<br />
Dalle considerazioni su esposte emerge come persista nel campo dello screening e della<br />
diagnosi del Diabete Gestazionale una s<strong>it</strong>uazione di non univoc<strong>it</strong>à. In attesa di risultati degli<br />
studi in corso che consentiranno di operare scelte chiare sulle questioni ancora in sospeso il<br />
Gruppo di Studio Diabete e Gravidanza della SID r<strong>it</strong>iene di non modificare, per il momento<br />
i cr<strong>it</strong>eri di screening e diagnosi del GDM, cr<strong>it</strong>eri riassunti nella Figura 1.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
SCREENING DEL DIABETE<br />
GESTAZIONALE:<br />
SELETTIVO O UNIVERSALE?<br />
S. Alberico, M. Bernardon, M. Costantini, P. Lanza, R.Tercolo, GP. Maso<br />
Dipartimento Ostetricia e Ginecologia IRCCS Burlo Garofolo,Trieste<br />
Il diabete, patologia complessa, riveste particolare importanza in gravidanza, poiché è di<br />
osservazione non rara e comporta un aumento dell’infertil<strong>it</strong>à, della morbid<strong>it</strong>à e della mortal<strong>it</strong>à<br />
sia materna che feto-neonatale. La gravidanza a sua volta rappresenta una condizione di<br />
stress diabetogeno e può quindi rendere manifesta un’alterazione del metabolismo glucidico<br />
prima assente. Per tale motivo una delle problematiche connesse alla gestione del diabete gestazionale<br />
(GDM), inteso come un’intolleranza ai carboidrati di sever<strong>it</strong>à variabile, ad inizio, per<br />
la prima volta nel corso della gravidanza, riguarda proprio il precoce riconoscimento della sua<br />
insorgenza, con test sensibili e possibilmente di basso costo, applicati alla popolazione generale<br />
di donne gravide oppure a quelle gestanti, che presentano dei fattori di rischio specifico<br />
per questa malattia. È bene premettere che il GDM non è di raro riscontro, la sua incidenza,<br />
infatti, oscilla negli Stati Un<strong>it</strong>i tra l’1.1% ed il 14.3% a seconda delle componenti etniche delle<br />
popolazioni studiate e dei cr<strong>it</strong>eri diagnostici applicati per la sua identificazione 1 , in Canada<br />
invece questa incidenza è del 6.5% 2 .<br />
Il dibatt<strong>it</strong>o aperto in letteratura non riguarda quindi l’aumentata frequenza di un’alterazione<br />
del metabolismo glucidico in gravidanza, che è accertata, quanto l’opportun<strong>it</strong>à di eseguire<br />
un test di screening universale o selettivo e la modal<strong>it</strong>à di esecuzione dello stesso.<br />
Ora sebbene una correlazione tra un’iperglicemia materna e un peggioramento dell’outcome<br />
neonatale sia stata da più, parti riportata 3-6 , non esistono evidenze conclusive che la diagnosi<br />
e il trattamento del diabete gestazionale cost<strong>it</strong>uiscano di fatto un beneficio per la gravidanza<br />
in termini di miglioramento della mortal<strong>it</strong>à perinatale, frequenza della macrosomia e<br />
della distocia di spalla, di traumi da parto, di incidenza di tagli cesarei, di pre-eclampsia e di effetti<br />
a breve e lungo termine sul metabolismo glucidico del neonato.<br />
Sino al 1994 era opinione diffusa e stabilizzata tra gli Ostetrici che il test di screening per<br />
il diabete gestazionale dovesse essere rivolto a tutte le gravide, con l’esecuzione tra la 24 a e<br />
la 28 a settimana di un test da carico con 50 g di glucosio defin<strong>it</strong>o Glucose Challange Test (GCT) 7 .<br />
Da quell’anno è iniziato un dibatt<strong>it</strong>o concretizzatosi nelle direttive dell’A.D.A. del 1997 8<br />
che prevedevano l’esclusione dallo screening di gravide non obese, di età inferiore ai 25 anni,<br />
con familiar<strong>it</strong>à negativa per patologia diabetica e non appartenenti a gruppi razziali a ri-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
2<br />
25
26<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
schio.Tale proposta ribad<strong>it</strong>a nel marzo 1998 al IV° IW-Conference on Gestational Diabetes di<br />
Chicago non ha però riscontrato consensi unanimi in letteratura 9 . Coustan e coll. già in passato<br />
avevano verificato che utilizzando i fattori di rischio specifico per il diabete gestazionale<br />
come indicatori per lo screening di questa malattia, era necessario eseguire il test in una quota<br />
significativa della popolazione, circa il 50%, mancando poi la diagnosi in circa 1/3 dei casi di<br />
diabete 10 .<br />
Più recentemente in uno studio ben strutturato, Moses e coll. 11 rilevarono una percentuale<br />
di diabete gestazionale nel 2.8% di gravide defin<strong>it</strong>e a basso rischio e la mancanza di alcun<br />
fattore di rischio specifico nell’8.7% dei casi di diabete gestazionale. Quest’Autore rilevava poi<br />
che l’attuazione del test solo a soggetti a rischio per diabete comportava in ogni modo l’esecuzione<br />
dello stesso nell’80% della popolazione generale, perdendo comunque una quota del<br />
10% di gestanti con GDM.<br />
Poi altri elementi di valutazione della condizione di rischio per lo sviluppo di un GDM sono<br />
entrati a far parte dei cr<strong>it</strong>eri di selezione delle donne in gravidanza. Uno di questi è stata<br />
la valutazione del Body Mass Index (BMI), calcolo del rapporto tra il peso del soggetto, diviso<br />
per il quadrato dell’altezza. Secondo alcuni Autori il riscontro di un indice di BMI maggiore<br />
di 27 cost<strong>it</strong>uisce un elemento di indirizzo della paziente ai test di screening per il GDM 12 .<br />
Di recente in un suo News Release anche l’ACOG ha incluso questo cr<strong>it</strong>erio di valutazione<br />
tra i fattori di rischio per GDM, indicando però un indice di cut-off superiore a 25 13 .<br />
Lungi dall’essere risolto il dibatt<strong>it</strong>o sul metodo di screening più corretto da utilizzare in<br />
gravidanza, si è arricch<strong>it</strong>o negli ultimi anni di nuovi aspetti di discussione. Si è, infatti, instaurato<br />
in alcuni Autori il convincimento che l’applicazione di uno screening universale per il GDM,<br />
non solo non apporti reali miglioramenti sull’outcome materno e feto-neonatale, ma altresì<br />
contribuisca in maniera significativa all’aumento artefatto di diagnosi di GDM falsamente pos<strong>it</strong>ive<br />
14 . Molto spesso poi la conseguenza di una tale procedura si concretizzerebbe in un aumento,<br />
non sempre giustificato, dei costi di mon<strong>it</strong>oraggio di queste gravidanze e di una maggiore<br />
operativ<strong>it</strong>à, intesa in un aumento della frequenza di tagli cesarei.<br />
A conclusioni diametralmente opposte giungono altri Autori, che r<strong>it</strong>engono invece giustificato<br />
rivolgere a tutta la popolazione di gravide, un test di screening per il diabete, per identificare<br />
una patologia che comporta un peggioramento significativo dell’outcome sia materno<br />
che fetale a breve e lungo termine 15,16 .<br />
Nella stessa direzione spingono poi coloro che giustificano l’esecuzione di uno screening<br />
universale, considerando il rischio di ricorrenza del GDM nelle gravidanze successive e dopo<br />
la gravidanza, nella terza età 17-19 .<br />
Un’ulteriore considerazione è posta da altri ricercatori, che hanno valutato di fatto quante<br />
pazienti, giudicate a basso rischio, secondo i cr<strong>it</strong>eri dello screening selettivo risparmierebbero<br />
l’esecuzione del test da carico breve. Particolarmente esauriente è in questo senso<br />
l’esperienza riportata da Williams e coll. che hanno calcolato sulla propria popolazione che<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
circa il 90% della popolazione generale dovrebbe comunque eseguire il test, presentando comunque<br />
uno dei fattori di rischio indicati per GDM.Tale procedura porterebbe inoltre ad una<br />
quota del 4% di GDM non diagnosticati 20 .<br />
Le controversie presenti in Letteratura riguardano anche la modal<strong>it</strong>à di esecuzione del test,<br />
la quant<strong>it</strong>à del carico di glucosio da somministrare e il cut-off da considerare. Nella Tabella<br />
successiva sono riassunte le raccomandazioni sugger<strong>it</strong>e da alcune Linee-guida disponibili.<br />
Linee Guida GDM 1992 - 2005<br />
Società Screening Sugger<strong>it</strong>o Test di Screening Test Diagnostico<br />
Canadian Task Force Evidenze insufficienti // //<br />
on the Periodic Health per raccomandare<br />
Examination 21 ,1992 lo screening<br />
SOGC 22 ,1992 Universale 50 g GCT 100 g OGCT<br />
IV° Inter. Wokshop- selettivo 2 Opzioni: 75 g o 100 g, curva<br />
Conference on GDM 23 , a) GCT e OGCT lim<strong>it</strong>e di Carpenter-Coustan<br />
1997 130 mg e/o 140 mg<br />
CDA 24 , 1998 selettivo 50 g GCT come sopra<br />
<strong>AD</strong>A 25 , 1998 selettivo 50 g GCT lim<strong>it</strong>e 130 mg 100 g OGTT<br />
secondo NDDG<br />
ACOG 26 2001 Universal or Selective 50 g GCT lim<strong>it</strong>e 100 g OGCT<br />
130 mg e/o 140 mg<br />
ACOG American College Obstetrics and Gynaecologist<br />
<strong>AD</strong>A American Diabetes Association<br />
CDA Canadian Diabetes Association<br />
NDDG National Diabetes Data Group<br />
GCT Glucose Challange Test<br />
OGCT Oral Glucose Challange Test<br />
Come si può notare non è raro che il cut-off indicato per la curva breve non sia unico.<br />
Secondo il IV° International Workshop-Conference on GDM del 1997 e secondo il Bollettino<br />
ACOG del 2001 questo valore può oscillare da 7.2 mm/L (130 mg/dL) che è in grado di identificare<br />
il 90% dei casi di GDM, ma con un 20-25% di donne screenate, che necess<strong>it</strong>ano poi<br />
di una OGCT con carico da 100 g per completare il protocollo e 7.8 mmol/L (140 mg/dL)<br />
che possiede una sensibil<strong>it</strong>à dell’80%, ma che necess<strong>it</strong>a di un prosieguo dell’indagine solo nel<br />
14-18% dei casi.<br />
Secondo qualche Autore il differente cut-off può essere utilizzato in base al livello di rischio<br />
della popolazione screenata, abbassando il cut-off quando si tratta di popolazione ad alto<br />
rischio 27 .<br />
Noi crediamo che questo tipo di differenziazione sia troppo complesso e nella nostra<br />
esperienza utilizziamo per il GCT un unico cut-off a 140 mg/dL.<br />
Si r<strong>it</strong>iene quindi opportuno riportare una sintesi delle raccomandazioni sugger<strong>it</strong>e dal U.S.<br />
Preventive Service Task Force, pubblicate nel febbraio 2003, ove si r<strong>it</strong>iene che le evidenze riportate<br />
in letteratura non sono sufficienti per esprimere un parere a favore o contro l’esecuzio-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
27
28<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
ne di uno screening per il diabete gestazionale. Successivamente affermano che è disponibile<br />
una buona evidenza che lo screening associato ad una dieta corretta e alla terapia insulinica<br />
è in grado di ridurre il rate di macrosomia in donne con diabete gestazionale. Lo stesso<br />
gruppo afferma comunque che le evidenze non sono sufficienti per affermare che l’attuazione<br />
dello screening sia in grado di produrre importanti effetti di riduzione di eventi avversi per<br />
la madre o il neonato, in termini di frequenza di tagli cesarei, danni perinatali, mortal<strong>it</strong>à perinatale<br />
28 .<br />
Lo scopo di questo articolo è quello di confrontare le evidenze disponibili in Letteratura<br />
su una linea guida da seguire nella gestione di una popolazione ostetrica in riferimento alla<br />
opportun<strong>it</strong>à di esecuzione o meno di uno screening universale o selettivo dl GDM e per dare<br />
una risposta a questo ques<strong>it</strong>o ci serviremo anche dei risultati di uno studio condotto presso<br />
Il Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste e pubblicato<br />
nel 2004 29 . Questo studio ha verificato la frequenza del diabete gestazionale e la valid<strong>it</strong>à<br />
di un programma di screening cosiddetto “universale” (indirizzato cioè a tutte le gravide,<br />
indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio specifico), correlando i risultati con le<br />
caratteristiche cliniche ed epidemiologiche della madre e l’outcome della gravidanza e feto<br />
neonatale. Un secondo end-point è stato quello di verificare la frequenza dei tagli cesarei nella<br />
popolazione di gravide con diagnosi di GDM.<br />
Un ultimo target di questo lavoro è stato quello di valutare i costi dell’applicazione di un<br />
simile programma. Lo studio è stato condotto retrospettivamente sulla popolazione di gravide,<br />
abbracciando il periodo compreso tra giugno 1997 e marzo 2000.<br />
Esponiamo brevemente alcuni dei risultati più significativi al fine di giungere poi ad una flow<br />
chart operativa, che suggeriamo nell’attuazione di uno screening del diabete gestazionale.<br />
Si sono identificate 856 pazienti che hanno esegu<strong>it</strong>o una Curva Breve (GCT) con un carico<br />
di glucosio di 50 g, tra la 24 a e la 28 a settimana di gestazione. Le pazienti che presentavano<br />
una GCT alterata (glicemia a 60 minuti dal carico orale superiore o uguale a 140 mg/dl)<br />
hanno quindi esegu<strong>it</strong>o una OGTT (oral glucose test tollerance, con un carico di 100 g di glucosio)<br />
e sono state diagnosticate come diabetiche in base a 2 cr<strong>it</strong>eri: la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à di quest’ultimo<br />
test secondo i cut-off proposti da Carpenter e Coustan 10 (95, 180, 155, 140 mg/dl rispettivamente<br />
a digiuno, a 1, 2 e 3 ore dal carico orale. Il test si considerava pos<strong>it</strong>ivo con il<br />
contemporaneo riscontro di almeno 2 valori alterati mediante dosaggio enzimatico su plasma)<br />
e in questo caso scattava la diagnosi di Diabete Gestazionale, questa diagnosi era determinata<br />
anche dal riscontro di una GCT superiore o uguale a 185 mg/dl (10.3 mmol/L) 10 .<br />
Bisogna dire che questo cr<strong>it</strong>erio di definizione del GDM è di fatto quello più applicato a livello<br />
internazionale, ma non è raro trovare altri lim<strong>it</strong>i di glicemia per indicare la stessa diagnosi,<br />
in accordo con parametri indicati dalle linee guida di alcuni paesi (vedi Canada, ove è necessario<br />
che siano superati 2 dei 3 seguenti valori glicemici: 95 mg, 190 mg, 160 mg, dopo un<br />
carico con 75 g di glucosio) 24 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Nel caso di un riscontro patologico della OGCT, le pazienti venivano inv<strong>it</strong>ate ad eseguire<br />
un profilo glicemico di 24 ore in ospedale, con valutazioni ogni 3 ore, a dieta controllata, ipoglucidica,<br />
normocalorica. Si considerava patologico un profilo con una media glicemica superiore<br />
a 100 mg/dl e con valori post-prandiali, ad 1 ora, superiori a 140 mg/dl. Il riscontro per<br />
due giorni consecutivi di un profilo glicemico alterato comportava l’instaurazione di una terapia<br />
insulinica, con boli pre-prandiali di insulina rapida o, ove necessario, di insulina intermedia<br />
prima del riposo notturno e nei casi più severi al mattino. Questo schema diagnostico descr<strong>it</strong>to<br />
cost<strong>it</strong>uisce il protocollo operativo attuale del nostro Dipartimento ed è riportato nella<br />
flow chart finale, che si propone come modello da seguire (in questo protocollo abbiamo<br />
sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o il carico da 100 g della OGCT con un carico da 75 g, per rendere più breve il test,<br />
che si sviluppa per due ore su tre punti di valutazione, che sono gli stessi proposti allo stesso<br />
tempo dalla curva, di Coustan e Carpenter sopra riportata: 95 mg, 180 mg, 155 mg).<br />
Sulle 856 gravide che hanno esegu<strong>it</strong>o la GCT si sono identificati 209 (24.4%) casi con valore<br />
glicemico ad un’ora superiore a 140 mg/dl. Di queste 22 (2.6%) avevano una glicemia<br />
superiore a 185mg ed acquisivano quindi direttamente la diagnosi di diabete gestazionale. Le<br />
restanti 187 (glicemia tra 140 mg e 184 mg) venivano quindi inv<strong>it</strong>ate ad attuare una curva<br />
glicemica standard, 143 di queste la eseguivano ed i risultati erano superiori al cut-off stabil<strong>it</strong>o<br />
in 34 casi (23.8%), che cost<strong>it</strong>uiscono il 4.0% della popolazione generale screenata, con acquisizione<br />
di un’analoga diagnosi (GDM). Complessivamente si aveva quindi una diagnosi di<br />
diabete gestazionale nel 6.6% della popolazione inizialmente valutata.<br />
Si inv<strong>it</strong>avano quindi queste pazienti ad effettuare un profilo glicemico nictemerale.Tale programma<br />
veniva fatto da 13 gravide su 22 del primo gruppo e da 21 su 34 del secondo. Il profilo<br />
risultava alterato nel 61.5% dei casi delle gravide selezionate per GCT>=185 mg e nel<br />
47.6% di quelle con curva standard patologica (Tabella 1). Nella stessa Tabella è riportata la<br />
distribuzione di tutta la popolazione osservata per classi di età.<br />
Tabella I<br />
Classi di età n % “GCT” n % “OGTT” n %<br />
30<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Nella Tabella II è illustrata la modal<strong>it</strong>à del parto nei due gruppi di pazienti con diagnosi di<br />
GDM e con profilo glicemico alterato, con una distinzione tra i parti insorti spontaneamente<br />
e quelli indotti.<br />
Tabella II<br />
GDM Prof. glic. pos<strong>it</strong>ivo<br />
n % 95% CI n % 95% CI<br />
Parto spontaneo 31 55,4 (41,56%-68,42%) 10 55,6% 31,34%-77,6%)<br />
Parto indotto 9 16,1 (8,05%-28,83%) 3 16,7% (4,41%-42,26%)<br />
Taglio cesareo 14 25,0 (14,8-38,65%) 5 27,8% (10,71%-53,59%)<br />
Ventosa 2 3,6 (0,62%-13,38%) 0<br />
Forcipe 0 0<br />
56 100% 18 100%<br />
La prevalenza di parti indotti è intorno al 16% in entrambi i gruppi, rispettivamente 16.1%<br />
per GDM pos<strong>it</strong>ive e 16.7% per profilo glicemico pos<strong>it</strong>ivo.Tale percentuale è superiore a quella<br />
della nostra popolazione generale, che oscilla intorno al 5%.<br />
Per quanto riguarda la frequenza di tagli cesarei registrata nei due gruppi (rispettivamente<br />
25% e 27.8%) osserviamo in termini assoluti un valore superiore a quello della nostra popolazione,<br />
che oscilla intorno al 19% circa, ma in termini statistici tale differenza non è significativa.<br />
Nella Tabella III abbiamo distribu<strong>it</strong>o la popolazione reclutata per classi di età e per par<strong>it</strong>à,<br />
confrontando i due gruppi per la presenza di valori patologici o meno delle prove da carico.<br />
Si sono ottenuti dei valori percentuali assolutamente sovrapponibili.<br />
Tabella III<br />
Classi di età GCT≥140mg/dl non patologiche<br />
n % 95% CI n % 95% CI<br />
40 anni 6 2,9% (1,17%-6,44%) 16 2,5% (1,46%-4,07%)<br />
209 100,0% 647 100,0%<br />
Para GCT≥140 mg/dl non patologiche<br />
n % 95% CI n % 95% CI<br />
Nullipara 123 58,9% (51,83%-65,53%) 402 62,1% (58,26%-65,86%)<br />
I Para 73 34,9% (28,56%-41,85%) 198 30,6% (27,1%-34,34%)<br />
>I Para 13 6,2% (3,5%-10,64%) 47 7,3% (5,44%-9,61%)<br />
209 100,0% 647 100,0%<br />
Abbiamo quindi analizzato i fattori di rischio specifico per malattia diabetica presenti in<br />
tutta la popolazione osservata e abbiamo verificato le percentuali di comparsa di ciascun fattore<br />
per gruppi di pazienti, secondo i vari gradi di alterazione del metabolismo glucidico<br />
(Tabella IV).<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Tabella IV<br />
Fattori di Rischio GCT≥185 n.22 OGTT+n.34 GDM n.56 Profilo+n.23<br />
Familiar<strong>it</strong>à n.22 6 27.3% 16 32.6% 20 32.3% 10 41.7%<br />
M.E.U. n.4 1 4.5% 4 8.2% 4 6.4% 1 4.2%<br />
Alt. Met. Gluc. n.3 0 2 4.1% 2 3.2% 2 8.3%<br />
Aum. Ponder. n.3 1 4.5% 3 6.1% 3 4.8% 3 12.5%<br />
Poliabortiv<strong>it</strong>à n.4 1 4.5% 3 6.1% 4 6.4% 3 12.5%<br />
Aum. ponder. n.7 3 13.6% 3 6.1% 6 8.7% 4 16.7%<br />
Glicosuria n.2 0 2 4.1% 2 3.2% 2 3.2%<br />
Iperglicemia n.12 7 31.8% 7 14.3% 11 17.7% 8 33.3%<br />
Acc. Cresc. fet. n.8 4 18.2% 5 10.2% 8 12.9% 4 16.7%<br />
Obes<strong>it</strong>à 1 4.5% 2 5.9% 3 5.4% 1 4.3%<br />
Riga 1,2,3,4,5: anamnestica familiare ed ostetrica - Riga 6,7,8,9: gravidanza attuale<br />
I fattori indicati in Tabella potevano ovviamente comparire in associazione nella stessa paziente,<br />
abbiamo allora verificato nei due gruppi di gravide (con GCT alterato, n=209 casi, e<br />
con diagnosi di GDM n=56 casi) quante volte compariva almeno un fattore di rischio specifico,<br />
che avrebbe potuto in ipotesi suggerire l’opportun<strong>it</strong>à di eseguire un test da carico nell’applicazione<br />
di un programma di screening “selettivo”.<br />
Tabella V<br />
Fattori di Rischio non patologiche GCT≥140 mg/dl<br />
n % 95% CI n % 95% CI<br />
Almeno 1 fatt. di rischio 102 15,8% (13,09%-18,86%) 55 26,3% (20,59%-32,93%)<br />
Nessun fatt. di rischio 545 84,2% (81,14%-86,91%) 154 73,7% (67,07%-79,4%)<br />
647 100,0% 209 100,0%<br />
Fattori di Rischio non patologiche GDM<br />
n % 95% CI n % 95% CI<br />
Almeno 1 fatt. di rischio 102 15,8% (13,09%-18,86%) 21 37,5% (25,23%-51,48%)<br />
Nessun fatt. di rischio 545 84,2% (81,14%-86,91%) 35 62,5% (48,52%-74,77%)<br />
647 100,0% 56 100,0%<br />
Come illustrato nella Tabella V nel 73.7% dei casi con curva breve alterata e nel 62.5% dei<br />
casi di GDM non si è rilevato alcun fattore di rischio anamnestico o attuale per patologia diabetica.<br />
Non si può fare a meno di notare inoltre che nel 15.8% dei casi di donne con curva glicemica<br />
normale era presente un fattore di rischio.<br />
Le frequenze di prove da carico o di profili glicemici alterati sono ovviamente più alte se<br />
presente un fattore di rischio per patologia diabetica, ma come si può vedere esiste una consistente<br />
percentuale di gravide con alterazione di questi parametri, senza rischio anamnestico<br />
o attuale specifico.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
31
32<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Tabella VI<br />
Presenza di fattore di rischio per GDM<br />
Parto Spontaneo Ventosa Ostet Taglio Cesareo Parto Indotto<br />
GCT>140mg 48 29 60% - - 15 31.7% 4 8.3%<br />
GCT>185mg 7 3 42.8% - - 3 42.8% 1 14.4%<br />
GDM 21 9 47.4% - - 8 31.6% 4 21%<br />
Profilo + 10 5 40% - - 3 30% 2 30%<br />
TOTALE 86 46 53.5% - - 29 33.7% 11 12.8%<br />
Assenza di Fattore di Rischio per GDM<br />
Parto Spontaneo Ventosa Ostet. Taglio Cesareo Parto Indotto<br />
GCT>140mg 139 109 78.7% 4 2.9% 17 12% 9 6.4%<br />
GCT>185mg 15 10 66.6% - - 2 13.4% 3 20%<br />
GDM 35 22 62.8% 2 5.7% 6 17.2% 5 14,3%<br />
Profilo + 13 8 61.5% - - 4 30.8% 1 7,7%<br />
TOTALE 202 149 73.8% 6 3% 29 14.3% 18 8.9%<br />
Nella Tabella VI abbiamo correlato la modal<strong>it</strong>à di espletamento del parto nei due gruppi<br />
di gravide con rischio presente o assente, distribu<strong>it</strong>o per ciascun tipo di prova da carico alterata.<br />
Un dato emerge in maniera evidente e riguarda la maggior frequenza di tagli cesarei, nei<br />
casi in cui è presente uno dei fattori di rischio per diabete gestazionale, indipendentemente<br />
dalla diagnosi di GDM o di una macrosomia fetale (33.7% versus 14.3%).Tale differenza è statisticamente<br />
confermata dal test del Chi quadro (Tabella VII).<br />
Nessuna significativ<strong>it</strong>à presenta invece la differenza di frequenza dei parti indotti (ma questo<br />
fattore riconosce una indicazione clinica precisa e non casuale). Quindi ad aumentare la<br />
frequenza di TC non è la malattia (GDM) ma la presenza del fattore di rischio.<br />
Tabella VII<br />
Taglio cesareo 95% CI Parto spontaneo 95% CI<br />
Pres. Fatt. di rischio 29 50,00% (36,73%-63,26%) 46 23,59% (17,95%-30,30%)<br />
Ass. Fatt. di rischio 29 50,00% (36,73%-63,26%) 149 76,41% (69,70%-82,05%)<br />
Totale 58 100,00% 195 100,00%<br />
Chi-Squares 14,95 (p
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Tabella VIII. Prevalenza macrosomia<br />
Popolazione GCT140mg GCT>185mg OGTT + Prof. patolog. +<br />
n % n % n % n % n % n %<br />
macrosomi 67 7,8% 45 7,0% 17 9,1% 5 22,7% 16 28,6% 3 13,0%<br />
negativi 789 92,2% 602 93,0% 170 90,9% 17 77,3% 40 71,4% 20 87,0%<br />
856 100,0% 647 100,0% 187 100,0% 22 100,0% 56 100,0% 23 100,0%<br />
La prevalenza della macrosomia, intesa come un peso alla nasc<strong>it</strong>a superiore al 90° su una<br />
griglia di pesi di neonati della provincia di Trieste, è risultata complessivamente del 7.8%.<br />
Considerando come casi di controllo la parte di popolazione con CGT negativa (prevalenza<br />
di macrosomia pari al 7.0%), sia nel gruppo di gravide che avevano avuto una GCT con<br />
valori superiori a 185 mg che nel gruppo OGTT+ essa risulta significativamente più elevata<br />
(rispettivamente: test esatto di Fisher p value = 0.02 e odds ratio 5.35 CI 95% (2.64
34<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
3. Precedente macrosomia (>4000 g)<br />
4. Precedente morte endouterina inspiegata<br />
5. Precedente ipoglicemia, ipocalcemia, iperbilirubiemia neonatale<br />
6. Età materna avanzata<br />
7. Obes<strong>it</strong>à<br />
8. Ripetuta glicosuria in gravidanza<br />
9. Polidramnios<br />
10. Sospetta macrosomia<br />
Cerchiamo allora attraverso un’analisi dei dati emersi dalla nostra esperienza di trovare<br />
una risposta a questo ques<strong>it</strong>o, che come è noto non trova ancora in letteratura un trial in<br />
grado di rispondere in maniera esaustiva, analizzando alcuni dei fattori di selezione del rischio<br />
indicati nella griglia proposta dall’<strong>AD</strong>A nel 19989 .<br />
Uno dei primi cr<strong>it</strong>eri di selezione sugger<strong>it</strong>i riguarda il lim<strong>it</strong>e di età, giudicando a basso rischio<br />
le donne con età inferiore ai 25 anni.Tale lim<strong>it</strong>e comporterebbe nella nostra popolazione<br />
l’esclusione dallo screening di una quota di gravide del 7.7%.Tale percentuale è più bassa<br />
rispetto ad analoghi studi riportati in letteratura, che mostrano frequenze che variano dal<br />
17.8% al 24.8% (12-30). Peraltro nei paesi occidentali l’età media della prima gravidanza si<br />
sposta sempre più in avanti. In mer<strong>it</strong>o bisogna aggiungere che forse il lim<strong>it</strong>e dei 25 aa, stabil<strong>it</strong>o<br />
dall’<strong>AD</strong>A, non trova in Letteratura una evidente giustificazione statistica, consistente in un<br />
deciso viraggio del rischio intorno a questo lim<strong>it</strong>e di età.<br />
Distinguendo per fasce di età risulta infatti che popolazioni di gravide con età inferiore a<br />
25 anni presentano ancora una prevalenza di GDM significativa, basti in mer<strong>it</strong>o c<strong>it</strong>are il lavoro<br />
di M.L. Khine e coll. 12 , che su una popolazione di gravide con età compresa tra i 19 ed i 24<br />
anni hanno trovato una frequenza di GDM del 3.4%, rispetto al 4.8% della popolazione generale<br />
e che solo al di sotto dei 19 anni tale rischio si riduceva in maniera evidente (1.7%),<br />
comunque senza azzerarsi.<br />
Una valutazione analoga condotta da altri Autori30 portava però a risultati diversi, con una<br />
percentuale di casi di GDM per età
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Tabella IX<br />
Autore % GDM Tipo Test screening Area geografica<br />
RG Moses, 1998 11 2.8% GCT carico 50 g - selettivo Australia<br />
SR Carr, 1998 31 4.8% GCT carico 50 g - universale Rhode Island, U.S.<br />
L Wong, 2001 15 8.2% GCT carico 50 g - universale Singapore<br />
X Xiong, 2001 32 2.5% GCT carico 50 g - selettivo Quebec, Canada<br />
K. Shamsuddin, 2001 16 24.5% Glicemia 2h post-prandiale Kuala L.,Malaysia<br />
CV Kyle, 2001 33 5.6%-12.4% WHO e NZSSD cr<strong>it</strong>eria Auckland, New Zealand<br />
F. Corrado, 1999 34 4.6% GCT carico 50 g - universale Messina, Italia<br />
ML Khine, 1999 12 4.8% GCT carico 50 g - selettivo Connecticut, U.S.<br />
Tale frequenza si pone in posizione intermedia rispetto a valori desunti da esperienze analoghe<br />
riportate in Letteratura e di cui si propone un piccolo esempio nella precedente Tabella<br />
IX.Tale Tabella presenta un ulteriore ed interessante spunto di dibatt<strong>it</strong>o, indicato nella sua terza<br />
colonna, e si riferisce al tipo di screening attuato dagli Autori c<strong>it</strong>ati. Come è facile desumere<br />
e già in precedenza stigmatizzato, non solo esistono differenze di selezione delle gravide<br />
da sottoporre allo screening, ma anche differenze di carico di glucosio da utilizzare, di tempi<br />
di esecuzione del prelievo, di range di normal<strong>it</strong>à adottati, quando addir<strong>it</strong>tura il carico non consista<br />
nella somministrazione di un pasto, con tutte le variabili immaginabili, sia in termini di<br />
qual<strong>it</strong>à e quant<strong>it</strong>à del cibo, che di individual<strong>it</strong>à di assorbimento.<br />
Nella Tabella II ove vengono riportati i risultati relativi alla modal<strong>it</strong>à di espletamento del<br />
parto delle gravide con diagnosi di GDM, emergono due evidenze: una quota maggiore sia di<br />
parti indotti che di tagli cesarei, rispetto alla popolazione generale. Per il primo dato precisiamo<br />
che la percentuale complessiva di induzioni di travaglio nella nostra popolazione generale<br />
non supera il 5% dei casi. Nella popolazione descr<strong>it</strong>ta però noi accettiamo questa percentuale<br />
tripla, in considerazione della scelta fatta di indurre il travaglio di parto a 38 settimane,<br />
sia nei casi di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, per ridurre il rischio di distocie, che nei casi<br />
in cui sia necessario iniziare nelle ultime settimane di gestazione un trattamento insulinico, per<br />
un profilo tendente alla iperglicemia.<br />
La maggior prevalenza di tagli cesarei non risulta comunque statisticamente significativa sia<br />
nei casi di GDM che di profilo glicemico pos<strong>it</strong>ivo, poiché i valori percentuali cadono all’interno<br />
del range di oscillazione.Tale dato trova una ulteriore ed originale conferma nelle Tabelle<br />
VI e VII, ove risulta che ad indurre un aumento della frequenza dei tagli cesarei non è stata né<br />
la diagnosi di GDM, frutto dello screening attuato, né il grado di alterazione del metabolismo,<br />
rappresentato dal grado del test risultato pos<strong>it</strong>ivo, quanto piuttosto la presenza o meno del<br />
fattore di rischio anamnestico per patologia diabetica.<br />
Tale dato, a nostra conoscenza, non trova analoghi corrispettivi in Letteratura e possiede<br />
una sua valenza di razional<strong>it</strong>à, poiché il fattore di rischio assume importanza non per una eventuale<br />
popolazione a rischio da screenare, quanto piuttosto per una maggior probabil<strong>it</strong>à di una<br />
operativ<strong>it</strong>à nell’espletamento del parto.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
35
36<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Un altro dato di particolare interesse che emerge riguarda i nati macrosomi, che, su un<br />
campione ridotto di 34 casi, presentano una percentuale di tagli cesarei dell’8.8%.Tale dato<br />
può spiegarsi con il fatto che presumibilmente nella gestione di un feto con caratteristiche<br />
ecografiche di accelerata cresc<strong>it</strong>a, sia stato impegnato personale ostetrico con maggior esperienza<br />
e disponibil<strong>it</strong>à ad accettare i rischi connessi ad un espletamento vaginale del parto.Tale<br />
osservazione sembra quindi in disaccordo con la tesi sostenuta da K Remseberg 35 , che ha osservato<br />
come la diagnosi di GDM comporti da sola un aumento della frequenza di tagli cesarei,<br />
indipendentemente dalla reale presenza di una condizione di macrosomia. Il Tri-Hosp<strong>it</strong>al<br />
Study condotto a Toronto indica in mer<strong>it</strong>o una s<strong>it</strong>uazione analoga, ove nella popolazione di<br />
donne con diagnosi di GDM si rileva un aumento della quota di tagli cesarei, che raggiunge il<br />
33% vs il 20% della popolazione generale 36 . La Cochrane Data Base Review valutando l’effetto<br />
del trattamento dietetico nell’evoluzione delle gravidanze complicate da intolleranza glucidica<br />
non rileva alcun effetto di aumento della frequenza di tagli cesarei in questa popolazione<br />
(odds ratio 0.97, 95% confidence interval 0.65.1.44) 37 .<br />
Le Tabelle III e IV e soprattutto V esprimono la difficoltà di compiere una selezione delle<br />
gravide da sottoporre allo screening del GDM, utilizzando fattori di rischio specifico. Come<br />
riportato infatti nella Tabella V la percentuale di casi che presenta una curva da carico breve<br />
o standard alterati, senza presentare fattori di rischio specifico (rispettivamente 73.7% e<br />
62.5%) è troppo alta per selezionare cr<strong>it</strong>eri indicativi per uno screening selettivo. Queste percentuali<br />
sono più alte rispetto ad evidenze analoghe riportate in letteratura e sono presumibilmente<br />
legate a caratteriste epidemiologiche della popolazione studiata, caratterizzata da gestanti<br />
appartenenti ad un bacino metropol<strong>it</strong>ano, con una buona educazione san<strong>it</strong>aria e condizioni<br />
socio-economiche prevalentemente discrete. Sono comunque disponibili in letteratura<br />
reports che indicano percentuali comunque significative di soggetti con GDM, diagnosticati<br />
in gravidanza e privi di fattori di rischio per questa patologia. Un esempio è rappresentato<br />
dal 23.1% di gravide con queste caratteristiche riportate in uno studio di Balutaviciene e coll. 38<br />
Peraltro la percentuale di casi veri pos<strong>it</strong>ivi, per la presenza di un fattore di rischio presente<br />
ed un test pos<strong>it</strong>ivo (rispettivamente 26.3% e 37.5%) è troppo bassa per cost<strong>it</strong>uire da sola<br />
un indicatore all’esecuzione del test di screening per diabete gestazionale.Tale percentuale<br />
è più alta rispetto ad altre riportate in Letteratura, che oscillano dallo 0.9% all’11.5%. 39-42 .<br />
Tabella X. Costo dello screening per caso di GDM diagnosticato.<br />
Autore Costo dello screening Costo per caso di GDM diagnosticato<br />
Swinker 43 $ 10.00 $ 173.00<br />
Lavin 40 $ 4.75 $ 328.96<br />
Marquette et al. 41 $ 2.45 $ 191.27<br />
Coustan et al. 42 $ 2.45 $ 250.00<br />
Neilson et al. 44 $ 17.75 $ 722.31<br />
Alberico et al. € 2.53 € 57.60<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
Nella Tabella X abbiamo inser<strong>it</strong>o dei dati necessari a compiere delle valutazioni comparate<br />
sul costo di un programma di screening del diabete gestazionale. Il costo del test da carico<br />
breve (GCT) è presso il nostro laboratorio di analisi di € 2,53. Considerando che in Italia<br />
si hanno ogni anno circa 500.000 nasc<strong>it</strong>e, l’applicazione di uno screening universale del diabete<br />
gestazionale comporterebbe un onere per il Sistema San<strong>it</strong>ario Nazionale di € 1.265.000<br />
per anno. Assumendo valori di CGT patologici analoghi a quelli da noi riscontrati, il 24% di<br />
questa popolazione dovrebbe eseguire successivamente un OGTT, con un’ulteriore spesa di<br />
€ 636.000 (120.000 x € 5.30). Se la prevalenza del GDM nel nostro Paese fosse analoga alla<br />
nostra (6.6%), si identificherebbero ogni anno 33.000 casi di GDM, con un costo quindi per<br />
ciascun caso diagnosticato di € 57.60, inferiore a quello rifer<strong>it</strong>o alle realtà san<strong>it</strong>arie riportate<br />
dagli Autori c<strong>it</strong>ati nella Tabella.<br />
Resta in conclusione il dibatt<strong>it</strong>o sull’opportun<strong>it</strong>à o meno di eseguire uno screening selettivo<br />
del diabete gestazionale. La nostra esperienza suggerisce di non selezionare gruppi a rischio<br />
per l’esecuzione del test, anche perché la quota di gravide da escludere sarebbe sulla<br />
nostra popolazione comunque piccola. In mer<strong>it</strong>o siamo in accordo con una conclusione analoga<br />
posta dalla C.B.Williams 20 , che ha calcolato che un’applicazione selettiva dello screening<br />
sulla propria popolazione comporterebbe comunque l’esecuzione del test nel 90% della popolazione<br />
di gravide, perdendo peraltro un 4% di casi di GDM, che non presentando fattori<br />
di rischio specifico, non sarebbero inclusi nel depistage della patologia metabolica.<br />
Un’ultima considerazione va fatta a sostegno della tesi dell’esecuzione di uno screening<br />
universale del diabete gestazionale. La gravidanza cost<strong>it</strong>uisce nella donna un’opportun<strong>it</strong>à per<br />
identificare il rischio di sviluppo di disordini metabolici in età successive. C<strong>it</strong>iamo in mer<strong>it</strong>o<br />
due studi: il primo di Dal Fra e coll. 18 che indica che nel 20.4% di donne con GDM si ha a 5<br />
anni di distanza l’esordio di un diabete di tipo 2 nel 20.4% dei casi ed il secondo di Bian e<br />
coll. 18 , che indica a distanza analoga una quota del 33.3% di diabete conclamato nei casi di<br />
GDM, ma anche una percentuale del 9.7% nelle gravide, che avevano mostrato soltanto una<br />
intolleranza glucidica in gravidanza. Queste percentuali risentono comunque fortemente delle<br />
caratteristiche etniche delle popolazioni studiate. Tali valori infatti giungono addir<strong>it</strong>tura al<br />
70% dei casi in donne aborigene canadesi 45 .<br />
La presenza di una pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à significativamente aumentata per anticorpi anti-cellule insulari<br />
(ICA) e anti-decarbossilasi acido glutammica (G<strong>AD</strong>) nelle gravide con GDM cost<strong>it</strong>uisce<br />
un ulteriore campo di osservazione per comprendere le correlazioni con lo sviluppo di patologie<br />
successive alla gravidanza, come la celiachia 46,47 . Anche in quest’ottica l’identificazione<br />
di pazienti con tali caratteristiche genetiche cost<strong>it</strong>uisce un vantaggio derivante dall’applicazione<br />
di uno screening di questa patologia in gravidanza.<br />
In conclusione noi r<strong>it</strong>eniamo che sia oggi opportuno rivolgere a tutta la popolazione di<br />
gravide l’esecuzione di un test di screening in gravidanza. La riduzione di questo programma<br />
ad una popolazione a rischio specifico per patologia diabetica porterebbe, nella nostra espe-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
37
38<br />
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
rienza, alla perd<strong>it</strong>a di una quota di diagnosi di GDM del 62.5%, per mancanza in questi casi di<br />
un rischio anamnestico od attuale.<br />
Una risposta defin<strong>it</strong>iva su questo importante aspetto potrà giungere dal completamento<br />
di un ampio trial multicentrico, con una potenza di reclutamento di popolazione di gravide<br />
adeguato, quale quello dell’HAPO STUDY 48 , attualmente in corso.<br />
In mer<strong>it</strong>o bisogna ricordare che il disegno dell’HAPO Study prevede l’esecuzione di un<br />
unico test di screening con un carico da 75 g di glucosio, intorno alla 28 a settimana, con lim<strong>it</strong>i<br />
di cut-off analoghi ai primi 3 valori indicati nella curva proposta da Coustan e Carpenter,<br />
sopra c<strong>it</strong>ata. Riportiamo di segu<strong>it</strong>o l’ultimo aggiornamento sull’andamento di questo studio,<br />
presentato dal prof. M. Hod a Padova nel maggio 2005.<br />
Aggiornamento al 1 maggio ’05<br />
Reclutate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .26.988 gravidanze<br />
Valutati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19.343 neonati<br />
Tagli cesarei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15.5%<br />
Tagli cesarei ripetuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .7.7%<br />
Mortal<strong>it</strong>à perinatale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5/mille<br />
Nuova Time Line . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31.3.2006<br />
Risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31.3.2007<br />
Frequenza valori glicemici superiori al cut-off a: 0 - 60’ - 120’<br />
> 90 mg / 5 mmol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12.2%<br />
> 160 mg / 8.9 mmol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .20.7%<br />
> 140 mg / 7.8 mmol . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .11.6%<br />
Queste frequenze, se confermate nella loro ent<strong>it</strong>à alla fine dello studio, si commentano da<br />
sole, in direzione della opportun<strong>it</strong>à di eseguire a livello universale lo screening per il diabete<br />
gestazionale.<br />
Nel nostro Dipartimento abbiamo recep<strong>it</strong>o questo aspetto dell’HAPO Study e si è deciso<br />
di applicare come test di diagnosi di GDM, dopo una curva breve alterata, questo carico,<br />
da 75 grammi di glucosio, per rendere meno gravoso il test per la paziente.<br />
È personale convinzione, ma questo non è un dato supportato da EBM sino alla pubblicazione<br />
dei risultati dell’HAPO Study, che in futuro si concorderà sull’attuazione di un unico<br />
test di screening universale, con l’esecuzione di una curva da carico con 75 g a 28 settimane<br />
di gestazione e dei cut-off che saranno indicati proprio dallo studio di cui sopra.<br />
R<strong>it</strong>eniamo corretto anche riportare quanto la SOGC suggerisce agli Ostetrici canadesi, in<br />
una forma che si potrebbe definire pilatesca.Tale Società infatti r<strong>it</strong>iene che in attesa di risultati<br />
di studi in grado di dirimere questo dubbio con forti evidenze, è corretto che ciascuno<br />
si comporti come ha fatto sino ad oggi, applicando quindi il protocollo adottato presso il proprio<br />
centro.<br />
Un ultimo aspetto riguarda il rapporto costo-beneficio di un simile programma universale<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
di screening, che a nostro avviso è giustificato dall’alta sensibil<strong>it</strong>à di tale test nell’identificare la<br />
patologia, che. prontamente identificata, consente un mon<strong>it</strong>oraggio attento dello stato di benessere<br />
materno e fetale ed in caso di accelerazione della sua cresc<strong>it</strong>a un’induzione precoce<br />
a 38 settimane del travaglio di parto.Tale procedura è in grado di ridurre la frequenza della<br />
distocia di spalla, che cost<strong>it</strong>uisce ancora oggi la sua complicanza più frequente 49 . La diagnosi di<br />
GDM può cost<strong>it</strong>uire a sua volta un’informazione utile per la v<strong>it</strong>a futura della paziente.<br />
Bibliografia<br />
GCT 50g<br />
a tutte le gravide<br />
tra 24 e 28 settimane<br />
SCREENING E DIAGNOSI DEL DIABETE GESTAZIONALE<br />
>140 mg/dl (>185 mg)<br />
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Ontario. Int J Circumpolar Health 1998; 57 Suppl I: 355-8.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
41
42<br />
24 3<br />
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
INDUZIONE DEL TRAVAGLIO<br />
VERSUS EXPECTANT<br />
MANAGEMENT IN GDM<br />
S. Alberico, GP. Maso, M. Bernardon, M. Costantini,V. Soini, M. Pignat, A. Candiotto<br />
Centro di Riferimento Regione Friuli Venezia Giulia per HIV in Gravidanza e per la Gravidanza ad Alto Rischio.<br />
IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
La nasc<strong>it</strong>a di un neonato con un peso maggiore di 4000 grammi, defin<strong>it</strong>o megalosomia o<br />
macrosomia cost<strong>it</strong>uisce oggi spesso una sfida tra il desiderio di avere un’evoluzione spontanea<br />
del parto per via vaginale e il rischio di incorrere in una distocia con conseguente danno<br />
temporaneo o permanente per il neonato.<br />
Bisogna dire che il miglioramento delle condizioni socio-economiche del mondo occidentale<br />
ha portato come conseguenza una maggior incidenza di obes<strong>it</strong>à materna da un lato e di<br />
nati con peso alla nasc<strong>it</strong>a maggiore. Questo fenomeno è stato ben documentato da un gruppo<br />
di studiosi danesi che in un arco di tempo di soli 10 anni hanno documentato un aumento<br />
significativo delle medie dei pesi alla nasc<strong>it</strong>a dei loro neonati su una popolazione di oltre<br />
43mila donne studiate, ma soprattutto un aumento della frequenza di nati con peso maggiore<br />
ai 4000 g, che sono passati dal 13.7% al 16.1% e di nati con peso maggiore ai 4450 g che<br />
hanno incrementato la loro frequenza dal 3% al 4% 1 .<br />
Nella gravidanza con diabete gestazionale la nasc<strong>it</strong>a di neonati con peso superiore al 90°<br />
percentile o superiore ai 4000 g o di 2 deviazioni maggiori rispetto alla media della popolazione<br />
si presenta con una frequenza aumentata rispetto alla quota del 10% circa della popolazione<br />
generale 2 . Il parto in questi casi presenta un’aumentata incidenza di distocie con il rischio<br />
di lesioni neonatali, che in alcuni casi si trasformano in es<strong>it</strong>i permanenti e di emorragie<br />
del post-partum. Per estendere il concetto di rischio di queste gravidanze specifichiamo che<br />
le complicanze materne vanno dalla maggior frequenza di lacerazioni perineali, cervico-vaginali,<br />
sfinteriali alla rottura d’utero, alla maggior frequenza di dover ricorrere ad un taglio cesareo<br />
d’emergenza, (che come è noto è gravato da maggiori complicanze in post-operatorio)<br />
alla atonia uterina per giungere alla già c<strong>it</strong>ata emorragia severa del post-partum.<br />
Non meno complesso è il rischio feto-neonatale sostenuto dai macrosomi, che oltre alla<br />
già c<strong>it</strong>ata distocia di spalla presentano una maggior incidenza di fratture ossee e di episodi di<br />
sever<strong>it</strong>à variabile di asfissia intra-partum (per intenderci quella in cui il contenzioso medicolegale<br />
con maggior facil<strong>it</strong>à trova nell’Ostetrico il “logico” responsabile dell’evento).<br />
Per ovviare a questi inconvenienti e alle ripercussioni medico-legali conseguenti, aumenta<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Screening del diabete gestazionale: selettivo o universale<br />
quindi da parte degli Ostetrici il ricorso al taglio cesareo con una conseguente aumentata incidenza<br />
di questi interventi 3 . La particolare caratteristica dei neonati da madre diabetica, con<br />
un accrescimento più accentuato della massa del tronco, rispetto alla circonferenza cranica,<br />
porta a difficoltà di disimpegno della spalla, con lo stiramento del plesso brachiale e la realizzazione<br />
di un quadro clinico rappresentato appunto dalla sindrome di Erb.Tale evento si presenta<br />
con una frequenza che oscilla tra lo 0.2% - 2.8% 4 nella popolazione generale, ma sale<br />
sino al 10% in caso di gravidanza complicata da diabete gestazionale e sino al 25% - 50% dei<br />
casi quando è presente in queste gravidanze una macrosomia fetale 2 . Evidenziato quindi un<br />
diabete gestazionale l’intervento ostetrico dovrà concretizzarsi nell’attuazione di una tempestiva<br />
terapia insulinica, ove necessaria, su indicazione del profilo glicemico materno, per prevenire<br />
un eccessivo accrescimento fetale. La terapia insulinica talvolta non è in grado di prevenire<br />
tale dinamica di cresc<strong>it</strong>a e si pone quindi per l’Ostetrico la scelta tra un management<br />
d’attesa dell’insorgenza del travaglio, con una maggior probabil<strong>it</strong>à di avere una bambino di peso<br />
maggiore alla nasc<strong>it</strong>a o viceversa l’induzione del travaglio di parto, in epoca di certa matur<strong>it</strong>à<br />
fetale (38 a settimana). Tale condotta può essere sugger<strong>it</strong>a dalla necess<strong>it</strong>à di ottenere<br />
maggiori probabil<strong>it</strong>à dell’espletamento vaginale del parto senza conseguenze patologiche per<br />
il neonato, tenendo conto che in questo periodo l’aumento ponderale settimanale del feto si<br />
aggira intorno ai 280 g, che in condizione di diabete possono arrivare sino ai 400 grammi settimanali.<br />
In mer<strong>it</strong>o è interessante c<strong>it</strong>are uno studio epidemiologico condotto da Remsberg e coll.<br />
su un vasta popolazione di 42.071 gravide, con dati dedotti dai codici delle schede di dimissione<br />
dello stato del South Carolina, U.S.A. In questo studio si è notato che la diagnosi di<br />
Diabete precedente alla gestazione, comportava una frequenza di taglio cesareo del 51.3%<br />
dei casi, con un OR di 6.20 (95% CI), rispetto al 34.4% di TC nei casi di GDM, con un OR di<br />
1.71, confrontati con il 22.4% dei TC della popolazione generale.<br />
Un dato ancora più forte era cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dal fatto che nell’85% dei casi di diabete precedente<br />
alla gravidanza, l’unica indicazione rilevata ad eseguire un TC era semplicemente lo stato<br />
diabetico. Questa evenienza si presentava a sua volta nel 45% dei casi di GDM.<br />
Ancora più interessante risulta la conclusione a cui giunge l’analisi di Remsberg e coll.: uno<br />
dei fattori che condizionavano maggiormente la probabil<strong>it</strong>à di eseguire un taglio cesareo nella<br />
loro popolazione era cost<strong>it</strong>uto dal fatto che la gravida con GDM fosse stata segu<strong>it</strong>a presso<br />
un centro di gestione di gravidanze ad alto rischio 5 .<br />
In Letteratura è disponibile un altro studio effettuato da Ehremberg e coll. su una ampia<br />
coorte di gravide (12.303 gravide segu<strong>it</strong>e presso un Centro di III° livello di Cleveland, Ohio,<br />
U.S.A.), finalizzato a valutare la correlazione esistente tra stato di obes<strong>it</strong>à in gravidanza, diabete<br />
gestazionale e frequenza di tagli cesarei. I risultati ottenuti dagli Autori indicarono che se<br />
l’obes<strong>it</strong>à cost<strong>it</strong>uiva un importante fattore di incremento dei tagli cesarei (13.8% vs 7.7% con<br />
OR=2.4) lo stato di diabete gestazionale non comportava aumentata frequenza di tagli ce-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
43
44<br />
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
sarei, a meno che non fosse stato necessario ricorrere a trattamento insulinico in gravidanza<br />
(A2GDM). In questo caso infatti la frequenza dei TC era del 24.7% vs il 9.5% con un OR=<br />
2.9 6 . Alcune esperienze pubblicate indicano l’efficacia dell’induzione del travaglio in questi casi<br />
per ridurre l’incidenza di patologie perinatali e dei tagli cesarei. In tal senso indirizzano i risultati<br />
di SL Kjos, (Tabella 1) che, randomizzando in 200 gravide con GDM l’induzione elettiva del<br />
travaglio di parto, rispetto ad un management di attesa, osservò nel gruppo indotto un’incidenza<br />
del 25% di TC rispetto al 31% del gruppo non indotto. La media dei pesi alla nasc<strong>it</strong>a risultò<br />
inoltre inferiore nel gruppo indotto, come anche la frequenza dei nati con peso superiore<br />
ai 4000 grammi, ai 4500 grammi e Large for gestational Age (LGA). Nel gruppo indotto non<br />
si registrò alcun caso di distocia di spalla rispetto ai 3 casi del gruppo di controllo 7 .<br />
Tabella I<br />
100 INDUZIONE<br />
(oxytocin o PgE2)<br />
100 EXPECTANT<br />
Media Pesi 3446 3672<br />
Insorg. Spont.Trav. 22% 44%<br />
Parto vaginale 75% 69%<br />
TC 25% 31%<br />
Macrosomia 1% 3%<br />
Shoulder Distocia 0% 3%<br />
Maggiore prevalenza LGA, Distocia di spalla e TC nel gruppo Expectant Management;<br />
J.K.Kjos, Los Angeles, AJOG 1993, 169:611<br />
In un lavoro successivo, su una popolazione più ampia di GDM, D. Conway rilevò una minor<br />
incidenza di distocia di spalla, in un’analoga popolazione di gravide, inducendo il travaglio<br />
di parto in caso di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, valutata ecograficamente ed eseguendo<br />
un taglio cesareo elettivo in caso di una stima del peso maggiore di 4250 g. Il confronto riguardava<br />
due diverse procedure attuate in diversi periodi. Il management attivo portò anche<br />
ad una riduzione di frequenza di nati macrosomi, avendo però un corrispettivo aumento del<br />
rate di tagli cesarei (dal 21.7% al 25.1%). Complessivamente l’incremento di tagli cesarei, dovuto<br />
a tale protocollo, comportò nella casistica dell’Autrice l’aumento solo dello 0.8% della<br />
frequenza dei TC su tutta la popolazione generale (Tabella 2) 2 .<br />
Tabella II<br />
Expectant’90-92 Induzione’93-95<br />
TC 25.1% TC 21.7% p0.04<br />
LGA >90° 18.9% 17.1% NS<br />
Distocia spalla 2.8% 1.5% OR 1.9<br />
Distocia in Macrosomi 18.8% 7.4% OR 2.9<br />
La stima del peso fetale consente una modulazione del management ostetrico, (eventuale induzione) con una riduzione di es<strong>it</strong>i<br />
neonatali da distocie di spalla. DL Conway, AJOG,1998; 178:982; S.Antonio,Texas<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
Un risultato ancora più convincente con una procedura di attiva induzione del travaglio<br />
in caso di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a nel GDM è quello descr<strong>it</strong>to da Hod e coll. che confrontando<br />
un periodo in cui si osservava presso il loro centro un management di attesa, rispetto<br />
ad uno di induzione in caso di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, rilevarono una riduzione<br />
significativa di tagli cesarei, di distocie di spalla e di neonati macrosomi nel secondo gruppo<br />
di gravidanze 8 (Tabella III).<br />
Tabella III<br />
Periodo a) ’80-’89 b) ’90-’92 c) ’93-’95 controlli<br />
42 a sett. Induz 40 a sett. Induz.38 a sett.<br />
T.C. per pesi >4500 >4500 >4000 >4500<br />
Insul.Terapia >5.8 mol >5.8 mol >5.3 mol<br />
Media settim. 39 39 38 39<br />
Macros >4000 17.9% 14.9% 8.8% 6.1%<br />
Macros >4500 1.2% 1.4% 1.3% 0.9%<br />
LGA 23.6% 21% 11.7% 0.7%<br />
Taglio Cesareo 20.6% 18.4% 16.2% 15.5%<br />
Morte Perin. 8‰ 3‰ // //<br />
Distocia Sp. 1.5% 1.2% 0.6% 0.3%<br />
Induz.travag. 1.5% 1.7% 35% 10%<br />
La Macrosomia è prevenibile con Insulinoterapia “DECISA” e con l’Induzione del Travaglio a “38 settimane!<br />
M.Hod,Tel Aviv, Diab.Care 21,1998<br />
In tal senso rec<strong>it</strong>a anche una recente review della Cochrane Library, che indica una ridotta<br />
incidenza di nati macrosomi nei casi di GDM in cui si attua l’induzione elettiva del travaglio di<br />
parto a 38 settimane di gestazione, senza un significativo incremento di tagli cesarei 9 . (Figura 1).<br />
Figura 1. Review: Elective delivery in diabetic pregnant woman<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
45
46<br />
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
Un recente lavoro di Y.Yogev e coll. ha forn<strong>it</strong>o ulteriori spunti di discussione in questo particolare<br />
aspetto della gestione del travaglio in GDM. Questi Autori hanno infatti riscontrato<br />
una frequenza di TC del 18.2% in gravide con GDM, indotte a 38 settimane per accelerazione<br />
della cresc<strong>it</strong>a fetale, rispetto al 14.8% di frequenza riscontrato in gravide con induzione del<br />
travaglio di parto e in assenza di alcuna patologia. In questa popolazione di GDM la frequenza<br />
di operativ<strong>it</strong>à vaginale è stata del 7.1%. L’analisi dei loro dati ha consent<strong>it</strong>o a questi autori<br />
di indicare la nullipar<strong>it</strong>à, presente nel 31.6% dei casi del gruppo di studio, come un fattore di<br />
rischio aumentato per TC, con un OR=4.56 10 .<br />
Un ruolo significativo nel determinare un aumento della frequenza di TC da parte della<br />
nullipar<strong>it</strong>à era stato indicato da altri Autori e in mer<strong>it</strong>o si c<strong>it</strong>a il lavoro di H Cammu, pubblicato<br />
nel 2002 11 .<br />
Emerge quindi l’ipotesi che sia opportuno indurre il travaglio di parto nelle gravide con<br />
diabete gestazionale o pregravidico in caso di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, documentata<br />
ecograficamente, alfine di ridurre la frequenza di tagli cesarei e delle complicanze che il travaglio<br />
di parto può produrre in caso di macrosomia fetale.<br />
In riferimento alla stima del peso fetale si precisa che l’induzione del travaglio viene sugger<strong>it</strong>a<br />
nella procedura da noi di segu<strong>it</strong>o proposta in caso di “accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale”,<br />
indipendentemente dal peso stimato ecograficamente. Questa puntualizzazione è a nostro<br />
avviso obbligatoria alla luce della scarsa precisione della valutazione del peso reale neonatale,<br />
che questa metodica oggi consente.<br />
Stimare correttamente il peso fetale in epoca prenatale infatti non è semplice: i metodi<br />
clinici e strumentali di cui l’Ostetrico dispone sono infatti altamente imprecisi. Una valutazione<br />
clinica della stima del peso fetale è effettuata correntemente utilizzando le manovre di<br />
Leopold e la misurazione della distanza tra la sinfisi pubica ed il fondo uterino. La misurazione<br />
ultrasonografica rappresenta un valido supporto alla diagnosi clinica, tuttavia, come riportato<br />
dall’ACOG nel 2001, come fattore pred<strong>it</strong>tivo essa non possiede maggior accuratezza rispetto<br />
alle manovre di Leopold 12 .<br />
Rouse e coll., in una metanalisi di 13 pubblicazioni dal 1985 al 1995, riportavano che nonostante<br />
le evidenti differenze nel metodo di studio (quali scelta della popolazione in oggetto,<br />
cut-off considerato nella definizione della macrosomia, formula adottata), la stima peso fetale<br />
ultrasonografica dimostrava in maniera concorde una bassa sensibil<strong>it</strong>à (attorno al 60%),<br />
ma una più alta specific<strong>it</strong>à (attorno al 90%) 13 .<br />
Gonen e coll. In uno studio del 1997 riportarono che il valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo della stima<br />
del peso fetale ultrasonografica è risultato pari al 56,7%. Furono effettuate inoltre una sovrastima<br />
ed una sottostima del peso fetale rispettivamente nel 70,1% e 28,4% dei casi, con<br />
un errore assoluto pari a 6,0 +/-4,7%. Gli Autori sottolinearono che tali valori si correlavano<br />
adeguatamente con quelli riportati in letteratura 3 .<br />
Haroush e coll hanno descr<strong>it</strong>to in una recente pubblicazione i dati di uno studio condot-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
to a Tel Aviv su 840 donne al fine di valutare l’accuratezza della stima del peso fetale ecografica<br />
effettuata a pochi giorni di distanza dal parto. La precisione della valutazione ultrasonografica<br />
risultò strettamente correlata al peso fetale stesso, in maniera inversamente proporzionale<br />
14 .<br />
In accordo con la letteratura, non emerge una significativa differenza nella percentuale di<br />
errore assoluto tra i nati da madri diabetiche rispetto ai controlli 15 . Gli Autori concordarono<br />
con i dati della letteratura riportando una bassa sensibil<strong>it</strong>à, basso valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo,<br />
relativamente alta specific<strong>it</strong>à ed alto valore pred<strong>it</strong>tivo negativo.Tali caratteristiche della misurazione<br />
ultrasonografica sono condivise dall’ACOG 16 .<br />
Riportiamo di segu<strong>it</strong>o uno studio, in corso di stampa, condotto presso il nostro<br />
Dipartimento, sul tema della valid<strong>it</strong>à dell’induzione del travaglio di parto in caso di gravidanza<br />
con diabete gestazionale ed accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale.<br />
Lo scopo dello studio è stato quello di verificare se l’attuazione di un’induzione del travaglio<br />
a 38 settimane, nelle gravidanza sopra indicate, porti ad un incremento della frequenza<br />
di tagli cesarei.<br />
Secondo end-point è stato quello di verificare la distribuzione dei nati con peso alla nasc<strong>it</strong>a<br />
superiore ai 4000 grammi nei due gruppi, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da gravide con induzione del travaglio<br />
e gravide con expectant management.<br />
Si è trattato di uno studio osservazionale su gravide con diagnosi di GDM, che afferivano<br />
al Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste in un periodo<br />
di 8 anni, dal 1996 al 2004.<br />
Il nostro è un Centro nasc<strong>it</strong>a di III° livello, con una media di circa 1800 parti/anno e serve<br />
una popolazione a prevalente insediamento urbano. La frequenza del taglio cesareo sulla<br />
nostra popolazione generale è stata nel 2004 del 23%.<br />
Nella grande maggioranza dei casi le gravidanze erano segu<strong>it</strong>e da Ostetrici dello stesso<br />
Dipartimento. La diagnosi di GDM proveniva da uno screening universale, rivolto a tutta la<br />
popolazione di gravide, con curva da carico con 50 g di glucosio (GCT) esegu<strong>it</strong>a tra la 24° e<br />
la 28 a settimana di gestazione (cut-off a 140 mg/dl). In caso di valore ad 1 ora superiore a<br />
185 mg/dl si eseguiva direttamente un profilo glicemico nictemerale. Nei casi invece di valore<br />
compreso tra 140 e 184 mg/dl si eseguiva una curva glicemica standard, con carico orale<br />
di 75 g di glucosio. Il test si considerava pos<strong>it</strong>ivo se si aveva un superamento del range di normal<strong>it</strong>à<br />
in 2 punti su 3 secondo Carpenter e Coustan 17 . Queste due condizioni portavano quindi<br />
alla diagnosi di GDM ed in caso di profilo glicemico patologico, (media dei valori superiore<br />
a 100 mg/dl e valutazioni post-prandiali ad 1 ora maggiori di 140 mg/dl) si provvedeva ad<br />
instaurare una terapia insulinica. Se il profilo glicemico nictemerale risultava nella norma, si inv<strong>it</strong>ava<br />
la gravida ad eseguire una dieta ipoglucidica-normocalorica e si rivalutava la condizione<br />
clinica a distanza di 4 settimane. Il mon<strong>it</strong>oraggio della cresc<strong>it</strong>a fetale si basava su valutazioni<br />
biometriche mensili a partire dalla 28 a settimana, con un riferimento preciso di epoca ge-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
47
48<br />
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
stazionale ottenuto con una misurazione del CRL fetale a 12 settimane di gestazione.<br />
In presenza di un’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, intesa come un superamento dei valori<br />
della circonferenza addominale di due deviazioni standard rispetto alla curva della popolazione<br />
generale, si induceva il travaglio di parto a 38 settimane di gestazione, con prostaglandine<br />
PgE2 (*Prepidil) cervicali per un Bishop score ≤5 e vaginali per un BS superiore a tale<br />
valore. Le prostaglandine venivano quindi riapplicate per tre volte sino alla insorgenza del travaglio<br />
di parto.<br />
In assenza invece di specifiche indicazioni ostetriche, in caso di regolare cresc<strong>it</strong>a fetale o<br />
per rifiuto della gravida ad accettare l’induzione del travaglio, pur in presenza di un’accelerazione<br />
della cresc<strong>it</strong>a fetale, si attendeva l’insorgenza spontanea del travaglio di parto. Questo<br />
gruppo di donne hanno di fatto cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o il gruppo di controllo nel nostro studio<br />
Con l’applicazione del protocollo di screening sopra indicato l’incidenza del GDM nella<br />
nostra popolazione è stata del 6.6%. Nel periodo indicato sono giunte alla nostra osservazione<br />
172 gravide con diagnosi di GDM, nelle quali non era stato necessario attuare terapia insulinica<br />
e che non avevano avuto un’insorgenza spontanea del travaglio di parto in epoca precedente<br />
alla 38 a settimana.<br />
La media di età dell’intera popolazione era di 33 anni, senza differenze significative nei due<br />
gruppi di gravide con parto indotto o ad insorgenza spontanea. Nella Tabella IV riportiamo<br />
le caratteristiche della popolazione esaminata, indicando la par<strong>it</strong>à, le classi di peso neonatali e<br />
la modal<strong>it</strong>à di espletamento del parto, le caratteristiche di BMI delle donne ed il numero di<br />
casi in cui si è osservata un’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale che avrebbe potuto cost<strong>it</strong>uire<br />
indicazione all’induzione del travaglio.<br />
Si è avuto quindi l’espletamento del parto per via vaginale in quasi il 70% dei casi.<br />
L’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale si è registrata in circa il 50% della popolazione e questo<br />
valore raggiunge il 62.9% dei casi nel gruppo di gravide che hanno accettato l’induzione<br />
farmacologica del travaglio di parto.<br />
Tabella IV<br />
GDM n.172 casi<br />
Nullipare 106 61.6% Pluripare 66 38.4%<br />
Peso grammi 4500 1.1%<br />
Parto vaginale 120 69.8% 52 30.2%<br />
BMI= 27.4% ≤20 20% 21-30 64.3% >30 15.7%<br />
Accelerazione cresc<strong>it</strong>a fetale n.85 = 49.4%<br />
Non Indotte 41.8% (46/110) Indotte 62.9% (39/62)<br />
La Tabella successiva indica la distribuzione delle nullipare e la modal<strong>it</strong>à di espletamento<br />
del parto nei due gruppi di donne che hanno atteso un’insorgenza spontanea del travaglio o<br />
che sono state invece indotte.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
Tabella V<br />
Expectant n.110 64% Induction n.62 36%<br />
Nullipare 106 63 57.3% 43 69.3%<br />
Parto vaginale 81 73.6% 39 63%<br />
Taglio Cesareo 29 26.4% 23 37%<br />
TC+Acc. Cresc<strong>it</strong>a Fetale 14/46 30.4% 11/39 28.2%<br />
Come si può vedere si è osservata una frequenza di nullipar<strong>it</strong>à del 61.6%, che nel gruppo<br />
di gravide il cui travaglio è stato indotto giunge al 69.3%. Il taglio cesareo ha presentato<br />
una maggior frequenza nel gruppo in cui si è indotto il travaglio di parto (37% versus 26.4%).<br />
In considerazione del fatto che molto spesso alcune variabili legate a patologie associate<br />
alla gravidanza possono comportare l’esecuzione di un espletamento addominale del parto<br />
(basti pensare che l’incidenza della pre-eclampsia in questa popolazione è stata del 21.5%),<br />
abbiamo selezionato nei due gruppi le gravide che presentavano un’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale e che non fossero state sottoposte a taglio cesareo per un’indicazione elettiva (podice,<br />
placenta previa, indicazione materna, ecc.). Si sono così identificate 46 gravide del gruppo<br />
in cui il travaglio non era stato indotto e 39 con induzione del travaglio. Questa volta la<br />
frequenza del taglio cesareo è risultata inferiore nel gruppo indotto (28.2% versus 30.4%).<br />
La Tabella successiva illustra la correlazione esistente tra modal<strong>it</strong>à di espletamento del parto<br />
(parto vaginale versus TC) nei due gruppi (expectant versus induction) dei casi con BMI superiore<br />
a 30.<br />
Tabella VI<br />
BMI >30 Expectant: 8/110 Induction: 16/62<br />
24/77 31.2% 7.3%% 25.8%<br />
P.V.: 81 3/81 3.7% 10/39 25.6% P.V. 39<br />
TC: 29 5/29 17.2% 6/23 26.1% T.C. 23<br />
Come si può notare una paziente su quattro nel gruppo delle indotte presentava un chiaro<br />
stato di obes<strong>it</strong>à. La correlazione esistente tra nullipar<strong>it</strong>à distribu<strong>it</strong>a per modal<strong>it</strong>à di espletamento<br />
del parto nei due gruppi di travagli indotti o di attesa è rappresentata nella Tabella VII.<br />
Tabella VII<br />
Nullipare: 106/172 Expectant: 63/110 Induction: 43/62<br />
61.6% 57.3% 69.3%<br />
P.V.: 81 48/81 59.2% 24/39 61.5% P.V. 39<br />
TC: 29 15/29 51.7% 19/23 82.6% T.C. 23<br />
La frequenza di nati macrosomi intesi per peso superiore a 4000 g è stata del 9.3%<br />
(16/172) e si è distribu<strong>it</strong>a nel modo di segu<strong>it</strong>o indicato nei quattro gruppi di expectant/induction<br />
correlati con parto vaginale versus TC.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
49
50<br />
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
Tabella VIII<br />
Macrosomi: 16/172 Expectant: 10/110 Induction: 6/62<br />
>4000g 9.3% 9.1% 9.7%<br />
P.V.: 81 5/81 6.2% 4/39 10.2% P.V. 39<br />
TC: 29 5/29 17.2% 2/23 8.7%% T.C. 23<br />
Il parto è stato assist<strong>it</strong>o per via vaginale con ventosa ostetrica 5 volte nel caso di gravide,<br />
il cui travaglio non era stato indotto e 1 volta in caso di induzione. È stato utilizzato il forcipe<br />
per parto operativo in un solo caso, in travaglio insorto spontaneamente. La frequenza<br />
complessiva di operativ<strong>it</strong>à vaginale è stata quindi del 4.06% sull’intera popolazione e rispettivamente<br />
del 5.4% nel gruppo expectant verso l’1.6% nel gruppo di parti indotti.<br />
Nell’ultima Tabella indichiamo la frequenza di casi con Apgar neonatale inferiore a 7 al primo<br />
minuto ed inferiore a 8 al quinto, distribu<strong>it</strong>a nei due gruppi di gravide con management<br />
di attesa dell’insorgenza del travaglio o con induzione.<br />
Tabella VII<br />
Non Indotti n.110 Indotti n. 62<br />
Apgar I°
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
la realtà geografica nella quale operiamo. È giusto constatare che attualmente non è disponibile<br />
in letteratura un trial che per potenza e significativ<strong>it</strong>à statistica sia in grado di indicare con<br />
cr<strong>it</strong>eri di evidence based medicine, quale sia la condotta più corretta da seguire nella gestione<br />
della gravidanza con diabete gestazionale, in riferimento all’opportun<strong>it</strong>à o meno di indurre<br />
il travaglio di parto in caso di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale.<br />
A fronte di questo dato oggettivo sono disponibili numerosi lavori, di cui solo 2 randomizzati<br />
(Conway e Kjos...) che confrontano gruppi di gravide con travagli indotti rispetto a<br />
gruppi in cui è stata mantenuta una condotta di vigile attesa ostetrica.<br />
La domanda che leg<strong>it</strong>timamente possiamo ora porci è: fino a quale lim<strong>it</strong>e di stima peso<br />
fetale è corretto indurre il travaglio di parto in caso di GDM? o per essere più chiari: quale<br />
è il lim<strong>it</strong>e di stima del peso fetale che in queste gravidanze comporta l’esecuzione di un taglio<br />
cesareo elettivo? Per rispondere a questo ques<strong>it</strong>o riportiamo quì di segu<strong>it</strong>o un brano del<br />
testo “Taglio cesareo... dal caso clinico alle Linee guida” di S. Alberico, Ed Regione Friuli Venezia<br />
Giulia pg.73 Trieste, 2004.<br />
Diversi Autori sono concordi nel sostenere che il rischio di distocia delle spalle aumenta in misura<br />
significativa se il peso dei neonati supera i 4000-4250 g nelle madri diabetiche 3,18,19,20,21 .<br />
Tuttavia esiste tutt’ora tra i vari Autori una divers<strong>it</strong>à di vedute riguardo alla scelta del cut-off di stima<br />
peso al quale proporre l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo.<br />
Mentre alcuni raccomandano l’esecuzione di un taglio cesareo in caso di stima peso superiore<br />
ai 4000 grammi 22 , altri consigliano piuttosto un cut-off di 4500 grammi 19,23 , per ridurre l’eccessivo<br />
interventismo, in considerazione dell’imprecisione dell’esame ultrasonografico.<br />
Langer e Coll, nel loro studio osservazionale texano, affermano che utilizzando un cut-off di<br />
4250 grammi, nelle donne diabetiche si preverrebbero il 76% dei casi di distocia di spalla, con un<br />
aumento del rate di tagli cesarei soltanto dello 0.26%. Viceversa, con una soglia di 4000 grammi<br />
l’aumento dei tagli cesarei salirebbe allo 0.52%, mentre con un cut-off di 4500 l’incremento dei<br />
tagli cesarei sarebbe minore, ma non ev<strong>it</strong>erebbe il 40% dei casi di distocia di spalla 20 .<br />
Altri Autori condividono l’indicazione al taglio cesareo per pesi fetali stimati superiori ai 4250<br />
grammi 2,24-26 .<br />
Rouse e coll. nel 1996 stimarono che per ev<strong>it</strong>are un singolo caso di paralisi permanente del<br />
plesso brachiale sarebbero necessari nelle donne diabetiche 443 e 489 tagli cesarei aggiuntivi adottando<br />
come cut-off di stima peso fetale ecografica rispettivamente i 4500 ed i 4000 grammi 13 .I<br />
suddetti Autori concludono affermando che una pol<strong>it</strong>ica che preveda l’esecuzione di un taglio cesareo<br />
elettivo in caso di sospetta macrosomia fetale appare giustificata, seppure discutibile, nelle<br />
gravidanze complicate da diabete; viceversa nelle donne non diabetiche un tale approccio ostetrico<br />
risulta economicamente e medicalmente inappropriato. Sulla base delle suddette evidenze<br />
l’ACOG raccomanda nelle gravidanze complicate da diabete l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo<br />
in caso di stima del peso fetale superiore ai 4000 grammi 16 .<br />
Quali possono essere le conclusioni che possiamo trarre dopo una discussione condotta<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
51
52<br />
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
su questo tema e che possa cost<strong>it</strong>uire un procedura di riferimento per affrontare la gestione<br />
di questi casi?<br />
Il problema dell’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, con caratteristiche sproporzionate tra<br />
testa e tronco fetale in corso di GDM è presente e documentata, come documentata è l’evidenza<br />
che in condizioni generali queste gravidanze comportino una maggior incidenza di distocie<br />
nell’espletamento del parto e quindi di danni neonatali. Il riscontro poi alla nasc<strong>it</strong>a di<br />
un peso neonatale superiore alla media, associato al danno sub<strong>it</strong>o dal neonato, innesca immediatamente<br />
la domanda del perché in quel determinato caso l’Ostetrico non ha prudentemente<br />
deciso di eseguire un taglio cesareo elettivo.Tale domanda viene ovviamente posta<br />
“a posteriori” non solo dai parenti del bambino, ma anche da figure professionali (magistrati<br />
o medici legali) culturalmente lontani dal “clima e dal vissuto” di una sala parto e dal pathos<br />
che quell’Ostetrico ha affrontato, in scienza e coscienza, nell’accettare la responsabil<strong>it</strong>à di un<br />
espletamento vaginale di quel parto. Riconosciamo in mer<strong>it</strong>o che la frequenza di una distocia<br />
di spalla in un neonato di peso >4000 g è di circa 12 volte superiore a quella di un neonato<br />
con peso compreso tra 2500 g e 3999 g, non va però dimenticato che di fatto l’40%<br />
delle distocie di spalla che si hanno sono appannaggio di neonati con peso inferiore a 4000<br />
g e da calcoli statistici compiuti è dimostrato che solo il 20% dei casi di distocie di spalla potrebbero<br />
essere prevenuti eseguendo un taglio cesareo elettivo in caso di stima peso fetale<br />
superiore ai 4000 g. Resta quindi il dilemma della condotta più corretta da osservare nel restante<br />
80% dei casi. Una quota di questa percentuale riguarda gravidanze con diabete gestazionale.<br />
I dati riportati e quanto disponibile oggi in Letteratura giustifica l’opportun<strong>it</strong>à di “affrontare”<br />
attivamente questi casi con un’induzione del travaglio a 38 settimane. Questa scelta<br />
non dovrà quindi essere demonizzata in caso di evento avverso, se compiuta con scienza<br />
e coscienza da parte dell’Ostetrico, nel rispetto di alcuni fondamentali requis<strong>it</strong>i di garanzia per<br />
la gravida ed il nasc<strong>it</strong>uro, che di segu<strong>it</strong>o elenchiamo:<br />
1. corretto timing della gravidanza, con correzione dell’epoca gestazionale effettuata con misurazione<br />
della lunghezza cranio-caudale fetale a 38 settimane;<br />
2. induzione del travaglio a 38 settimane settimane solo in caso di accelerazione della cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale;<br />
3. chiara ed attenta spiegazione alla gravida delle indicazioni all’induzione e piena disponibil<strong>it</strong>à<br />
della stessa ad affrontarla;<br />
4. consenso informato;<br />
5. taglio cesareo elettivo in caso di stima peso fetale > di 4250g, (pur con i lim<strong>it</strong>i della stima<br />
ecografica dinanzi esposti)<br />
6. gestione dell’induzione da parte di un esperto consultant e pronta reperibil<strong>it</strong>à dello stesso<br />
in corso di periodo espulsivo (in ospedale e non reperibile a domicilio). Disponibil<strong>it</strong>à<br />
in ospedale di una guardia anestesiologica;<br />
7. astensione da qualsiasi assistenza operativa vaginale;<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
8. team ostetrico partecipe e concorde sull’applicazione di un simile protocollo;<br />
9. comunicazione alla Direzione San<strong>it</strong>aria dell’ospedale del protocollo sull’induzione del travaglio<br />
di parto in caso di diabete gestazionale;<br />
10.l’attivazione di una commissione interna all’ospedale per la gestione di qualsiasi contenzioso<br />
possa nascere da es<strong>it</strong>o materno-fetale avverso.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
53
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Induzione del travaglio versus expectant management in GDM<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
DISTOCIA DI SPALLA<br />
M. Piccoli, S. Inglese, M.Vessella, M. Bernardon,V. Soini, C. Businelli, GP Maso<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
Definizione ed incidenza<br />
La distocia di spalla rappresenta, come ben espresso da Langer, “...l’infrequente, non anticipato<br />
ed imprevedibile incubo dell’ostetrico...”.Tale evento si verifica quando alla fuoriusc<strong>it</strong>a dell’estremo<br />
cefalico del neonato non fa segu<strong>it</strong>o quella delle spalle, nè queste vengono espulse<br />
dopo moderata trazione della testa verso il basso.<br />
Una definizione più standardizzata è stata proposta da Spong, che ha sugger<strong>it</strong>o di identificare<br />
come casi di distocia di spalla quelli in cui l’intervallo tra fuoriusc<strong>it</strong>a dell’estremo cefalico<br />
fetale e completamento del parto sia maggiore di 60 secondi e/o quelli che richiedano<br />
l’intervento di manovre ancillari per permettere la fuoriusc<strong>it</strong>a delle spalle.<br />
La diagnosi di distocia di spalla è in effetti per molti versi soggettiva, dipendendo dalla percezione<br />
di difficoltà nell’estrazione da parte dell’operatore.Tale soggettiv<strong>it</strong>à nell’identificazione<br />
dell’evento, in combinazione con la sua incostante documentazione, rende conto dell’ampio<br />
range nei dati di incidenza riportati in Letteratura, variabil<strong>it</strong>à d’altra parte strettamente<br />
correlata anche alle differenze nelle caratteristiche delle popolazioni studiate. La frequenza di<br />
distocia di spalla si attesta infatti nelle casistiche disponibili tra lo 0.2% ed il 2% di tutti i parti<br />
vaginali.Tale incidenza potrebbe in effetti essere una sottostima dei dati reali che, utilizzando<br />
la definizione proposta da Spong per la diagnosi, si attesterebbero secondo tale Autore<br />
intorno al 10%.<br />
La distocia di spalla è quindi evento poco comune, ma non raro, tanto che chiunque si<br />
trovi ad operare in sala parto sarà chiamato periodicamente a fronteggiarne casi di variabile<br />
sever<strong>it</strong>à. Le complicanze materne sono fortunatamente lim<strong>it</strong>ate e la morte perinatale rara.<br />
Più elevata è invece la morbid<strong>it</strong>à perinatale conseguente all’evento, ed è proprio per questa<br />
ragione che la distocia di spalla ha assunto negli anni più recenti crescente rilievo in amb<strong>it</strong>o<br />
clinico e, purtroppo, medico-legale.<br />
Meccanismi<br />
Rapporti feto-pelvici<br />
Al fine di comprendere il meccanismo per cui la distocia di spalla si verifica e, di conseguenza,<br />
il rationale alla base delle manovre utilizzate per farvi fronte, è necessario richiamare<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
4<br />
55
56<br />
Distocia di spalla<br />
alla mente alcuni concetti basilari relativi alle relazioni anatomiche che si stabiliscono normalmente<br />
tra il feto e la pelvi materna durante la fase espulsiva del travaglio. A livello dello stretto<br />
superiore, il diametro pelvico antero-posteriore, più breve, è quello meno favorevole al<br />
passaggio del feto. Normalmente quindi, tanto l’estremo cefalico quanto le spalle fetali si impegnano<br />
sfruttando il diametro più ampio dell’ingresso pelvico, che è quello obliquo. L’estremo<br />
cefalico attraversa quindi il canale del parto, mentre la spalla posteriore discende nella concav<strong>it</strong>à<br />
sacrale e quella anteriore si accomoda a livello di forame otturatorio. Nel feto a termine,<br />
il diametro bisacromiale è più ampio dei diametri cefalici ed è quindi la flessibil<strong>it</strong>à delle<br />
spalle a permettere la loro rotazione e discesa nella pelvi.<br />
La combinazione peggiore per il verificarsi di una distocia di spalla è quella che vede un<br />
diametro bisacromiale più ampio della norma impegnarsi allo stretto superiore secondo il diametro<br />
meno favorevole, cioè l’antero-posteriore. Quando questa s<strong>it</strong>uazione si verifica, più comunemente<br />
la spalla posteriore scende al di sotto del promontorio sacrale, mentre quella anteriore<br />
impatta e si arresta al di sopra della sinfisi pubica.<br />
Fortunatamente molto rara è l’evenienza in cui entrambe le spalle rimangono al di sopra<br />
dell’ingresso pelvico (distocia di spalla bilaterale), s<strong>it</strong>uazione in cui nella maggior parte dei casi<br />
falliscono tutte le manovre disponibili per far fronte a tale emergenza.<br />
Molto più frequente è invece il verificarsi di una condizione definibile come “difficoltà nella<br />
fuoriusc<strong>it</strong>a delle spalle fetali”, in cui, pur avendo entrambe le spalle superato l’ingresso pelvico,<br />
esse faticano a ruotare a livello dello scavo medio. Quasi invariabilmente tale condizione,<br />
di grav<strong>it</strong>à decisamente minore ed a prognosi favorevole, si verifica in presenza di feti macrosomi<br />
“asimmetrici” e/o di obes<strong>it</strong>à materna, fattori che aumentano entrambi, verosimilmente<br />
con un meccanismo di attr<strong>it</strong>o, la resistenza alla rotazione nel canale del parto.<br />
Complicanze<br />
Le complicanze associate al verificarsi di una distocia di spalla possono interessare tanto<br />
la madre quanto il nasc<strong>it</strong>uro.<br />
Complicanze neonatali<br />
- La più comune complicanza a carico del neonato è la frattura della clavicola, che si verifica<br />
in circa il 15% dei casi. Molto meno comune è invece la frattura dell’omero (
Distocia di spalla<br />
mamente rara, ma gravata da prognosi disastrosa. Essa è spesso il risultato di manovre improprie<br />
e disperate di torsione e trazione sull’estremo cefalico e sul collo fetale.<br />
- Il danno a carico del plesso brachiale è una delle complicanze più temute, verificandosi<br />
con frequenza non trascurabile (5-15% dei casi di distocia di spalla) ed essendo gravato<br />
dalla possibil<strong>it</strong>à di sequele permanenti. Nella maggior parte dei casi si verifica una lesione<br />
parziale del plesso, che coinvolge le radici nervose C5 e C6 e si manifesta clinicamente<br />
con una paralisi del tipo Erb-Duchenne. Molto più raramente è coinvolto l’intero plesso<br />
brachiale, con conseguente paralisi di tutto l’arto coinvolto (paralisi tipo Klumpke).<br />
Fortunatamente, il danno del plesso brachiale riscontrato alla nasc<strong>it</strong>a va incontro in un’alta<br />
percentuale di casi a risoluzione spontanea. La maggior parte delle casistiche disponibili<br />
in Letteratura riporta tassi di disabil<strong>it</strong>à a lungo termine inferiori al 10%, anche se due<br />
lavori recenti sull’argomento hanno riscontrato una disturbante persistenza di es<strong>it</strong>i fino al<br />
50% dei casi. È tuttavia interessante notare come numerosi dati in Letteratura abbiano dimostrato<br />
il verificarsi di tale complicanza in assenza di distocia di spalla nel 34-47% dei casi.<br />
Un’incidenza del 4% di paralisi del plesso brachiale è stata inoltre riportata in neonati<br />
partor<strong>it</strong>i con taglio cesareo non traumatico.Tali dati sembrerebbero supportare l’ipotesi<br />
che il danno del plesso brachiale possa talora verificarsi durante il travaglio o, addir<strong>it</strong>tura,<br />
prima dell’inizio di questo, per effetto dell’azione di forze anomale e/o di posture sfavorevoli<br />
assunte dal feto in utero.<br />
- Le complicanze più temibili sono comunque relative alla possibil<strong>it</strong>à di danno cerebrale e<br />
di morte perinatale. Si r<strong>it</strong>iene comunemente che entrambi siano per larga parte il risultato<br />
dell’insulto ipossico prolungato sul neonato. Dopo la fuoriusc<strong>it</strong>a dell’estremo cefalico<br />
l’apporto di ossigeno al feto si riduce infatti cr<strong>it</strong>icamente. Anche se naso e bocca si trovano<br />
all’esterno, il torace è comunque compresso e ciò rende impossibili gli sforzi respiratori.Va<br />
inoltre considerato che, all’espulsione della testa fetale, l’utero tende a contrarsi ulteriormente<br />
causando una riduzione o, addir<strong>it</strong>tura, una cessazione del flusso ematico agli<br />
spazi intervillosi. È stato dimostrato che dopo la fuoriusc<strong>it</strong>a della testa la progressiva riduzione<br />
dell’ossigenazione fetale provoca un calo del pH pari a 0.04 un<strong>it</strong>à al minuto. Partendo<br />
da questo assunto, in un feto che si presenti al momento del parto in condizioni di normo-ossigenazione<br />
il tempo a nostra disposizione per risolvere una distocia di spalla prima<br />
che un danno ipossico-ischemico si verifichi è verosimilmente intorno ai 4-5 minuti. Se tuttavia<br />
il feto si trova già in uno stato di ridotta ossigenazione, tale margine di sicurezza sarà<br />
verosimilmente ridotto, con la possibil<strong>it</strong>à che il danno si istauri in tempi molto più brevi.<br />
Inoltre, un’analisi attenta dei casi es<strong>it</strong>ati nella morte del neonato porta a supporre che<br />
spesso un danno letale intervenga anche quando i tempi per l’estrazione rimangono entro<br />
i lim<strong>it</strong>i di “sicurezza”. Il Confidential Enquiry into Stillbirths and Deaths in Infancy, raccogliendo<br />
i casi di morte perinatale ed infantile in Inghilterra, Galles ed Irlanda del Nord tra<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
57
58<br />
Distocia di spalla<br />
il 1994 ed il 1995, ha rinvenuto un’incidenza di distocia di spalla fatale pari a 0.025/1000<br />
parti. Analizzando i 56 casi di distocia di spalla es<strong>it</strong>ati in morte del neonato, l’intervallo tra<br />
fuoriusc<strong>it</strong>a dell’estremo cefalico ed estrazione del corpo risultava inferiore ai 5 minuti nel<br />
47% dei casi, e solo nel 20% dei casi superiore ai 10 minuti. A spiegazione di tali dati inaspettati,<br />
gli Autori hanno ipotizzato che meccanismi alternativi a quello ipossico-ischemico<br />
possano essere responsabili dell’es<strong>it</strong>o fatale, così come del danno cerebrale permanente.<br />
La compressione sul collo fetale, e la risultante ostruzione al deflusso venoso, un’eccessiva<br />
stimolazione vagale e la bradicardia a questa conseguente, combinate al ridotto apporto<br />
arterioso di ossigeno e, forse, a manovre di estrazione improprie, possono infatti<br />
essere la causa di un deterioramento delle condizioni cliniche sproporzionato alla durata<br />
dell’ipossia.<br />
Complicanze materne<br />
- Le lacerazioni del tratto gen<strong>it</strong>ale sono più frequenti come conseguenza dell’utilizzo più ampio<br />
dell’episiotomia e, soprattutto, del traumatismo associato alle manovre impiegate per<br />
estrarre le spalle. Lacerazioni cervicali sono riportate nel 2% dei casi, mentre del 4% è l’incidenza<br />
riscontrata di lacerazioni di IV grado.<br />
- L’emorragia post-partum, conseguente ad atonia uterina ed a trauma sul canale del parto,<br />
si verifica nell’11% circa dei casi.<br />
- La rottura d’utero è evento raro. Essa si verifica più frequentemente per l’applicazione di<br />
manovre improprie, quali l’eccessiva pressione sovrapubica e la pressione sul fondo dell’utero<br />
(manovra di Kristeller), nonchè come conseguenza del ricorso a tentativi estremi<br />
di risoluzione della distocia di spalla, ed in particolare al riposizionamento cefalico (manovra<br />
di Zavanelli). In quest’ultimo caso, così come per il tentativo di “salvataggio addominale”<br />
del feto, risulta significativamente più elevato il rischio di emorragia e la necess<strong>it</strong>à di ricorso<br />
all’isterectomia.<br />
- Aumentato rispetto alla popolazione generale è inoltre il rischio di infezione e di atonia<br />
vescicale in puerperio.<br />
Fattori predisponenti<br />
Numerose caratteristiche ante ed intra-partum sono state associate ad un aumento del<br />
rischio di distocia di spalla (Tabella 1). La maggior parte di queste, come osservato da Dildy<br />
e coll., presenta tuttavia solo una debole associazione con l’evento considerato, significativa<br />
dal punto di vista statistico solo all’analisi univariata del campione.Tali caratteristiche, definibili<br />
come fattori di rischio minori, per quanto più frequentemente riscontrate nelle gestanti che<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
vanno incontro a distocia di spalla, sono infatti estremamente comuni anche nella popolazione<br />
generale, e presentano pertanto nei confronti del verificarsi di tale evento una pred<strong>it</strong>tiv<strong>it</strong>à<br />
bassissima. Geary et al. hanno calcolato un valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo del 2% quando tali<br />
fattori si riscontrino isolatamente, valore che sale tuttavia solo al 3% in caso si presentino in<br />
combinazione.<br />
Tabella 1. Distocia di spalla - Fattori di rischio minori<br />
ANTEPARTUM INTRAPARTUM<br />
Obes<strong>it</strong>à materna /eccessivo incremento Fase attiva protratta<br />
ponderale in gravidanza<br />
Gravidanza protratta Arresto secondario in I stadio<br />
Viziature pelviche Rallentata progressione/arresto in II stadio<br />
Pregresso neonato macrosoma Parto precip<strong>it</strong>oso<br />
Pregressa distocia di spalla Utilizzo di oss<strong>it</strong>ocina<br />
Età materna avanzata Fase attiva protratta<br />
Bassa statura materna Arresto secondario in I stadio<br />
Multipar<strong>it</strong>à<br />
Tre sono invece i fattori che presentano una più forte associazione con lo sviluppo di distocia<br />
di spalla, definibili come fattori di rischio maggiori:<br />
1. peso neonatale<br />
2. diabete materno<br />
3. ricorso all’operativ<strong>it</strong>à vaginale<br />
La macrosomia fetale ha dimostrato in tutti gli studi pubblicati sull’argomento una forte<br />
associazione con il verificarsi di distocia di spalla. A seconda della definizione di macrosomia<br />
considerata (peso neonatale >4000 g; peso neonatale >4500 g; peso neonatale >90° percentile<br />
per l’epoca gestazionale), il rischio di distocia di spalla nelle diverse casistiche risulta<br />
aumentato da 8 a 21 volte rispetto alla popolazione di neonati non macrosomi. Come ben<br />
rappresentato nella Tabella II, tale rischio è direttamente proporzionale al peso neonatale, aumentando<br />
parallelamente a quest’ultimo, tanto che l’incidenza dell’evento passa dal 5.2% nei<br />
neonati con peso tra i 4000 ed i 4250 g al 21.1% nei neonati con peso tra i 4750 ed i 5000<br />
gr. Uno studio svedese che ha preso in considerazione solo neonati “extremely large”, cioè<br />
con peso alla nasc<strong>it</strong>a pari o superiore ai 5700 g, ha osservato un’incidenza di distocia di spalla<br />
del 40% nei 78 casi di parto vaginale esaminati.<br />
Tabella II. Correlazione tra peso alla nasc<strong>it</strong>a ed incidenza di distocia di spalla<br />
Peso neonatale %distocia di spalla<br />
4000-4250 5.2%<br />
4250-4500 9.1%<br />
4500-4750 14.3%<br />
4750-5000 21.1%<br />
da Nesb<strong>it</strong>t et al, AJOG 1998<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
59
60<br />
Distocia di spalla<br />
Dalle casistiche a nostra disposizione emerge che il 44-64% dei casi di distocia di spalla si<br />
manifesta nei neonati di peso > ai 4000g. D’altra parte, un peso >4000 è riscontrabile nel 6-<br />
15% dei parti non complicati.<br />
È chiaro quindi come il peso neonatale sia significativo fattore di rischio per lo sviluppo di<br />
distocia di spalla e come l’incidenza di quest’ultima sia strettamente dipendente dal peso alla<br />
nasc<strong>it</strong>a. Dai dati sopra c<strong>it</strong>ati si evidenzia tuttavia chiaramente come circa il 50% di tutti i casi<br />
di distocia di spalla si verifichino comunque in neonati normopeso, e come l’incidenza di tale<br />
evento sia di molto inferiore al 50% anche nei neonati di categoria di peso più elevata. Una<br />
percentuale non trascurabile della popolazione generale dà inoltre alla luce neonati macrosomi<br />
senza alcuna complicanza. Geary e coll. hanno stimato che il peso alla nasc<strong>it</strong>a >4000 gr<br />
ha nei confronti della distocia di spalla un valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo comunque molto basso,<br />
pari al 3.3%. Se poi andiamo a considerare gli outcomes che rivestono un reale interesse clinico<br />
e medico-legale, ovvero i casi di paralisi persistente del plesso brachiale e/o di danno<br />
asf<strong>it</strong>tico cerebrale, essi andranno ad interessare una percentuale ancora più bassa di neonati<br />
macrosomi, dal momento che solo una piccola parte dei casi di distocia di spalla risulta gravata<br />
da tali sequele permanenti. A tali dati va aggiunta inoltre un’ultima, ma non meno importante<br />
considerazione relativa alla capac<strong>it</strong>à di stimare correttamente il peso del neonato in epoca<br />
antenatale.<br />
Tutti i dati di incidenza e di pred<strong>it</strong>tiv<strong>it</strong>à di distocia di spalla in caso di macrosomia derivano<br />
infatti dalla conoscenza del peso del neonato alla nasc<strong>it</strong>a, mentre in epoca antenatale, quando<br />
il rilievo di una sospetta macrosomia potrebbe influenzare il management clinico, l’unico<br />
dato a nostra disposizione è la stima ecografica e/o clinica del peso fetale. Gli innumerevoli<br />
studi sulla performance dell’ecografia nel determinare il peso del neonato hanno tuttavia forn<strong>it</strong>o<br />
dati assolutamente scoraggianti. L’indagine ecografica ha infatti mostrato nei confronti della<br />
diagnosi di macrosomia e della stima del peso alla nasc<strong>it</strong>a la stessa attendibil<strong>it</strong>à della valutazione<br />
clinica effettuata tram<strong>it</strong>e palpazione addominale. Una range di errore del 10-15% è<br />
considerato normale nella valutazione ecografica del peso fetale, e tale errore peggiora per i<br />
pesi neonatali più elevati. In un’analisi dei dati disponibili in Letteratura, Ben Haroush e coll<br />
hanno osservato che la sensibil<strong>it</strong>à dell’ecografia nel predire la macrosomia varia tra il 50 ed<br />
il 100%, con una mediana intorno al 67%, mentre la specific<strong>it</strong>à si attesta al 15-81% (mediana<br />
62%).<br />
Al pari della macrosomia neonatale, il diabete materno è stato identificato unanimamente<br />
come fattore di rischio maggiore per lo sviluppo di distocia di spalla. I neonati di donne<br />
diabetiche sono infatti più predisposti allo sviluppo di macrosomia, e mostrano inoltre una<br />
peculiare tendenza alla distribuzione del grasso in sede toraco - addominale, con caratteristiche<br />
antropometriche che vedono la prevalenza dei diametri addominale, toracico e scapolare<br />
su quello cefalico. È proprio questa differenza nella “conformazione fisica”, più che nel peso,<br />
a predisporre il neonato di madre diabetica al verificarsi di distocia di spalla alla nasc<strong>it</strong>a,<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
con un rischio stimato di 6 volte superiore a quello generale. Come è possibile osservare dalla<br />
Tabella III, a par<strong>it</strong>à di peso alla nasc<strong>it</strong>a, in caso di diabete materno la probabil<strong>it</strong>à che si verifichi<br />
una distocia di spalla è comunque più elevata.<br />
Tabella III. Incidenza di distocia di spalla per classi di peso nelle donne con Diabete mell<strong>it</strong>o e nella popolazione generale<br />
Peso neonatale no DM DM<br />
4500 4.1-22.6% 20-50%<br />
ACOG 1997<br />
La macrosomia alla nasc<strong>it</strong>a in presenza di diabete materno sembra quindi cost<strong>it</strong>uire una<br />
s<strong>it</strong>uazione ad alto rischio di sviluppo di distocia di spalla, anche se, dai dati a nostra disposizione,<br />
tale evento sembra interessare comunque meno del 50% dei neonati di madre diabetica<br />
per le classi di peso più elevate. Le due condizioni associate sono inoltre riscontrabili in<br />
non più del 55% dei casi di distocia.<br />
Il ricorso all’operativ<strong>it</strong>à vaginale è risultato anch’esso fortemente associato allo sviluppo di<br />
distocia di spalla negli studi sull’argomento, con un rischio medio riportato da 4.6 a 28 volte<br />
più elevato.Tale rischio sembra essere maggiore in caso di ricorso alla ventosa ostetrica che<br />
al forcipe, ed è inoltre risultato strettamente correlato alla durata dell’operativ<strong>it</strong>à, con un’incidenza<br />
più elevata dell’evento per tempi di applicazione prolungati, superiori ai 6 minuti. La<br />
combinazione di macrosomia neonatale, II stadio prolungato e ricorso all’operativ<strong>it</strong>à vaginale<br />
a livello mediopelvico sembra essere particolarmente a rischio, come evidenziato da Benedetti<br />
e coll., che hanno riportato un’incidenza di distocia di spalla del 21% ed un elevato tasso di<br />
danno neonatale immediato in queste circostanze, tanto che l’ACOG, in un bollettino sulla<br />
macrosomia fetale pubblicato nel 2000, raccomandava il ricorso al taglio cesareo in caso di<br />
arresto/rallentata progressione in II stadio in feti con stima peso >4500 gr .<br />
Numerosi sono quindi i fattori di rischio identificati per lo sviluppo di distocia di spalla.<br />
Non è stato ancora descr<strong>it</strong>to tuttavia un metodo che, basato sulla presenza di tali fattori, sia<br />
risultato clinicamente utile nel predire con ragionevole accuratezza il verificarsi di tale evento<br />
ed ancor più delle sue sequele a lungo termine. Il lim<strong>it</strong>e principale dei fattori considerati è<br />
che essi sono molto comuni nella popolazione ostetrica generale, mentre la distocia di spalla,<br />
outcome da predire, è relativamente rara.<br />
I fattori di rischio minori hanno scarso valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo ed util<strong>it</strong>à clinica, quindi,<br />
pressochè nulla. In presenza di fattori di rischio maggiori, che mostrano una più forte associazione<br />
con il verificarsi dell’outcome sfavorevole, resta comunque difficile decidere il management<br />
più appropriato. Non esiste attualmente un’evidenza certa, e, di conseguenza, un consenso<br />
unanime, sulla gestione ostetrica dei casi a rischio, in particolare dei casi di sospetta macrosomia<br />
fetale, isolata o associata a diabete materno. Le uniche certezze riguardano da un<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
61
62<br />
Distocia di spalla<br />
lato il fatto che oltre il 50% delle distocie di spalla si verificano in neonati normopeso, dall’altro<br />
la ben nota inaccuratezza della stima peso ecografica, specie in caso di macrosomia.<br />
Nella Tabella successiva presentiamo i casi di patologia neonatale attribuibile a difficoltà di<br />
disimpegno delle spalle fetali, osservati presso il nostro dipartimento in un arco di tempo di<br />
12 anni. Si sono avuti solo sei casi di paresi del plesso brachiale, con espletamento del parto<br />
vaginale strumentale con ventosa in due casi; 4 di questi neonati presentavano un peso alla<br />
nasc<strong>it</strong>a >4.000 g . È interessante sottolineare che di fatto ben il 96.6% della intera popolazione<br />
di nati aveva alla nasc<strong>it</strong>a un peso inferiore ai 4.000 g.<br />
Tabella IV. Es<strong>it</strong>i Patologici Neonatali da Distocie di Spalla<br />
Dipartimento Ostetrico - Ginecologico - IRCCS Burlo Garofolo 1990 - 2002. Casi n. 89// 11.000 parti 0.8%<br />
Paresi 6 casi 4 PS<br />
(4 su 6 con peso >4000 g) 2 V.O.<br />
Torcicolli 79 casi 54 PS (1 Caso GDM)<br />
16 TC<br />
8 V.O. + 1 F<br />
Fratture cl 3 casi 3 PS<br />
Stiramenti 1 caso 1 PS<br />
Peso (g)4500 >5000<br />
21.3% 57.3% 18% 12.4% 2.1% 1.1%<br />
96.6%<br />
Due controverse misure profilattiche sono comunque state proposte, e sono tuttora oggetto<br />
di intenso dibatt<strong>it</strong>o, al fine di prevenire la distocia di spalla. La prima, che prevede l’induzione<br />
del travaglio in caso di sospetta macrosomia, è stata valutata per lo più in studi osservazionali<br />
di tipo retrospettivo, ed in due soli studi prospettici randomizzati. La meta-analisi<br />
Cochrane del 2002, che ha preso in considerazione i risultati dei due studi randomizzati per<br />
un campione globale di 313 donne, non ha rilevato differenze significative in termini di morbid<strong>it</strong>à<br />
perinatale e di operativ<strong>it</strong>à vaginale ed addominale. Il tasso di tagli cesarei nelle donne<br />
sottoposte ad induzione è risultato invece significativamente più elevato nelle casistiche derivanti<br />
da studi retrospettivi, come evidenziato nella review pubblicata nel 2002 da Ramos-<br />
Sanchez e coll.Va tuttavia sottolineato che tali dati, proprio perché retrospettivi, sono soggetti<br />
a bias difficilmente eliminabili. Essi non stratificano inoltre i risultati sulla base della par<strong>it</strong>à della<br />
gestante, fattore che, secondo alcuni Autori, sembrerebbe influenzare sostanzialmente l’outcome.<br />
La meta-analisi del Cochrane conclude comunque che allo stato attuale delle nostre conoscenze<br />
non sono disponibili evidenze sufficienti a dimostrare che l’induzione per sospetta<br />
macrosomia in gravide non diabetiche sia in grado di ridurre la morbid<strong>it</strong>à materna e neonatale.<br />
In considerazione delle lim<strong>it</strong>ate informazioni disponibili per valutare questo intervento,<br />
gli Autori ribadiscono la necess<strong>it</strong>à di trial randomizzati più ampi.<br />
Analogamente lim<strong>it</strong>ate sono le informazioni derivanti da trial randomizzati sull’util<strong>it</strong>à dell’induzione<br />
del travaglio per sospetta macrosomia in gestanti diabetiche. La meta-analisi pub-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
blicata dal Cochrane nel 2002, che include un solo trial randomizzato per un totale di 200 gestanti,<br />
pur rilevando un’incidenza significativamente inferiore di macrosomia alla nasc<strong>it</strong>a e nessun<br />
caso di distocia di spalla nelle gestanti sottoposte ad induzione a fronte di 3 casi di distocia<br />
nel gruppo randomizzato per il management d’attesa, non mostra tuttavia differenze significative<br />
in termini di morbid<strong>it</strong>à materna e neonatale. Il tasso di operativ<strong>it</strong>à addominale appare<br />
comparabile nei due gruppi. Anche in questo caso, la scarsa numeros<strong>it</strong>à del campione analizzato<br />
non permette di trarre conclusioni sull’efficacia di tale intervento, nè di valutare il suo<br />
effetto sulla mortal<strong>it</strong>à perinatale.<br />
La seconda misura proposta nel tentativo di prevenire il verificarsi di distocia di spalla è il<br />
ricorso al taglio cesareo elettivo nei casi di sospetta macrosomia. Se consideriamo da un lato<br />
la bassa accuratezza della stima peso ecografica, dall’altro la percentuale comunque lim<strong>it</strong>ata<br />
di neonati macrosomi che va incontro a distocia di spalla e, ancor più, alle sue sequele permanenti,<br />
risulta evidente come una pol<strong>it</strong>ica improntata al ricorso al taglio cesareo elettivo non<br />
possa che comportare un incremento sproporzionato del tasso di interventi in rapporto alle<br />
distocie di spalla ev<strong>it</strong>ate. In un’analisi costo-beneficio pubblicata nel 1996 su Jama, Rouse e<br />
coll hanno infatti calcolato come il ricorso al taglio cesareo per stime peso maggiori di 4000-<br />
4500 gr in donne non diabetiche porterebbe all’esecuzione di 2345-3645 interventi per ogni<br />
caso di danno permanente ev<strong>it</strong>ato. Tale proporzione sarebbe più favorevole in presenza di<br />
diabete materno, laddove, per i medesimi cut-off di peso stimato, 443-489 cesarei si renderebbero<br />
necessari a prevenire un caso di danno permanente. Per quanto non esista al momento<br />
un consenso su quale sia la soglia di interventi proponibile a tal fine, raccomandazioni<br />
al riguardo vengono comunque proposte. Nel bollettino 2002 sulla distocia di spalla<br />
l’ACOG conclude che il taglio cesareo profilattico può essere preso in considerazione per stime<br />
peso superiori ai 5000 gr nelle gestanti non diabetiche e sopra i 4500 gr nelle diabetiche.<br />
Nessuna certezza giunge quindi a sostegno della scelta clinica nei casi a rischio per il verificarsi<br />
di distocia di spalla.Tale scelta andrà quindi inquadrata nell’amb<strong>it</strong>o di protocolli di management<br />
condivisi all’interno di ogni Ist<strong>it</strong>uto, ponderata sulla base delle caratteristiche proprie<br />
di ogni singolo caso e discussa con la paziente al fine di giungere ad una decisone condivisa<br />
e consapevole.<br />
Management<br />
Se quindi non siamo in grado di prevedere e prevenire la distocia di spalla, dobbiamo tuttavia<br />
ev<strong>it</strong>are che il suo verificarsi ci colga impreparati. Innanz<strong>it</strong>utto, incapac<strong>it</strong>à di predire il verificarsi<br />
di tale evento non significa ignorare la presenza di fattori di rischio. In tutti i casi in cui<br />
ci si trovi di fronte, ad una donna in travaglio con supposto rischio clinico di distocia di spalla<br />
è opportuno allertare il personale più esperto e pensare anticipatamente alla sequenza di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
63
64<br />
Distocia di spalla<br />
manovre da attuare qualora l’evento si verifichi.Alcuni Autori suggeriscono in questi casi l’adozione<br />
profilattica della posizione di Mc Roberts in espulsivo. Altrettanto importante risulta la<br />
capac<strong>it</strong>à di riconoscere prontamente i segni della distocia di spalla, che tipicamente è caratterizzata<br />
dall’affiorare di guance e mento alla rima vulvare, con successiva retrazione del mento<br />
e mancata rotazione esterna dell’estremo cefalico. Quest’ultimo, nei casi più severi, si r<strong>it</strong>ira<br />
parzialmente in vagina dando es<strong>it</strong>o al cosiddetto “segno della tartaruga”. E’ in questo contesto<br />
che le normali manovre di assistenza al disimpegno delle spalle falliscono ed è proprio<br />
in questa s<strong>it</strong>uazione di emergenza che risulta fondamentale agire con calma, metodo ed organizzazione,<br />
e disporre di un piano d’azione non solo individuale, ma anche e soprattutto di<br />
gruppo. Un’azione d’equipe ben concertata può talora fare la differenza.<br />
Il primo passo da attuare consiste nel chiamare in aiuto il personale necessario a fronteggiare<br />
l’emergenza. Dovranno essere allertati il medico ostetrico e l’osterica più esperti nel team,<br />
il neonatologo e l’anestesista. Sarà inoltre necessaria la presenza di almeno due figure professionali<br />
di aiuto nell’attuazione delle manovre d’assistenza e nel controllo e registrazione di<br />
tempi e sequenza delle manovre utilizzate. Il medico più esperto avrà il comp<strong>it</strong>o di dirigere il<br />
team, mentre la gestante ed il partner andranno rapidamente informati su quanto si sta verificando<br />
e inv<strong>it</strong>ati alla collaborazione. È importante che la reazione al verificarsi della distocia<br />
di spalla sia supportata dalla massima freddezza emotiva e improntata ad un’azione di tipo<br />
contro-istintuale, che deve ev<strong>it</strong>are l’impulso alla trazione eccessiva, alla torsione sull’estremo<br />
cefalico ed alla pressione sul fondo dell’utero.Tali manovre sono infatti gravate da rischi più<br />
elevati di traumatismo sulla madre e sul feto, e sono, dal punto di vista fisiopatologico, contrarie<br />
alla logica e pertanto spesso inefficaci. L’eccessiva trazione verso il basso eserc<strong>it</strong>ata sull’estremo<br />
cefalico sembra infatti essere la causa più comune di danno iatrogeno a carico del<br />
plesso brachiale. Allo stesso modo la pressione fundica (manovra di Kristeller) è risultata nel<br />
77% dei casi causa di complicanze, non solo materne, ma anche fetali, specie di tipo neurologico<br />
ed ortopedico. Più efficace sembra invece essere l’applicazione della forza in modo graduale<br />
e continuo.<br />
Le manovre utilizzate per risolvere la distocia di spalla si fondano essenzialmente su tre<br />
principi d’azione. Alcune inducono un aumento delle dimensioni funzionali della pelvi (manovra<br />
di Mc Roberts, manovra di Gaskin), altre si basano sulla capac<strong>it</strong>à di ridurre il diametro bisacromiale<br />
del feto attraverso il movimento di adduzione della spalla verso il torace (manovre<br />
di Rubin I e II) o di modificare il rapporto tra diametro bisacromiale e pelvi ossea (manovre<br />
di rotazione interna), nel tentativo di ruotare le spalle spostandole dal diametro antero-posteriore<br />
dell’ingresso pelvico a quello obliquo, più favorevole. Nessuna di tali manovre<br />
ha dimostrato un’efficacia significativamente superiore alle altre. La sequenza con cui queste<br />
verranno applicate dipende pertanto dalla scelta e dalle ab<strong>it</strong>udini dell’operatore, nonchè dai<br />
protocolli d’azione stabil<strong>it</strong>i da ogni singolo Ist<strong>it</strong>uto, possibilmente sperimentati in periodiche<br />
simulazioni dell’emergenza in questione. È invece importante che le manovre vengano ese-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
gu<strong>it</strong>e in modo appropriato ed efficiente, ev<strong>it</strong>ando di persistere troppo a lungo su una singola<br />
manovra quando questa si riveli inefficace. Il giudizio clinico guiderà la progressione delle<br />
procedure usate.<br />
Analizziamo brevemente le manovre disponibili per risolvere la distocia di spalla.<br />
Manovra di Mc Roberts (Figura 1)<br />
Consiste nell’iperflessione, extrarotazione ed abduzione delle cosce della paziente, che deve<br />
trovarsi in posizione supina su superficie piana.Tale manovra determina la rotazione della<br />
sinfisi pubica verso l’alto e l’appianamento del tratto lombo-sacrale della colonna vertebrale,<br />
facil<strong>it</strong>ando la discesa della spalla posteriore sotto il promontorio sacrale. La conseguente flessione<br />
della colonna vertebrale fetale verso la spalla anteriore può aiutare a liberare quest’ultima<br />
dall’impatto contro la sinfisi pubica. Inoltre, la riduzione dell’angolo di inclinazione della<br />
pelvi determina uno spostamento del piano di ingresso pelvico che diventa perpendicolare a<br />
quello delle forze espulsive. Studi sperimentali hanno dimostrato che in questo modo si riduce<br />
la forza applicata per estrarre le spalle ed è minore lo stiramento a carico dl plesso brachiale.<br />
Proprio tali studi hanno inoltre dimostrato che l’applicazione lenta e graduale della forza<br />
permette di contenere il danno rispetto a trazioni di pari ent<strong>it</strong>à applicate in modo rapido<br />
e brusco.<br />
I tassi di successo descr<strong>it</strong>ti per questa manovra variano tra il 39 ed il 42% quando utilizzata<br />
come unico presidio, salendo al 54 - 58% quando combinata con la pressione sovrapubica.<br />
Per la semplic<strong>it</strong>à di esecuzione, la bassa traumatic<strong>it</strong>à sulla madre e sul feto e la buona efficacia<br />
nel risolvere i casi lievi-moderati di distocia di spalla, la manovra di Mc Roberts è dalla<br />
maggior parte degli Autori utilizzata e raccomandata come primo presidio terapeutico.<br />
Figura 1. Manovra di Mc Roberts<br />
Pressione sovrapubica<br />
Comunemente utilizzata in combinazione con la manovra di Mc Roberts al fine di aumentarne<br />
l’efficacia, l’applicazione di pressione in sede sovrapubica può essere utile a dislocare la<br />
spalla anteriore impattata contro la sinfisi materna.Tale pressione può essere applicata in direzione<br />
antero-posteriore (tecnica di Mazzanti) o laterale (tecnica di Rubin), quest’ultima da<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
65
66<br />
preferire per la sua capac<strong>it</strong>à di provocare l’adduzione, e quindi la riduzione, del diametro bisacromiale.<br />
La tecnica di Rubin prevede una preliminare valutazione della posizione del dorso<br />
fetale, e quindi l’applicazione della pressione sul lato posteriore della spalla anteriore del<br />
feto, con un movimento del polso dell’operatore laterale e verso il basso, in tutto simile al ciclo<br />
compressione/rilascio utilizzato durante il massaggio cardiaco (Figura 2).<br />
Figura 2. Pressione sovrapubica (manovra di Rubin I)<br />
Manovre di rotazione interna<br />
Comunemente successivo al tentativo di risoluzione della distocia di spalla con le manovre<br />
esterne, minimamente traumatiche, sopra descr<strong>it</strong>te, è il ricorso a manovre di rotazione<br />
interna. In questo contesto può rendersi necessaria l’esecuzione di un’episiotomia, che, per<br />
quanto inefficace nel risolvere la distocia, può essere tuttavia utile presidio nel garantire all’operatore<br />
un maggiore spazio di manovra. Anche per le manovre di rotazione interna, non<br />
esiste un ordine preferenziale di esecuzione, dipendendo quest’ultimo dalla valutazione “in fieri”<br />
da parte dell’operatore.<br />
Manovra di Rubin II<br />
Consiste nell’applicazione di una pressione diretta sulla spalla anteriore del feto per mezzo<br />
di due d<strong>it</strong>a dell’operatore poste in vagina a raggiungere il lato posteriore della spalla, che<br />
in questo modo viene ruotata, con un movimento di adduzione, verso il torace fetale (Figura<br />
3). Si riduce così il diametro bisacromiale e, allo stesso tempo, ruotando le spalle verso il diametro<br />
obliquo dell’ingresso pelvico, si favorisce il loro impegno.Tale manovra, per quanto logica<br />
sul piano fisiopatologico, risulta tuttavia spesso tecnicamente difficoltosa per la ristrettezza<br />
degli spazi a disposizione e l’impossibil<strong>it</strong>à di raggiungere la spalla anteriore, che si trova al<br />
di sopra della sinfisi pubica.<br />
Figura 3. Manovra di Rubin II<br />
Distocia di spalla<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
Manovra di Woods (Woods screw manouvre)<br />
Nel 1943 Woods, utilizzando per lo studio dei rapporti tra le spalle fetali ed il bacino materno<br />
un modello in legno, formulò l’ipotesi che un meccanismo analogo a quello dell’avv<strong>it</strong>amento<br />
potesse regolare la discesa delle spalle del neonato nella pelvi. Queste ultime, pur non<br />
riuscendo a discendere per semplice trazione o spinta dall’alto, potevano infatti essere agevolmente<br />
ruotate di 180° con un movimento di “sv<strong>it</strong>amento” tale da permettere l’attraversamento<br />
della pelvi senza trauma. Su queste basi Woods sviluppò la sua tecnica di estrazione,<br />
per cui, ponendo due d<strong>it</strong>a in vagina ed eserc<strong>it</strong>ando una pressione sul lato anteriore della<br />
spalla posteriore, questa viene ruotata ed estratta una volta raggiunto il diametro obliquo o<br />
dopo rotazione completa di 180° (Figura 4). In questo ultimo caso, la spalla posteriore si porta<br />
sotto la sinfisi pubica ed il movimento di rotazione si accompagna alla sua discesa ed estrazione<br />
agevole, cui segue quella della spalla anteriore, ora divenuta posteriore, precedentemente<br />
bloccata al di sopra della sinfisi e discesa al di sotto di questa durante il movimento di “avv<strong>it</strong>amento”<br />
delle spalle fetali.<br />
Figura 4. Manovra di Woods<br />
Tale manovra causa tuttavia l’abduzione della spalla fetale posteriore, provocando un indesiderato<br />
ampliamento del diametro bisacromiale. Per tale ragione Rubin ha proposto, a modifica<br />
della tecnica di Woods, la cosiddetta “manovra di Woods inversa”, in cui la pressione<br />
viene eserc<strong>it</strong>ata sul lato posteriore, anzichè anteriore, della spalla posteriore, portando all’adduzione<br />
della spalla stessa con riduzione del diametro bisacromiale (Figura 5).<br />
Figura 5. Manovra di Woods inversa<br />
Estrazione del braccio posteriore (manovra di Jacquemier)<br />
Ammesso che la spalla posteriore sia discesa nella concav<strong>it</strong>à sacrale, è usualmente possibile<br />
procedere all’estrazione del braccio posteriore. A tal fine, la mano dell’operatore viene<br />
inser<strong>it</strong>a profondamente in vagina lungo la concav<strong>it</strong>à sacrale, raggiungendo la spalla e l’omero<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
67
68<br />
Distocia di spalla<br />
del braccio posteriore del feto, che viene segu<strong>it</strong>o fino a livello del gom<strong>it</strong>o. Quest’ultimo viene<br />
quindi flesso, consentendo di afferrare l’avambraccio e, se possibile, la mano, che vengono<br />
trascinati all’esterno scivolando lungo il torace ed il viso del feto (Figura 6). Dopo la fuoriusc<strong>it</strong>a<br />
del braccio posteriore, la spalla anteriore può diventare accessibile per l’estrazione. In<br />
caso contrario, sostenendo la testa ed il tronco del neonato, si procede alla loro rotazione di<br />
180°, che porta alla discesa della spalla anteriore al di sotto dell’ingresso pelvico, fino alla concav<strong>it</strong>à<br />
sacrale, dove diventa accessibile per l’estrazione.Tali manovre possono essere associate<br />
alla frattura dell’omero e della clavicola, danni che tuttavia si risolvono senza sequele.<br />
Figura 6. Manovra di Jacquemier (estrazione del braccio posteriore)<br />
Cambiamento di posizione: Manovra di Gaskin (posizione carponi)<br />
La posizione carponi, da sempre adottata durante il travaglio ed il periodo espulsivo, è stata<br />
sugger<strong>it</strong>a come utile misura atta a risolvere la distocia di spalla grazie all’esperienza di<br />
un’ostetrica statun<strong>it</strong>ense che ne aveva osservato l’utilizzo da parte delle ostetriche indigene<br />
guatemalteche.<br />
Le basi teoriche a supporto dell’efficacia di tale manovra si fondano sulla sua capac<strong>it</strong>à di<br />
ampliare di 1-2 cm il diametro sag<strong>it</strong>tale dell’ingresso pelvico sfruttando la flessibil<strong>it</strong>à dell’articolazione<br />
sacro-iliaca, al contrario di quanto si verifica per la posizione l<strong>it</strong>otomica in cui la mobil<strong>it</strong>à<br />
posteriore del sacro risulta lim<strong>it</strong>ata.Allo stesso tempo, essa è in grado di sfruttare al meglio<br />
la forza di grav<strong>it</strong>à, che promuove in questa posizione la discesa della spalla posteriore al<br />
di sotto del promontorio sacrale. Proprio la spalla posteriore fuoriesce in questo caso per<br />
prima, dopo modesta trazione sull’estremo cefalico fetale. È inoltre possibile in questa posizione<br />
mettere in atto tutte le manovre già descr<strong>it</strong>te di rotazione interna ed estrazione del<br />
braccio posteriore fetale.<br />
Una casistica relativa all’analisi di 82 casi così trattati ha dimostrato un successo dell’83%,<br />
con un tempo medio di 2-3 minuti per l’espletamento del parto.<br />
Il tasso di complicanze materne e neonatali si è rivelato in questi casi estremamente basso<br />
(1.2% e 4.9% rispettivamente). La relativa “innocu<strong>it</strong>à” di tale intervento ed il suo elevato<br />
tasso di successo ne suggeriscono la sua applicazione in caso di fallimento delle tecniche di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
uso più comune, benchè l’esperienza relativa all’utilizzo di questa tecnica sia al momento lim<strong>it</strong>ata.<br />
Figura 7. Manovra di Gaskin<br />
Manovre di “ultimo ricorso”<br />
Quando le manovre precedentemente descr<strong>it</strong>te, esegu<strong>it</strong>e in modo appropriato, falliscono,<br />
la s<strong>it</strong>uazione si fa cr<strong>it</strong>ica. In questi casi il tipo di distocia di spalla che l’operatore si trova<br />
ad affrontare è infatti di grado severo, spesso caratterizzato dalla mancata discesa al di sotto<br />
dell’ingresso pelvico di entrambe le spalle, che risultano pertanto non raggiungibili da parte<br />
dell’operatore, con conseguente impossibil<strong>it</strong>à di attuazione di tutte le manovre interne. Sono<br />
state proposte, nel tentativo di risolvere queste circostanze disperate, alcune manovre altrettanto<br />
estreme, la più nota ed utilizzata delle quali è la manovra di Zavanelli.<br />
Riposizionamento cefalico (manovra di Zavanelli)<br />
Una sequenza inversa a quella fisiologica di espulsione della testa fetale viene messa in atto<br />
dall’operatore al fine di riposizionare in vagina l’estremo cefalico. A tal fine, quest’ultimo<br />
viene afferrato, intraruotato, flesso e quindi risospinto in vagina, anche se talora la testa tende,<br />
una volta ruotata, a r<strong>it</strong>irarsi spontaneamente all’interno del canale del parto (Figura 8).A<br />
tale riposizionamento fa segu<strong>it</strong>o l’estrazione del neonato mediante taglio cesareo. Alcuni<br />
Autori consigliano l’utilizzo di tocolisi o di miorilassanti durante la manovra. Per quanto considerato<br />
da molti un approccio eccessivamente radicale alla distocia di spalla, la manovra di<br />
Zavanelli ha tuttavia dimostrato nelle casistiche disponibili in letteratura una buona performance.<br />
L’analisi di Sandeberg su un’esperienza maturata in 12 anni ha infatti rilevato un tasso<br />
di successo del 92%. Nel 70% dei casi la manovra, per lo più effettuata da operatori senza<br />
precedente esperienza, veniva descr<strong>it</strong>ta come agevole. Se il riposizionamento avviene in<br />
tempi rapidi, l’ossigenazione fetale sembra inoltre mantenersi soddisfacente per tempi variabili<br />
dai 30 ai 70 minuti, con Apgar buoni alla nasc<strong>it</strong>a. Similmente, O’Leary e coll. hanno riportato,<br />
su 59 casi di applicazione della manovra di Zavanelli, un tasso di successo molto alto (solo<br />
6 casi andati incontro a fallimento), per lo più senza eccessiva morbid<strong>it</strong>à materno-fetale.<br />
Tuttavia, nei pochi casi andati incontro a complicanze, queste sono risultate severe, includendo,<br />
3 morti perinatali, 4 casi di convulsioni neonatali, 5 di paralisi permanente del plesso brachiale<br />
e 3 casi di isterectomia post-partum conseguente a rottura d’utero. Descr<strong>it</strong>ti in lette-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
69
70<br />
Distocia di spalla<br />
ratura sono inoltre il possibile verificarsi di danni cerebrali permanenti, un aumentato rischio<br />
di emorragia materna severa e di infezioni post-operatorie.<br />
Nonostante i rischi ed i dubbi relativi al ricorso a questa manovra, esperienze crescenti e<br />
pareri autorevoli sembrano comunque suggerire che essa possa essere presa in considerazione,<br />
come “ultima spiaggia”, nei casi refrattari all’applicazione delle manovre tradizionali, ricorrendovi<br />
comunque tempestivamente, in modo da ev<strong>it</strong>are tempi di latenza troppo prolungati<br />
e tentativi eccessivamente traumatici di estrazione vaginale. In caso di fallimento del tentativo<br />
di rotazione interna ed estrazione delle spalle fetali, quando all’esame clinico la spalla<br />
posteriore non sia discesa al di sotto del promontorio sacrale, il ricorso al riposizionamento<br />
cefalico può forse essere l’unica ed ultima risorsa disponibile.<br />
Figura 8. Manovra di Zavanelli<br />
Cleidotomia<br />
Numerose review sull’approccio alla distocia di spalla annoverano tra le misure possibili il<br />
ricorso alla frattura intenzionale della clavicola del feto. Non sono tuttavia disponibili casistiche<br />
relative alla performance di tale intervento. Nonostante la frattura della clavicola si verifichi<br />
accidentalmente in alcuni casi di distocia di spalla, è tuttavia nella pratica difficile riuscire<br />
deliberatamente a realizzarla. È inoltre presente in tale circostanza un potenziale rischio di<br />
trauma a carico del sottostante fascio vascolare succlavio, nonchè di creazione di un pneumotorace<br />
iatrogeno.Tale manovra andrebbe pertanto riservata solo ai casi in cui la morte del<br />
feto sia già sopraggiunta o quando questo presenti anomalie malformative incompatibili con<br />
la v<strong>it</strong>a.<br />
Salvataggio addominale<br />
Un approccio alternativo è stato descr<strong>it</strong>to per i casi, fortunatamente rari, in cui tutte le<br />
manovre, inclusa quella di Zavanelli, falliscono. Si tratta del ricorso al taglio cesareo, che consente<br />
alla spalla anteriore di “saltare fuori” attraverso l’incisione trasversale sull’utero e di essere<br />
successivamente ruotata in direzione del diametro obliquo della pelvi. Ciò permette di<br />
ampliare lo spazio disponibile alle manovre di estrazione del braccio posteriore, che viene<br />
trascinato all’esterno per via vaginale, con successiva espulsione attraverso il canale del parto<br />
dell’intero corpo fetale.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Distocia di spalla<br />
Sinfisiotomia<br />
Tal procedura, in grado di ampliare del 25% le dimensioni del bacino e largamente in uso<br />
in alcuni Paesi in via di sviluppo per casi selezionati di sproporzione feto-pelvica, è stata proposta<br />
come possibile soluzione a casi estremi di distocia di spalla.Tuttavia, non vi sono casistiche<br />
sufficientemente ampie che analizzino il ricorso a tale intervento a questo fine. I pochi<br />
dati disponibili derivanti da tentativi di utilizzo della sinfisiotomia in Paesi industrializzati riportano<br />
inoltre complicanze severe sia materne che neonatali. Considerata la scarsa familiar<strong>it</strong>à<br />
nell’esecuzione di tale intervento, sembra comunque impossibile proporre il ricorso alla sinfisiotomia<br />
nel mondo occidentale.<br />
Sequenza d’azione<br />
Per quanto, come già precedentemente accennato, non esista una sequenza d’applicazione<br />
delle manovre sopra descr<strong>it</strong>te significativamente più efficace, numerosi sono tuttavia gli approcci<br />
sistematici proposti per risolvere la distocia di spalla. Questi pur differenziandosi per<br />
l’ordine temporale in cui le singole manovre vengono applicate, si riconducono tutti alla prima<br />
e fondamentale necess<strong>it</strong>à di agire sulla base di una sequenza logica codificata e condivisa<br />
dal team, mantenendo nell’emergenza una sufficiente dose di calma e razional<strong>it</strong>à. Sono di segu<strong>it</strong>o<br />
riportati alcuni esempi di approccio sequenziale proposti a questo scopo, descr<strong>it</strong>ti nel<br />
testo ed<strong>it</strong>o dal Royal College of Obstetrics and Gynaecology br<strong>it</strong>annico sul management dell’emergenza<br />
ostetrica.<br />
L’Advanced Life Support in Obstetrics (ALSO) utilizza un acronimo facilmente memorizzabile<br />
per guidare il management clinico in tale s<strong>it</strong>uazione:<br />
HELPERR<br />
H - Help: chiamare aiuto<br />
E - Evaluate for episiotomy: valutare l’opportun<strong>it</strong>à di un’episiotomia<br />
L - Legs: manovra di Mc Roberts<br />
P - Pressure: pressione sovrapubica<br />
E - Enter: ricorso alle manovre di rotazione interna<br />
R - Remove the posterior arm: estrazione del braccio posteriore<br />
R - Roll: adottare la posizione carponi<br />
Un simile approccio mnemonico viene proposto da Magowan:<br />
PALE SISTER<br />
P - Prepare - have a plan: prepararsi all’evento e disporre di un piano d’azione<br />
A - Assistance: chiamare assistenza<br />
L - Legs: manovra di Mc Roberts<br />
E - Evaluate for episiotomy: valutare l’opportun<strong>it</strong>à di un’episiotomia<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
71
72<br />
Distocia di spalla<br />
S - Suprapubic pressure: pressione sovrapubica<br />
I - Internal rotation: manovra di Woods<br />
S - Screw: manovra di Woods inversa<br />
T - Try recovering postetrior arm: estrazione del braccio posteriore<br />
E - Extreme measure: misure estreme (Zavanelli, salvataggio addominale)<br />
R - Repair, record and relax<br />
Di fondamentale importanza è, al termine dell’accaduto, la corretta documentazione, che<br />
deve riportare tempi d’azione e manovre utilizzate, nonché un elenco del personale presente<br />
e, possibilmente, la valutazione del pH fetale esegu<strong>it</strong>a sul funicolo alla nasc<strong>it</strong>a.<br />
Sarà inoltre opportuno dedicare il tempo necessario a rivedere con i gen<strong>it</strong>ori quanto verificatosi<br />
e a discutere con essi la prognosi del neonato.<br />
Conclusioni<br />
Risulta evidente come la distocia di spalla sia una di quelle s<strong>it</strong>uazioni d’emergenza ostetrica<br />
in cui mancano evidenze certe sulla capac<strong>it</strong>à di predizione, sui mezzi di prevenzione e sul<br />
management più appropriato. Le raccomandazioni possibili in questo campo sono quindi basate<br />
sull’esperienza e su dati derivanti da studi osservazionali.Alcuni principi consistenti emergono<br />
tuttavia da tali dati. In primo luogo, non esistono fattori sufficientemente sensibili e specifici<br />
da poter essere utilizzati nella pratica clinica per predire e prevenire il verificarsi di tale<br />
evento. La presenza di fattori di rischio cumulativi può tuttavia giustificare, in casi selezionati,<br />
il ricorso al taglio cesareo elettivo o all’induzione profilattica del travaglio di parto.<br />
In secondo luogo, proprio perché la distocia di spalla si verifica in modo imprevedibile, è<br />
necessario disporre di un piano d’azione logico e condiviso all’interno di ogni Ist<strong>it</strong>uto, che permetta<br />
di essere preparati a far fronte all’emergenza nel migliore dei modi. A tal fine sembra<br />
raccomandabile l’organizzazione di periodiche sedute teorico-pratiche di training del personale<br />
di sala parto, con simulazione della s<strong>it</strong>uazione d’emergenza, al fine di testare la risposta<br />
del team a quest’ultima, mantenendo il necessario “allenamento mentale” dei comportamenti<br />
da tenere quando essa si presenta.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
L’ECOGRAFIA NELLE GRAVIDANZE<br />
DIABETICHE<br />
G. D’Ottavio, M. Bernardon, S. Inglese,T. Stampalja, M.Vessella, G. Rizza, A. Candiotto<br />
Un<strong>it</strong>à di diagnosi prenatale ed ecografia, Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
24 5<br />
È stato stimato che circa l’1% della popolazione generale delle donne in età riproduttiva,<br />
ha un diabete manifesto e che circa in un quarto dei casi si tratta di diabete insulino dipendente<br />
(IDDM). Inoltre il 2-5% delle donne non diabetiche, sviluppa in gravidanza una forma<br />
temporanea di diabete, chiamata diabete gestazionale: le donne maggiormente a rischio sono<br />
le obese o quelle di età superiore ai 35 anni, con storia familiare di diabete e/o che abbiano<br />
già avuto un figlio di peso superiore ai 4000 grammi alla nasc<strong>it</strong>a. Questa forma di diabete,<br />
generalmente regredisce dopo la gravidanza, anche se il 30-40% di queste donne svilupperà<br />
un diabete di tipo 2 dopo 5-10 anni (specialmente in caso di obes<strong>it</strong>à) 1 .<br />
Il diabete materno causa problemi fetali a vari livelli, e l’ecografia riveste un ruolo significativo<br />
nella diagnosi e nella gestione clinica della fetopatia diabetica nelle sue varie forme:<br />
- malformazioni congen<strong>it</strong>e<br />
- macrosomia fetale<br />
- mortal<strong>it</strong>à perinatale<br />
- alto rischio per distress respiratorio<br />
- r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino, nelle pazienti diabetiche con vasculopatia.<br />
Il contributo dell’ecografia è dunque essenziale nella:<br />
- Stima dell’epoca gestazionale<br />
- Valutazione delle malformazioni congen<strong>it</strong>e<br />
- Valutazione della cresc<strong>it</strong>a<br />
- Diagnosi e mon<strong>it</strong>oraggio del polidramnios<br />
- Valutazione dello stato di salute fetale.<br />
Stima dell’epoca gestazionale<br />
Il vantaggio di una stima accurata dell’epoca gestazionale è evidente per ciascuna gravidanza,<br />
ma diventa cruciale nelle gravidanze diabetiche, al fine della corretta interpretazione<br />
dei test biochimici di screening, della valutazione dei pattern di cresc<strong>it</strong>a, del timing degli eventuali<br />
esami invasivi e del parto.<br />
75
76<br />
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
I parametri biometrici utilizzati variano a seconda dell’epoca gestazionale, con la regola che<br />
quanto più è precoce la valutazione tanto più accurata è la datazione 2 .<br />
Il diametro medio del sacco gestazionale è utilizzabile dalla 5 a alla 7 a settimana con una<br />
accuratezza di ± 3,5 giorni (95° CL).<br />
La lunghezza cranio-caudale (CRL), misura più ampiamente documentata in letteratura, ha<br />
una accuratezza di ± 3-5 giorni e viene generalmente utilizzata dalla 7 a alla 12 a settimana 3 .<br />
Il diametro biparietale è il parametro biometrico di datazione a partire dalla 12 a settimana<br />
praticamente fino a termine, con sensibili variazioni di accuratezza rispetto all’epoca di valutazione,<br />
poiché le dimensioni della testa sono prevalentemente determinate dallo sviluppo<br />
del cervello, e meno risentono dei processi responsabili di un eventuale r<strong>it</strong>ardo di accrescimento.<br />
La sua pred<strong>it</strong>tiv<strong>it</strong>à infatti passa da ± 1,1 settimane tra la 14 a e la 20 a settimana, a ± 1,6 settimane<br />
tra 20-26 settimane, a ± 2,4 settimane a 26-30 settimane ed è di ± 3-4 settimane dopo<br />
la 30 a settimana. Combinando al DBP, l’occip<strong>it</strong>o-frontale (OFD) si ottiene, mediante formula,<br />
la circonferenza cranica (CC), che risente meno del DBP della forma della testa e quindi<br />
risulta un parametro leggermente più accurato di datazione, soprattutto dopo la 20 a settimana.<br />
L’accuratezza della lunghezza del femore (FL) è paragonabile a quella del DPB, dalla 14 a<br />
alla 20 a settimana, successivamente il suo valore si riduce in quanto risente maggiormente delle<br />
variazioni di cresc<strong>it</strong>a intrauterina.<br />
Ricap<strong>it</strong>olando:<br />
Accuratezza per epoca gestazionale<br />
EPOCA 5a-7a sett 7a-13° sett 14a-20a sett 20a- 26a sett 26a-30a sett<br />
M<br />
ISURA<br />
DMSG<br />
CRL<br />
DBP/CC<br />
FL<br />
± 3, 5 gg<br />
± 3 - 5 gg<br />
± 1,1 sett<br />
± 1,1 sett<br />
± 1,6 sett ± 2,4 sett<br />
Valutazione delle malformazioni congen<strong>it</strong>e<br />
Nella popolazione generale, la frequenza di anomalie congen<strong>it</strong>e maggiori è dell’1-3% dei<br />
nati vivi. Nelle donne con diabete conclamato e controllo glicemico subottimale prima della<br />
gravidanza, la probabil<strong>it</strong>à di anomalie strutturali è aumentata di 4-8 volte.<br />
La presenza di malformazioni congen<strong>it</strong>e è la causa principale di mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à perinatale<br />
delle gravidanze diabetiche. È stato ipotizzato che il controllo del diabete nelle prime<br />
7 settimane di v<strong>it</strong>a intrauterina sia cruciale per la prevenzione di queste anomalie strutturali,<br />
poiché questo è il periodo dell’organogenesi 4 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
La maggior parte delle lesioni riguarda il sistema nervoso centrale e l’apparato cardiovascolare.<br />
Il fatto che non vi sia un aumento di difetti congen<strong>it</strong>i in figli di padri diabetici, donne<br />
prediabetiche, e donne che svilupperanno diabete gestazionale dopo il primo trimestre<br />
è importante per poter affermare che il controllo glicemico periconcezionale sia il fattore<br />
principale nella genesi dei difetti congen<strong>it</strong>i correlati al diabete 5 .<br />
Quando la frequenza delle anomalie congen<strong>it</strong>e viene correlata al tasso dell’emoglobina<br />
glicosilata, nei casi in cui è normale o non superiore all’8.5% il tasso di malformazioni non<br />
eccede il 3.4%, mentre nelle pazienti con cattivo controllo glicemico nel periodo periconcezionale<br />
(HbA1C >8.5%) il tasso sale fino a 22.4%. Un tasso generale di 13.3% è stato riportato<br />
in 105 pazienti diabetiche, ma la probabil<strong>it</strong>à di partorire un figlio con malformazioni congen<strong>it</strong>e<br />
è comparabile a quello delle gravidanze normali, quando la concentrazione di HbA1C<br />
era inferiore al 7% 6 .<br />
È importante pertanto stabilire un controllo alimentare e metabolico in fase preconfezionale,<br />
poiché i difetti congen<strong>it</strong>i vengono determinati nelle prime 3-6 settimane dopo il concepimento.Trials<br />
clinici di metabolic care, hanno dimostrato che un normale tasso di malformazioni<br />
può essere ottenuto, con un attento controllo glicemico periconcezionale 7 .<br />
ANOMALIE CARDIACHE<br />
L’incidenza di malformazioni cardiache è più alta nel gruppo della madri in trattamento<br />
insulinico all’epoca del concepimento. I nati da madri diabetiche sviluppano spesso problemi<br />
respiratori che devono essere differenziati dai problemi cardiovascolari, che possono frequentemente<br />
avere (anomalie strutturali e cardiomiopatia ipertrofica) e dallo scarso adattamento<br />
alla v<strong>it</strong>a extrauterina di cui spesso soffrono 8 .<br />
1. Anomalie strutturali<br />
Il 5% dei nati da madri diabetiche presentano una malformazione cardiaca. Il rischio relativo<br />
più elevato si ha se la madre ha un diabete gestazionale e sviluppa insulino-resistenza<br />
nel III trimestre.<br />
Alcuni studi hanno dimostrato, usando i valori di HBA1c come indicatore del controllo<br />
diabetico materno, che non esiste una correlazione significativa tra le malformazioni ed il controllo<br />
diabetico, benché si pensi che proprio l’alterazione metabolica materna sia responsabile<br />
del tasso più elevato di queste malformazioni.<br />
I difetti cardiaci più frequentemente riscontrati includono: i difetti del setto interventricolare,<br />
la trasposizione dei grossi vasi e la stenosi aortica. Relativamente frequenti sono pure<br />
il truncus arteriosus e il ventricolo destro a doppia usc<strong>it</strong>a.<br />
2. Cardiomiopatia ipertrofica<br />
Mentre una cardiomiopatia ipertrofica sintomatica si riscontra nel 12,1% dei nati di ma-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
77
78<br />
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
dre diabetica, se cercata routinariamente con ecocardiografia, viene rilevata nel 30% dei casi.<br />
La massa e la contrattil<strong>it</strong>à del ventricolo sinistro sono aumentati, e c’è una ostruzione al<br />
tratto di efflusso sinistro con apposizione del lembo anteriore della m<strong>it</strong>rale al setto interventricolare,<br />
durante la sistole. L’output cardiaco è significativamente ridotto, secondariamente<br />
alla riduzione del volume di eiezione ed è direttamente proporzionale al grado di ipertrofia<br />
del setto.<br />
Questo ingrossamento asimmetrico, con un setto sproporzionatamente ipertrofico all’apice,<br />
è il risultato anabolico dell’iperinsulinemia fetale, determinato dall’iperglicemia materna<br />
durante il III trimestre. L’ipertrofia del setto è correlata con i livelli di emoglobina glicosilata<br />
materna, piuttosto che con la microsomia fetale.<br />
Considerato che la frequenza delle malformazioni cardiache è del 5% nei feti di madre<br />
diabetica e poiché una ecocardiografia fetale mirata è in grado teoricamente di diagnosticare<br />
il 90% delle cardiopatie congen<strong>it</strong>e maggiori, il diabete rappresenta una delle indicazioni<br />
principali all’ecografia di secondo livello alla 20 a e alla 32 a settimana di gravidanza 9 .<br />
MALFORMAZIONI SCHELETRICHE E DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE<br />
I feti di madre diabetica sono a rischio aumentato per i difetti del tubo neurale (DTN);<br />
infatti l’incidenza riportata di DTN nelle diabetiche è di 20:1000 contro 1-2:1000 nella popolazione<br />
generale. In particolare l’anencefalia si riscontra in 1:200 feti di madre diabetica,<br />
che è tre volte la prevalenza nella popolazione delle non-diabetiche 10 .<br />
La sindrome da regressione caudale o embriopatia diabetica focomelica, avviene in 2-5:<br />
1000 gravidanze diabetiche, con un tasso che è 200 volte superiore a quello che si riscontra<br />
nella popolazione generale. Si r<strong>it</strong>iene che un difetto nel mesoderma embrionario nella<br />
4 a settimana di gestazione sia responsabile dell’ipoplasia o assenza delle strutture caudali.Tra<br />
le anomalie encefaliche descr<strong>it</strong>te vi è anche la microcefalia, benchè il meccanismo non sia<br />
noto.<br />
ANOMALIE RENALI<br />
È descr<strong>it</strong>ta una incidenza aumentata di duplicazione ureterale, agenesia renale, ureterocele<br />
ed idronefrosi. L’agenesia renale con la relativa sequenza malformativa, è responsabile<br />
della significativa mortal<strong>it</strong>à in questa classe di anomalie 11 .<br />
ANOMALIE GASTROINTESTINALI<br />
Le anomalie fetali più frequentemente rilevate nelle gravidanze diabetiche sono: l’imperforazione<br />
anale, le atresie dell’intestino tenue, la sindrome del piccolo colon sinistro e l’atresia<br />
duodenale.Tra le anomalie minori ricordiamo, il s<strong>it</strong>us viscerum inversum e l’arteria ombelicale<br />
singola 12 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
Valutazione della cresc<strong>it</strong>a fetale<br />
Il rischio più consistente per il figlio di madre diabetica è comunque una alterazione della<br />
cresc<strong>it</strong>a, la macrosomia soprattutto o il r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino, in particolari s<strong>it</strong>uazioni.<br />
La macrosomia fetale è defin<strong>it</strong>a come peso alla nasc<strong>it</strong>a superiore ai 4500 grammi o superiore<br />
al 90° percentile per una determinata epoca gestazionale. Il vecchio lim<strong>it</strong>e dei 4000 g è<br />
stato superato visto l’incremento degli ultimi anni dei pesi alla nasc<strong>it</strong>a fisiologici 13 .<br />
Si pensa che l’eziologia della macrosomia sia determinata dall’iperinsulinemia fetale secondaria<br />
all’iperglicemia materna. Quest’ultima stimola il pancreas fetale ad aumentare la produzione<br />
e la secrezione di insulina. La macrosomia fetale diabetica è caratterizzata da una dispar<strong>it</strong>à<br />
del tasso di accrescimento dei vari tessuti. Il cervello non è sensibile all’iperinsulinismo e<br />
quindi non mostra la caratteristica accelerazione della cresc<strong>it</strong>a del tronco. Il tronco fetale tende<br />
ad essere più grande della norma sia per la cresc<strong>it</strong>a dei visceri che per la deposizione di<br />
tessuto adiposo. Anche gli arti mostrano una deposizione di tessuto adiposo. Proprio queste<br />
sono le caratteristiche biometriche per una diagnosi ecografica di macrosomia fetale 14 . Il biparietale<br />
infatti non è significativamente più grande di quello dei feti di madre non diabetica, e la<br />
diagnosi ecografica si basa soprattutto sulla misurazione della circonferenza addominale.<br />
Circa il 50% dei feti di madre diabetica, mostrano una circonferenza addominale (misurata<br />
a livello del dotto venoso), al di sopra della seconda deviazione standard tra la 28 a e la 39 a settimana,<br />
indicativa di una accelerazione dell’accrescimento fetale. Usando una ROC curve è stato<br />
stabil<strong>it</strong>o che il cut off per definire l’eccessiva cresc<strong>it</strong>a è di 1,2cm/per settimana tra la 32 a e<br />
la 39 a settimana. La misura quindi della sola circonferenza addominale può aiutare nel porre la<br />
diagnosi di macrosomia fetale. Gilby et al. hanno dimostrato che se la CA è inferiore a 35 cm,<br />
il rischio per un feto di avere un peso superiore a 4500 g è inferiore all’1%. D’altra parte se la<br />
circonferenza è di 38 cm o più, il rischio e del 37%, e più del 50% di questi feti sono stai così<br />
identificati 15 .<br />
Esistono numerose formule ed indici, per la previsione del peso fetale, e quelle più semplici<br />
danno risultati paragonabili a quelle più complesse, per quanto la maggior accuratezza si ottenga<br />
includendo anche la CA e la lunghezza del femore (FL) 16 .<br />
L’errore medio di stima del peso fetale è superiore nei feti macrosomi, aggirandosi, a termine,<br />
intorno al 15%, se lo confrontiamo con circa il 10% per i feti di peso normale. La presenza<br />
di diabete non cambia l’accuratezza della pred<strong>it</strong>tiv<strong>it</strong>à. Field et al. 17 hanno trovato che, indipendentemente<br />
dal peso della madre, quasi la metà delle previsioni di peso erano nell’amb<strong>it</strong>o<br />
del 5% rispetto al peso attuale 18 . Circa il 50-70% dei pesi stimati cadeva entro il 10% del<br />
peso attuale, superando il cut off di 4000 g nel 95% dei casi in cui la stima era uguale o superiore<br />
ai 4000 g. La ripetizione delle misure, non sembra accrescere l’accuratezza, a differenza<br />
della presenza del polidramnios. Sohaey 18 ha riportato che il 28% dei feti con polidramnios<br />
presenta un peso alla nasc<strong>it</strong>a superiore al 90° percentile, mentre l’oligoamnios, virtualmente<br />
esclude la macrosomia 19 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
79
80<br />
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
Considerato che l’obes<strong>it</strong>à fetale nelle diabetiche colpisce soprattutto il tronco, la distocia<br />
di spalle è la principale complicanza di questi feti, con un aumento dell’incidenza di questa patologia<br />
di 1,5 fino a 4 volte in tutti i sottogruppi di peso alla nasc<strong>it</strong>a tra i 4000 e i 5000 g 20 .<br />
Tuttavia 40-50% dei casi di distocia di spalla complicano la nasc<strong>it</strong>a di feti non-macrosomi,<br />
e 30-50% di tutti i casi di danni al plesso brachiale, avvengono senza distocia di spalla e in feti<br />
non-macrosomi.<br />
L’ecografia non è considerata abbastanza specifica nel predire la distocia di spalla, la sensibil<strong>it</strong>à<br />
e la specific<strong>it</strong>à non superano il 40 e il 75% rispettivamente, il che indicherebbe la necess<strong>it</strong>à<br />
di eseguire il taglio cesareo nel 25% delle pazienti per ev<strong>it</strong>are soltanto il 40% delle distocie<br />
di spalla 21 .<br />
Ci sono altre caratteristiche morfologiche che possono essere utilizzate per la diagnosi<br />
ecografica di macrosomia fetale come l’eccessivo depos<strong>it</strong>o di grasso sottocutaneo e la visceromegalia<br />
22 (fegato in particolare).Tra le misurazioni proposte ricordiamo quella del tessuto<br />
sottocutaneo omerale, ed il diametro guancia-guancia 23 . Al momento nessuna di esse sembra<br />
particolarmente convincente o sufficientemente validata su ampie casistiche 24 .<br />
Ancora oggi, la maggior parte degli studi conclude però che la valutazione clinica è paragonabile<br />
all’ecografia nel predire il peso alla nasc<strong>it</strong>a a termine, specialmente quando è al di<br />
sopra dei 4500 g 25 .<br />
A differenza della macrosomia, il r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a non è molto comune nella gravidanza<br />
diabetica; quando è presente è dovuto all’insufficienza utero-placentare secondario ad una s<strong>it</strong>uazione<br />
di vasculopatia. È stato postulato che il ridotto trasferimento dei nutrienti secondario<br />
alla vasculopatia e la diminuzione della risposta dei tessuti all’insulina siano tra le cause della<br />
ridotta cresc<strong>it</strong>a in alcune gravidanze diabetiche.<br />
Polidramnios<br />
Il polidramnios complica il 25% delle gravidanze in pazienti diabetiche manifeste, e il 13,4%<br />
di quelle con diabete gestazionale. Il polidramnios si instaura più frequentemente nelle pazienti<br />
con cattivo controllo glicemico. La poliuria fetale, secondaria all’iperglicemia, sembra contribuire<br />
all’istaurarsi del polidramnios 26 .<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio del benessere fetale<br />
Numerosi studi sull’utilizzo del Doppler per lo screening e la diagnosi delle complicanze<br />
fetali nelle gravidanze diabetiche hanno portato alle seguenti conclusioni:<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
1. Le resistenze al flusso nelle arterie uterine e nelle arterie ombelicali non sono correlate<br />
al controllo glicemico materno né a breve né a lungo termine 27 .<br />
2. L’impedenza al flusso nelle arterie uterine è normale anche nelle pazienti con nefropatia<br />
o vasculopatia.Tuttavia un aumento delle resistenze, come nelle pazienti non diabetiche,<br />
identifica un gruppo ad alto rischio per gestosi e/o r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterina 28 .<br />
3. L’aumento delle resistenze nelle arterie ombelicali è associato alla gestosi e/o al r<strong>it</strong>ardo di<br />
cresc<strong>it</strong>a. Le evidenze sono contradd<strong>it</strong>torie rispetto al possibile aumento di impedenza nelle<br />
gravidanze con vasculopatia 29 .<br />
4. Non vi è evidenza di redistribuzione nella circolazione fetale con riduzione del PI nella arteria<br />
cerebrale media e aumento di PI nell’aorta discendente. Ciò dipende presumibilmente<br />
dal fatto che nel diabete, ci possono essere fluttuazioni acute nel pH fetale, poiché quest’ultimo<br />
dipende dalla concentrazione del glucosio materno. Inoltre, a differenza dei r<strong>it</strong>ardi<br />
di accrescimento, gli squilibri metabolici possono produrre nel feto acidemia senza ipossemia.<br />
Perciò, la classica ridistribuzione (brain sparing) osservata nell’ipossemia da insufficienza utero-placentare,<br />
può non essere evidente anche in feti fortemente compromessi. È importante<br />
quindi non farsi ingannare da un reperto normale flussimetrico nella valutazione dello stato<br />
di salute del feto di madre diabetica.<br />
In conclusione<br />
La mortal<strong>it</strong>à perinatale nelle gravidanze complicate da diabete è diminu<strong>it</strong>a sensibilmente<br />
negli ultimi anni. L’outcome in genere, è migliore quando il controllo glicemico è ottenuto in<br />
fase preconcezionale ed in assenza di malattie vascolari materne.<br />
Quindi il mon<strong>it</strong>oraggio della gravidanza inizia molto precocemente e tutte le tappe dei<br />
controlli clinico-strumentali sono ormai assolutamente validate e riconosciute dalle maggiori<br />
società scientifiche di ostetricia e ginecologia 31 .<br />
Per quello che riguarda l’ecografia lo schema proposto, mediato dalle evidenze della letteratura,<br />
ha dimostrato anche nella nostra esperienza di coniugare l’efficacia dell’intervento<br />
con una ragionevole frequenza dei controlli.<br />
Valutazione fetale<br />
- Screening su siero materno (sindrome di Down e Difetti tubo neurale)<br />
- Ecografia I trimestre (datazione)<br />
- Ecografia 18-22 settimane (malformazioni, ecocardiografia)<br />
- Ecografie dalla 28 a settimana (cresc<strong>it</strong>a)<br />
- Dalla 28 a settimana mon<strong>it</strong>oraggio biofisico (Doppler- CTG...)<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
81
82<br />
L’ecografia nelle gravidanze diabetiche<br />
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83
84<br />
24 6<br />
DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
TERAPIA INSULINICA<br />
DEL DIABETE IN <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
L. Cattin<br />
Servizio di Diabetologia e Malattie Metaboliche - S.C. III Medica, Azienda Ospedaliero Univers<strong>it</strong>aria “Ospedali Riun<strong>it</strong>i di Trieste”<br />
Dobbiamo distinguere 2 condizioni: il diabete che precede la gravidanza e il diabete gestazionale<br />
vero e proprio, in cui la diagnosi viene posta per la prima volta durante la gravidanza.<br />
Oltre al diabete vero e proprio si debbono includere altre 2 condizioni rappresentate dall’intolleranza<br />
agli idrati di carbonio (IGT) e dall’alterata glicemia a digiuno (IFG). In ogni caso, qualunque<br />
ne sia il tipo vi è generale consenso sul fatto di mantenere la glicemia entro variazioni<br />
molto strette rappresentate da un glicemia a digiuno inferiore a 95 mg% con variazioni postprandiali<br />
non superiori a 120 mg%. Questi obiettivi non si possono raggiungere se non con<br />
il fine bilanciamento di dieta, attiv<strong>it</strong>à fisica e insulina. La dieta dovrebbe includere 3 pasti principali<br />
e 3 snack in modo da somministrare circa 30 kcal/kg di peso distribu<strong>it</strong>e in 40-50% circa<br />
di carboidrati, 15-20% di proteine e 30-35% di grassi. L’insulina diviene necessaria quando lo<br />
stile di v<strong>it</strong>a non è in grado di mantenere le glicemie giornaliere entro i lim<strong>it</strong>i indicati.<br />
Terapia insulinica<br />
L’insulina regolare è stata e continua ad essere la terapia di riferimento per ridurre le escursioni<br />
glicemiche postprandiali. Presenta tuttavia il difetto di non riuscire a controllare in modo<br />
adeguato il picco iperglicemico postprandiale, anche quando sia somministrata almeno 40’<br />
prima, e il rischio di ipoglicemia 2-3 ore dopo i pasti.<br />
Recentemente sono stati impiegati i cosiddetti analoghi dell’insulina, come lyspro o aspart,<br />
che offrono il vantaggio di un picco insulinemico rapido e di breve durata. Le preoccupazioni<br />
iniziali di aggravamento della retinopatia e di aumentato rischio di teratogenic<strong>it</strong>à sono cadute<br />
alla luce degli studi più recenti che hanno analizzato casistiche sufficientemente ampie.<br />
Le insuline ad azione intermedia, come l’insulina NPH, formano il cosiddetto fondo insulinemico<br />
che consente di mantenere costante la glicemia tra i pasti, la glicemia notturne e quella<br />
del cosiddetto “effetto alba”, che si manifesta con un aumento tra le 6 e le 9 am.<br />
La dose giornaliera di insulina viene determinata sulla base del peso corporeo aggirandosi<br />
attorno a 0.5 U/kg nel primo trimestre, 0.75 U/kg nel secondo e 1.0 U/kg nel terzo trimestre.<br />
Si tratta evidentemente di dosi soltanto indicative, essendo la dose giornaliera di insulina<br />
strettamente individuale, defin<strong>it</strong>a sulla base del fabbisogno reale.<br />
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Terapia insulinica del diabete in gravidanza<br />
Un’alternativa efficace per donne con diabete di tipo 1 è rappresentata dall’infusione continua<br />
sottocutanea di insulina mediante pompa di infusione. Questo modo di somministrare<br />
l’insulina in gravidanza rappresenta probabilmente il mezzo che più si avvicina alla secrezione<br />
fisiologica con una riduzione significativa delle ipoglicemie giornaliere e il miglior controllo della<br />
glicemia postprandiale e dell’effetto alba.Tra gli svantaggi vanno tenuti presenti, oltre al costo<br />
elevato dello strumento, il rischio di chetoacidosi per interruzione dell’infusione e le infezioni<br />
nel s<strong>it</strong>o di inserzione dell’ago.<br />
La chetoacidosi rappresenta probabilmente la complicanza acuta più grave del diabete in<br />
gravidanza. Oltre alla somministrazione di adeguati volumi di liquidi e di elettrol<strong>it</strong>i, per ridurre<br />
i tempi di recupero è indicata l’infusione endovenosa di insulina partendo da un bolo di<br />
10 U, segu<strong>it</strong>o dall’infusione costante di 0.15 U/kg/ora. La quant<strong>it</strong>à di insulina infusa viene quindi<br />
aggiustata sulla base delle glicemie orarie. Una volta ottenuto il controllo glicemico con regressione<br />
della chetonemia, si passa all’infusione sottocutanea di insulina regolare ogni 4 ore<br />
segu<strong>it</strong>a dal r<strong>it</strong>orno alla terapia ab<strong>it</strong>uale.<br />
La gestione della glicemia durante il parto non si discosta da quella sugger<strong>it</strong>a durante qualunque<br />
intervento chirurgico. È importante mantenere la glicemia stabilmente al di sotto di<br />
100mg%, ev<strong>it</strong>ando episodi di ipo e/o iperglicemia materni, per minimizzare il rischio di ipoglicemia<br />
neonatale. Per questo si preferisce ricorrere all’infusione continua di insulina certamente<br />
più agevole e sicura.<br />
Riassumendo<br />
Le gravidanze complicate dal diabete dovrebbero essere gest<strong>it</strong>e da un team multidisciplinare<br />
comprendente il diabetologo con il comp<strong>it</strong>o di individualizzare la dieta e la somministrazione<br />
insulinica. La combinazione di insulina ad azione rapida e di insulina ad azione intermedia<br />
è quella che meglio ricalca la secrezione fisiologica di insulina. La pompa ad infusione rappresenta<br />
un’eccellente alternativa in diabetiche ben motivate ed addestrate. In ogni caso è indispensabile<br />
mantenere la glicemia entro variazioni molto strette rappresentate da valori a<br />
digiuno inferiori a 95 mg% e postprandiali non superiori a 120 mg%.<br />
Letture consigliate<br />
1. Gonzales JL: Management of diabetes in pregnancy. Clin Obstet Gynecol 2002; 45: 165-169.<br />
2. Gamson K, Chia S and Jovanovic L:The safety and efficacy of insulin analogs in pregnancy. J Matern Fetal Neonatal Med<br />
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3. Lapolla A et al: Epidemiology of diabetes in pregnancy: A review of Italian data. Diab Nutr Metab 2004; 17: 358-367.<br />
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7 GRANDE PRETERMINE<br />
PARTO PRETERMINE.<br />
IL RUOLO DELL’AMNIOCENTESI<br />
M.T. Gervasi, S. Qualizza, M. Zannol, G. Bracalente, G. Favalli<br />
Un<strong>it</strong>a’ Operativa di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale “Ca’ Foncello”Treviso<br />
Introduzione<br />
Molte evidenze della letteratura indicano la presenza di un’associazione tra invasione microbica<br />
della cav<strong>it</strong>à amniotica, travaglio e parto pretermine 1 . L’infezione della cav<strong>it</strong>à amniotica<br />
è stata infatti descr<strong>it</strong>ta nel 21.6% delle pazienti con membrane integre e parto pretermine 2 .<br />
Essa è spesso di natura subclinica: infatti, i classici segni clinici di infezione quali febbre, dolenzia<br />
uterina, perd<strong>it</strong>e vaginali maleodoranti, tachicardia fetale e leucoc<strong>it</strong>osi materna si verificano<br />
di frequente tardivamente e sono presenti solo nel 12% dei casi 2 .<br />
Gli studi microbiologici sul liquido amniotico possono pertanto rivelarsi fondamentali per<br />
la diagnosi.<br />
L’identificazione precoce di un’infezione intrauterina è un obiettivo clinico certamente desiderabile<br />
poiché è noto che i nati da madri con infezione intra-amniotica sono a più alto rischio<br />
di complicanze infettive e non 2-5 . Inoltre le pazienti con infezione hanno un rischio più<br />
elevato di sviluppare corionamnion<strong>it</strong>i cliniche, rottura delle membrane ed endometr<strong>it</strong>i puerperali<br />
e di non rispondere alla terapia tocol<strong>it</strong>ica 1 .<br />
Fasi dell’infezione intrauterina<br />
Normalmente la cav<strong>it</strong>à amniotica è sterile, perciò l’isolamento di microorganismi dal liquido<br />
amniotico cost<strong>it</strong>uisce l’evidenza di una invasione microbica. I microorganismi possono raggiungere<br />
la cav<strong>it</strong>à amniotica e il feto attraverso una delle seguenti vie:<br />
1. risal<strong>it</strong>a dalla vagina e dalla cervice;<br />
2. diffusione ematica attraverso la placenta (infezione transplacentare);<br />
3. diffusione retrograda dalla cav<strong>it</strong>à per<strong>it</strong>oneale attraverso le tube di Falloppio;<br />
4. introduzione accidentale nel corso di procedure invasive quali amniocentesi, villocentesi, ecc.<br />
La via più comune di infezione intrauterina è quella ascendente 2,6 .<br />
È stato proposto un processo a quattro stadi per le infezioni intrauterine 6 .<br />
Il primo stadio consiste in un eccessivo sviluppo di microorganismi normalmente presenti<br />
nella vagina o nella presenza di microorganismi patologici (es. Neisseria gonorrhoeae) nella<br />
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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi<br />
vagina, nella cervice od in ambedue. La vaginosi batterica potrebbe cost<strong>it</strong>uire una manifestazione<br />
precoce del primo stadio.<br />
Una volta raggiunta la cav<strong>it</strong>à intrauterina, i microorganismi colonizzano la decidua (Stadio<br />
II). Una reazione infiammatoria localizzata porta alla decidu<strong>it</strong>e e un’ulteriore estensione della<br />
stessa determina la corion<strong>it</strong>e.<br />
L’infezione potrebbe poi interessare i vasi fetali (coriovascul<strong>it</strong>e) o proseguire attraverso<br />
l’amnios (amnion<strong>it</strong>e) in cav<strong>it</strong>à amniotica, portando all’invasione della cav<strong>it</strong>à amniotica (stadio<br />
III). La rottura delle membrane non cost<strong>it</strong>uisce un prerequis<strong>it</strong>o per questo fenomeno, dal momento<br />
che è stato dimostrato che i microorganismi sono in grado di attraversare le membrane<br />
integre.<br />
Una volta raggiunta la cav<strong>it</strong>à amniotica, i batteri potrebbero raggiungere il feto (stadio IV)<br />
tram<strong>it</strong>e differenti vie d’accesso. L’aspirazione di liquido infetto da parte del feto potrebbe portare<br />
alla polmon<strong>it</strong>e congen<strong>it</strong>a. Ot<strong>it</strong>i, congiuntiv<strong>it</strong>i e onfal<strong>it</strong>i sono infezioni localizzate che si verificano<br />
per diretta diffusione dei microorganismi dal liquido amniotico infetto. Una loro diffusione<br />
alla circolazione fetale potrebbe infine portare alla batteriemia ed alla sepsi.<br />
Frequenza e microbiologia dell’infezione intrauterina<br />
La frequenza delle infezioni della cav<strong>it</strong>à amniotica è diversa a seconda della presenza di<br />
travaglio, di dilatazione cervicale e dello stato delle membrane fetali.Varia dallo 0.4% delle pazienti<br />
nel II trimestre di gravidanza al 51.5% delle pazienti con incompetenza cervicale 2,7 .<br />
I batteri più comunemente isolati dalla cav<strong>it</strong>à amniotica, nelle donne con minaccia di parto<br />
pretermine e membrane integre ed in quelle con rottura prematura delle membrane sono<br />
U. Urealyticum, Fusobacterium spp e M. hominis 1-3,7,8 .<br />
Altri microrganismi individuati nel liquido amniotico sono Streptococcus Agalactiae,<br />
Peptostreptococcus spp, Staphylococcus aureus, Gardnerella vaginalis, Streptococcus viridans e<br />
Bacteroides spp. Occasionalmente sono stati riscontrati Lactobacillus spp., Escherichia coli,<br />
Enterococcus faecalis, N. gonorrhoeae e Peptococcus spp. Sono stati raramente identificati<br />
Haemophilus influenzae, Capnocytophaga spp. e Clostridium spp.<br />
Nel 50% delle pazienti con invasione microbica è stato isolato più di un microorganismo<br />
contemporaneamente. La carica batterica varia in maniera considerevole e nel 71% dei casi<br />
sono state riscontrate più di 100.000 UFC/ml.<br />
Il ruolo della Chlamydia Trachomatis come agente patogeno intrauterino non è stato ancora<br />
chiaramente delineato, probabilmente per la difficoltà di isolarlo dal liquido amniotico<br />
utilizzando le tecniche di coltura standard.<br />
L’uso della PCR per identificare specifiche sequenze del microorganismo potrebbe risultare<br />
utile alla soluzione di questo problema.Tale microorganismo è una causa importante di<br />
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cervic<strong>it</strong>i ed è stato isolato dal liquido amniotico. Un case report di polmon<strong>it</strong>e congen<strong>it</strong>a causata<br />
dalla C.Trachomatis suggerisce che questo microrganismo potrebbe essere implicato nell’infezione<br />
ascendente intra-amniotica.<br />
Il ruolo dei virus nell’eziologia delle corionamnion<strong>it</strong>i subcliniche e cliniche rimane non conosciuto.<br />
Al momento attuale non vi è sufficiente evidenza clinica e/o epidemiologica che le<br />
infezioni virali intrauterine siano implicate nella genesi del parto pretermine.<br />
Infezione batterica della cav<strong>it</strong>à amniotica nelle pazienti con minaccia di parto<br />
pretermine e membrane integre<br />
Secondo i dati derivanti da una revisione della letterattura che ha preso in esame 33 studi,<br />
la percentuale di colture di liquido amniotico risultate pos<strong>it</strong>ive per microorganismi, nelle<br />
pazienti con minaccia di parto pretermine e membrane integre è del 12.8% (379/2963).<br />
Generalmente le donne con coltura pos<strong>it</strong>iva non hanno evidenza clinica di infezione al momento<br />
dell’osservazione.Tuttavia sono più a rischio di sviluppare corionamnion<strong>it</strong>i clinicamente<br />
evidenti (37.5% vs. 9%), di insuccesso della terapia tocol<strong>it</strong>ica (85.3% vs. 16.3%) e di rottura<br />
spontanea delle membrane (40% vs. 3.8%) rispetto alle donne con coltura di liquido amniotico<br />
negativa.<br />
Molti studi hanno dimostrato che la quota di complicanze neonatali è superiore nei nati<br />
da donne con un’infezione batterica della cav<strong>it</strong>à amniotica; inoltre, tanto più precoce è l’epoca<br />
gestazionale al momento del parto, tanto più frequente è la presenza di infezione batterica<br />
della cav<strong>it</strong>à amniotica.<br />
Infezione batterica della cav<strong>it</strong>à amniotica nelle pazienti con PROM<br />
Nelle pazienti con rottura prematura delle membrane la percentuale di colture di liquido<br />
amniotico pos<strong>it</strong>ive per microrganismi è all’incirca del 32%.<br />
Le corionamnion<strong>it</strong>i clinicamente evidenti sono presenti nel 30% delle pazienti con un’infezione<br />
batterica accertata; tale percentuale è probabilmente sottostimata.Vi è evidenza che<br />
le donne con PROM associato a oligoamnios abbiano una elevata incidenza di infezione intra-amniotica.<br />
Negli studi effettuati sulla infezione intrauterina associata a PROM una possibile fonte di<br />
errore potrebbe derivare dal fatto che le donne con oligoamnios sono meno frequentemente<br />
sottoposte ad amniocentesi; inoltre le donne con PROM valutate in corso di travaglio non<br />
effettuano sol<strong>it</strong>amente l’amniocentesi ed hanno una percentuale più alta di infezione della cav<strong>it</strong>à<br />
amniotica rispetto a quelle con PROM fuori travaglio (39% vs.25%).<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi<br />
Infezione batterica della cav<strong>it</strong>à amniotica in pazienti<br />
con “incompetenza cervicale acuta”<br />
Le donne che prima della 24 a settimana presentano una dilatazione della cervice con<br />
membrane integre e sporadiche contrazioni hanno, per definizione, una incompetenza cervicale.<br />
Il 51% di queste pazienti risulta con coltura di liquido amniotico pos<strong>it</strong>iva e successivamente<br />
sviluppa complicanze quali rottura di membrane, corionamnion<strong>it</strong>i clinicamente evidenti<br />
o perd<strong>it</strong>a della gravidanza. Inoltre, l’infezione è frequentemente associata ad una incompetenza<br />
cervicale acuta.Tuttavia non è dimostrabile se l’infezione intra-amniotica sia la causa o<br />
la conseguenza della dilatazione cervicale. È possibile che una dilatazione cervicale clinicamente<br />
silente, con protrusione delle membrane in vagina, conduca secondariamente ad un’infezione<br />
intrauterina.<br />
Diagnosi di infezione intrauterina mediante lo studio del liquido amniotico<br />
Raccolta del liquido amniotico<br />
La modal<strong>it</strong>à di raccolta del liquido amniotico per effettuare analisi microbiologiche è molto<br />
importante. Le tecniche utilizzate sono l’amniocentesi transaddominale ed il prelievo transcervicale,<br />
che comporta la necess<strong>it</strong>à di pungere le membrane o di aspirare attraverso un catetere<br />
intrauterino. La raccolta di liquido amniotico transcervicale si associa ad un inaccettabile<br />
rischio di contaminazione con la flora vaginale ed è controindicata in caso di travaglio<br />
pretermine e nelle pazienti non in travaglio con PROM. L’analisi del liquido amniotico cost<strong>it</strong>uisce<br />
un metodo rapido per identificare uno stato infiammatorio intrauterino. Prelievi di liquido<br />
amniotico sotto guida ecografica sono virtualmente possibili in tutte le pazienti con travaglio<br />
pretermine con membrane integre ed in più del 90% delle pazienti con PROM.<br />
L’amniocentesi transaddominale rappresenta quindi il metodo di scelta per ottenere liquido<br />
amniotico da queste pazienti.<br />
Tests per la diagnosi di infezione della cav<strong>it</strong>à amniotica<br />
La coltura di liquido amniotico rappresenta certamente il gold standard per la diagnosi di<br />
infezione intrauterina.Tuttavia, anche in presenza di infezione intrauterina, la coltura può risultare<br />
falsamente negativa, ad esempio in caso di infezione virale. Inoltre i risultati delle colture<br />
microbiche possono richiedere giorni e non permettono di conseguenza decisioni rapide ed<br />
importanti sul piano clinico.<br />
L’ecografia consente di effettuare prelievi di liquido amniotico potenzialmente in tutte le<br />
pazienti. L’identificazione della flogosi intrauterina può essere rapida e precisa mediante la determinazione<br />
della concentrazione di glucosio e c<strong>it</strong>ochine e la conta dei globuli bianchi nel liquido<br />
amniotico.<br />
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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi<br />
Colorazione di Gram<br />
La colorazione di Gram è il test di diagnosi rapida più frequentemente usato per l’individuazione<br />
delle infezioni intraamniotiche ed è stato ampiamente utilizzato per prendere decisioni<br />
cliniche nelle pazienti a rischio per tali infezioni.<br />
Alcuni aspetti tecnici dovrebbero essere presi in considerazione per ottenere risultati ottimali<br />
con questo test. Lo striscio dovrebbe essere preparato con il liquido ottenuto direttamente<br />
dalla siringa poiché il tampone assorbe sia il liquido che le cellule riducendo quindi la<br />
probabil<strong>it</strong>à di osservare organismi in uno striscio o in coltura. L’uso di una c<strong>it</strong>ocentrifuga migliora<br />
la concentrazione dei batteri nel sedimento e probabilmente permette una più facile<br />
identificazione dei microrganismi.<br />
La colorazione di Gram, utilizzata come mezzo diagnostico per la ricerca di infezione della<br />
cav<strong>it</strong>à amniotica, mostra una sensibil<strong>it</strong>à del 49.5% (196/396), una specific<strong>it</strong>à del 97.5 %<br />
(1388/ 1423), un valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo del 79.4% (196/247) e un valore pred<strong>it</strong>tivo negativo<br />
dell’87.4% (1387/1587) 2-5,8,9 . La sensibil<strong>it</strong>à aumenta significativamente utilizzando un cutoff<br />
più elevato (>100.000 UFC/ml). È importante sottolineare come il Mycoplasma, frequentemente<br />
isolato nel liquido amniotico di pazienti con travaglio pretermine con membrane integre<br />
o con PROM, non sia evidenziabile all’osservazione con colorazione di Gram.<br />
Leucometria<br />
Nel liquido amniotico delle donne fuori travaglio si trovano raramente granuloc<strong>it</strong>i neutrofili.<br />
La loro presenza indica l’esistenza di una reazione infiammatoria, sol<strong>it</strong>amente causata dall’invasione<br />
microbica della cav<strong>it</strong>à amniotica. Numerosi studi hanno esaminato la capac<strong>it</strong>à della<br />
leucometria del liquido amniotico di identificare l’invasione microbica della cav<strong>it</strong>à amniotica<br />
in pazienti con travaglio pretermine e membrane integre e in pazienti con PROM. 7,10,11 .In<br />
uno studio di 195 casi di minaccia di parto pretermine e membrane integre, sottoposti ad<br />
amniocentesi per stabilire lo stato microbiologico della cav<strong>it</strong>à amniotica, il riscontro di una leucometria<br />
superiore o uguale a 50 cellule/mm 3 ha individuato una coltura pos<strong>it</strong>iva con una sensibil<strong>it</strong>à<br />
dell’80% e una specific<strong>it</strong>à dell’87.6% 10 . Sebbene la sensibil<strong>it</strong>à sia più elevata rispetto alla<br />
colorazione Gram (80% vs 48%, p < 0.05), la specific<strong>it</strong>à è risultata inferiore (87.6% vs 98.8%,<br />
p
Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi<br />
Concentrazione di glucosio nel liquido amniotico<br />
Il dosaggio del glucosio è stato largamente utilizzato nella diagnosi d’infezione in altri fluidi<br />
corporei (ad esempio nel liquido cerebrospinale, pleurico, sinoviale, ecc.) 11 . Questo dosaggio<br />
non richiede un’interpretazione sofisticata da parte di personale particolarmente esperto.<br />
La concentrazione di glucosio nel liquido amniotico è significativamente più bassa in pazienti<br />
con infezione della cav<strong>it</strong>à amniotica (identificata attraverso una coltura pos<strong>it</strong>iva di liquido<br />
amniotico o per la presenza di segni clinici d’infezione) e in pazienti con PROM che sviluppano<br />
un’infezione clinica 4,5,9 .<br />
Non è noto il meccanismo responsabile dell’abbassamento della concentrazione di glucosio<br />
in presenza di infezione; probabilmente è in relazione all’utilizzo di glucosio sia da parte<br />
dei microorganismi sia da parte dei leucoc<strong>it</strong>i 9 .<br />
La sensibil<strong>it</strong>à e la specific<strong>it</strong>à della concentrazione di glucosio per la diagnosi di infezione intraamniotica<br />
variano rispettivamente dal 57% all’87% e dal 51% al 100% a seconda del cutoff<br />
utilizzato in vari lavori clinici.<br />
Come nel caso della leucometria, il tasso di falsi pos<strong>it</strong>ivi è piuttosto alto (dall’8% al 48%).<br />
Concentrazione di IL-6 nel liquido amniotico<br />
Appare sempre più evidente che il parto pretermine, in caso d’infezione, è associato a<br />
drammatiche alterazioni nel liquido amniotico della concentrazione di numerose c<strong>it</strong>ochine,<br />
compresa l’IL-6.12 L’interleuchina-6 (IL-6) è uno dei maggiori mediatori implicati nella risposta<br />
all’infezione e nel danno tissutale. Questa c<strong>it</strong>ochina è una glicoproteina prodotta da un<br />
gran numero di cellule, ed in particolare fibroblasti, monoc<strong>it</strong>i/macrofagi, cellule endoteliali, cheratinoc<strong>it</strong>i<br />
e cellule stromali endometriali. L’espressione dell’IL-6 è indotta da diverse c<strong>it</strong>ochine<br />
associate alla flogosi, tra cui IL-1, Tumor Necrosis Factor, interferoni, prodotti batterici, virus e<br />
secondi messaggeri (diacilglicerolo, AMP ciclico e calcio) che attivano uno dei tre maggiori<br />
percorsi di trasmissione del segnale.<br />
L’IL-6 provoca importanti cambiamenti nello stato immunologico, biochimico e fisiologico<br />
dell’osp<strong>it</strong>e, tra cui la risposta delle proteine plasmatiche della fase acuta, l’attivazione dei linfoc<strong>it</strong>i<br />
T e Natural Killer, la stimolazione e l’aumento della produzione di immunoglobuline da<br />
parte dei linfoc<strong>it</strong>i B. Questo induce la produzione di proteina C reattiva (PCR).Tale fatto può<br />
essere importante nel contesto dell’infezione intraamniotica poiché studi clinici hanno indicato<br />
come nelle pazienti con PROM un aumento della PCR nel siero materno spesso precede<br />
lo sviluppo di una corioamnion<strong>it</strong>e clinica e l’insorgenza di un travaglio pretermine. Inoltre è<br />
stato dimostrato che l’IL-6 stimola la produzione di prostaglandine da parte dell’amnios umano<br />
e delle cellule stromali in colture primarie 13 .<br />
L’IL-6 è stata studiata come test rapido per l’individuazione di invasione microbica della<br />
cav<strong>it</strong>à amniotica 4 .<br />
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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi<br />
Le pazienti con coltura di liquido amniotico pos<strong>it</strong>iva hanno concentrazioni amniotiche di<br />
IL-6 significativamente più elevate delle pazienti con coltura negativa.<br />
Nelle pazienti con minaccia di parto pretermine e membrane integre una IL-6 di 11.3<br />
ng/ml ha una sensibil<strong>it</strong>à del 100% e una specific<strong>it</strong>à del 82.6% nell’individuazione dell’infezione<br />
intraamniotica 12 .<br />
Tra le pazienti con PROM un cutoff di 7.9 ng/ml ha una sensibil<strong>it</strong>à di 80.9% e una specific<strong>it</strong>à<br />
di 75%.4 Inoltre un IL-6 elevata rappresenta un fattore di rischio indipendente per la comparsa<br />
di complicanze neonatali 4 .<br />
È stato sugger<strong>it</strong>o un altro importante ruolo clinico dell’IL-6 nelle pazienti sottoposte ad<br />
amniocentesi nel secondo trimestre. Le concentrazioni di IL-6 nel liquido amniotico risultano<br />
infatti significativamente più elevate nelle pazienti che andranno incontro ad un aborto rispetto<br />
alle pazienti con es<strong>it</strong>o normale della gravidanza. Una concentrazione di IL-6 maggiore o<br />
uguale a 2.8 ng/ml è stata associata ad una Odds Ratio di 8.1 (95%, CI 1.9-36.3) di aborto 14 .<br />
Un preesistente processo infiammatorio subclinico potrebbe quindi rappresentare un importante<br />
fattore di rischio per l’interruzione della gravidanza dopo amniocentesi del secondo trimestre<br />
e questo è di notevole rilevanza clinica oltreché medico-legale.<br />
Comparazione fra i test utilizzati sul liquido amniotico per la diagnosi di infezione<br />
Sono state comparate le potenzial<strong>it</strong>à diagnostiche del dosaggio di IL-6, della concentrazione<br />
di glucosio, della leucometria e della colorazione di Gram nelle pazienti con minaccia<br />
di parto pretermine e membrane integre e nelle donne con PROM.<br />
Nelle pazienti con minaccia di parto pretermine e membrane integre l’IL-6 è risultato il<br />
test più sensibile nell’individuazione delle infezioni di liquido amniotico (100%), segu<strong>it</strong>a dalla<br />
concentrazione di glucosio (81.8%), dalla leucometria e dalla colorazione Gram (entrambe<br />
63.6%). Il test più specifico è risultato la colorazione Gram (99.1%), segu<strong>it</strong>a dalla leucometria<br />
(94.5%), dall’IL-6 (82.6%) e dal glucosio (81.6%).<br />
Nelle pazienti con PROM il dosaggio di IL-6 si è dimostrato il test più sensibile nel riconoscimento<br />
di infezione endoamniotica (80.9%) segu<strong>it</strong>o dalla leucometria, dal dosaggio del<br />
glucosio (57.1%) e dalla colorazione Gram (23.8%). La colorazione Gram si è dimostrata il<br />
test più specifico (98.5%) segu<strong>it</strong>a dalla leucometria (77.9%), dal dosaggio di IL-6 (75%) e dal<br />
dosaggio del glucosio (73.5%) 4 . Il dosaggio di IL-6 è risultato l’unico test a mostrare una correlazione<br />
indipendente tra intervallo amniocentesi-parto e probabil<strong>it</strong>à di complicanze neonatali.<br />
Sono stati fatti significativi progressi nello sviluppo di test rapidi per la diagnosi di infezione<br />
endoamniotica. Sebbene la determinazione dell’IL-6 nel liquido amniotico sembri essere<br />
superiore a qualsiasi altro metodo di diagnosi, l’uso della colorazione Gram, della leucometria<br />
e della concentrazione di glucosio rimangono a tutt’oggi elementi importanti di valutazione<br />
e utili ai fini delle decisioni cliniche.<br />
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Parto pretermine: il ruolo dell’amniocentesi<br />
Bibliografia<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
93
94<br />
8<br />
LO SCREENING INFETTIVO<br />
NELLA PREVENZIONE<br />
DEL PARTO PRETERMINE<br />
F. De Seta, E. Bianchini, S. Sacco, S. Smiroldo, A. Candiotto,V. Soini<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
GRANDE PRETERMINE<br />
Il parto pretermine (PP) è la principale causa di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à perinatale nei paesi<br />
industrializzati. Si stima che più dell’85% delle morti neonatali precoci, non causate da anomalie<br />
congen<strong>it</strong>e letali, siano legate alla prematur<strong>it</strong>à. Per quanto varie e disparate siano le ragioni<br />
di tal evento, la letteratura riconosce alle infezioni del tratto gen<strong>it</strong>ale un ruolo patogenetico<br />
sempre maggiore. Le infezioni acquis<strong>it</strong>e in gravidanza, in grado di determinare effetti<br />
dannosi sul feto e sul neonato rappresentano perciò uno dei problemi principali dell’ostetricia<br />
moderna. La molteplic<strong>it</strong>à delle interazioni tra difesa immun<strong>it</strong>aria materna ed agente patogeno,<br />
la non completa conoscenza dei meccanismi patogenetici di alcune infezioni, le diverse<br />
modal<strong>it</strong>à di trasmissione verticale ed il progressivo sviluppo del sistema immun<strong>it</strong>ario fetale<br />
spiegano l’ampia varietà di manifestazioni dell’insulto infettivo. Pur di fronte ad agenti patogeni<br />
conosciuti, la valutazione del rischio fetale legato sia al processo infettivo in sé che alla possibile<br />
tossic<strong>it</strong>à del trattamento farmacologico, lim<strong>it</strong>a il campo d’azione dell’ostetrico.<br />
In particolare, i microrganismi coinvolti nell’etiologia del PP possono raggiungere e colonizzare<br />
la cav<strong>it</strong>à amniotica ed il feto attraverso le seguenti vie:<br />
1. ascendente dal tratto cervico-vaginale;<br />
2. ematica con passaggio transplacentare;<br />
3. transtubarica;<br />
4. in maniera accidentale dopo amniocentesi, funicolocentesi o villocentesi.<br />
I batteri giocano un ruolo fondamentale nei meccanismi alla base di tale patologia. Essi<br />
possono, direttamente o indirettamente, determinare la conversione del nativo acido arachidonico,<br />
presente a livello amniotico, a prostaglandina E (PGE2) tram<strong>it</strong>e la produzione di fosfolipasi<br />
A2 e determinare di conseguenza l’insorgenza delle contrazioni uterine.Tra le diverse<br />
specie batteriche colonizzanti la vagina, infatti, il Bacteroides fragilis, Peptostreptococcus, il<br />
Fusobacterium, e lo Streptococcus viridans hanno, a differenza del Lactobacillus che ne è privo,<br />
la più alta attiv<strong>it</strong>à fosfolipasica.<br />
Secondo recenti studi, potrebbe esistere una via alternativa nella genesi della contrazione<br />
uterina. Il processo infettivo avrebbe un ruolo determinante nella produzione di endotossine<br />
(lipopolisaccaridi batterici) in alte concentrazioni.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
Le endotossine sono infatti capaci di stimolare la produzione amniocoriale di prostaglandine<br />
E2 (PGE2) seppur in maniera non sufficiente a determinare una regolare attiv<strong>it</strong>à contrattile.<br />
Probabilmente, si pensa che interverrebbe l’interleuchina-1 (IL-1), una monochina prodotta<br />
dalle cellule mononucleari in risposta alle endotossine e ad altri prodotti di degradazione<br />
batterica, a stimolare una ulteriore produzione prostaglandinica deciduale.<br />
L’importanza clinica dell’evento infettivo è però sempre determinata dall’interazione dell’agente<br />
patogeno (carica infettiva, sufficiente patogenic<strong>it</strong>à) con la risposta immun<strong>it</strong>aria dell’osp<strong>it</strong>e.<br />
Scarse e frammentarie sono, allo stato dell’arte, le conoscenze riguardo le difese immun<strong>it</strong>arie<br />
locali nella donna e le eventuali connessioni con le difese sistemiche. Certamente,<br />
in gravidanza, a fronte di una sorta di “tolleranza immunologica” evocata negli anni da diversi<br />
Autori, è oramai certo che esistono delle proprietà antibatteriche immunologiche locali. In<br />
particolare, il liquido amniotico esplica le sue proprietà antimicrobiche, specie verso funghi e<br />
batteri anaerobi, tram<strong>it</strong>e la produzione di diverse sostanze: lisozima, sistema zinco-fosfato, beta-lisina,<br />
peptidi cationici, transferrina, perossidasi, spermina, immunoglobuline.<br />
Risulta oggi provato che un’attivazione della rete immun<strong>it</strong>aria, c<strong>it</strong>ochino-mediata, è responsabile,<br />
forse in misura maggiore dell’attiv<strong>it</strong>à lesiva microbica, dell’innesco di un meccanismo “a<br />
cascata” che porta al travaglio inev<strong>it</strong>abile, anche quando la causa scatenante (ad es. l’infezione)<br />
viene eliminata. Elevati livelli di IL ad azione proinfiammatoria sono infatti osservabili tanto<br />
nel liquido amniotico, quanto nelle secrezioni cervicovaginali delle pazienti andate incontro<br />
a travaglio di PP, e tali livelli sono ancor più elevati in presenza di una concom<strong>it</strong>ante infezione<br />
intra-amniotica.<br />
In relazione a questa evidenza, ed in considerazione del fatto che spesso l’aumento di concentrazione<br />
delle c<strong>it</strong>ochine si associa ad insorgenza imminente del parto anche in assenza di<br />
un isolamento colturale pos<strong>it</strong>ivo all’amniocentesi, numerosi Autori hanno sugger<strong>it</strong>o che elevati<br />
livelli di alcune IL (IL-6, -8, -1) sia nel liquido amniotico che in vagina siano un marker<br />
estremamente affidabile dell’inev<strong>it</strong>abil<strong>it</strong>à del parto.Tali sostanze avrebbero una probabil<strong>it</strong>à maggiore<br />
di predire tale evento di quella forn<strong>it</strong>a dall’isolamento colturale dei microrganismi all’interno<br />
del sacco gestazionale. Da ciò consegue che la risposta dell’osp<strong>it</strong>e avrebbe il ruolo principale<br />
nel processo che conduce al parto, molto più della colonizzazione microbica.<br />
Quest’ultima, infatti, ha la possibil<strong>it</strong>à (ma non la certezza) di dare il via ad un meccanismo che,<br />
una volta innescato, diventa difficilmente arrestabile.<br />
Tanto la presenza dei microrganismi, quanto l’azione delle sostanze da questi prodotte (ad<br />
es. l’endotossina) stimolano infatti la produzione di c<strong>it</strong>ochine e chemochine ad azione proinfiammatoria,<br />
quali IL-1 (alfa e beta), IL-6, IL-8, TNFalfa, e molte altre, probabilmente con un<br />
ruolo minore. La cascata c<strong>it</strong>ochinica crea una s<strong>it</strong>uazione di autoamplificazione che difficilmente<br />
è possibile frenare. Sembra verosimile infatti che la produzione di endotossina sia in grado<br />
di indurre un’attivazione macrofagica sia a livello amniocoriale e deciduale, che a carico<br />
della cervice uterina. I macrofagi attivati elaborano c<strong>it</strong>ochine (in particolare TNFalfa ed IL-1)<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
95
96<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
che, agendo in modo paracrino, inducono la produzione di IL-6 a livello deciduale e di IL-8 a<br />
livello cervicale. L’IL-6, a sua volta, in associazione con l’IL-1 stimola l’attiv<strong>it</strong>à fosfolipasica e ciclossigenasica<br />
deciduale ed amniocoriale, con liberazione di PGE2 e PGF2a, in grado di generare<br />
l’attiv<strong>it</strong>à contrattile uterina. L’IL-1beta è in questo senso capace tanto di incrementare la<br />
produzione di PGE2, quanto di inibire la down-regulation dei recettori per questa sostanza<br />
(recettori EP1), causandone un’iperespressione.<br />
L’IL-8, invece, svolge a livello cervicale un’azione chemiotattica e attivatrice nei confronti<br />
dei neutrofili, provocandone la degranulazione, cui segue la liberazione di sostanze ad attiv<strong>it</strong>à<br />
proteasica e collagenasica che degradano la matrice extracellulare. Un’attivazione dei neutrofili<br />
è presente anche durante il travaglio di PP, ed è responsabile della dilatazione cervicale,<br />
provocata appunto dalla degradazione delle proteine strutturali della matrice.Vi sono evidenze<br />
che l’aumento dell’IL-8 nel segmento uterino inferiore durante il parto può essere indotto<br />
dalla presenza di IL-1beta e che proprio l’endotossina batterica stimolando la produzione<br />
di IL-1ß a livello cervicovaginale, può essere quindi indirettamente responsabile del “ripening”<br />
cervicale e del parto che a questo consegue.<br />
Normalmente, nel corso della gravidanza, si assiste ad un continuo riarrangiamento della<br />
matrice extracellulare, che deve resistere, ma anche adattarsi a pressioni e volumi crescenti<br />
all’interno del sacco gestazionale. Un continuo bilancio tra attiv<strong>it</strong>à proteasica (metalloproteasica)<br />
ed antiproteasica (inib<strong>it</strong>ori delle metalloproteasi) garantisce l’adattamento delle membrane<br />
amniocoriali al procedere della gravidanza. In prossim<strong>it</strong>à del termine, in risposta a segnali<br />
fisiologici (PG, PAF, endoteline, IL-1beta), si assiste ad un prevalere dell’attiv<strong>it</strong>à l<strong>it</strong>ica su<br />
quella inib<strong>it</strong>oria, in vista di una morte cellulare programmata e di una degradazione orchestrata<br />
della matrice che consentono l’espletamento del parto.Tale attiv<strong>it</strong>à, in corso di infezione,<br />
è ugualmente stimolata dalla presenza di IL-1beta.Tale sostanza, oltre che a livello cervicale,<br />
è prodotta quindi in abbondanza anche dalle membrane amniocoriali ed i suoi livelli intraamniotici<br />
si sono dimostrati un ottimo marker nel valutare la presenza di corioamnion<strong>it</strong>e<br />
e di un conseguente parto imminente.<br />
La c<strong>it</strong>ochina che si è dimostrata essere maggiormente correlata a tale evento, indice della<br />
progressione inarrestabile verso il parto, è tuttavia l’Il-6. Essa è rinvenibile in elevate concentrazioni<br />
tanto nel travaglio a termine che pretermine, e raggiunge livelli ancora superiori<br />
in corso di infezione intraamniotica. Anche l’IL-8 e il TNFalfa si sono dimostrati utili in questo<br />
senso. Anche l’IL-6 aumenterebbe in corso di infezione, diversi studi ne avrebbero proposto<br />
il dosaggio dalle secrezioni cervicovaginali nel sospetto di una corioamnion<strong>it</strong>e occulta (forse<br />
per lo stimolo batterico in vagina, forse per una produzione generalizzata da parte di tutto il<br />
tratto gen<strong>it</strong>ale, forse per un danneggiamento delle membrane amniocoriali con conseguente<br />
rilascio a livello intravaginale della sostanza) anche a livello del tratto gen<strong>it</strong>ale inferiore.<br />
È interessante notare come Romero et al. abbiano ripetutamente posto l’accento sulla partecipazione<br />
fetale alla risposta infiammatoria, tanto che secondo tali Autori, la produzione di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
sostanze c<strong>it</strong>ochiniche ad azione parto-inducente da parte del feto avrebbe un ruolo finalistico<br />
di difesa da un ambiente divenuto ostile. Il feto, attraverso la partecipazione al network c<strong>it</strong>ochinico,<br />
mette in moto i meccanismi necessari ad allontanarsi da tale ambiente e a preservare<br />
il proprio benessere.<br />
Molteplici dati hanno dimostrato un’associazione statisticamente significativa tra infezioni<br />
gen<strong>it</strong>ali ed outcomes sfavorevoli della gravidanza. Purtroppo defic<strong>it</strong>ari o metodologicamente<br />
non corretti sono la maggior parte degli studi esegu<strong>it</strong>i sulla nostra popolazione. Ciò non è di<br />
poco conto, se si pensa che la razza ed il livello socio-economico rappresentano fattori di rischio<br />
nell’acquisizione di molti agenti infettivi. Di conseguenza, i risultati di trials clinici, specie<br />
statun<strong>it</strong>ensi, non sono sempre applicabili e sovrapponibili alla nostra popolazione.<br />
COLONIZZAZIONE BATTERICA CORIO-DECIDUALE<br />
(esotossine-endotossine)<br />
RISPOSTA TESSUTI FETALI RISPOSTA SI MATERNO<br />
Membrane amniocoriali<br />
e placenta<br />
Feto Decidua<br />
Secrezione di ACTH<br />
Produzione di cortisolo<br />
Contrazioni uterine<br />
Diminu<strong>it</strong>a produzione<br />
di prostaglandino<br />
deidrogenasi corionica<br />
Aumentata produzione<br />
prostaglandine<br />
Indebolimento e rottura<br />
delle mebrane<br />
PARTO PRETERMINE<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
Aumento<br />
metallo-proteasi<br />
Rilascio di c<strong>it</strong>ochine<br />
e chemochine<br />
Infiltrazione neutrofila<br />
Dilatazione della cervice<br />
uterina<br />
97
98<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
Screening per la vaginosi batterica (VB)<br />
Numerosi studi hanno evidenziato negli anni più recenti una significativa correlazione della<br />
VB con outcomes ostetrici sfavorevoli ed in particolare con un aumentato rischio di PP,<br />
Prom, corioamnion<strong>it</strong>e, endometr<strong>it</strong>e post-partum ed infezioni post-cesareo. Anche gli outcome<br />
neonatali sono apparsi peggiori in presenza di VB, in quanto l’infezione sembra in grado<br />
di causare un r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterina (IUGR) del feto e la nasc<strong>it</strong>a di neonati di basso<br />
peso (LBW).<br />
Nel 1984, Eschenbach et al. per primi evidenziarono, in uno studio caso-controllo, l’associazione<br />
tra VB e LBW, verificando che l’outcome neonatale era significativamente peggiore<br />
nelle donne che risultavano affette da tale infezione (49% di LBW e PP rispetto al 25% nella<br />
popolazione di controllo, OR 3,1).<br />
Nel 1995 sono stati pubblicati i risultati statun<strong>it</strong>ensi di The vaginal Infection and prematur<strong>it</strong>y<br />
study group ottenuti dalla valutazione di 10.397 gestanti, arruolate per lo studio tra la 23a<br />
e la 26 a settimana di gravidanza. La presenza di VB in quest’epoca gestazionale si è dimostrata<br />
significativamente correlata con la nasc<strong>it</strong>a pretermine di LBW (OR=1,4). Sono stati confermati<br />
come fattori di rischio ulteriori per tale complicanza il fumo (OR=1,4), precedenti<br />
aborti spontanei (OR=1,7) e soprattutto, precedenti parti pretermine associati a LBW<br />
(OR=6,2).Tra le donne con VB inoltre, il rischio più alto di PP e LBW si associa alla presenza<br />
di Mycoplasma hominis e bacteroides (OR=2,1).<br />
Un ulteriore aspetto del problema riguarda la correlazione tra l’insorgenza di PP e l’epoca<br />
gestazionale in cui la VB viene diagnosticata. In uno studio long<strong>it</strong>udinale teso a valutare la<br />
presenza di VB in relazione all’epoca di gravidanza, Platz-Christiensen et al. hanno osservato<br />
che l’infezione è diagnosticabile più frequentemente nei mesi iniziali, con una elevata tendenza<br />
alla regressione con il progredire della gestazione. La VB è infatti risultata presente nel 16%<br />
delle donne esaminate al primo trimestre e di queste, il 58% ha dimostrato la scomparsa dell’infezione<br />
al secondo controllo, effettuato al terzo trimestre. Gli Autori hanno inoltre osservato<br />
che nessuna delle pazienti risultate negative al primo esame manifestava la comparsa dell’infezione<br />
al secondo controllo.Tali osservazioni suggeriscono quindi l’esistenza di condizioni<br />
sfavorevoli allo sviluppo di VB in epoca gestazionale avanzata, probabilmente in relazione al fisiologico<br />
aumento dei lactobacilli che si verifica progressivamente nel corso della gravidanza<br />
in relazione all’incremento dei livelli ormonali.<br />
Al contrario, Hillier et al. avevano precedentemente osservato la persistenza dell’infezione<br />
nell’88% della popolazione esaminata. La prima valutazione microbiologica, era stata tuttavia<br />
effettuata in questo caso tra le 23 e le 26 settimane e cioè in un’epoca gestazionale già<br />
abbastanza avanzata.<br />
È interessante notare come contemporaneamente a tali osservazioni emergeva l’evidenza<br />
di una stretta associazione tra la presenza di VB nel corso del primo trimestre e l’insorgenza<br />
di PP. Kurki et al., infatti, per primi avevano associato l’outcome sfavorevole della gravi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
danza con la diagnosi di VB in epoca precoce (8-17 settimane). Essi suggerivano che la presenza<br />
di infezione in questo periodo poteva essere pred<strong>it</strong>tiva di Prom e PP (OR=6,9 e 7,3<br />
rispettivamente), con una sensibil<strong>it</strong>à del 41-67% ed una specific<strong>it</strong>à del 79%.<br />
Nonostante l’elevato valore pred<strong>it</strong>tivo negativo (VPN) (96-99%), tale da permettere di<br />
escludere, almeno in parte, la possibil<strong>it</strong>à di insorgenza di queste complicanze in presenza di<br />
infezione, la VB risultava avere tuttavia un basso valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo (VPP) (4-11%) e<br />
quindi una capac<strong>it</strong>à pressoché nulla di stabilire, da sola, il reale rischio di comparsa di un outcome<br />
ostetrico sfavorevole. Nel 1993, inoltre, Riduan et al. avevano osservato che il rischio<br />
di PP nelle donne che presentano l’infezione tra la 16 a e la 20 a settimana era due volte maggiore<br />
rispetto a quello delle gestanti in cui la diagnosi veniva effettuata tra la 28 a e la 32 a settimana,<br />
e che l’associazione con un outcome ostetrico sfavorevole era significativa solamente<br />
per la VB diagnosticata precocemente nel secondo trimestre (OR = 2,0).<br />
Riduan suggeriva, come possibile spiegazione del fenomeno, che il PP potesse essere mediato<br />
da un’infezione ascendente del liquido amniotico da parte dei microrganismi VB associati,<br />
infezione che si verifica con maggiore frequenza proprio nel corso dei primi mesi di gravidanza.<br />
In questo modo si rafforzava l’evidenza dell’opportun<strong>it</strong>à di una diagnosi precoce e di<br />
un trattamento tempestivo dell’infezione, prima cioè che si vengano a creare le condizioni per<br />
una progressione irreversibile verso il PP. A tal propos<strong>it</strong>o, Gratacos et al. hanno recentemente<br />
osservato che la remissione spontanea della VB nel corso della gravidanza non si associa<br />
ad una diminuzione del rischio di Prom e PP.<br />
Gli Autori hanno chiamato in causa, per spiegare tale osservazione, la possibil<strong>it</strong>à che la VB<br />
si presenti in modo interm<strong>it</strong>tente, così come si può verificare durante il ciclo mestruale, anche<br />
nel corso della gravidanza e che l’assenza dell’infezione al secondo controllo sia in realtà<br />
solo temporanea.<br />
In alternativa, si può pensare che al momento della diagnosi i microrganismi possano essere<br />
già ascesi a livello cervicale e che quindi la catena di eventi che porta al PP si verifichi<br />
automaticamente ed indipendentemente dalla normalizzazione della flora a livello vaginale.<br />
Questo spiega perché il trattamento locale con clindamicina risulti, come vedremo, inefficace<br />
nel prevenire le complicanze ostetriche della VB, mentre la terapia orale sistemica, agendo anche<br />
su microrganismi eventualmente presenti a livello endouterino, è in grado di migliorare<br />
l’outcome della gravidanza.<br />
Appare dunque evidente alla luce dei numerosi lavori pubblicati lungo tutto l’ultimo decennio,<br />
l’esistenza di un’associazione tra la VB ed alcune complicanze ostetriche (PP, Prom, ed<br />
infezione/infiammazione delle membrane amniocoriali).<br />
Non è ancora stato completamente chiar<strong>it</strong>o su quali meccanismi si fondi tale correlazione.<br />
In particolare, in che modo i batteri o i loro prodotti enzimatici guadagnino l’accesso alla<br />
cav<strong>it</strong>à uterina e a che livello del tratto gen<strong>it</strong>ale essi diano l’avvio e mantengano i processi che<br />
conducono al travaglio ed al parto.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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100<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
Comunque stiano le cose, il risultato finale dipende da un’interazione complessa tra fattori<br />
di virulenza dei microrganismi ed i meccanismi di difesa, specifici ed aspecifici, dell’osp<strong>it</strong>e<br />
che possono contribuire, con un meccanismo autotossico o immunomediato, all’insorgenza<br />
del PP. McGregor ha infatti dimostrato un’elevata produzione da parte dei batteri VB associati<br />
di sostanze ad attiv<strong>it</strong>à enzimatica quali mucinasi e sialidasi. Esse sarebbero in grado, secondo<br />
l’Autore, di favorire l’ascesa dei batteri, normalmente presenti in vagina in corso di VB, verso<br />
il tratto gen<strong>it</strong>ale superiore; di facil<strong>it</strong>are l’adesione e l’invasione delle mucose e delle membrane<br />
amniocoriali da parte dei microrganismi stessi che a loro volta sarebbero in grado di<br />
causarne il danneggiamento mediante un’azione lesiva diretta (attraverso la produzione di altri<br />
enzimi e sostanze tossiche) o indiretta.<br />
Qualunque sia il loro meccanismo d’azione, tali sostanze sono state comunque osservate<br />
in concentrazione molto più elevata nelle pazienti affette da VB che nelle donne sane, tanto<br />
che la valutazione della loro presenza ad alti livelli nelle secrezioni vaginali, è stata proposta<br />
come metodo di diagnosi.<br />
Di particolare interesse risulta la recente osservazione dell’esistenza, tra le pazienti ginecologiche<br />
affette da VB, di due sottogruppi a differente pattern immun<strong>it</strong>ario. La sottopopolazione<br />
IgA-minus, che si caratterizza per la presenza di bassi livelli anticorporali in sede mucosale<br />
gen<strong>it</strong>ale e di alta attiv<strong>it</strong>à sialidasica Ig-degradante nelle secrezioni vaginali, potrebbe infatti<br />
risultare, se presente anche in gravidanza, quella a maggior rischio di outcomes ostetrici sfavorevoli.<br />
La dimostrazione dell’esistenza nelle gestanti VB pos<strong>it</strong>ive di post-partum pattern immun<strong>it</strong>ari<br />
simili a quelli osservati al di fuori della gravidanza e la valutazione della correlazione tra<br />
lo stato immune-minus e l’aumentato rischio di PP potrebbe permettere di comprendere almeno<br />
una parte dei meccanismi ancora oscuri che rendono alcune donne più “suscettibili”<br />
all’evenienza di un PP “idiopatico”.<br />
La possibil<strong>it</strong>à di definire l’esistenza di una popolazione ad alto rischio di complicanze ostetriche<br />
associate alla VB, potrebbe quindi consentire un’identificazione precoce ed una terapia<br />
efficace di tali pazienti.<br />
A tutt’oggi non è possibile proporre su basi razionali, una pol<strong>it</strong>ica di screening di massa<br />
delle gestanti per individuare e trattare un’eventuale VB, poiché non sono disponibili trials clinici<br />
randomizzati e controllati che ne dimostrino l’util<strong>it</strong>à. Ulteriori ricerche sono necessarie<br />
per confermare l’efficacia preventiva del trattamento della VB nelle gestanti asintomatiche a<br />
“basso rischio” di prematur<strong>it</strong>à. Inoltre, solo una lim<strong>it</strong>ata percentuale delle donne affette da vaginosi<br />
senza una storia precedente di gravidanze pretermine va incontro a tale complicanza.<br />
La comprensione dei meccanismi e dei fattori individuali responsabili dell’evoluzione negativa<br />
dell’infezione in alcune pazienti, potrà fornire utili informazioni che permettano di riconoscere<br />
la popolazione effettivamente ad alto rischio, indipendentemente da un’anamnesi ostetrica<br />
di precedente prematur<strong>it</strong>à.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
Screening per Chlamydia Trachomatis (Ct)<br />
L’infezione da Chlamydia Trachomatis rappresenta la più comune malattia a trasmissione sessuale<br />
negli Stati Un<strong>it</strong>i. Nel 2002 sono stati riportati dal CDC (Center for Desease Control and<br />
Prevention) di Atlanta ben 834.555 nuovi casi/anno d’ infezione da Chlamydia. Si stima infatti<br />
che nella popolazione americana le donne affette da tale infezione siano attualmente 455 ogni<br />
100.000 ab<strong>it</strong>anti. Da dati recenti emersi da studi effettuati su cliniche prenatali americane sembrerebbe<br />
esservi una prevalenza dell’infezione che si aggira attorno al 7.4% (range 1.5- 14.4%).<br />
La Chlamydia T. è un battere Gram negativo immobile delle dimensioni di circa 0.3 micron<br />
dotato di un peculiare trofismo per gli ep<strong>it</strong>eli congiuntivali e gen<strong>it</strong>ali umani, essendo responsabile<br />
di quadri patologici quali il tracoma ed alcune affezioni del tratto gen<strong>it</strong>ali tra cui uretr<strong>it</strong>i,<br />
cervic<strong>it</strong>i ed epididim<strong>it</strong>i. È attualmente dibattuto se il carriage materno di Chlamydia trachomatis<br />
sia associato ad un avverso outcome della gravidanza (travaglio e PP, IUGR, Prom).<br />
I motivi che rendono incerto il ruolo patogenetico della Chlamydia sono ascrivibili a diversi<br />
fattori, non concordanti, nei diversi studi: l’epoca gestazionale della diagnosi d’infezione,<br />
la metodologia diagnostica utilizzata, la dimensione del campione screenato, la suddivisione<br />
della popolazione in gruppi ad alto ed a basso rischio d’infezione (fattori clinici ed anamnestici),<br />
la coesistenza di altri patogeni cervico vaginali.<br />
L’interesse per l’infezione neonatale fu susc<strong>it</strong>ato sin dal 1990 da Halbertstaedter che, per<br />
primo, descrisse un caso di congiuntiv<strong>it</strong>e da corpi inclusi. Attualmente è noto che l’infezione<br />
fetale da Ct è presente nel 2-6% dei neonati e che le manifestazioni più frequenti sono rappresentate<br />
dalla congiuntiv<strong>it</strong>e da inclusi e dalla polmon<strong>it</strong>e interstiziale. La congiuntiv<strong>it</strong>e da inclusi<br />
o oftalmoblenorrea, è presente nell’1,1-4,4% dei nati vivi e si manifesta entro 7-14 giorni<br />
dal parto, colpendo, in media, il 30-40% dei nati infetti. La congiuntiv<strong>it</strong>e neonatale si realizza<br />
nel parto tram<strong>it</strong>e il contatto fra la mucosa cervicale infetta e la mucosa congiuntivale del<br />
neonato. Il periodo di incubazione varia dal 2° al 14° giorno di v<strong>it</strong>a postnatale e, se non trattata,<br />
tale patologia può persistere per 3-12 mesi. La polmon<strong>it</strong>e interstiziale da Ct, nel neonato<br />
e nel lattante, viene invece rifer<strong>it</strong>a prevalentemente in soggetti maschi dal 1° al 3° mese<br />
di v<strong>it</strong>a, si associa nel 20-25% dei casi a simultanea infezione da Cytomegalovirus, Pneumocystis<br />
carinii o Ureaplasma urealyticum, e può comparire tra le 6 settimane ed i 6 mesi dopo la nasc<strong>it</strong>a.<br />
Sono state anche segnalate localizzazioni all’orecchio medio ed al nasofaringe. I neonati<br />
affetti, inoltre, presentano spesso un basso peso alla nasc<strong>it</strong>a ed un rischio di mortal<strong>it</strong>à perinatale<br />
10 volte superiore alla norma.<br />
In genere l’infezione da Ct nel neonato presenta un diverso quadro clinico a seconda dell’epoca<br />
di insorgenza e dell’età del bambino. Più sono precoci queste condizioni maggiore è<br />
la grav<strong>it</strong>à del quadro clinico.<br />
L’incidenza di infezioni gen<strong>it</strong>ali causate da Ct in gravidanza è stata calcolata tra il 2 ed il<br />
30% con valori medi di poco inferiori al 10%. La trasmissione verticale di Ct dalla madre al<br />
prodotto del concepimento è una evenienza frequente e gravata, talora, da severe conseguen-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
101
102<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
ze per il neonato. La frequenza con cui l’infezione materna presenta un decorso pauci o asintomatico<br />
(fino all’85% delle gravide infette) accresce il rischio di trasmissione verticale e sottolinea<br />
l’importanza di programmi di screening per questo patogeno, a buon dir<strong>it</strong>to inser<strong>it</strong>o<br />
fra gli agenti del complesso TORCH. La frequenza di trasmissione verticale appare, anzi, la più<br />
elevata fra i patogeni TORCH, valutabile intorno al 40-60% dei casi. L’infezione contratta in<br />
gravidanza risulta spesso causa di aborto, Prom e PP. In generale i dati sulla prevalenza dell’infezione<br />
da Ct in gravidanza sono differenti per popolazioni diverse e per tipo di gruppo di<br />
pazienti.<br />
La possibile associazione tra Ct e PP è stata più volte postulata da diversi studi che hanno<br />
dimostrato:<br />
1. l’abil<strong>it</strong>à della Chlamydia a proliferare nelle cellule amniocoriali sino a causarne la morte;<br />
2. l’associazione della Ct con un processo infiammatorio mucopurulento, endocervicale, teoricamente<br />
responsabile del danno amniocoriale.<br />
Da diversi studi retrospettivi condotti su gravide con colture cervicali pos<strong>it</strong>ive per Ct, è<br />
emerso che il trattamento antibiotico può certamente ridurre, in maniera statisticamente significativa,<br />
l’incidenza di Prom e/o di PP, con un incremento del peso neonatale, senza tuttavia<br />
migliorare l’outcome neonatale.<br />
In virtù della frequenza dell’infezione e delle importanti complicanze ostetriche e neonatali,<br />
molti autorevoli Autori si sono chiesti se sia giustificato attuare un programma di screening<br />
in gravidanza. Da analisi costo beneficio è emersa l’importanza di ricercare la Chlamydia<br />
laddove la prevalenza dell’infezione sia maggiore al 5% e nelle gravidanze considerate “a rischio”<br />
ovvero in caso di:<br />
- Storia di outcome ostetrico sfavorevole<br />
- S<strong>it</strong>uazione socio economica precaria<br />
- Età materna < 25 anni<br />
- Perd<strong>it</strong>e ematiche durante il I-II trimestre di gravidanza (8% delle gravidanze)<br />
L’isolamento della Chlamydia in coltura cellulare da prelievi endocervicali ed uretrali è considerato<br />
il test di riferimento standard (sensibil<strong>it</strong>à stimata 90%, specific<strong>it</strong>à 100%). L’isolamento<br />
colturale della Chlamydia richiede laboratori altamente specializzati, in grado di garantire la<br />
qual<strong>it</strong>à dell’indagine. Le nuove tecniche di biologia molecolare (PCR, LCR) possono rendere<br />
la diagnosi più rapida, meno costosa e maggiormente affidabile in termini di specific<strong>it</strong>à e sensibil<strong>it</strong>à.<br />
Lo screening per la batteriuria asintomatica<br />
Le infezioni delle vie urinarie rappresentano una delle complicanze più frequenti della gravidanza,<br />
seconde solo all’anemia, potendo essere riscontrate nel 2- 10% delle gestanti; tra quel-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
le negative allo screening iniziale l’1-2% diventerà pos<strong>it</strong>iva per la ricerca dei microrganismi nelle<br />
urine nel corso della gestazione. È stato riportato un aumento della prevalenza della batteriuria<br />
asintomatica (circa 10-20%) nelle donne diabetiche ed in donne portatrici di anemia<br />
falciforme. Si definisce una batteriuria asintomatica la presenza di una conta batterica significativa<br />
(maggiore o uguale a 105 microrganismi/mL) nelle urine di una persona priva di sintomi.<br />
In gravidanza infatti il rischio di un’infezione ascendente è aumentato in virtù della dilatazione<br />
ureterale dovuta in parte all’effetto del progesterone e in parte alla compressione da<br />
parte dell’ utero gravido.<br />
Recentemente, tra i fattori predisponenti, è stata sottolineata l’importanza dell’adesiv<strong>it</strong>à<br />
batterica all’urotelio. Le difese naturali contro tale c<strong>it</strong>oadesione sono affidate sia alla risposta<br />
anticorpale mediata principalmente dalle IgA secretorie, che alla produzione uroteliale di sostanze<br />
glicoproteiche con funzione lubrificante e di protezione.<br />
In gravidanza e durante l’allattamento aumentano tali glicoproteine, ma vi può essere una<br />
depressione della risposta anticorpale. Dalla interazione di questi fattori possono instaurarsi<br />
i meccanismi di adesione batterica che cost<strong>it</strong>uiscono veri e propri caratteri di virulenza. Le<br />
complicanze della batteriuria asintomatica non trattata possono riflettersi sulla madre e sul<br />
prodotto del concepimento.<br />
In gravidanza il 13-27% delle donne con batteriuria asintomatica non trattata va incontro<br />
a pielonefr<strong>it</strong>i, che di sol<strong>it</strong>o richiedono il ricovero per la terapia. La batteriuria, durante la gravidanza,<br />
aumenta di 1,5-2 volte la probabil<strong>it</strong>à di partorire prima del termine, di avere un feto<br />
di basso peso alla nasc<strong>it</strong>a e può anche causare un aumento del rischio di mortal<strong>it</strong>à fetale<br />
e perinatale. L’esame più accurato per diagnosticare la batteriura è l’urinocoltura, ma le spese<br />
di laboratorio possono rendere questo esame troppo costoso affinché sia utilizzato come<br />
screening nelle popolazioni con bassa prevalenza di tale infezione. L’American College of<br />
Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda quindi di eseguire l’analisi delle urine<br />
comprensiva di esame microscopico e screening per le infezioni (TORCH) alla prima vis<strong>it</strong>a<br />
prenatale ed in segu<strong>it</strong>o con cadenza mensile/bimensile. Ulteriori indagini di laboratorio quali<br />
l’urinocoltura andrebbero effettuate qualora giustificate da reperti rilevati dall’anamnesi e dall’esame<br />
obiettivo della gestante.<br />
Lo screening per lo streptococco di gruppo B<br />
Lo streptococco beta emol<strong>it</strong>ico di gruppo B (GBS) rappresenta circa il 30% della flora saprof<strong>it</strong>ica<br />
vaginale. È uno dei più importanti agenti di infezione neonatale, con un rischio stimato<br />
attorno al 3% delle nasc<strong>it</strong>e e, un<strong>it</strong>amente all’Escherichia coli, è riconosciuto come uno<br />
degli agenti più comuni delle batteriemie e delle mening<strong>it</strong>i nei primi 2 mesi di v<strong>it</strong>a.<br />
A seconda del periodo di manifestazione dell’infezione si riconoscono 2 malattie neona-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
103
104<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
tali: la Early Onset (ad esordio precoce) e la Late Onset (ad esordio tardivo).<br />
La early onset che colpisce l’1-3% dei nati vivi, può determinare un tasso di mortal<strong>it</strong>à del<br />
50-60%. Caratterizzata prevalentemente da setticemia, riconosce come momento patogenetico<br />
la trasmissione verticale madre-figlio ed è associata frequentemente a Prom, prematur<strong>it</strong>à,<br />
parti distocici e febbre intra e post-partum.<br />
La malattia neonatale late onset, di minore grav<strong>it</strong>à si manifesta dopo la prima settimana di<br />
v<strong>it</strong>a, ha una prevalenza di 1,7 per 1000 nati vivi, non è dovuta a trasmissione verticale, ma<br />
orizzontale (prevalentemente nosocomiale) e non si associa a complicazioni ostetriche materne.<br />
La colonizzazione cervicovaginale in donne asintomatiche varia tra il 10 ed il 30%, con una<br />
prevalenza di infezione neonatale compresa tra il 38 ed il 70%, ma solo l’1-2% dei nati sviluppa<br />
la malattia. Nella madre lo Streptococco di gruppo B può causare infezione delle vie urinarie,<br />
corionamnion<strong>it</strong>i, batteriemie, morti endouterine, incrementando il rischio di PP. Nei casi<br />
di corionamnion<strong>it</strong>e, l’esame culturale segnala la presenza di una flora polimicrobica sebbene,<br />
nel 15% dei casi sia possibile reperire la presenza dello Streptoccocco di gruppo B come<br />
microbiota prevalente. In corso di batteriemia (incluse le pielonefr<strong>it</strong>i) il microrganismo più comunemente<br />
isolato è il GBS. Sfortunatamente, a differenza di quanto si osserva per altri batteri,<br />
i quali, se presenti in vagina permangono per tutta la gravidanza, il GBS è incostante.<br />
Gestanti pos<strong>it</strong>ive nel corso della gravidanza possono negativizzarsi al momento del parto, altre<br />
negative durante l’intero decorso della gravidanza divengono pos<strong>it</strong>ive al parto; altre ancora,<br />
infine, possono ricolonizzarsi dopo un trattamento antibiotico.<br />
In Letteratura tuttavia vi sono autorevoli studi che non r<strong>it</strong>engono la colonizzazione del<br />
basso tratto gen<strong>it</strong>ale femminile un fattore di rischio per il Parto Pretermine, ascrivendo piuttosto<br />
tale ruolo alla batteriuria asintomatica da GBS.Tale condizione, indipendentemente dall’epoca<br />
gestazionale deve essere trattata con terapia antibiotica al fine di scongiurare una possibile<br />
colonizzazione a livello gen<strong>it</strong>ale.<br />
Secondo la pol<strong>it</strong>ica d’azione del CDC di Atlanta il parto pretermine rientra tra i fattori di<br />
rischio clinici per l’infezione neonatale da GBS, pertanto tutte le gestanti a rischio devono essere<br />
sottoposte ad antibiotico terapia.<br />
Nel 1996 il CDC proponeva di agire attivamente contro l’infezione da GBS proponendo<br />
una strategia basata sia sull’utilizzo delle colture vaginale e rettale come primo determinante<br />
fattore di rischio che la strategia basata su fattori di rischio clinici, qui elencati:<br />
- Parto pretermine (< 37 settimane gestazionali);<br />
- pPROM (rottura pretermine e prematura delle membrane);<br />
- rottura delle membrane da più di 18 ore;<br />
- febbre intrapartum >38°;<br />
- precedente nato con infezione da GBS.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
Purtroppo, ad oggi, non esiste un protocollo universalmente riconosciuto e applicato e<br />
neanche trials clinici che comparino i due atteggiamenti.<br />
Il nostro comportamento si propone di instaurare una terapia antibiotica per la prevenzione<br />
dell’infezione neonatale da GBS sia attraverso l’esame colturale che attraverso la valutazione<br />
del rischio clinico.<br />
Colonizzazione retto-vaginale da GBS (pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à microbiologica tra le 35-37 sett.)<br />
Infezione neonatale in una gravidanza precedente<br />
Batteriuria da GBS nell’attuale gravidanza<br />
Stato microbiologico non noto, ma: EG 18h, febbre >38°<br />
Paziente non allergica Paziente allergica alla penicillina<br />
Penicillina G 5 milioniU ev, poi 2.5 ogni 4 ore fino al parto<br />
Ampicillina 2 gr ev, poi 1 ogni 4 ore fino al parto<br />
A basso rischio di anafilassi<br />
Cefazolina 2g ev, poi 1 ogni 4 ore fino al parto<br />
GBS sensibile<br />
Clindamicina 900 mg ev ogni 8 ore<br />
Er<strong>it</strong>romicina 500 mg ev ogni 6 ore<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
Ad alto rischio di anafilassi<br />
GBS resistente<br />
Vancomicina 1 g ogni 12 ore<br />
Lo screening per la sifilide<br />
La sifilide dovrebbe rappresentare, alle soglie del 2006, una reminiscenza del passato, una<br />
curios<strong>it</strong>à della letteratura. Nella realtà attuale ciò non si realizza, dai dati della WHO ogni anno<br />
la sifilide sarebbe responsabile di circa 460.000 aborti/morti endouterine, di circa 270.000<br />
casi di sifilide connatale e della nasc<strong>it</strong>a di circa 270.000 low-birth-weight/pretermine. Outcome<br />
ostetrici sfavorevoli sono 12 volte più frequenti in donne portatrici dell’infezione rispetto a<br />
donne sieronegative. Si calcola che nell’Africa sub-Sahariana circa 2 milioni o più di donne con<br />
105
106<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
sifilide attiva vadano incontro, ogni anno, ad una gravidanza di cui circa 1.640.000 misconosciuta.<br />
In alcune zone rurali dell’Est Europa e dell’Asia centrale si sta assistendo ad uno spaventoso<br />
incremento dell’infezione fino a percentuali di sieropos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à attorno al 3-18%. Nei<br />
paesi sviluppati la sieroprevalenza dell’infezione, nelle gestanti è sol<strong>it</strong>amente bassa, varia tra lo<br />
0,025 in Europa fino al 4,5% in alcune aree degli Stati Un<strong>it</strong>i.<br />
La sifilide è un’infezione batterica, causata dal Treponema pallidum, trasmessa per via sessuale<br />
o per via materno-fetale. La sifilide primaria causa ulcere a livello gen<strong>it</strong>ale, faringeo o<br />
rettale, mentre la forma secondaria è caratterizzata dalla presenza di lesioni cutanee contagiose,<br />
linfoadenopatia e condilomi.<br />
La disseminazione sistemica, compresa l’invasione del sistema nervoso centrale, avviene<br />
anche in fasi precoci di malattia e può divenire sintomatica a qualsiasi stadio della malattia. La<br />
patologia quindi evolve in una fase latente, clinicamente asintomatica, ma, se non trattata, in<br />
più di un terzo dei pazienti dà luogo a gravi gomme tardive e severe complicanze neurologiche<br />
(mening<strong>it</strong>e, neuropatia periferica, tabe dorsale, lesioni cerebrali meningovascolari e patologia<br />
psichiatrica) e cardiovascolari (principalmente patologia aortica: insufficienza, aneurismi,<br />
aort<strong>it</strong>e).<br />
Nel nostro paese l’infezione è spesso rappresentata da casi di importazione (prost<strong>it</strong>uzione,<br />
immigrazione) e, data la sever<strong>it</strong>à degli outcomes ostetrici, secondo le raccomandazioni<br />
dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) e del Center for Disease Control<br />
and Prevention si r<strong>it</strong>iene opportuno effettuare la sierologia, per la ricerca dell’infezione da<br />
Treponema pallidum, a tutte le donne durante la prima vis<strong>it</strong>a in gravidanza. Nelle gravidanze a<br />
“rischio” (tossicodipendenza, prost<strong>it</strong>uzione, giovane età,…) i test sierologici dovrebbero essere<br />
ripetuti durante il terzo trimestre di gravidanza e, di nuovo, al momento del parto.<br />
I test sierologici si classificano in esami non treponemici (VDRL-RPR) e treponemici. Gli<br />
esami non treponemici sono utilizzati per ricercare nei pazienti la presenza di reagine anticorpali<br />
aspecifiche che appaiono e aumentano di t<strong>it</strong>olo dopo il contagio. Benché la VDRL<br />
(Veneral Disease Research Laboratory) e la RPR (Rapid Plasma Reagin) siano gli esami non treponemici<br />
più frequentemente utilizzati, essi non sono gli unici esistenti.<br />
La sensibil<strong>it</strong>à di questi test varia a seconda del livello di anticorpi raggiunto nelle varie fasi<br />
di malattia: nelle fasi precoci della sifilide primaria, quando il t<strong>it</strong>olo anticorpale può essere<br />
così basso da non essere individuabile, il test può essere negativo e la sensibil<strong>it</strong>à del metodo<br />
è del 62-76%. I livelli di anticorpi aumentano col progredire della malattia e il t<strong>it</strong>olo di sol<strong>it</strong>o<br />
raggiunge il picco durante la sifilide secondaria, quando la sensibil<strong>it</strong>à dei test non treponemici<br />
si avvicina al 100%.<br />
Nella sifilide tardiva il t<strong>it</strong>olo diminuisce e il 25% dei pazienti reattivi divengono non reattivi;<br />
nella sifilide tardiva non trattata la sensibil<strong>it</strong>à del test è circa del 70%. Dato che i test sierodiagnostici<br />
non treponemici possono risultare falsamente pos<strong>it</strong>ivi, è necessario confermare<br />
tutti i risultati pos<strong>it</strong>ivi, nelle persone asintomatiche, con i più specifici test treponemici come<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
l’assorbimento anticorpale treponemico in fluorescenza (FTA-ABS) che ha una sensibil<strong>it</strong>à<br />
dell’84% nella sifilide primaria e di circa del 100% negli altri stadi, con una specific<strong>it</strong>à del 96%.<br />
Esistono altri due test di conferma meno costosi e più facili da effettuare: l’emoagglutinazione<br />
per gli anticorpi contro il Treponema pallidum (TPHA) e il test di emoagglutinazione treponemica<br />
per la sifilide (HATTS).<br />
I test treponemici non dovrebbero essere utilizzati per lo screening iniziale nei pazienti<br />
asintomatici, essendo decisamente più costosi e rimanendo pos<strong>it</strong>ivi in pazienti che sono stati<br />
trattati per una pregressa infezione. Utilizzati in combinazione con i test non treponemici,<br />
tuttavia, hanno un valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo alto e risultati pos<strong>it</strong>ivi sono probabilmente indicativi<br />
di un’infezione reale. I test treponemici possono anche essere utili nei pazienti in cui si<br />
sospetta una sifilide tardiva non pos<strong>it</strong>iva ai test non treponemici, dato che la diminuzione dei<br />
t<strong>it</strong>oli anticorpali è in grado di produrre dei falsi negativi.Tutti i risultati degli esami dovrebbero<br />
essere sempre valutati alla luce dell’anamnesi e della diagnosi clinica.<br />
Lo screening per la gonorrea<br />
Prematur<strong>it</strong>à, Prom, rottura prolungata di membrane, febbre materna intrapartum sono associati<br />
alla presenza della Neisseria gonorrhoeae a livello della cervice materna, o nell’aspirato<br />
gastrico neonatale, al momento del parto. I pochi dati disponibili inerenti a tale infezione, sono<br />
quasi esclusivamente statun<strong>it</strong>ensi. Infatti, dati sull’Europa, specie relativamente ai paesi anglosassoni,<br />
riportano prevalenze di infezione del tutto irrilevanti. Nella maggior parte dei casi<br />
l’infezione gonococcica in gravidanza decorre in maniera del tutto asintomatica. Quando<br />
presente, la sintomatologia include usualmente disuria e leucorrea. All’esame speculare può<br />
evidenziarsi una modica cervic<strong>it</strong>e con er<strong>it</strong>ema e perd<strong>it</strong>e muco-purulente.<br />
La forma più comune d’infezione in gravidanza, specie nel secondo e nel terzo trimestre<br />
è l’infezione gonococcica disseminata (DGI).Tale forma presenta due stadi clinici: uno stadio<br />
batteriemico precoce (febbre, lesioni cutanee ecc.) ed una fase settica artr<strong>it</strong>ica (effusioni sinoviali<br />
purulente). Manifestazione addizionale dell’infezione è rappresentata dalla “sindrome<br />
da infezione amniotica”, caratterizzata da Prom, PP e da un’alta percentuale di morbil<strong>it</strong>à infantile.<br />
Diversi studi hanno inoltre dimostrato una stretta associazione tra endocervic<strong>it</strong>e materna<br />
gonococcica non trattata e complicazioni perinatali quali PP, corioamnion<strong>it</strong>i, sepsi neonatali<br />
e sepsi materne post-partum. Probabilmente solo nelle popolazioni ove la prevalenza di<br />
infezione è ancora oggi significativa, sarebbe auspicabile uno screening antepartum nell’ottica<br />
di prevenire la morbil<strong>it</strong>à perinatale associata a questo microrganismo.<br />
L’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda di effettuare<br />
l’esame delle colture della cervice uterina in tutte le donne in gravidanza durante la prima vi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
107
108<br />
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
s<strong>it</strong>a prenatale solo se fanno parte delle categorie ad alto rischio per la gonorrea; l’ACOG e i<br />
CDC consigliano inoltre di ripetere il test nel terzo trimestre nelle donne ad alto rischio.<br />
Per categorie ad alto rischio si intende:<br />
- prost<strong>it</strong>ute;<br />
- donne con pregressi episodi di gonorrea;<br />
- giovani donne (età
Lo screening infettivo nella prevenzione del parto pretermine<br />
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35. PNLG linee Guida - Parte D. malattie Infettive. Cap.31-Screening per la batteriuria asintomatica.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
109
110<br />
9 GRANDE PRETERMINE<br />
L’ESITO A DISTANZA<br />
NEI NEONATI
L’es<strong>it</strong>o a distanza nei neonati 120 giorni 8 . Naturalmente, una ventilazione<br />
protratta può non essere la causa diretta di un outcome negativo, ma solo un marker di<br />
grav<strong>it</strong>à. I dati esistenti indicano una correlazione, non necessariamente un rapporto causa effetto.<br />
Nondimeno, la prognosi per neonati che richiedono una ventilazione artificiale protratta<br />
rimane scadente.<br />
Terapie<br />
Cortisone<br />
Nel tentativo di lim<strong>it</strong>are la durata della ventilazione meccanica e di ridurre la frequenza di<br />
BPD, il cortisone è stato estesamente impiegato in neonati pretermine ventilati.<br />
Il cortisonico più frequentemente impiegato è stato il Dexametasone. Le meta-analisi hanno<br />
dimostrato un certo effetto nel ridurre l’outcome combinato mortal<strong>it</strong>à/sopravvivenza con<br />
BPD 9,10 . Sfortunatamente l’uso del cortisone ha aumentato significativamente anche il rischio<br />
di handicap a distanza. L’impiego attuale dovrebbe essere ristretto a studi controllati o a s<strong>it</strong>uazioni<br />
cliniche molto gravi 11 . Non è al momento noto se l’influenza sull’handicap è propria<br />
di tutti i cortisonici o del solo Dexametasone.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
111
112<br />
L’es<strong>it</strong>o a distanza nei neonati
L’es<strong>it</strong>o a distanza nei neonati 3 weeks) postnatal corticosteroids for chronic lung disease in preterm<br />
infants. Cochrane Database Syst Rev 2003 (1): CD 001145<br />
10. Halliday HL, Ehrenkranz RA, Doyle LW. Moderately early (7-14 days) postnatal corticosteroids for chronic lung disease<br />
in preterm infants. Cochrane Database Syst Rev 2003 (1): CD 001144.<br />
11. American Academy of Pediatrics, Canadian Paediatric Society. Postnatal corticosteroids to treat or prevent chronic lung<br />
disease in preterm infants. Pediatrics 109:330-338,2002.<br />
12. Schmidt B, Davis P, Moddeman D, et al. Long term effects of indomethacin prophylaxis in extremely low birth weight<br />
infants. N Engl J Med 344:1966-1972,2001.<br />
13. Ment LR,Vohr BR, Makuch RW, et al. Prevention of intraventricular hemorrhage by indomethacin in male preterm infants.<br />
J Pediatr 145:832-834, 2004.<br />
14. Nelson KB, Dambrosia JM, Iovannisci DM, et al. Genetic polymorphism and cerebral palsy in very preterm infants.<br />
15. Blickstein I. Do multiple gestation raise the risk of cerebral palsy ? Clin Perinatol 31:395-408,2004<br />
16. Stoelhorst GM, Rijken M, Martens SE, et al. Changes in neonatology: comparison of two cohorts of very preterm infants<br />
(gestational age
114<br />
10 GRANDE PRETERMINE<br />
LA GESTIONE DELLA MINACCIA<br />
DEL PARTO PRETERMINE<br />
G.C. Di Renzo, A. Cutuli, R. Luzietti, A. Mattei*, S. Gerli<br />
Centro di Medicina Perinatale e della Riproduzione, S.C. di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Perugia<br />
*Casa di Cura S. Chiara di Firenze<br />
Premessa<br />
Il parto pretermine complica il 6-7% delle gravidanze e la sua incidenza è rimasta sostanzialmente<br />
immutata negli ultimi 30 anni ad evidenziare come gli sforzi fino ad ora esegu<strong>it</strong>i per<br />
cercare di prevenirlo abbiano modificato solo in minima parte la sua occorrenza.<br />
Il parto pretermine cost<strong>it</strong>uisce da solo una causa preponderante di morbid<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à<br />
perinatale. Le sue implicazioni sono di grande importanza. Il 75% delle morti neonatali,<br />
escludendo la patologia malformativa, sono dovute alla prematur<strong>it</strong>à. La possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza<br />
aumenta da meno del 5% prima della 23 a settimana a più del 95% dopo la 32 a settimana.<br />
Il rischio di handicap grave tra i neonati sopravvissuti dopo parto pretermine è ugualmente<br />
strettamente legato all’epoca gestazionale al parto essendo di circa il 65% per quelli<br />
nati prima delle 23 settimane a meno del 10% dopo la 30 a settimana.<br />
Una premessa fondamentale risiede nella necess<strong>it</strong>à di approfondire i molteplici meccanismi<br />
patogenetici alla base di tale sindrome in maniera tale da attuare una terapia eziologica.<br />
A fronte, dunque , di una eziopatogenesi multifattoriale, non risulta giustificabile né individuabile<br />
un trattamento unico per tutte le gestanti. È necessario, invece, riconoscere, modificare<br />
ed eliminare i fattori di rischio che sottendono tale sindrome nonché identificare e trattare<br />
precocemente le pazienti ad alto rischio. All’uopo distinguiamo varie fasi attraverso le quali<br />
attuare un protocollo di management del PP (parto pretermine) a seconda anche delle varie<br />
epoche gestazionali alle quali si manifesta una minaccia di parto pretermine (età gestazionale<br />
compresa tra 24 e 36 settimane, presenza di almeno 4 contrazioni uterine regolari della<br />
durata di 30 sec. in un intervallo di 30 min., dilatazione cervicale di 1-3 cm ed appianamento<br />
almeno del 50%) e/o si verifichino determinate condizioni richiedenti un intervento terapeutico.<br />
Individuare le condizioni causali e i fattori di rischio<br />
Il parto pretermine può essere considerato una sindrome che può essere secondaria a<br />
varie cause che giungono ad una via comune data dalla sequenza contrazioni uterine, modi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
ficazioni della cervice e attivazione dell’interfaccia amniocorio-deciduale.<br />
Per quanto le cause del parto pretermine queste sono spesso difficili da riconoscere.<br />
Schematicamente possiamo dividerle in due gruppi:<br />
1. Cause secondarie a patologia infiammatoria-infettiva<br />
Rappresentano circa il 25-40% delle cause come documentato da studi microbiologici sul<br />
liquido amniotico e istologici sulla placenta e le membrane. La via di infezione è in genere<br />
ascendente dalla vagina attraverso la cervice all’interfaccia amniocoriale. In condizioni particolari<br />
(sepsi materna) l’infezione può essere per via ematogena. I germi più frequentemente<br />
causa dell’infezione sono i micoplasmi, ureoplasmi e i batteri patogeni della flora vaginale.<br />
L’infezione determina la produzione da parte dei macrofagi e dei linfoc<strong>it</strong>i presenti nell’interfaccia<br />
amniocoriale di c<strong>it</strong>ochine che innescano una reazione a catena che es<strong>it</strong>a nella produzione<br />
di prostaglandine e leucotrieni con conseguente stimolazione dell’attiv<strong>it</strong>à contrattile, e<br />
l’attivazione di metalloproteinasi con funzione enzimatiche di elastasi e collagenasi che causano<br />
modificazioni a livello della cervice (maturazione o “ripening”) e la rottura delle membrane<br />
amniocoriali.<br />
2. Su base non infiammatoria.A sua volta riconosce varie cause:<br />
a. Sovradistensione uterina. È il caso delle gravidanza multiple o del polidramnios. La sovradistensione<br />
può di per se causare una attivazione delle interfaccia amniocoriale con<br />
la produzione di c<strong>it</strong>ochine che a loro volta possono innescare la reazione a catena sovraesposta<br />
b. Patologia della cervice. Possono essere secondarie a disturbi congen<strong>it</strong>i (es. cervice ipoplastica<br />
primaria o secondaria ad esposizione in utero a dietilstilbestrolo) o acquis<strong>it</strong>i da<br />
trauma chirurgico (conizzazione per lesioni della cervice uterina o dilatazioni strumentali<br />
della cervice per aborti ripetuti). La conseguenza è defin<strong>it</strong>a come “incompetenza<br />
cervico-istmica” che determina una prematura dilatazione e maturazione della cervice.<br />
Ciò può determinare o una rottura prematura delle membrane amniocoriali o una<br />
più facile infezione ascendente dalla vagina con conseguente scatenamento del parto<br />
pretermine.<br />
c. Ischemia o emorragia uteroplacentare. Studi istologici hanno dimostrato come in gravidanze<br />
con parto pretermine esiste una maggiore incidenza di anomalie della angiogenesi<br />
che avviene all’inizio della gravidanza a livello delle arterie spirali con conseguente<br />
maggior incidenza di aterosi e trombosi. L’ischemia che si determina e i fenomeni emorragici<br />
conseguenti sono in grado di attivare l’interfaccia amniocoriale con insorgenza del<br />
parto pretermine. Anche il distacco intempestivo di palecenta o le emorragie all’interfaccia<br />
amnio-corio-deciduale, attraverso l’aumento della trombina, possono attivare la<br />
cascata di produzione delle prostaglandine e determinare parto pretermine.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
115
116<br />
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
d. Autoimmune. La possibil<strong>it</strong>à dell’un<strong>it</strong>à fetoplacentare di svilupparsi nell’organismo materno<br />
rappresenta un modello unico di adattamento dell’organismo a degli antigeni estranei<br />
di origine paterna espressi dal feto. Anormal<strong>it</strong>à in questo meccanismo di adattamento<br />
possono portare alla comparsa di abortiv<strong>it</strong>à ripetuta o parto pretermine.<br />
e. Patologia allergica. L’utero contiene un gran numero di mastoc<strong>it</strong>i; l’istamina rilasciata da<br />
queste cellule causa contrazioni uterine ed una certa percentuale di gestanti con parto<br />
pretermine presentano nel liquido amniotico un alto numero di eosinofili.<br />
Purtuttavia, in oltre un terzo dei parti pretermine non si è in grado di identificare nessuna<br />
delle cause sovraesposte.<br />
La distinzione eziologica tra cause infettive e non infettive ha un notevole riflesso clinico<br />
in quanto la prognosi dei casi secondari ad infezione è sensibilmente peggiore. Infatti in presenza<br />
di infezione il rischio relativo di non rispondere alla terapia e partorire entro 48 ore è<br />
aumentato di 14 volte con conseguente aumento della mortal<strong>it</strong>à e morbos<strong>it</strong>à perinatale rispettivamente<br />
di 6 e 22 volte.<br />
La valutazione del rischio, basata su fattori clinici, ha una sensibil<strong>it</strong>à del 20-60% nel predire<br />
il parto pretermine. I più importanti fattori di rischio sono: la gravidanza multipla (rischio<br />
relativo superiore da 5 a 6 volte), storia pos<strong>it</strong>iva per parti pretermine (rischio relativo aumentato<br />
da 3 a 4 volte), sanguinamenti vaginali (rischio relativo 3 volte superiore). Di questi, i pregressi<br />
parti pretermine sono i più importanti. Un terzo dei parti pretermine tra 22 e 32 settimane<br />
di gestazione si verificano in donne con un pregresso parto pretermine. Più precoce<br />
è stato il primo parto pretermine, maggiore è la probabil<strong>it</strong>à che si verifichi di nuovo.<br />
MANAGEMENT PRENATALE<br />
Mira alla valutazione, riconoscimento e modificazione dei fattori di rischio. Gestanti a rischio<br />
per lo stile di v<strong>it</strong>a vanno sicuramente inquadrate in questa fase di management. A tal<br />
propos<strong>it</strong>o sono previsti una serie di accorgimenti, defin<strong>it</strong>i come interventi di supporto, miranti<br />
ad alleviare quelle condizioni di rischio con le quali le gestanti spesso interagiscono:<br />
- aiuto domestico;<br />
- aiuto in famiglia;<br />
- ostetriche/infermiere a domicilio;<br />
- assegnazione di assistenti sociali;<br />
- corsi di controllo dello stress;<br />
Altri consigli si rendono necessari per completare la fase di prevenzione:<br />
- riduzione e/o sospensione dell’attiv<strong>it</strong>à sessuale;<br />
- riposo a letto;<br />
- ev<strong>it</strong>are climi caldo-umidi;<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
- miglioramento della nutrizione (omega 3 e PUFA attraverso l’aumento delle diete con pesce<br />
di mare);<br />
- riduzione dell’attiv<strong>it</strong>à lavorativa;<br />
- riduzione dei lavori domestici e della cura dei bambini;<br />
- riduzione del fumo;<br />
- riduzione dello stress;<br />
- riduzione di viaggi, pendolarismo e trasferimenti.<br />
Eventuali patologie materne vanno considerate in questa fase e tra queste vanno annoverate<br />
la patologia infettiva del tratto gen<strong>it</strong>ale inferiore e l’incontinenza cervico-istmica. A tal<br />
propos<strong>it</strong>o si rendono necessarie:<br />
- valutazione cervicale: la maturazione cervicale è un processo metabolico attivo a carico della<br />
matrice extracellulare la cui espressione clinica è rappresentata dal raccorciamento e dalla<br />
dilatazione della cervice all’esplorazione vaginale ( esame dig<strong>it</strong>ale e valutazione ecografica<br />
per eventuale cerchiaggio profilattico);<br />
- screening microbiologico cervico-vaginale e pH vaginale: risulta ben evidente la correlazione tra<br />
la presenza di microorganismi nel tratto gen<strong>it</strong>ale inferiore ed infezioni gen<strong>it</strong>o-urinarie, rappresentate<br />
soprattutto da vaginosi batterica, pielonefr<strong>it</strong>e e batteriuria.<br />
Si rendono responsabili di tali patologie lo Streptococco di gruppo B, l’Ureaplasma urealyticum,<br />
la Chlamydia trachomatis, il Bacteroides, la Gardnerella vaginalis e l’Escherichia coli. Nelle gestanti<br />
spesso si determinano infiammazioni ascendenti dell’alto tratto gen<strong>it</strong>ale con partenza<br />
da infezioni del basso tratto riproduttivo e conseguenti complicanze gestazionali, rappresentate<br />
appunto dalla Rottura Prematura delle Membrane (RPM) e dal Parto Pretermine (PP).<br />
I mediatori attraverso i quali tali microorganismi si rendono responsabili delle complicanze<br />
sopra c<strong>it</strong>ate sono rappresentati dalle IL (interleuchine) 1a-1beta-4-6-8-10,TNFalfa e TGFbeta,<br />
prodotte dall’amniocorion, dalla decidua e/o dal sistema monoc<strong>it</strong>a macrofago a loro volta responsabili<br />
della produzione di PGF2a e PGF2, le prostaglandine che intervengono nello scatenamento<br />
del travaglio di parto.<br />
Le nostre strategie preventive devono mirare ad interrompere e/o impedire la sopra descr<strong>it</strong>ta<br />
cascata di eventi che, da infezioni gen<strong>it</strong>ali ascendenti, conduce dunque ad un processo<br />
infiammatorio endoamniotico con successive contrazioni uterine e rottura prematura delle<br />
membrane;<br />
- test biochimici per il dosaggio dei mediatori della risposta infiammatoria (IL-6 o IL-8,TNF±,<br />
PCR) e ricerca di enzimi di derivazione e/o attivazione batterica (sialidasi, metalloproteinasi)<br />
e glicoproteine di membrana (fibronectina fetale);<br />
- profilassi antibiotica precoce: il trattamento antibiotico in gestanti con minaccia di parto pretermine<br />
e membrane integre non determina un prolungamento della gravidanza, non riduce<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
117
118<br />
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
il rischio di parto pretermine e non migliora l’outcome perinatale se adottato in epoca tardiva<br />
di gestazione (il trattamento che interrompe il nesso di causa-effetto, rappresentato dalla<br />
cascata di c<strong>it</strong>ochine che modula l’attiv<strong>it</strong>à uterina, va effettuato in epoca precoce e/o in fase<br />
preconcezionale);<br />
- profilassi con glucocorticosteroidi (GC) per la prevenzione dell’immatur<strong>it</strong>à polmonare: risultano<br />
idonei al trattamento con glucocorticoidi tutti i feti tra 24 e 34 settimane a rischio di parto<br />
pretermine e possono essere somministrati alle pazienti candidate alla tocolisi.<br />
In assenza di corionamnion<strong>it</strong>e, il loro uso in epoca antenatale è raccomandato nella rottura<br />
pretermine prolungata delle membrane di feti a 30-32 settimane e in assenza di effetti collaterali<br />
materni.<br />
Le potenziali conseguenze a lungo termine dell’esposizione prenatale ai GC sullo sviluppo cerebrale<br />
così come i meccanismi fisiopatologici sottesi cost<strong>it</strong>uiscono un campo di ricerca in rapida<br />
espansione. I loro effetti non si lim<strong>it</strong>ano alla modificazione della concentrazione dei neurotrasmett<strong>it</strong>ori<br />
e del numero dei recettori, ma includono anche modificazioni della struttura<br />
cerebrale. È probabile che le modificazioni indotte dai GC sull’ippocampo durante lo sviluppo<br />
cerebrale abbiano conseguenze a lungo termine sul comportamento e sul sistema neuroendocrino.<br />
È stato accertato l’effetto vantaggioso sul neonato pretermine del trattamento prenatale<br />
con GC, ma gli effetti collaterali sul feto potrebbero manifestarsi tardivamente, e solo durante<br />
la v<strong>it</strong>a adulta.<br />
I dati indicano, al momento, cautela nell’uso di cicli ripetuti di GC in epoca antenatale, i cui<br />
rischi sono rappresentati da alterata tolleranza al glucosio, osteoporosi, inibizione del surrene,<br />
alterata cresc<strong>it</strong>a ed alterata mielinizzazione.<br />
È bene, dunque, procedere adottando alcuni precisi cr<strong>it</strong>eri:<br />
- usare un solo ciclo di betametasone<br />
- ev<strong>it</strong>are “profilassi” inutili<br />
- provare ad utilizzare una combinazione di farmaci, specialmente in epoche di gestazione<br />
molto pretermine<br />
- usare il farmaco tocol<strong>it</strong>ico appropriato e per un periodo lim<strong>it</strong>ato<br />
- considerare sempre la possibile eziologia del parto pretermine<br />
Data, dunque, la stretta associazione tra la presenza di patogeni cervicali e vaginali e la minaccia<br />
di parto pretermine, occorre identificare, con attenzione, le gestanti a rischio ed indagare<br />
il più precocemente possibile sulla presenza di microorganismi in queste pazienti.<br />
L’uso di test semplici e rapidi, quali il tampone vaginale e/o la valutazione del pH vaginale,<br />
così come il tempestivo e preciso trattamento delle infezioni vaginali e cervicali, è dirimente<br />
nel ridurre le alte mortal<strong>it</strong>à e morbos<strong>it</strong>à perinatali, dovute all’associazione tra patogeni e<br />
parto pretermine.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
“Identificazione” della minaccia di parto pretermine<br />
La minaccia di parto pretermine si identifica in base alla presenza di contrazioni uterine<br />
persistenti associate a dilatazione e/o raccorciamento della cervice. Si può definire il travaglio<br />
di parto pretermine in diversi modi ma, quello più usuale è la presenza di contrazioni uterine<br />
tra la 22 a e la 36 a settimana di gestazione ad un r<strong>it</strong>mo di 4 ogni 20 minuti o 8 in un’ora<br />
associate ad almeno uno dei seguenti elementi: progressive modificazioni del collo uterino o<br />
dilatazione cervicale ≥2 cm.<br />
Gestione clinica della minaccia di parto pretermine<br />
Il management clinico della minaccia di parto pretermine si basa sulla valutazione dei rischi<br />
materno-fetali in caso di proseguimento della gravidanza e in caso di parto. La prima cosa<br />
da fare è ricercare le cause del travaglio di parto pretermine e valutare il benessere fetale.<br />
La causa che determina il parto pretermine può anche compromettere la salute fetale (per<br />
esempio: distacco di placenta, oligoidramnios ecc.). Se la causa è un fatto infettivo o ischemico,<br />
il rischio di morbos<strong>it</strong>à perinatale aumenta rispetto al parto pretermine in cui non si trovino<br />
cause. La scelta di proseguire la gravidanza deve essere giustificata da una normale cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale e da un buono stato di salute fetale. Occorre, inoltre considerare l’età gestazionale:<br />
più precoce è l’età gestazionale, maggiore è il rischio di complicanze della prematur<strong>it</strong>à, per<br />
il neonato. Tutti questi fattori condizionano la scelta di r<strong>it</strong>ardare o meno il parto ma vanno<br />
sempre valutati un<strong>it</strong>amente allo stato di salute materna.<br />
I sintomi del travaglio di parto pretermine sono spesso aspecifici e non necessariamente<br />
sono gli stessi di un travaglio a termine. Per questo motivo, l’incidenza registrata di minacce<br />
di parto pretermine risulta superiore a quella dei parti pretermine veri e propri.<br />
In gestanti sintomatiche, i migliori segni clinici di parto pretermine entro una settimana dall’esordio<br />
sono: dilatazione cervicale ≥ 3 cm o raccorciamento ≥ 80%, perd<strong>it</strong>e ematiche vaginali,<br />
rottura delle membrane. La frequenza delle contrazioni uterine, considerata singolarmente<br />
come cr<strong>it</strong>erio diagnostico, ≥ 4/ora ha una bassa sensibil<strong>it</strong>à ed un basso valore pred<strong>it</strong>tivo<br />
pos<strong>it</strong>ivo per il parto pretermine entro 7-14 giorni dall’esordio.<br />
La somministrazione di farmaci tocol<strong>it</strong>ici per la frequenza delle contrazioni in assenza di<br />
altri elementi diagnostici, risulta inutile poiché non sussiste un reale travaglio di parto. Quindi,<br />
le gestanti con sintomi di travaglio di parto pretermine con dilatazione cervicale < 2 cm e/o<br />
raccorciamento < 80% rappresentano un dilemma diagnostico.<br />
Per migliorare l’accuratezza della diagnosi di travaglio di parto pretermine e ridurre il numero<br />
dei falsi pos<strong>it</strong>ivi, sono stati proposti due metodi: l’ecografia transvaginale e la ricerca della<br />
fibronectina fetale nelle secrezioni cervicovaginali. L’ecografia transvaginale consente di misurare<br />
la lunghezza del canale cervicale.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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120<br />
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
Diversi studi hanno dimostrato la superior<strong>it</strong>à diagnostica di questo metodo rispetto all’esame<br />
dig<strong>it</strong>ale nel predire il parto pretermine in gestanti con sintomatologia acuta. Una lunghezza<br />
cervicale ≥ 30 mm ha un alto valore pred<strong>it</strong>tivo negativo per parto pretermine in donne<br />
sintomatiche. L’attivazione dell’interfaccia amnio-coriale come già ricordato si associa con<br />
la liberazione di varie sostanze che possono essere evidenziate e dosate nei secreti cervicovaginali.<br />
Tra queste particolare significato assumono i dosaggi della fibronectina fetale (fFN).<br />
Una ricerca pos<strong>it</strong>iva per fFN in una paziente con contrazioni e dilatazione cervicale < 3 cm<br />
ha maggiore sensibil<strong>it</strong>à (90%) e valore pred<strong>it</strong>tivo negativo (97%) per il parto entro 7-14 giorni<br />
rispetto ai markers clinici standard ma il valore pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo per il parto pretermine<br />
entro 7-14 giorni è inferiore al 20% nella maggior parte degli studi. Questo test è quindi migliore<br />
per escludere un parto pretermine piuttosto che identificarlo.<br />
Il trattamento<br />
La tocolisi è il primo approccio terapeutico nel trattamento del parto pretermine insieme<br />
ai corticosteroidi che inducono e/o migliorano la matur<strong>it</strong>à polmonare e agli antibiotici<br />
somministrati spesso a scopo profilattico.<br />
Tabella I. Controindicazioni all’inibizione tocol<strong>it</strong>ica del parto pretermine<br />
Controindicazioni assolute Controindicazioni relative<br />
Ipertensione severa indotta dalla gravidanza Ipertensione cronica lieve<br />
Grave sanguinamento indipendentemente dalla causa Placenta previa stabile<br />
Corioamnion<strong>it</strong>e Malattie cardiache materne<br />
Morte fetale Ipertiroidismo<br />
Anomalie fetali incompatibili con la v<strong>it</strong>a Diabete mell<strong>it</strong>o non controllato<br />
Grave difetto di cresc<strong>it</strong>a fetale Distress fetale<br />
Anomalie fetali<br />
Lieve difetto di cresc<strong>it</strong>a fetale<br />
Dilatazione cervicale > 5 cm<br />
Molte di queste rappresentano delle controindicazioni relative per le quali si può tentare<br />
un trattamento tocol<strong>it</strong>ico qualora i rischi di una nasc<strong>it</strong>a pretermine e la morbos<strong>it</strong>à e la<br />
mortal<strong>it</strong>à ad essa associate siano alti e sia necessario un mon<strong>it</strong>oraggio materno-fetale intensivo.<br />
Condizioni materne mediche come, per esempio, il diabete mell<strong>it</strong>o, potrebbero essere<br />
influenzate negativamente da alcuni agenti tocol<strong>it</strong>ici come i beta-mimetici.<br />
Alcuni farmaci tocol<strong>it</strong>ici possono essere utilizzati nel caso in cui sia possibile effettuare,<br />
nell’immediato, un controllo glicemico. Piccoli sanguinamenti vaginali o spotting si associano<br />
spesso al parto pretermine dovuto a modificazioni cervicali ma potrebbero anche essere<br />
espressione di un parziale distacco di placenta. In questi casi, se non vi è distress fetale e il<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
tono uterino è normale si può tentare un trattamento tocol<strong>it</strong>ico, sotto stretta e continua<br />
osservazione.<br />
Se la cervice presenta una dilatazione superiore a 4-5 cm a trattamento tocol<strong>it</strong>ico già iniziato,<br />
si ha una scarsa probabil<strong>it</strong>à che la gravidanza prosegua per un periodo significativo.<br />
Comunque, questo tipo di pazienti viene osservato occasionalmente e la loro attiv<strong>it</strong>à uterina<br />
è molto sensibile al trattamento iniziale. Se la gravidanza è tra 22-26 settimane, un prolungamento<br />
di 1-2 settimane potrebbe influenzare significativamente l’outcome perinatale e l’uso<br />
dei tocol<strong>it</strong>ici viene preso in considerazione soprattutto nelle gravidanze gemellari. Quindi, prima<br />
di decidere di inibire il travaglio di parto pretermine, occorre considerare la grav<strong>it</strong>à dell’eventuale<br />
malattia associata, la personalizzazione dell’assistenza e gli agenti tocol<strong>it</strong>ici disponibili.<br />
I farmaci tocol<strong>it</strong>ici sono stati considerati il pilastro del management farmacologico primario<br />
del travaglio pretermine, sia come terapia d’attacco (bloccando le contrazioni uterine), sia<br />
come terapia di mantenimento (mantenendo la quiescenza uterina). La valenza di questi farmaci,<br />
purtroppo, è attenuata da molteplici potenziali effetti collaterali materno-fetali e neonatali.<br />
Gli agenti farmacologici tocol<strong>it</strong>ici attualmente in uso sono:<br />
- solfato di magnesio<br />
- inib<strong>it</strong>ori della sintesi di prostaglandine<br />
- calcio-antagonisti<br />
- agonisti beta-adrenergici<br />
- donatori di ossido n<strong>it</strong>rico<br />
- antagonisti dell’oss<strong>it</strong>ocina<br />
SOLFATO DI MAGNESIO<br />
Diversi meccanismi d’azione sono stati supposti. Alte concentrazioni di magnesio hanno<br />
un effetto centrale inib<strong>it</strong>orio, interferiscono con la liberazione di acetilcolina e quindi con la<br />
trasmissione nervosa. Il magnesio sopprime anche l’attiv<strong>it</strong>à contrattile di strisce miometriali<br />
isolate, in v<strong>it</strong>ro, in modo dose-dipendente, dimostrando un’azione cellulare diretta. Inoltre, è<br />
stato osservato che il magnesio eserc<strong>it</strong>a il suo effetto attraverso un incremento dell’AMP ciclico.<br />
Esso svolge anche un ruolo di antagonista compet<strong>it</strong>ivo del calcio: riduce il calcio intracellulare,<br />
elemento necessario nell’interazione actina-miosina per la contrattil<strong>it</strong>à della muscolatura<br />
liscia.<br />
La contrattil<strong>it</strong>à miometriale è inib<strong>it</strong>a per livelli materni sierici di magnesio di 5-8 mg/dl. Per<br />
concentrazioni di 9-13 mg/dl si possono perdere i riflessi tendinei profondi e per livelli superiori<br />
a 14 si ha depressione respiratoria. Il magnesio viene escreto perlopiù dal rene, con almeno<br />
il 75% della dose infusa (per il trattamento della pre-eclampsia) escreta durante l’infusione<br />
e almeno il 90% escreto entro le 24 ore.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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122<br />
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
La dose iniziale d’infusione raccomandata è di 4-6 g, somministrata endovena in più di 20<br />
minuti segu<strong>it</strong>a da una dose di mantenimento di 1-4 g/ora. La relazione tra la concentrazione<br />
sierica di magnesio e il successo della tocolisi non è ancora nota. Si raccomanda fortemente<br />
la t<strong>it</strong>olazione individuale in relazione alla risposta e agli effetti collaterali per valori superiori a<br />
8 mg/dl. La terapia endovenosa va continuata per circa 12 ore fino a che non si ha una riduzione<br />
delle contrazioni al di sotto di 4-6 all’ora.<br />
Poiché il trattamento con magnesio può causare edema polmonare, è importante un’attenta<br />
osservazione dell’apporto e dell’escrezione e, forse, ridurre l’intro<strong>it</strong>o totale di liquidi, come<br />
per i ß-mimetici, al di sotto di 1500-2500 ml al giorno. Si raccomanda un costante controllo<br />
dei riflessi tendinei ed un attento mon<strong>it</strong>oraggio dei livelli sierici di calcio e magnesio per<br />
ev<strong>it</strong>are gli effetti tossici. Nel caso in cui si manifestino effetti tossici da ipermagnesiemia, occorre<br />
somministrare prontamente il calcio gluconato (almeno 10 mg).<br />
INIBITORI DELLA SINTESI DI PROSTAGLANDINE<br />
Gli inib<strong>it</strong>ori della prostaglandino-sinteasi, agiscono inibendo la conversione dell’acido arachidonico<br />
a prostaglandine o bloccando l’azione della prostaglandine sugli organi bersaglio, e<br />
sono rappresentati soprattutto da indometacina, ketoprofone, sulindac e celocoxib.<br />
Uno dei maggiori problemi legati all’inibizione delle prostaglandine è la possibil<strong>it</strong>a di gravi<br />
effetti avversi sul feto, in particolare la chiusura del dotto arterioso fetale di Botallo, l’ipertensione<br />
polmonare neonatale, l’emorragia intraventricolare e la riduzione del flusso renale e l’oligoidramnios.<br />
Fortunatamente l’effetto fetale avverso risulta dose ed età gestazionale dipendente<br />
(>30 settimane).<br />
Diversi studi suggeriscono di lim<strong>it</strong>are l’uso dell’indometacina entro le 32 settimane di gestazione<br />
e, inoltre, l’ecocardiografia fetale potrebbe essere d’aiuto nel valutare l’eventuale restringimento<br />
del dotto arterioso in caso di trattamento con indometacina superiore alle 48-<br />
72 ore.<br />
La maggior parte degli studi ha utilizzato sia 50 mg o 100 mg per supposta rettale d’indometacina<br />
o 50 mg per os come dose d’attacco segu<strong>it</strong>a da 25-50 mg per os ogni 6 ore in base<br />
alla risposta.<br />
La tocolisi con indometacina deve essere lim<strong>it</strong>ata nelle donne prima delle 32 settimane di<br />
gestazione, senza difetto di cresc<strong>it</strong>a fetale e con liquido amniotico normale. La maggior parte<br />
degli Ostetrici la utilizza solo per 48-72 ore. Se si prosegue il trattamento per un tempo superiore,<br />
si raccomanda la valutazione del volume del liquido amniotico e del dotto arterioso.<br />
CALCIO-ANTAGONISTI<br />
I più recenti calcio-antagonisti sono stati presi in considerazione per un uso tocol<strong>it</strong>ico, per<br />
l’importante ruolo che il calcio libero c<strong>it</strong>oplasmatico riveste nella contrattil<strong>it</strong>à della muscolatura<br />
liscia.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
Farmaci come la nifedipina si pensa agiscano inibendo il flusso di ioni calcio attraverso la<br />
membrana cellulare, soprattutto interferendo con i canali voltaggio-dipendenti per il calcio.<br />
Come agenti tocol<strong>it</strong>ici sono state studiate sia la nifedipina che la nicardipina. La nifedipina<br />
raggiunge il picco plasmatico dopo 30-60 minuti dalla somministrazione orale e, in meno tempo,<br />
dopo somministrazione sublinguale. L’emiv<strong>it</strong>a è di 1-2 ore e viene eliminata attraverso il<br />
rene e l’intestino. Il blocco dei canali del calcio è reversibile con l’interruzione della terapia. Si<br />
è visto che la nifedipina attraversa la placenta ma la cinetica del trasporto e il metabolismo<br />
nel feto non sono noti. Si somministra una prima dose di 10 o 20 mg di nifedipina per via<br />
orale, da ripetersi dopo 20 minuti se le contrazioni persistono. La somministrazione sublinguale<br />
non viene utilizzata per il potenziale effetto ipotensivo.<br />
La terapia orale viene esegu<strong>it</strong>a per 10-20 minuti ogni 4-6 ore. La durata del trattamento<br />
non è prestabil<strong>it</strong>a. Sono stati riportati tuttavia diversi effetti avversi dei calcio antagonisti sia<br />
sulla gestante (cefalea, ipotensione, edema polmonare), che sul feto (morte improvvisa, brachicardia,<br />
alterazioni eterodinamiche cerebrali, acidosi).<br />
AGONISTI beta-<strong>AD</strong>RENERGICI<br />
Gli agonisti beta-adrenergici, utilizzati come tocol<strong>it</strong>ici da trent’anni, comprendono: isoxuprina,<br />
isaxu, esoprenalina, fenoterolo, orciprenalina, r<strong>it</strong>odrina, salbutamolo, terbutalina. La loro<br />
azione è mediata dall’adenosina monofosfato ciclico che inibisce la kinasi delle catene leggere<br />
della miosina impedendo, quindi, la contrazione della miocellula uterina. Sebbene abbiano<br />
massimi effetti a livello uterino e minimi a livello extrauterino, gli agenti beta-adrenergici possono<br />
influenzare, in maniera significativa, la fisiologia cardiovascolare e metabolica materna (effetto<br />
B1). La Tabella sotto riportata riassume le risposte dei vari tessuti ai farmaci beta-adrenergici,<br />
risposte che cost<strong>it</strong>uiscono la base dei potenziali effetti collaterali materni.<br />
Tabella II. Risposta dei tessuti alla stimolazione beta-adrenergica<br />
Risposta beta1-adrenergica Risposta beta2-adrenergica<br />
CUORE MUSCOLATURA LISCIA<br />
forza tono vascolare<br />
volume di eiezione attiv<strong>it</strong>à uterina<br />
tono bronchiolare<br />
INTESTINO RENE<br />
motil<strong>it</strong>à renina<br />
output urinario<br />
METABOLISMO METABOLISMO<br />
lipolisi<br />
K+ intracellulare<br />
glicogenolisi<br />
rilascio di insulina<br />
n<br />
n<br />
v<br />
n<br />
n<br />
Il più frequente e grave effetto collaterale è l’edema polmonare. Questo regredisce abbastanza<br />
prontamente con la sospensione del tocol<strong>it</strong>ico e la somministrazione appropriata di<br />
diuretici.Talvolta però è stato associato a morte materna.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
v<br />
v<br />
v<br />
n<br />
v<br />
n<br />
n<br />
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La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
Con l’uso degli agenti beta-adrenergici si ha un aumento della glicogenolisi epatica ed iperglicemia<br />
materna. Con l’iperglicemia, si sviluppa ipokaliemia. I farmaci ß-adrenergici possono<br />
essere somministrati per via endovenosa, intramuscolo, sotto cute o per bocca. Il trattamento<br />
con r<strong>it</strong>odrina o terbutalina può essere iniziato con un’infusione endovena mediante l’uso<br />
di una pompa di infusione calibrata, o per via intramuscolo con la r<strong>it</strong>odrina o sottocute con<br />
la terbutalina. Prima del trattamento, la paziente deve essere posizionata in decub<strong>it</strong>o laterale<br />
per ev<strong>it</strong>are l’ipotensione.Vanno registrati l’apporto e l’eliminazione di liquidi e l’apporto totale<br />
raccomandato è di 1500-2500 ml. Occorre auscultare il torace ogni 4-8 ore per diagnosticare<br />
precocemente l’eventuale edema polmonare.<br />
La r<strong>it</strong>odrina viene somministrata, inizialmente, per via endovenosa in quant<strong>it</strong>à di 0.05-0.10<br />
mg/min e viene aumentata di 0.05 mg/min ad intervalli di 10-30 minuti fino ad una potenziale<br />
dose massima di 0.350 mg/min.<br />
Per la corretta utilizzazione di tali farmaci, si riportano parti del testo della Gazzetta<br />
Ufficiale G.U.R.I. n.166, 19 Luglio 2003: “Special<strong>it</strong>à medicinali beta2 stimolanti ad azione tocol<strong>it</strong>ica<br />
a base di r<strong>it</strong>odrina e isoxsuprina nelle forme farmaceutiche iniettabili”<br />
Una volta ottenuto l’arresto delle contrazioni uterine è possibile proseguire il trattamento<br />
d’attacco per 12-48 ore in modo da consentire l’attuazione di altre misure che potrebbero<br />
migliorare lo stato di salute del nasc<strong>it</strong>uro.<br />
Controindicazioni:<br />
L’impiego di r<strong>it</strong>odrina o isoxsuprina (RCI) è controindicato prima della 20 a settimana di<br />
gravidanza e nei casi in cui il prolungamento della gravidanza può essere pericoloso per la<br />
madre o per il feto. Inoltre è controindicato nei seguenti casi: emorragie vaginali, eclampsia<br />
conclamata e grave pre-eclampsia, malattie cardiovascolari, ipertensione polmonare, ipertiroidismo,<br />
diabete mell<strong>it</strong>o, distacco placentare, preesistenti condizioni cliniche nelle quali influirebbe<br />
negativamente un beta-mimetico, morte intrauterina del feto, corionamnion<strong>it</strong>e.<br />
Il trattamento con RoI dovrebbe essere effettuato esclusivamente in strutture attrezzate<br />
per il mon<strong>it</strong>oraggio continuo delle condizioni di salute sia della madre sia del feto e dovrebbe<br />
essere sempre preceduto da un’accurata valutazione dei rischi e dei benefici. Prima di decidere<br />
se intraprendere la terapia bisognerà attentamente vagliare la presenza di potenziali<br />
problemi cardiovascolari. Si richiede, infatti, un più attento mon<strong>it</strong>oraggio per quei pazienti in<br />
cui si sospetti una cardiopatia. “Nome prodotto” non dovrebbe essere somministrato a pazienti<br />
con pre-eclampsia, ipertensione o ipertiroidismo, a meno che il medico non r<strong>it</strong>enga che<br />
i benefici siano tali da giustificare i rischi. Durante il trattamento con RoI è necessario controllare<br />
la pressione sanguigna ed il batt<strong>it</strong>o cardiaco materno e fetale, inizialmente ogni 5-15<br />
min. ed in segu<strong>it</strong>o, quando le condizioni della paziente si siano stabilizzate, ad intervalli sempre<br />
più distanziati (15-60 min); inoltre dovrebbe essere esegu<strong>it</strong>o l’esame del torace e dovrebbero<br />
essere mon<strong>it</strong>orati glicemia, urea ed elettrol<strong>it</strong>i. Le donne con diabete necess<strong>it</strong>ano di ag-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
giustamenti dei livelli ematici di glucosio e devono quindi essere mon<strong>it</strong>orate con particolare<br />
attenzione. La somministrazione di “nome prodotto” può aumentare la frequenza del batt<strong>it</strong>o<br />
cardiaco materno in maniera progressiva, a volte fino a determinare l’insorgenza di palp<strong>it</strong>azioni.<br />
L’insorgenza di una tachicardia materna di grado elevato può essere controllata mediante<br />
la riduzione della dose o tram<strong>it</strong>e la cessazione della somministrazione del farmaco; bisogna<br />
valutare caso per caso se l’ent<strong>it</strong>à della tachicardia possa essere considerata accettabile,<br />
ma di regola si raccomanda di non lasciare che nei soggetti sani la frequenza cardiaca superi<br />
i 140 b/min. Per ridurre al minimo il rischio di ipotensione associato alla terapia con RoI durante<br />
l’infusione, la paziente dovrebbe rimanere coricata in decub<strong>it</strong>o laterale sinistro, in modo<br />
da ev<strong>it</strong>are la compressione della vena cava. Sono stati segnalati casi di edema polmonare<br />
in pazienti trattate con beta-stimolanti, particolarmente se sottoposte nel contempo a terapia<br />
cortisonica. Un attento mon<strong>it</strong>oraggio dello stato di idratazione della paziente è essenziale;<br />
inoltre il volume dei liquidi somministrati dovrebbe essere mantenuto entro i livelli minimi.<br />
In caso di edema polmonare, interrompere il trattamento ed ist<strong>it</strong>uire idonee misure terapeutiche.<br />
Sono stati segnalati casi di edema polmonare della madre trattata contemporaneamente<br />
con beta-mimetici e cortisonici.<br />
- Gli effetti collaterali più frequentemente segnalati o riportati nella letteratura internazionale<br />
sono: tachicardia, ipotensione arteriosa, tremore, nausea, vom<strong>it</strong>o, senso di calore, cefalea<br />
ed er<strong>it</strong>ema.<br />
- Occasionalmente sono stati segnalati: palp<strong>it</strong>azioni, nervosismo, ag<strong>it</strong>azione, irrequietezza, labil<strong>it</strong>à<br />
emotiva, ansietà, vertigine, sudorazione, arrossamento cutaneo, febbre, rush o malessere<br />
generale.<br />
- Sono stati descr<strong>it</strong>ti diversi casi di edema polmonare in corso di terapia con ß-mimetici<br />
particolarmente se associati a terapia corticosteroidea.<br />
- Altri effetti collaterali, meno frequenti, ma a volte gravi, sono: effetti cardiovascolari quali<br />
angina pectoris, ischemia miocardica o senso di oppressione toracica (con o senza alterazioni<br />
ECGgrafiche o ar<strong>it</strong>mie.<br />
A carico del feto si possono verificare effetti indesiderati cardiovascolari (tachicardia, aumento<br />
della g<strong>it</strong>tata cardiaca, ischemia e necrosi del miocardio) e metabolici (ipoglicemia ed<br />
idrope).<br />
ANTAGONISTI DELL’OSSITOCINA<br />
Gli antagonisti dell’oss<strong>it</strong>ocina sono i farmaci emergenti in grado di inibire il duplice effetto<br />
dell’oss<strong>it</strong>ocina stessa: l’effetto diretto stimolante la contrazione del miometrio legata all’attivazione<br />
dei canali del calcio e quello indiretto di stimolare la produzione delle prostaglandine<br />
a livello della decidua e delle membrane fetali.<br />
Il più promettente antagonista è l’atosiban, un analogo dell’oss<strong>it</strong>ocina endogena in grado<br />
di bloccare sia i recettori miometriali che quelli deciduali. L’atosiban è specificamente indica-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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126<br />
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
to per r<strong>it</strong>ardare il parto pretermine e dovrebbe essere somministrato immediatamente dopo<br />
la diagnosi e gest<strong>it</strong>o da uno specialista esperto. Gli effetti collaterali materni dell’atosiban<br />
possono essere: nausea, mal di testa, vertigini, tachicardia, ipertensione, iperglicemia, reazioni<br />
allergiche. Gli effetti a carico del feto non sono significativi.<br />
DONATORI DELL’OSSIDO NITRICO<br />
L’ossido n<strong>it</strong>rico è un potente miorilassante che agisce a livello vasale, intestinale e uterino.<br />
La n<strong>it</strong>roglicerina è un esempio di farmaco donatore di ossido n<strong>it</strong>rico. La somministrazione di<br />
patches di n<strong>it</strong>roglicerina sembra efficace nel trattare il parto pretermine ma va fatta particolare<br />
attenzione agli effetti ipotensivi materni. L’NO diffonde alle cellule bersaglio legandosi al<br />
gruppo eme della guanilato ciclasi c<strong>it</strong>osolica, aumenta la conversione della guanosina trifosfato<br />
a guanosina monofosfato ciclica. L’aumento dei livelli di cGMP causa un rilassamento della<br />
muscolatura liscia vascolare accelerando il legame intracellulare del calcio libero e inibisce l’aggregazione<br />
piastrinica e l’adesione all’endotelio. Gli effetti collaterali materni della somministrazione<br />
di donatori di NO sono: cefalea, nausea, vom<strong>it</strong>o, tachicardia, ipotensione ortostatica,<br />
rush cutanei. Gli effetti avversi fetali, perlopiù ipotetici, sono determinati dalle variazioni di<br />
flusso fetale a livello placentare successive alla vasodilatazione materna. Il trattamento acuto<br />
consigliato è di un patch transdermico da 10 mg per 12 ore da rimuovere poi per 6 ore e<br />
rimpiazzare con un altro patch per 12 ore. Il trattamento conservativo è di un patch transdermico<br />
da 5 mg per 12 ore ogni giorno.<br />
Protocollo di management<br />
1. Esame pelvico, con utilizzazione di materiale sterile in caso di rottura prematura delle<br />
membrane, e PROM test;<br />
2. riposo a letto in decub<strong>it</strong>o laterale sinistro (trattamento frequentemente utilizzato ma privo<br />
di evidenti benefici reali);<br />
3. idratazione (almeno 500 ml) (non evidenti benefici);<br />
4. US per valutazione della posizione fetale, cervicometria e possibilmente stima del peso e<br />
determinazione dell’età gestazionale;<br />
5. mon<strong>it</strong>oraggio FCF (frequenza cardiaca fetale) ed attiv<strong>it</strong>à uterina;<br />
6. colture cervico-vaginali per ricerca di Streptococco di gruppo B, Chlamydia trachomatis,<br />
Mycoplasmi, vaginosi batterica, Anaerobi;<br />
7. esami ematochimici (emocromo con formula leucoc<strong>it</strong>aria, conta piastrine, glicemia, VES,<br />
PCR, uricemia, creatininemia, azotemia, transaminasi bilirubina, PT, PTT);<br />
8. esami urine e urinocultura;<br />
9. ECG;<br />
10. vis<strong>it</strong>a anestesiologica e/o cardiologica;<br />
11. eventuale trasferimento presso un centro di riferimento previo inizio di tocolisi.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
Management della minaccia di parto pretermine con RPM<br />
1. Esame con speculum sterile per la valutazione della cervice uterina ed eventuale perd<strong>it</strong>a<br />
di liquido dalla vagina, ev<strong>it</strong>ando l’esplorazione dig<strong>it</strong>ale; valutazione del pH vaginale; prelievo<br />
colturale del secreto cervico-vaginale (prima e dopo la terapia locale antibiotica, dapprima<br />
empirica poi mirata).<br />
2. Controllo clinico di eventuale insorgenza di corionamnion<strong>it</strong>e mediante valutazione della<br />
FCF, del polso e della temperatura materna ogni 4 ore. Effettuazione della conta leucoc<strong>it</strong>aria<br />
e della formula ogni 48 ore e dosaggio della Proteina C Reattiva ogni 24-48 ore.<br />
3. Valutazione ecografica per confermare l’epoca gestazionale, identificare la parte presentata<br />
e quantificare il volume di liquido amniotico. Profilo biofisico fetale e velocimetria<br />
Doppler materno-fetale ogni 48 ore.<br />
4. Se l’epoca gestazionale risulta inferiore alla 34° settimana e non sussistono altre indicazioni<br />
materne o fetali all’espletamento del parto, la gestante viene attentamente controllata<br />
per ogni segno di travaglio, infezione o rischio fetale.<br />
5. Se l’epoca gestazionale risulta superiore alla 34° settimana e se il travaglio non è iniziato<br />
spontaneamente entro 12 ore, il travaglio viene indotto mediante infusione ev di oss<strong>it</strong>ocina.<br />
La presentazione podalica e la s<strong>it</strong>uazione trasversa cost<strong>it</strong>uiscono una controindicazione<br />
all’induzione.<br />
6. Profilassi corticosteroidea per la maturazione polmonare fetale (betametasone 12 mg/24h<br />
per 2 giorni).<br />
7. Antibioticoterapia da iniziare entro 24 ore con antibiotico ad ampio spettro (compresi<br />
Gram negativi) e/o metronidazolo (500mg x 2/24h ev) associati a terapia vaginale locale<br />
con clindamicina (crema vaginale 1 applicazione/die per 7 giorni) e sertaconazolo (1 ovulo<br />
in unica somministrazione).<br />
8. Amniocentesi per testare la matur<strong>it</strong>à polmonare fetale (rapporto L/S, corpi lamellari) e/o<br />
amnioinfusione in caso di liquido marcatamente ridotto (in casi lim<strong>it</strong>ati).<br />
9. L’espletamento del parto è finalizzato alla riduzione del rischio di ipossia, acidosi e/o infezione<br />
neonatale.<br />
L’intervento farmacologico prevede dunque l’uso di:<br />
- antibiotici (in caso di RPM associata) -ampicillina- 1 gr x 4/die ev;<br />
- corticosteroidi -betametasone- 12 mg/24h per 48h<br />
- atosiban, dose bolo di 6,75 mg in 0,9 ml (7.5 mg/ml) segu<strong>it</strong>a da infusione continua di una<br />
dose elevata (18 mg/h = 24 ml/h) per 3 ore ed infusione successiva (6 mg/h = 8 ml/h) fino<br />
ad un massimo di 48 h;<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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128<br />
La gestione della minaccia di parto pretermine<br />
- inib<strong>it</strong>ori della prostaglandino-sintetasi-indometacina- 50 mg per via rettale, continuando<br />
con 1 somministrazione/die;<br />
- trin<strong>it</strong>rato di glicerina- 5 mg ev in bolo e successivamente patch di n<strong>it</strong>roglicerina 10 mg/24h.<br />
L’ossido n<strong>it</strong>rico è un potente miorilassante endogeno, attivo a livello vasale, intestinale ed<br />
uterino. La n<strong>it</strong>roglicerina, donatore di ossido n<strong>it</strong>rico, sembra efficace nel trattare il parto pretermine<br />
ma espone a notevole ipotensione materna. I beta-agonisti (isossisuprina, salbutamolo,<br />
terbutalina, r<strong>it</strong>odrina), legandosi ai recettori beta-adrenergici presenti sulla membrana cellulare<br />
della muscolatura liscia, attivano l’AMP ciclico con riduzione del calcio intracellulare. I<br />
recettori beta-agonisti sono presenti a livello del cuore, piccolo intestino e tessuto adiposo<br />
sotto forma di beta1, mentre sotto forma di beta2 si repertano a livello dell’utero, vasi sanguigni,<br />
diaframma e bronchi.<br />
Il management da adottare in fase di travaglio e di parto imminente (fase 4), prevede un approccio<br />
interdisciplinare, una accurata distinzione del trattamento a seconda delle varie epoche<br />
gestazionali (< o > 26 settimane), accurato colloquio con i gen<strong>it</strong>ori in relazione alla prognosi,<br />
scelta della via di espletamento del parto in presenza di un neonatologo, mon<strong>it</strong>oraggio<br />
continuo della FCF, uso di antibiotici per ridurre il rischio infettivo materno-fetale ed utilizzo<br />
prevalente di analgesia regionale.<br />
In fase postnatale (fase 5), poi, è necessario incoraggiare l’allattamento al seno, fornire adeguate<br />
informazioni riguardanti il neonato, permettere il continuo accesso alla terapia intensiva<br />
neonatale, ricercare le cause-fattori precip<strong>it</strong>anti stabilendo una strategia per le successive gravidanze.<br />
In conclusione, dunque, spesso le principali e più comuni cause di travaglio e parto pretermine<br />
possono essere rilevate e magari eliminate all’inizio della gestazione, o addir<strong>it</strong>tura prima<br />
del concepimento. Le strategie di prevenzione secondaria, come la tocolisi, risultano maggiormente<br />
efficaci qualora il principale processo fisiopatologico venga identificato precocemente<br />
ed in modo specifico. Gli approcci di “esame, cura, prevenzione” adottatati all’inizio della<br />
gravidanza, o in fase preconcezionale, potrebbero aumentare la reale efficacia del trattamento<br />
tocol<strong>it</strong>ico, riuscendo così nell’intento di diminuire drasticamente tale patologia.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
129
130<br />
11<br />
DECISIONI ETICHE<br />
NELLA GESTIONE<br />
DEL GRANDE PRETERMINE<br />
Il punto di vista dell’ostetrico<br />
U. Wiesenfeld, S. Inglese, M. Bernardon, E. Bianchini, M. Piccoli, GP. Maso, A. Candiotto<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
TAVOLA ROTONDA<br />
Il dibatt<strong>it</strong>o relativo alla prematur<strong>it</strong>à ed alle sue implicazioni rappresenta un’area di intersezione<br />
tra ostetricia e neonatologia.<br />
Il miglioramento della sopravvivenza neonatale e perinatale ha portato i Clinici a ridefinire<br />
continuamente i lim<strong>it</strong>i di sopravvivenza. Pertanto in epoche sempre più precoci di gravidanza<br />
i feti vengono considerati in grado di sopravvivere e quindi candidati ad un management<br />
ostetrico attivo, manovre rianimatorie e terapie intensive.Tuttavia, la prognosi dei grandi<br />
pretermine può ancora essere molto severa. Il grande numero di lavori pubblicati su questo<br />
tema riflette la vast<strong>it</strong>à e la serietà delle questioni etiche che i clinici ed in generale la comun<strong>it</strong>à<br />
scientifica devono affrontare riguardo il management dei grandi pretermine. È interessante<br />
osservare che questi temi sono in genere sollevati da team ostetrico-pediatrici<br />
(Morrison, 1997; Doron, 1998; American Academy of Pediatrics, 1995; Fetus and Newborn<br />
Comm<strong>it</strong>tee, Canadian Paediatric Society, 1994; Norup, 1998) da pediatri e molto raramente da<br />
solo ostetrici (Amon, Shyken e Sibai, 1992; Reuss e Gordon, 1995; Chervenak e McCullough,<br />
1997). Eppure, gli ostetrici prendono decisioni che hanno importanti conseguenze per i bambini<br />
e le famiglie. La nasc<strong>it</strong>a prematura si inserisce traumaticamente nella v<strong>it</strong>a reale e mentale<br />
della donna. Può avvenire in modo del tutto imprevisto ed inaspettato e provocare uno<br />
shock emotivo fortissimo. Più la settimana di gestazione è bassa, più la donna è terrorizzata<br />
dalla paura di un parto che si colloca al lim<strong>it</strong>e con l’aborto e che mette fortemente in dubbio<br />
la possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza del nasc<strong>it</strong>uro. Boyle e Kattwinkel (1999) riportano tre casi<br />
emblematici:<br />
1. Una donna con età gestazionale di 23 settimane si presenta presso il servizio di ostetricia<br />
con rottura delle membrane. Si decide di trattarla con corticosteroidi e di tenerla sotto<br />
controllo. L’ecografia conferma un’età gestazionale di 22-23 settimane.<br />
Lo staff ostetrico discute con la donna la probabil<strong>it</strong>à stimata di sopravvivenza e di handicap<br />
fetali e l’eventual<strong>it</strong>à di un taglio cesareo in caso di sofferenza fetale. La coppia viene<br />
quindi messa in contatto coi neonatologi ricevendo ulteriori informazioni sulle possibil<strong>it</strong>à<br />
del nasc<strong>it</strong>uro.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
I gen<strong>it</strong>ori sono favorevoli ad una gestione non aggressiva per timore che il bambino sopravviva<br />
disabile.<br />
2. Una paziente si presenta presso il pronto soccorso ostetrico con contrazioni uterine a<br />
circa 23-24 settimane di età gestazionale (confermate da un’ecografia esegu<strong>it</strong>a immediatamente).<br />
Si tratta di un travaglio prematuro con parto atteso entro 2-3 ore. La donna,<br />
avendo letto molto a propos<strong>it</strong>o della prognosi dei nati prematuri, non desidera che il bambino<br />
sia rianimato.<br />
3. Una donna arriva in ospedale con travaglio pretermine spontaneo. L’ecografia mostra un<br />
feto di 22 settimane. Essendo la paziente quintigravida, nullipara, i gen<strong>it</strong>ori vogliono che si<br />
faccia tutto il possibile per salvare il bambino.<br />
Questi tre esempi mettono in luce le principali questioni che sorgono in questi casi:<br />
- Quale è l’attuale lim<strong>it</strong>e di sopravvivenza?<br />
- Quale deve essere il ruolo dell’ostetrico?<br />
- Quale deve essere il ruolo del neonatologo?<br />
- Quale deve essere il ruolo dei gen<strong>it</strong>ori nella decisione se rianimare o meno il bambino?<br />
- Cosa dovrebbe succedere se i san<strong>it</strong>ari non fossero d’accordo con i gen<strong>it</strong>ori?<br />
L’attuale lim<strong>it</strong>e di sopravvivenza<br />
Lo sviluppo delle tecniche di terapia intensiva neonatale con conseguente miglioramento<br />
degli outcome, ha portato a ridefinire il “lim<strong>it</strong>e inferiore di sopravvivenza”.<br />
Nel 1988, il Report sulla sopravvivenza fetale extrauterina della Task Force on Life and Law<br />
dello Stato di New York, affermava che le evidenze epidemiologiche e biologiche allora disponibili<br />
ponevano il lim<strong>it</strong>e inferiore di sopravvivenza a 23-24 settimane di età gestazionale.<br />
Fra gli studi più significativi sull’argomento si possono c<strong>it</strong>are quelli del National Inst<strong>it</strong>ute of Child<br />
Health and Human Development (NICHD) (Fanaroff et al, 1995) ed il Vermont-Oxford<br />
Network (Bernstein et al, 2000; Horbar et al, 2001) che hanno riportato la sopravvivenza e<br />
lo sviluppo neurologico a breve termine degli ist<strong>it</strong>uti partecipanti. Il NICHD ha riportato che,<br />
nell’era post surfactante la sopravvivenza dei neonati di 23 settimane è di circa 20%; 47% per<br />
quelli nati a 24 settimane e 68% per quelli nati a 25 settimane. I dati del Vermont-Oxford<br />
Network sono molto simili.<br />
Un altro importante studio, pubblicato da Hack e Fanaroff nel 1999 riportava dei range<br />
di sopravvivenza tra 2% e 35% per i nati a 23 settimane, tra 17% e 58% per quelli di 24 settimane<br />
e tra 35% e 85% per i neonati di 25 settimane. Queste ampie variazioni sono state<br />
riportate sia all’interno che tra i paesi sviluppati.<br />
In Giappone, dove la rianimazione è obbligatoria anche a 22 settimane, si è osservato che<br />
la sopravvivenza in tale epoca non è impossibile; comunque la probabil<strong>it</strong>à per i sopravvissuti<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
131
132<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
di essere dimessi dall’ospedale era inferiore al 10% (Nishida et al, 1992). Un’altra prospettiva<br />
proviene da uno studio effettuato nei paesi in via di sviluppo, dove la maggioranza dei centri<br />
neonatologici considera come età di sopravvivenza le 28 settimane (Straughn et al, 2003).<br />
Si potrebbe dedurre che la sopravvivenza sia un lim<strong>it</strong>e biologico, ma anche una realtà socio-economica;<br />
e in un mondo con risorse non illim<strong>it</strong>ate, questo aspetto va attentamente considerato.<br />
In caso di nasc<strong>it</strong>a estremamente prematura, oltre all’elevata mortal<strong>it</strong>à, specialmente nei nati<br />
a 23-24 settimane, esiste un elevato rischio di danni neurologici e cogn<strong>it</strong>ivi. Lo studio del<br />
NICHD relativo ai bambini nati negli Anni ’90, mostrava un’incidenza di uno o più handicap<br />
neurologici maggiori (paralisi cerebrale, r<strong>it</strong>ardo mentale, cec<strong>it</strong>à o sord<strong>it</strong>à) pari al 49% in bambini<br />
nati con peso compreso tra i 500 g ed i 1000 g (Vohr et al, 2000).<br />
Dati importanti si possono anche ricavare da reports di ist<strong>it</strong>uzioni che avevano iniziato<br />
una pol<strong>it</strong>ica di rianimazione di bambini di età gestazionale estremamente bassa e, dopo aver<br />
valutato i risultati, hanno modificato il loro atteggiamento (Sheldon, 2001; Sweet et al, 2003).<br />
A Leiden, in Olanda, si è osservato che la pol<strong>it</strong>ica di resusc<strong>it</strong>are neonati con meno di 25 settimane<br />
ha portato ad un’inaccettabile elevata mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à (Sheldon, 2001). L’altro<br />
studio si basa su un’esperienza di 4 anni (1994-98) in un centro della California, dove si praticava<br />
una rianimazione aggressiva a tutti i neonati con peso ≥ 450 gr o età gestazionale ≥ 22<br />
settimane (Sweet et al, 2003). I dati su mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à hanno portato gli operatori di<br />
quest’ultimo centro a rivedere la loro pol<strong>it</strong>ica e quindi a offrire la rianimazione solo ai neonati<br />
≥ 500 gr o ≥ 24 settimane. Sotto questi lim<strong>it</strong>i, la rianimazione veniva considerata solo in<br />
casi eccezionali. Andrebbe quindi considerata, nel disegnare pol<strong>it</strong>iche future in questo amb<strong>it</strong>o,<br />
la possibil<strong>it</strong>à di sperimentare nuove pol<strong>it</strong>iche, valutarle e successivamente rivederle.<br />
Il ruolo dell’ostetrico<br />
Il primo problema che deve affrontare l’ostetrico è quello della determinazione il più possibile<br />
accurata dell’età gestazionale, in quanto è considerata decisiva nelle scelte riguardanti il<br />
management. Prima della 28 a settimana essa riveste un ruolo fondamentale sia riguardo la probabil<strong>it</strong>à<br />
di sopravvivenza che riguardo l’incidenza di sequele neurologiche (Keirse, 1995). Il rischio<br />
di mortal<strong>it</strong>à neonatale rimane infatti molto elevato fino alla 27 a settimana, decrescendo<br />
gradualmente dalla 28 a alla 34 a , per quindi diminuire bruscamente e divenire paragonabile a<br />
quello della popolazione dei nati a termine.<br />
Numerosi studi mettono in relazione cr<strong>it</strong>ica l’età gestazionale con mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à<br />
(Allen et al, 1993; Hack et al, 1996; Holtrop et al, 1994; Hagan et al, 1996; Kilpartick et al, 1997;<br />
O’Shea et al, 1997). Le opinioni più contrastanti sono relative alla gamma tra le 23 e le 27<br />
settimane, la cosiddetta prematur<strong>it</strong>à estrema. Poiché il numero di nati tra 23 e 27 settimane<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
è basso, Morrison e Rennie (1997) hanno valutato la casistica riportata da vari autori, concludendo<br />
che la sopravvivenza aumenta di circa il 3% al giorno dalle 23 alle 24 settimane e<br />
successivamente dall’1% al 2% al giorno fino alle 27 settimane. Pertanto risulta molto importante<br />
prolungare la gravidanza, anche di un solo giorno, in epoca così precoce. I dati più recenti<br />
mostrano sopravvivenze variabili da 10% a 30% a 23 settimane, da 38% a 62% a 24 settimane,<br />
da 55% a 74% a 25 settimane e da 76% a 83% a 26 settimane (Hack et al, 1996;<br />
Kilpartick et al, 1997; O’Shea et al, 1997).<br />
Tuttavia, l’età gestazionale è incerta nel 20-40% delle gravidanze. Motivi di incertezza sono:<br />
irregolar<strong>it</strong>à del ciclo mestruale, assunzione di estroprogestinici nei mesi precedenti la mancata<br />
mestruazione, perd<strong>it</strong>e ematiche nel corso del primo trimestre, ricordo impreciso della<br />
data dell’ultima mestruazione (Campbell et al, 1985).Talora, anche quando la data dell’ultima<br />
mestruazione sembra rifer<strong>it</strong>a in modo sicuro, l’età gestazionale può non essere accurata<br />
(Geirsson et al, 1991). Naturalmente, un’ecografia al primo trimestre fornisce informazioni importanti.<br />
A volte, però, l’ostetrico affronta pazienti che non hanno esegu<strong>it</strong>o vis<strong>it</strong>e e/o esami prenatali<br />
oppure presentano dati inaffidabili. Una misura del diametro biparietale fetale effettuata<br />
tra 13 e 20 settimane definisce l’età gestazionale con una variabil<strong>it</strong>à di +/- 8,7 giorni, ovvero<br />
+/- 1-1,5 settimane (Todros et al, 1991). Dopo le 23 settimane, invece, la predizione della data<br />
del parto tram<strong>it</strong>e ecografia peggiora.<br />
Secondo l’American Academy of Pediatrics e l’American College of Obstetricians and<br />
Gynecologists (1995), l’esame ecografico esegu<strong>it</strong>o al terzo trimestre per la datazione della gravidanza<br />
ha un’approssimazione di +/- 2 settimane. Queste 2 settimane possono fare la differenza<br />
nel valutare i dati di mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à e quindi nel prendere le conseguenti decisioni.<br />
Dopo l’età gestazionale, il peso alla nasc<strong>it</strong>a è il fattore più importante che determina la sopravvivenza.<br />
Le stime ecografiche del peso fetale presentano anch’esse dei problemi. Nel range<br />
tra 400 e 1000 grammi l’aumento di peso alla nasc<strong>it</strong>a si associa ad una netta diminuzione<br />
della mortal<strong>it</strong>à (Hagan et al, 1996; Morrison e Rennie, 1997).Tuttavia, la stima del peso fetale<br />
non è così accurata da permettere una sufficiente differenziazione, in tale amb<strong>it</strong>o stretto di<br />
potenziali pesi, che fa variare il rischio di mortal<strong>it</strong>à dal 30% al 60% (Boyle e Kattwinkel, 1999).<br />
Non vanno sottovalutate da parte dell’ostetrico le possibili complicanze materne associate<br />
al trattamento della minaccia o del travaglio di parto pretermine tra le 23 e le 27 settimane.<br />
In quest’epoca gestazionale, il parto non presenta alcun pericolo per la donna, tuttavia le<br />
misure messe in atto per migliorare l’outcome del feto, sia prolungando la gravidanza (terapia<br />
tocol<strong>it</strong>ica) sia intervenendo chirurgicamente (anestesia e taglio cesareo) sono direttamente<br />
correlate alla mortal<strong>it</strong>à materna nel Regno Un<strong>it</strong>o (Morrison e Rennie, 1997).<br />
I rischi materni legati al parto pretermine sono quindi legati al trattamento utilizzato che<br />
è innanz<strong>it</strong>utto quello tocol<strong>it</strong>ico. Il farmaco maggiormente impiegato è la r<strong>it</strong>odrina, un farmaco<br />
beta-simpaticomimetico. In uno dei primi studi multicentrici americani sull’uso della r<strong>it</strong>o-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
133
134<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
drina nel travaglio di parto pretermine, i risultati sembravano incoraggianti in termini di epoca<br />
gestazionale al parto, peso alla nasc<strong>it</strong>a, distress respiratorio e mortal<strong>it</strong>à perinatale (Merkatz<br />
et al, 1980). Studi più recenti (Leveno et al, 1986; Canadian preterm labor investigation group,<br />
1992) hanno tuttavia dimostrato che il trattamento con r<strong>it</strong>odrina posticipa il parto di 24-48<br />
ore, senza diminuire l’incidenza di mortal<strong>it</strong>à perinatale o di severe complicanze respiratorie<br />
neonatali. Inoltre sono noti diversi e severi effetti collaterali materni legati alla r<strong>it</strong>odrina, tra<br />
cui: tachicardia, ipotensione, edema polmonare, iperglicemia, iperinsulinemia, chetoacidosi<br />
(Canadian preterm labor investigation group, 1992). L’edema polmonare è responsabile anche<br />
dei 25 casi di morte materna riportati in segu<strong>it</strong>o all’assunzione di farmaci beta-agonisti (Price<br />
PH, 1992).<br />
Attualmente, come evidenziato da una meta-analisi di 16 trial (King et al, 1998), il miglior<br />
vantaggio di tale terapia tocol<strong>it</strong>ica sembra essere il guadagno di tempo sufficiente per la profilassi<br />
della matur<strong>it</strong>à polmonare fetale. La terapia tocol<strong>it</strong>ica di mantenimento dopo il trattamento<br />
di un episodio acuto non riduce l’incidenza di recidive di travaglio pretermine e non<br />
migliora l’es<strong>it</strong>o perinatale (Sanchez-Ramos et al, 1999).<br />
Per quanto riguarda l’espletamento del parto, preliminari report consigliavano l’esecuzione<br />
del taglio cesareo al fine di ev<strong>it</strong>are travaglio e parto r<strong>it</strong>enuti a maggior rischio, nel pretermine,<br />
di emorragia intraventricolare neonatale.A conferma di ciò, un’indagine di Amon e Moyn<br />
(1992) presso i membri della SPO (Società di ostetricia Perinatale) aveva dimostrato un raddoppio<br />
nell’arco di 5 anni dei tagli cesarei elettivi in bambini nati tra le 24 e le 28 settimane<br />
di gestazione.<br />
La letteratura ha proposto diversi lavori, soprattutto di tipo retrospettivo, volti ad indagare<br />
quale fosse la modal<strong>it</strong>à di parto più indicata nel prematuro. Alcuni di questi lavori appaiono<br />
degni di nota perché propongono delle analisi statistiche multivariate.<br />
K<strong>it</strong>chen e coll. (1992) ad esempio osservarono l’outcome a 2 anni dalla nasc<strong>it</strong>a di 577 neonati<br />
con peso tra i 500 e i 999 grammi, nati tra il 1977 e il 1987. Dall’analisi statistica, mediante<br />
regressione logistica, dedussero che la modal<strong>it</strong>à del parto non influenzava l’incidenza di paralisi<br />
cerebrale e di disturbi mentali. Allo stesso modo, molte variabili quali: l’Apgar, la temperatura<br />
rettale, il primo valore di pH arterioso, la durata della ventilazione assist<strong>it</strong>a ed altre ancora,<br />
non erano associate al tipo di parto. Malloy et al. (1994) invece riportarono i dati della<br />
mortal<strong>it</strong>à e dell’incidenza di emorragia intraventricolare di 1.765 neonati con peso minore di<br />
1.500 g, raccolti in 7 centri. Da una prima analisi il taglio cesareo appariva la scelta terapeutica<br />
più indicata per questi neonati di bassissimo peso. La successiva correzione per variabili<br />
confondenti (età gestazionale, presentazione fetale, travaglio prima del taglio cesareo, preeclampsia)<br />
dimostrava, anche in questo caso, che il taglio cesareo non comportava alcun vantaggio<br />
rispetto al parto vaginale in quanto non era associato ad un minor rischio di emorragia<br />
intraventricolare e ad una minore mortal<strong>it</strong>à.<br />
Gli studi randomizzati proposti, d’altra parte, hanno dato scarsi risultati. Grant e coll. nel<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
1996 hanno pubblicato una review che raccoglieva tutti i lavori prospettici fino ad allora prodotti,<br />
in cui venivano confrontati i risultati di una pol<strong>it</strong>ica di taglio cesareo elettivo rispetto ad<br />
una di taglio cesareo selettivo. Le ridotte dimensioni del campione non avevano permesso di<br />
evidenziare dati significativi sui benefici neonatali attribuibili al taglio cesareo, ma era stato possibile<br />
dimostrare che le complicazioni neonatali erano maggiormente associate alle presentazioni<br />
podaliche e che il taglio cesareo era il principale responsabile della morbil<strong>it</strong>à materna.<br />
In conclusione, affermavano gli Autori, la sola cosa che si potesse raccomandare sulle modal<strong>it</strong>à<br />
del parto era una decisione su base individuale caso per caso, tenendo conto delle preferenze<br />
dei gen<strong>it</strong>ori.<br />
Il taglio cesareo infatti, in quanto intervento chirurgico ha dei rischi maggiori rispetto al<br />
parto vaginale L’esecuzione del taglio cesareo in epoca così precoce è però maggiormente<br />
problematica, in quanto l’utero è di minori dimensioni ed il segmento uterino inferiore non<br />
è ancora ben formato. Pertanto aumenta il ricorso all’incisione uterina classica, cioè corporale<br />
e ciò comporta un significativo aumento della morbil<strong>it</strong>à materna: emorragie intraoperatorie,<br />
infezioni e rischio di deiscenza o rottura nel corso di una gravidanza successiva.<br />
Per quanto riguarda l’outcome di questi nati pretermine, numerosi studi hanno mostrato<br />
che gli ostetrici hanno una visione più pessimistica rispetto ai neonatologi ed ai pediatri. Da<br />
questi lavori risulta che gli ostetrici tendono a sottostimare significativamente anche di 25-30<br />
punti percentuali - rispetto ai dati della Letteratura - i tassi di sopravvivenza ed assenza di<br />
handicap nei nati tra le 23 e le 29 settimane di gestazione (Goldsm<strong>it</strong>h et al, 1996; Haywood<br />
et al, 1994; Reuss e Gordon, 1995).<br />
Secondo Haywood et al. sarebbe diffusa la preoccupazione che, per questa sottostima delle<br />
possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza dei neonati prematuri, gli ostetrici possano offrire cure non del<br />
tutto adeguate a questi bambini e/o alle loro madri. A tale propos<strong>it</strong>o, gli Autori hanno elaborato<br />
un questionario postale, che ha coinvolto 244 medici che assistevano ai parti, e hanno<br />
chiesto loro quale percentuale di neonati tra le 23 e le 36 settimane di età gestazionale può<br />
sopravvivere, nascendo in un centro perinatale attrezzato. I medici dovevano inoltre stimare<br />
la percentuale di neonati sopravvissuti che non avrebbero avuto gravi handicap. Infine, sono<br />
state confrontate le stime dei soggetti con le statistiche nazionali di sopravvivenza. In effetti,<br />
Haywood et al. hanno riscontrato che i medici del campione sottostimavano i tassi di sopravvivenza<br />
e di assenza di handicap in maniera statisticamente significativa per ogni settimana di<br />
età gestazionale considerata. In particolare, solo la metà dei soggetti sarebbe intervenuto con<br />
un taglio cesareo per sofferenza fetale a 25 settimane di gestazione.<br />
Naturalmente, se è possibile stabilire con certezza che i medici ostetrici tendono a sottostimare<br />
le possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza ed outcome pos<strong>it</strong>ivo dei neonati pretermine, ciò<br />
avrebbe importanti implicazioni per le decisioni etiche in ostetricia, nel senso che ci sarebbe<br />
un rischio di eccessivo astensionismo per neonati di età gestazionale molto bassa.<br />
In conclusione, l’ostetrico dovrebbe fornire ai gen<strong>it</strong>ori le informazioni su:<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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136<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
- rischi immediati del proseguimento della gravidanza per la madre;<br />
- rischi immediati ed a lungo termine per la madre a seconda del trattamento tocol<strong>it</strong>ico e<br />
delle diverse modal<strong>it</strong>à del parto.<br />
A tale riguardo, l’American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG) nelle sue linee<br />
guida del Settembre 2002 afferma, come evidenza di livello A: “I neonati nati prima delle 24<br />
settimane di gestazione hanno poche possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza e quelli che ci riescono non<br />
hanno probabil<strong>it</strong>à di sopravvivere intatti”.<br />
Il ruolo del Neonatologo<br />
Il neonatologo si trova sempre più spesso di fronte al dilemma etico nei confronti di atti<br />
assistenziali che si potrebbero configurare nell’accanimento terapeutico, soprattutto nei casi<br />
in cui questo venga osteggiato dai gen<strong>it</strong>ori.<br />
Il management neonatale di questi bambini ad oggi pone pesanti ques<strong>it</strong>i diagnostici e terapeutici.<br />
Non è facile infatti stabilire quando un bambino piccolo è “troppo piccolo”. Non si<br />
conosce e spesso non si vede dove sia il confine da non oltrepassare con manovre di rianimazione,<br />
non si dispone di cure efficaci e non si conoscono le evidenze delle strategie in uso.<br />
Con l’introduzione di nuove terapie (corticosteroidi antenatali e surfactans), con il miglioramento<br />
della tecnologia medica e dell’esperienza nel management dei neonati prematuri<br />
ELBW (Extremely Low Birth Weight), la loro sopravvivenza sembra migliorare (Fanaroff et al,<br />
1995; Stevenson et al,1998;Lemons et al, 2001).<br />
Questo determina una maggiore tendenza da parte di alcuni centri specializzati e inev<strong>it</strong>abilmente<br />
delle famiglie a voler abbassare la soglia di terapia intensiva al di sotto delle 24 settimane<br />
e con meno di 500 gr di peso alla nasc<strong>it</strong>a. Sono necessarie pertanto delle chiare considerazioni<br />
in mer<strong>it</strong>o sia etiche che mediche. Se da una parte, infatti, è diminu<strong>it</strong>o il tasso di<br />
mortal<strong>it</strong>à dei neonati ELBW dal 1988 al 2000 passando dal 23% al 14% e migliorando la sopravvivenza<br />
al momento della dimissione, vuoi dei neonati di peso compreso tra i 500-750,<br />
vuoi dei neonati fino ai 1000 gr, dall’altra sono rimaste invariate le percentuali di incidenza<br />
delle principali complicanze perinatali (scompenso polmonare cronico/displasia broncopolmonare,<br />
enterocol<strong>it</strong>i necrotizzanti, emorragia intraventricolare di II e III grado) e non si è modificata<br />
quindi la sopravvivenza a lungo termine priva di complicanze (Fanaroff et al 2003).<br />
Dal punto di vista neonatale è indubbio che il maggior fattore lim<strong>it</strong>ante la sopravvivenza<br />
fetale sia la matur<strong>it</strong>à polmonare e quindi la capac<strong>it</strong>à dell’apparato respiratorio di assolvere alla<br />
sua funzione di “scambiatore di gas”. È noto che gli elementi vascolari deputati allo scambio<br />
dei gas si sviluppano dopo le 21 settimane, mentre una adeguata superficie di diffusione<br />
gassosa è presente dalle 23 settimane di gestazione (Barbett et al, 1988; Di Maio et al 1989).<br />
In questo amb<strong>it</strong>o certamente l’utilizzo di surfactans e ventilatori neonatali insieme all’avven-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
to dei corticosteroidi antenatali hanno supportato e spesso garant<strong>it</strong>o una buona funzione polmonare.Tuttavia<br />
è difficile, in assenza di una placenta artificiale associata a ECMO (extracorporeal<br />
membrane oxigenator), che la rianimazione di un neonato a 22 settimane possa essere<br />
efficace.<br />
Per quanto riguarda la sopravvivenza dei neonati ELBW, recentemente il National Inst<strong>it</strong>ute<br />
of Child Health and Human Development NICHD ha pubblicato i dati relativi alla sopravvivenza<br />
e allo sviluppo intellettivo a breve termine, dei neonati compresi fra i 501-1500 gr provenienti<br />
da 15 centri neonatologici statun<strong>it</strong>ensi che partecipavano alla ricerca. Il tasso di sopravvivenza<br />
varia con l’epoca gestazionale e si attesta attorno al 3,5% per i nati a 22 settimane,<br />
passando al 21% a 23 settimane e al 46% a 24 settimane fino a salire al 66% con il compimento<br />
della 25° settimana. Nello studio vengono paragonati inoltre i risultati ottenuti in termini<br />
di sopravvivenza prima e dopo l’avvento della terapia con surfactans (1991), con corticosteroidi<br />
antenatali (1990) e con sofisticate strategie di ventilazione, giungendo alla conclusione<br />
che nessuna di queste nov<strong>it</strong>à terapeutiche è in grado di migliorare la sopravvivenza dei<br />
neonati al di sotto delle 23 settimane (Fanaroff et al 2003).<br />
In mer<strong>it</strong>o a questi risultati enti professionali quali la NY State Task Force on Life and Law,la<br />
Società di Pediatria Canadese, la Br<strong>it</strong>ish Association of Perinatal Medicine, la American Academy<br />
of Pediatrics hanno affermato che il trattamento attivo dei neonati a 22 settimane di gestazione<br />
non è indicato salvo casi eccezionali in accordo anche con l’International Guidelines for<br />
Neonatal Resusc<strong>it</strong>ation che non considera appropriata la rianimazione di neonati al di sotto<br />
delle 23 settimane di gestazione o al di sotto dei 400 gr di peso (Niermeyer et al 2000).<br />
Un altro parametro fondamentale da tenere in considerazione per un corretto management<br />
dei neonati ELBW riguarda lo sviluppo neuropsichico dei sopravvissuti a breve e a lungo<br />
termine. Numerosi studi in letteratura si sono occupati di questo problema ponendo l’attenzione<br />
sulla qual<strong>it</strong>à di v<strong>it</strong>a che può essere assicurata a questi neonati e, di riflesso, alle loro<br />
famiglie, con un’analisi dei quozienti intellettivi tra 0-3 anni e oltre i 5 anni. I dati più consistenti<br />
arrivano comunque dal NICHD che basandosi sui parametri della Bayley Scales of Infant<br />
Development-II Mental Development Index (MDI) dimostra come i due terzi (66%) dei bambini<br />
sopravvissuti sviluppino un QI < 85 (sotto la normal<strong>it</strong>à), e un terzo (37%) un QI
138<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
considerare normali. (Ment 2003; Peterson 2003). Nonostante non ci siano in Letteratura dati<br />
a conferma di una correlazione tra defic<strong>it</strong> cogn<strong>it</strong>ivi e iposviluppo di precise aree corticali, è<br />
ammissibile supporre che lo sviluppo cerebrale di questi bambini risenta di fattori noti e poco<br />
noti legati alla loro fragil<strong>it</strong>à e alla denutrizione<br />
È stato sostenuto che le decisioni prese dai neonatologi possono essere legate a:<br />
1. opinioni personali riguardanti la qual<strong>it</strong>à rispetto alla sant<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a;<br />
2. indifferenza al peso che un bambino disabile rappresenta per i gen<strong>it</strong>ori;<br />
3. paura di fallire (cioè morte del bambino);<br />
4. paura di problemi medico-legali;<br />
5. curios<strong>it</strong>à di fare esperimenti su esseri umani (Alecson, 1995).<br />
Il ruolo dei gen<strong>it</strong>ori<br />
I gen<strong>it</strong>ori sono normalmente considerati i “decision makers” per i propri figli. Questo ruolo<br />
ha aspetti sociali, legali ed etici, talvolta potenzialmente in confl<strong>it</strong>to tra di loro. Molti dei difficili<br />
dilemmi che sorgono in caso di parto prematuro riguardano le decisioni dei gen<strong>it</strong>ori ed<br />
il confl<strong>it</strong>to con i medici.<br />
Di sol<strong>it</strong>o, si r<strong>it</strong>iene che rientri nei poteri decisionali dei gen<strong>it</strong>ori la scelta se continuare o<br />
interrompere la terapia, compresa la rianimazione.Tuttavia, questa responsabil<strong>it</strong>à non è assoluta<br />
ed inev<strong>it</strong>abilmente, sorgeranno confl<strong>it</strong>ti tra i gen<strong>it</strong>ori che prendono decisioni ed i san<strong>it</strong>ari<br />
che hanno visioni differenti riguardo l’interesse del neonato.<br />
Può essere utile, a questo propos<strong>it</strong>o, ricordare il caso “Baby Doe”, un bambino, nato il 9<br />
aprile 1982 a Bloomington (USA), affetto da sindrome di Down e con complicazioni all’esofago<br />
che richiedevano un intervento chirurgico per ristabilirne la funzional<strong>it</strong>à. Il dottor Owens,<br />
l’ostetrico che aveva fatto nascere il bambino, propose ai gen<strong>it</strong>ori, che acconsentirono, di non<br />
intervenire chirurgicamente per ripristinare la funzional<strong>it</strong>à dell’esofago e di somministrare al<br />
neonato dei medicinali che gli impedissero di sentire dolore. In tal modo, secondo il medico,<br />
il neonato sarebbe morto in pochi giorni. La Direzione dell’Ospedale chiese al giudice della<br />
contea di stabilire la lice<strong>it</strong>à di questa condotta, che venne approvata in nome del fatto che i<br />
gen<strong>it</strong>ori di un minore hanno il dir<strong>it</strong>to di scegliere la condotta medica che reputano migliore.<br />
Poiché il caso divenne pubblico, susc<strong>it</strong>ando reazioni indignate, il pubblico ministero della stessa<br />
contea si appellò alla Corte Suprema dell’Indiana perché modificasse la prima sentenza, ma<br />
il ricorso venne respinto. Ci si appellò allora alla Corte Suprema di Washington ma, nel frattempo,<br />
privo di alimentazione, Baby Doe morì (Boyle e Kattwinkel, 1999).<br />
Un altro caso discusso in letteratura è quello del Dr. Messenger, un medico americano accusato<br />
di omicidio per avere staccato il figlio di 25 settimane dal respiratore che ne garantiva<br />
la sopravvivenza (Clark, 1996; Paris 1996). La moglie aveva un edema polmonare in con-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
seguenza della terapia tocol<strong>it</strong>ica a cui era stata sottoposta per bloccare il parto prematuro.<br />
La tocolisi fu pertanto sospesa, quindi ripresero le contrazioni e fu partor<strong>it</strong>o un bimbo di 790<br />
grammi. I gen<strong>it</strong>ori dissero chiaramente che non volevano fosse fatto alcuno sforzo da parte<br />
dello staff rianimatorio, in quanto avevano compreso che la prognosi era estremamente sfavorevole.<br />
Contrariamente a quanto richiesto dalla coppia, il bimbo fu rianimato e quindi ricoverato<br />
presso il reparto di terapia intensiva neonatale. Poco dopo la nasc<strong>it</strong>a i gen<strong>it</strong>ori si recarono a<br />
vis<strong>it</strong>are il bimbo e chiesero di essere lasciati soli con lui.A questo punto il mar<strong>it</strong>o staccò i macchinari<br />
ed il bimbo morì.<br />
Al termine del processo, il Dr. Messenger fu assolto dalla giuria. Dopo questi casi, il dir<strong>it</strong>to<br />
e la responsabil<strong>it</strong>à dei gen<strong>it</strong>ori sono stati oggetto di molte analisi e commenti (Pinkerton<br />
et al, 1997;Tyson et al, 1996). Le posizioni estreme, cioè da un lato “nessuno, nemmeno i gen<strong>it</strong>ori,<br />
deve prendere queste decisioni” e dall’altro “i gen<strong>it</strong>ori hanno l’assoluto dir<strong>it</strong>to di prendere<br />
decisioni mediche”, sono state riconosciute come irrealistiche e semplicistiche. I gen<strong>it</strong>ori<br />
andrebbero considerati come guardiani del benessere del loro bambino, non come proprietari<br />
ed il loro ruolo andrebbe visto più come dovere che come dir<strong>it</strong>to. Inoltre, prendere<br />
decisioni per un altro individuo non è la stessa cosa che prenderle per sé stessi.<br />
Una valida decisione basata sul consenso informato richiede che chi la prende sia in grado<br />
di vagliare le informazioni necessarie.<br />
Benché gran parte dei gen<strong>it</strong>ori siano legalmente ed intellettualmente competenti, la loro<br />
capac<strong>it</strong>à di prendere decisioni può essere influenzata negativamente dagli eventi che circondano<br />
la nasc<strong>it</strong>a di un bambino “compromesso”. Stizza, depressione, angoscia e paura possono<br />
interferire. Inoltre, prendere una valida decisione richiede che i gen<strong>it</strong>ori ricevano e comprendano<br />
le informazioni necessarie per tale decisione. Gran parte dei gen<strong>it</strong>ori sanno poco<br />
della s<strong>it</strong>uazione che stanno affrontando. In poco tempo, sentiranno un gran numero di informazioni,<br />
talora contrastanti, senza avere la possibil<strong>it</strong>à di riflettere adeguatamente (Boyle e<br />
Kattwinkel, 1999; Pinkerton et al, 1997). L’ostetrico è in rapporto coi due pazienti, madre e<br />
feto, e le decisioni per l’uno potrebbero influenzare l’altro. Una decisione della madre di rifiutare<br />
la terapia tocol<strong>it</strong>ica o di non volersi sottoporre ad una taglio cesareo per l’estrema prematur<strong>it</strong>à<br />
dovrebbe essere rispettata, ma non influenza necessariamente le decisioni a propos<strong>it</strong>o<br />
della rianimazione del neonato (Pinkerton et al, 1997).<br />
L’amb<strong>it</strong>o in cui il “decision making” è più difficile è quello dei neonati con età gestazionale<br />
tra le 22 e le 25 settimane. A tale propos<strong>it</strong>o, la forte differenza di sopravvivenza specialmente<br />
tra la 22 a e la 24 a settimana di gestazione ha indotto alcuni Autori a parlare di lim<strong>it</strong>e<br />
di vivibil<strong>it</strong>à da usare eventualmente quale cr<strong>it</strong>erio di rinuncia all’assistenza di neonati al di sotto<br />
di tale lim<strong>it</strong>e (Hack e Fanaroff, 1999).<br />
Nel 1993, Allen e coll. concludevano che una terapia rianimatoria aggressiva era indicata<br />
per bambini nati a 25 settimane, ma non per quelli nati a 22 settimane in quanto i risultati<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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140<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
erano scoraggianti. I neonati di 23 e 24 settimane venivano lasciati dagli autori in una “zona<br />
grigia” che necess<strong>it</strong>ava di ulteriori discussioni da parte di “gen<strong>it</strong>ori, san<strong>it</strong>ari e società”. I report<br />
pubblicati, suggeriscono comunque che gran parte dei neonatologi tengono conto dei desideri<br />
dei gen<strong>it</strong>ori quando devono prendere decisioni su neonati di 23 settimane (Sanders e<br />
coll., 1998; Partridge e coll., 2001).Tuttavia, quando l’età gestazionale aumenta dalle 24 alle 26<br />
settimane, i neonatologi si sentono più a disagio di fronte a decisioni a priori di “non resusc<strong>it</strong>are”<br />
(Cummings e coll, 2002). Comunque, il sapere che, una continua rivalutazione dei benefici<br />
del proseguimento della terapia intensiva dopo la rianimazione può riaprire la discussione<br />
con i gen<strong>it</strong>ori, potrebbe confortare alcuni neonatologi che sono indecisi se iniziare una<br />
terapia intensiva in alcuni casi.<br />
Nel 1995, in un documento congiunto, l’American Academy of Pediatrics e l’American College<br />
of Obstetricians and Gynecologists, discutendo il problema dell’elevata mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à dei<br />
bambini nati tra 23 e 25 settimane di gestazione affrontarono il problema del ruolo dei gen<strong>it</strong>ori<br />
concludendo che devono essere parte integrante del processo decisionale fin dall’inizio<br />
e che alla loro decisione informata va dato un gran peso. In questo documento, tuttavia,<br />
non vengono date specifiche raccomandazioni sulla rianimazione. La Canadian Paediatric<br />
Society e la Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada (1994) hanno invece dato indicazioni<br />
piuttosto specifiche. A 22 settimane complete di gestazione viene sugger<strong>it</strong>o di “iniziare<br />
il trattamento solo su richiesta di gen<strong>it</strong>ori pienamente informati oppure se l’età gestazionale<br />
appare sottostimata”. A 23-24 settimane complete si enfatizza il ruolo del parere dei<br />
gen<strong>it</strong>ori, in quanto “è necessaria flessibil<strong>it</strong>à nel decidere se iniziare o rifiutare la rianimazione,<br />
in base alle condizioni del bambino alla nasc<strong>it</strong>a”. Infine, dopo le 25 settimane, affermano che<br />
“la rianimazione va tentata in tutti i casi che non presentino anomalie mortali”.<br />
Il ruolo dei gen<strong>it</strong>ori è stato affrontato anche dal Com<strong>it</strong>ato di Bioetica dell’American<br />
Academy of Pediatrics (1994). Secondo tale Com<strong>it</strong>ato, il pediatra ha il dovere etico e legale<br />
nei confronti del bambino di fornirgli il trattamento medico adeguato, indipendentemente dai<br />
desideri dei gen<strong>it</strong>ori.Va anche considerata la possibil<strong>it</strong>à che l’ostetrico ed i gen<strong>it</strong>ori decidano<br />
di non iniziare la rianimazione neonatale. In tale caso, negli Stati Un<strong>it</strong>i, possono firmare un accordo<br />
prima della nasc<strong>it</strong>a in base al quale il pediatra non verrà chiamato in sala parto e così<br />
si garantisce la morte del bambino dopo il parto (Yellin e Fleischmann, 1995). Questa opzione<br />
rientra nel dir<strong>it</strong>to dei gen<strong>it</strong>ori di scegliere i medici la cui filosofia coincide con la loro per<br />
quanto riguarda la terapia medica ai lim<strong>it</strong>i della vivibil<strong>it</strong>à. Le cr<strong>it</strong>iche a questa scelta si basano:<br />
1. sul fatto che l’ostetrico ha un obbligo sia verso la madre che verso il feto e qui si creerebbe<br />
un confl<strong>it</strong>to;<br />
2. sul fatto che le condizioni del bimbo alla nasc<strong>it</strong>a possono essere molto diverse da quelle<br />
previste in precedenza;<br />
3. sul fatto che sospendere il trattamento successivamente può essere meglio che non iniziarlo.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista dell’ostetrico<br />
Disaccordo tra gen<strong>it</strong>ori e san<strong>it</strong>ari<br />
Qualora i familiari e i medici non riescano a trovare una soluzione concorde sul management<br />
di questi neonati, deve essere richiesta una consulenza etica o una formale rivalutazione<br />
del caso da parte di un collegio multidisciplinare di medici neonatologi, ostetrici e pediatri<br />
dopo aver informato la famiglia.<br />
Un’altra possibil<strong>it</strong>à è di portare la questione davanti al giudice, ma bisogna riflettere attentamente<br />
sul fatto che una questione legale è più semplice da aprire che da portare avanti e<br />
che le decisioni prese nell’aula giudiziaria possono non soddisfare entrambi i contendenti.<br />
Ma a chi spetta la decisione defin<strong>it</strong>iva se valga la pena iniziare le pesanti terapie rianimatorie<br />
in un determinato caso? Ecco un elenco di possibili final decision makers proposti, con i<br />
loro pro e contro:<br />
1. Storicamente, i pareri legali hanno favor<strong>it</strong>o il dir<strong>it</strong>to dei parenti a decidere, ma la non completa<br />
conoscenza da parte dei familiari dei problemi neonatologici e degli outcome, non<br />
crea le condizioni ideali per il consenso informato.<br />
2. Il dialogo tra gen<strong>it</strong>ori e medici sarebbe sempre il modo migliore per ottenere un consenso<br />
informato, specialmente per terapie potenzialmente pesanti.Tuttavia, ogni caso richiede<br />
un’ampia revisione delle evidenze disponibili fino a quel momento e questo richiede<br />
un certo tempo che non sempre si ha a disposizione.<br />
3. Pol<strong>it</strong>ica o protocollo ist<strong>it</strong>uzionale: fornisce un approccio equo ma concede scarsa autonomia<br />
sia ai gen<strong>it</strong>ori che ai medici. Inoltre, varie ist<strong>it</strong>uzioni hanno pol<strong>it</strong>iche diverse e questo<br />
può generare confusione ed aumentare il rischio di contenziosi medico-legali.<br />
4. Linee guida sociali: forniscono un approccio equilibrato che tiene conto anche dei fattori<br />
socio-economici ed offrono una cornice nella quale le s<strong>it</strong>uazioni individuali possono essere<br />
inquadrate al meglio.Tale approccio viene impiegato in Canada ed in alcuni Stati degli<br />
USA. La lim<strong>it</strong>azione dell’autonomia dei gen<strong>it</strong>ori è talvolta il prezzo da pagare con questo<br />
tipo di approccio.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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146<br />
12<br />
DECISIONI ETICHE<br />
NELLA GESTIONE<br />
DEL GRANDE PRETERMINE<br />
Il punto di vista del bioetico<br />
M. Mori<br />
Docente di Bioetica, Facoltà di Lettere e Filosofia, Univers<strong>it</strong>à di Torino<br />
TAVOLA ROTONDA<br />
1. È opportuno iniziare precisando in via preliminare lo scopo di questo mio intervento. Il mio<br />
obiettivo non è scodellare soluzioni già pronte e preconfezionate, né dare precetti precisi da<br />
seguire più o meno pedissequamente, ma è quello di esaminare le ragioni che sostengono le<br />
varie soluzioni, in modo che il lettore abbia gli strumenti concettuali per farsi una propria posizione<br />
ragionata.<br />
Per giungere a questo obiettivo credo sia importante collocare il problema del “grande<br />
pretermine” da una parte per cogliere meglio i termini del problema stesso vedendolo in una<br />
luce più completa, e dall’altra di vedere le diverse posizioni sul tema e quindi anche di avere<br />
la capac<strong>it</strong>à di valutare gli eventuali lim<strong>it</strong>i o mer<strong>it</strong>i della soluzione da me proposta.<br />
La strada segu<strong>it</strong>a comporta una seria difficoltà, ossia il fatto che si deve dire molto in poco.<br />
A volte, la concisione fa correre il rischio di operare semplificazioni eccessive e forse indeb<strong>it</strong>e.<br />
Questo intervento, comunque, è diretto ad “addetti ai lavori”, cioé a persone competenti<br />
che conoscono i problemi ed ai quali basta qualche riferimento per l’orientamento. È<br />
preferibile affrontare il rischio di qualche semplificazione piuttosto che avere il danno certo<br />
derivante dal lasciare la s<strong>it</strong>uazione nel vago facendo finta che i problemi non esistano. Intendo<br />
affrontare e susc<strong>it</strong>are problemi, aprendo un eventuale dibatt<strong>it</strong>o e questo vuole essere un primo<br />
intervento.<br />
2. Per porre il problema da trattare in un quadro teorico più generale, cominciamo con un’affermazione<br />
che può apparire banale e forse anche lo è: aggiornando le date a quanto detto<br />
dal grande medico francese Jean Bernard negli anni ’80, la medicina ha compiuto più progressi<br />
negli ultimi 50 anni che nei precedenti 5.000. Ciò significa che oggi la medicina è radicalmente<br />
diversa dalla medicina dei tempi di Ippocrate e straordinariamente più potente. Grazie<br />
a questi progressi, la medicina ha apportato all’uman<strong>it</strong>à benefici enormi e straordinari.<br />
Nonostante questo negli ultimi tempi proprio la medicina risulta essere oggetto di forti<br />
riserve, tanto da essere spesso accusata di essere fonte di gravi disagi o addir<strong>it</strong>tura pericolosa.<br />
Claudio Magris sembra muoversi in questa direzione quando afferma che la passione con<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
cui è stato vissuto il referendum sulla legge 40/2004 deriverebbe non da posizioni ragionate,<br />
“bensì dall’oscura, irrazionale ma non infondata sensazione che l’uman<strong>it</strong>à stia vivendo, in tempi<br />
incredibilmente e vertiginosamente veloci, una trasformazione radicale, avvert<strong>it</strong>a - con angoscia<br />
e con ebbrezza - quasi come una mutazione … [così che si] teme l’avvio di interventi<br />
sulla v<strong>it</strong>a che potrebbero mutare il volto dell’uomo così come lo conosciamo”.<br />
In questa linea, altri rilevano che il progresso in campo scientifico e tecnologico “rischia di<br />
travolgere l’ordine delle cose e opera manipolazioni che, ad esempio nel campo della procreatica,<br />
possono giungere a violare il lim<strong>it</strong>e invalicabile della sacral<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a. … le tecnologie<br />
sono un “mezzo”, in grado quindi di offrire … pos<strong>it</strong>ivi e significativi apporti al bene comune<br />
della società, ma anche mali altrettanto grandi, in caso di un uso distorto, talvolta anche<br />
strutturale”.<br />
Dico sub<strong>it</strong>o che queste posizioni hanno in comune un errore. Nel primo caso esso sta<br />
nel credere che la capac<strong>it</strong>à di “mutare il volto dell’uomo così come lo conosciamo” sia una<br />
sorta di immane e devastante profanazione: un atto gravissimo e da ev<strong>it</strong>are. Ma per asserire<br />
questo si deve presupporre che ci sia “il volto dell’uomo “- come dato naturale e immutabile;<br />
e che “il volto dell’uomo così come lo conosciamo” sia il migliore possibile: il vertice insuperabile<br />
della civiltà.<br />
Entrambi questi assunti sono falsi. Lungi dall’essere un dato naturale e immutabile, “il volto<br />
dell’uomo così come lo conosciamo” è una costruzione storica e sociale, per cui il declino<br />
di un volto dell’uomo cede il passo ad un altro volto. L’idea che ci sia il volto dell’uomo è<br />
frutto di una indeb<strong>it</strong>a ipostatizzazione di una particolare forma storica di un volto.<br />
Se non esiste il volto dell’uomo come dato immutabile si deve discutere se la forma storica<br />
a noi nota sia davvero la migliore possibile. È vero che ciascuna epoca è portata a credere<br />
di avere raggiunto il vertice della civiltà, ma è altresì vero che ci si deve ricredere. La<br />
scienza galileana ha contribu<strong>it</strong>o a frantumare il volto dell’uomo aristocratico e favor<strong>it</strong>o la diffusione<br />
del nuovo volto dell’uomo democratico - che noi r<strong>it</strong>eniamo decisamente ‘migliore’ del<br />
precedente, anche se forse è ancora pieno di difetti e manchevolezze.<br />
Nell’altra formulazione l’analogo errore sta nel presupporre che ci sia uno specifico “ordine<br />
delle cose” che sia dato, naturale ed intrinseco alla stessa realtà, per cui le tecnologie che<br />
difformi o contrarie a tale presunto “ordine” sarebbero mezzi strutturalmente distorti.<br />
Esempio chiaro al riguardo sarebbero le tecnologie riproduttive, ma ciò accadrebbe ogni<br />
qual volta gli interventi medici “possono giungere a violare il lim<strong>it</strong>e invalicabile della sacral<strong>it</strong>à<br />
della v<strong>it</strong>a”. Invece di dare ragioni che dimostrino l’invalicabil<strong>it</strong>à di un certo lim<strong>it</strong>e, si assume<br />
che tale “lim<strong>it</strong>e invalicabile” ci sia, che sia dato e ben noto, ed in forza di questo assunto (surrettiziamente<br />
presupposto) si viene a condannare senz’appello ogni eventuale violazione o<br />
difform<strong>it</strong>à.<br />
È importante far emerge l’errore sotteso a questi attacchi alla medicina perché essi dipendono<br />
tutti da una concezione errata e statica della moral<strong>it</strong>à. La morale non è una ist<strong>it</strong>u-<br />
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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
zione naturale (o divina) che ha carattere statico, per cui è data una volta per tutte, ma un’ist<strong>it</strong>uzione<br />
sociale (o storica) tesa a garantire l’ordine sociale e la autorealizzazione individuale.<br />
In questo senso essa muta (e deve mutare) al variare delle circostanze storiche. Un esempio<br />
può aiutarci a capire la s<strong>it</strong>uazione. D’inverno r<strong>it</strong>eniamo sia giusto indossare pesanti cappotti,<br />
mentre d’estate leggeri ab<strong>it</strong>i di lino - e crediamo che sia sbagliato prescrivere il contrario.<br />
R<strong>it</strong>eniamo anche che non sia una questione “soggettiva” - ossia che dipende dal punto di vista<br />
personale - ma che sia “obiettivamente giusto”.<br />
Quanto detto ci offre un modello semplificato di discorso morale, che ci consente di vedere<br />
bene i punti di eventuale disaccordo. In primo luogo, la soluzione individuata è obiettivamente<br />
giusta solo a patto di voler perseguire il benessere e l’autorealizzazione di chi intende<br />
indossare il vest<strong>it</strong>o nelle circostanze date. Se l’interessato volesse prendersi un malanno<br />
(una polmon<strong>it</strong>e o un colpo di calore), potrebbe anche fare il contrario. Possono esserci e ci<br />
sono disaccordi ed errori circa i “valori” da perseguire.<br />
Inoltre, non possiamo escludere che le nostre conoscenze al riguardo siano sbagliate, e<br />
che l’ab<strong>it</strong>o di lino non sia quello più adatto ai climi caldi. Errori di questo tipo sono ben noti,<br />
e non è il caso di soffermarsi su di essi in questa sede. La scienza come impresa conosc<strong>it</strong>iva<br />
caratterizzata da cr<strong>it</strong>eri intersoggettivi e pubblici tende proprio ad eliminare questo tipo di<br />
errori.<br />
Resta comunque il fatto che le norme, i valori e gli atteggiamenti morali non sono assoluti<br />
e immutabili. Essi variano a seconda delle circostanze - e così deve essere. È sbagliato credere<br />
che si debba continuare a fare quel che si è sempre fatto perché questa è la tradizione.<br />
Questa è una concezione statica dell’etica, e quindi errata.<br />
Fornendoci nuove conoscenze e maggiori capac<strong>it</strong>à d’intervento, scienza e tecnica consentono<br />
maggiore autorealizzazione e sono quindi prima facie buone. Questo non significa dire<br />
che siano esenti da eventuali errori ed abusi, come tutte le cose umane è fallibile. Ma non la<br />
pubblic<strong>it</strong>à della scienza crea il correttivo. È l’unica strada che abbiamo - a meno di essere così<br />
presuntuosi da pretendere di avere la ver<strong>it</strong>à. Errori ed abusi sono comuni anche alla religione,<br />
al dir<strong>it</strong>to, alle tradizioni, ecc.<br />
Se ci sono abusi ed errori, essi vanno scovati e rimossi. Ma si tratta di sapere che cosa cost<strong>it</strong>uisce<br />
un “abuso” o un “errore”. Solo se si dà per presupposto che ci sia “l’ordine delle cose”<br />
o “il volto dell’uomo” si può concludere che scienza e tecnica sono mezzi strutturalmente<br />
distorti. Ma se abbandoniamo - come si deve - quegli assunti, cogliamo anche la radice dell’errore.<br />
Diventa infatti chiaro che scienza e tecnica sono fattori potenti di cambiamento delle<br />
circostanze storiche - forse tra i principali nella storia umana. Le maggiori conoscenze e le<br />
nuove capac<strong>it</strong>à di intervento hanno consent<strong>it</strong>o a molt<strong>it</strong>udini - non si dimentichi che la scienza<br />
è universalista ed equal<strong>it</strong>aria - di programmare meglio la propria v<strong>it</strong>a. In questo senso, esse<br />
operano cambiamenti analoghi a quelli tra l’inverno e l’estate, e ci costringono a mutare<br />
gli atteggiamenti diffusi.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
Emerge così un punto decisivo che - per una sorta di pudore - non viene sottolineato a<br />
sufficienza. I cr<strong>it</strong>ici della scienza e della tecnica viste, come mezzi strutturalmente distorti che<br />
metterebbero in pericolo la stessa uman<strong>it</strong>à dell’uomo, non fanno altro che portare acqua alla<br />
tendenza antiscientifica ed ant<strong>it</strong>ecnica diffusasi in Occidente, che sembra essere una sorta<br />
di neo-luddismo. Il luddismo è il movimento che propugna una netta ostil<strong>it</strong>à verso l’industrializzazione.<br />
Luddisti non erano solo gli ignoranti tosatori di pecore che nei primi decenni del<br />
XIX secolo in Gran Bretagna (ma non solo lì) distruggevano le macchine per difendere il posto<br />
di lavoro, ma anche quei molti pensatori che hanno sostenuto (e ancora sostengono) che<br />
le macchine sono una disgrazia per la v<strong>it</strong>a sociale: la lavatrice ha ucciso la pratica millenaria<br />
del lavare al fosso o alla fontana, con grave detrimento per la social<strong>it</strong>à umana; ed analogamente<br />
il telefono cellulare distruggerebbe la “autentica” comunicazione, ecc. Invece di dirigere l’attacco<br />
alle macchine (che oggi non sembrano susc<strong>it</strong>are troppe difficoltà nel senso comune -<br />
pur non mancando sacche di resistenza) il neo-luddismo fissa ora l’attenzione sulle tecniche<br />
in campo biomedico. In nome di un presunto immutabile “ordine delle cose” o dell’idea che<br />
ci sia il “volto dell’uomo” si viene a dire che gli interventi in campo biomedico sono strutturalmente<br />
distorti - posizione che sembra assumere una qualche plausibil<strong>it</strong>à per via della tendenza<br />
a reificare le ab<strong>it</strong>udini del passato credendo che esse siano “naturali”.<br />
Se è vero che la medicina ha compiuto più progressi negli ultimi 50 anni che nei precedenti<br />
5.000, e che come la rivoluzione industriale ha cambiato il nostro rapporto con la natura<br />
inorganica (nuovi mezzi di comunicazione, ecc.) così la rivoluzione biomedica sta cambiando<br />
il nostro rapporto con la natura organica, si deve riconoscere la radicale nov<strong>it</strong>à della<br />
s<strong>it</strong>uazione: dobbiamo prendere atto che è come se, dopo un lungo inverno, cominciassimo a<br />
sentire i primi tepori della primavera. Dobbiamo quindi sottoporre a vaglio cr<strong>it</strong>ico gli atteggiamenti<br />
ricevuti, al fine di verificare se sono ancora validi. Dobbiamo inoltre avere la disponibil<strong>it</strong>à<br />
di cambiarli ove risultassero inadeguati.<br />
È vero che un eventuale cambiamento degli atteggiamenti comporta mutazioni della sfera<br />
emotiva, fatto che è più lento e faticoso del cambiamento di idee (che riguarda solo l’amb<strong>it</strong>o<br />
intellettuale), ma non possiamo presumere che il bagaglio tradizionale sia di per sé valido.<br />
Si deve prestare attenzione a non confondere la moral<strong>it</strong>à con i sentimenti invalsi, che a<br />
volte non sono altro che sopravvivenze culturali o tabù.<br />
3. Le considerazioni fatte circa la medicina in generale valgono anche per la medicina neonatale,<br />
un settore che ha compiuto negli ultimi anni progressi davvero straordinari. Non è mio<br />
comp<strong>it</strong>o elencarli, ma basti qui ricordare che i prematuri avevano scarse possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza,<br />
ed in generale il tasso di mortal<strong>it</strong>à infantile è stato fino a pochi decenni fa così alto<br />
da far credere che la selezione naturale o la Provvidenza avesse la mano pesante, tanto da<br />
far dire che chi riusciva a raggiungere la matur<strong>it</strong>à fosse davvero un “sopravvissuto”. Oggi fortunatamente,<br />
le cose sono cambiate - anche grazie ai progressi della medicina neonatale - e<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
questo è un fatto indubbiamente pos<strong>it</strong>ivo. Questo risultato pos<strong>it</strong>ivo è stato ottenuto grazie<br />
all’impegno prior<strong>it</strong>ario profuso dalla medicina nella lotta contro la morte. Il medico, si è detto,<br />
deve fare tutto il possibile (e anche l’impossibile) per sconfiggere la morte: questa consegna<br />
ha consent<strong>it</strong>o di incassare il pos<strong>it</strong>ivo risultato anche nel caso dei prematuri - il tema in<br />
esame, per cui si deve continuare in questa direzione.<br />
Eppure una delle poche certezze è che questa posizione è sicuramente difettosa. La rianimazione<br />
ha sicuramente consent<strong>it</strong>o grandi cose ed è stata un notevole progresso, ma sbaglierebbe<br />
il rianimatore che r<strong>it</strong>enesse di dovere sempre fare tutto il possibile per sostenere<br />
la v<strong>it</strong>a. Questa è dottrina ormai comune dopo le acute osservazione fatte già nel 1957 da papa<br />
Pio XII - anche se a volte stentano a penetrare in certi circoli medici. Chi facesse sempre<br />
tutto il possibile finirebbe per compiere accanimento terapeutico, che - diciamolo con chiarezza<br />
- è un crimine morale grave, se non anche un reato sul piano giuridico. Non possiamo<br />
quindi accettare come valido e scontato il lasc<strong>it</strong>o della tradizione medica che ingiunge di fare<br />
sempre tutto il possibile per prolungare la v<strong>it</strong>a e procrastinare la morte.<br />
Data la s<strong>it</strong>uazione magmatica e di grande cambiamento in cui ci troviamo in medicina e<br />
in medicina neonatale in modo specifico, per sapere che cosa è giusto fare dobbiamo individuare<br />
i diversi cr<strong>it</strong>eri generali che, nelle date circostanze, possono giustificare o avere giustificato<br />
l’intervento medico specifico. Non potendo avere indicazioni precise dalla tradizione,<br />
che risulta poco affidabile per via del grande sconvolgimento delle circostanze, dobbiamo appellarci<br />
direttamente a tali cr<strong>it</strong>eri per avere le indicazioni operative richieste. Nel caso dei grandi<br />
prematuri sembra che i cr<strong>it</strong>eri possibili siano i seguenti:<br />
- Si deve promuovere sempre la v<strong>it</strong>a neonatale perché questo è sempre stato il comp<strong>it</strong>o<br />
del medico.<br />
- Si deve promuovere la v<strong>it</strong>a neonatale perché ciò è stabil<strong>it</strong>o dalla sacral<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a rivelata<br />
dallo “ordine delle cose” circa la v<strong>it</strong>a umana.<br />
- Si deve promuovere la v<strong>it</strong>a neonatale perché ciò è richiesto dal bene pubblico e dalle esigenze<br />
della società.<br />
- Si deve promuovere la v<strong>it</strong>a neonatale perché questo è voluto dai gen<strong>it</strong>ori ed è l’interesse<br />
dei gen<strong>it</strong>ori (ed eventualmente anche della società).<br />
- Si deve promuovere la v<strong>it</strong>a neonatale per il bene del neonato stesso.<br />
Si tratta ora di esaminarli singolarmente al fine di stabilire quale sia plausibile, e debba essere<br />
assunto per stabilire il da farsi nel caso di un grande prematuro.<br />
Il primo individua la risposta del v<strong>it</strong>alismo medico, secondo cui comp<strong>it</strong>o primario del medico<br />
è di essere sempre per la v<strong>it</strong>a. Pur essendo la posizione trasmessa da gran parte della<br />
tradizione medica, il v<strong>it</strong>alismo è oggi cr<strong>it</strong>icato pressoché da tutti, perché diventa dannoso per<br />
le persone. Porta infatti all’accanimento terapeutico che è un vero e proprio crimine morale<br />
(se non anche giuridico), per le inutili sofferenze infl<strong>it</strong>te.<br />
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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
Si può osservare che il v<strong>it</strong>alismo, forse, celava due diversi cr<strong>it</strong>eri che, nelle condizioni storiche<br />
del passato, potevano essere confusi con esso attribuendogli plausibil<strong>it</strong>à e forza. Il primo<br />
di questi cr<strong>it</strong>eri individua la seconda risposta sopra elencata, ossia quella della sacral<strong>it</strong>à<br />
della v<strong>it</strong>a umana. Questa prospettiva rimanda ad un articolato e complesso discorso sulla v<strong>it</strong>a<br />
umana, la quale manifesterebbe finalismi specifici rivelatori di un particolare “ordine delle<br />
cose” in base al quale stabilire ciò che è disponibile e ciò che non lo è (è sacro). Sacra non<br />
è la v<strong>it</strong>a umana in sé - aspetto che diventa palese dal fatto che la posizione consente le amputazioni,<br />
i trapianti, ecc., ossia interventi invasivi - ma sacro è il finalismo intrinseco del processo<br />
v<strong>it</strong>ale - segnatamente quello riproduttivo (autoconservativo della specie) e autoconservativo<br />
dell’individuo. Questo finalismo, infatti, sarebbe il segno di un disegno cosmico sulla<br />
v<strong>it</strong>a umana, per cui la violazione di questo campo cost<strong>it</strong>uisce una indeb<strong>it</strong>a profanazione di tale<br />
disegno. In questo senso la dottrina della sacral<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a umana rimanda ad una articolata<br />
dottrina metafisica che, in circostanze storiche in cui la v<strong>it</strong>a era “mistero” e le capac<strong>it</strong>à<br />
d’intervento molto scarse, poteva anche apparire “razionale” e raccogliere ampi consensi.<br />
Oggi, comunque, l’idea di un disegno sotteso allo “ordine delle cose” non sembra sia più proponibile<br />
sul piano razionale, anche se viene ancora sostenuto da alcune religioni.<br />
Proprio perché dipende da un “ordine delle cose” r<strong>it</strong>enuto oggettivo e dato, il cr<strong>it</strong>erio sacralista<br />
può a volte essere confuso o scambiato con il terzo cr<strong>it</strong>erio da esaminare, quello olista<br />
che assume come prior<strong>it</strong>ario il bene della società o l’interesse pubblico. Con olismo si indica<br />
la dottrina secondo cui “il tutto è più della somma delle parti”, per cui l’interesse della<br />
società come tutto è maggiore dell’interesse dei singoli individui che la compongono ed ha<br />
quindi la precedenza su questo. Quando si diceva che la forza e la prosper<strong>it</strong>à di una nazione<br />
erano date dal numero dei suoi ab<strong>it</strong>anti, la v<strong>it</strong>a neonatale doveva essere sempre promossa<br />
perché questo è richiesto dal bene pubblico. È vero che questo cr<strong>it</strong>erio può giustificare soluzioni<br />
total<strong>it</strong>arie poco rispettose dei dir<strong>it</strong>ti umani individuali, ma è altresì vero che a favore dell’olismo<br />
stanno i grandi vantaggi risultanti dalla cooperazione sociale - s<strong>it</strong>uazione in cui il bene<br />
pubblico è di gran lunga superiore alla somma dei beni individuali. In questo senso non si<br />
può escludere che l’olismo abbia qualche plausibil<strong>it</strong>à.<br />
Il quarto cr<strong>it</strong>erio sopra elencato è quello del gen<strong>it</strong>orismo ossia la prospettiva che - quando<br />
si tratta di valutare il da farsi circa la v<strong>it</strong>a neonatale - considera come prior<strong>it</strong>ario l’interesse<br />
dei gen<strong>it</strong>ori. Questi, di sol<strong>it</strong>o, hanno posto sul figlio un investimento parentale e questo investimento<br />
va rispettato. Il neonato necess<strong>it</strong>a delle cure dei gen<strong>it</strong>ori, senza le quali quasi certamente<br />
morirebbe, e non può esprimere il proprio parere, per cui i gen<strong>it</strong>ori hanno t<strong>it</strong>olo a<br />
decidere per il neonato. Poiché di sol<strong>it</strong>o i gen<strong>it</strong>ori vogliono che il figlio viva, il cr<strong>it</strong>erio gen<strong>it</strong>orista<br />
e quello olista spesso convergono pur rimanendo aperta la possibil<strong>it</strong>à di una divergenza<br />
- soprattutto laddove i costi delle decisioni prese circa le s<strong>it</strong>uazioni neonatali ricadono poi<br />
sull’assistenza pubblica. In questo caso, infatti, l’interesse dei gen<strong>it</strong>ori potrebbe confliggere con<br />
l’interesse pubblico.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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152<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
L’ultimo cr<strong>it</strong>erio elencato è quello individualista, che considera come prior<strong>it</strong>ario l’interesse<br />
del paziente. Si può osservare che questo è l’altro cr<strong>it</strong>erio di cui si può dire fosse nascosto<br />
nel v<strong>it</strong>alismo. In condizioni storiche caratterizzate da lim<strong>it</strong>ate capac<strong>it</strong>à di intervento e da<br />
morti premature, fare tutto il possibile era la soluzione favorevole al bene del paziente (l’individuo<br />
interessato). Questa prior<strong>it</strong>à vale ormai (anche se da poco) nel caso dell’adulto che<br />
può esprimere le proprie volontà, ma che dire nel caso del neonato che non ha né può esprimere<br />
alcuna opinione? Come valutare l’interesse del paziente in queste condizioni? E chi ha<br />
t<strong>it</strong>olo di farlo oltre alle incerte conoscenze nel campo, oltre alle conoscenze circa lo status<br />
dell’infante, la sua capac<strong>it</strong>à di soffrire? Non manca chi avanza argomenti per sostenere che la<br />
persona va spostata, anche in vista di questi casi. Non posso affrontare il problema in questa<br />
sede, e lascio da parte la questione metafisica.<br />
4.Vediamo la questione considerando i problemi che si presentano alla luce di un caso concreto.<br />
Secondo gli standard invalsi sul piano internazionale il dovere di intervenire nel caso di<br />
un prematuro è a 26 settimane di gestazione.Tuttavia sappiamo che, per varie ragioni, ci sono<br />
anche i “grandi prematuri”, ossia quei casi in cui il parto avviene tra la 22 a settimana e la<br />
26 a settimana. Che fare in questi casi?<br />
Si può dire che, quasi d’istinto, il neonatologo tenta tutto il possibile per ev<strong>it</strong>are la morte.<br />
Questa strategia è certamente prima facie pos<strong>it</strong>iva, perché essa ha salvato la v<strong>it</strong>a a molti, consentendo<br />
loro di avere poi un’esistenza normale o pressoché normale: un risultato sicuramente<br />
encomiabile. Alcuni casi pos<strong>it</strong>ivi erano davvero insperati, visto che le nostre conoscenze in<br />
materia sono ancora abbastanza lim<strong>it</strong>ate. La frequenza statistica può offrire indicazioni generali<br />
di massima, ma difficilmente può essere assunta come fondamento del giudizio specifico.<br />
Infatti, il problema e la eventuale decisione verte su questo caso, un caso singolo, che non è<br />
assimilabile alla frequenza statistica.<br />
In questo senso, una sana prudenza porta ad intervenire per non precludere eventuali possibil<strong>it</strong>à<br />
e lasciare aperta una più oculata valutazione sul da farsi. Se infatti si lasciasse fare alla<br />
natura il proprio corso, il grande prematuro certamente morirebbe, chiudendo ogni ulteriore<br />
possibil<strong>it</strong>à. Ma la stessa prudenza deve far sì che neanche l’attuazione dell’intervento chiuda<br />
ogni ulteriore possibil<strong>it</strong>à. L’intervento di sostegno v<strong>it</strong>ale è prudente e saggio come mezzo<br />
che consente l’acquisizione di nuovi dati per la valutazione, ma si deve prestare attenzione affinché<br />
non sia trasformato in un fine in sé, perché ciò comporterebbe un’implic<strong>it</strong>a adesione<br />
al cr<strong>it</strong>erio v<strong>it</strong>alista, cr<strong>it</strong>erio che - di quelli elencati - sappiamo essere l’unico sicuramente sbagliato<br />
ed inaccettabile. Fare questo sarebbe porre un macigno inamovibile che sbarra la strada<br />
a quelle ulteriori possibil<strong>it</strong>à che si volevano mantenere aperte.<br />
È quindi prima facie prudente intervenire per vedere quale sarà l’evoluzione clinica, avendo<br />
però ben presente che il giudizio su ciò che si deve fare è solamente rimandato e che esso<br />
dipende dai dati acquis<strong>it</strong>i concernenti la s<strong>it</strong>uazione clinica e dal cr<strong>it</strong>erio valutativo assunto.<br />
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Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
Per vedere come procede il discorso immaginiamo di esaminare due possibili casi lim<strong>it</strong>e.<br />
Supponiamo che ci sia un grande pretermine di 23 settimane e che dopo due settimane<br />
mostri di rispondere bene lasciando credere che la s<strong>it</strong>uazione clinica evolva per il meglio. I<br />
gen<strong>it</strong>ori sono molto interessati al figlio e disposti ad accoglierlo comunque, per cui è pos<strong>it</strong>ivo<br />
e benefico per tutti continuare.<br />
Supponiamo ora di avere il caso diametralmente opposto sul piano clinico: ci sono danni<br />
permanenti sul piano neurologico e altri seri scompensi di carattere organico.Tuttavia il pretermine<br />
potrebbe anche farcela e sopravvivere - sia pure in una s<strong>it</strong>uazione precaria. Che fare<br />
in questo caso? Si deve continuare il sostegno fino a quando il neonato può essere dimesso<br />
e mandato a casa? Si deve sospenderlo sub<strong>it</strong>o, e vedere che succede? Perché?<br />
Considerato che il quadro clinico è noto e condiviso, eventuali risposte divergenti dipendono<br />
dal diverso cr<strong>it</strong>erio valutativo che è assunto. Tralasciando l’esame del cr<strong>it</strong>erio v<strong>it</strong>alista,<br />
che è palesemente insostenibile, si tratta di vedere quali sono le indicazioni forn<strong>it</strong>e dagli altri<br />
cr<strong>it</strong>eri.<br />
Il cr<strong>it</strong>erio sacralista può dire che nelle circostanze del caso specifico è lec<strong>it</strong>a la sospensione<br />
delle terapie per lasciare che la natura faccia il proprio corso, ma che non è mai lec<strong>it</strong>o intervenire<br />
attivamente per abbreviare la v<strong>it</strong>a.Tuttavia, in circostanze in cui è esattamente prevedibile<br />
l’es<strong>it</strong>o del “lasciar accadere”, la distinzione tra “fare” e “lasciare accadere” diventa una<br />
mera questione di lana caprina, perché il “lasciare accadere” diventa un modo del “fare” - e<br />
non serve mettere in campo la “intenzione” per tracciare una differenza, perché ciò non fa<br />
altro che rendere più complicata la s<strong>it</strong>uazione. Proprio perché la distinzione è flebile, il più<br />
delle volte il cr<strong>it</strong>erio sacralista, purtroppo, viene interpretato in senso v<strong>it</strong>alista, diventando insostenibile<br />
e provocando disastri. Se, invece, fosse inteso rettamente, risulterebbe moralmente<br />
inadeguato, perché il “lasciare accadere” comporta a volte eccessi di sofferenza che sarebbero<br />
ev<strong>it</strong>ati dal “fare”: una volta che si sia deciso di lasciare che la natura faccia il proprio corso<br />
per portare a morte il processo, non si vede perché non chiudere sub<strong>it</strong>o la part<strong>it</strong>a.<br />
Il cr<strong>it</strong>erio olista può richiedere che si sospenda l’intervento per ev<strong>it</strong>are che si abbia un “fardello<br />
sociale”. In tempi di aziendalizzazione della assistenza san<strong>it</strong>aria, questo cr<strong>it</strong>erio assume<br />
un qualche peso e non nego che qualcuno ne ricordi la rilevanza.Tuttavia, credo debba essere<br />
lasciato da parte e neanche considerato, perché una società ricca come la nostra dovrebbe<br />
guardare nella direzione opposta ed essere protesa alla difesa dei dir<strong>it</strong>ti, ev<strong>it</strong>ando considerazioni<br />
di questo genere nella decisione circa il “grande prematuro”.<br />
Più serio mi pare sia il cr<strong>it</strong>erio gen<strong>it</strong>orialista, sia perché i gen<strong>it</strong>ori sono coloro che hanno<br />
un interesse prior<strong>it</strong>ario al figlio, sia perché essi sono coloro che lo devono crescere. Si deve<br />
pertanto tenere in grande considerazione la volontà dei gen<strong>it</strong>ori, i quali sono chiamati a decidere<br />
al riguardo. Essi vanno quindi adeguatamente informati circa gli es<strong>it</strong>i previsti ed anche<br />
sostenuti psicologicamente nella difficile scelta da compiere. Può darsi che i gen<strong>it</strong>ori abbiano<br />
un atteggiamento ondeggiante, ed il più delle volte è facile ascoltino i suggerimenti proposti.<br />
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154<br />
Decisioni etiche nella gestione del grande pretermine: il punto di vista del bioetico<br />
Ma per chiarire la s<strong>it</strong>uazione consideriamo le due s<strong>it</strong>uazioni estreme: che abbiano un atteggiamento<br />
v<strong>it</strong>alista estremo, per cui - anche in condizioni palesemente disperate - chiedano si<br />
faccia tutto il possibile. Oppure, che richiedano la perfezione e che - anche in presenza di<br />
condizioni lievi - richiedano di chiudere la part<strong>it</strong>a con questo figlio.<br />
Queste due possibil<strong>it</strong>à estreme sono interessanti perché mostrano che l’investimento parentale<br />
dei gen<strong>it</strong>ori deve essere sicuramente tenuto in considerazione, ma esso va bilanciato<br />
con considerazioni derivanti dal cr<strong>it</strong>erio individualista che mette in campo il prevedibile interesse<br />
dell’interessato. Poiché il “grande pretermine”, per ovvie ragioni, non è in grado di far<br />
sentire la propria voce, il medico ha il comp<strong>it</strong>o di fungere da “tutore”. Forse, sarebbe opportuna<br />
la formazione di una commissione appos<strong>it</strong>a che valuti la s<strong>it</strong>uazione specifica e segua il<br />
caso.<br />
Quest’aspetto è tanto più importante se si considera che sono ormai frequenti le richieste<br />
di risarcimento per “danno da procreazione”, ossia per essere stati fatti nascere nelle s<strong>it</strong>uazioni<br />
di svantaggio. In questo senso, il gen<strong>it</strong>orialismo non sembra più essere sufficiente, ma<br />
neanche il v<strong>it</strong>alismo.<br />
Viviamo in un’epoca di rapido cambiamento e dobbiamo accettare la s<strong>it</strong>uazione di chiaroscuro.<br />
L’unico errore da ev<strong>it</strong>are è quello di continuare a credere che comp<strong>it</strong>o del medico<br />
sia quello di sostenere la v<strong>it</strong>a a tutti i costi, per cui si debba fare tutto il possibile per salvare<br />
la v<strong>it</strong>a lasciando poi i problemi sulla famiglia o sul contesto sociale.<br />
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TAVOLA ROTONDA<br />
QUEL CONFINE SOTTILE<br />
TRA SPERANZA E ILLUSIONE<br />
Elaborazione del lutto e difficoltà dei gen<strong>it</strong>ori del prematuro<br />
(e del personale pediatrico) nel gestire diversi tipi di perd<strong>it</strong>a<br />
A. Clarici, R. Giuliani #<br />
Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo (DPRS), Univers<strong>it</strong>à di Trieste<br />
Struttura Complessa di Neonatologia e TIN, Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”<br />
# Centro Studi di Psicoterapia a Orientamento Psicoanal<strong>it</strong>ico - Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
13<br />
Il vertice psicoanal<strong>it</strong>ico si rivolge alla realtà del percorso del lutto, un processo che permea ogni<br />
attiv<strong>it</strong>à all’interno di un reparto di Terapia Intensiva Neonatale, sia al mondo delle aspettative consce<br />
o inconsce delle persone (i gen<strong>it</strong>ori e il personale) coinvolte con il neonato prematuro. Un contesto<br />
psicoanal<strong>it</strong>ico permette di riconoscere questo tipo di dolore, e fornisce l’opportun<strong>it</strong>à di uno<br />
spazio e un tempo, al momento della nasc<strong>it</strong>a, in cui i gen<strong>it</strong>ori possano essere aiutati innanz<strong>it</strong>utto<br />
a riconoscere l’esistenza di questo doloroso “gap” tra le loro aspettative e la realtà attuale, e riuscire<br />
a parlarne e a integrarlo nella propria mente, e (fatto, ancora più importante ai fini preventivi),<br />
di segu<strong>it</strong>o nella mente del bambino.<br />
Vengono presentati tre casi clinici che sono qui distinti per la diversa natura del processo del<br />
lutto. Il primo (a) è dato dal lutto per un bambino non nato, il secondo (b) per un bambino morto<br />
e il terzo (c) per una bambina con handicap perché nata con una sindrome genetica.<br />
Introduzione<br />
La spinta a pensare un progetto di questo tipo, da attuare all’interno di un reparto di neonatologia,<br />
nasce dall’esperienza di lavoro fatta in un amb<strong>it</strong>o extra-ospedaliero terr<strong>it</strong>oriale con<br />
bambini con handicap e con i loro gen<strong>it</strong>ori. Spesso l’handicap motorio, sensoriale e psichico<br />
è legato, per diversi aspetti ad una nasc<strong>it</strong>a prematura. Nonostante il trascorrere degli anni, il<br />
dolore legato al trauma di una nasc<strong>it</strong>a prematura è ancora molto presente nei gen<strong>it</strong>ori, nella<br />
famiglia e nel bambino stesso anche dopo molto tempo, se non si sono compiuti dei passi<br />
nel processo del lutto, di adattamento alla perd<strong>it</strong>a.<br />
Per lutto (Bowlby,1969), in questo contesto, intendiamo quelle costellazione di processi<br />
mentali adattativi necessaria per elaborare e accettare una perd<strong>it</strong>a riferibile alla realtà famigliare<br />
(che, può essere data dalla morte “effettiva” del bambino prematuro, ma anche dalla<br />
perd<strong>it</strong>a della speranza che il bambino guarisca da un defic<strong>it</strong> organico cronico), ma che può ri-<br />
155
156<br />
Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
ferirsi anche solo alla disillusione rispetto alle aspettative consce o inconsce delle persone<br />
coinvolte (i gen<strong>it</strong>ori e il personale). La necess<strong>it</strong>à di riuscire a riconoscere questo tipo di dolore,<br />
crea la necess<strong>it</strong>à di uno spazio e un tempo, al momento della nasc<strong>it</strong>a, in cui i gen<strong>it</strong>ori<br />
possano essere aiutati innanz<strong>it</strong>utto a riconoscere l’esistenza di questo doloroso “gap” tra le<br />
loro aspettative e la realtà attuale, e riuscire a integrarlo nella propria mente e, di segu<strong>it</strong>o, a<br />
parlarne.<br />
Sembra ormai accertato da ricerche cliniche (Bowlby,1969) e sperimentali (Mahler et al.,<br />
1975) che le prime esperienze, le prime interazioni e, in particolare, la qual<strong>it</strong>à di queste prime<br />
relazioni che si stabiliscono tra il bambino e i suoi gen<strong>it</strong>ori siano fondamentali per il suo<br />
successivo sviluppo. Anche la psicoanalisi moderna poggia sempre più le sue basi su evidenze<br />
di carattere clinico (Kaplan-Solms & Solms, 2000) e sperimentale (Panksepp, 2001).<br />
In estrema sintesi su che cosa poggia le sue basi cliniche la psicoanalisi moderna? La cornice<br />
metodologica e concettuale adottata dalla psicoanalisi contemporanea si concentra sullo<br />
studio delle relazioni oggettuali (rappresentazionali). Queste schemi di base modulano il<br />
comportamento del bambino (e poi quello dell’adulto) in generale (Klein, 1958; Sandler &<br />
Sandler, 1998). Il modo in cui un bambino o un individuo si relaziona nel presente è quindi<br />
direttamente collegato con questi più precoci “elementi funzionali” della personal<strong>it</strong>à, ossia da<br />
“matrici” di memorie, da ricordi di relazioni soddisfacenti o traumatiche, o, si potrebbe dire,<br />
usando una terminologia cogn<strong>it</strong>ivista, dalle memorie implic<strong>it</strong>e del soggetto. Questi schemi relazionali<br />
si generano da modelli appresi dai rapporti precoci con le persone dalle quali il bambino<br />
dipende, fin dalla nasc<strong>it</strong>a, per il soddisfacimento dei bisogni fisiologici, psicologici e affettivi<br />
primari. Queste matrici mnesiche determinano il modo in cui il bambino percepisce le relazioni<br />
con le persone (o “oggetti” della relazione), e dalle reazioni evocate da queste relazioni<br />
nel soggetto nella loro global<strong>it</strong>à e attraverso tutto il corso del suo sviluppo. Questo fatto<br />
ha una influenza diretta e predominante sul modo di relazionarsi con l’ambiente in genere:<br />
possiamo supporre che esiste una coerenza costante (anche se dinamica e mutevole) tra:<br />
a. il modo in cui il bambino percepisce e fa esperienza del suo mondo, di se stesso e degli<br />
altri;<br />
b. il modo in cui egli fa uso delle sue capac<strong>it</strong>à e risorse nelle interazioni con altri individui<br />
aventi caratteristiche diverse di personal<strong>it</strong>à; e<br />
c. il modo in cui si impegna nel gioco, nell’attiv<strong>it</strong>à del tempo libero, negli interessi, negli svaghi,<br />
poi lavoro; infine e, fatto ancora più importante;<br />
d. il modo in cui possono rimanere strutturate nella personal<strong>it</strong>à particolari relazioni oggettuali,<br />
vissute come troppo “forti”, ovvero traumatiche.Tutte queste modal<strong>it</strong>à di mettersi in<br />
relazione con l’ambiente portano delle tracce dei modelli così profondamente radicati nelle<br />
prime e più prim<strong>it</strong>ive relazioni.<br />
È su queste basi concettuali e lavorando con il bambino su questo modello che si è inte-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
so approfondire i problemi del lavoro all’interno del reparto di neonatologia e Day Hosp<strong>it</strong>al.<br />
La moderna teoria psicoanal<strong>it</strong>ica delle relazioni oggettuali (Sandler & Sandler, 1998) si riferisce<br />
quindi allo studio dell’insieme di comportamenti relazionali che avvengono tra il bambino<br />
e chi lo accudisce (care-giver) fin dai primi momenti della v<strong>it</strong>a. Ma cosa accade, allora, quando<br />
un bambino e i gen<strong>it</strong>ori si incontrano prematuramente?<br />
La nasc<strong>it</strong>a prematura, è per la sua natura più suscettibile a essere vissuta più come un trauma<br />
che come un’esperienza digeribile: essa disorienta i gen<strong>it</strong>ori che non possono essere ancora<br />
competenti e si sentono, a segu<strong>it</strong>o dell’evento, ancora più impreparati alla nasc<strong>it</strong>a; sono<br />
in difficoltà nel trovare un equilibrio tra ciò che investono nella relazione con il proprio bambino,<br />
di cui non conoscono le possibil<strong>it</strong>à di evoluzione, e il bambino reale che vedono davanti<br />
a sé (Negri, 1994).<br />
I diversi aspetti che può assumere il processo del lutto sono accomunati dalla necess<strong>it</strong>à<br />
da parte dei gen<strong>it</strong>ori all’uso di difese psichiche atte a proteggersi da vissuti eccessivamente<br />
traumatici. Per questi motivi, anche persone del tutto equilibrate dal punto di vista psichico,<br />
possono utilizzare temporaneamente delle modal<strong>it</strong>à di negazione della realtà un po’ psicotiche.<br />
È quindi importante che vi sia qualcuno, in questa prima fase di avvio del processo di accettazione,<br />
che possa tollerare e “tenere a mente” quello che sta accadendo al bambino e ai<br />
suoi gen<strong>it</strong>ori. In questo modo questa consapevolezza non andrà persa e potrà, a tempo deb<strong>it</strong>o,<br />
essere riutilizzata anche da tutta la famiglia, quando il dolore sarà diventato più sopportabile.<br />
Questo ruolo conten<strong>it</strong>ivo può essere assunto da uno psicoterapeuta qualificato, anche<br />
se più spesso ciò viene fatto da un medico o da un infermiere del reparto disponibili a reggere<br />
il contatto con le ansie dei gen<strong>it</strong>ori.Tale riconoscimento verrà discusso nei termini della<br />
fondamentale distinzione esistente tra “speranza” e “illusione”: la speranza è l’illusione sono<br />
ovviamente co-presenti nei gen<strong>it</strong>ori e nel personale che entra a contatto con il bambino<br />
in misure diverse. Illudere significa fornire una versione eccessivamente rassicurante e confortante,<br />
tuttavia fondata su elementi distanti dalla realtà del momento; con l’illusione, sia i gen<strong>it</strong>ori<br />
che il personale, rischiano di perdere la fiducia nel poter riuscire a sopportare una perd<strong>it</strong>a<br />
sub<strong>it</strong>a. L’es<strong>it</strong>o dell’illusione in questo contesto non può che essere un fraintendimento<br />
dello stato delle cose, e una successiva disillusione ad opera dei dati di realtà, che lascia i gen<strong>it</strong>ori<br />
(ma anche l’operatore) con un senso di impotenza, dove la propria capac<strong>it</strong>à di capire<br />
risulta colp<strong>it</strong>a e mortificata. Aiutare a mantenere la speranza appare come un intervento conosc<strong>it</strong>ivo<br />
e conten<strong>it</strong>ivo riv<strong>it</strong>alizzante, che non esclude la realtà della perd<strong>it</strong>a, ma prelude a un<br />
suo superamento e al cambiamento.<br />
La nuova s<strong>it</strong>uazione predispone i gen<strong>it</strong>ori a uno stato di insicurezza nelle proprie capac<strong>it</strong>à<br />
di accudimento (Sandler, 1960), al disorientamento, a volte al panico, che spesso prelude a<br />
un profondo stato depressivo legato ai vissuti di colpa. I gen<strong>it</strong>ori, come vedremo anche nei<br />
casi clinici sotto riportati, immancabilmente sono costretti a riconsiderare quello che è la propria<br />
responsabil<strong>it</strong>à nel determinarsi della vicenda clinica del loro piccolo bambino. Le doman-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
de, che spesso rimangono inespresse sono:“Cosa ho fatto per causare tutto questo?”; oppure<br />
i gen<strong>it</strong>ori si chiedono “Se non avessi ..., forse questo non sarebbe successo...”. All’opposto,<br />
un bambino prematuro crea un vissuto di impotenza nei gen<strong>it</strong>ori: il neonato infatti spesso è<br />
sospeso tra la v<strong>it</strong>a e la morte, e per sopravvivere è affidato a delle macchine. In questo contesto,<br />
i gen<strong>it</strong>ori, vivono di riflesso una condizione di eccessiva deresponsabilizzazione e un grande<br />
senso di inadeguatezza. In questo caso, essi si dicono: “Adesso non serviamo proprio più<br />
a nulla”. Entrambi queste condizioni (quella di eccessivo senso di responsabil<strong>it</strong>à, sia quello di<br />
impotenza) non facil<strong>it</strong>ano il rapporto comunicativo e interattivo dei gen<strong>it</strong>ori con il neonato:<br />
spesso essi si trovano ad oscillare tra movimenti di avvicinamento al proprio figlio ad altri di<br />
allontanamento di tipo difensivo, conseguenti alla paura di essere inadeguati, che provocano<br />
quasi una fuga dal neonato.<br />
Le prime relazioni all’interno di una Terapia Intensiva Neonatale (TIN) non possono essere<br />
quindi del tutto caratterizzate dallo stesso tipo di scambio, generalmente ricco e vario, come<br />
avviene tra la mamma e il bambino sano a termine al nido. La mamma è angosciata, il<br />
bambino è poco disponibile al contatto, e il tutto viene spesso complicato dall’organizzazione<br />
intrinseca al buon funzionamento del reparto stesso.Al gen<strong>it</strong>ore non resta che sentire confermata<br />
tutta la sua incompetenza: al posto della pancia c’è l’incubatrice, al posto delle sue<br />
mani ci sono quelle delle infermiere e sono le macchine che garantiscono al bambino la sicurezza<br />
e spesso la sopravvivenza.<br />
Con questi presupposti, si è voluto finalizzare un progetto che permettesse di migliorare<br />
la qual<strong>it</strong>à della v<strong>it</strong>a del bambino e dei suoi gen<strong>it</strong>ori mentre sono degenti nel reparto di Terapia<br />
Intensiva Neonatale. Le moderne procedure assistenziali hanno ridotto la grav<strong>it</strong>à delle patologie<br />
come viene confermato dai dati rilevati dai numerosi studi di follow-up. C’è però un<br />
nuovo dato emergente e poco codificabile: le patologie a distanza, che apparentemente sembrano<br />
meno gravi ma che presentano un rischio psicopatologico evidente (Negri, 1994).<br />
Questa ricercatrice chiama “segnali di allarme” tutti quegli indizi che si possono osservare precocemente<br />
nel comportamento di un bambino prematuro e che cost<strong>it</strong>uiscono solamente un<br />
segnale di rischio di una compromissione psichica con un grande valore preventivo riguardo<br />
alle psicopatologie precoci del bambino come: la fobia del bambino, i disturbi di alimentazione,<br />
le reazioni di instabil<strong>it</strong>à e irrequietezza motoria, la difficoltà di regolarizzare i r<strong>it</strong>mi, i disturbi<br />
del sonno. Spesso i bambini piccoli “utilizzano” il corpo per manifestare un disagio psichico<br />
e lo fanno, a volte, attraverso i disturbi dell’alimentazione, del controllo sfinterico, attraverso<br />
l’asma o la dermat<strong>it</strong>e. Non vanno infine sottovalutate le basi affettive di alcuni disturbi del<br />
linguaggio e dell’apprendimento (Bion, 1962, 1963).<br />
La final<strong>it</strong>à di questo progetto è quindi quella di lavorare sulla qual<strong>it</strong>à delle cure da praticare<br />
al bambino strettamente collegata con la qual<strong>it</strong>à delle cure che il reparto può offrire alla<br />
famiglia in senso più generale: accogliere, contenere, ascoltare i gen<strong>it</strong>ori praticando per loro<br />
una funzione gen<strong>it</strong>oriale vicariante, creando un’atmosfera “sufficientemente buona”<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
(Winnicott, 1987). È difficile e faticoso considerare le ansie dei gen<strong>it</strong>ori e pensare al bambino<br />
prematuro come ad un organismo che sente e che ha bisogno di essere rassicurato.<br />
Considerare l’evoluzione psicologica dei gen<strong>it</strong>ori e del bambino, cost<strong>it</strong>uisce un elemento con<br />
caratteristiche preventive rispetto ad un disagio futuro.<br />
Descrizione del progetto<br />
Seguendo i modelli teorici e i principi sopra indicati, è stato pensato e attuato un progetto<br />
di sostegno psicologico ai gen<strong>it</strong>ori e bambini nati prematuri, a rischio o con handicap.<br />
Le modal<strong>it</strong>à d’attuazione di questo progetto sono quindi date:<br />
a. dalla creazione di uno “spazio d’ascolto” per i gen<strong>it</strong>ori con il loro bambino;<br />
b. dall’osservazione e registrazione di alcune funzioni del bambino;<br />
c. da incontri con il personale della neonatologia.<br />
Ai gen<strong>it</strong>ori, in genere in presenza dei loro neonati prematuri verrà offerto uno spazio alla<br />
presenza di uno psicologo, in cui poter incontrarsi e parlare delle proprie paure e ansie. Lo<br />
spazio fisico è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o in una stanza appos<strong>it</strong>a oppure, quando le condizioni del bambino non<br />
lo permettono, accanto all’incubatrice. In un altro spazio, il personale interessato, avrà la possibil<strong>it</strong>à<br />
di ripensare al proprio lavoro in gruppo con la supervisione di uno psicologo.<br />
Pensato per l’Ist<strong>it</strong>uzione, il progetto dura un anno ma se si pensa ad un bambino nato prematuro<br />
e ai suoi gen<strong>it</strong>ori, questo progetto durerà per il tempo necessario a stabilire una relazione<br />
“sufficientemente buona”.<br />
Pensando ad una nasc<strong>it</strong>a prematura con es<strong>it</strong>i infausti, il progetto potrebbe durare fino a<br />
quando i gen<strong>it</strong>ori non riescano ad elaborare il lutto. Quando poi la nasc<strong>it</strong>a prematura determina<br />
un handicap nel bambino, allora il progetto potrebbe durare fino a quando il piccolo<br />
non entri alla scuola materna. R<strong>it</strong>eniamo che un intervento precoce di sostegno ai gen<strong>it</strong>ori e<br />
al bambino nato prematuro, possa prevenire sia un disagio psicologico e familiare che, in un<br />
secondo momento, quella difficoltà di organizzazione e sostegno che le ist<strong>it</strong>uzioni saturano<br />
con contributi economici più o meno adeguati quando il bambino e la famiglia entrano a far<br />
parte della v<strong>it</strong>a di comun<strong>it</strong>à (scuola materna, elementare etc.).<br />
Le motivazioni che ci hanno spinto a pensare e attuare un progetto di lavoro in un reparto<br />
di neonatologia, si possono r<strong>it</strong>rovare sia nel nostro percorso professionale che in quello<br />
personale. Ormai dieci anni fa, partecipammo ad un seminario sul lavoro di una psicoterapeuta<br />
con i gen<strong>it</strong>ori di neonati prematuri; ciò che ascoltammo ci sembrò allora molto lontano<br />
da noi e dal nostro mondo lavorativo.<br />
Nel corso degli anni successivi, le esperienze sia lavorative che quelle legate alla formazione,<br />
ci hanno portato a pensare concretamente ad un progetto da attuare presso la neonatologia<br />
dell’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo” di Trieste. Il progetto rimasto a “decantare”<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
nella nostra mente per qualche anno è stato poi condiviso con alcuni colleghi, e si articola in<br />
tre tipi di intervento e offre uno spazio ai gen<strong>it</strong>ori, uno spazio al personale e uno spazio alla<br />
ricerca. Il primo spazio, è quello di cui si occuperà quindi questo lavoro, mentre rimandiamo<br />
a future pubblicazioni quello relativo agli altri due aspetti.<br />
La collaborazione della psicoterapeuta infantile è volontaria e, settimanalmente si svolge<br />
nel reparto per 8/10 ore. Le è stato permesso di conoscere il reparto, i suoi tempi, i suoi r<strong>it</strong>mi<br />
e il personale che vi lavora. La parola usata più spesso dagli infermieri, ogni volta che si è<br />
presentata è stata “Finalmente!... Ci hanno ascoltato, l’abbiamo sempre chiesto uno psicologo”.<br />
Non ha mai detto loro che non l’ha cercata nessuno: l’autrice che si occupa di questo<br />
aspetto (R.G.) ha sempre specificato che è stata lei a cercare loro.<br />
Per diverse settimane ha cercato di capire come funzionasse il reparto e ha cercato di<br />
sentire ciò che non solo si guarda con gli occhi. Ha fatto i conti con la realtà del reparto e il<br />
progetto nella sua mente, stava cercando di calare in quella realtà qualcosa che aveva soltanto<br />
pensato.<br />
Come è noto, all’interno della terapia intensiva neonatale (TIN) è obbligatorio indossare<br />
sia il camice che i calzari ma è anche necessario entrare in quel reparto con un atteggiamento<br />
“in punta di piedi”. Durante i primi giorni le sembrava palpabile la distanza da tenere con<br />
i gen<strong>it</strong>ori che incontrava e ai quali si presentava; ogni volta che si avvicinava ad una incubatrice<br />
intorno a cui c’erano medici e infermieri ha chiesto il permesso di poterlo fare misurando<br />
ogni passo. Si sono mostrati tutti disponibili a rispondere a qualche sua domanda relativa<br />
ad un mondo medico a lei completamente sconosciuto e ha cominciato a riconoscere termini<br />
legati a patologie, strumenti e “protocolli”.Tra il personale medico, ab<strong>it</strong>uato ad intervenire<br />
per salvare la v<strong>it</strong>a, ci sono alcuni neonatologi che riescono a vedere anche ciò che c’è oltre<br />
la patologia, alcuni invece soltanto apparentemente sembra che si occupino degli aspetti<br />
essenzialmente medici del neonato. A volte più dei medici, sono gli infermieri coloro che ricevono<br />
con maggiore intens<strong>it</strong>à l’impatto della s<strong>it</strong>uazione della famiglia del neonato, e riconoscono<br />
per primi (forse ancora prima delle madri) i bambini come individui unici.<br />
Stupisce e meraviglia, ancora adesso a distanza di molti mesi dall’inizio del lavoro, sentire<br />
le infermiere parlare con bambini che pesano 500 grammi riconoscendo le loro preferenze<br />
riguardo ad una posizione particolare oppure a qualche manovra specifica, li consolano, li coccolano<br />
e li sgridano amorevolmente. In certi momenti tocca a loro intervenire per salvare la<br />
v<strong>it</strong>a. In quello spazio, sono talmente numerose e forti le emozioni che spesso manca lo spazio<br />
per i pensieri; a volte, quando cap<strong>it</strong>a di chiedere ad una infermiera “Come va?”, la risposta<br />
è rifer<strong>it</strong>a sempre al bambino che sta accudendo. Se si specifica che la domanda è rivolta<br />
a lei, allora c’è sempre un sorriso che sottolinea il peso e la fatica emotiva legata soprattutto<br />
ad un senso di impotenza nel sostenere i gen<strong>it</strong>ori oppure nel sentirsi aguzzini e persecutori<br />
nei confronti dei bambini stessi.<br />
Fin dall’inizio abbiamo scelto di non toccare i bambini come un atto di rispetto verso tut-<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
ti, con il passare del tempo però abbiamo cap<strong>it</strong>o che la nostra scelta è legata ad una difesa:<br />
cerchiamo di difenderci dal coinvolgimento emotivo per poter parlare con i gen<strong>it</strong>ori; ai neonati<br />
non si stringe la mano ma si accarezzano o gli si dà il ciuccio e questo presuppone un<br />
contatto che, crediamo, potrebbe compromettere il nostro lavoro almeno per il momento.<br />
Da quattro mesi incontriamo quotidianamente soprattutto le mamme, a volte insieme ai papà,<br />
dei bambini ricoverati e, una volta alla settimana, la psicoterapeuta incontra una coppia di<br />
gen<strong>it</strong>ori con la loro bambina nata con una sindrome genetica e un problema cardiaco. La bambina<br />
è segu<strong>it</strong>a con vis<strong>it</strong>e ravvicinate al Day Hosp<strong>it</strong>al da alcuni dei medici della neonatologia.<br />
Lo scopo del nostro progetto è da ricercarsi essenzialmente nella prevenzione del disagio<br />
che nel futuro dei bambini e i loro gen<strong>it</strong>ori può essere determinato dall’angoscia di una<br />
nasc<strong>it</strong>a prematura o che ha presentato delle difficoltà o patologie. Nel caso in cui l’angoscia<br />
sia determinata da un handicap organico diagnosticato alla nasc<strong>it</strong>a, si tratta di prevenire ed<br />
ev<strong>it</strong>are un handicap secondario (Tustin, 1990; Sinason, 1992).<br />
È difficile riassumere tutto quello che abbiamo vissuto in questi primi mesi dall’inizio del<br />
progetto, ma quello a cui siamo stati più vicino è l’angoscia legata alla perd<strong>it</strong>a e la perd<strong>it</strong>a stessa.<br />
Abbiamo scelto quindi di presentare tre storie legate a tre tipi di lutto.<br />
Ringraziamo particolarmente i gen<strong>it</strong>ori e il personale pediatrico: tutti quelli che abbiamo<br />
incontrato nella TIN hanno dimostrato sempre di sapere, consapevolmente, a volte inconsapevolmente,<br />
tutta la difficoltà che è ins<strong>it</strong>a nell’impresa di questo percorso; li ringraziamo anche<br />
per averci perdonato quando abbiamo involontariamente fer<strong>it</strong>o la loro sensibil<strong>it</strong>à, disilludendoli,<br />
nel delicato passaggio dall’illusione alla speranza.Tutti i dati che potessero portare al<br />
riconoscimento degli adulti e dei bambini inclusi nello studio sono stati modificati per proteggerne<br />
la privacy.<br />
1. Lutto per un bambino mai nato: il caso dei gemelli Carlo e Giovanni<br />
Carlo è ricoverato nella TIN, pesa 1 kg ed è in terapia intensiva da 8 settimane, da quando<br />
è nato alla 24 a settimana con 500 gr. di peso. Ai primi incontri, una psicoterapeuta fra gli<br />
autori (R.G.) incontra la mamma che sta facendo la “canguro terapia”.<br />
Dopo la presentazione la mamma risponde: “Qui dentro ci vuole proprio uno psicologo... per<br />
fortuna il momento più difficile è superato... con mio mar<strong>it</strong>o c’è una grande intesa e ci siamo sostenuti<br />
a vicenda... ho pianto tanto quando Giovanni è morto... perché erano due gemelli e purtroppo<br />
abbiamo dovuto fare un aborto perché rischiava la v<strong>it</strong>a anche Carlo” La signora comincia a<br />
piangere, dico che ricordare fa molto male e che se vuole può utilizzare, magari in un altro momento,<br />
uno spazio che ora viene offerto ai gen<strong>it</strong>ori per pensare a ciò che stanno vivendo. La lascio<br />
tranquilla con il suo minuscolo bambino sul petto ed esco.<br />
È avvertibile quanto la mamma sia in una s<strong>it</strong>uazione di equilibrio emotivo precario e, nonostante<br />
accolga l’offerta della psicoterapeuta, teme di non riuscire a sostenere l’angoscia che<br />
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prova sia per il lutto non ancora elaborato sia per il timore che il suo bambino non riesca a<br />
sopravvivere. Per due mesi ha avuto il sostegno del mar<strong>it</strong>o ed è a lui che pensa per sentirsi<br />
sostenuta.<br />
Dopo un mese, esattamente l’8 marzo, la mamma di Carlo chiede alla caposala di incontrarmi,<br />
il bambino è usc<strong>it</strong>o dalla T.I. ed è al Centro Immaturi. Non c’è ancora uno spazio concreto ma la caposala<br />
ci mette a disposizione il suo piccolo stanzino ricavato da una rientranza del corridoio.<br />
Appena ci sediamo, molto vicine per la mancanza di spazio, comincia a piangere e dice che<br />
non ce la fa più, da quando Carlo è usc<strong>it</strong>o dalla T.I. Non fa che piangere e pensare all’altro gemello,<br />
Giovanni, morto prima di nascere. Racconta, piangendo accoratamente, che aveva chiesto di essere<br />
sedata durante il clampaggio ma non l’hanno fatto ed ora ha l’immagine del cuoricino che si<br />
ferma sempre viva e presente. Dice che si sente in colpa. Dico che ora che Carlo sta meglio, si può<br />
permettere di sentire il dolore per la perd<strong>it</strong>a di Giovanni e chiedo cosa ricorda di lui. Tra le lacrime,<br />
interrompendosi solo per soffiarsi il naso (con un fazzoletto che le offro e, decido, da ora in<br />
poi, che i fazzoletti di carta saranno uno strumento di lavoro concreto), racconta che ricorda tutti<br />
i movimenti del bambino perché era in alto ed era il più grande. ...“Fino a 18 settimane, tutto bene,<br />
alla 20 a : un disastro”. Sono andati a Milano per fare un intervento alla placenta ma non è andato<br />
bene e avrebbero potuto ripeterlo soltanto dopo 15 giorni ma sarebbe stato ormai troppo<br />
tardi per i bambini. Le hanno proposto un clampaggio e il gemello destinato sarebbe stato Giovanni<br />
perché, nonostante più grande, era il più sofferente, se fosse morto, avrebbe portato via anche l’altro.<br />
Il bambino è rimasto dentro e si sarebbe mummificato, sono tornati a casa ma dopo 10 giorni<br />
ha perso le acque e il parto è avvenuto dopo 2 o 3 giorni, prima è “usc<strong>it</strong>o” Giovanni ma lei non<br />
l’ha visto perché le hanno fatto fare solo due spinte e l’hanno sedata. Carlo ha pianto sub<strong>it</strong>o e pesava<br />
513 gr. Ha avuto una necrosi alle d<strong>it</strong>a della mano destra e ha perso 3/4 della falange dell’indice,<br />
mezza falange del medio e 1/3 della falange dell’anulare.<br />
È molto difficile per i gen<strong>it</strong>ori elaborare il lutto per un bambino nato morto e, quando nasce<br />
un altro bambino, come in questo caso, il rischio è che il lutto non venga mai elaborato<br />
ma che, in qualche modo resti sospeso e vada a influenzare le relazioni all’interno della famiglia<br />
e lo sviluppo emotivo dei bambini nati vivi. La psicoterapeuta chiedendo alla mamma di<br />
ricordare il suo bambino morto prima della nasc<strong>it</strong>a, cerca di creare uno spazio, nella mente<br />
della signora perché possa pensare alla perd<strong>it</strong>a sub<strong>it</strong>a, perché possa avere dei ricordi sui quali<br />
potersi basare per elaborare il lutto. Quanto più il bambino morto avrà una reale ident<strong>it</strong>à,<br />
tanto più facile sarà il rimpiangerlo.<br />
Bourne e Lewis (1984a; 1984b) dimostrano come sia difficile elaborare il lutto per un bambino<br />
nato morto e quanto possa essere complicato per chi aiuta i gen<strong>it</strong>ori portarli a compiere<br />
questo processo; la morte del bambino viene vissuta come un non-evento e lascia un<br />
senso di vuoto dentro di loro.<br />
Solamente domenica scorsa, anche se il papà l’aveva visto più volte, alla vista delle d<strong>it</strong>a, è an-<br />
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dato in crisi ed ha avuto reazioni di rabbia prendendo a pugni una parete.<br />
Dico che è sempre una mancanza, delle d<strong>it</strong>a questa volta ma ora forse questa mancanza richiama<br />
la perd<strong>it</strong>a di Giovanni.<br />
Dice che vorrebbe che anche il mar<strong>it</strong>o venisse a parlare con me perché se ne ha bisogno, non<br />
è come parlare con i parenti.<br />
Dice che fino ad ora ha visto in Carlo anche Giovanni ma ha pensato che non è giusto per<br />
Carlo “Perchè Carlo è Carlo e basta”. Dico che è una affermazione molto importante questa e soltanto<br />
pensando a Giovanni come Giovanni potrà accettare la sua morte e trovare un posticino<br />
dentro di sé. ...<br />
Comincia a delinearsi lo spazio tra i due bambini gemelli nella mente della mamma e questo<br />
processo potrà garantire la possibil<strong>it</strong>à di aiutare Carlo a crescere senza confonderlo con<br />
qualcuno che non è mai nato. La mamma comincia a percepire e riconoscere la confusione<br />
nella sua mente rispetto ai due bambini.<br />
Qualche giorno dopo, la signora mi dice che è molto preoccupata e si è spaventata perché il<br />
mar<strong>it</strong>o, alla notizia della retinopatia di Carlo ha sfondato un armadio con un pugno. ... La cosa che<br />
le ha fatto più male sono state le parole del mar<strong>it</strong>o “meglio se Carlo fosse morto almeno sarebbe<br />
fin<strong>it</strong>o tutto questo tormento”. La mamma dice che solo in quel momento, oltre a tutta la confusione<br />
che ha in testa dall’inizio della storia, ha sent<strong>it</strong>o anche male al cuore, come una stretta, un<br />
dolore fisico..... ora lui sta perdendo la calma e ha paura che ceda. Dico che forse si sente impotente<br />
e ora qualsiasi imprevisto riaccende ed esaspera il senso di impotenza, la rabbia diventa incontenibile<br />
e non riesce più a trattenerla...<br />
...Incontro una volta i gen<strong>it</strong>ori di Carlo e mi sembrano una coppia molto affiatata, il papà ... è<br />
una persona molto concreta ma schietta e “sanguigna”. È alto e magro, molto energico... Si pensa<br />
insieme al forte senso di impotenza del papà e alla sua rabbia che esplode a volte in modo incontrollabile.<br />
Per questo si sente in colpa ma chiede comprensione e l’inv<strong>it</strong>o allora a comprenderla,<br />
lui per primo, la sua rabbia.<br />
Il papà è stato sopraffatto dal sentimento di impotenza e dalla rabbia che ne consegue. Il<br />
comp<strong>it</strong>o della psicoterapeuta è stato quello di aiutare i gen<strong>it</strong>ori a riconoscere la rabbia senza<br />
negarla o mascherarla; rest<strong>it</strong>uire al papà la possibil<strong>it</strong>à di pensare la propria rabbia, ha aiutato<br />
la mamma a separare i contenuti della rabbia del mar<strong>it</strong>o dal loro bambino ed è serv<strong>it</strong>o<br />
a tranquillizzarla.<br />
...Racconta che la cosa più faticosa da sostenere è non permettersi di essere contenti perché<br />
se solo si sente la gioia per una buona notizia, si teme con terrore che ne arrivi sub<strong>it</strong>o un’altra cattiva.<br />
Questo restare in sospeso per tanto tempo è molto stressante e alla fine si cede. Dico che<br />
capisco cosa vuole dire e che dopo tanti mesi anche un semplice “intoppo” si vive con la stessa<br />
intens<strong>it</strong>à di una tensione accumulata in tanti mesi. Il papà cerca di rassicurare la moglie riguardo<br />
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agli ultimi scatti d’ira e sa ora che li controllerà ma chiede comprensione.<br />
Ci salutiamo e incontrerò ancora due volte soltanto la mamma prima che Carlo venga dimesso,<br />
alla fine di marzo.<br />
Alle dimissioni, la mamma è ecc<strong>it</strong>ata e raggiante, anche il bambino è un po’ suscettibile e nervoso,<br />
sembra che senta l’evento tanto atteso e l’ecc<strong>it</strong>azione che c’è in giro. I lineamenti di Carlo si<br />
sono defin<strong>it</strong>i ed assomiglia alla mamma, è nella fase in cui i bambini prematuri sembrano dei criceti.<br />
Succhia dal seno ma viene aiutato con il biberon, pesa più di 2 chili e mezzo. Mi incanto a<br />
guardarlo mentre gioca con il capezzolo usando la piccola lingua e le labbra.<br />
A metà maggio li incontro in D.H.; Carlo è cresciuto ma sembra un bambino di 3 mesi. La mamma<br />
dice che è un po’ sordo ma devono accertarlo, l’opereranno per le ernie inguinali. La mamma<br />
mi dice che a volte le viene un po’ di tristezza pensando a Giovanni, sa che per un po’ sarà così<br />
ma è sopportabile.<br />
La frase detta dal papà e sottolineata anche dalla mamma riguarda proprio il confine tra<br />
speranza e illusione. Negli incontri con i gen<strong>it</strong>ori di bambini molto prematuri, è molto frequente<br />
sentire spesso la stessa frase:“Non si può essere troppo contenti per le belle notizie<br />
perché si teme che sub<strong>it</strong>o dopo ce ne siano di terribili”. Sembra che le cattive notizie portino<br />
la delusione e, in questo caso allora, la speranza viene persa perché sent<strong>it</strong>a come una illusione<br />
che nega la realtà e rende tutto mortifero. La grande fatica che fanno questi e altri<br />
gen<strong>it</strong>ori è quella di restare in equilibrio, a volte precario, tra speranza ed illusione.<br />
2. Il lutto per un bambino morto: Enrico e Andrea<br />
A causa di un inizio di gestosi e di una insufficienza placentare, sono nati due gemelli alla<br />
27 a settimana, Andrea di 500 gr ed Enrico di 900 gr. I bambini sono nati con un parto cesareo.<br />
Mentre sto per uscire dal reparto, incontro il papà (i nuovi papà sono facilmente individuabili<br />
dall’espressione in genere allucinata), appena mi presento mi risponde sub<strong>it</strong>o “Mi stavo chiedendo<br />
se ci fosse un sostegno psicologico in un reparto come questo, me lo aspettavo e sono contento<br />
che ci sia” dice che la mamma sta abbastanza bene ma è preparata e mi inv<strong>it</strong>a ad andare a<br />
trovarla perché sa che le farebbe piacere. Lo ringrazio ma andrò il giorno dopo. Mentre l’aiuto a<br />
vestirsi dice “Credo proprio che ci voglia un aiuto perché in queste s<strong>it</strong>uazioni la cosa più tremenda<br />
è quella di non potere abbracciare tuo figlio”. Rispondo che in questa frase ha riassunto proprio<br />
tutta quella che è la difficoltà di questi momenti, in questo reparto...<br />
Questo papà sottolinea immediatamente quanto sia faticoso da sostenere quel gesto che<br />
fa parte della normal<strong>it</strong>à: l’abbraccio. Nel reparto, i gen<strong>it</strong>ori vengono aiutati e incoraggiati a toccare<br />
i propri bambini e a star loro vicini; questo contribuisce a favorire non soltanto la funzione<br />
dell’attaccamento ma ev<strong>it</strong>a nei gen<strong>it</strong>ori percezioni alterate rispetto al loro figlio.<br />
Li incontro in corridoio, la mamma è sulla carrozzina con la flebo, è sorridente ed ecc<strong>it</strong>ata, è la<br />
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seconda volta che vede i bambini ed io li guardo da una certa distanza mentre si avvicinano alle<br />
incubatrici ma non li toccano, sono abbracciati e il papà sembra molto premuroso verso la mamma.<br />
Si allontanano dopo un paio di minuti e mi dicono che possiamo andare, loro sono pronti. Sono<br />
sorpresa ma aggiungono che dai bambini tornano dopo, non possono fare molto per loro.Andiamo<br />
in una stanza del Centro Immaturi che, per il momento, non è occupata da bambini. Mi raccontano<br />
la storia della nasc<strong>it</strong>a prematura e la mamma si chiede se ha qualche responsabil<strong>it</strong>à per il fatto<br />
che ha lavorato fino al giorno prima di essere ricoverata; si risponde sub<strong>it</strong>o da sola che c’era<br />
una insufficienza placentare e che fa un lavoro tranquillo. Dico che a volte non tutto dipende da<br />
noi ma accade indipendentemente dalla nostra volontà e controllo.<br />
La mamma dice che è ancora sulle nuvole e si rende conto che sono nati solo perché non ha<br />
più la pancia.<br />
È evidente quanto questi gen<strong>it</strong>ori sentano che il personale del reparto e le macchine siano<br />
più importanti di loro, sembra che si attacchino alla psicoterapeuta per cercare di comprendere<br />
quello che stanno vivendo. La nasc<strong>it</strong>a dei loro bambini non è ancora pensabile, la<br />
mamma li sente dentro di sé e deve aiutarsi con lo sguardo per riuscire a comprendere l’evento.<br />
Cominciano ad affiorare i sensi di colpa e tutte le possibili spiegazioni arrivano a giustificare<br />
la realtà.<br />
Dopo una settimana incontro i gen<strong>it</strong>ori in T.I. Sostengo il papà nel toccare Andrea e mi chiede<br />
se penso che il bambino si accorga di lui, lo porto a pensare alle reazioni che hanno i bambini<br />
quando arrivano i gen<strong>it</strong>ori e ricorda allora che è stato lui ad accorgersi delle macchie sul camice<br />
della moglie quando lei ha visto per la prima volta i bambini ed ha avuto la montata lattea. Spesso<br />
gli vengono le lacrime agli occhi e dice che è difficile mostrare agli altri i propri sentimenti perché<br />
ci si imbarazza.<br />
A scopo difensivo questi gen<strong>it</strong>ori, come altri, pensano di non essere riconosciuti dai loro<br />
bambini; sperano di controllare i loro sentimenti verso i figli e di non attaccarsi troppo.<br />
Mettono un po’ di distanza perché è presente una forte angoscia di morte. C’è anche una<br />
forte identificazione con i loro bambini che sono tenuti in v<strong>it</strong>a dalle macchine e fortemente<br />
costretti in una s<strong>it</strong>uazione dolorosa; in questa s<strong>it</strong>uazione, per i gen<strong>it</strong>ori è utile pensare che i<br />
loro bambini non soffrono e sono troppo piccoli per percepire la realtà.<br />
Dopo una settimana il primario comunica ai gen<strong>it</strong>ori che i polmoni di Andrea sono irrimediabilmente<br />
danneggiati ed è stato fatto per lui tutto quanto possibile.<br />
...Incontro la mamma accanto alle incubatrici. Le chiedo come sta, risponde che domenica è<br />
stata dura e anche il mar<strong>it</strong>o era in difficoltà, erano giù di morale perché le condizioni di Andrea li<br />
preoccupa molto ma se c’è anche una sola possibil<strong>it</strong>à, lei vuole sperare....<br />
L’aspetto dei bambini è molto diverso, Enrico è cresciuto e la sua fisionomia comincia a definirsi<br />
mentre Andrea non è molto cresciuto e soltanto i capelli sono diventati più folti e di un colo-<br />
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re biondo rossiccio. Continua ad essere intubato e trasfuso mentre Enrico ha l’ossigeno ma non è<br />
intubato. Mentre parlo con la mamma, l’infermiera deve intervenire più volte per stimolarlo a respirare.<br />
La mamma dice che è andata per qualche ora a casa ma non riesce a restarci, sente che<br />
il suo posto è vicino ai bambini anche se a volte sente di non servire a niente se non per quel poco<br />
latte che si tira e che possono prendere.<br />
Dico che si sente così perché ora le macchine sono indispensabili per la loro sopravvivenza ma<br />
sa che anche i bambini, in qualche modo, sentono la sua presenza e questo li rassicura. Mi racconta<br />
allora che ieri, per la prima volta ha fatto un’ora e mezza di “canguro” con Enrico e questo<br />
le è serv<strong>it</strong>o molto per il morale, le ha dato grande energia. Le manca molto non poterli prendere<br />
in braccio, soprattutto Andrea....<br />
La mamma non riesce a permettersi nessun momento di gioia con Enrico poiché per<br />
Andrea sembra che non ci sia la possibil<strong>it</strong>à di sopravvivere.<br />
Il 20 aprile incontro entrambi i gen<strong>it</strong>ori in una stanza del Centro Immaturi. Mi ripetono che non<br />
si fanno illusioni ma che se c’è una sola possibil<strong>it</strong>à, loro vogliono crederci. Non si permettono neanche,<br />
dice il papà, di essere contenti se sembra che le cose vadano meglio perché si aspettano<br />
che dopo ci sia qualcosa che non va ed è più difficile da sopportare. Sembra che gli altri non possano<br />
capire, a loro sembra che basta solo che i bambini crescano perché stiano bene ma non è<br />
così.<br />
La mamma dice che è incredibile pensare che sentano la loro presenza. A volte le vengono i<br />
sensi di colpa per la nasc<strong>it</strong>a prematura e racconta nuovamente la storia.A volte pensa che avrebbe<br />
potuto fare di più, tenerli di più. Dico che capisco i suoi pensieri ma non si riesce a controllare<br />
tutto prima che accada e che si deve fare i conti con questo lim<strong>it</strong>e. Magari si potesse dire alle<br />
mamme cosa fare per non far nascere prima i bambini ma non si sa, questo non dipende da loro,<br />
le mamme possono solo permettere che nascano e lei è riusc<strong>it</strong>a a far nascere i suoi bambini<br />
facendosi seguire ed aiutare. Non si è risparmiata. Neanche ora si risparmia e sta sempre con loro.<br />
Dice di sì che è l’ultimo pensiero prima di addormentarsi e il primo quando si sveglia.<br />
Mentre parliamo si tengono la mano e se l’accarezzano, il papà si asciuga con discrezione qualche<br />
lacrima....<br />
Dico ...che sono coraggiosi ora insieme ad affrontare questa s<strong>it</strong>uazione difficile. Il papà dice che<br />
non è coraggio ma che non possono fare altro. Chiedo:“Vi sent<strong>it</strong>e allora un po’ incastrati?”,“No, ma<br />
possiamo fare solo quello che facciamo”, “Certo ma potreste non riconoscere la realtà che c’è e<br />
potreste farlo anche senza scappare fisicamente ma con la mente e tutto il resto invece siete a<br />
contatto con i vostri bambini e con la loro s<strong>it</strong>uazione e questo aiuta tutti e io penso che sia anche<br />
un po’ coraggioso”. Sorridono e la mamma è molto dolce e sembra molto provata. Ci salutiamo<br />
e inaspettatamente la mamma mi bacia e abbraccia.<br />
Sembra che la terapeuta abbia toccato alcuni aspetti dolorosi ma, nonostante la s<strong>it</strong>uazione,<br />
i gen<strong>it</strong>ori, come spesso accade, riescono ad essere riconoscenti e grati.<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
Alla fine di aprile parlo con la mamma accanto all’incubatrice, sembra veramente molto stanca,<br />
parliamo dei bambini, dei polmoni di Andrea e delle apnee di Enrico. Commento alcuni movimenti<br />
buffi di Enrico i suoi capelli biondi, le manine grandi e il vizio di togliersi il sondino. Andrea è<br />
più fermo, comincia ad avere il collo gonfio, da qualche giorno è meno reattivo a differenza dei primi<br />
giorni dalla nasc<strong>it</strong>a, quando le infermiere dicevano che era molto più competente del fratello e<br />
cercava, trovandole, le posizioni più comode. La macchina che lo aiuta a respirare è un tormento<br />
per il rumore r<strong>it</strong>mico continuo, il suo torace vibra continuamente, non socchiude più gli occhi curiosando<br />
verso chi lo guardava come faceva all’inizio ma li tiene chiusi.<br />
A maggio la mamma mi dice che sanno che ormai per Andrea è solo questione di tempo ma<br />
che lei non può fare a meno di essere mamma e una mamma non si può rassegnare.<br />
Ora la mamma sa che sperare vorrebbe dire illudersi ma a volte se lo concede perché la<br />
morte è già annunciata. L’illusione ora serve alla mamma per sostenere il tempo che ancora<br />
deve passare.<br />
Ad un mese dalla nasc<strong>it</strong>a, Andrea muore. Le infermiere raccontano che la mamma l’ha preso<br />
in braccio per la prima volta e l’ha tenuto 45 minuti poi, con il papà sono andati via. Mi dicono<br />
che Enrico, che fino ad allora era molto irrequieto, da quel momento si è tranquillizzato ed è diventato<br />
“un neonato da manuale”. Nei giorni precedenti avevo concordato con le infermiere di trasferire<br />
Enrico in un’altra stanza ed è stato fatto.<br />
Una settimana dopo incontro la mamma nel corridoio, la saluto prendendole le braccia, dice<br />
che è tornata in “casetta” e che il dolore è grande ma anche la gioia per Enrico è in un equilibrio<br />
precario ma non ha potuto fare a meno di tornare a Trieste.<br />
Il giorno dopo Enrico è al Centro Immaturi e passando in corridoio vedo il papà che, dalla stanza<br />
mi fa grandi gesti con un braccio. È la prima volta che l’incontro dopo la morte di Andrea. Entro,<br />
la mamma è seduta su una sedia, il papà su una poltrona bassa e tiene Enrico in braccio. Stringersi<br />
la mano sarebbe un gesto troppo usuale, scontato e quotidiano allora mi r<strong>it</strong>rovo a prendergli la testa<br />
tra le mani e lo saluto così. Gli vengono le lacrime agli occhi e dice che sono là, al Centro<br />
Immaturi, Enrico sta bene, è commosso e dice che solo il tempo potrà aiutare, con il tempo passerà.<br />
Enrico succhia dal seno, pesa kg 2350 ma ultimamente ha avuto due brutte apnee.Aspettano<br />
che si stabilizzi per dimetterlo. Ora assomiglia decisamente alla mamma.<br />
A volte la mamma accenna ai suoi due bambini ogni volta che arriva, in reparto, una nuova<br />
coppia di gemelli ma i gen<strong>it</strong>ori non hanno più chiesto uno spazio per loro. Le infermiere notano<br />
che la mamma, nei momenti di difficoltà si allontana per poi tornare ma sempre da sola oppure<br />
con il mar<strong>it</strong>o.<br />
Poter toccare e prendere in braccio il loro bambino morto aiuterà questi gen<strong>it</strong>ori ad elaborare<br />
il lutto. La psicoterapeuta a volte li ha aiutati a guardare Andrea, a riconoscerne alcune<br />
caratteristiche somatiche e a differenziarle da Enrico, ha cercato di riconoscere per loro<br />
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alcuni atteggiamenti e preferenze; la speranza di chi scrive è che questi gen<strong>it</strong>ori abbiano alcuni<br />
ricordi del loro bambino morto e che riescano insieme ad elaborare il lutto per salvaguardare<br />
l’altro loro bambino da pericolose proiezioni.<br />
3. Il lutto per un bambino nato con un handicap: Sara<br />
Il concetto di stupid<strong>it</strong>à, di sol<strong>it</strong>o annesso a una condizione di handicap, va descr<strong>it</strong>to a partire<br />
dal suo significato etimologico. “Stupido” ha la stessa radice di stupor, e significa obnubilati,<br />
confuso dal dolore. È un termine che in medicina si usa per le persone in coma (stato<br />
stuporoso) o per la condizione confusionale che caratterizza le persone traumatizzate psicologicamente.<br />
Crediamo in questo contesto che la condizione di stupid<strong>it</strong>à sia sempre presente<br />
nella prima fase dello shock dopo una perd<strong>it</strong>a. È la fase che precede la messa in moto delle<br />
difese atte alla protezione della coscienza (Sinason, 1992).<br />
Su inv<strong>it</strong>o dei pediatri del Day Hosp<strong>it</strong>al che sono gli stessi della neonatologia, i gen<strong>it</strong>ori, con<br />
la loro bambina di cinque mesi, hanno accettato di incontrare una psicoterapeuta (R.G.) una<br />
volta alla settimana nella stanza nuova messa a disposizione dal reparto.<br />
La mamma è casalinga e ha 25 anni, il papà ne ha 29 ed è impiegato.Vengono dal sud e<br />
la mamma ha segu<strong>it</strong>o il mar<strong>it</strong>o. Sono soli, hanno tutti i parenti in Campania, dicono di stare<br />
bene a Trieste. La bambina è nata nella loro terra d’origine alla 35 a settimana con un taglio<br />
cesareo per sofferenza fetale ed hanno sub<strong>it</strong>o riscontrato un soffio al cuore che non sembrava<br />
niente di grave. Sara non è bellissima ma ha due occhi di un azzurro come quello delle<br />
bambole, con le pagliuzze e il contorno più scuro, il suo sguardo si ferma attento solo per pochi<br />
secondi, ha le guance un po’ rilassate ed è veramente curiosa con i capelli castani non<br />
troppo folti ma sproporzionatamente lunghi per la sua età, le arrivano a metà del collo. La<br />
corporatura è proporzionata all’età. Sara è stata sempre presente ai nostri incontri e spesso<br />
si addormentava perché stancata dalla fisioterapia appena fatta.<br />
La mamma racconta “Appena ho visto mia figlia non riuscivo a trovare una corrispondenza...<br />
devo dire che era brutta, aveva le guance pendule... poi è diventata più bella, sarà sempre bellissima<br />
per me perché è mia figlia”...<br />
La “corrispondenza” di cui parla la mamma di Sara, è la possibil<strong>it</strong>à di “rispecchiarsi” nel proprio<br />
bambino appena nato. Ogni donna tende a trovare riprodotto, nel suo bambino, il suo<br />
io ideale, la sua capac<strong>it</strong>à di allevare, di essere una brava madre; questa mamma, fin dalla nasc<strong>it</strong>a<br />
della sua bambina sente di non riuscire a rispecchiare nella sua creatura una sana immagine<br />
di sé. Riesce a raccontare alla psicoterapeuta il timore avvert<strong>it</strong>o ma sub<strong>it</strong>o respinto verso<br />
qualcosa di imperfetto che potesse minacciare la sana immagine di sé.<br />
...venuti a Trieste, la bambina ha fatto alcune indagini mediche e raccontano la comunicazione<br />
della diagnosi fatta loro da un medico: “Ci ha dato un volantino dicendo - ecco la bambina è affetta<br />
da una sindrome genetica, leggete questo e se volete saperne di più contattate l’associazio-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
ne dei gen<strong>it</strong>ori - siamo rimasti interdetti”. Hanno fatto una ricerca su internet, hanno visto le foto<br />
di alcuni bambini con la sindrome, hanno letto e si sono informati; hanno loro consigliato di trasferirsi<br />
dai parenti per avere un aiuto futuro ma non sanno cosa fare. Dico che possono prendersi ancora<br />
un po’ di tempo per pensare a questo ma la mamma non vorrebbe tornare in Campania<br />
perché già qui si sente controllata dai nonni, è lei che pensa alla bambina e alla casa.<br />
Tutte le paure e le angosce iniziali diventano reali quando il medico, con una modal<strong>it</strong>à molto<br />
concreta, comunica la diagnosi. Il momento traumatico produce quella confusione a cui si<br />
è già accennato e i gen<strong>it</strong>ori cercano da soli notizie e informazioni per riuscire a controllare<br />
razionalmente qualcosa che sfugge alla loro mente. Il bambino tanto desiderato non corrisponde<br />
a quello della realtà. Ecco il confl<strong>it</strong>to con cui hanno a che fare e che determina in loro<br />
un forte senso di impotenza e di frustrazione; quel medico, troppo concreto e brusco, allora<br />
diventa il parafulmine per tutta la loro rabbia e dolore, diventa quasi il colpevole di un<br />
evento incontrollabile.<br />
La mamma comincia a raccontare che da quando è nata Sara tra loro è cambiato qualcosa<br />
... il papà dice che quando discutono e l’occasione di scontro è la bambina con la sua sindrome,<br />
lui si chiude a riccio e non parla ma lei lo provoca ed è peggio, non si sente cap<strong>it</strong>o. Dico che ora<br />
la mamma sta dicendo e spiegando il motivo per cui attira la sua attenzione e che ha paura di<br />
non essere guardata; l’attenzione ora non è sulla bambina ma sulla sindrome.<br />
Il papà dice che non può sentire più quelle stupidaggini che dicono parenti e amici e la preoccupazione<br />
verso i propri figli per un po’ di alterazione “E noi cosa dovremmo dire? La gente non<br />
capisce, chi sa che è nata la bimba chiede come sta ma io sento che vorrebbe sapere se c’è qualcosa<br />
che non va”: Dico che c’è qualcosa che è ancora nascosto, qualcosa da non dire, che spaventa<br />
e che forse gli altri avvertono.<br />
Alla fine del primo incontro, la mamma mi chiede se possono parlarne dopo, a casa perché<br />
“sono usc<strong>it</strong>e fuori alcune cose...”, il papà dice che ha sent<strong>it</strong>o qualcosa che non sapeva. Sono sorpresa<br />
e rispondo che possono fare ciò che r<strong>it</strong>engono opportuno ma penso che ci sia bisogno di<br />
più spazio per parlare e pensare a quello che stanno vivendo.<br />
La psicoterapeuta cerca di creare un po’ di spazio perché questi gen<strong>it</strong>ori riescano a pensare<br />
ciò che provano; sono terrorizzati e confusi, non riconoscono la loro bambina e avvertono<br />
sensi di colpa per quello che provano.Vengono aiutati a considerare la possibil<strong>it</strong>à di guardare<br />
Sara e riconoscere la loro rabbia senza danneggiare l’amore che nutrono verso la loro bambina.<br />
Questi gen<strong>it</strong>ori hanno cominciato a prendere contatto con la loro “fer<strong>it</strong>a narcisistica” prodotta<br />
dall’aver generato un figlio malato che non corrisponde al loro ideale di bambino.<br />
... È stata fissata a maggio una vis<strong>it</strong>a a Roma in un centro specializzato per valutare i bambini<br />
con la sindrome di Sara, sono molto preoccupati. La mamma chiede al papà del perché non voglia<br />
più andare alle vis<strong>it</strong>e di controllo al Burlo, se è preoccupato perché possano dire “cose brut-<br />
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te” sulla bambina; il papà ammette di sì e allora dico che sembra che solo in questo momento,<br />
con un’altra persona, possano permettersi di parlare di alcuni aspetti e di ciò che provano.<br />
Il papà dice che non riesce più a sopportare la tensione mentre aspetta ciò che i medici dicono,<br />
quando sente dire che qualcosa non va si sente crollare il mondo addosso. Dico che è comprensibile,<br />
ogni cosa che non rientra nella normal<strong>it</strong>à lo spaventa. O serva che questa parola fa fatica<br />
a tollerarla. Dico che quello che non tollera è il contrario di normal<strong>it</strong>à e lui lo sa che c’è ma<br />
oltre tutto questo c’è Sara e loro possono guardarla, solo lei potrà dare loro la misura della sua<br />
normal<strong>it</strong>à. Il papà dice che è vero e che a volte è Sara che gli fa dimenticare la sindrome, quando<br />
ride alle sue coccole non ci pensa. La mamma conferma e chiede al papà se il giorno prima, quando<br />
l’ha visto fissarla poi “se n’è andato con la testa”, il papà lo riconosce.<br />
Il papà sembra camminare sul sottile confine tra speranza e illusione; quando pensa alla<br />
sindrome, guardando Sara, la speranza che la bambina sia sana si trasforma in illusione e il dolore<br />
per la perd<strong>it</strong>a del bambino ideale diventa insostenibile. La mamma ha cominciato ad elaborare<br />
il lutto per il bambino sano ideale e riesce ora a guardare Sara oltre la sindrome.<br />
Dico che sembra che per ora, ogni gioia che Sara dà loro sia accompagnata da un grande dolore.<br />
Il papà conferma e aggiunge che non può ev<strong>it</strong>arlo ma la mamma dice che non sempre è così,<br />
che lei vede che la bambina cresce e che risponde sempre di più e meglio, si fa capire e lei la<br />
capisce, all’inizio non era così, era difficile.<br />
Quello che ora è forte, è la paura che a Roma dicano che ci sono problemi neurologici, c’è la<br />
voglia che non si vedano gli effetti della sindrome, vorrebbero che i medici dicessero che la sindrome<br />
c’è ma è come se non ci fosse. Mi fanno molta tenerezza.<br />
Ribadisco che ora hanno paura di informarsi e di sapere troppo sulla sindrome ma quello che<br />
possono fare e stanno già facendo è guardare Sara come cresce, è lei che sarà il loro punto di riferimento<br />
sulla sindrome.<br />
In una delle sedute successive il papà sembra sempre più angosciato dal pensiero della sindrome<br />
e mentre parla di questo spesso si ferma e, con lo sguardo nel vuoto dice “Boh?”. Chiedo<br />
cosa vuol dire, cosa prova ma risponde che non lo sa, non sa più niente. La mamma interviene e<br />
dice che lei alla sindrome non ci pensa più, c’è solo Sara, con lei sta bene ma è preoccupata per<br />
il mar<strong>it</strong>o, non sa come aiutarlo, non lo vede sereno e a volte le sembra irraggiungibile. Chiedo come<br />
si sente e risponde che è triste, piange discretamente. Chiede se è cattiva a pensare che sarebbe<br />
stato meglio che nascesse sana. Le domando se le sembra strano che una mamma desideri<br />
che la propria figlia nasca sana. Dico che forse si sente in colpa perché non è avvenuto questo<br />
e allora si sente come una madre che rifiuta il proprio figlio; dico che invece è stata brava, in sette<br />
mesi a fare in modo da capire la bambina e farsi capire. Dice che ora le risponde con versi e<br />
gridolini. Il papà sembra svuotato e dice che sta bene solo quando è con Sara.<br />
Mentre la mamma comincia a sentire la tristezza, un sentimento che accompagna il lutto,<br />
il papà si sente annichil<strong>it</strong>o dal forte dolore e spesso si r<strong>it</strong>ira in una sorta di apatia.<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
Alla fine di aprile la cardiologa informa i gen<strong>it</strong>ori che Sara ha un problema cardiaco “importante”.<br />
Fissa un incontro con un cardiologo del “Bambin Gesù” ospedale infantile di Roma in concom<strong>it</strong>anza<br />
con la vis<strong>it</strong>a per la sindrome .... il papà dice che ormai ha un pensiero fisso, non pensa<br />
più alla sindrome ma ha paura che la bambina muoia. È stato detto loro che è a rischio di v<strong>it</strong>a....<br />
Nell’ultimo incontro prima della partenza per Roma, dicono che si sentono cattivi perché quando<br />
vengono a sapere di cose belle come l’arrivo di un nuovo nipotino, provano una grande rabbia.<br />
Mi chiedono se è invidia ma si rispondono sub<strong>it</strong>o di no. Dico che toccano un dolore molto vivo. La<br />
mamma dice che ultimamente sogna, nel vero e proprio senso della parola, di rifare il matrimonio<br />
perché i parenti in l<strong>it</strong>e l’hanno rovinato, anche la gravidanza e il battesimo, tutto è stato rovinato.<br />
Dico che sta traducendo quello che sente, il suo dolore per come sono andate le cose, non può dire<br />
che vorrebbe che Sara non avesse la sindrome ma riesce solo a dire che il matrimonio che ha<br />
avuto non è stato come quello sognato e le manca un matrimonio come le manca una bambina<br />
senza la sindrome. Dice che è vero, che è proprio così e aggiunge “sono cattiva?”. Rispondo che è<br />
sana perché sarebbe da matti desiderare che il proprio figlio nasca con una sindrome.<br />
La psicoterapeuta aiuta i gen<strong>it</strong>ori a riconoscere i loro sentimenti al di là dei contenuti dei<br />
loro pensieri, cerca di aiutarli a non temere ciò che provano ma a parlarne.<br />
Alla fine di maggio partono per Roma, La sera del 1° giugno trovo un messaggio sulla segreteria<br />
del cellulare, è la mamma di Sara che mi dice che la bambina è morta e mi prega di telefonarle.<br />
I gen<strong>it</strong>ori di Sara che avevano cominciato a elaborare il lutto per un bambino sano ideale,<br />
hanno accettato di incontrare ancora settimanalmente la psicoterapeuta per elaborare il<br />
lutto per la morte della loro bambina reale.<br />
Discussione<br />
Abbiamo voluto riportare tre esperienze di perd<strong>it</strong>a sub<strong>it</strong>e dalle famiglie di neonati degenti<br />
della Neonatologia e segu<strong>it</strong>i in Day Hosp<strong>it</strong>al. Nella prima, la perd<strong>it</strong>a è stata essenzialmente<br />
per un bambino mai nato, ossia per un bambino ancora, e solo, nella “mente della madre”<br />
(Meltzer, 1994).<br />
La seconda esperienza si riferisce a un bambino nato, per il quale i gen<strong>it</strong>ori hanno avviato<br />
un processo di attaccamento, ma che dopo poco è morto.<br />
La terza si riferisce specificatamente alla s<strong>it</strong>uazione del lutto per un bambino con una sindrome<br />
genetica, ossia al lento processo di adattamento dei gen<strong>it</strong>ori alla perd<strong>it</strong>a del bambino<br />
sano tanto atteso e rispetto al gestire una s<strong>it</strong>uazione famigliare con un bambino con defic<strong>it</strong><br />
fisici e psichici.<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
Le esperienze riportate sono state vissute all’interno del progetto di “Sostegno psicologico<br />
a gen<strong>it</strong>ori e bambini prematuri, a rischio o con handicap” avviato all’interno del reparto di<br />
neonatologia e Day Hosp<strong>it</strong>al dell’Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”.<br />
Il progetto prevede che, attraverso l’osservazione attenta del bambino, in presenza di uno<br />
psicologo psicoterapeuta infantile, i gen<strong>it</strong>ori siano sostenuti e aiutati a distinguere il loro bambino<br />
dalle proprie difficoltà emotive legate al vissuto angoscioso della nasc<strong>it</strong>a prematura, o<br />
dagli es<strong>it</strong>i imprevisti.<br />
Ai gen<strong>it</strong>ori dei bambini ricoverati sono offerti alcuni colloqui della durata di un’ora, effettuati<br />
in una stanza vicina al reparto, per pensare all’esperienza che stanno vivendo in uno spazio<br />
e in un tempo speciale per loro, distanti dal loro bambino.<br />
Ai gen<strong>it</strong>ori dei bambini che sono morti viene offerto uno spazio per cominciare ad elaborare<br />
il lutto.<br />
Ai gen<strong>it</strong>ori di bambini a cui è stato diagnosticato un handicap, sono offerti colloqui per favorire<br />
il processo di separazione e individuazione; attraverso l’osservazione del loro bambino<br />
vengono sostenuti e aiutati a trovare in lui quegli aspetti più v<strong>it</strong>ali necessari a risvegliare<br />
ciò che di più vivificante è in loro.<br />
I bambini dimessi vengono incontrati durante il follow-up affinché, attraverso l’osservazione,<br />
sia possibile aggiungere qualche elemento per la valutazione della relazione madre-bambino.<br />
I gen<strong>it</strong>ori, ma soprattutto le madri dei neonati ricoverati per molte settimane, sono stati<br />
incontrati regolarmente; le madri dei grandi prematuri sono state aiutate a sopportare la<br />
forte angoscia determinata dal rischio di v<strong>it</strong>a del proprio bambino, sono state aiutate a pensare<br />
al trauma determinato da una nasc<strong>it</strong>a improvvisa e sono state aiutate a non temere i<br />
propri sensi di colpa.<br />
Essere aiutati a riconoscere l’angoscia legata all’incertezza del futuro e vissuta durante le<br />
prime settimane dalla nasc<strong>it</strong>a del proprio bambino, può contribuire a prevenire quelle difficoltà<br />
che, a volte, si evidenziano nelle relazioni future e addir<strong>it</strong>tura nello sviluppo evolutivo<br />
del bambino stesso. Spesso diventa difficile e complicato sostenere i gen<strong>it</strong>ori sul sottile confine<br />
tra speranza e illusione cercando di fornire loro elementi perché possano trovare dentro<br />
se stessi la spinta v<strong>it</strong>ale a mantenere la prima piuttosto che la seconda.<br />
In queste esperienze, l’elemento che ci è sembrato più rilevante, presente in tutte le s<strong>it</strong>uazioni<br />
e che tutte le persone coinvolte dovevano considerare, è quello che abbiamo chiamato<br />
“la sottile distinzione tra la speranza e l’illusione”. Numerosi autori in amb<strong>it</strong>o psicoanal<strong>it</strong>ico,<br />
si sono occupati di questa distinzione. In particolare Winnicott (1958) distingueva nella<br />
nasc<strong>it</strong>a psicologica del bambino l’importanza della:<br />
a. percezione (intesa come un’attiv<strong>it</strong>à conosc<strong>it</strong>iva, quell’operazione mediante la quale il soggetto<br />
prende contatto con l’oggetto esterno mediante le diverse sensorial<strong>it</strong>à);<br />
b. egli poi considerava l’appercezione (intesa come l’atto del prendere consapevolezza delle<br />
proprie percezioni e distinguere il soggetto percepente dall’oggetto percep<strong>it</strong>o, o lo sta-<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
dio finale della percezione in cui qualcosa viene chiaramente compreso e acquista così una<br />
relativa preminenza nella coscienza);<br />
c. distingueva queste funzioni dall’illusione.<br />
Winnicott ipotizza che l’illusione sia dovuta all’esistenza nel mondo interno rappresentazionale<br />
del bambino piccolo, di una fase o di uno stato mentale intermedio tra la sua capac<strong>it</strong>à<br />
di riconoscere la realtà come mera percezione (intesa quindi come fenomeno inconscio o<br />
automatico) e la sua crescente capac<strong>it</strong>à di farlo, acccettandola consapevolmente (appercezione).<br />
Nelle prime fasi dello sviluppo, la madre che Winnicott (1987) auspica essere “sufficientemente<br />
buona” permette al bambino questo adattamento attivo, un ruolo di “traghettatrice”,<br />
tra la sponda dell’onnipotenza infantile dominata dal pensiero magico e dall’illusione di<br />
compiere ogni desiderio, come nel sogno, a quella dell’accettazione della reltà, con i lim<strong>it</strong>i e<br />
la dipendenza. In questo modello, quindi l’illusione grazie al ruolo mediatore di una madre<br />
“sufficientemente buona”, lascia gradualmente il posto alla percezione della realtà, e parallelamente<br />
aumenta la capac<strong>it</strong>à del bambino di accettarne i lim<strong>it</strong>i e tollerare la frustrazione. La<br />
madre viene defin<strong>it</strong>a da Winnicott “sufficientemente buona” perché non deve soddisfare in<br />
nessuna fase dello sviluppo del bambino completamente i bisogni del bambino: solo un adattamento<br />
incompleto al bisogno rende gli oggetti reali e totali, odiati cioè, oltre che amati.<br />
All’inizio, l’adattamento dovrà essere “quasi perfetto”; finché non sarà tale non sarà possibile<br />
che nel bambino incominci a svilupparsi la capac<strong>it</strong>à di sperimentare una relazione con la realtà<br />
esterna, o a formarsi un concetto della realtà esterna. La madre, all’inizio, con il suo “adattamento<br />
quasi perfetto” offre al bambino la possibil<strong>it</strong>à di illudersi: il seno è parte del bambino<br />
stesso ed è, per così dire, sotto un controllo magico. Lo stesso si può dire delle cure che<br />
il bambino riceve in generale, nei periodi di quiete tra due ecc<strong>it</strong>amenti.Il comp<strong>it</strong>o finale della<br />
madre è quello di deludere gradualmente il bambino, ma essa non ha speranza di successo<br />
se non è riusc<strong>it</strong>a ad offrire, all’inizio, sufficienti occasioni d’illusione.<br />
Dopo l’offerta di illusioni, il comp<strong>it</strong>o principale della madre è la delusione che precede<br />
lo svezzamento e continua come uno dei comp<strong>it</strong>i dei gen<strong>it</strong>ori e degli educatori. La questione<br />
dell’illusione è qualcosa di strettamente inerente agli esseri umani e che nessun individuo<br />
risolve defin<strong>it</strong>ivamente. Se tutto va bene, da questo graduale processo di delusione si sviluppa<br />
la fase delle frustrazioni che chiamiamo svezzamento. Se questo processo di illusione e<br />
delusione graduale viene turbato il bambino non riesce a sperimentare un fatto così normale<br />
come lo svezzamento nè a reagire ad esso.<br />
La semplice interruzione dell’allattamento al seno non è svezzamento: esso può avvenire<br />
proprio perché il processo illusione-delusione si è svolto adeguatamente. Questo processo<br />
di accettazione della realtà non è mai terminato: nessun essere umano si libera dallo sforzo<br />
di collegare la realtà interna con la realtà esterna, anche se tale sforzo viene alleviato da<br />
un’area intermedia di esperienza che è indiscussa, quale è quella della fantasia e del gioco<br />
del bambino.<br />
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Si può quindi affermare che per Winnicott, in un particolare periodo della v<strong>it</strong>a evolutiva,<br />
l’illusione ha un valore pos<strong>it</strong>ivo, poi tuttavia lo perde: solo le esperienze, gli oggetti ed i fenomeni<br />
della prima infanzia appartengono al regno dell’illusione. Quest’area cost<strong>it</strong>uisce la maggior<br />
parte dell’esperienza del bambino piccolo - e viene in segu<strong>it</strong>o sent<strong>it</strong>a intensamente e conservata<br />
dall’adulto, solo in settori “specializzati”, quali quelli della v<strong>it</strong>a immaginativa, dell’arte e<br />
del lavoro scientifico creativo.<br />
Il concetto di speranza invece ci appare come intrinsecamente legato ai concetti di riconoscimento<br />
maturo della realtà, che comprende l’esistenza dei sentimenti nelle altre persone,<br />
sentimenti che possono essere sia pos<strong>it</strong>ivi che negativi rispetto alla dipendenza, e, in ultima<br />
analisi, una stima del valore nelle proprie capac<strong>it</strong>à e di quelle altrui: è quindi un concetto<br />
intrinsecamente legato alla fiducia in se stesso e negli altri. Questi elementi che sono intrinseci<br />
e fondamentali in ogni relazione umana matura, e risultano fondamentali quando si tratta<br />
di pensare a come aiutare i gen<strong>it</strong>ori a impegnarsi in un’elaborazione luttuosa.<br />
La stima e la fiducia sono in funzione di uno sviluppo armonico. Al contrario, la disperazione<br />
e la mancanza di fiducia negli altri possono essere il prodotto della discrepanza esistente<br />
tra una rappresentazione interna di una relazione desiderata con il proprio bambino neonato<br />
e la realtà del bambino “vero” che i gen<strong>it</strong>ori vedono e toccano davanti a sé (Sandler,<br />
1998). Ogni s<strong>it</strong>uazione di malattia, di stress o di trauma comporta una regressione della relazione<br />
oggettuale: in questo senso, l’individuo regredisce da una s<strong>it</strong>uazione di relazione oggettuale<br />
matura a quella propria del narcisismo secondario (Freud, 1914), dove il riconoscimento<br />
dell’oggetto è completamente “adombrato” dalla preoccupazione per sé (Sandler, 1960).<br />
Crediamo che alla base dei sentimenti di inadeguatezza, colpa e angoscia che abbiamo osservato<br />
nei gen<strong>it</strong>ori (ma spesso condivisi anche dal personale della Neonatologia) vi sia una “immagine<br />
ideale”, ad esempio, di come dovrebbe essere il periodo postnatale di un bambino, di<br />
come dovrebbe essere accud<strong>it</strong>o e di come dovrebbe vivere questi primi attimi della sua v<strong>it</strong>a.<br />
Per ovvi motivi questa immagine è messa in crisi dalle diverse viciss<strong>it</strong>udini che possono vivere,<br />
come abbiamo visto nei casi sopra riportati, i gen<strong>it</strong>ori e il neonato in Terapia Intensiva.<br />
In questo modo, ossia dalla discrepanza che si genera dall’immagine “ideale” della v<strong>it</strong>a del bambino<br />
e la sua condizione attuale, ne emergono tutta una serie di reazioni dolorose che portano<br />
spesso le caratteristiche della vergogna cocente per le proprie presunte inadempienze,<br />
e della colpa che ne consegue.<br />
Originariamente questi aspetti “ideali” si formano nell’individuo per soddisfare i bisogni fondamentali<br />
del bambino di fondersi con la madre, con l’oggetto primario di accudimento. Il “Sé<br />
ideale” (Freud, 1914), si genera perché permette progressivamente all’individuo in via di sviluppo<br />
di trasferire la dipendenza e gli investimenti affettivi da un oggetto esterno a questa<br />
potenziale fonte di benessere indipendente dalla rassicurazione e conferma esterne. È una<br />
rappresentazione interna che rende quindi il bambino progressivamente sempre più resistente<br />
alle frustrazioni poiché egli può scegliere dei comportamenti che si accordano ai propri<br />
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Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
requis<strong>it</strong>i interni, e sempre meno alle richieste esterne. Quando questi comportamenti non<br />
possono essere attualizzati i gen<strong>it</strong>ori possono così provare a fronte delle inev<strong>it</strong>abili frustrazioni<br />
presenti nella s<strong>it</strong>uazione del piccolo, vergogna o colpa. La vergogna in particolare è quella<br />
particolare qual<strong>it</strong>à di dolore mentale che si sperimenta ogni qual volta il soggetto riscontra<br />
una discrepanza, un’incapac<strong>it</strong>à a raggiungere (nel pensiero o con le proprie azioni) una corrispondenza<br />
tra il Sé attuale e il Sé ideale (Sandler, 1998). Come se il soggetto si dicesse: “Mi<br />
sento male perché non riesco a percepirmi come desidererei essere (o come vorrei essere<br />
visto dagli altri)”.<br />
La colpa invece è quella particolare qual<strong>it</strong>à di dolore mentale dovuto all’incongruenza tra<br />
i propri ideali e quelli imposti dai propri oggetti interni: “non desidero percepirmi come dovrei<br />
e questo mi fa stare male”.<br />
Sostanzialmente, e basandoci sugli autori c<strong>it</strong>ati, vogliamo individuare la fondamentale differenza<br />
tra l’illusione e la speranza. Nell’illusione siamo davanti a meccanismi di funzionamento<br />
prim<strong>it</strong>ivo, quelli del neonato e del bambino molto piccolo, basati sul controllo onnipotente<br />
(su fantasie magiche), e sul diniego. Questo può accadere proprio perché l’esistenza separata<br />
e indipendente dell’oggetto primario di accudimento (il care-giver, o la madre) non può<br />
essere riconosciuta del tutto da una mente ancora immatura. Questo oggetto sarebbe stato<br />
sempre trattato come se fosse una parte del nostro amato sé e, perciò, come se fosse sotto<br />
il nostro controllo onnipotente. Questa è la causa per cui la perd<strong>it</strong>a di un oggetto di questo<br />
tipo è del tutto intollerabile. Essa abbatte completamente il nostro senso infantile di onnipotenza,<br />
costringendoci a riconoscere la realtà della nostra dipendenza dal mondo degli oggetti,<br />
lasciandoci perciò con un’ampia fer<strong>it</strong>a aperta.<br />
Con la speranza, al contrario, si mantiene la spinta v<strong>it</strong>ale; si riconosce la realtà e la corrispondenza<br />
tra oggetti esterni e quelli del mondo interno. Sembra che, con la speranza, i gen<strong>it</strong>ori<br />
possano sostenere la realtà a volte tragica del loro bambino attingendo ai propri oggetti<br />
interni v<strong>it</strong>ali.<br />
Tutti coloro che operano nel reparto di neonatologia, compresi i due psicoterapeuti, si<br />
trovano spesso in difficoltà quando devono restare sospesi per non cadere nell’illusione; continuamente,<br />
in ogni momento della giornata, tra gli operatori stessi e nel rapporto con i gen<strong>it</strong>ori<br />
dei bambini ricoverati, è presente la paura legata all’illusione quasi come se questa potesse<br />
scacciare e allontanare la speranza.Tutti, nel proprio ruolo, sono impegnati a sostenere<br />
la speranza e a non sollec<strong>it</strong>are le illusioni nei gen<strong>it</strong>ori, e crediamo che si possa prevenire il disagio<br />
futuro delle famiglie che vivono un’esperienza traumatica alla nasc<strong>it</strong>a di un bambino riuscendo<br />
a conservare uno spazio dove i gen<strong>it</strong>ori possano pensare sub<strong>it</strong>o a quello che stanno<br />
vivendo con l’aiuto di uno psicoterapeuta. Anche il personale del reparto può utilizzare uno<br />
spazio per elaborare le esperienze particolarmente coinvolgenti per difendersi dall’illusione e<br />
creare quella distanza necessaria che permette ad un professionista di operare controllando<br />
il coinvolgimento emotivo personale.<br />
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Bibliografia<br />
Quel confine sottile tra speranza e illusione<br />
Bion,W. R. (1962). Learning from Experience. London: William Heinemann.<br />
Bion,W. R. (1963). Elements of Psycho-Analysis, London: William Heinemann.<br />
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Basic Books<br />
Winnicott, D.W. (1987) Babies and their Mothers. London: Free Association Books; Reading, Mass.:Addison-Wesley. Perseus<br />
Press.<br />
Per richieste sul lavoro o sul progetto:<br />
dott.A. Clarici, medico psicoterapeuta psichiatra, ricercatore confermato, Dipartimento di Scienze della Riproduzione e dello<br />
Sviluppo (DPRS), Univers<strong>it</strong>à di Trieste, Ospedale Infantile “Burlo Garofolo”, Struttura Complessa di Neonatologia e TIN,<br />
34137 Trieste (TS) - Via Istria, 65/1; +39040-3785-371 (Neonatologia); +39040-3785-233 (Segreteria DPRS); +39040-<br />
3785362 (fax); clarici@un<strong>it</strong>s.<strong>it</strong><br />
dott.ssa R. Giuliani, psicologa psicoterapeuta, Centro Studi di Psicoterapia a Orientamento Psicoanal<strong>it</strong>ico,Via Canova n° 2,<br />
34129 Trieste.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
TAVOLA ROTONDA<br />
RELAZIONE SU IMPLICAZIONI<br />
ETICHE NELLA GESTIONE<br />
DEL GRANDE PRETERMINE<br />
A. Picciotto<br />
Magistrato, Consigliere di Corte d’Appello, Giudice del Tribunale di Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
14<br />
Quello che potrebbe sembrare un argomento del tutto astratto, più filosofico che giuridico,<br />
cost<strong>it</strong>uisce in realtà una tematica affatto ricorrente nelle aule di Giustizia; numerose sono<br />
le evenienze in cui occorre individuare i parametri - anche morali - alla luce dei quali valutare<br />
il comportamento di un medico: il vaglio delle regole di etica professionale non è esercizio<br />
retorico, ma un’analisi logico-fattuale dalle delicate implicazioni sociali e giuridiche.<br />
Ma chi può dire cosa sia eticamente corretto, o a quali norme si debba ispirare l’operatore<br />
pratico: a quali riferimenti potrà fare richiamo il giudice per tentare di rendere concreto<br />
e giuridicamente apprezzabile qualcosa di tanto astratto?<br />
Sembrava un dato di fatto acquis<strong>it</strong>o, fino a qualche mese fa, che in una società multiculturale,<br />
tendenzialmente laica, comunque evoluta, come la nostra, non potesse essere individuata<br />
in campo medico un’etica unanimemente condivisa, radicata in valori comuni e quindi da<br />
tutti accettati, sulla quale potere fondare scelte di riferimento da parte del legislatore: invece<br />
la recente legge sulla procreazione assist<strong>it</strong>a (legge n. 40 del 2004) sembra rappresentare - dopo<br />
oltre trent’anni dalla legge 194 del 1978, ed in un mutato quadro culturale - l’imposizione<br />
di una morale di Stato, fondata sull’indimostrato presupposto di una sua condivisione da<br />
parte della collettiv<strong>it</strong>à, quasi che il mandato pol<strong>it</strong>ico sia anche un mandato etico, una delega<br />
socio-culturale-religiosa.<br />
Fino a ieri, e si spera anche domani, alla necess<strong>it</strong>à di individuare i valori etici di riferimento<br />
di talune attiv<strong>it</strong>à si ovviava con la cosiddetta normazione deontologica, intesa come la predisposizione<br />
di regole di comportamento da parte di taluni soggetti, appartenenti ad un gruppo<br />
sociale, la cui osservanza viene pretesa a fini sanzionatori e disciplinari, e la cui operativ<strong>it</strong>à<br />
vige sia nei rapporti interni della categoria, quanto nei riguardi dei cosiddetti utenti.<br />
Come acutamente osservato 1 , questa tendenza si accentua con riguardo a quei settori professionali<br />
che più risentono, come appunto quello medico, dei progressi scientifici, con conseguente<br />
rafforzamento dell’esigenza di incanalare l’esercizio professionale entro argini rappresentati<br />
da valori etici, anche in reazione a quella che fino a ieri sembrava essere l’inerzia del<br />
legislatore, inerzia - o meglio, scelta più o meno consapevole di non interventismo - che conseguiva<br />
alla cosciente “perd<strong>it</strong>a di esclusiv<strong>it</strong>à dello strumento legislativo e, più in generale, del tra-<br />
177
178<br />
Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
dizionale sistema fondato sull’imposizione di regole dall’alto, a favore di meccanismi di regolamentazione<br />
che trovano la propria leg<strong>it</strong>timazione nell’essere, appunto, frutto dell’autonomia di quei<br />
gruppi, la cui attiv<strong>it</strong>à risulta necessaria per la società” 2 .<br />
In questo quadro si è verificata l’emersione della normativa deontologica, con la conseguente<br />
r<strong>it</strong>razione della potestà normativa statuale a suo vantaggio. Proprio il riconoscimento<br />
del valore della codificazione deontologica, da parte delle corti civili, penali ed amministrative,<br />
ha indotto a rivedere la tradizionale concezione di discontinu<strong>it</strong>à e separazione tra regola<br />
etica e regola di dir<strong>it</strong>to, chiamando tutti ad una nuova considerazione del valore giuridico delle<br />
norme di autoregolamentazione.<br />
Già trent’anni or sono la Suprema Corte di Cassazione 3 insegnava che “al pari degli altri<br />
Ordini, quello delle professioni san<strong>it</strong>arie è, per antica tradizione, t<strong>it</strong>olare di poteri di autarchia e di<br />
autonomia, il cui esercizio realizza il principio dell’autogoverno della professione. E la manifestazione<br />
più elevata di questo è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dall’enunciazione e dalla conservazione delle regole di deontologia<br />
professionale, nonché, in un successivo e solo eventuale momento, dalla concreta applicazione<br />
delle regole stesse, secondo le forme e le garanzie della procedura disciplinare”.<br />
Continuava “L’ordinamento riserva, quindi, alla categoria professionale ed agli organi che ne sono<br />
espressione, poteri di autonomia in relazione all’individuazione delle regole di comportamento dei<br />
professionisti e poteri di c.d. autocrinia in sede di applicazione delle regole stesse.” Aveva tuttavia<br />
modo di precisare, lim<strong>it</strong>ando così l’innovativ<strong>it</strong>à del proprio insegnamento, che “Queste, però,<br />
non assurgono a norme dell’ordinamento generale, ma operano quali regole interne della particolare<br />
categoria professionale cui si riferiscono”.<br />
Solo successivamente il pensiero giuridico ha colto che la vera essenza della normazione<br />
deontologica non era più soltanto quella di assolvere ad esigenze organizzatorie della singola<br />
categoria di associati, quanto piuttosto quella di tutelare i destinatari dell’attiv<strong>it</strong>à professionale;<br />
quando sono state intu<strong>it</strong>e le connotazioni di stampo pubblicistico ins<strong>it</strong>e nell’autoregolamentazione,<br />
quale strumento finalizzato al perseguimento di final<strong>it</strong>à d’interesse pubblico, allora<br />
sono mutati anche l’approccio e la considerazione della Giurisprudenza in ordine ai codici<br />
di autoregolamentazione, primo tra tutti quello medico. Sono poi arrivati anche i riconoscimenti<br />
legislativi a livello nazionale 4 e comun<strong>it</strong>ario 5 , e con essi la previsione di coordinamento<br />
tra i meccanismi giudiziari e quelli dell’autodisciplina, di cui veniva quindi, implic<strong>it</strong>amente,<br />
operato il riconoscimento.<br />
Solo incidentalmente conviene osservare che il grado di integrazione tra dir<strong>it</strong>to statale e<br />
disciplina di fonte autoregolamentare può toccare vari livelli, fino a quello massimo del rinvio<br />
diretto da parte della legge: si veda per esempio l’art. 25 della legge 31 dicembre 1996, n.675,<br />
sulla tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, il quale<br />
demanda alla stessa codificazione deontologica (ad opera del Consiglio Nazionale dell’Ordine<br />
dei Giornalisti) l’adozione di “misure ed accorgimenti a garanzia degli interessati”. Per rimanere<br />
alla nostra materia, è quanto recentemente successo in Francia, dove il codice di deonto-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
logia medica è stato adottato con atto di valore normativo (décret n.95-1000 del 6 settembre<br />
1995). In questo modo però, come ben posto in rilievo 6 , si rischia di snaturare i tratti peculiari<br />
della disciplina deontologica, riducendola da fonte autonoma e concorrente, a fonte<br />
delegata e condizionata nei fini, oltre che nelle modal<strong>it</strong>à del loro perseguimento.<br />
Altro grado di integrazione, r<strong>it</strong>enuto dalla dottrina più rispettoso delle peculiar<strong>it</strong>à del fenomeno,<br />
è quello apprestato dal legislatore con il riconoscimento, in capo agli organi rappresentativi<br />
di una certa categoria, del potere di elaborare principi di deontologia professionale.<br />
È quanto avvenuto per la professione notarile 7 , e ciò proprio sul presupposto che l’elaborazione<br />
di principi deontologici da parte dell’organo di categoria rispondeva ad un preciso interesse<br />
della collettiv<strong>it</strong>à.<br />
Ma vediamo ora più da vicino come le regole deontologiche divengano rilevanti per l’ordinamento<br />
generale.<br />
In primo luogo, esse cost<strong>it</strong>uiscono il riferimento del rinvio contenuto nell’art. 1176, comma<br />
2, cod. civ., alla diligenza nell’esercizio dell’attiv<strong>it</strong>à professionale, che cost<strong>it</strong>uisce la misura<br />
per valutare l’adempimento dell’obbligazione da parte del medico; alla norma sono agganciate<br />
le previsioni che disciplinano la prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare l’art. 2236<br />
cod. civ. che regola la responsabil<strong>it</strong>à del prestatore. Inoltre esse vengono a dare contenuto alle<br />
cd. clausole generali dell’ordinamento, cioè quelle previsioni generali ed astratte che si pongono<br />
alla base della risoluzione di confl<strong>it</strong>ti: sono i principi cardine come l’ordine pubblico ed<br />
il buon costume. Del resto, come detto poco sopra, le statuizioni dei codici deontologici sono<br />
proprio finalizzate alla tutela dei destinatari dell’attiv<strong>it</strong>à professionale, ed è quindi logico<br />
che le loro previsioni vengano utilizzate quando si debba formulare un giudizio di responsabil<strong>it</strong>à<br />
professionale.<br />
Ma oltre a riempire di contenuto il rapporto obbligatorio tra le parti, medico e paziente,<br />
i doveri di correttezza professionale esplic<strong>it</strong>ati nelle regole deontologiche, vengono ad operare<br />
anche in assenza di un preesistente vincolo obbligatorio, a garanzia di chiunque venga<br />
raggiunto dall’attiv<strong>it</strong>à professionale.<br />
In una importante decisione 8 si è poi r<strong>it</strong>enuto che le regole contenute nel codice di autodisciplina<br />
(nel caso di specie, dell’attiv<strong>it</strong>à pubblic<strong>it</strong>aria) cost<strong>it</strong>uiscano parametri di valutazione<br />
della correttezza professionale, in quanto espressione dell’etica professionale consentendo<br />
“di adeguare i principi di correttezza professionale ... al costume eticamente inteso”, e quindi<br />
saldando quei due universi (etica e dir<strong>it</strong>to) in continua tensione e difficile contatto.<br />
Sebbene i richiami alle regole di perizia, di prudenza e diligenza, esplic<strong>it</strong>ati nei codici di autoregolamentazione<br />
in generale, ed in quello medico in particolare, siano maggiormente rilevanti<br />
nel settore penale, tuttavia anche nel campo dell’illec<strong>it</strong>o civile contrattuale (chè contrattuale<br />
è il rapporto tra medico e paziente, anche nella struttura pubblica 9 ), il rispetto della normazione<br />
deontolgica assume molta importanza. Si pensi che prima della ratifica della<br />
Convenzione di Oviedo, sui dir<strong>it</strong>ti dell’uomo e sulla biomedicina, del 4 aprile 1997, da parte<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
della legge 28 marzo 2001, n.145, veniva fatto chiaro richiamo 10 , per accertare la responsabil<strong>it</strong>à<br />
contrattuale del medico per omissione dell’informazione, proprio alla fonte autoregolamentare.<br />
In ultima analisi, la regola deontologica viene a cost<strong>it</strong>uire il fondamento di prerogative e<br />
pretese da parte dell’utente, tanto da essere invocata sempre più spesso nelle aule dei tribunali.<br />
Ma rimaniamo aderenti al tema in oggetto.<br />
Nell’evoluzione del codice di deontologia medica, tra i tanti, mer<strong>it</strong>a di essere colto l’aspetto<br />
del rapporto tra medico e quello che veniva - possiamo ormai usare un tempo passato -<br />
chiamato il paziente. Analizzando la posizione del medico in questo particolare rapporto, la<br />
definizione di “potestà professionale” è stata solo recentemente abbandonata, a vantaggio dell’espressione<br />
“indipendenza professionale” che meglio vale ad esprimere la nuova concezione<br />
della relazione medico-paziente: su ciò si tornerà di qui a poco.<br />
L’atto medico è oggi il risultato della “alleanza fra due autonomie” 11 , è il frutto di una cooperazione<br />
all’impresa curativa, che - vedremo di qui a poco - deve passare attraverso una fase<br />
conosc<strong>it</strong>iva, essenziale per entrambi i protagonisti della cosiddetta alleanza terapeutica.<br />
Proprio prendendo atto della asimmetria del rapporto tra medico e paziente e di quella<br />
ovvia, naturale s<strong>it</strong>uazione di inferior<strong>it</strong>à in cui si viene a trovare il secondo nei rapporti con il<br />
primo, il codice ha avuto il principale comp<strong>it</strong>o di ridurre tale squilibrio, formulando le norme<br />
di comportamento a cui i san<strong>it</strong>ari si impegnano ad attenersi. In tempi ormai risalenti, era convincimento<br />
giuridico, oltre che sociale, che il mettersi nelle mani di un medico famoso comportasse<br />
la preventiva accettazione di quelle determinazioni che lo stesso medico avrebbe<br />
poi preso, se ed in quanto necessario per la v<strong>it</strong>a e la salute dell’ammalato, determinazioni che<br />
proprio in quanto assunte dal medico - nella sua imperscrutabile discrezional<strong>it</strong>à - erano per<br />
ciò stesso, assiomaticamente, conformi all’interesse del paziente.<br />
Progressivamente il ruolo decisionale del paziente è cresciuto, e con esso il grado del dovere<br />
dell’informazione da parte del san<strong>it</strong>ario. Si osserva come questa evoluzione culturale 12<br />
sia passata dalla formulazione dell’art. 30 del codice deontologico del 1978, il quale prevedeva:“Una<br />
prognosi grave o infausta può essere tenuta nascosta al malato ma non alla famiglia”;<br />
a quella dell’art. 40 del codice del 1989, secondo cui:“il medico non può intraprendere alcuna<br />
attiv<strong>it</strong>à diagnostico terapeutica senza il valido consenso del paziente, che se sostanzialmente<br />
implic<strong>it</strong>o nel rapporto di fiducia, dev’essere invece consapevole ed esplic<strong>it</strong>o allorché l’atto<br />
medico comporta rischio o permanente diminuzione dell’integr<strong>it</strong>à fisica”; alla statuizione della<br />
normativa deontologica del 1995, il cui art. 31 stabiliva che “Il medico non deve intraprendere<br />
attiv<strong>it</strong>à diagnostica e terapeutica senza il consenso del paziente validamente informato”.<br />
Il mutamento dei rapporti, influenzato proprio dalla presa di coscienza della classe medica,<br />
è stato rapido se non tumultuoso. Mer<strong>it</strong>ano di essere ricordate le parole del Presidente<br />
della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri 13 , Aldo<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
Pagni, secondo cui “Per troppo tempo abbiamo creduto che la nostra missione fosse soltanto quella<br />
di salvare v<strong>it</strong>e, alleviare sofferenze e guadagnare terreno alla morte, che sono poi gli scopi principali<br />
della medicina, senza preoccuparci delle profonde implicazioni sociali della nostra pratica,<br />
nell’illusione che questa fosse fuori dai flussi della storia sulla base di un immutabile modello formativo<br />
ed operativo autoreferenziale” (Atti del Convegno di studio della F.N.O.M.C.e O., c<strong>it</strong>.,<br />
pag. 8).<br />
Uno degli aspetti applicativi di questa evoluzione è quello che riguarda l’amplissima tematica<br />
del consenso alla prestazione medica, all’interno del quale, a mio parere, deve trovare soluzione<br />
la problematica della scelta e dell’iniziativa terapeutica nel caso del grande pretermine.<br />
Il momento decisionale nell’individuazione della scelta terapeutica, intesa in senso amplissimo,<br />
si sta spostando dalla competenza tecnica e professionale del medico alle esigenze personali<br />
del paziente, e quindi al pieno rispetto della sua libertà di autodeterminazione: ciò ha<br />
fatto brillantemente dire 14 che “il consenso informato mira a porre al centro dell’attenzione del<br />
medico non tanto, o non soltanto la malattia , ma la persona bisognosa di cure”.<br />
Nei documenti di approvazione dei piani san<strong>it</strong>ari nazionali si leggono con sempre maggiore<br />
evidenza i riferimenti alla possibil<strong>it</strong>à di una scelta consapevole tra diverse opzioni diagnostiche<br />
e terapeutiche da parte dell’utente, e quindi all’esigenza che l’informazione divenga uno<br />
degli aspetti decisivi nel rapporto tra il Sistema San<strong>it</strong>ario Nazionale ed i c<strong>it</strong>tadini, in una transizione<br />
da una concezione paternalistica ad una concezione democratica dell’assistenza san<strong>it</strong>aria,<br />
che incontra ancora alcuni ostacoli. Possiamo quindi dire 15 che “è, in defin<strong>it</strong>iva, solo il t<strong>it</strong>olare<br />
del dir<strong>it</strong>to “individuale” che è leg<strong>it</strong>timato a decidere il “se”, il “quando” e il “come” dell’accertamento<br />
e del trattamento san<strong>it</strong>ario anche se il medico r<strong>it</strong>enesse più utile per lui una soluzione<br />
diversa: intervenire anziché soprassedere, intervenire tra un mese anziché tra un anno, con soluzione<br />
radicale anziché in modo più contenuto e così via”.<br />
Oggi il dovere dell’informazione sussiste in ogni caso, non potendosi più discutere di una<br />
implic<strong>it</strong>a accettazione delle decisioni del medico riguardanti la persona del paziente senza la<br />
previa informazione, e ciò ancorché non si prospetti alcun rischio di diminuzione della integr<strong>it</strong>à<br />
fisica. Al riguardo, mentre nel codice del 1995 l’art. 29 statuiva: “la volontà del paziente,<br />
liberamente e attualmente espressa, deve informare il comportamento del medico, entro i lim<strong>it</strong>i<br />
della potestà, della dign<strong>it</strong>à e della libertà professionale”, in tal modo lim<strong>it</strong>ando l’autonomia del<br />
paziente a vantaggio dalla “potestà” professionale del medico, e rievocando 16 , in certo qual<br />
modo, la funzione autoleg<strong>it</strong>timante a discap<strong>it</strong>o della libertà del paziente; invece, l’art. 34 del<br />
codice del 1998, prevede che “il medico deve attenersi, nel rispetto della dign<strong>it</strong>à, della libertà e<br />
dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona”. È evidente<br />
come alla “potestà” di curare del medico si sia sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a la “indipendenza” professionale,<br />
con defin<strong>it</strong>iva dismissione di qualsiasi potere vagamente coerc<strong>it</strong>ivo o funzionale e della relativa<br />
“soggezione” del paziente.<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
Lo stesso legislatore sembra pronto a prendere atto di questa evoluzione, se è vero che<br />
in una delle tante proposte concernenti le disposizioni in materia di consenso informato e di<br />
dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti san<strong>it</strong>ari 17 si rinviene un articolato che prevede<br />
che “Ogni persona capace ha il dir<strong>it</strong>to di prestare o negare il proprio consenso in relazione<br />
ai trattamenti san<strong>it</strong>ari che stiano per essere esegu<strong>it</strong>i o che siano prevedibili nello sviluppo della patologia<br />
in atto... In caso di ricovero ospedaliero la dichiarazione di volontà di cui al comma I deve<br />
essere annotata nella cartella clinica e sottoscr<strong>it</strong>ta dal paziente”. Viene ad essere esaltato, come<br />
si legge nella Relazione illustrativa, “il principio di autodeterminazione nel campo delle cure mediche<br />
e la consapevolezza che ogni persona ha il dir<strong>it</strong>to di essere protagonista delle scelte riguardanti<br />
la sua salute, sia nel senso di accettare sia nel senso di rifiutare l’intervento medico... Anche<br />
la giurisprudenza <strong>it</strong>aliana ha avuto modo di chiarire che il rifiuto di un trattamento da parte della<br />
persona interessata deve essere rispettato, indipendentemente dalla valutazione dell’operatore<br />
san<strong>it</strong>ario in mer<strong>it</strong>o al “bene” del paziente... Appare evidente come il consenso o il rifiuto espresso<br />
dalla persona nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia diagnostico che terapeutico, possa rappresentare<br />
un autentico atto di autodeterminazione, libero e consapevole, solo se la persona riceve<br />
un’informazione completa e corretta della diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento che<br />
concerna la scelta che la persona stessa è chiamata ad effettuare (cosiddetto “consenso informato”).Tuttavia<br />
nonostante il preciso dettato cost<strong>it</strong>uzionale e l’affermazione del principio di autodeterminazione<br />
recata dalle regole deontologiche mediche, la pratica clinica nel nostro paese continua<br />
ad essere permeata da una scarsa o sporadica informazione del paziente e dalla frequente<br />
violazione della richiesta di consenso alle procedure diagnostiche o terapeutiche alle quali la persona<br />
malata è sottoposta... Il dir<strong>it</strong>to di autodeterminazione della persona per quanto attiene alle<br />
scelte relative alle cure incontra poi lim<strong>it</strong>azioni assolute nelle circostanze in cui la persona venga<br />
a perdere la capac<strong>it</strong>à di decidere ovvero di comunicare le proprie decisioni...”.<br />
Un rapido esame delle fonti regolamentari e normative in vigore impone il richiamo dell’art.<br />
30 del codice deontologico, il quale prevede che “Il medico deve fornire al paziente la più<br />
idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche<br />
e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo<br />
dovrà tenere conto delle sue capac<strong>it</strong>à di comprensione, al fine di promuoverne la massima adesione<br />
alle proposte diagnostico-terapeutiche”; e dell’art. 5 della Convenzione di Bioetica, secondo<br />
cui “Un trattamento san<strong>it</strong>ario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato<br />
il proprio consenso libero e informato.Tale persona riceve preliminarmente informazioni adeguate<br />
sulla final<strong>it</strong>à e sulla natura del trattamento nonché sulle sue conseguenze e i suoi rischi”. In<br />
particolare il “Rapporto Esplicativo” allegato alla Convenzione ad ulteriore chiarimento del<br />
tenore dell’art. 5, aggiunge:“Il consenso del paziente non può essere libero e consapevole se non<br />
è dato in segu<strong>it</strong>o ad una informazione oggettiva del san<strong>it</strong>ario responsabile sia per quanto riguarda<br />
la natura che le conseguenze possibili dell’intervento programmato e delle sue alternative e in<br />
mancanza di ogni pressione da parte di altri. L’art. 5, comma II, dichiara così gli elementi più im-<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
portanti riguardanti l’informazione che deve precedere l’intervento ma non si tratta di un elenco<br />
completo: il consenso informato può implicare secondo le circostanze, ulteriori elementi. I pazienti<br />
devono essere informati in particolare sui miglioramenti che possono derivare dal trattamento, sui<br />
rischi che questo comporta (natura e grado di probabil<strong>it</strong>à) e sul suo costo. Trattandosi dei rischi<br />
dell’intervento o delle sue alternative, l’informazione dovrebbe riguardare non solo i rischi inerenti<br />
al tipo di intervento mirato ma ugualmente i rischi che sono propri delle caratteristiche individuali<br />
di ogni persona, come l’età o la presenza di altre patologie. Si deve rispondere in modo adeguato<br />
alle richieste di informazione supplementare formulate dai pazienti”.<br />
Non possiamo spingerci oltre nell’esame dell’evoluzione dell’ist<strong>it</strong>uto del consenso informato,<br />
se non per riportare le recenti osservazioni di un apprezzato medico legale 18 per il quale:<br />
“Se noi parliamo ai medici del consenso informato, di sol<strong>it</strong>o questi pensano a un modulo sotto<br />
il quale mettere una firma. È un termine che fa scomparire il concetto di informazione, collocandolo<br />
come una sorta di appendice, come aggettivo attaccato al consenso, che diventa quindi la cosa<br />
più importante. Ciò che conta è che prima di entrare in sala operatoria si faccia firmare un modulo:<br />
questo è il “consenso informato”. Questa osservazione piuttosto amara ha però aperto -<br />
nel consesso in cui fu esternata - le porte del dibatt<strong>it</strong>o ad una attenta analisi sulla necess<strong>it</strong>à<br />
di distinguere il concetto di informazione da quello di consenso, individuando nel primo “il<br />
momento principale”, quale processo che, in un contesto di valida comunicazione interpersonale,<br />
si conclude, eventualmente, con il consenso (oppure con il rifiuto, a questo punto pienamente<br />
leg<strong>it</strong>timo).<br />
Queste considerazioni mi introducono alla formulare le mie considerazioni su quale potrebbe<br />
essere un sistema di costruzione del consenso pos<strong>it</strong>ivamente apprezzabile da parte<br />
di un giudice, nel caso di contenzioso sulla scelta terapeutica in evenienza di grande pretermine.<br />
Proprio seguendo le linee evolutive della tematica del consenso, che non va più inteso<br />
quale un passe-partout verso l’immun<strong>it</strong>à disciplinare e sanzionatoria, buono per tutte le stagioni,<br />
ma quale momento finale di un processo formativo ed informativo del paziente, r<strong>it</strong>engo<br />
che dobbiamo essere pronti a scindere la figura del medico operatore da quella dell’informatore,<br />
garantendo al primo la partecipazione al processo, ma sottraendogli il monopolio dell’informazione.<br />
Il miglior medico potrebbe essere infatti una persona poco adatta alla discussione,<br />
incapace di percepire particolari problematiche psicologiche, non dotato di uno specifico<br />
bagaglio che gli consenta di comprendere la personal<strong>it</strong>à del suo interlocutore.<br />
Per queste ragioni, come so essere accaduto in alcuni centri medici, penso che risponderebbe<br />
ai canoni della miglior diligenza professionale la scelta, da parte dei responsabili della<br />
struttura ospedaliera, o delle singole un<strong>it</strong>à operative, di mettere a disposizione del paziente<br />
un pool di specialisti per un approccio multidirezionale alla costruzione del consenso informato.<br />
Questa potrebbe essere la chiave di volta per approntare, di fronte a problemi scientifi-<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
camente insolubili, la migliore risposta possibile. Mi sembra infatti intu<strong>it</strong>ivo che quanto più è<br />
chiara la prospettiva medico-scientifica del caso clinico, pos<strong>it</strong>iva o negativa che sia, tanto più<br />
prendono immediato e defin<strong>it</strong>ivo sopravvento, nella mente del paziente, fattori istintivi che<br />
selezionano automaticamente i canali di formazione del convincimento. Ma dove si tratta di<br />
esplorare un’incogn<strong>it</strong>a e di costruire una scelta senza evidenza clinica, come nel caso del grande<br />
pretermine, diviene essenziale apprestare per il paziente un valido bagaglio culturale, scientifico,<br />
psicologico, non senza una pragmatica costs-benef<strong>it</strong>s analisys, per garantirgli la possibil<strong>it</strong>à<br />
di risolversi a quella che, in quel momento drammatico, sia per lui la miglior scelta possibile.<br />
Immaginerei ad esempio una equipe composta, ovviamente, dallo psicologo, specializzato<br />
in rapporti di famiglia; ma anche da una persona dalle specifiche competenze amministrative<br />
per una lettura socio-economica delle possibili implicazioni della scelta: sapere quali presidi<br />
siano offerti dal sistema san<strong>it</strong>ario nazionale, quali possibili prospettive vi siano per i lavoratori,<br />
quali ripercussioni sui redd<strong>it</strong>i, può ricoprire un’importanza - al momento della scelta terapeutica<br />
- difficilmente contestabile. In caso di forte motivazione religiosa, penso sia il caso di<br />
garantire la presenza di un credente in grado di comprendere - per specifica cultura scientifica<br />
- le implicazioni mediche delle scelte etiche.<br />
Un caso straordinario, come la gestione di un parto pretermine con incertezza assoluta<br />
sugli es<strong>it</strong>i, richiede uno straordinario sforzo per consentire alla paziente di determinarsi autonomamente<br />
ad una scelta che cambierà la sua v<strong>it</strong>a, e non solo lo stato della sua salute.<br />
Vi è poi da esaminare un altro argomento, giuridicamente pregnante.<br />
È noto - infatti - che salvo il caso di grave pericolo di v<strong>it</strong>a per la donna, dopo il novantesimo<br />
giorno di gravidanza, la gestante può eserc<strong>it</strong>are il dir<strong>it</strong>to all’aborto, ai sensi del combinato<br />
disposto degli artt. 6 e 7 comma terzo legge 22 maggio 1978 n.194, solo in presenza di<br />
due condizioni pos<strong>it</strong>ive concernenti la propria salute (e cioé: che sussista un processo patologico,<br />
fisico o psichico, anche indotto da accertate malformazioni del feto, in atto per la madre;<br />
e che sussista il pericolo, da accertare con valutazione “ex ante”, che tale processo patologico<br />
degeneri recando un danno grave alla salute della madre), e di una negativa, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a<br />
dall’insussistenza di possibil<strong>it</strong>à di v<strong>it</strong>a autonoma per il feto. Proprio quest’ultimo aspetto, e<br />
cioè cosa debba intendersi per “possibil<strong>it</strong>à di v<strong>it</strong>a autonoma del feto” rimarrebbe da approfondire<br />
nel caso di gestione del grande pretermine: penso che non sia possibile fare riferimento<br />
al concetto, utilizzato sovente dalla Giurisprudenza 19 , di “un certo grado di matur<strong>it</strong>à<br />
del feto” che gli consenta, una volta estratto dal grembo della madre, di mantenersi in v<strong>it</strong>a e<br />
di completare il suo processo di formazione anche fuori dall’ambiente materno. Difatti, qualora<br />
sia possibile sapere che il feto è in grado di completare il suo processo evolutivo extrauterino,<br />
non si dovrebbe a rigore più discutere di gestione decisionale del grande pretermine,<br />
ma si dovrebbe obbligatoriamente avviare la donna al parto, per non incorrere in responsabil<strong>it</strong>à<br />
per avere cagionato un aborto fuori dai casi previsti dalla legge.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
È poi da vagliare la responsabil<strong>it</strong>à dei gen<strong>it</strong>ori (in realtà della madre, con il possibile concorso<br />
morale del padre) i quali decidano di non fare praticare le cure necessarie per ottenere<br />
la nasc<strong>it</strong>a di un neonato v<strong>it</strong>ale (pur con prognosi quoad val<strong>it</strong>udinem estremamente cr<strong>it</strong>ica),<br />
malgrado il parere forn<strong>it</strong>o dai san<strong>it</strong>ari e la completezza dell’informazione. Quale scenario<br />
si presenta per l’ipotesi in cui la madre decida di non consentire cure per il feto al fine di ottenere<br />
quindi una nasc<strong>it</strong>a che, essendo più prococe, riduca la possibil<strong>it</strong>à di sopravvivenza del<br />
nasc<strong>it</strong>uro?<br />
È chiaro che qualora la scelta determini l’insorgenza di lesioni ev<strong>it</strong>abili, o l’aggravamento<br />
di lesioni che possano qual<strong>it</strong>ativamente incidere in modo significativo sulla v<strong>it</strong>a del neonato, i<br />
gen<strong>it</strong>ori potrebbero incorrere nel del<strong>it</strong>to di lesioni volontarie. L’accertamento del del<strong>it</strong>to sarà<br />
oltremodo difficile, atteso che manca - per definizione - quella certezza medica e clinica<br />
che, fotografata al momento della scelta (e non - ovviamente - dopo la nasc<strong>it</strong>a), cost<strong>it</strong>uirebbe<br />
la necessaria chiave di lettura nel giudizio prognostico secondo le regole della causal<strong>it</strong>à<br />
adeguata. Se però si fosse in grado di selezionare la tipologia di lesioni (o del loro aggravamento)<br />
con un margine di certezza apprezzabile, allora il reato di lesioni potrebbe essere materialmente<br />
concretato. Si dovrebbe poi affrontare il problema dell’accertamento dell’elemento<br />
psicologico del reato, in quanto per poter discutere di lesioni volontarie si deve essere in<br />
presenza di un dolo diretto, o al più eventuale, altrimenti si dovrebbe parlare di lesioni colpose.<br />
Occorre al riguardo distinguere, infatti, tra due figure piuttosto astratte e che cost<strong>it</strong>uiscono<br />
una vera e propria palestra per gli esercizi di tecnica giuridica: si tratta del dolo eventuale<br />
e della colpa cosciente. Il dato differenziale tra le due ipotesi va rinvenuto nella previsione<br />
dell’evento (nel nostro caso, morte o lesioni): tale previsione, nel dolo eventuale, si propone<br />
non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente, nel volere la condotta<br />
attiva od omissiva, ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l’evento rappresentato.<br />
Nella colpa cosciente, invece, la verificabil<strong>it</strong>à dell’evento rimane un’ipotesi astratta che<br />
nella coscienza del soggetto non viene concep<strong>it</strong>a come concretamente realizzabile e, pertanto,<br />
non è in alcun modo voluta 20 .<br />
È chiaro che, ancora una volta, la chiave di selezione sarà la metodologia di costruzione<br />
dell’informazione finalizzata al consenso: quanto infatti maggiori saranno la completezza del<br />
panorama forn<strong>it</strong>o, il grado di accuratezza nell’analisi dei fattori individuanti la patologia, le prospettive<br />
di risolutiv<strong>it</strong>à delle cure al feto, tanto maggiore sarà l’accettazione concreta del rischio<br />
in capo alla gestante che decida di omettere le cure necessarie. Rimarrà pur sempre possibile,<br />
però, dimostrare processualmente il cd. omnimodo facturus, e cioè la circostanza che comunque<br />
il neonato sarebbe morto, che certe lesioni si sarebbero in ogni caso verificate. Ma<br />
la rigid<strong>it</strong>à della giurisprudenza, in tema di danno alla qual<strong>it</strong>à concreta della v<strong>it</strong>a, cost<strong>it</strong>uisce un<br />
indirizzo dogmatico difficilmente sovvertibile.<br />
Facendo nuovamente un passo indietro in ordine all’analisi causale (oltremodo complessa<br />
in casi del genere), si osserva che normalmente, in presenza della complessa s<strong>it</strong>uazione pa-<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
tologica (come quella che verosimilmente affetterà il grande pretermine), e dunque in costanza<br />
di una plural<strong>it</strong>à di fatti coevi (ma anche succedentisi nel tempo, come quelli indotti dalla<br />
mancanza di cure per accelerare la nasc<strong>it</strong>a), ad ognuno di essi deve essere riconosciuta un’efficacia<br />
causativa del danno, qualora abbiano determinato una s<strong>it</strong>uazione tale che senza l’uno<br />
o l’altro di essi l’evento non si sarebbe verificato (cd. causal<strong>it</strong>à materiale, concetto che però<br />
non è di aiuto per selezionare i fattori causali giuridicamente rilevanti). Deve invece attribuirsi<br />
il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando, inserendosi questo<br />
quale causa sopravvenuta nella serie causale, venga a spezzare il nesso eziologico tra l’evento<br />
dannoso e gli altri fatti; ovvero quando, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie<br />
causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al rango di occasioni<br />
estranee 21 . Ma secondo la giurisprudenza di leg<strong>it</strong>tim<strong>it</strong>à 22 , qualora si discuta della lesione<br />
del bene “v<strong>it</strong>a”, al fine di escludere la rilevanza causale di un evento è necessario che esso<br />
non solo non abbia causato l’evento di danno, ma non l’abbia neppure minimamente accelerato.<br />
Questo nesso di causal<strong>it</strong>à tra fatto (omissione di cure al feto) e l’accelerazione dell’evento<br />
morte dovrà essere valutato secondo i principi della regolar<strong>it</strong>à causale: sebbene il fatto illec<strong>it</strong>o<br />
non sarà esso direttamente causa della morte in termini assoluti, tuttavia sarà comunque<br />
cagione di “quella” morte, in quei termini temporali anticipati.<br />
Il medico non potrà che rimanere spettatore di questa triste s<strong>it</strong>uazione, nella quale, proprio<br />
per l’enorme margine di incertezza sull’es<strong>it</strong>o della gravidanza, sulla fondatezza dei presupposti<br />
e la prevedibil<strong>it</strong>à delle conseguenze, sulla risolutiv<strong>it</strong>à delle pratiche terapeutiche, nessuno<br />
potrà esprimersi con un apprezzabile grado di sicurezza prima della nasc<strong>it</strong>a. Non si tratta<br />
di un campo di indagine giuridica, un po’ come accaduto in un contesto temporale non<br />
lontano, quando le aule di tanti Tribunali, anche in Trieste, cost<strong>it</strong>uirono l’ultimo approdo per<br />
persone senza ormai altra speranza, se non quella offerta dalla disinformazione mediatica sulla<br />
cd. cura Di Bella. Allora, in mancanza di una seria letteratura scientifica, di anni di sperimentazione<br />
“a doppio cieco”, non doveva essere logicamente e giuridicamente possibile per il giudice<br />
obbligare il S.S.N. a prestare gratu<strong>it</strong>amente farmaci di nessuna comprovata valenza. Non<br />
era possibile allora, come non lo sarebbe in questo caso, attribuire ad un consulente il comp<strong>it</strong>o<br />
di colmare le lacune esistenti nella conoscenza scientifica, anche perché nel tempo necessario<br />
per espletare la consulenza il parto si sarà verosimilmente già verificato.<br />
Non mi sembra vi siano, quindi, spazi per impedire ai coniugi - i quali beninteso se ne assumeranno<br />
la responsabil<strong>it</strong>à - di omettere le cure al feto, neanche qualora si ravvisino gli estremi<br />
dell’incapac<strong>it</strong>à della gestante, nei cui confronti si potrebbe addivenire ad un T.S.O., ma non<br />
ad una cura diretta del feto, neanche prospettando una sospensione o la decadenza dalla potestà<br />
del gen<strong>it</strong>ore. Infatti l’intervento terapeutico, per quanto diretto al feto, avviene sempre<br />
“attraverso” la persona della madre.<br />
L’estremizzazione del consenso alla terapia, per cui non è mai possibile intervenire in ca-<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
so di paziente lucido e consapevole che rifiuti la prestazione, impedisce al medico di prestare<br />
la propria attiv<strong>it</strong>à: qualora il pubblico ufficiale r<strong>it</strong>enga sia stato commesso un reato di lesioni<br />
o di soppressione del feto, potrà e dovrà presentare denunzia alla Procura della Repubblica.<br />
Dobbiamo però chiederci se ancora oggi certe conclusioni, in particolare quelle sulla mancanza<br />
di dir<strong>it</strong>ti del feto ad ottenere le cure necessarie, siano ancora valide.<br />
La Dichiarazione dei Dir<strong>it</strong>ti del Fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni<br />
Un<strong>it</strong>e il 20 novembre del 1959 con il n.1386, garantisce cure mediche e protezioni sociali adeguate<br />
“specialmente nel periodo precedente e seguente alla nasc<strong>it</strong>a”; il Preambolo della<br />
Convenzione sui dir<strong>it</strong>ti dell’infanzia statuisce la necess<strong>it</strong>à di una protezione legale appropriata<br />
“sia prima che dopo la nasc<strong>it</strong>a”. Eppure non mancano giuristi 23 secondo cui il riconoscimento<br />
di una capac<strong>it</strong>à al concep<strong>it</strong>o comporterebbe che “nel medesimo corpo (della madre) vi<br />
sarebbero poi due t<strong>it</strong>olari di dir<strong>it</strong>ti: la madre e l’embrione”, quasi rievocando l’antica definizione<br />
per cui il frutto del concepimento sarebbe “mulieris portio vel viscerum”.<br />
Sappiamo che l’art. 1 della legge n. 194/1978, sull’interruzione volontaria della gravidanza,<br />
stabilisce che “lo Stato (…) tutela la v<strong>it</strong>a umana dal suo inizio”. Su questo minimo impianto<br />
la sentenza della Corte Cost<strong>it</strong>uzionale n. 27 del 1975, nel dichiarare la parziale illeg<strong>it</strong>tim<strong>it</strong>à dell’art.<br />
546 cod. pen. (reato di procurato aborto), aveva statu<strong>it</strong>o il fondamento cost<strong>it</strong>uzionale<br />
della tutela del concep<strong>it</strong>o, riportando la sua s<strong>it</strong>uazione giuridica tra i dir<strong>it</strong>ti inviolabili dell’uomo<br />
garant<strong>it</strong>i dall’art. 2 Cost.: questo dir<strong>it</strong>to era quindi denominato tout court dir<strong>it</strong>to alla v<strong>it</strong>a,<br />
oggetto di tutela proprio come il dir<strong>it</strong>to alla v<strong>it</strong>a ed alla salute della donna gestante.<br />
Nell’insegnamento della Corte Cost<strong>it</strong>uzionale, l’equilibrio tra tali dir<strong>it</strong>ti “quando siano entrambi<br />
esposti a pericolo, si trova nella salvaguardia della v<strong>it</strong>a e della salute della madre, dovendosi<br />
peraltro operare in modo che sia salvata, quando ciò sia possibile, la v<strong>it</strong>a del feto”.<br />
In segu<strong>it</strong>o la stessa Corte Cost<strong>it</strong>uzionale, nel negare l’ammissibil<strong>it</strong>à di un referendum abrogativo<br />
della legge 194 del 1978, con la sentenza n. 35 del 1997, e nel ribadire “il dir<strong>it</strong>to del concep<strong>it</strong>o<br />
alla v<strong>it</strong>a”, ulteriormente precisava che esso “può essere sacrificato solo nel confronto con<br />
quello - pure cost<strong>it</strong>uzionalmente tutelato e da iscriversi tra i dir<strong>it</strong>ti inviolabili - della madre alla salute<br />
e alla v<strong>it</strong>a”.<br />
Venendo ai giorni nostri, ed andando con la memoria a quella contestatissima legge di cui<br />
in esordio aveva fatto cenno, e cioè la legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente<br />
assist<strong>it</strong>a, molto è stato scr<strong>it</strong>to da raffinati giuristi sull’infelice norma dell’art. 1, per il quale la<br />
legge “assicura i dir<strong>it</strong>ti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concep<strong>it</strong>o”.<br />
Ancora una volta, come osservato in dottrina 24 il problema è “quello della individuazione<br />
dei dir<strong>it</strong>ti dei quali il concep<strong>it</strong>o sia t<strong>it</strong>olare, dovendosi peraltro escludere... che egli possegga una capac<strong>it</strong>à<br />
giuridica generale”. Soccorrono anche qui le decisioni della Corte Cost<strong>it</strong>uzionale sopra<br />
riportate, secondo cui il concep<strong>it</strong>o ha un dir<strong>it</strong>to alla v<strong>it</strong>a, tutelato penalmente, destinato a cedere<br />
solo di fronte al concorrente dir<strong>it</strong>to fondamentale alla v<strong>it</strong>a ed alla salute della madre.<br />
Ma tra i dir<strong>it</strong>ti che spettano all’individuo assume particolare rilievo il dir<strong>it</strong>to alla salute, di<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
cui all’art. 32, I comma, Cost., che viene proprio indicato come “fondamentale dir<strong>it</strong>to dell’individuo”.<br />
Questo termine “individuo” cost<strong>it</strong>uisce un “apax legomenon”, cioé è stato utilizzato una<br />
sola volta nella stesura del testo cost<strong>it</strong>uzionale; ad esso ha attinto la Suprema Corte di<br />
Cassazione 25 per sanzionare civilmente la responsabil<strong>it</strong>à della struttura medica per avere omesso<br />
le prestazioni necessarie al feto (ed al neonato), sì da garantirne la nasc<strong>it</strong>a ev<strong>it</strong>andogli - nei<br />
lim<strong>it</strong>i consent<strong>it</strong>i dalla scienza - qualsiasi possibile danno.Tuttavia, e questo è appunto il lim<strong>it</strong>e<br />
che appare ancora oggi invalicabile, questo dir<strong>it</strong>to al risarcimento può essere riconosciuto al<br />
soggetto solo dopo la nasc<strong>it</strong>a, al momento dell’acquisto della capac<strong>it</strong>à giuridica 26 .<br />
Osserviamo ancora che il dir<strong>it</strong>to alla tutela delle propria dign<strong>it</strong>à ed ident<strong>it</strong>à, statu<strong>it</strong>o dalla<br />
Convenzione di Oviedo, sembra sicuramente spettare anche al concep<strong>it</strong>o, tanto che la<br />
Convenzione è c<strong>it</strong>ata nella sentenza della Corte Cost<strong>it</strong>uzionale n.45/2005, che anche su di<br />
essa ha fondato 27 l’inammissibil<strong>it</strong>à del referendum sull’abrogazione integrale della legge n.<br />
40/2004.<br />
Infine, rammentiamo tutti il principio contenuto nel secondo comma dell’art. 31 della<br />
Carta Cost<strong>it</strong>uzionale, secondo cui la Repubblica “protegge la matern<strong>it</strong>à…, favorendo gli ist<strong>it</strong>uti<br />
necessari a tale scopo”: per quanto il precetto non contenga un chiaro riconoscimento di<br />
soggettiv<strong>it</strong>à nel concep<strong>it</strong>o, esso esprime 28 una tutela assoluta ed oggettiva per un ist<strong>it</strong>uto che<br />
non si identifica per intero nè con la madre, nè con il figlio, anche se non può ev<strong>it</strong>are di presupporre<br />
l’esistenza di entrambi.<br />
Ancora, dal disposto dell’art. 30 della Carta secondo cui “è dovere... dei gen<strong>it</strong>ori mantenere...<br />
i figli, anche se nati fuori del matrimonio”, attenta dottrina 29 fa discendere non solo il dovere<br />
di mantenere in v<strong>it</strong>a i figli, inclusa la fase di v<strong>it</strong>a pre-natale, e quindi di agevolarne e non<br />
impedirne la nasc<strong>it</strong>a; ma soprattutto la convinzione che a questo dovere debba essere necessariamente<br />
“correlato, ed anzi contrapposto, in ogni figlio il corrispondente dir<strong>it</strong>to, indipendentemente<br />
da analisi eleganti o da raffinate e sottili disquisizioni sullo stato giuridico del nasc<strong>it</strong>uro<br />
già concep<strong>it</strong>o, sul momento della comparsa del fascio neurale o della stria prim<strong>it</strong>iva, sulla data<br />
di inizio e sulla durata della v<strong>it</strong>a intrauterina, sulla problematica distinzione tra feti maturi ed immaturi”.<br />
Ma il giurista pratico, quello chiamato ad applicare le leggi ed a verificare l’esistenza e la<br />
praticabil<strong>it</strong>à dei dir<strong>it</strong>ti, non può che constatare come - allo stato dell’arte - il concep<strong>it</strong>o non<br />
sia t<strong>it</strong>olare di una capac<strong>it</strong>à giuridica generale, ma solo di una certa soggettiv<strong>it</strong>à giuridica, che<br />
preclude una sua tutela piena, assoluta; essa è di fatto condizionata in parte alla nasc<strong>it</strong>a, mentre<br />
per altra e più importante parte deve scontare la sua stessa peculiar<strong>it</strong>à, e cioè il fatto<br />
che la sua concreta e materiale individuazione sia ancora ricavata per esclusione, cioè con<br />
riferimento alle posizioni soggettive degli altri soggetti con i quali entra in relazione, primi<br />
tra tutti i gen<strong>it</strong>ori.<br />
Il concep<strong>it</strong>o, il feto, il nasc<strong>it</strong>uro, al di fuori delle specifiche ed individuate ipotesi normative,<br />
non può essere tutelato - ancora oggi - contro i propri gen<strong>it</strong>ori o senza di essi.<br />
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Relazione su implicazioni etiche nella gestione del grande pretermine<br />
Bibliografia<br />
1. Quadri E., Il codice deontologico medico ed i rapporti tra etica e dir<strong>it</strong>to, in Resp. Civ. e prev., 2002, 925 ss.<br />
2. Quadri E., Il codice deontologico c<strong>it</strong>.<br />
3. Cass., sez. un., 24 maggio 1975, n.2104<br />
4. Si veda l’art.8 del d.lgs. 25 gennaio 1992, n.74 in tema di autotutela e pubblic<strong>it</strong>à ingannevole.<br />
5. Ad esempio la direttiva 84/450/CEE.<br />
6. Quadri, Il codice deontologico, c<strong>it</strong>.<br />
7. Ad opera dell’art.16 della legge 27 giugno 1991, n.220 che ha attribu<strong>it</strong>o nuove prerogative al Consiglio nazionale del notariato.<br />
8. Cass. 15 febbraio 1999, n.1259.<br />
9. Cass. civ., sez. 3, sent. n.6386 del 8.5.2001.<br />
10. Cass. Civ., sez. 3, sent. n.7027 del 23.5.2001.<br />
11. Barni M., Il rischio in medicina oggi e la responsabil<strong>it</strong>à professionale, Atti del Convegno di Studio della F.N.O.M.C. e O.<br />
del 26.6.1999, pag. 125.<br />
12. Bilancetti M., Il Consenso informato: contenuto, forma e requis<strong>it</strong>i di valid<strong>it</strong>à, relazione tenuta all’incontro di studi del<br />
Consiglio Superiore della Magistratura in Roma il 13.6.2002, in occasione dell’incontro di studi su Le professioni san<strong>it</strong>arie:<br />
responsabil<strong>it</strong>à ed etica.<br />
13. In apertura del convegno Il rischio in medicina oggi e la responsabil<strong>it</strong>à professionale, tenutosi in Roma il 26.6.1999, Atti<br />
del Convegno di studioa cura della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Milano,<br />
2000, pag.8.<br />
14. Giunta F., Il consenso informato all’atto medico tra principi cost<strong>it</strong>uzionali e implicazioni penalistiche, in Riv.<strong>it</strong>.dir. proc.<br />
pen.2001, 378.<br />
15. Bilancetti M., Il Consenso informato, c<strong>it</strong>.<br />
16. Bilancetti M., Il Consenso informato, c<strong>it</strong>.<br />
17. Proposta di legge n. 5673 presentata alla Camera dei Deputati dagli on.li Griffagnini, Bracco + 17.<br />
18. Le parole sono di Paolo Benciolini, Professore ordinario di Medicina Legale, presso l’Univers<strong>it</strong>à degli Studi di Padova, relatore<br />
in occasione del recente incontro su “Testamento biologico direttive anticipate di trattamento”, tenutosi a Trieste il<br />
6.4.2005, ed organizzato dalla Associazione Goffredo de Banfield, sull’argomento “Aspetti medico legali delle direttive anticipate”;<br />
in atti del convegno, pag. 18.<br />
19. Cass. civ., sez. 3, sent. n.6735 del 10.5.2002.<br />
20. Cass. pen. sez. I, 8 novembre 1995, n. 832.<br />
21. In ipotesi ordinarie, e non di lesioni mortali, Cass. 19 settembre 1996, n. 8348<br />
22. Cass., sez. 3, sent. n. 5962 del 10.5.2000.<br />
23. Alpa, Lo statuto dell’embrione tra libertà, responsabil<strong>it</strong>à, divieti, in AA.VV., La fecondazione assist<strong>it</strong>a. Riflessioni di otto<br />
grandi giuristi, Milano, 2005, 164. L’osservazione della contrapposizione di queste ed altre teorie è di Grossi, Alcune considerazioni<br />
in mer<strong>it</strong>o al problema della tutela giuridica del concep<strong>it</strong>o, Relazione tenuta nel corso del convegno “Procreazione<br />
assist<strong>it</strong>a: problemi e prospettive”, Roma, 31.1.2005, atti pubblicati su http://www.laprocreazioneassist<strong>it</strong>a.<strong>it</strong>.<br />
24. Pepanti-Pellettier, Il problema della qualificazione soggettiva del concep<strong>it</strong>o, Relazione tenuta nel corso del convegno<br />
“Procreazione assist<strong>it</strong>a: problemi e prospettive”, Roma, 31.1.2005, atti pubblicati su http://www.laprocreazioneassist<strong>it</strong>a.<strong>it</strong>.<br />
25. Cass., sez. 3, sent. n. 11503 del 22.11.1993, cui fa riferimento Pepanti-Pellettier, in Il problema della qualificazione c<strong>it</strong>..<br />
26. Conforme Cass., sez. 3, sent. n. 5881 del 9.5.2000, secondo cui è risarcibile, subordinatamente all’evento della nasc<strong>it</strong>a, il<br />
danno alla salute sub<strong>it</strong>o per imperizia del medico durante la v<strong>it</strong>a prenatale.<br />
27. L’osservazione è di Pepanti-Pellettier, in Il problema della qualificazione c<strong>it</strong>..<br />
28. Grossi, Alcune considerazioni in mer<strong>it</strong>o, c<strong>it</strong>.<br />
29. Grossi, Alcune considerazioni in mer<strong>it</strong>o, c<strong>it</strong>.<br />
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15<br />
PRE-ECLAMPSIA:<br />
A MULTI SYSTEM DISORDER<br />
E. Chandraharan, S.Arulkumaran<br />
Division of Obstetrics & Gynaecology, St. George’s Hosp<strong>it</strong>al Medical School, Univers<strong>it</strong>y of London<br />
PRE-ECLAMPSIA<br />
Pre-eclampsia is defined as ‘raised blood pressure of >140/90 mmHg (or a rise in systolic<br />
and diastolic BP of 30 and 15 mmHg respectively) associated w<strong>it</strong>h proteinuria after 20 th<br />
week of gestation, on at least 2 occasions 4-6 hours apart’. Usually <strong>it</strong> disappears after delivery<br />
i.e. removal of the placenta. It is an important cause of maternal and fetal morbid<strong>it</strong>y and<br />
mortal<strong>it</strong>y worldwide. It is a disease of theories and the following have been postulated; Uterorenal<br />
reflex; Cortisone hormone imbalance; Hypoproteinaemia, calcium, lipoproteins, and v<strong>it</strong>amin<br />
deficiency; Coagulation system activation;Altered Prostaglandin Metabolism; Diminution<br />
in spontaneous lymphocytic transformation; Increased Endothelin-1 gene expression in placental<br />
villous tissue; Simple recessive tra<strong>it</strong>; Perturbed Steroid hormone-micronutrient; Larger<br />
placental mass.<br />
The primary pathology is non-invasion by cyto-trophoblasts during normal implantation.<br />
The first wave of trophoblastic invasion is in the first trimester into the decidua when <strong>it</strong> erodes<br />
into the spiral and basal arteries.The second wave of trophoblastic invasion is from16-<br />
20 weeks when <strong>it</strong> involves the arcuate arteries in the myometrium. Pre-eclampsia is commoner<br />
when there is failure of the second wave of trophoblastic invasion and <strong>it</strong> may be due to<br />
genetic or immunological reasons.The failure of spiral arterioles to be converted to thin-walled<br />
utero-placental vessels w<strong>it</strong>h high flow and low resistance leads to an ‘ischaemic’ placenta.<br />
This is believed to promote the production of h<strong>it</strong>herto unknown factor (Factor X) by the<br />
ischaemic placenta.This factor X can cause vasospasm leading to hypertension and hypoxicorgan<br />
damage. It can lead to increased capillary permeabil<strong>it</strong>y leading to edema: generalised,<br />
cerebral, pulmonary, asc<strong>it</strong>es and proteinuria. It can also cause wide spread capillary damage<br />
causing oliguria, renal failure, eclampsia, DIC, HELLP Syndrome, Placental Abruption and ARDS.<br />
Pre-eclampsia commences as a local disease in the placental-decidual interphase but progressively<br />
causes widespread endothelial damage. All the maternal organ systems are affected resulting<br />
in morbid<strong>it</strong>y and mortal<strong>it</strong>y. Involvement of the placenta leads to Intra-uterine growth<br />
restriction (IUGR), Abruptio Placentae, Fetal Distress and Fetal Death. Direct marker for endothelial<br />
cell damage is yet to be detected. The pathophysiology appears to be vasospasm<br />
leading to ishaemic pathological changes. Endothelial damage and dysfunction activates the<br />
coagulation system leading to DIC. Perturbations in hormonal and autacoid systems relates<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: a multi system disorder<br />
to volume and blood pressure control (Renin-Angiotensin-Aldosterone Axis / Prostaglandin<br />
Metabolism). Oxidative stress can lead to inflammatory-like responses.The end result is a multi-system<br />
disorder.<br />
In the Renal system - Glomerular Endotheliosis takes place - Hallmark (‘Bloodless Glomeruli’<br />
due to gross endothelial swelling). GFR and renal blood flow decrease leading to hyperuricemia;<br />
impaired sodium excretion. Oliguria (
192<br />
Pre-eclampsia: a multi system disorder<br />
The respiratory system can get affected and up to 2% of patients may present w<strong>it</strong>h pulmonary<br />
oedema. Major<strong>it</strong>y of these (80%) occur in the postpartum period and <strong>it</strong> may be iatrogenic.ARDS<br />
is rare but is associated w<strong>it</strong>h high mortal<strong>it</strong>y and needs management in an ‘Intensive<br />
Care’ setting. Laryngeal oedema may pose difficulties w<strong>it</strong>h GA at the time of intubation and<br />
may precip<strong>it</strong>ate a ‘Hypertensive Crisis’ due to activation of sympathetic system.<br />
Endothelial cell dysfunction is difficult to measure and hence surrogate markers are used.<br />
Increase in circulating markers of endothelial activation in pre-eclampsia are - vWf, cellular fibronectin,<br />
thrombomodulin, endothelin and vascular cell adhesion molecule. Recent findings<br />
indicate elevation of asymmetric dimethylarginine (endogenous inhib<strong>it</strong>or of endothelial n<strong>it</strong>ric<br />
oxide synthetase) and soluble fms-like tyrosine 1 kinase (antagonist of VEGF). Placental ischaemia<br />
may lead to release of lipid peroxides, cytokines, leptin and VEGF that may lead to damage<br />
of maternal vascular endothelium thereby reducing the production of prostacyclin (PG I<br />
2) and n<strong>it</strong>ric oxide and increase in endothelin resulting in systemic vasospasm. An alternate<br />
pathway is through platelet aggregation that results in release of thromboxane A2, PDGF and<br />
serotonin resulting in increase in thrombin and systemic vasospasm.<br />
The aim of investigations is to assess multi-organ function and the following tests are useful:<br />
- Full Blood Count: PCV/Platelet Count<br />
- Blood Urea & Serum Electrolytes<br />
- Quantification of proteinuria (>0.3 g/24 hr)<br />
- Liver Function Tests<br />
- Coagulation Profile<br />
- Serum Uric acid –may reflect disease sever<strong>it</strong>y<br />
Other tests may be directed towards the identified problem e.g. In HELLP Syndrome evidence<br />
of haemolysis is sought by performing a blood smear which may suggest microangiopathic<br />
haemolytic anaemia (Schistocytes and Burr cells), elevated Lactate Dehydrogenase, evidence<br />
of DIC and increase in Fibrin ‘D-Dimer’. In cases of fetal problems serial growth scans,<br />
amniotic fluid volume, Doppler assessment of fetal vessels and CTG would be useful.<br />
Management - In the absence of unknown aetiology, the defin<strong>it</strong>ive treatment is DELIVE-<br />
RY. When, where and how to deliver depends on: Sever<strong>it</strong>y of hypertension and degree of<br />
multi-organ involvement - i.e. the degree of maternal compromise; Fetal Well-being; Age of<br />
gestation and availabil<strong>it</strong>y of neonatal care and favourabil<strong>it</strong>y of the cervix.<br />
Anti-hypertensives are recommended to prolong pregnancy to achieve fetal matur<strong>it</strong>y or<br />
to control acute severe hypertension. It helps to prevent or reduce complications of hypertension<br />
such as hypertensive encephalopathy, cardiac failure w<strong>it</strong>h pulmonary oedema and hypertensive<br />
renal failure. Medications are indicated in moderate to severe hypertension: SBP<br />
>160 / DBP > 100 or MABG > 125 mmHg.They are not effective in preventing other com-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: a multi system disorder<br />
plications of pre-eclampsia that are caused by endothelial dysfunction.The anti-hypertensives<br />
used to prolong pregnancy are alpha methyl dopa, nifedipine, hydralazine and labetolol.<br />
The control of acute severe hypertension is achieved by intravenous hydralazine 5-10<br />
mg/infusion, Labetolol, Sodium N<strong>it</strong>roprusside and in some s<strong>it</strong>uations w<strong>it</strong>h Sub-lingual<br />
Nifedipine.<br />
Eclampsia and impending eclampsia are managed by attention to ABC, prevention of aspiration<br />
/ injuries, Magnesium Sulphate i.v. or i.m. regime. Recurrent convulsions are managed<br />
by i.v. bolus of Magnesium sulphate. Status Eclampticus is managed by i.v. Diazepam 10 mg /<br />
infusion, Intensive care w<strong>it</strong>h IPPV and early delivery.<br />
DIC is managed by platelet transfusion if platelet count is 50,000 and ideally around 80,000. If fibrinogen
194<br />
16 PRE-ECLAMPSIA<br />
PRE-ECLAMPSIA:<br />
SOLFATO DI MAGNESIO SÌ O NO?<br />
G. Maso, M. Costantini,V. Soini, C. Businelli, R.Tercolo, M. Piccoli, S. Alberico<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia. Ist<strong>it</strong>uto per l’Infanzia “Burlo Garofolo”- I.R.C.C.S.- Trieste<br />
Introduzione<br />
Per eclampsia si intende la comparsa di convulsioni nel corso di una sindrome pre-eclamptica.<br />
Mentre la pre-eclampsia complica circa il 2-8% delle gravidanze 1 , l’eclampsia, fortunatamente,<br />
è un evenienza più rara, presentandosi in circa 1 su 2.000 gravidanze nei paesi occidentali,<br />
ed in 1 su 100 - 1 su 1.700 casi nei paesi in via di sviluppo.<br />
Ogni anno circa mezzo milione di donne muoiono per cause connesse alla gravidanza, e<br />
di queste il 99% riguarda paesi in via di sviluppo: si valuta che la mortal<strong>it</strong>à correlata alla gravidanza<br />
sia 100-200 volte più alta nel Terzo Mondo, rispetto ad Europa e Nord America 2,3 .<br />
Sebbene sia una sindrome rara, l’eclampsia è causa di 50.000 morti materne/anno nel<br />
Mondo 4 .<br />
Agli inizi del XX secolo emersero 2 metodi per trattare la sindrome eclamptica: sedazione<br />
profonda per stabilizzare la donna e impedire lo sviluppo di crisi convulsive subentranti da<br />
una parte e l’espletamento del parto dall’altra.<br />
Uno dei primi farmaci ad essere usati fu il magnesio solfato, il cui utilizzo fu introdotto in<br />
Europa 5 e Stati Un<strong>it</strong>i negli Anni ’20. Attualmente tale composto è il farmaco di scelta negli<br />
Stati Un<strong>it</strong>i 6 e nei paesi anglosassoni, dove viene utilizzato anche nella prevenzione delle convulsioni<br />
in caso di pre-eclampsia severa, mentre altri Paesi preferiscono l’uso di altri anticonvulsivanti,<br />
quali il diazepam e la fen<strong>it</strong>oina.<br />
Parte dello scetticismo che circonda il trattamento delle convulsioni con solfato di magnesio<br />
deriva dal fatto che non sia ancora del tutto chiaro quale sia il meccanismo d’azione.<br />
Fra i meccanismi d’azione proposti, i più accred<strong>it</strong>ati sono riconducibili alla vasodilatazione 7 a<br />
livello della muscolaris arteriolare cerebrale, con conseguente riduzione dell’ischemia cerebrale<br />
e alla funzione di blocco dei recettori cerebrali per NMDA (N-methyl-D-aspartate), i<br />
quali, attivati in risposta all’ipossia, liberano calcio, che risulta essere alla base del danno neuronale<br />
8,9 .<br />
Anche per quanto riguarda l’outcome neonatale in segu<strong>it</strong>o all’esposizione in utero al solfato<br />
di magnesio, in letteratura si sono sussegu<strong>it</strong>e opinioni contrastanti o possibili effetti sui<br />
neonati di peso inferiore ai 1500 g 10-11 : per alcuni ridurrebbe la frequenza di comparsa di paralisi<br />
cerebrale, mentre per altri vi potrebbe essere un aumentato rischio di mortal<strong>it</strong>à asso-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
ciato all’utilizzo di tale farmaco 12 . Tuttavia trial recenti hanno defin<strong>it</strong>ivamente dimostrato un<br />
miglioramento dell’outcome neonatale, seppur di modesta ent<strong>it</strong>à, in questo gruppo di neonati<br />
pretermine.<br />
Al fine di chiarire il ruolo del solfato di magnesio nella profilassi della crisi eclamptica e nel<br />
trattamento anticonvulsivo in tale amb<strong>it</strong>o, negli ultimi anni sono stati condotti studi randomizzati-<br />
controllati 13,14 . I risultati pubblicati nel 2002 sul Br<strong>it</strong>ish Medical Journal 15 affermano la valid<strong>it</strong>à<br />
del magnesio solfato come farmaco di scelta per la prevenzione ed il trattamento dell’eclampsia.<br />
Ma alcuni dubbi rimangono lec<strong>it</strong>i. Consolidato ed ampiamente dimostrato che il MgSO 4 è<br />
il farmaco di prima scelta nel trattamento e profilassi delle convulsioni ricorrenti della sindrome<br />
eclamptica, la domanda che ci si pone è se tale farmaco, non scevro di effetti collaterali,<br />
alcuni dei quali potenzialmente fatali, debba essere utilizzato indiscriminatamente nella profilassi<br />
delle convulsioni in caso di pre-eclampsia lieve o severa, oppure se tale prevenzione sia<br />
da riservare alle popolazioni ad elevata prevalenza di tale patologia.<br />
Ruolo del magnesio solfato nella prevenzione della comparsa dell’eclampsia<br />
La domanda che ci si deve porre riguardo l’utilizzo preventivo del MgSO 4 è se effettivamente<br />
riduce il rischio di eclampsia, considerando inoltre altre variabili di outcome maternoneonatale<br />
sfavorevole correlate alla pre-eclampsia.<br />
Dalla letteratura si evince che sono stati condotti 9 trials che comparano il magnesio solfato<br />
con placebo o altri anticonvulsivanti (fen<strong>it</strong>oina e nimodipina) (Tabella 1, Figure 1, 2) 16 .<br />
I risultati maggiormente significativi dal punto di vista clinico in termini di outcome materno-neonatale<br />
sono stati evidenziati dai trias riguardanti il MgSO 4 versus placebo. Rispetto al<br />
placebo (6 trials) il MgSO 4 riduce di circa il 50% il rischio di comparsa di eclampsia, nonché i<br />
tassi di distacco di placenta.<br />
La frequenza di mortal<strong>it</strong>à materna è ridotta nel gruppo trattato con Magnesio Solfato, anche<br />
se tale es<strong>it</strong>o non appare statisticamente significativo. Un aumento significativo del tasso<br />
di Tagli Cesarei (5%) è stato riscontrato nel gruppo trattato, mentre non sono state riscontrate<br />
differenze significative per quanto concerne le frequenze di emorragia post-partum e<br />
secondamento manuale (cfr. effetto tocol<strong>it</strong>ico del farmaco).<br />
Nessuna differenza significativa è stata riscontrata nelle variabili di mortal<strong>it</strong>à/morbid<strong>it</strong>à neonatale.<br />
Gli effetti collaterali minori (flushing, reazione a livello della sede di iniezione intramuscolare),<br />
presenti nell’25% dei casi , sono stati riscontrati più frequentemente nel gruppo trattato.<br />
La tossic<strong>it</strong>à del farmaco, riguardante soprattutto la variabile depressione respiratoria (1%),<br />
è stata osservata, seppur come evenienza rara, più frequentemente nel gruppo sottoposto a<br />
trattamento (RR 1,98) 17 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
195
196<br />
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE<br />
Anticonvulsivante vs placebo<br />
Magpie Trial 2002<br />
(n= 10.141)<br />
South Africa 1998<br />
(n= 822)<br />
South Africa 1994<br />
(n= 228)<br />
Taiwan 1995<br />
(n= 64)<br />
Memphis, USA 1997<br />
(n= 135)<br />
Tennessee, USA 2000<br />
(n= 222)<br />
Magnesio vs fen<strong>it</strong>olina<br />
Texas, USA 1995<br />
(n= 2138)<br />
175 centri in 33 paesi,<br />
85% delle donne da Paesi<br />
a redd<strong>it</strong>o medio-basso<br />
Buste chiuse opache contenenti<br />
la lettera A o B.<br />
Carte numerate consecutivamente.<br />
Gruppi di 20,<br />
equamente distribu<strong>it</strong>i fra<br />
A e B. Ident<strong>it</strong>à di A e B<br />
cambiata periodicamente.<br />
137 donne escluse (17%)<br />
dopo la randomizzazione<br />
Buste opache sigillate<br />
numerate consecutivamente<br />
Randomizzato<br />
Buste opache numerate<br />
sequenzialmente e sigillate<br />
Trial randomizzato controllato<br />
Buste opache numerate<br />
Incertezza su uso MgSO 4<br />
prima della nasc<strong>it</strong>a o 24h<br />
dopo il parto. P. diastolica ≥<br />
90, p. sistolica ≥140 mmHg in<br />
2 misurazioni a 30-60 min di<br />
distanza, proteinuria≥1+.<br />
Cr<strong>it</strong>eri di esclusione: ipersensibil<strong>it</strong>à<br />
al Mg, coma epatico<br />
con rischio di insuf. renale,<br />
miastenia grave.<br />
Pre-eclampsia severa: ≥ 2 fra<br />
p. diastolica di 110mmHg,<br />
proteinuria, sintomi di imminente<br />
eclampsia; età >16<br />
anni, non precedenti anticonvulsivanti.<br />
P. diastolica di 110 mmHg<br />
per 4-6 ore+ proteine e<br />
parto pianificato. Esclusione<br />
se precedente anticonvulsivante<br />
(eccetto fenobarb<strong>it</strong>al)<br />
Pressione arteriosa di<br />
150/100 mmHg e ≥1 + segni<br />
di pre-eclampsia. Escluse se<br />
morti endouterine o ipertensioni<br />
croniche.<br />
Età gestazionale ≥37 settimane<br />
con recente insorgenza di<br />
pre-eclampsia ( p/a 140/90<br />
mmHg e proteinuria di<br />
300mg in 24h).<br />
Esclusione per pre-eclampsia<br />
severa, presentazione fetale<br />
anomala, anomalie congen<strong>it</strong>e,<br />
CTG non rassicurante.<br />
222 donne con lieve preeclampsia<br />
in travaglio.<br />
Cr<strong>it</strong>eri di esclusione: preeclampsia<br />
severa ed ipertensione<br />
cronica<br />
P/a 140/90 mmHg.<br />
Esclusione: post partum,<br />
parto imminente o epilessia<br />
MgSO 4: 4g IV in bolo, poi<br />
1g/h in infusione o 10 mg IM<br />
segu<strong>it</strong>i da 5g ogni 4 ore.<br />
Terapia per 24h.<br />
2 centri hanno usato 5g IM,<br />
poi 2.5g ogni 4 ore.<br />
Placebo: regime identico.<br />
Dosi dimezzate in caso di<br />
oliguria.<br />
MgSO 4: 4g IV in 200 ml in<br />
20’, poi 1g/h fino a 24h dal<br />
parto.<br />
Controllo: placebo con lo<br />
stesso regime.<br />
Entrambi i gruppi hanno<br />
ricevuto clonazepam all’ingresso.<br />
MgSO 4: 4g IV in 20 min, 10 g<br />
IM, poi 5g IM ogni 4 ore per<br />
24h.<br />
Controllo: alcun anticonvulsivante<br />
MgSO 4: 4g IV in 10 min, poi<br />
1g/h fino a 24h dopo il<br />
parto.<br />
Controllo: alcun anticonvulsivante.<br />
MgSO 4: 6g IV in bolo in 15-<br />
20 minuti, poi infusione di<br />
2g/h, continuata fino a 12h<br />
post partum.<br />
Controllo: fisiologica allo<br />
stesso regime<br />
MgSO 4: 6g IV, poi infusione di<br />
2g/h.<br />
Placebo: regime simile<br />
MgSO 4: 10g IM, poi 5g ogni<br />
4h.<br />
Se severa pre-eclampsia, 4g<br />
i.v.prima della prima dose IM.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 1000 mg IV in 1<br />
ora, 10 ore dopo 500 mg<br />
per os<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
Alabama, USA 1995<br />
(n= 54)<br />
Maryland, USA 1993<br />
(n= 115)<br />
Magnesio vs diazepam<br />
Mexico,1992<br />
(n= 38)<br />
Malaysia,1994<br />
(n= 28)<br />
TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE<br />
Magnesio vs nimodipina<br />
Nimodipine Study Group<br />
2003<br />
(n=1750)<br />
Magnesio vs metildopa<br />
Denmark, 2000<br />
(n= 33)<br />
Tabelle numeriche random<br />
generate dal computer<br />
Buste opache sigillate.<br />
12 esclusioni dopo l’ingresso<br />
nel trial<br />
Buste opache numerate<br />
Buste sigillate<br />
Buste opache sigillate.<br />
Blocchi di 6<br />
Buste chiuse opache, sigillate.<br />
2 esclusioni dal gruppo del<br />
MgSO 4<br />
Tabella I. Trials riguardanti i la terapia anticonvulsivante in donne con pre-eclampsia<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
Gravidanza singola, induzione<br />
per ipertensione indotta<br />
dalla gravidanza, cervice non<br />
favorevole<br />
P/a 140/90 o aumenti della<br />
sistolica di 30mmHg o della<br />
diastolica di 15 mmHg.<br />
Esclusione se precedente<br />
uso di MgSO4 o attacco<br />
convulsivo<br />
>28 settimane, pressione<br />
sistolica di 150 mmHg, diastolica<br />
di 110 mmHg, proteinuria:<br />
almeno un sintomo.<br />
No epilessia.<br />
P. diastolica di 110 mmHg+<br />
proteinuria<br />
Severa pre-eclampsia antepartum<br />
e mai terapia in precedenza.<br />
P/a 140/90 mmHg,<br />
≥1+ proteinuria, ≥1 segno o<br />
sintomo di eclampsia imminente<br />
Nullipare, gravidanza singola e<br />
p/a 140/90 mmHg in 2 misurazioni<br />
in 3 ore.<br />
Esclusione: ipertensione preesistente,<br />
patologia cardiaca o<br />
renale, p/a > 180/120 mmHg<br />
dopo idralaazina.<br />
MgSO 4: 4g IV, poi infusione<br />
2g/h.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 15 mg/Kg in 2 ore,<br />
poi 200 mg IV ogni 8 ore<br />
MgSO 4: 6g IV, poi infusione<br />
di 2g/h per 24 ore.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 1000-1500mg a<br />
seconda del peso. Livelli sierici<br />
per determinare le dosi<br />
successive, per 24 ore.<br />
MgSO 4: 4 g IV in 15 min, poi<br />
1g/h in infusione.<br />
Diazepam: 30 mg in 500 ml<br />
di glucosata al 5% a 60<br />
microgrammi/h<br />
MgSO 4: regime di Pr<strong>it</strong>chards<br />
Diazepam: non specificato<br />
MgSO 4: 6g IV e 2 g/h oppure<br />
4g IV e 1g/h.<br />
Nimodipina: 60 mg ogni 4 ore<br />
per os.<br />
Continuato per 24ore dal<br />
parto<br />
MgCI2: 80 mmol IV in 24<br />
ore, 40 mmol nelle successive<br />
24 ore, poi 15 mmol al<br />
giorno di MgOH2 per os<br />
fino a 3 giorni dopo il parto<br />
Metildopa: 250 mgx/die.<br />
Dopo il parto riduzione a<br />
250 mg/die<br />
197
198<br />
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
Figure 1 e 2. Pre-eclampsia: MgSO 4 vs placebo. Effetto sull’eclampsia e sull’outcome neonatale (mortal<strong>it</strong>à) 25 .<br />
Ruolo del magnesio solfato nel controllo degli attacchi convulsivi<br />
e nella prevenzione della ricorrenza dell’eclampsia<br />
Quando una donna ha un attacco eclamptico il primo problema è come controllare tale<br />
sintomatologia ed il secondo come ev<strong>it</strong>are che si instaurino ulteriori convulsioni.<br />
La terapia che attualmente viene segu<strong>it</strong>a consiste nel somministrare una dose da carico<br />
di anticonvulsivante e poi instaurare una terapia di mantenimento per le 24 ore successive<br />
alla crisi convulsiva o per 24 ore dopo il parto. La scelta del farmaco da utilizzare è sempre<br />
stata controversa, ma, due trials multicentrici randomizzati, il Collaborative Eclampsia Trial (1.687<br />
donne in 27 ospedali di 9 paesi), ed il Magpie Trial (10141 donne in 175 ospedali in 33 paesi),<br />
hanno evidenziato che il magnesio solfato è il farmaco di scelta per controllare e prevenire<br />
le convulsioni eclamptiche.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE<br />
Magnesio vs diazepam<br />
Collaborative Trial 1995<br />
(n= 910)<br />
India, 2001<br />
(n= 100)<br />
Malaysia, 1994<br />
(n= 11)<br />
Zimbabwe, 1990<br />
(n= 51)<br />
Zimbabwe, 1998<br />
(n= 69)<br />
Magnesio vs fen<strong>it</strong>oina<br />
Collaborative Trial, 1995<br />
(n= 777)<br />
India, 1999<br />
(n= 50)<br />
Pacchetti di trattamento<br />
identici, sigillati, numeraticonsecutivamente.<br />
5 donne escluse.<br />
Distribuzione randomizzata<br />
Buste chiuse Eclampsia<br />
Buste chiuse numerate<br />
consecutivamente.<br />
Blocchi di 6; alcuna<br />
stratificazione<br />
Buste chiuse sigillate<br />
Buste numerate consecutivamente.<br />
2 donne perse al follow-up<br />
Buste chiuse. Sequenza<br />
generata dal computer<br />
Eclampsia. 54% delle donne<br />
trattate con MgSO 4 avevano<br />
ricevuto anticonvulsivanti prima<br />
dell’ingresso, come il 50%<br />
di quelle trattate con diazepam.<br />
30% randomizzate dopo<br />
il parto<br />
Eclampsia. 70 primigravide e<br />
79 reclutate dopo il parto<br />
Eclampsia antepartum, ≥28<br />
sett. Feto v<strong>it</strong>ale. 67% avevano<br />
ricevuto diazepam prima dell’ingresso,<br />
71% di quelle trattate<br />
con MgSO 4 e 63% con diazepam<br />
Eclampsia.<br />
40% delle donne avevano già<br />
ricevuto un anticonvulsivante e<br />
il 43% aveva già partor<strong>it</strong>o.<br />
Eclampsia. 76% delle pz trattate<br />
con MgSO 4 avevano ricevuto<br />
anticonvulsivanti prima di<br />
entrare, e 80% di quelle trattate<br />
con fen<strong>it</strong>oina, 19% post partum.<br />
Centri in Sud Africa ed India<br />
Eclampsia. 29 donne avevano<br />
ricevuto un anticonvulsivante<br />
prima dell’ingresso.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
MgSO 4: 4/5 g IV in 5 min. Poi o 10g IM<br />
e 5g ogni 4 ore per 24 ore oppure 1g/h<br />
per 24h. Per attacchi subentranti, 2g IV.<br />
Diazepam: 10 mg IV in bolo, poi 40<br />
mg/500 ml per 24h, 20 mg in 500 ml<br />
nelle successive 24h. Per attacchi subentranti:<br />
10 mg IV<br />
MgSO 4: 4g in 25% MgSO4 in 10 min.5g<br />
IM ogni 4 ore fino a 24 ore dopo il parto,<br />
o per 24 ore se randomizzate nel<br />
post partum.<br />
Diazepam: 10 mg IV in bolo, 40mg/500<br />
ml IV per 24h e 20mg/500ml per ulteriori<br />
24h. Poi 10 mg IM, passate a somministrazione<br />
per os se possibile. Per attacchi<br />
subentranti 10 mg IV<br />
MgSO 4: Pr<strong>it</strong>chard regimen<br />
Diazepam: non specificato<br />
MgSO 4: 4g IV in 3-5 min e 10 g IM. Poi<br />
5 g ogni 4 ore per 24h. Per attacchi subentranti:<br />
2g IV.<br />
Diazepam: 10ng IV in bolo, poi 80 mg in<br />
1 l<strong>it</strong>ro per 24h. 40 mgin 1 l<strong>it</strong>ro nelle<br />
successive 24h. Per attacchi subentranti:<br />
10 mg IV<br />
MgSO 4:<br />
a)4/5g IV in 5 min e 10 g IM, poi 5g IM<br />
ogni 4 ore per 24h.<br />
b) 4/5 g IV in 5 min, poi 1g/h per 24h.<br />
2g IV per attacchi subentranti.<br />
Diazepam: 10mg IV in bolo. Poi infusione<br />
di 40mg/500ml per 24h, 20<br />
mg/500ml nelle successive 24h. 10mg IV<br />
per attacchi subentranti.<br />
MgSO 4: 4/5 g IV in 5 min, poi o 10 g IM<br />
e 5 g ogni 4 ore per 24h oppure 1g/h<br />
per 24h. Per attacchi subentranti: 2g IV.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 1g IV in 20 min, poi 100mg<br />
ogni 6h per 24h. Per attacchi: diazepam<br />
10 mg<br />
MgSO 4: 4G IV e 8g IM, poi 4g IV ogni 4g,<br />
fino a 24h dal parto.<br />
Fentoina: 15mg/Kg inizialmente, poi 5<br />
mg/kg nelle 2 ore successive. 500 mg IV<br />
nelle 12 ore dopo. Poi 250mg IV o per<br />
os ogni 12h per 4 dosi.Tutte le donne:<br />
10mg diazepam IV per attacchi, 5mg di<br />
nifedipina all’ingresso<br />
199
200<br />
South Africa, 1990<br />
(n=22)<br />
South Africa, 1996<br />
(n=24)<br />
Maryland, USA 1993<br />
(n=2)<br />
Memphis, USA 1995<br />
(n=24)<br />
Tabella II. Trials riguardanti il ruolo degli anticonvulsivanti nell’eclampsia<br />
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
TRIAL METODI PARTECIPANTI TERAPIE<br />
Magnesio vs cocktail l<strong>it</strong>ico<br />
India, 1994<br />
(n=91)<br />
India, 1995<br />
(n=108)<br />
Tabella random<br />
Numerazione random<br />
da computer<br />
Buste opache sigillate<br />
Randomizzazione<br />
Buste chiuse sigillate a<br />
pacchetti di 8. Una<br />
donna esclusa<br />
Antepartrum eclampsia<br />
No precedenti anticonvulsivanti<br />
Ecalmpsia<br />
Antepartum eclampsia (103<br />
con pre eclampsia, incluse<br />
nella review della pre<br />
eclampsia)<br />
Eclampsia. 9 donne trattate<br />
con MgSO4 e 5 con fen<strong>it</strong>oina,<br />
avevano ricevuto<br />
MgSO 4 prima di entrare nel<br />
trial.<br />
79% non ha partor<strong>it</strong>o<br />
Eclasmpsia<br />
Randomizzazione Eclampsia<br />
MgSO 4: 4g IV in 20-30 min, poi 1-<br />
2g/h per 24h.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 500-1000mg IV al massimo<br />
a 50mg/min. Poi 500 mg in 4h<br />
e 12h dopo, 500 mg in 4h.<br />
Tutte hanno ricevuto donazepam<br />
all’ingresso<br />
MgSO 4: 4g IV e 10 g IM.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 1g in 200 ml in 15-20<br />
min.<br />
Descr<strong>it</strong>te solo le dosi da carico<br />
MgSO 4: 6g IV in bolo, poi infusione<br />
di 2g/h.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: infusione di 1000mg,<br />
1250mg o 1500mg<br />
MgSO 4: 6g IV in 15 min, poi 2g/h<br />
per ottenere livelli sierici di 4.8-9.6<br />
mg/dl.<br />
Fen<strong>it</strong>oina: 1.0-1.5g IV. Dosi aggiuntive<br />
per raggiungere livelli sierici di<br />
10-230 microgrammi<br />
MgSO 4: 4g IV+ 8g IM, poi ogni 4<br />
ore, fino a 24h dopo il parto. Per<br />
attacchi: 1.5g IV<br />
Cocktail l<strong>it</strong>ico: petidina, prometazina<br />
e clopromazina come descr<strong>it</strong>to<br />
da Menon.<br />
MgSO 4: 4g IV+ 10g IM, poi 5g ogni<br />
4h fino a 24h dal parto.<br />
Cocktail: 100mg di petidina+ 25mg<br />
di clorpromazina IV e 50mg di clopromazina+25<br />
mg di prometazina<br />
IM. 100 mg petidina IV in 24h,<br />
25mg di prometazina ogni 4h +<br />
50 mg di clorpromazina ogni 8 ore<br />
per 48h IM<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
Revisioni sistematiche hanno comparato anche l’uso del magnesio solfato con il diazepam<br />
(7 studi) 19 , la fen<strong>it</strong>oina (6 trials) 20 e un cocktail l<strong>it</strong>ico formato da clorpromazina, prometazina<br />
e petidina (2 studi) 21 . Senza entrare nel dettaglio della metodologia delle reviews, tale valutazione<br />
ha considerato disegni di studio differenti soprattutto riguardo il timing della somministrazione<br />
e il tipo di anticonvulsivante utlizzato (Tabella II).<br />
Per quanto riguarda il confronto con diazepam, 7 trials hanno dimostrato che il magnesio<br />
solfato riduce il rischio di mortal<strong>it</strong>à materna (RR 0.59), e di ricorrenza di episodi convulsivi:<br />
in defin<strong>it</strong>iva per 7 donne trattate con MgSO 4 rispetto al Diazepam, vi è la prevenzione di crisi<br />
convulsive in 1 caso. Per quanto riguarda l’outcome neonatale, l’utilizzo del magnesio solfato<br />
è associato ad una riduzione del rischio di Apgar score
202<br />
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
pione poco omogeneo, una scarsa definizione delle caratteristiche cliniche al momento della<br />
randomizzazione, l’evidenza che circa il 50% delle pazienti abbia ricevuto anti-ipertensivi o altri<br />
anticonvulsivanti prima della randomizzazione, potrebbero essere potenziali bias nell’es<strong>it</strong>o<br />
dei risultati.<br />
Anche se emerge una significativa riduzione del tasso di eclampsia nelle donne trattate<br />
con MgSO4, tale beneficio è identificabile soprattutto nei paesi in via di sviluppo, mentre tale<br />
evidenza non è valida per i paesi occidentali.<br />
I trials più significativi inoltre hanno utilizzato differenti dosi d’attacco (4 - 6 gr) e di mantenimento<br />
(1-2 gr/h per 24 ore). Inoltre nel disegno di studio sono stati inclusi i casi in cui alla<br />
dose d’attacco i.v. è segu<strong>it</strong>a la dose di mantenimento intramuscolo.<br />
Secondo Sibai18 inoltre, gli effetti della profilassi con MgSO4 in caso di pre-eclampsia severa<br />
sulla mortal<strong>it</strong>à-morbid<strong>it</strong>à materna non sono evidenti, essendoci solo una significativa riduzione<br />
dei distacchi di placenta, senza rilevare una riduzione dell’incidenza di mortal<strong>it</strong>à perinatale,<br />
ma con un aumento dei tassi di depressione respiratoria. Se utilizzato su larga scala, l’ effetto<br />
tossico del farmaco potrebbe rappresentare, soprattutto nelle strutture prive di adeguato<br />
training, l’effetto paradosso secondo il quale il beneficio è inferiore al rischio dell’assunzione<br />
del farmaco.<br />
La sever<strong>it</strong>à e la prevalenza della patologia (pre-eclampsia severa) risultano fondamentali<br />
nel processo decisionale se utilizzare il farmaco nella prevenzione: è stato calcolato che sarebbe<br />
necessario trattare (number needed to treat - NNT) 71 donne per prevenire 1 caso di<br />
eclampsia, mentre solo 36 in caso di eclampsia imminente.<br />
Nei paesi occidentali il numero di donne da trattare necessario per prevenire 1 caso di<br />
eclampsia sarebbe di 385. Tali dati inducono a concludere che l’uso di questo farmaco dovrebbe<br />
essere riservato alla profilassi dell’eclampsia solo nelle donne con uno stato pre-eclamptico<br />
severo o con eclampsia imminente e nei paesi ad elevata prevalenza del fenomeno.<br />
È indubbio che il Magnesio Solfato sia il farmaco di prima scelta nel trattamento delle convulsioni<br />
e nella profilassi delle crisi ricorrenti, tuttavia alcuni punti sono da chiarire ed in particolare:<br />
1. Qual è la minima dose efficace<br />
2. Quali sono il timing e le condizioni ottimali per iniziare il trattamento<br />
3. L’utilizzo nella prevenzione è “cost-effective”?<br />
4. Quali sono le conseguenze materne-neonatali a lungo termine che derivano dall’assunzione.<br />
Ulteriori studi sono necessari per definire queste problematiche. Nell’attesa che altri anticonvulsivanti<br />
vengano proposti e confrontati con il MgSO 4 in trials su ampia scala, appare<br />
comunque fondamentale definire linee guida dipartimentali per il management della preeclampsia<br />
severa ed eclampsia, per far sì di ridurre il rischio e/o prevenire le complicanze di<br />
questi quadri clinici talora fatali.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
APPENDICE<br />
Per quanto riguarda il management della pre-eclampsia/eclampsia, basata sul livello di evidenza,<br />
ci sembra utile, in questa sede, esporre il protocollo anglosassone redatto nel 2002 dal<br />
“North-West Pre-eclampsia Care Group”, che sarà aggiornato nel novembre del 2005 23 , integrato<br />
alle linee guida del Royal College Of Obstetricians and Gyencologists, rivis<strong>it</strong>ate nel luglio<br />
del 2005 24 .<br />
Risulta essere fondamentale, per una corretta gestione del caso, operare una stratificazione<br />
di grav<strong>it</strong>à clinica:<br />
1. Eclampsia<br />
2. Pre-Eclampsia<br />
a. Ipertensione severa: pressione sistolica > 170 mmHg o diastolica > 110 mmHg (pressione<br />
arteriosa media di 120-130 mmHg), con proteinuria + o di 1g su un test semiquant<strong>it</strong>ativo.<br />
b. Ipertensione moderata: pressione sistolica > 140 mmHg o diastolica > 90mmHg (pressione<br />
arteriosa media >110 mmHg) con proteinuria ++ o di 3g su un test semiquant<strong>it</strong>ativo<br />
e almeno la presenza di uno o più dei seguenti segni:<br />
- Cefalea severa, con alterazioni visive<br />
- Dolore epigastrico<br />
- Clonus<br />
- Papilledema<br />
- Dolore in regione epatica<br />
- Conta piastrinica < 100x109/l<br />
- ALT> 50 IU/l<br />
L’approccio multidisciplinare è fondamentale: l’ostetrico e l’anestesista più esperti dovrebbero<br />
stilare le linee guida gestionali del caso affetto da pre-eclampsia severa /eclampsia. (Good<br />
Practice Point)<br />
Quali sono le indagini di base?<br />
a. Emocromo<br />
b. Prove emogeniche<br />
c. Emogruppo /Rh<br />
d. Elettrol<strong>it</strong>i ed esami della funzional<strong>it</strong>à epatica<br />
Tutti questi test devono essere richiesti quotidianamente o più frequentemente se la s<strong>it</strong>uazione<br />
lo richiede. (livello C).<br />
Quale mon<strong>it</strong>oraggio?<br />
a. Il trend pressorio può essere valutato con il Dinamap (livello B), ma i valori pressori di riferimento<br />
devono essere valutati con lo sfigmomanometro, individuando nel V tono di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
203
204<br />
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
KarotKov il valore diastolico (livello A). La rilevazione deve avvenire almeno ogni 15 minuti<br />
fino a che la s<strong>it</strong>uazione non si sia stabilizzata, ed in segu<strong>it</strong>o ogni 30 minuti.<br />
b. Deve essere inser<strong>it</strong>o un catetere urinario e la diuresi deve essere mon<strong>it</strong>orata ogni ora durante<br />
l’infusione di liquidi, analizzando con attenzione il bilancio idrico (Good Practice Point).<br />
c. La saturazione arteriosa di ossigeno va misurata continuativamente: se scende sotto il 95%<br />
il quadro clinico deve essere rivalutato.<br />
d. La frequenza respiratoria deve essere valutata ogni ora.<br />
e. La temperatura va mon<strong>it</strong>orata ogni 4 ore.<br />
f. Valutare la pressione venosa centrale.<br />
g. Il benessere fetale può essere tenuto sotto stretto controllo tram<strong>it</strong>e la cardiotocografia,<br />
anche se la biometria, con doppler dell’ombelicale e valutazione del liquido amniotico danno<br />
una miglior valutazione di tale stato (livello B).<br />
h. In caso di immobil<strong>it</strong>à deve essere considerata l’elastocompressione degli arti inferiori e/o<br />
la terapia eparinica per la profilassi della TVP/EP.<br />
Antepartum/intrapartum management<br />
Controllo pressorio: lo scopo è di ridurre e mantenere la pressione a valori ≤160/110 mmHg;<br />
i trattamenti utilizzabili sono (livello C):<br />
- Prima scelta: Nifedipina per os (10 mg) o labetalolo (livello A).<br />
Se tollerata, una dose iniziale di labetalolo per os di 200 mg potrebbe essere utilizzata.Tale<br />
presidio dovrebbe ridurre la pressione arteriosa entro 30 minuti. Una seconda<br />
dose orale può essere somministrata se necessario. Se la somministrazione orale non<br />
ottiene risultati o se non è tollerata, deve essere sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a con boli ev segu<strong>it</strong>i da infusione<br />
di labetalolo. Il bolo è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da 50 mg (10 ml di soluzione fisiologica contenenti<br />
5 mg/ml di labetalolo) somministrati in 5 minuti; l’effetto si ottiene in 10 minuti;<br />
se la diastolica non dovesse scendere sotto i 160/105 mmHg, l’operazione può essere<br />
ripetuta con 10 minuti di intervallo fino ad una dose complessiva di 200 mg.<br />
Dopo ciò, può essere iniziata un’infusione con labetalolo: 5 mg/ml con tasso d’infusione<br />
pari a 4 ml/h (20 mg/h): la veloc<strong>it</strong>à di infusione può essere raddoppiata ogni mezz’ora<br />
fino ad arrivare a 32 ml/h (160 mg/h).<br />
Controindicazioni: asma severo, donne con patologie cardiache preesistenti.<br />
- Seconda scelta: idralazina (non commercializzato in Italia). Infusione di 10-20 mg in 10-<br />
20 minuti, mon<strong>it</strong>orando la pressione arteriosa ogni 5 minuti; successivamente si può<br />
attuare un’infusione di 40 mg di idralazina in 40 ml di fisiologica, infondendo 1-5 ml/h<br />
(1-5 mg/h).<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
Somministrazione di liquidi: bisogna ev<strong>it</strong>are il sovraccarico idrico; lim<strong>it</strong>are le entrate a 80 ml/h<br />
o 1 ml/Kg/h di cristalloidi. Usare oss<strong>it</strong>ocina a dosi concentrate (30I U in 500 ml). In caso d’oliguria<br />
espletare al più presto il parto (livello C).<br />
Espletamento del parto<br />
Il parto deve essere attentamente programmato. Il timing è fondamentale per l’outcome<br />
materno e fetale. Se la madre è instabile, l’espletamento del parto è rischioso: bisogna innanz<strong>it</strong>utto<br />
stabilizzare la s<strong>it</strong>uazione, con antiipertensivi e anticonvulsivanti, se necessario. Se le convulsioni<br />
sono assenti e la s<strong>it</strong>uazione è stabile, è possibile un management d’attesa nella prospettiva<br />
di migliorare l’outcome della gravidanza pretermine, mantenendo comunque uno<br />
stretto mon<strong>it</strong>oraggio materno fetale. Se la gravidanza può essere protratta per oltre 48h è<br />
utile la profilassi corticosteroidea (Betametasone 12 mg x 2) della RDS neonatale e comunque<br />
tale strategia va iniziata anche se il parto dovesse avvenire entro 24h (livello A).<br />
Non è necessario l’espletamento del parto attraverso un taglio cesareo: se l’epoca gestazionale<br />
è inferiore a 32 settimane esso è preferibile, ma oltre le 34 settimane può essere considerato<br />
anche il parto per via vaginale, con travaglio indotto da prostaglandine o spontaneo,<br />
ponendo attenzione ad ev<strong>it</strong>are un prolungamento della seconda fase del travaglio (15-30 min),<br />
utilizzando, quando necessario, tecniche operative (livello C). Nella terza fase del travaglio, nella<br />
profilassi dell’emorragia post-partum sono da proscrivere l’utilizzo degli ergometrinici ed è<br />
da utlizzarsi il Syntocinon 5 U i.v. (Good Practice Point).<br />
L’analgesia epidurale in queste pazienti non presenta controindicazioni (cfr conta piastrinica),<br />
mentre l’anestesia generale può condurre ad aumenti della pressione e della frequenza<br />
cardiaca, e per questo deve essere ev<strong>it</strong>ata, quando possibile.<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio della pressione venosa centrale può essere indicato, qualora vi sia il sospetto<br />
di edema polmonare o in caso di emorragia ante/post partum o in caso di taglio cesareo.<br />
Terapia anticovulsivante, management dell’eclampsia<br />
È appropriato profilassare pazienti con pre-eclampsia severa con magnesio solfato (livello A).<br />
a. Contattare il personale specializzato<br />
b. Dose da carico di solfato di magnesio: 4 g iv in 5-10 min e iniziare terapia infusionale di<br />
mantenimento (1-1,5 gr/h per le successive 24 h).<br />
c. L’infusione di magnesio può essere incrementata a 1.5 g/h o utilizzo di Tiopentone o<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
205
206<br />
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
Diazepam (5-10 mg iv) possono essere considerati se gli attacchi non recedono. In tali casi<br />
sono da considerare altre possibili cause di crisi convulsiva: è opportuno eseguire una<br />
TAC una volta raggiunta la stabilizzazione.<br />
d. Una volta stabilizzata, la donna può espletare il parto.<br />
e. Valutare la saturazione d’ossigeno.<br />
Figura 3. Effetto degli anticonvulsivanti nella prevenzione delle crisi ricorrenti 25<br />
Protocollo per il magnesio solfato<br />
- Dose da carico, segu<strong>it</strong>a da terapia infusionale per 24h dall’ultima crisi convulsiva o per 24h<br />
dopo il parto<br />
- Loading dose: 4 g iv in 5-10 min<br />
- Dose di mantenimento: 1 g/h<br />
- Attenta osservazione del paziente ed ogni ora eseguire: ossimetria, ECG, bilancio idrico,<br />
frequenza respiratoria, valutazione riflessi tendinei (ogni 4 ore)<br />
- Effetti collaterali (rarissimi con i dosaggi sovraesposti): paralisi motoria, ipo/areflessia (assenza<br />
del rilflesso del bicip<strong>it</strong>e), depressione respiratoria (FR
Pre-eclampsia: solfato di magnesio: sì o no<br />
Management dei liquidi nel postpartum<br />
Dopo il parto la diuresi dovrebbe riprendere normalmente e ciò nella maggior parte dei<br />
casi entro 36-48h. Bisogna somministrare cristalloidi con una veloc<strong>it</strong>à di 80 ml/h.<br />
La diuresi deve essere mon<strong>it</strong>orata ogni ora e sommata e riportata in cartella ogni 4 ore.<br />
Se la diuresi è inferiore a 80 ml in due periodi di 4h considera:<br />
Se le entrate sono superiori alle usc<strong>it</strong>e per più di 750 ml nelle ultime 24h, somministrare<br />
20 mg iv di furosemide. In segu<strong>it</strong>o somministrare colloidi se si verifica una diuresi >200 ml<br />
nell’ora successiva<br />
oppure<br />
- Se le entrate eccedono le usc<strong>it</strong>e per meno di 750 ml nelle ultime 24h, somministrare 250<br />
ml di colloidi, in 20 minuti. La diuresi va poi mon<strong>it</strong>orata per le successive 4 ore, e se l’output<br />
fosse ancora ridotto, è da considerare la somministrazione di 20 mg iv di furosemide.<br />
Se nell’ora successiva si ottiene una diuresi >200 ml, aggiungere 250 ml di gelofusine in<br />
1h alla terapia reidratante.<br />
- Se la diuresi non dovesse rispondere alla furosemide, consultare il nefrologo.<br />
Esempio di preparazione del MgSO 4<br />
Loading dose: 4g i.v. in 5-10 minuti<br />
Riempire 6 siringhe da 50 mL ognuna delle quali con 8 mL di MgSO 4 al 50% (4g) e 22<br />
mL di destrosio al 5% per un totale di 30 mL. Somministrare la dose in pompa-siringa in 10’<br />
con un tasso di infusione di 180 mL/h<br />
Dose di mantenimento: 4 g i.v. in 4h (1g/h)<br />
Riempire 6 siringhe da 50 mL ognuna delle quali con 8 mL di MgSO 4 al 50% (4g). Portare<br />
il totale a 50 mL con destrosio al 5%. Siglare la siringa con il valore del contenuto (4g)<br />
Somministrare la dose in pompa siringa con tasso di infusione 1g/h pari a 12,5 mL /h. Ricordare<br />
che il composto è stabile per 24h.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
PRE-ECLAMPSIA<br />
RUOLO DELLA PLASMAFERESI<br />
NELLA TOSSIEMIA<br />
GRAVIDICA SEVERA<br />
E.Vincenti<br />
U.O. di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica, ULSS 13 del Veneto, Dolo,Venezia<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
17<br />
Il plasma exchange, più comunemente denominato plasmaferesi, anche se impropriamente,<br />
venne impiegato nella pre-eclampsia tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80. In realtà<br />
non si trattava di casi caratterizzati da sola pre-eclampsia, ma da pre-eclamspia severa associata<br />
ad almeno un’altra patologia grave, come insufficienza renale (d’Apice et al, 1980), porpora<br />
trombotica tromboc<strong>it</strong>openica, emolisi e tromboc<strong>it</strong>openia, sindrome uremica emol<strong>it</strong>ica<br />
postpartum e/o malattie autoimmuni. Il trattamento aferetico veniva inizialmente effettuato<br />
solo in corso di gravidanza fino al raggiungimento di una sufficiente matur<strong>it</strong>à polmonare fetale,<br />
allo scopo, quindi, di offrire un’alternativa all’interruzione di gravidanza.<br />
In segu<strong>it</strong>o il plasma-exchange, soprattutto per mer<strong>it</strong>o di Martin et al e di Schwartz e<br />
Brenner, ma anche di Vincenti et al, è entrato nei protocolli di trattamento della pre-eclampsia<br />
severa come condizione morbosa a sé stante, indipendentemente dall’associazione con<br />
altra patologia concom<strong>it</strong>ante; inoltre il plasma exchange è stato sempre più impiegato nel<br />
post-partum per accelerare la rest<strong>it</strong>utio ad integrum della puerpera.<br />
La pre-eclampsia, nelle sue manifestazioni più severe, assume i connotati di una multi organ<br />
failure (MOF) sui generis. Nella sua classica accezione, la MOF può essere defin<strong>it</strong>a come<br />
il risultato di un processo infiammatorio, eccessivo e generalizzato, di tutto l’organismo e considerata<br />
come l’epifenomeno conseguente ad un deb<strong>it</strong>o tessutale di ossigeno accumulato e<br />
mai pagato, o pagato solo in parte o troppo tardivamente. Di norma, trauma, infezione, sepsi<br />
e insufficienza d’organo sono fenomeni dinamici che intervengono in una drammatica sequenza<br />
defin<strong>it</strong>a da Bihari “sindrome del pendio scivoloso” (slippery slope syndrome), alla cui<br />
estrem<strong>it</strong>à si assiste ai deleteri effetti di una flogosi generalizzata a carico di un organismo che<br />
ha dato fondo a tutte le riserve funzionali disponibili. Dunque la MOF può essere vista come<br />
l’ultima e più impegnativa tappa di un percorso che prende l’avvio dalla sindrome determinata<br />
dalla risposta all’infiammazione sistemica (systemic inflammatory response syndrome o<br />
SIRS) e progredisce nella sindrome da disfunzione multi-organo (multiple organi dysfunction syndrome<br />
o MODS) prima del defin<strong>it</strong>ivo arrivo all’insufficienza multi-organo vera e propria (MOF).<br />
La SIRS e la MODS sono oggi considerate l’espressione di una risposta infiammatoria inappropriata<br />
e generalizzata a stimoli infiammatori particolarmente intensi per grav<strong>it</strong>à e durata,<br />
209
210<br />
Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa<br />
di natura batterica e non batterica. Le reazioni infiammatorie conseguenti ad endotossiemia<br />
possono sopraffare i sistemi difensivi d’organo: la risultante disfunzione renale o epatica deprime<br />
l’escrezione dell’endotossina e delle c<strong>it</strong>ochine e potenzia le modificazioni infiammatorie.<br />
In queste circostanze la plasmaferesi può essere efficace nel migliorare le condizioni cliniche<br />
del paziente, rimuovendo l’endotossina ed i mediatori dell’infiammazione. È stato dimostrato<br />
che la plasmaferesi migliora l’encefalopatia dovuta ad insufficienza epatocellulare acuta,<br />
probabilmente per la rimozione di sostanze tossiche come l’ammoniaca, falsi neurotrasmett<strong>it</strong>ori<br />
ed aminoacidi aromatici in eccesso. La rimozione delle tossine e la normalizzazione degli<br />
aminoacidi plasmatici possono risultare benefiche in pazienti setticemici in condizioni cr<strong>it</strong>iche,<br />
anche e soprattutto per il recupero della funzione renale. Infatti l’impiego della plasmaferesi<br />
in soggetti settici in cui si era sviluppata una MOF, ha consent<strong>it</strong>o di osservare spesso<br />
miglioramenti drammatici nei parametri cardiorespiratori, neurologici, emocoagulativi, renali<br />
ed epatici.<br />
Ora, la MOF che può complicare alcuni casi di gestosi severa rappresenta davvero un’evenienza<br />
del tutto particolare, in quanto al drammatico e rapido peggioramento della funzional<strong>it</strong>à<br />
di vari organi si accompagna una concreta possibil<strong>it</strong>à di rest<strong>it</strong>utio ad integrum completa<br />
a breve-medio termine, a condizione che la rimozione dei molteplici fattori tossici extra-batterici<br />
sia effettuata precocemente e senza indecisioni. Infatti, nell’insufficienza multi-organo di<br />
talune pazienti con pre-eclampsia severa, risultata refrattaria al convenzionale trattamento farmacologico,<br />
l’impiego della plasmaferesi, attuata sub<strong>it</strong>o dopo il taglio cesareo, ha permesso di<br />
ottenere brillanti risultati, compendiabili in facil<strong>it</strong>ato controllo dell’ipertensione, miglioramento<br />
qual<strong>it</strong>ativo e quant<strong>it</strong>ativo della diuresi, aumento delle piastrine. L’emodialisi e l’emofiltrazione,<br />
da sole, non sono altrettanto efficaci, né nella gestosi, né, del resto, nella setticemia.<br />
Il plasma-exchange nella MOF da pre-eclampsia severa<br />
La procedura defin<strong>it</strong>a con il termine “plasma-exchange” consiste nel prelievo di una certa<br />
quant<strong>it</strong>à di sangue, con reinfusione della parte corpuscolata e di una parte uguale di plasma<br />
omologo e/o albumina in sost<strong>it</strong>uzione della quota plasmatica rimossa. Fu praticata per la<br />
prima volta nel 1914 come modificazione dell’antichissimo salasso e fu chiamata plasmaferesi,<br />
in quanto il plasma veniva completamente rimosso e solo la parte corpuscolata rest<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a.<br />
Oggi il plasma viene sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o ed è perciò più corretto parlare di “plasma-exchange”. Per comod<strong>it</strong>à<br />
d’uso e per tradizione, però, di norma si parla di plasmaferesi anche nel caso di plasma-exchange.<br />
L’impiego del plasma-exchange è razionale in s<strong>it</strong>uazioni patologiche caratterizzate dalla presenza<br />
di fattori tossici circolanti, proteine anomale, immunocomplessi, alterata viscos<strong>it</strong>à ematica,<br />
discoagulopatie. I fluidi infusi in sost<strong>it</strong>uzione del plasma devono poter ripristinare la vole-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa<br />
mia e la pressione oncotica. Con il plasma, tuttavia, vengono rimossi anche tutti gli altri elementi<br />
che esso contiene, come proteine, fattori della coagulazione, immunoglobuline. Il liquido<br />
di reinfusione ideale è perciò il plasma fresco congelato omologo, mentre le soluzioni di<br />
albumina soddisfano soltanto in parte queste richieste. Sono ciononostante usate insieme al<br />
plasma per la maggiore facil<strong>it</strong>à con cui sono reperibili e conservabili, e per l’assenza di rischi<br />
infettivi.<br />
Nell’ipertensione gestosica sono coinvolti vari meccanismi: aumentate risposte riflesse a<br />
stimoli ipertensivi, aumentata sensibil<strong>it</strong>à a sostanze vasopressorie, riduzione di oppioidi midollari,<br />
diminu<strong>it</strong>a filtrazione glomerulare e produzione da parte della placenta di sostanze ipertensive.<br />
Infatti nelle pazienti pre-eclamptiche esiste una produzione autogena di sostanze ad<br />
azione vasocostr<strong>it</strong>trice, come è stato a suo tempo dimostrato da Tatum e Mulè mediante autotrasfusione<br />
di sangue prelevato a pazienti gestosiche prima del parto e reinfuso nel puerperio<br />
dopo normalizzazione spontanea della s<strong>it</strong>uazione pressoria. In tali pazienti si osservò, a<br />
segu<strong>it</strong>o della reinfusione del proprio sangue, un trans<strong>it</strong>orio ma significativo aumento della pressione<br />
arteriosa, sia sistolica che diastolica. Al contrario, un gruppo corrispondente di pazienti<br />
gestosiche che aveva ricevuto nel puerperio sangue proveniente da donatori sani non manifestò<br />
alcuna significativa modificazione della pressione arteriosa. Inoltre, sperimentalmente, già<br />
Hunter e Howard avevano del resto inequivocabilmente dimostrato che la somministrazione<br />
ev al gatto nefrectomizzato e anestetizzato di piccole aliquote di plasma boll<strong>it</strong>o, proveniente<br />
dal sangue dell’arteria radiale di pazienti pre-eclamptiche, sortiva spiccati effetti vasocostr<strong>it</strong>tivi.<br />
Vi sono dunque prove sperimentali e cliniche a sostegno della presenza di sostanze ipertensive<br />
seriche in corso di gestosi: sono queste sostanze che la plasmaferesi può allontanare.<br />
In realtà la plasmaferesi non elimina solo sostanze ipertensive, ma anche fattori che alterano<br />
la coagulazione e compromettono la funzional<strong>it</strong>à renale. Se si considera la pre-eclampsia come<br />
una vera e propria tossiemia, non v’è nulla di più razionale, per il suo trattamento, che la<br />
rimozione “fisica” di questi fattori tossici, che sono alla base dell’insufficienza acuta multi-organo.<br />
Se è ben vero che la cessazione della gravidanza rappresenta la cond<strong>it</strong>io sine qua non<br />
per il recupero dello stato di salute quo ante, è altrettanto dimostrato che nei casi particolarmente<br />
severi non si può attendere che l’organismo della puerpera elimini spontaneamente<br />
in tempi ragionevoli alte concentrazioni di sostanze tossiche. Infatti gli ipotetici meccanismi<br />
d’azione correlati all’uso del plasma-exchange coinvolgono tanto la clearance degli immunocomplessi<br />
quanto quella di sostanze di produzione trofoblastica e di tossine endogene di natura<br />
sconosciuta.<br />
Sembra dunque lec<strong>it</strong>o affermare che il plasma-exchange rappresenta la terapia più appropriata<br />
in rapporto allo stato di intossicazione endogena, defin<strong>it</strong>o in modo assai proprio dal<br />
termine di “tossiemia gravidica”. Questa definizione, un po’ caduta in disuso, connota invece<br />
in modo fisiopatologicamente più corretto la sindrome defin<strong>it</strong>a “pre-eclamptica”, la quale let-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
211
212<br />
Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa<br />
teralmente si rapporta ad una condizione clinica potenzialmente a rischio di eclampsia vera<br />
e propria, ma che non fa riferimento ad aspetti patogenetici.<br />
La pratica della plasmaferesi<br />
Dal punto di vista pratico, una seduta standard di plasma-exchange comporta l’allontanamento<br />
di circa il 50% della quota plasmatica e, quindi, corrispondentemente, di una pari percentuale<br />
di fattori tossici ivi presenti. Supponendo che non vi sia ulteriore produzione ex novo<br />
di tossici endogeni, come probabilmente avviene mano a mano che passano le ore e i giorni<br />
dal parto, dopo ogni seduta di plasma exchange se ne dimezza la quant<strong>it</strong>à, ragion per cui,<br />
ad esempio, dopo la seconda seduta l’eliminazione dovrebbe riguardare una quota pari al 75%<br />
della quant<strong>it</strong>à iniziale di fattori tossici e dopo la terza una quota pari in tutto all’87.5%. Nei<br />
casi più fortunati è sufficiente attuare un’unica seduta di plasma-exchange, ma nei casi più refrattari,<br />
che potrebbero corrispondere a quelli con più elevate concentrazioni iniziali di sostanze<br />
tossiche, possono essere necessarie anche 6 o più sedute prima di conseguire tangibili<br />
effetti terapeutici. A fronte degli indubbi vantaggi che, a par<strong>it</strong>à di condizioni, consentono<br />
di ridurre drasticamente i tempi della rest<strong>it</strong>utio ad integrum, sussistono inev<strong>it</strong>abilmente taluni<br />
svantaggi o lim<strong>it</strong>i:<br />
- Costi elevati<br />
- Disponibil<strong>it</strong>à dell’attrezzatura<br />
- Necess<strong>it</strong>à di adeguate quant<strong>it</strong>à di albumina e plasma<br />
- Presenza di staff medico e infermieristico preparato<br />
- Esperienza nell’applicazione della metodica in corso di gestosi severa<br />
- Assunzione di responsabil<strong>it</strong>à da parte di chi deve decidere e superamento dei contrasti<br />
interpersonali<br />
Uno dei momenti cr<strong>it</strong>ici in tema plasmaferesi nella pre-elampsia severa rimane la decisione<br />
di ricorrervi e il timing.<br />
Non ci sono purtroppo consensi consolidati a tal propos<strong>it</strong>o. Per questo vale soprattutto<br />
il giudizio di chi ha più esperienza nel trattamento di questi casi ed è perciò in grado di ponderare<br />
benefici, rischi e costi. Posso solo concludere affermando che dopo circa 25 anni di<br />
esperienza di plasmaferesi nel trattamento di casi di pazienti affette da tossiemia gravidica severa,<br />
resistente al convenzionale trattamento e palesante una tendenza al rapido deterioramento<br />
delle condizioni generali, non ho mai dovuto pentirmi di avere insist<strong>it</strong>o per l’attuazione<br />
di una o più sedute di plasma-exchange. Anzi, il rapido e sensibile controllo dell’ipertensione<br />
arteriosa, il ripristino della diuresi, l’aumento delle piastrine e soprattutto il miglioramento<br />
del quadro clinico con il recupero di una soddisfacente cenestesi, hanno sempre avallato<br />
la bontà della metodica aferetica.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa<br />
Letture consigliate<br />
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15. Martin JN Jr, Files JC, Blake PG, Perry KG Jr, Morrison JC, Norman PH. Postpartum plasma exchange for atypical preeclampsia-eclampsia<br />
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19. Schwartz ML, Brenner W. Severe preeclampsia w<strong>it</strong>h persistent postpartum hemolysis and thrombocytopenia treated by<br />
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22.Vincenti E,Tambuscio B. Epidural narcotics and control of arterial pressure in a pre-eclamptic patient. Can Anaesth Soc<br />
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23.Vincenti E, Grella PV, Giron GP. New therapy of the pregnancy-induced hypertension. Atti XXXV Congresso SIAARTI,<br />
vol I, E.Vincenti & Giron GP eds, Cleup Ed, Padova, 1983a, p212<br />
24.Vincenti E, Marchesoni D, Grella PV. Nuova terapia delle crisi ipertensive nella gestosi. In: Medicina Fetale, a cura di PV<br />
Grella; L.Carenza, F.Polvani, B.A. Salvadori eds, Monduzzi Ed., Bologna,1983b, pp 401-410<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
213
214<br />
Ruolo della plasmaferesi nella tossiemia gravidica severa<br />
25.Vincenti E, Giacomello M, Cameran M,Volpin SM. EPH-estosi : aspetti anestesiologici e rianimativi. In: Aggiornamenti in<br />
Anestesia 1990, E Vincenti & GP Giron eds, SGE, Padova, 1991, pp 127-164<br />
26. Vincenti E. MOF. In: Protezione d’organo in Terapia Intensiva. I corticosteroidi e le prostaglandine, Cap 10, Momento<br />
Medico, Salerno, 2001, pp 167-179<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
PRE-ECLAMPSIA<br />
IMPIEGO DELLA PROSTACICLINA<br />
NELLA TERAPIA<br />
DELLA PRE-ECLAMPSIA SEVERA<br />
S. Alberico, M. Piccoli,V. Soini, M. Zanette, GP. Maso, E.Vincenti*<br />
Centro di Riferimento Regione Friuli Venezia Giulia per l’HIV e per la Gravidanza ad Alto Rischio<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo, Univers<strong>it</strong>à di Trieste<br />
* Anestesia Rianimazione, Ospedale di Dolo<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
18<br />
La pre-eclampsia è una sindrome, caratterizzata da un aumento della pressione arteriosa,<br />
con associazione di proteinuria, che complica il 3-5% di tutte le gravidanze, determinando alti<br />
tassi di mortal<strong>it</strong>à materna e feto-neonatale 1-3 . La mortal<strong>it</strong>à materna è strettamente correlata<br />
al grado di sever<strong>it</strong>à della sindrome stessa e trova come principale causa l’emorragia cerebrale<br />
4 . I cr<strong>it</strong>eri di definizione più utilizzati sono quelli proposti dall’American College of<br />
Obstetricians and Gynaecologists, che comportano una pressione sistolica >160 mmHg ed una<br />
diastolica >100 mmHg, con una proteinuria superiore a 5g/24 ore ed una riduzione della concentrazione<br />
piastrinica
216<br />
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
La pre-eclampsia è una sindrome che riguarda due pazienti: la madre e il feto ed essendo<br />
il parto il vero trattamento radicale, spesso esso è effettuato per via addominale, per preservare<br />
la salute materna, entro e non oltre le 48 ore dalla comparsa della sintomatologia preeclamptica<br />
(periodo necessario per attuare la profilassi corticosteroidea).<br />
Tale interventismo per epoche inferiori alla 30 a settimana non sempre è vantaggioso per<br />
l’outcome neonatale, che com’è noto è correlato più con l’epoca gestazionale che non con<br />
il grado di sever<strong>it</strong>à della pre-eclampsia 11 .<br />
È quindi ancora oggi dibattuto se sia più opportuno giungere ad un espletamento del parto<br />
in tempi brevi nell’interesse della madre o attuare un management conservativo, finalizzato<br />
a raggiungere un’epoca gestazionale più avanzata e di maggiore matur<strong>it</strong>à del feto, con<br />
l’espletamento dello stesso per via vaginale, secondario ad un’induzione del travaglio.<br />
Nell’ipotesi conservativa non è del tutto chiaro inoltre quale sia il miglior approccio terapeutico.<br />
In mer<strong>it</strong>o, un lavoro di BM Sibai del 1990, indicava che attuando un management di attesa<br />
rispetto ad un atteggiamento aggressivo con un parto immediato in caso di pre-eclampsia<br />
severa si otteneva un miglioramento dell’outcome neonatale, per il prolungamento di circa<br />
due settimane della gestazione, un minor costo di gestione neonatale, per minor numero di<br />
giorni in ICU ed alcun peggioramento dell’outcome materno 11a .<br />
Non va poi dimenticato che la diagnosi di pre-eclampsia è in alcuni paesi, come gli U.S.A.,<br />
condizione patologica sufficiente per indurre un parto pretermine e tale atteggiamento è in<br />
grado di condizionare non solo gli ostetrici nella loro pratica, ma anche eventuali giudizi legali<br />
nel caso di insorgenza di controversie per es<strong>it</strong>i neonatali non pos<strong>it</strong>ivi.<br />
Nella Tabella successiva vengono indicate le condizioni in cui secondo S. Friedman e coll. 11b<br />
è indicato espletare il parto in caso di pre-eclampsia severa.<br />
Tabella II. Expectant management of severe Pre-Eclampsia remote from the term.<br />
S. Friedman, BM. Sibai, Clin.Ob.Gyn. 42,3:470,1999.<br />
Espletamento del Parto anche se presente uno solo dei seguenti fattori<br />
MATERNI FETALI<br />
PA non controllata, Eclampsia, Decelerazioni tardive ripet<strong>it</strong>ive<br />
Piastrine
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
L’etiopatogenesi della pre-eclampsia riconosce come causa un’alterazione della bilancia<br />
trombossano-prostaciclina (TxA2/PgI2) con prevalenza del primo sulla seconda. La prostaciclina<br />
possiede, com’è noto, un’azione vasodilatante ed antiaggregante piastrinica. La sua diminu<strong>it</strong>a<br />
concentrazione sarebbe alla base della vasocostrizione generalizzata, con aumento delle<br />
resistenze periferiche e dell’iperattiv<strong>it</strong>à piastrinica e con la formazione di microaggregati piastrinici<br />
propri della pre-eclampsia 12 .<br />
È noto inoltre che nelle donne che svilupperanno una pre-eclampsia si è realizzata un’anomala<br />
placentazione, con conservazione, a livello della porzione miometriale delle arterie spirali,<br />
della componente muscolo-elastica della parete e quindi della risposta catecolaminica, con<br />
un conseguente stato d’ipercontrattil<strong>it</strong>à vasale e d’ipoperfusione placentare 13 .<br />
La conseguenza diretta di quest’anomalia è rappresentata dal fatto che la circolazione utero-placentare<br />
non assume le caratteristiche del sistema a bassa resistenza propria della gravidanza<br />
fisiologica.<br />
In corso di pre-eclampsia è peraltro fortemente impegnato il sistema cardiovascolare, con<br />
una condizione d’ipovolemia, ed il sistema renale, con un’insufficienza renale acuta, da causa<br />
pre-renale (da ipovolemia e da insufficienza cardiaca) e renale (da necrosi tubulare acuta secondaria<br />
ad ischemia).<br />
Questa lunga premessa lascia intendere come in caso di pre-eclampsia severa, nell’intento<br />
di attuare un management conservativo, sia necessario ricorrere ad un approccio terapeutico,<br />
finalizzato a rimuovere le cause patogenetiche della sindrome e non semplicemente le<br />
manifestazioni sintomatologiche, di cui l’aspetto più manifesto è rappresentato dalla grave ipertensione<br />
arteriosa materna e dalla discoagulopatia.<br />
Veniamo quindi alla scelta cruciale del management clinico che si identifica nelle tre ipotesi<br />
soprac<strong>it</strong>ate e che per essere compiuta comporta la valutazione attenta di:<br />
a. condizioni della madre e del margine di miglioramento della stessa dopo trattamento specifico;<br />
b. epoca gestazionale, stato di benessere fetale e probabil<strong>it</strong>à di sopravvivenza presso il proprio<br />
centro del neonato in assenza di handicap severi; (nella Tabella III, riportiamo i risultati<br />
dell’outcome neonatale, per nati con epoca gestazionale
218<br />
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
Il maggior sostegno ad un approccio “aggressivo” della pre-eclampsia severa è stato dato<br />
all’inizio degli anni ’90 da Sibai e coll. 14 . Questi Autori, infatti, proponevano un approccio terapeutico<br />
d’attesa, finalizzato ad ottenere una maturazione fetale, solo nei casi non complicati<br />
dalla presenza di segni suggestivi per un’evoluzione in HELLP ed ove non fosse ovviamente<br />
presente uno stato di sofferenza fetale acuta (vedi la Tabella II già c<strong>it</strong>ata). La comparsa della<br />
HELLP invece imponeva, a loro avviso, l’espletamento rapido del parto per l’elevato rischio<br />
materno, che essa comportava.<br />
Nello stesso periodo Visser e coll. dimostrarono che era invece possibile attuare un management<br />
conservativo in gravidanze con eclampsia severa, anche se complicate da una<br />
HELLP S., senza pagare un maggior tributo in termini di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materna e perinatale.<br />
A tal fine gli Autori proponevano un approccio terapeutico di tipo intensivo, con una<br />
riespansione del volume plasmatico delle pazienti, mediante infusione di plasma pasteurizzato,<br />
con un mon<strong>it</strong>oraggio emodinamico centrale, associato alla convenzionale terapia ipotensiva<br />
15 .<br />
Esistono in mer<strong>it</strong>o in Letteratura solo due trials randomizzati che hanno confrontato il diverso<br />
outcome materno e neonatale per un approccio ”aggressivo” o “conservativo” alla preeclampsia.<br />
Il primo studio di Odendaal e coll. evidenziava che era possibile avere, con ricoveri in terapia<br />
intensiva, un prolungamento della gestazione di un’epoca significativa (1 settimana e 6<br />
giorni), con un conseguente miglior outcome neonatale, senza compromettere l’outcome materno.<br />
Nel gruppo di pazienti gest<strong>it</strong>e con un “expectant management” si aveva inoltre una miglior<br />
media di peso neonatale (1420g vs 1272g), una minor mortal<strong>it</strong>à neonatale (2 vs 5) ed<br />
un minor numero di giorni di ricovero in NICU 16 .<br />
Il secondo lavoro randomizzato di B.Sibai e coll. mostrava un simile risultato con un guadagno<br />
per il gruppo “expectant” di due settimane di gestazione, di circa di 400 grammi di media<br />
di peso neonatale, e di 15 giorni di ricovero in NICU. Nelle conclusioni però questo autorevole<br />
esperto sottolineava come alla base del reclutamento delle pazienti, si era provveduto<br />
ad un’accurata selezione delle stesse, inserendo nel trial solo quelle senza fattori di rischio<br />
associati ed in particolar modo senza i segni di una HELLP S 17 .<br />
È ora interessante notare come questo stesso Autore in un successivo ed<strong>it</strong>oriale del 1999<br />
affermava, riferendosi ai due trials c<strong>it</strong>ati, che: “...era importante sottolineare come i due ricercatori<br />
avessero mostrato nel corso degli anni un’evoluzione nell’approccio alla pre-eclampsia severa<br />
in epoca precoce, con una nuova capac<strong>it</strong>à di gestire con una terapia medica queste pazienti, ottenendo<br />
un miglior outcome neonatale, grazie anche alle migliorate capac<strong>it</strong>à di gestione dei nati<br />
VLBW, attualmente disponibili.” 18 . Nello stesso studio l’Autore proponeva comunque delle linee<br />
guida di selezione per il protocollo di attesa particolarmente “restr<strong>it</strong>tive”, che consentivano<br />
un prosieguo della gravidanza solo in casi estremamente selezionati e comunque in assenza<br />
di HELLP S.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
Tra le due posizioni (taglio cesareo in tempi brevi e management di attesa con idonea terapia)<br />
esiste una terza scelta terapeutica, che consiste nell’induzione del travaglio di parto, per<br />
ottenere un espletamento dello stesso per via vaginale. In quest’ottica, ove le condizioni materne<br />
lo consentano, è indispensabile che lo stato fetale sia valutato, con es<strong>it</strong>o pos<strong>it</strong>ivo, mediante<br />
ripetuti “no stressed tests”, con una valutazione del profilo biometrico, con una stima<br />
del peso fetale e del liquido amniotico, del profilo biofisico e della flussimetria fetale con<br />
Doppler.<br />
È opportuno anche determinare lo stato di matur<strong>it</strong>à polmonare (spesso presente in questi<br />
feti, che a causa del rallentamento della cresc<strong>it</strong>a, hanno una produzione endogena di ormoni<br />
corticosurrenali); ove questo non fosse stato raggiunto, è allora indicato attuare una profilassi<br />
corticosteroidea per 48 ore.<br />
In mer<strong>it</strong>o Alexander e coll. 19 nel 1999 hanno pubblicato un interessante lavoro randomizzato<br />
in gravide con pre-eclampsia severa e nati very low birth weight, disegnato per valutare le<br />
differenze dell’outcome neonatale tra due gruppi, distribu<strong>it</strong>i tra induzione del travaglio di parto<br />
e taglio cesareo elettivo. Si ebbe nel gruppo indotto il 34% di parti per via vaginale, con<br />
nessuna differenza statisticamente significativa rispetto ai nati da taglio cesareo per distress<br />
respiratorio neonatale (TC 56% versus P.V. 52%), sepsi (TC 9% vs P.V. 4%), emorragia intraventricolare<br />
(TC 7% vs P.V.6%), morti neonatali (TC 4% vs P.V.6%).<br />
Nello studio soprac<strong>it</strong>ato erano state reclutate in un 1 anno 278 gravidanze con le caratteristiche<br />
descr<strong>it</strong>te, su una popolazione di gravide estremamente vasta.Tale numero però non<br />
consentiva delle valutazioni statisticamente significative per la rar<strong>it</strong>à degli eventi patologici da<br />
studiare e l’Autore faceva notare nelle conclusioni che per dare una risposta esaustiva scientificamente<br />
sarebbe stato necessario condurre lo studio in un arco di tempo di 40 anni.<br />
Questo è ovviamente un forte lim<strong>it</strong>e che determina l’impossibil<strong>it</strong>à di avere una risposta defin<strong>it</strong>iva<br />
sull’opportun<strong>it</strong>à o meno di indurre il travaglio in queste pazienti.<br />
Esiste la possibil<strong>it</strong>à quindi di attuare un management conservativo della pre-eclampsia severa<br />
e della HELLP S. La nostra risposta è affermativa, purché, selezionate le pazienti idonee,<br />
si attui, presso centri specialistici di III livello una terapia, che non sia solo sintomatica, ma nei<br />
lim<strong>it</strong>i del possibile, punti a rimuovere le cause, che hanno determinato lo squilibrio volemico<br />
e discoagulativo. A tal fine due presidi terapeutici sembrano rispondere a questa esigenza: la<br />
prostaciclina e la plasmaferesi o plasma exchange.<br />
Dagli Anni ’80 numerosi Autori hanno verificato l’efficacia della prostaciclina nella terapia<br />
dell’ipertensione severa in gravidanza 20,21 . Grazie al già c<strong>it</strong>ato effetto ipotensivo ed antiaggregante<br />
essa trova particolare applicazione nei casi di pre-eclampsia, ove sia più accentuata la<br />
tromboc<strong>it</strong>openia.<br />
Nell’esperienza di Walker e coll. si è ottenuto, in corso di HELLP S., un’interruzione dell’emolisi,<br />
un miglioramento del flusso renale e la concentrazione piastrinica iniziava ad aumentare<br />
già 12 ore dopo la prima infusione 21 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
219
220<br />
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
Nella Tabella IV abbiamo riportato gli Autori che hanno pubblicato in letteratura trials con<br />
impiego della prostaciclina.<br />
Tabella IV. La Prostaciclina in Letteratura<br />
J. Fidler, Lancet 1980: 1 caso pre-eclampsia severa: 27 sett. Es<strong>it</strong>o: OK!<br />
P. Lewis, Lancet 1981: 1 caso pre-eclamsia severa. Es<strong>it</strong>o: Madre OK! MEU.<br />
J. Belch, Cl.Ex.Hyper. ’85: 5 casi di pre-eclampsia. Severa. Es<strong>it</strong>o: 1 MEU.<br />
J. Fox, BrJOG 1991: 1 caso di HELLP S. in puerperio. Es<strong>it</strong>o: OK!<br />
J. Moodley, BrJOG 1992: Pre-eclampsia severa:<br />
22 casi PGI2 ...Vs...20 Casi Idralazina » Es<strong>it</strong>i:Tutti OK!<br />
» PGI2 maggior effetto Ipotensivo, minor effetti collaterali.<br />
A. de Bedler, Lancet 1992: 1 caso di pre-eclampsia severa. Es<strong>it</strong>o Mat. OK!+MEU<br />
W. Huber, Lancet 1994: 1 caso HELLP S. con PGI2+ plasma exchange. Es<strong>it</strong>o: OK<br />
M.Toppozada, 1983-92: Numerosi casi di pre-eclampsia sev. trattati con “PA1”<br />
Totale: 32 casi trattati, con es<strong>it</strong>o materno sempre favorevole e 2 MEU<br />
*Dal 1999 5 casi segnalati in letteratura di trattamento con prostaciclina per ipertensione polmonare prim<strong>it</strong>iva in gravidanza<br />
Si tratta di un farmaco di complesso impiego, che va quindi somministrato solo in centri<br />
dotati di un<strong>it</strong>à di terapia intensiva ove siano presenti dei cr<strong>it</strong>eri di accettabil<strong>it</strong>à e le condizioni<br />
perm<strong>it</strong>tenti per un expectant management, rappresentate nella Tabella successiva.<br />
Tabella V. Condizioni perm<strong>it</strong>tenti<br />
- Disponibil<strong>it</strong>à di una ICU Ostetrico-Anestesiologica<br />
- Staff Medico-Infermieristico esperto in questo settore<br />
- Assenza di distress fetale acuto<br />
- Assenza di imminente pericolo di scompenso materno<br />
- Epoca gestazionale >23°
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
Il protocollo del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’IRCCS “Burlo Garofolo” di<br />
Trieste prevede quindi per epoca gestazionale inferiore alla 29 a settimana, un intervento di<br />
espletamento del parto con un taglio cesareo elettivo in caso di pre-eclampsia severa o di<br />
HELLP syndrome solo in presenza di segni cardiotocografici suggestivi di uno stato di sofferenza<br />
fetale attuale o di altra indicazione elettiva per un parto addominale (podalico, metrorragia<br />
materna, ecc.), effettuando se le condizioni fetali lo consentono una profilassi corticosteroidea<br />
per 48 ore.<br />
Nei casi in cui non siano presenti tali patologie si tenta sempre un approccio terapeutico<br />
medico alle sindromi c<strong>it</strong>ate, trasferendo la paziente in un<strong>it</strong>à di terapia intensiva in caso di ipertensione<br />
arteriosa severa non dominabile e/o comparsa di segni di discoagulopatia, (con consumo<br />
di ant<strong>it</strong>rombina III e di piastrine) e/o di contrazione significativa della diuresi.<br />
Tabella VI. Protocollo di Gestione della Pre-Eclampsia Severa - HELLP SYNDROME<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo, Univers<strong>it</strong>à di Trieste<br />
EPOCA GESTAZIONALE ≥28 A SETTIMANA + PESO FETALE STIMATO >1000G<br />
1. Quadro clinico materno evolutivo (piastrine 110 mmHg, discoagulopatia, oliguria)<br />
Espletamento del Parto (Induzione?/TC Elettivo) dopo attuazione di profilassi corticosteroidea per 48 ore.<br />
2. Segni di sofferenza fetale acuta (NST patologico)<br />
Taglio Cesareo urgente<br />
EPOCA GESTAZIONALE
222<br />
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
Tabella VII. Caso 1<br />
A.N. 24 aa, I Gr., 29 a sett., HELLP S., - Feto: Flussim. Regolare, Stima peso 1300g<br />
è Taglio cesareo: neonata femmina, 1380 g, Apgar 5-8, vivente e sana.<br />
GIORNI -3 -2 -1 T.C. I II III IV V<br />
P.A. 179/100 140/80 170/85 155/95 165/100 205/105 160/90 160/85 140/70<br />
D. Dimero 4.9 8.2 4 4.5 5.9 5.1 3.3<br />
GOT 90 45 24 13 38 23<br />
GPT 88 91 42 27 52 160<br />
Uricemia 5.9 7.6 5.9<br />
PLT 46.000 58.000 90.000 113.000 48.000 79.000 200.000<br />
AT III 87% 54% 104% 81% 89%<br />
LDH 1064 430 333 604<br />
Diuresi Olig/anuria Norm Norm Norm Norm Norm Norm<br />
TERAPIA<br />
“Flolan” 5 ml/h 5 ml/h 11.6ml/h 11.6ml/h 11.6ml/h 30ml/h 30ml/h 30ml/h 30ml/h<br />
AT III 1000 ui 1000 ui<br />
Decadron 12mg 12 mg 12mg<br />
Tabella VIII. Caso 2<br />
G.A. 36 aa, I Grav., 30 a sett., Feto: IUGR severo, Stima peso: 1200 g, Flussim. è in Ombel.<br />
Taglio Cesareo per: pre-eclampsia severa. Crisi eclamptica. Stato comatoso. CTG Patologico.<br />
Neonato: maschio 1200 g, Apgar 5-10, vivente e sano.<br />
GIORNI 0 I II III* IV V VI<br />
P.A. 175/110 140/90 130/80 130/80 140/85<br />
D. Dimero 2 1.5 1.5 2 5 2 2<br />
PLT 34.000 30.000 51.000 114.000 127.000 175.000<br />
AT III 60% 56% 61% 100% 80% 90%<br />
GOT 818 397 70 36 41<br />
GPT 448 305 68 81 79<br />
Diuresi Olig/anuria Norm Norm Norm Norm Norm<br />
TERAPIA<br />
“Flolan” 2.5ml/h 2.8ml/h 2.8ml/h 2.8ml/h 2.8ml/h<br />
Plasm.Exch. Ia Ia<br />
AT III 500 ui 1000 ui<br />
* Si alimenta in III Giornata<br />
In conclusione r<strong>it</strong>eniamo che l’approccio alla pre-eclampsia severa ed alla HELLP S. vada<br />
attuato in centri adeguatamente attrezzati e culturalmente preparati, specie quando queste<br />
patologie si realizzano in epoche di particolare prematur<strong>it</strong>à, quando non è a nostro avviso indicato<br />
espletare “semplicisticamente” un taglio cesareo elettivo (a meno che non vi siano le<br />
assolute indicazioni di emergenza materna o fetale, indicate).<br />
Esiste inoltre la possibil<strong>it</strong>à di un approccio terapeutico, che tenga conto della patogenesi<br />
della malattia e consenta quindi un “dilazionamento” della nasc<strong>it</strong>a con un risultato sicuramen-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Impiego della prostaciclina nella terapia della pre-eclampsia severa<br />
te più “garant<strong>it</strong>o” per il neonato, in assenza di aumentata patologia materna.Tali conclusioni<br />
sono sintetizzate nella nostra ultima Tabella.<br />
Tabella IX<br />
- Prostaciclina e Plasma-Exchange sono altamente efficaci nella terapia intensiva della Pre-eclampsia Severa e<br />
della HELLP S.<br />
- Altre patologie quali LES e Scompenso Congestizio Polmonare possono trarre beneficio da queste terapie.<br />
- Le indicazioni al loro impiego sono altamente specifiche.<br />
- Utilizzo solo presso Un<strong>it</strong>à di Terapia Intensiva, con Personale San<strong>it</strong>ario altamente specializzato e con una<br />
piena armonia operativa e decisionale tra l’Ostetrico e l’Anestesista Rianimatore.<br />
- Il rischio per la paziente è sicuramente accettabile.<br />
- Sarebbe indicata una concentrazione di casi eleggibili presso Centri di III° livello per mantenere la capac<strong>it</strong>à<br />
operativa del Personale San<strong>it</strong>ario.<br />
- Il ruolo svolto dalla prostaciclina sul flusso placentare deve essere ulteriormente studiato.<br />
Bibliografia<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
223
224<br />
19 PRE-ECLAMPSIA<br />
OBESITÀ E <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
M. Bernardon, M. Costantini, R.Tercolo, GP. Maso, S. Alberico<br />
Dipatimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo,Trieste<br />
L’obes<strong>it</strong>à rappresenta una condizione clinica che raggiunge proporzioni epidemiche nella<br />
società occidentale. Si stima che nel Regno Un<strong>it</strong>o circa il 10 % dei bambini ed il 20% degli<br />
adulti presentino un BMI superiore a 30 kg/m 2 . Negli Stati Un<strong>it</strong>i le percentuali sono ancor più<br />
allarmanti. In tutto il mondo si reputa che più di 300 milioni di persone siano clinicamente<br />
obese 1 . È attualmente noto che l’obes<strong>it</strong>à ed in particolare la distribuzione viscerale del tessuto<br />
adiposo, correlino negativamente con le funzioni metaboliche di base e predispongano ad<br />
un elevato rischio di patologia cardiovascolare.<br />
L’obes<strong>it</strong>à determina una perturbazione del metabolismo lipidico caratterizzata da un rialzo<br />
dei trigliceridi totali, una riduzione dell’HDL-C, un aumento del VLDL-C, sebbene il colesterolo<br />
totale e l’LDL-C non risultino significativamente modificati. Risulta compromesso anche<br />
il metabolismo glucidico con iperinsulinemia (che raggiunge livelli circa 2 volte superiori<br />
a quelli riscontrati nelle donne non obese), aumento della concentrazione delle leptine e della<br />
risposta infiammatoria, con sal<strong>it</strong>a della PCR e dell’IL-6.<br />
È stato dimostrato inoltre che la PCR e l’insulinemia sono correlati inversamente alla risposta<br />
endoteliale microvascolare. Questo fattore, in concom<strong>it</strong>anza con la disfunzione della<br />
muscolatura liscia vascolare tipica dell’obes<strong>it</strong>à, è responsabile della riduzione della risposta vasodilatatoria<br />
1 . Il complesso pattern di alterazioni neuroendocrine caratteristico della donna<br />
obesa si configura clinicamente nella sindrome metabolica, che secondo l’American College of<br />
Endocrinology si definisce per la presenza di 3 o più dei seguenti cr<strong>it</strong>eri: obes<strong>it</strong>à addominale,<br />
aumento dei trigliceridi totali, diminuzione delle HDL, aumento della pressione arteriosa ed<br />
aumento della glicemia a digiuno 2 .<br />
Le modificazioni molecolari che caratterizzano una donna in sovrappeso si ripercuotono<br />
inev<strong>it</strong>abilmente sulla gravidanza, risultando in una pletora di anomalie metaboliche e vascolari<br />
che possono complessivamente esacerbare il rischio di complicanze materne e fetali. La gravidanza<br />
rappresenta una sfida metabolica per la donna obesa: le modificazioni ormonali che<br />
ne stanno alla base (quali l’aumento di estrogeni, progesterone e lattogeno placentare) possono<br />
slatentizzare manifestazioni cliniche di severa ent<strong>it</strong>à. Dai dati della Letteratura emerge<br />
in mer<strong>it</strong>o un aumento dell’incidenza di diabete mell<strong>it</strong>o, disordini ipertensivi, complicanze tromboemboliche,<br />
complicanze intrapartum e postpartum, problemi anestesiologici, morbil<strong>it</strong>à e<br />
mortal<strong>it</strong>à fetale, perinatale e morbid<strong>it</strong>à a lungo termine, che verranno di segu<strong>it</strong>o analizzati singolarmente.<br />
Un recente studio osservazionale è stato condotto presso il Dipartimento oste-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
trico-ginecologico dell’ IRCCS Burlo Garofolo di Trieste su 1000 gestanti tra il 2002 ed il 2003<br />
con i risultati di segu<strong>it</strong>o riportati.<br />
BMI >20 20-25 25-30 >30 P<br />
n = 905 27.5 % 56.2% 11.8% 4.5%<br />
GCT + 18.9 % 23.9% 38.7% 40%
226<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
stazionale tra le donne con BMI superiore a 29 kg/m 2 rispetto al gruppo di controllo con un<br />
OR di 3.4 (95% CI =2.0-5.7) 9 . I risultati non sono invece del tutto concordi nell’affermare che<br />
l’elevato BMI materno rappresenti un fattore di rischio rilevante per lo sviluppo di pre-eclampsia.<br />
Diversi studi dimostrano una forte correlazione dell’obes<strong>it</strong>à materna con la pre-eclampsia<br />
1,7,8,10,11 , mentre altri denotano soltanto una lieve tendenza in questa direzione 4,6 .<br />
In un lavoro condotto su 15.262 donne Thadani riporta una stretta correlazione tra il BMI<br />
materno e lo sviluppo di ipertensione gestazionale e tra l’ipercolesterolemia materna e lo sviluppo<br />
di pre-eclampsia. Dallo studio emerge che nelle donne pre-eclamptiche il livello di lipidi<br />
sierici sia significativamente più elevato rispetto ai controlli (1.5 - 2 volte maggiore rispetto<br />
al normale incremento gravidico) e come i vasi placentari vadano incontro a modificazioni<br />
aterosclerotico-simili, inclusi la deposizione di materiale fibrinoide, foam cells e prodotti della<br />
perossidazione lipidica, che sottendono il danno endoteliale e la vasocostrizione 4 .<br />
La patogenesi del danno vascolare che sottende la pre-eclampsia può altresì essere spiegata<br />
come manifestazione di una condizione di insulinoresistenza. In una riesamina sui fattori<br />
di rischio ipertensivo nelle donne pluripare, Mostello afferma che la pre-eclampsia rappresenta<br />
una manifestazione clinica della sindrome da insulinoresistenza. Una condizione di iperinsulinismo,<br />
quale quella tipica dell’obes<strong>it</strong>à, è in grado di alterare le pompe cationiche intracellulari<br />
che regolano il tono vascolare e la pressione arteriosa, stimolare il sistema nervoso simpatico<br />
ed indurre ipertrofia delle cellule muscolari lisce. Un aumentato livello di peptidi vasoattivi<br />
che si associa all’iperinsulinemia può inoltre contribuire al danno endoteliale che è caratteristico<br />
della pre-eclampsia, come della sindrome da insulinoresistenza 11 . La risposta vasodilatatoria<br />
risulta quindi sostanzialmente ridotta tram<strong>it</strong>e meccanismi di disfunzione endoteliale<br />
da un lato e muscolare liscia dall’altro.<br />
Nel confermare una stretta correlazione tra obes<strong>it</strong>à e comparsa di pre-eclampsia Ramsay<br />
e coll. ne hanno sottolineato una condizione comune: l’attivazione del sistema infiammatorio.<br />
Il riscontro di elevate concentrazioni di IL-6 e PCR in donne gravide obese rappresenta un<br />
punto-chiave nella condizione di infiammazione cronica tipica dell’obes<strong>it</strong>à, che correla negativamente<br />
con la funzional<strong>it</strong>à dell’endotelio (dimostrata da una minor risposta vasodilatatoria<br />
all’acetilcolina) e pos<strong>it</strong>ivamente con i livelli di insulina a digiuno, dimostrando quindi una possibile<br />
implicazione anche nella patogenesi del diabete gestazionale 1 .<br />
Da quanto riportato emerge come il quadro metabolico, infiammatorio e funzionale tipico<br />
delle donne obese possa predisporre ad una compromissione vascolare generale e contribuire<br />
quindi al meccanismo attraverso il quale l’adipos<strong>it</strong>à materna risulta associata alla comparsa<br />
di pre-eclampsia.<br />
Una review del 2003 condotta da O’Brien e coll. su 13 studi di coorte, con un totale di<br />
1,4 milioni di donne, riporta che il rischio di pre-eclampsia risulta raddoppiato per ogni incremento<br />
di BMI pregravidico di 5-7 kg/m 2(10) . I meccanismi patogenetici che sottendono tale<br />
stretta correlazione sono molteplici: l’ipertrigliceridemia tipica della sindrome metabolica, di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
cui l’obes<strong>it</strong>à rappresenta la maggior espressione clinica, rappresenta un fattore di rischio per<br />
la disfunzione endoteliale. L’iperlipidemia può alterare la regolazione prostaglandinica portando<br />
a vasocostrizione arteriolare. Altri marcatori dell’insulinoresistenza, come il PAI (inib<strong>it</strong>ore<br />
dell’attivatore del plasminogeno), la leptina ed il TNF (fattore di necrosi tumorale), appaiono<br />
aumentati nelle donne con pre-eclampsia.<br />
Dai dati raccolti presso il nostro Dipartimento emerge una prevalenza di pre-eclampsia<br />
progressivamente maggiore in relazione al BMI materno, con il 5.6% tra le donne sottopeso,<br />
il 13.4% tra le normopeso, il 50% tra le sovrappeso ed il 51% tra le obese.<br />
L’obes<strong>it</strong>à rappresenta infine il maggior fattore di rischio della sindrome da apnea notturna,<br />
condizione clinica comunemente riscontrata in gravidanza che si caratterizza non solo per<br />
episodi di ipossia materna, ma anche per aumento della pressione arteriosa durante i periodi<br />
ostruttivi.<br />
Diabete Gestazionale<br />
L’obes<strong>it</strong>à addominale è caratterizzata da un aumento di volume delle cellule adipose e da<br />
più elevati livelli di lipolisi basale, che si traducono in un incremento del flusso portale di acidi<br />
grassi liberi. Questi ultimi creano i presupposti per l’iperinsulinemia, da un lato stimolando<br />
la gluconeogenesi e la comparsa di iperglicemia e dall’altro interferendo con l’attiv<strong>it</strong>à epatocellulare<br />
di degradazione insulinica. Elevate concentrazioni di insulina riducono il numero dei<br />
recettori (down regulation) e con esso, l’effetto dell’insulina stessa. Il mantenimento di una<br />
condizione di euglicemia richiede pertanto un incremento progressivo della secrezione insulinica.<br />
La gravidanza, che rappresenta una condizione di stress sul metabolismo glucidico, può<br />
compromettere questo delicato equilibrio. Si ha quindi una riduzione della sensibil<strong>it</strong>à della B<br />
cellula, non più in grado di far fronte alle aumentate esigenze metaboliche e la comparsa di<br />
diabete gestazionale (fase ipoinsulinemica). L’eccessivo incremento ponderale contribuisce ulteriormente<br />
a questo sbilanciamento e rende più difficoltoso il r<strong>it</strong>orno al peso pregravidico<br />
dopo il parto 8 .<br />
Molteplici studi documentano un incrementato rischio di diabete gestazionale tra le donne<br />
obese 1,4,7,8,12-15 . In uno recente, prospettico, multicentrico, condotto su 16.102 casi è stato<br />
riscontrato un elevato rischio di diabete gestazionale tra le donne obese ed in particolare tra<br />
quelle affette da obes<strong>it</strong>à morbosa (BMI ≥ 35 kg/m 2) rispetto al gruppo di controllo con un<br />
OR di 2.6 (95% CI 2.1-3.4) e 4.0 (95% CI 3.15.2) rispettivamente 14 . Questi risultati concordano<br />
con quelli precedenti di altri autori, che riportano un’incidenza di GDM del 24,5% per<br />
pazienti con BMI superiore a 40 rispetto al 2,2% in pazienti con BMI compreso tra 20 e 24,9 7 .<br />
Bianco denota la comparsa di GDM nel 14,2% di donne con BMI superiore a 35 rispetto al<br />
4,3% in caso di BMI compreso tra 19 e 27 12 .<br />
Dai dati dello studio dell’IRCCS Burlo Garofolo emerge come il diabete gestazionale, analogamente<br />
alla pre-eclampsia, presenti un andamento progressivo in termini di prevalenza in<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
227
228<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
relazione all’aumento del BMI materno, con il 5.6%, 9.4%, 17.4% e 33% tra le donne sottopeso,<br />
normopeso, sovrappeso ed obese rispettivamente 3 .<br />
Complicanze tromboemboliche<br />
L’aumentato rischio tromboembolico nella gestante è stato documentato ampiamente in<br />
Letteratura. Condizioni di ipercoagulabil<strong>it</strong>à, stasi venosa e danno vascolare configurano la triade<br />
di Virchow tipicamente ben rappresentata in gravidanza e puerperio. In presenza di obes<strong>it</strong>à<br />
materna queste alterazioni vascolari diventano tanto più marcate da incrementare il rischio<br />
tromboembolico venoso da cinque a sei volte 16 . Un danno marcato alla fibrinolisi con<br />
incremento dell’inib<strong>it</strong>ore dell’attivatore del plasminogeno (PAI) rappresenta alterazioni comuni<br />
alla gravidanza ed all’obes<strong>it</strong>à. Il PAI infatti è il risultato di una aumentata produzione placentare<br />
da un lato 17 e della sindrome da insulinoresistenza dall’altro 18 , con una stretta correlazione<br />
all’aumento del BMI. Anche la prolattina e la leptina sono aumentate nella gestante ed in<br />
presenza di obes<strong>it</strong>à materna, e rappresentano fattori di rischio elevato per tromboembolismo<br />
venoso nella misura in cui svolgono il ruolo di coattivatori dell’aggregazione piastrinica<br />
<strong>AD</strong>P- dipendente. A tutto ciò vi si aggiunge anche la riduzione delle prostacicline 19 e del monossido<br />
d’azoto (NO) nell’obes<strong>it</strong>à e l’aumento del fibrinogeno e la diminuzione della proteina<br />
S gestazionali. Considerando tutto ciò non stupisce come innumerevoli studi c<strong>it</strong>ino l’obes<strong>it</strong>à<br />
quale uno dei maggiori fattori di rischio per eventi tromboembolici in gravidanza 16,17, 20-22 .<br />
Una precisa correlazione tra l’obes<strong>it</strong>à e le possibili complicanze tromboemboliche non è<br />
stata descr<strong>it</strong>ta in alcuno studio prospettico.<br />
Da uno studio retrospettivo del 1996 condotto su 683 pazienti obese e altrettanti controlli<br />
emerge un rischio tromboembolico del 2,5% per le donne con BMI superiore a 29 kg/m 2<br />
rispetto allo 0,6% delle donne normopeso 9 .<br />
Nel report del 2001 del Royal College of Obstetricians and Gynaecologists vengono descr<strong>it</strong>ti<br />
31 casi di morte materna da tromboembolismo negli Stati Un<strong>it</strong>i tra il 1997 ed il 1999, tra<br />
i quali si annoveravano 13 donne obese. In conclusione viene affermato che l’obes<strong>it</strong>à è il più<br />
comune fattore di rischio indipendente per tromboembolismo venoso 23 . Questo concetto viene<br />
enfatizzato anche in termini di profilassi in gravidanza e puerperio all’interno delle linee<br />
guida comportamentali del RCOG del 2004. Viene consigliata una profilassi antenatale con<br />
LMWH, anche in assenza di pregressi episodi tromboembolici anamnestici o trombofilia documentata,<br />
qualora il giudizio del Clinico denoti la presenza di uno o due fattori di rischio importanti<br />
nella donna gravida. La prosecuzione della profilassi eparinica nel periodo puerperale<br />
è indicata per 3 - 5 giorni qualora i fattori di rischio documentati siano due o più. L’obes<strong>it</strong>à<br />
estrema (BMI >35 kg/m 2) è considerata una condizione clinica in grado di giustificare da sola<br />
la somministrazione eparinica a scopo profilattico 24 . R<strong>it</strong>eniamo che in caso di obes<strong>it</strong>à materna<br />
con BMI inferiore a 35 kg/m 2 la presenza di un unico fattore di rischio aggiuntivo giustifichi<br />
la profilassi con LMWH in gravidanza e puerperio.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
Sistema epatobiliare<br />
Tra le complicanze correlate all’obes<strong>it</strong>à in gravidanza le ripercussioni sul sistema epatobiliare<br />
rappresentano un cap<strong>it</strong>olo non meno importante.<br />
Il fegato dell’obeso sintetizza una maggior quant<strong>it</strong>à di colesterolo che viene ipersecreto<br />
con la bile, dove risulta aumentato l’indice l<strong>it</strong>ogeno; quest’ultimo, in concom<strong>it</strong>anza con la ridotta<br />
motil<strong>it</strong>à colecistica, indotta dal clima ormonale gravidico, si traduce in un aumento della<br />
prevalenza della calcolosi colesterinica. Questa condizione può ripercuotersi negativamente<br />
sul metabolismo epatobiliare sino alle forme cliniche di steatosi, fibrosi e necrosi epatoc<strong>it</strong>aria.<br />
Biochimicamente lo stress ossidativo e la perossidazione lipidica sono implicati nella patogenesi<br />
della epatosteatosi, probabilmente come risultato dell’accumulo di acidi grassi liberi<br />
all’interno dei m<strong>it</strong>ocondri e l’induzione del c<strong>it</strong>ocromo P450 negli epatoc<strong>it</strong>i e nelle cellule<br />
del Kupffer 25 .<br />
Un recentissimo studio condotto su 3.254 donne ha valutato prospetticamente l’incidenza,<br />
la storia naturale ed i fattori di rischio coinvolti nella stasi biliare e calcolosi gravidica e postpartale.<br />
Dallo studio è emerso come il BMI pregravidico rappresenti un forte fattore pred<strong>it</strong>tivo<br />
nei confronti di patologie colecistiche ed epatobiliari (P < 0.001) e come la leptina<br />
sierica cost<strong>it</strong>uisca un fattore di rischio indipendente per le suddette patologie (odds ratio per<br />
aumento di 1 ng/dL: 1.05; 95% CI, 1.01, 1.11), anche dopo correzione per BMI 26 .<br />
I risultati di questo studio concordano con quelli retrospettivi di Lindseth, che riportano<br />
un BMI pregravidico significativamente più elevato nelle gestanti con colel<strong>it</strong>iasi rispetto ai controlli<br />
27 .<br />
L’attiv<strong>it</strong>à fisica e le ab<strong>it</strong>udini alimentari rivestono un ruolo fondamentale in termini di prevenzione<br />
nei confronti di patologie epatobiliari, in particolar modo nelle gestanti a rischio per<br />
elevato BMI. In una review del 2004 si sottolinea che l’associazione di un elevato apporto di<br />
colesterolo con la dieta e la comparsa di patologie della colecisti siano state documentate in<br />
diversi studi e si afferma che un moderato consumo di alcol ed un apporto adeguato di fibre<br />
rappresentano dei fattori protettivi, mentre il consumo di zuccheri semplici e di grassi saturi<br />
aumentano il rischio 28 .<br />
Complicanze fetali in termini di morbid<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à<br />
Macrosomia fetale<br />
L’obes<strong>it</strong>à si associa frequentemente ad un’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, comportando<br />
una maggior incidenza di nati macrosomi 4,7,8,12-15 .<br />
Da uno studio di coorte su 613 donne affette da obes<strong>it</strong>à severa (BMI > 35 kg/m 2) emerge<br />
che in queste ultime il rischio di partorire un neonato grande per età gestazionale è del<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
229
230<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
18,2%, rispetto all’11,2% delle donne normopeso, con un OR di 1.8 dopo correzione per diabete<br />
gestazionale e pregravidico 12 .<br />
Nello studio prospettico multicentrico Newyorkese su 16.102 pazienti di cui 1.473 obese<br />
e 877 con obes<strong>it</strong>à morbosa, viene riportato che le donne obese e quelle con obes<strong>it</strong>à severa<br />
hanno un rischio significativamente più elevato delle normopeso di partorire un neonato<br />
con peso superiore ai 4.000 g (OR 1.7 ed 1.9 rispettivamente) ed anche ai 4.500 g (OR<br />
2.0 e 2.4 rispettivamente) 14 .<br />
Dai dati raccolti nel nostro studio, sopra c<strong>it</strong>ato, in mer<strong>it</strong>o all’accelerazione della cresc<strong>it</strong>a fetale<br />
emerge una prevalenza del 4.5% tra le donne normopeso, 9.2% tra le sovrappeso e 21.6%<br />
tra le obese. Risultati analoghi si hanno per la macrosomia fetale anche dopo correzione per<br />
diabete gestazionale (16% e 17% tra le donne sovrappeso ed obese, rispetto al 4% e 7% delle<br />
donne normopeso e sottopeso, con un OR di 1 per BMI30) 3 .<br />
L’aumento del peso fetale che si realizza in queste donne è proporzionale a due indipendenti<br />
fattori: il peso materno pregravidico e l’incremento di peso in gravidanza 29 . L’elevata concentrazione<br />
di acidi grassi liberi nel plasma materno durante la gravidanza favorisce la lipogenesi<br />
fetale. Ne risulta un aumento del depos<strong>it</strong>o adiposo nel feto, con distribuzione prevalentemente<br />
viscerale 8 .<br />
Una condizione di iperglicemia cronica materna si ripercuote inoltre a livello fetale, favorendo<br />
lo sviluppo di insulinoresistenza e rappresentando uno stimolo alla secrezione insulinica.<br />
Questa ultima ha un effetto anabolico e lipogenico e può essere considerata a tutti gli effetti<br />
l’ormone responsabile della macrosomia 30 .<br />
Da questa condizione clinica derivano dei rischi intrapartali, di cui il principale è rappresentato<br />
dalla distocia di spalla, e postnatali, quale il possibile sviluppo di sindrome metabolica<br />
infantile 31 .<br />
Nella maggioranza degli studi condotti l’obes<strong>it</strong>à materna non è stata identificata come fattore<br />
di rischio indipendente per la distocia di spalla. Essa tuttavia, come affermato in precedenza,<br />
predispone alla macrosomia fetale, che è considerata l’unico significativo fattore pred<strong>it</strong>tivo<br />
nei confronti di questa temibile complicanza ostetrica 4 .<br />
C’è da aggiungere inoltre che un outcome non significativo di distocia di spalla tra le donne<br />
obese può essere ricondotto ad un management ostetrico particolarmente attento, con<br />
il ricorso ad un taglio cesareo elettivo ogni qual volta sia presente un sospetto clinico di feto<br />
macrosoma.<br />
I delicati equilibri metabolici che caratterizzano l’ambiente fetale in una gravida obesa non<br />
sono scevri di rischi che si percuotono potenzialmente a lungo termine. Da uno studio long<strong>it</strong>udinale<br />
di coorte pubblicato quest’anno emerge che il rischio di sviluppo della sindrome<br />
metabolica infantile risulta significativamente aumentato per i bambini LGA (large for gestational<br />
age) nati da madri obese, pur in assenza di diabete gestazionale 31 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
IUGR, morte fetale tardiva e outcome neonatali<br />
La possibile associazione tra l’obes<strong>it</strong>à materna ed outcome fetali avversi è stata studiata<br />
da diversi autori con risultati parzialmente contrastanti. Sebbene pochi studi c<strong>it</strong>assero in passato<br />
un incremento del rate di feti Small for Gestational Age (SGA) tra le gestanti obese rispetto<br />
a quelle normopeso 32 , la quasi total<strong>it</strong>à degli stessi ha documentato l’assenza di una significativ<strong>it</strong>à<br />
statistica in mer<strong>it</strong>o 4,7,12 . Oltre a ciò è importante sottolineare che la più elevata<br />
incidenza di IUGR notata in alcuni trials debba essere attribu<strong>it</strong>a piuttosto ad una condizione<br />
di ipertensione cronica o di vasculopatia diabetica materna sovrimposta 7 .<br />
Alcuni Autori viceversa riportano che il tasso di SGA nelle madri obese appare significativamente<br />
ridotto 13 .<br />
Il rischio di morte endouterina tardiva fetale tra le gestanti obese è stata studiata da alcuni<br />
autori riportando risultati significativi. In un recentissimo studio di coorte condotto su<br />
24.505 gravidanze l’obes<strong>it</strong>à materna risulta associata ad un rischio più che raddoppiato di<br />
morte endouterina tardiva fetale (OR 2.8, 95% CI 1.5-5.3) e morte neonatale (OR 2.6, 95%<br />
CI 1.2-5.8) 19 . Questi dati sono in accordo con quelli pubblicati nel 2001 da uno studio londinese<br />
che riportava tra le donne nullipare un’incidenza di MEU tardiva tanto maggiore all’aumentare<br />
del BMI, con un OR di 2.2 (95% CI 1.2-4.1) per le donne normopeso, 3.2 (95%<br />
CI 1.6-6.2) per le sovrappeso e di 4.3 (95% CI 2.0-9.3) per le donne obese 33 .<br />
La MEU nelle donne obese si presenta con frequenza maggiore verso il termine di gravidanza,<br />
se non successivamente alla nasc<strong>it</strong>a, con una causa più frequentemente inspiegata. È<br />
stato riportato che generalmente si trattasse di SGA. Questo dato è sicuramente discutibile,<br />
considerando la possibil<strong>it</strong>à di valutare il peso soltanto alla nasc<strong>it</strong>a e non alla data esatta<br />
della morte ed al margine di errore ben noto della stima peso ecografica nel terzo trimestre<br />
di gravidanza.Tuttavia, con i dovuti lim<strong>it</strong>i, l’associazione non appare tanto forzata considerando<br />
la disfunzione placentare che sottende entrambe le condizioni. L’obes<strong>it</strong>à infatti è associata<br />
a disturbi del sistema endocrino, con possibile riduzione della secrezione di prostacicline<br />
ed aumento del trombossano, rischio di trombosi placentare ed ipoperfusione della<br />
stessa. Questo rischio può inoltre aumentare in caso di insulinoresistenza, iperlipidemia e diminuzione<br />
dell’attiv<strong>it</strong>à fibrinol<strong>it</strong>ica.<br />
L’aumentato rischio di morte endouterina tardiva può così essere attribu<strong>it</strong>a ad una disfunzione<br />
dell’un<strong>it</strong>à fetoplacentare, con comprosmissione del flusso ematico della stessa 19 .<br />
Un ultimo accenno in termini di outcome fetale è doveroso. Da diversi studi emerge una<br />
maggiore morbid<strong>it</strong>à neonatale. Questo non stupisce se si considera che i nati di madri obese<br />
sono per lo più macrosomi e talvolta esposti ad un ambiente intrauterino alquanto sfavorevole.<br />
Kumari riporta un tasso di ammissione alla terapia intensiva neonatale tra le donne obese<br />
del 16% vs 4% delle normopeso. Questi dati sono in accordo con quanto riportato da<br />
Bongain e coll. 8 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
231
232<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
Malformazioni congen<strong>it</strong>e<br />
Diversi studi in letteratura documentano un’associazione tra il peso materno pregravidico<br />
e la comparsa di malformazioni congen<strong>it</strong>e embrionali a carico del sistema nervoso centrale.Waller<br />
e coll. riportano da uno studio caso controllo su 1.370 coppie madre- bambino<br />
che le donne affette da obes<strong>it</strong>à severa (BMI pregravidico >= 31 kg/m 2 ) hanno un rischio significativamente<br />
aumentato di partorire un bambino affetto da anomalie del tubo neurale (OR<br />
1,8; 95% CI = 1,1-3,0) e da altri tipi di malformazioni maggiori a carico del sistema nervoso<br />
centrale 34 .Werler e coll. concordano con tali risultati riportando un RR per anomalie del tubo<br />
neurale aumentato a 1,9 (95% CI= 1,2-2,9) per donne con peso compreso tra 80 ed 89<br />
kg ed a 4,0 (95% CI=1,6-9,9) per donne con peso superiore ai 110 kg rispetto ai controlli<br />
con peso 50-59 kg 35 . Nello stesso studio sottolineano come un apporto dietetico giornaliero<br />
di 400 mg di acido folico riduca il rischio di malformazioni del tubo neurale del 40% solamente<br />
tra le donne con peso inferiore ai 70 kg, mentre tra quelle con peso superiore non<br />
sia possibile riscontrare alcun beneficio in termini di prevenzione.<br />
Un recentissimo studio caso-controllo stima la prevalenza di obes<strong>it</strong>à materna e diabete<br />
gestazionale tra le mamme di neonati affetti da diversi tipi di malformazioni a carico del sistema<br />
nervoso centrale e riporta che le donne obese presentano un rischio sostanzialmente<br />
aumentato di partorire un neonato affetto da anencefalia (OR 2,3; 95% CI=1,2-4,3), spina<br />
bifida (OR 2,8; 1,7-4,5) o idrocefalo (OR 2,7; 1,5-5,0), mentre è possibile riscontrare un aumento<br />
del rischio di oloprosencefalia (OR 47; 9,5-230) ed idrocefalo (OR 12; 2,9-47) tra i<br />
neonati di madri diabetiche tipo 1 e 2 e di oloprosencefalia isolata (OR 2,9; 1,0-8,4) in caso<br />
di diabete gestazionale 36 . Dal medesimo studio emerge come l’OR aumenti con evidenza di<br />
effetto moltiplicativo in caso di presenza combinata di obes<strong>it</strong>à materna e diabete gestazionale.<br />
Questo ultimo dato concorda con quanto riportato da una recente valutazione prospettica<br />
condotta da Moore nel 2000, che sottolinea un rischio 3 volte aumentato di malformazioni<br />
fetali in caso di presenza combinata di diabete ed obes<strong>it</strong>à materna, sebbene smentisca<br />
una correlazione tra obes<strong>it</strong>à isolata ed anomalie del tubo neurale 37 .<br />
Tra gli studi rivolti alla valutazione del rischio malformativo fetale tra le donne obese emergono<br />
anche alcuni dati a favore di un aumentato rischio di anomalie congen<strong>it</strong>e cardiache.<br />
Watkins evidenzia un OR di 2,0 con 95% CI=1,2-3,4 38 , mentre Mikhail riporta tra le donne<br />
obese afro-americane un OR di 6,5 con 95% CI=1,2-34,9; (P = 0.025) dopo correzione per<br />
diabete gestazionale 39 .<br />
L’obes<strong>it</strong>à ed il diabete sottendono anomalie metaboliche analoghe, tra le quali l’insulinoresistenza<br />
e l’iperinsulinemia rappresentano le maggiori espressioni biochimiche. L’aumentato<br />
rischio malformativo congen<strong>it</strong>o associato ad entrambe le condizioni può essere quindi espressione<br />
di una disfunzione metabolica sottostante comune presente già nelle prime settimane<br />
di gestazione, durante la fase dell’embriogenesi. Questa ipotesi è supportata dall’osservazione<br />
che uno scarso controllo glicemico nelle fasi iniziali della gravidanza aumenta il rischio di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
comparsa di anomalie embrio-fetali. In caso di diabete gestazionale infine si può dire che nonostante<br />
la forma clinica conclamata si renda nota in fasi più tardive della gravidanza, anomalie<br />
metaboliche latenti già presenti nel primo trimestre siano coinvolte in maniera più diretta<br />
con l’eziopatogenesi della malformazione fetale 36 .<br />
Parto pretemine<br />
L’incidenza di parto pretermine tra le gestanti obese è stata analizzata da diversi autori in<br />
Letteratura con conclusioni alquanto contrastanti.<br />
In uno studio prospettico multicentrico condotto su 16.102 pazienti e pubblicato nel 2004<br />
le donne affette da obes<strong>it</strong>à severa (BMI > 35) presentano un rischio significativamente più<br />
elevato rispetto ai controlli di partorire un neonato pretermine (OR 1.5 95% CI 1.1–2.1) 14,40 .<br />
Alcuni trials viceversa riportano l’assenza di significativ<strong>it</strong>à statistica nei risultati 41,42 , altri ancora<br />
si collocano in netta contrapposizione riportando un rischio di parto pretermine significativamente<br />
ridotto tra le gestanti con obes<strong>it</strong>à severa (p< 0,001) 7 e persino tra quelle defin<strong>it</strong>e<br />
semplicemente obese (OR 0,57; 95% CI=0,39-0,83; p=0,003) 43 .<br />
La variabil<strong>it</strong>à nei risultati riscontrati nei diversi studi può essere ricondotta alle differenti<br />
popolazioni analizzate, alle differenti definizioni di parto pretermine utilizzate, comprendenti<br />
talora quello spontaneo, altre volte anche quello iatrogeno. Un chiaro esempio è rappresentato<br />
dalla preeclampsia, che non di rado complica la gravidanza di una donna obesa e può indurre<br />
l’Ostetrico ad un espletamento del parto per via addominale prima del termine.<br />
L’analisi di Hendler 43 ha il pregio, rispetto ad altri studi, di analizzare i dati in maniera prospettica<br />
e di correggerli per fattori confondenti associati al parto spontaneo pretermine.<br />
Un’ultima considerazione riguarda l’epoca gestazionale: i parti spontanei verificatisi in epoche<br />
gestazionali precoci (
234<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
ne soltanto pochi tra questi ed in maniera non del tutto uniforme ne delineino le caratteristiche.<br />
Nell’analisi condotta presso il nostro Dipartimento tra le donne obese e quelle con<br />
eccessivo incremento ponderale gravidico risulta nettamente aumentata l’incidenza di operativ<strong>it</strong>à<br />
vaginale e taglio cesareo, con una parallela diminuzione del rate di parti spontanei 3 .<br />
Uno studio retrospettivo su 4.285 donne riporta un maggior ricorso all’infusione oss<strong>it</strong>ocica<br />
ed all’amnioressi precoce per le gestanti sovrappeso ed obese rispetto alle normopeso,<br />
con valori statisticamente significativi. Anche il tasso di travagli disfunzionali prim<strong>it</strong>ivi ed il rischio<br />
di sproporzione cefalo-pelvica risulta maggiore tra le donne sovrappeso (35% e 3% rispettivamente),<br />
come pure tra le obese (44% e 6% rispettivamente) rispetto alle normopeso<br />
(25% ed 1% rispettivamente) 44 .<br />
Il maggior ricorso all’induzione ed all’augmentatio oss<strong>it</strong>ocica nelle donne obese non è condiviso<br />
da tutti gli autori: taluni infatti ne riportano un aumentato rate attribuibile ad un’inadeguata<br />
attiv<strong>it</strong>à contrattile uterina durante la prima fase del travaglio 8,44 , mentre altri smentiscono<br />
tale dato, suggerendo una natura prevalentemente meccanica della distocia, correlata maggiormente<br />
ad un’anomala arch<strong>it</strong>ettura pelvica 12 . Gli aumentati depos<strong>it</strong>i nei tessuti molli della<br />
pelvi materna determinano una restrizione del canale del parto, prolungando il travaglio, in<br />
particolare nel secondo stadio. D’altro canto la presenza di un feto grande per età gestazionale,<br />
non di rado riscontrabile nelle donne obese, contribuisce alla più difficoltosa progressione<br />
della fase dilatante 14,45 .<br />
Uno studio prospettico di recente pubblicazione condotto su 612 donne nullipare a termine<br />
riscontra una più lenta progressione del travaglio di parto tra le donne sovrappeso ed<br />
obese rispetto ai controlli, attribuibile ad una più lenta dilatazione della cervice uterina, dai 4<br />
ai 6 cm per le donne sovrappeso ed entro i 7 cm tra le obese 45 .<br />
Queste patologiche condizioni ostetriche creano i presupposti per un parto operativo,<br />
traumi neonatali intrapartali (distocia di spalla, lesioni del plesso brachiale, frattura della clavicola),<br />
traumi materni (lacerazioni vulvari o perineali) o per il ricorso ad un taglio cesareo d’urgenza<br />
in travaglio 8,13 .<br />
Alcuni autori riportano anche un aumentato rate di parti operativi vaginali tra le donne<br />
affette da obes<strong>it</strong>à severa (OR 1,7 95% CI 1,2-2,2) 14 o anche soltanto tra le donne obese<br />
(p
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
terna ed il peso neonatale, rappresenta un fattore di rischio non meno significativo 46 .<br />
In accordo con quanto riportato, nell’analisi da noi condotta sull’obes<strong>it</strong>à emerge tra le donne<br />
con elevato BMI un’ incidenza di taglio cesareo elettivo maggiore rispetto alle normopeso,<br />
mentre tra quelle con eccessivo incremento ponderale è riscontrabile una maggior prevalenza<br />
di tagli cesarei d’urgenza in travaglio 3 .<br />
Da uno studio multicentrico su una larga coorte di soggetti emerge che il rischio di taglio<br />
cesareo risulta aumentato progressivamente all’aumento del BMI pregestazionale, con un OR<br />
di 1.8 tra le donne obese (95% CI=1.6-2.2) ed un incremento del 7% per ogni aumento un<strong>it</strong>ario<br />
del BMI pregravidico 47 . Ehrenberg e coll. riportano in una recente pubblicazione da uno<br />
studio condotto su una larga coorte di soggetti che l’obes<strong>it</strong>à pregravidica rappresenta un fattore<br />
di rischio indipendente nei confronti del parto cesareo, con un OR di 1,5 tra le sovrappeso<br />
(95% CI=1.3-1.8) e 2,4 tra le obese (95% CI=2.0-2.9), con P
236<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
L’obes<strong>it</strong>à inoltre rappresenta un fattore di rischio significativo per l’insorgenza di emorragia<br />
nel postpartum 4,14 . Bongain riporta un rischio aumentato di due volte 8 , Castro stima il rischio<br />
globale attorno al 70% 40 .<br />
Le complicanze postoperatorie più comuni sono rappresentate da infezioni, deiscenza della<br />
fer<strong>it</strong>a chirurgica, endometr<strong>it</strong>i puerperali e tromboembolismo venoso 4,14,15 . Myles e coll. riportano<br />
che l’obes<strong>it</strong>à rappresenta un fattore di rischio indipendente per infezioni postcesareo<br />
(23,4% verso 8,5%, P
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
Il management della gravidanza prevede i seguenti accorgimenti clinici:<br />
- Una stretta osservazione dell’aumento di peso corporeo<br />
L’Inst<strong>it</strong>ute of Medicine, sottolineando la correlazione tra l’aumento di peso in gravidanza<br />
ed il peso neonatale, raccomanda per le donne sovrappeso un aumento complessivo di 15-<br />
25 pounds (7-11 kg circa) e per le obese di 15 pounds (7 kg circa) in gravidanza 40 . Il fabbisogno<br />
energetico giornaliero totale in una donna gravida è di 2500 - 2700 Kcal. Un apporto di<br />
25 kcal/peso corporeo/die risulta adeguato in relazione al BMI, ed andrebbe ulteriormente<br />
corretto per età materna e grado di aumento ponderale.<br />
La dieta più opportuna prevede il consumo di carboidrati complessi, proteine, verdure,<br />
cereali, frutta, lipidi in moderata quant<strong>it</strong>à, ev<strong>it</strong>ando i grassi saturi e gli zuccheri semplici (ridotti<br />
al 35-40% delle calorie assunte). Una supplementazione alimentare con ferro ed acido ascorbico<br />
ed un moderato consumo di alcol sono risultati protettivi nei confronti della colel<strong>it</strong>iasi<br />
gravidica 27 .<br />
- Attiv<strong>it</strong>à fisica<br />
Va incoraggiato un moderato esercizio fisico di tipo aerobico costante e continuativo. Un<br />
programma adeguato è rappresentato da 50 minuti di nuoto o di ciclette per 5 giorni alla<br />
settimana, ma può essere adattato alle esigenze della singola paziente.<br />
- Screening per intolleranza glucidica, diabete gestazionale e disordini ipertensivi<br />
Diversi Autori concordano nel consigliare una curva glicemica breve in epoca preconcezionale<br />
e, qualora risulti negativa, una ripetizione a 26 settimane di gestazione 40 . La pressione<br />
arteriosa va mon<strong>it</strong>orata strettamente usando un appropriato bracciale ed inv<strong>it</strong>ando la paziente<br />
ad eseguire ripetute misurazioni domiciliari.<br />
- Profilassi eparinica<br />
In riferimento alle linee guida del Royal College of Obstetricians and Gynecologists del 200424 r<strong>it</strong>eniamo opportuno effettuare uno screening del profilo trombofilico congen<strong>it</strong>o ed acquis<strong>it</strong>o<br />
precoce in gravidanza nella donna obesa, allo scopo di intraprendere una profilassi con<br />
LMWE in gravidanza e nei primi giorni del puerperio in caso di pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à dello stesso. Per<br />
l’obes<strong>it</strong>à severa consideriamo indicata la profilassi anche in assenza di trombofilia documentata.<br />
- Screening ecografico per anomalie del tubo neurale ed altre possibili malformazioni fetali.<br />
Nella review di Castro e coll. del 2002 si raccomanda nel primo trimestre una valutazione<br />
ecografica e biochimica del rischio di anomalie cromosomiche fetali, segu<strong>it</strong>a da una valutazione<br />
morfologica a 18-22 settimane40 .A tali indicazioni, in relazione all’elevato rischio di anomalie<br />
del tubo neurale nelle gestanti obese, aggiungiamo l’eventuale opportun<strong>it</strong>à di eseguire<br />
un’ecografia morfologica iniziale a 16 settimane di gestazione, segu<strong>it</strong>a da una successiva di<br />
completamento a 21 settimane, allo scopo di effettuare una diagnosi prenatale quanto più<br />
precoce possibile.Viene consigliata inoltre una valutazione ecografica della cresc<strong>it</strong>a fetale ag-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
237
238<br />
Obes<strong>it</strong>à e gravidanza<br />
giuntiva in prossim<strong>it</strong>à del termine con eventuale stima peso fetale, sebbene sia noto possieda<br />
una scarsa accuratezza diagnostica 4,40 .<br />
- Modal<strong>it</strong>à di parto<br />
In presenza di macrosomia fetale, in assenza di diabete gestazionale, appare opportuno<br />
un taglio cesareo elettivo in caso di stima peso fetale superiore ai 4.500 g o 5.000 g, come<br />
riportato da diversi autori 40,54-58 .<br />
In presenza di diabete gestazionale materno, in accordo con le linee guida dell’ACOG e<br />
con i risultati di diversi studi in Letteratura, l’esecuzione di un taglio cesareo elettivo è indicata<br />
in caso di stima peso fetale superiore ai 4000 g o 4250 g 40, 59-62 .<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
PRE-ECLAMPSIA<br />
LA PRE-ECLAMPSIA:<br />
UN DISORDINE MULTISISTEMICO<br />
S. Inglese, M. Zanette, M. Bernardon, R.Tercolo,V. Soini, E. Bianchini, GP. Maso<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
20<br />
Introduzione<br />
Storicamente, i disturbi ipertensivi in gravidanza, rappresentano una delle principali complicanze<br />
ostetriche: sebbene le definizioni e le conoscenze dei meccanismi fisiopatologici ed<br />
eziopatogenetici siano cambiate nel tempo, la sindrome clinica che attualmente conosciamo<br />
come pre-eclampsia cost<strong>it</strong>uisce, sin dal passato, un cap<strong>it</strong>olo fondamentale della patologia ostetrica,<br />
essendo responsabile di un’elevata percentuale di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materne e fetali.<br />
Se nei paesi industrializzati le complicanze dell’ipertensione in gravidanza cost<strong>it</strong>uiscono una<br />
delle due principali cause di mortal<strong>it</strong>à materna 1 , si r<strong>it</strong>iene che nel mondo la pre-eclampsia, la<br />
cui frequenza è del 2-7% 2,3 , continui a provocare circa 50.000 morti/anno 4 . Numerosi sono gli<br />
aspetti che rendono peculiare questa condizione. Primo fra tutti, il fatto che la pre-eclampsia<br />
è una sindrome specifica della gravidanza. Inoltre, la sua espressione clinica, lungi dall’essere<br />
univoca, è caratterizzata da quella notevole variabil<strong>it</strong>à che è propria delle sindromi multisistemiche.<br />
Infine, nonostante le sempre più accurate possibil<strong>it</strong>à di studio, gli esatti meccanismi eziopatogenetici<br />
rimangono ignoti, precludendo, di conseguenza, la possibil<strong>it</strong>à di un approccio causale<br />
a tale patologia.<br />
Definizione<br />
Il presupposto all’analisi dei vari aspetti della pre-eclampsia consiste nel fatto che, sul piano<br />
concettuale, la definizione di questa condizione non coincide con i cr<strong>it</strong>eri classicamente<br />
utilizzati per fare la diagnosi. Mentre da un punto di vista diagnostico è sufficiente la presenza<br />
di ipertensione e proteinuria, la definizione di pre-eclampsia è quella di una patologia multisistemica<br />
che ha la potenzial<strong>it</strong>à di coinvolgere tutti gli apparati. Fare la diagnosi di pre-eclampsia<br />
implica, quindi, dal punto di vista concettuale, la consapevolezza che tutti i sistemi possono<br />
essere coinvolti con una sever<strong>it</strong>à e una rapid<strong>it</strong>à di progressione variabili e poco prevedibili.<br />
Da un punto di vista pratico, è importante sottolineare che la pre-eclampsia non rappresenta<br />
l’unica forma di ipertensione in gravidanza: a fronte delle complicanze caratteristiche,<br />
241
242<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
spesso gravi, di questa sindrome, occorre tenere presente che casi di ipertensione severa senza<br />
proteinuria possono essere associati ad una morbil<strong>it</strong>à materna e perinatale più elevata rispetto<br />
alle forme di pre-eclampsia lieve5 .Tali considerazioni hanno reso sempre più forte la<br />
necess<strong>it</strong>à di un inquadramento della pre-eclampsia nel contesto più ampio dei disordini ipertensivi<br />
in gravidanza.<br />
A tale propos<strong>it</strong>o sono state formulate diverse classificazioni, nessuna delle quali, tuttavia,<br />
ha ottenuto un consenso unanime. Secondo quella proposta dall’ACOG6 , l’ipertensione in gravidanza<br />
può essere suddivisa in:<br />
- ipertensione cronica: pressione arteriosa >= a 140/90 mmHg prima delle 20 settimane di<br />
gestazione o, se diagnosticata durante la gravidanza, persiste per sei mesi dopo il parto;<br />
- pre-eclampsia/eclampsia: presenza di ipertensione (PA >= 140/90 mmHg dopo le 20 settimane<br />
di gravidanza, confermata mediante due diverse misurazioni, in una donna precedentemente<br />
normotesa) associata a proteinuria (valore superiore a 300 mg/l in un campione<br />
casuale di urina o un’escrezione superiore a 300 mg/24 ore).<br />
- pre-eclampsia sovrapposta ad ipertensione cronica: comparsa di proteinuria in donne con<br />
ipertensione preesistente, oppure improvviso aumento della pressione e della proteinuria<br />
o insorgenza di tromboc<strong>it</strong>openia, aumento degli enzimi epatocellulari in donne con<br />
preesistente ipertensione e proteinuria.<br />
- ipertensione gestazionale o trans<strong>it</strong>oria: sviluppo di ipertensione nella seconda metà della gravidanza<br />
senza altri segni di pre-eclampsia.<br />
Nonostante la proteinuria cost<strong>it</strong>uisca un segno diagnostico, e l’elemento di differenziazione<br />
da altre cause di ipertensione, la sua assenza suggerisce comunque la diagnosi di pre-eclampsia<br />
quando l’aumento pressorio è accompagnato da altri quadri sistemici tipici di questa sindrome,<br />
quali tromboc<strong>it</strong>openia, iperuricemia, alterazione della funzional<strong>it</strong>à epatica senza altra<br />
causa, sintomi come cefalea severa, disturbi visivi, dolore epigastrico o in ipocondrio destro<br />
associati a nausea e vom<strong>it</strong>o.<br />
La classificazione della Pre-eclampsia Commun<strong>it</strong>y Guideline (PRECOG) 7 , supportata dal<br />
RCOG risulta per lo più sovrapponibile, con la differenza che la diagnosi di ipertensione è<br />
basata solo sulla pressione diastolica, considerando come valore soglia 90 mmHg.<br />
Rispetto alla precedente definizione della gestosi trisintomatica, quindi, le nuove classificazioni<br />
escludono l’edema come parametro diagnostico. Inoltre non è più considerato applicabile<br />
il cr<strong>it</strong>erio basato sull’incremento di 30 mmHg della PA sistolica e di 15 mmHg della PA<br />
diastolica qualora queste rimangano, in valore assoluto, inferiori a 140/90 mmHg: è ormai accertato<br />
che in questi casi l’outcome della gravidanza non risulta modificato.<br />
La valid<strong>it</strong>à di queste classificazioni riconosce, tra i principali lim<strong>it</strong>i, la difficoltà di individuare<br />
l’insorgenza della patologia in donne con preesistente proteinuria e/o ipertensione poichè<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
tali condizioni comportano un’alterazione di base dei parametri utilizzati per la diagnosi di<br />
pre-ecampsia. Secondo la classificazione ACOG, la diagnosi di pre-eclampsia in tali circostanze<br />
può essere considerata solo altamente probabile 6 ; in conclusione, i cr<strong>it</strong>eri tradizionali sono<br />
appropriati per confermare la diagnosi di pre-eclampsia nella maggior parte di nullipare in<br />
assenza di patologie associate.<br />
Dalla mancata invasione trofoblastica al disordine sistemico<br />
L’evidenza che la pre-eclampsia si manifesta esclusivamente in gravidanza e si risolve con il<br />
parto, ha storicamente sugger<strong>it</strong>o come indiziato eziopatogenetico più probabile l’elemento più<br />
caratteristico della gravidanza, la placenta. Risale a circa 50 anni fa la prima osservazione di ridotto<br />
flusso ematico nelle placente di donne ipertese: 8 lo studio istologico di biopsie placentari<br />
ha forn<strong>it</strong>o una giustificazione a tale fenomeno, dimostrando l’assenza delle modificazioni<br />
vascolari, legate al fisiologico processo di placentazione, nei casi affetti da pre-eclampsia 9-11 .Tali<br />
evidenze hanno sugger<strong>it</strong>o che la mancata invasione trofoblastica delle pareti delle arterie spirali<br />
e la conseguente compromissione della perfusione placentare cost<strong>it</strong>uiscono eventi chiave<br />
nella eziopatogenesi di tale patologia.<br />
Fisiologicamente, le modificazioni arteriose si verificano in step successivi che si concludono<br />
con la perd<strong>it</strong>a della componente muscolare della parete vascolare e, quindi, della capac<strong>it</strong>à<br />
di vasocostrizione. I precisi meccanismi che fisiologicamente regolano il processo di invasione<br />
trofoblastica sono ancora poco conosciuti: l’inev<strong>it</strong>abile conseguenza è una oggettiva difficoltà<br />
a comprendere quali alterazioni di tali processi comportino la ridotta perfusione placentare.<br />
Dal punto di vista teorico, ciascuno dei meccanismi di rimodellamento vascolare, a partire<br />
dalle più precoci modificazioni trofoblasto-indipendenti, potrebbe essere defic<strong>it</strong>ario nelle<br />
donne destinate a sviluppare la pre-eclampsia. In realtà, si r<strong>it</strong>iene che il principale difetto interessi<br />
la fase di invasione c<strong>it</strong>otrofoblastica endovascolare, mentre quella interstiziale si verificherebbe<br />
normalmente 12 . Nel complesso, si può speculare che l’invasione trofoblastica, paragonabile<br />
per certi versi all’invasione tumorale, si differenzia da quest’ultima per il fatto di essere<br />
un processo altamente controllato: infatti, l’acquisizione del fenotipo invasivo da parte<br />
del trofoblasto deriva da una complessa regolazione spazio-temporale nella espressione di<br />
molecole che conferiscono ad alcune cellule la peculiare capac<strong>it</strong>à di invasione 13,14 .Tali fattori<br />
sono molecole di adesione cellulare (CAMs), metalloproteinasi di matrice (MMPs) e i loro<br />
inib<strong>it</strong>ori tissutali (TIMPs), c<strong>it</strong>ochine, come TGF-beta ed i rispettivi recettori, tutti potenzialmente<br />
coinvolti nel fallimento del processo di incorporazione nella parete vascolare 15 . In particolare<br />
in placente di donne pre-eclamptiche è stata evidenziata la mancata espressione di molecole<br />
di adesione simil-endoteliali, normalmente presenti sulla superficie delle cellule del tro-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
243
244<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
foblasto endovascolare 16 . Altre ipotesi patogenetiche riguardano una difettiva secrezione di<br />
matrice fibrinoide, un’alterazione della regolazione del processo di apoptosi, dell’espressione<br />
di molecole di riconoscimento immun<strong>it</strong>ario (HLA-G), ed infine, l’aumento delle concentrazioni<br />
di ossigeno 15 . Nelle prime settimane di gravidanza, infatti, la condizione di ipossia fisiologica<br />
conseguente alla presenza endovascolare del trofoblasto potrebbe rappresentare un preciso<br />
meccanismo di regolazione genica; a conferma di questa ipotesi, alcuni studi hanno dimostrato<br />
l’associazione di outcome sfavorevoli con la presenza di flusso intervilloso nel I trimestre 17 .<br />
Se la patogenesi della mancata invasione trofoblastica, sebbene ancora da definire, ha trovato<br />
una direzione interpretativa, l’eziologia rimane ad uno stadio puramente speculativo.Allo<br />
stato attuale, una delle ipotesi più accred<strong>it</strong>ate è quella immun<strong>it</strong>aria 18,19 , secondo la quale il riconoscimento<br />
immun<strong>it</strong>ario materno del trofoblasto a livello della decidua, controlla la placentazione<br />
e, se defic<strong>it</strong>ario, potrebbe causare un’alterazione di questo processo. L’invasione trofoblastica,<br />
infatti, comporta uno stretto contatto tissutale tra cellule allogeniche e, inev<strong>it</strong>abilmente,<br />
l’insorgenza di fenomeni di rigetto o tolleranza: a differenza di quanto si verifica nelle<br />
classiche risposte immun<strong>it</strong>arie, tuttavia, i veri protagonisti di questi processi non sono i linfoc<strong>it</strong>i<br />
T, ma le cellule natural killer deciduali 20 .Tali cellule sono dotate di una classe di recettori<br />
polimorfici, chiamata KIRs in grado di interagire con l’antigene HLA-C che rappresenta il principale<br />
antigene paterno polimorfo espresso dal trofoblasto. Ciascuna gravidanza, pertanto, è<br />
caratterizzata da una diversa, specifica, combinazione di HLA-C fetale, di derivazione paterna,<br />
e recettori KIRs materni 20 : il mancato riconoscimento immun<strong>it</strong>ario tra queste molecole potrebbe<br />
essere importante per lo sviluppo della pre-eclampsia 21 .<br />
Un’altra ipotesi eziologica che desta particolare interesse è quella genetica: l’evidenza che<br />
la familiar<strong>it</strong>à cost<strong>it</strong>uisce un importante fattore di rischio, ha sugger<strong>it</strong>o che la predisposizione<br />
alla pre-eclampsia possa avere un substrato ered<strong>it</strong>ario. Sono stati formulati diversi modelli di<br />
trasmissione genica, da quella mendeliana di un singolo gene (a trasmissione recessiva o dominante<br />
con penetranza determinata dal fenotipo fetale o da fattori ambientali), ad una ered<strong>it</strong>arietà<br />
multigenica, imputabile agli effetti add<strong>it</strong>ivi o moltiplicativi di più geni, ciascuno con effetto<br />
individuale minimo 22,23 . In entrambi i casi, i geni responsabili di questa predisposizione,<br />
potrebbero essere quelli coinvolti nei diversi processi fisiopatologici della pre-eclampsia quali<br />
la regolazione della pressione arteriosa, l’infiammazione, lo stress ossidativo, la coagulazione.<br />
Nonostante i risultati ottenuti dai vari studi siano notevolmente confl<strong>it</strong>tuali, sono state riscontrate<br />
delle associazioni con specifici polimorfismi dei geni del sistema renina-angiotensina-aldosterone<br />
24 , del gene del TNF-alfa 25 , della NO sintetasi 26 . I risultati di un ampio studio di<br />
popolazione 27 che prende in considerazione le mutazioni relative al fattore V Leiden, l’MTHRF<br />
C677T, la protrombina G20210A, il PAI-1 4G-5G e il recettore piastrinico del collagene alfa2-beta1<br />
C807T sembrano, invece, negare l’associazione con il genotipo protrombotico. La<br />
review sistematica della letteratura condotta dagli stessi autori sembra supportare tale conclusione,<br />
anche se suggerisce che la malattia severa potrebbe essere associata al fattore V<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
Leiden e, in minor misura all’MTHFR: tali associazioni, inoltre, risultano significativamente evidenti<br />
in alcune popolazioni rispetto ad altre. Poiché la prevalenza della pre-eclampsia è più<br />
elevata in donne con anamnesi pos<strong>it</strong>iva per trombosi, fattori di rischio protrombotici non ancora<br />
conosciuti potrebbero essere coinvolti nella eziopatogenesi.<br />
L’alterazione del normale processo di placentazione cost<strong>it</strong>uisce il primum movens di una<br />
serie di complessi meccanismi fisiopatologici capaci di coinvolgere virtualmente tutti i sistemi<br />
materni. Occorre, a questo punto, definire come un fenomeno locale placentare possa tradursi<br />
in una condizione materna generalizzata. L’anello di congiunzione dovrebbe essere qualcosa<br />
che, presente a livello sistemico, possa essere influenzato dalle reazioni alla ridotta placentazione.<br />
Tale struttura è l’endotelio: lungi dall’essere una barriera inerte, esso cost<strong>it</strong>uisce<br />
un apparato estremamente attivo che, mediante la sintesi di numerose molecole, rappresenta<br />
uno dei principali sistemi di regolazione delle resistenze vascolari, della coagulazione, della<br />
permeabil<strong>it</strong>à vascolare.<br />
L’analisi delle lesioni istologiche presenti nei vari organi (Tabella 1) evidenzia, come denominatore<br />
comune, la presenza di emorragia e di necrosi: queste modificazioni non sono quelle<br />
imputabili all’ipertensione. Nonostante questa cost<strong>it</strong>uisca un aspetto chiave della pre-eclampsia,<br />
non rappresenta il meccanismo fisiopatologico mediante il quale si determina il coinvolgimento<br />
sistemico: al pari delle altre manifestazioni cliniche, anche l’ipertensione è una delle<br />
espressioni della malattia sistemica. Le stesse modificazioni presenti a livello renale (rigonfiamento<br />
dei capillari glomerulari e del mesangio, inclusioni nella membrana basale capillare e<br />
assenza di alterazioni dei podoc<strong>it</strong>i), che definiscono il quadro della glomeruloendoteliosi non<br />
sono state descr<strong>it</strong>te in nessuna altra forma di ipertensione.<br />
Tabella 1. Lesioni istopatologiche nella pre-eclampsia<br />
Organo Lesione istopatologica<br />
Fegato Emorragia e necrosi<br />
Surreni Emorragia e necrosi<br />
Cervello Emorragia petecchiale<br />
Cuore Necrosi subendocardica<br />
Rene Endoteliosi glomerulare<br />
Le alterazioni presenti nei vari organi suggeriscono, invece, che il meccanismo fisiopatologico<br />
implicato, sia quello della ridotta perfusione d’organo: i processi endotelio-dipendenti di<br />
vasocostrizione, attivazione della cascata coagulativa e riduzione del volume plasmatico, quadri<br />
costanti della pre-eclampsia, ne cost<strong>it</strong>uirebbero la giustificazione 28 .<br />
Il possibile coinvolgimento della disfunzione endoteliale nella fisiopatologia della pre-eclampsia,<br />
è supportato dall’evidenza di numerose alterazioni dei parametri di funzional<strong>it</strong>à endoteliale<br />
non solo in donne che presentano la malattia conclamata ma anche in quelle in cui non<br />
si è ancora palesata alcuna manifestazione clinica. Le donne che svilupperanno la pre-eclam-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
245
246<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
psia in fase più avanzata di gravidanza presentano, infatti, un’aumentata sensibil<strong>it</strong>à ad agenti vasopressori,<br />
un ridotto volume plasmatico, un aumentato turnover piastrinico e valori pressori<br />
medi più elevati 29,30 .<br />
Ma quali sono i processi responsabili dell’alterata funzione endoteliale? Recenti studi hanno<br />
dimostrato che, parallelamente alla presenza di indicatori di disfunzione endoteliale, l’insorgenza<br />
della pre-eclampsia è associata all’incremento dei markers di stress ossidativo placentare-sistemico<br />
e di esaltata attivazione infiammatoria 31 .Tali osservazioni hanno condotto a<br />
formulare l’ipotesi che l’endotelio rappresenti il bersaglio, mentre lo stress ossidativo e la risposta<br />
infiammatoria aumentata i mezzi attraverso i quali l’alterazione della placenta si esprime<br />
con una malattia sistemica. Lo stress ossidativo e l’infiammazione cronica sono fenomeni<br />
tra loro legati, in modo verosimilmente inev<strong>it</strong>abile. Una risposta infiammatoria genera lo stress<br />
ossidativo. D’altra parte lo stress ossidativo è in grado di scatenare e amplificare una risposta<br />
infiammatoria. Non deve, pertanto, sorprendere che in condizioni di infiammazione sistemica,<br />
quale è la pre-eclampsia, lo stress ossidativo non sia localizzato alla placenta ma disseminato<br />
nella circolazione materna. Ne risulta una sorta di circolo vizioso, capace di autoalimentarsi:<br />
quale dei due fenomeni si realizzi per primo, rimane tuttora ignoto.<br />
Lo stress ossidativo<br />
Lo stress ossidativo è l’espressione dello squilibrio tra le difese antiossidanti e la produzione<br />
di specie reattive dell’ossigeno: questi inducono un danno cellulare diretto attraverso la<br />
rottura delle catene e l’alterazione delle basi del DNA, attivano la necrosi e l’apoptosi aumentando<br />
la concentrazione cellulare di calcio, ed infine determinano processi di perossidazione<br />
lipidica con formazione di prodotti circolanti in grado di attivare cellule endoteliali secondo<br />
un meccanismo ormai ben defin<strong>it</strong>o nell’aterosclerosi 32 . I lipidi ossidati stimolano un fattore di<br />
trascrizione nucleare delle cellule endoteliali, fattore nucleare Kß, che induce l’espressione di<br />
numerose c<strong>it</strong>ochine infiammatorie e molecole di adesione cellulare, ed inoltre aumenta la permeabil<strong>it</strong>à<br />
3 . Uno dei principali stimoli alla genesi di radicali liberi è rappresentato dall’ischemia<br />
segu<strong>it</strong>a dalla riperfusione: a livello placentare tale circostanza, capace di attivare il sistema della<br />
xantina ossidasi/deidrogenasi, potrebbe verificarsi come conseguenza del mantenimento della<br />
capac<strong>it</strong>à di costrizione/dilatazione delle arterie spirali in risposta a stimoli materni per la<br />
mancata invasione trofoblastica, oppure in segu<strong>it</strong>o alla formazione di microtrombi nella circolazione<br />
uteroplacentare segu<strong>it</strong>a dalla dissoluzione dei coaguli 34 . L’attendibil<strong>it</strong>à dell’ipotesi che<br />
la placenta rappresenti l’origine dello stress ossidativo nella pre-eclampsia, richiede dei modelli<br />
che giustifichino il passaggio dei radicali liberi verso la circolazione materna sistemica affinchè<br />
questi alterino la funzional<strong>it</strong>à endoteliale. A parte pochi prodotti stabili, come la malondialdeide<br />
e il 4-idrossi nonenolo, infatti, i radicali liberi hanno un’emiv<strong>it</strong>a troppo breve perché<br />
possano essere infusi direttamente nella circolazione materna: mediatori dell’amplificazione<br />
sistemica dello stress ossidativo placentare potrebbero essere i leucoc<strong>it</strong>i materni, che at-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
tivati durante il passaggio attraverso la placenta non perfusa dalle c<strong>it</strong>ochine o lipidi perossidi<br />
sintetizzati localmente 35 , e immessi nella circolazione materna, rilascerebbero prodotti ossidativi<br />
sulla superficie endoteliale. Inoltre, lo stress ossidativo placentare è responsabile della sintesi<br />
di c<strong>it</strong>ochine infiammatorie e, mediante l’aumentata apoptosi locale, dell’immissione nella<br />
circolazione materna di particelle di microvilli placentari ricche di fosfolipidi ossidati: sia le c<strong>it</strong>ochine,<br />
sia le particelle di sfaldamento potrebbero attivare leucoc<strong>it</strong>i circolanti 36 o interagire<br />
direttamente con l’endotelio, che, pur cost<strong>it</strong>uendo il target ultimo dello stress ossidativo, rappresenta<br />
esso stesso una grande sorgente di radicali dell’ossigeno 37 .<br />
Ammesso che la genesi di un eccesso di radicali liberi sia in grado di innescare il processo<br />
patologico della pre-eclampsia, non si può escludere che un defic<strong>it</strong> dei sistemi antiossidanti<br />
possa rappresentare un fattore di predisposizione alla malattia. Nelle fasi precoci di gravidanze<br />
normali, è stata riportata una upregulation di specie antiossidanti 38 . Queste svolgerebbero<br />
una sorta di compenso nei confronti del burst ossidativo che accompagna la perfusione<br />
pressocchè improvvisa durante il processo di placentazione. Il fallimento di questo meccanismo<br />
protettivo cost<strong>it</strong>uisce un substrato predisponente al successivo sviluppo della preeclampsia.<br />
In placente di donne pre-eclamptiche, è stata riportata una ridotta attiv<strong>it</strong>à della glutatione<br />
per ossidasi, Cu/Mn superossido dismutasi 39 e superossido dismutasi totale 40 . Studi di<br />
genetica indicano che i polimorfismi dei geni coinvolti nella difesa antiossidante sono più frequenti<br />
in donne con pre-eclampsia 41,42 . La controprova del ruolo eserc<strong>it</strong>ato da questi sistemi<br />
di difesa è rappresentata dall’osservazione di un aumentato rischio di pre-eclampsia in donne<br />
con minor apporto dietetico di antiossidanti 43 e di una protezione eserc<strong>it</strong>ata dalla somministrazione<br />
di v<strong>it</strong>amina C ed E44. Il beneficio di tale supplementazione deriverebbe dal fatto<br />
che alcuni antiossidanti, in particolare l’acido ascorbico, non solo sono in grado di fronteggiare<br />
i radicali liberi, ma hanno anche dirette capac<strong>it</strong>à anti-infiammatorie.<br />
La risposta infiammatoria<br />
La gravidanza comporta, fisiologicamente, un’attivazione generalizzata del sistema immun<strong>it</strong>ario<br />
innato che si realizza mediante leucoc<strong>it</strong>osi ed attivazione leucoc<strong>it</strong>aria, attivazione del<br />
sistema emocoagulativo, del complemento e delle piastrine e dell’endotelio 45,46 . Sostenendo<br />
l’ipotesi della pre-eclampsia come disfunzione endoteliale sistemica, due aspetti della precedente<br />
affermazione devono essere enfatizzati: il primo è il concetto che fisiologicamente la<br />
gravidanza rappresenta uno stato di infiammazione sistemica. Il secondo riguarda l’endotelio<br />
come parte integrante del sistema infiammatorio generalizzato. Le cellule endoteliali, infatti,<br />
sono cellule immun<strong>it</strong>arie completamente funzionanti, in grado di interagire con le cellule del<br />
sistema innato, di presentare l’antigene dopo un’appropriata stimolazione, di produrre una serie<br />
di c<strong>it</strong>ochine pro-infiammatorie.<br />
Tali considerazioni consentono di ipotizzare che la risposta infiammatoria sistemica della<br />
pre-eclampsia non sia intrinsecamente diversa da quella di una normale gravidanza, eccetto<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
247
248<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
per il fatto che è più severa: la pre-eclampsia si manifesta, pertanto, solo quando la risposta<br />
infiammatoria diventa estrema e scompensata 47 .<br />
Vi sono alcune condizioni in cui, anche se in linea teorica, l’amplificazione della reazione fisiologica,<br />
può trovare una giustificazione. Patologie quali l’obes<strong>it</strong>à, il diabete, l’ipertensione cronica,<br />
che cost<strong>it</strong>uiscono condizioni predisponenti alla pre-eclampsia, rappresentano degli stati<br />
di infiammazione sistemica. L’effetto di queste patologie è, verosimilmente, quello di generare<br />
uno stato di infiammazione sistemica di base su cui si inseriscono le modificazioni indotte<br />
dalla gravidanza, con un abbassamento della soglia sufficiente perché si verifichi lo scompenso.<br />
La disfunzione endoteliale<br />
Il vero protagonista della fisiopatologia della pre-eclampsia è l’endotelio. Pur contribuendo<br />
direttamente alla genesi dello stress ossidativo e dell’infiammazione sistemica esso rappresenta<br />
il reale bersaglio di questi processi. Le c<strong>it</strong>ochine infiammatorie, i radicali liberi, i detr<strong>it</strong>i<br />
placentari infatti, comportano un’inappropriata attivazione che, se da un lato coinvolge l’endotelio<br />
ad alimentare il circolo vizioso della pre-eclampsia, dall’altro determina una profonda<br />
compromissione funzionale di queste cellule nella delicata regolazione del tono e della permeabil<strong>it</strong>à<br />
vascolare e dell’omeostasi coagulativa 48 .<br />
Sul piano molecolare, markers circolanti di disfunzione endoteliale, che risultano aumentati<br />
nella pre-eclampsia, includono il fattore von Willebrand, la trombomodulina, la fibronectina<br />
cellulare, l’attivatore del plasminogeno tissutale e il PAI-1, l’endotelina1 49-51 ; inoltre è accentuata<br />
l’espressione di alcune molecole di adesione cellulare, come VCAM e fattori di cresc<strong>it</strong>a<br />
come VEGF 52,53 .<br />
Sul piano funzionale numerose sono le manifestazioni di una inappropriata attivazione endoteliale<br />
48,54 , quali l’assenza della tipica stimolazione del sistema renina-angiotensina (nonostante<br />
la sostanziale ipovolemia); l’aumentata sensibil<strong>it</strong>à vascolare all’angiotensina II e alla norepinefrina<br />
con successiva vasocostrizione ed ipertensione; l’aumentata permeabil<strong>it</strong>à vascolare; infine<br />
la ridotta produzione di ossido n<strong>it</strong>rico e di prostaglandine vasodilatatorie, come la prostaciclina<br />
con conseguente sbilanciamento del rapporto trombossano A2/prostaciclina e compromissione<br />
del delicato equilibrio mediante il quale queste molecole regolano il tono vascolare<br />
e l’attivazione piastrinica 55 .<br />
Il ruolo potenziale della dislipidemia<br />
Un crescente numero di evidenze enfatizza il potenziale ruolo di disturbi lipidici nel danno<br />
vascolare della pre-eclampsia, prima fra tutte, l’accumulo di lipidi nelle sedi di danno endoteliale.<br />
La lesione classica della placenta pre-eclamptica è l’aterosi acuta, espressione dell’accumulo<br />
di macrofagi ripieni di lipidi circondati da aree di necrosi fibrinoide nelle arterie<br />
spirali- figure affini all’aterogenesi in donne non gravide 56 . Similmente la lesione caratteristica<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
nel glomerulo -l’endoteliosi- consiste nell’accumulo di lipidi nelle cellule endoteliali glomerulari;<br />
infine depos<strong>it</strong>i di lipidi si verificano anche a livello epatico, in modo particolarmente marcato<br />
nella sindrome HELLP che rappresenta una complicanza severa della pre-eclampsia.<br />
Un secondo aspetto da sottolineare concerne il fatto che il profilo lipidico, già modificato<br />
nella gravidanza fisiologica, risulta decisamente alterato nella pre-eclampsia. In particolare le<br />
concentrazioni di trigliceridi (soprattutto nella forma di VLDL) sono significativamente più elevate<br />
e quelle di HDL sono significativamente più basse rispetto alla gravidanza fisiologica 57 .Le<br />
differenze relative alle LDL, sono per lo più di ordine qual<strong>it</strong>ativo: più che come concentrazione<br />
totale, infatti, è aumentata la frazione delle LDL III, piccole, dense dotate di un aumentato<br />
potenziale ossidante e ridotto legame recettoriale 58 .<br />
Il punto di partenza del quadro dislipidemico è rappresentato verosimilmente da un incremento<br />
di acidi grassi liberi (NEFA), le cui concentrazioni risultano aumentate ben prima<br />
che le manifestazioni cliniche compaiano 59 . Non è noto quale sia l’evento scatenante l’eccesso<br />
di NEFA; tuttavia ipotesi valide sono rappresentate da una esaltata lipolisi a livello degli adipoc<strong>it</strong>i,<br />
conseguenza di uno stimolo placentare o di un’alterazione lipol<strong>it</strong>ica preesistente (già<br />
segnalata in soggetti obesi), oppure un ridotto catabolismo degli acid grassi (per anomala beta-ossidazione<br />
m<strong>it</strong>ocondriale) o delle VLDL (ridotta attiv<strong>it</strong>à della LPL adiposa/scheletrica).<br />
Anche di fuori della gravidanza elevate concentrazioni di NEFA stimolano la sintesi epatica<br />
di trigliceridi che, a loro volta, inducono una riduzione di HDL e un incremento di LDL III.<br />
Ne risulta un pattern lipidico con elevati livelli di NEFA, trigliceridi,VLDL, LDL-III piccole dense,<br />
altamente aterogeno in quanto legato a danno endoteliale.<br />
Se è innegabile che l’aumentata concentrazione di c<strong>it</strong>ochine possa mediare alcune delle<br />
modificazioni lipidiche descr<strong>it</strong>te potrebbe essere vero anche il contrario, cioè l’aumentata lipolisi<br />
degli adipoc<strong>it</strong>i potrebbe rappresentare l’elemento chiave nella catena degli eventi che<br />
portano al disturbo metabolico e alla fisiopatologia della pre-eclampsia. Sulla base di queste<br />
considerazioni, la dislipidemia potrebbe rappresentare il precursore dell’infiammazione vascolare<br />
e gli adipoc<strong>it</strong>i i potenziali promotori della disfunzioni endoteliale attraverso la produzione<br />
di composti implicati nella fisiopatologia della pre-eclampsia, ma anche di altre patologie<br />
croniche con insulto vascolare, quali il diabete, la patologia coronarica.<br />
Conclusioni<br />
A conclusione dell’analisi dei processi fisiopatologici della pre-eclampsia, e con il presupposto<br />
che l’esatta eziopatogenesi di questa condizione è ignota, è doveroso porsi alcuni ques<strong>it</strong>i.<br />
Innanz<strong>it</strong>utto ci si potrebbe chiedere se la ridotta perfusione placentare sia una condizione<br />
sufficiente a causare la pre-eclampsia.<br />
L’evidenza che l’ipoperfusione placentare può essere presente in caso di restrizione di cre-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
249
250<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
sc<strong>it</strong>a intrauterina non associata alla pre-eclampsia 60 , suggerisce che tale anomalia non inev<strong>it</strong>abilmente<br />
comporta la pre-eclampsia. Ad ulteriore conferma, occorre considerare che solo in<br />
un terzo di donne con pre-eclampsia si verifica lo IUGR 61 e che condizioni predisponenti alla<br />
pre-eclampsia, come il diabete gestazionale e l’obes<strong>it</strong>à, sono associate, invece, ad una cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale accelerata 62 .<br />
Partendo da questo presupposto, il secondo ques<strong>it</strong>o verte su quali condizioni intervengano<br />
nella patogenesi della pre-eclampsia.<br />
Fattori genetici, comportamentali ed ambientali potrebbero condizionare la risposta materna<br />
alla ridotta perfusione placentare, facil<strong>it</strong>ando la genesi dello stress ossidativo o incrementando<br />
la sensibil<strong>it</strong>à materna a questa condizione. Epidemiologicamente, sono state individuate<br />
numerose s<strong>it</strong>uazioni meterne predisponenti alla pre-eclampsia (ipertensione, diabete,<br />
obes<strong>it</strong>à, razza nera, iperomocisteinemia, aumentato rapporto v<strong>it</strong>a-fianchi) molte delle quali<br />
cost<strong>it</strong>uiscono fattori di rischio per la patologia cardiovascolare in età avanzata: tale osservazione<br />
non deve sorprendere dal momento che molte delle modificazioni fisiopatologiche della<br />
pre-eclampsia (profilo lipidico, stress ossidativo e disfunzione endoteliale) sono sovrapponibili<br />
a quelle implicate nell’aterosclerosi.<br />
È opportuno sottolineare che ciascun fattore materno non necessariamente rappresenta<br />
la stessa condizione di rischio in tutte le donne. Pertanto, in alcuni casi la condizione predisponente<br />
potrebbe derivare dall’esposizione a fattori tossici, in alcuni da obes<strong>it</strong>à, in altri dalla<br />
insulino-resistenza. La possibil<strong>it</strong>à di cause potenziali differenti è illustrata dai polimorfismi genetici.<br />
Il polimorfismo che condiziona la funzional<strong>it</strong>à della metilen-tetraidrofolato-reduttasi, enzima<br />
chiave nel metabolismo dell’omocisteina, è più comune in donne con pre-clampsia in<br />
Italia 63 e Giappone 64 ma non in Finlandia 65 . Similmente la mutazione del fattore V Leiden è più<br />
comune in donne con pre-eclampsia in Utah 66 e Ungheria 67 ma non in Giappone 68 .<br />
Occorre, da ultimo, chiedersi se la ridotta perfusione è una condizione necessaria per lo<br />
sviluppo della pre-eclampsia: il fatto che questa anomalia possa essere associata alla nasc<strong>it</strong>a di<br />
“large infants” sembrerebbe negare tale affermazione. È stata proposta l’esistenza di due forme<br />
di pre-eclampsia, rispettivamente associata o indipendente dalla ridotta perfusione placentare<br />
69 .Tale ipotesi rientra in una interpretazione della pre-eclampsia come espressione di<br />
uno spettro di interazioni materno-fetali-placentari ed in particolare come risultato di una risposta<br />
materna anomala a specifici segnali fetali. L’anomala vascolarizzazione comporterebbe<br />
la genesi di segnali placentari in grado di modificare il metabolismo e la fisiologia materna nel<br />
tentativo di aumentare il rilascio di nutrienti al feto. In gran parte dei casi si verificherebbe un<br />
compenso e la nasc<strong>it</strong>a di un neonato con peso normale nonostante la ridotta perfusione placentare,<br />
mentre l’assenza di questo segnale sarebbe responsabile di IUGR. L’insorgenza della<br />
pre-eclampsia, potrebbe verificarsi, come conseguenza di un segnale fetale eccessivo o di una<br />
esaltata sensibil<strong>it</strong>à materna ad un segnale appropriato: l’estrapolazione di questo concetto potrebbe<br />
essere che in donne estremamente sensibili all’insulto, anche il minor grado di stress<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
ossidativo legato alla normale gravidanza possa non essere tollerato, generando la sindrome<br />
materna. In conclusione si può affermare che nonostante la pre-eclampsia sia causata dalla<br />
presenza della placenta o dalla risposta materna a questa, la scarsa placentazione non è la<br />
causa della pre-eclampsia, quanto un potente fattore predisponente, che una volta stabil<strong>it</strong>osi,<br />
può condurre alla sindrome materna, in base all’estensione dei segnali infiammatori che causa<br />
e dalla natura della risposta materna a tali segnali 70 .<br />
Nella pratica clinica, probabilmente, la pre-eclampsia cost<strong>it</strong>uisce qualcosa di più esteso di<br />
una singola malattia: è possibile che la patogenesi e la fisiopatologia del disordine che porta<br />
alla comparsa prima delle 34 settimane associata a basso peso alla nasc<strong>it</strong>a e parto pretermine<br />
potrebbero differire da quelle implicate nella malattia che si sviluppa a termine, durante il<br />
travaglio o nel postpartum senza un coinvolgimento fetale dimostrabile 70 .<br />
La sindrome multisistemica<br />
Il risvolto clinico di un processo fisiopatologico sistemico consiste nel fatto che tutti gli organi<br />
possono, potenzialmente, essere coinvolti. Caratteristica peculiare della pre-eclampsia è<br />
infatti rappresentata dalla molteplic<strong>it</strong>à dei quadri clinici, oltre che da una notevole variabil<strong>it</strong>à<br />
della sever<strong>it</strong>à, del momento di insorgenza e della rapid<strong>it</strong>à di progressione con cui questi possono<br />
manifestarsi. A parte le lesioni dei singoli organi, potenzialmente responsabili delle principali<br />
complicanze, la pre-eclampsia si caratterizza per alcune modificazioni dei grossi sistemi<br />
omeostatici che sebbene non siano specifiche, si differenziano da quelle indotte dalla normale<br />
gravidanza.<br />
Il primo esempio è rappresentato dall’apparato cardiocircolatorio. La valutazione emodinamica<br />
long<strong>it</strong>udinale non invasiva mediante Doppler 71 ha evidenziato, sin dalla fase preclinica,<br />
un output cardiaco significativamente aumentato e resistenze vascolari normali in donne che<br />
svilupperanno la pre-eclampsia rispetto a quelle che non la svilupperanno. L’insorgenza di una<br />
qualsiasi forma di ipertensione, comporta un aumento delle resistenze vascolari, ma solo in<br />
donne con pre-eclampsia questo processo si associa ad una riduzione dell’output cardiaco. Il<br />
quadro emodinamico dopo l’insorgenza della sindrome clinica, valutato mediante la metodica<br />
invasiva, è rappresentato da normale pressione di riempimento ventricolare, elevate resistenze<br />
vascolari e funzione ventricolare iperdinamica 72 . Caratteristico della preeclampsia 73 è,<br />
inoltre, uno stato di emoconcentrazione legato all’aumentata permeabil<strong>it</strong>à vascolare e alla fuoriusc<strong>it</strong>a<br />
dei fluidi nello spazio interstiziale: tale ridistribuzione dei fluidi corporei, sebbene non<br />
presenti ripercussioni rilevanti sull’omeostasi elettrol<strong>it</strong>ica, contribuisce ad aumentare il rischio<br />
tromboembolico.<br />
Anche il sistema endocrino subisce delle particolari modificazioni: l’asse renina-angiotensina<br />
aldosterone, stimolato durante la normale gravidanza, è attivo a livelli non gravidici quan-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
251
252<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
do la gravidanza è complicata dall’insorgenza di ipertensione: ciononostante, le donne con preeclampsia<br />
presentano r<strong>it</strong>enzione di sodio 74 . Questo fenomeno potrebbe esser attribu<strong>it</strong>o ai livelli<br />
abnormemente aumentati di deossicorticosterone, potente mineralcorticoide la cui produzione,<br />
ottenuta dalla conversione del progesterone plasmatico, è svincolata dalla delicata<br />
regolazione della steroidogenesi surrenalica 75 . I livelli di vasopressina risultano normali nonostante<br />
la ridotta osmolar<strong>it</strong>à plasmatica 76 , mentre il rilascio di peptide atriale natriuretico è superiore<br />
rispetto a quello che si verifica in una normale gravidanza 77 .<br />
Infine modificazioni ematologiche, sebbene non costanti, sono particolarmente importanti<br />
in quanto possono rappresentare uno strumento di mon<strong>it</strong>oraggio della progressione della<br />
malattia e una spia dello sviluppo di complicanze: in particolare l’emolisi, l’alterazione dei parametri<br />
di coagulazione, e, prima fra tutte, la tromboc<strong>it</strong>openia.Tale condizione, la cui frequenza<br />
nei vari studi è decisamente variabile, è espressione del consumo piastrinico conseguente<br />
all’attivazione nei s<strong>it</strong>i di danno endoteliale o mediato da processi immunologici 78 . La valutazione<br />
della tromboc<strong>it</strong>openia ha un profondo significato clinico: a parte l’ovvia conseguenza sulla<br />
coagulazione, infatti, tale parametro riflette la sever<strong>it</strong>à del processo patologico. E’ stata descr<strong>it</strong>ta<br />
una relazione proporzionale tra il livello di piastrine, la morbil<strong>it</strong>à e la mortal<strong>it</strong>à materna<br />
e fetale: una tromboc<strong>it</strong>openia 160/110 mmHg, o di una proteinuria > 5g/24, oppure<br />
dalla presenza di una delle seguenti condizioni in una donna in cui è stata effettuata la<br />
diagnosi di pre-eclampsia:<br />
- edema polmonare<br />
- oliguria (
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
- convulsioni<br />
- sintomi cerebrali (cefalea, disturbi visivi iperreflessia)<br />
- rapida insorgenza di edema generalizzato (specialmente a livello del volto)<br />
- tromboc<strong>it</strong>openia 38 settimane<br />
- Epoca gestazionale >34 settimane e:<br />
Pre-eclampsia severa<br />
Travaglio o pROM<br />
Oligoanidramnios<br />
Iugr severo<br />
Condizioni fetali non rassicuranti<br />
Epoca gestazionale
254<br />
Complicanze materne 70,81<br />
- Distacco di placenta (frequenza 1-4%).<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
- Patologia renale: il rene rappresenta uno dei classici bersagli della pre-eclampsia, come indicato<br />
pressocchè costantemente della proteinuria sul piano clinico e dalla glomeruloendoteliosi<br />
su quello istologico.<br />
Dal punto di vista funzionale, inoltre, contrariamente a quanto si verifica nella normale gravidanza,<br />
la pre-eclampsia si caratterizza per una riduzione della perfusione renale e della filtrazione<br />
glomerulare. Ciononostante, complicanze gravi, in particolare l’insufficienza renale acuta<br />
risultano relativamente poco frequenti (1-5%) e decisamente più probabili in caso di ipertensione<br />
cronica preesistente alla gravidanza. Più frequentemente l’insufficienza renale acuta<br />
è l’espressione di necrosi tubulare acuta: questa, trattandosi di una lesione reversibile, guarisce<br />
senza compromissione renale a lungo termine. Al contrario, donne con pre-eclampsia<br />
complicata da CID o distacco di placenta o in pazienti con un coinvolgimento renale pregravidico<br />
noto, sono più a rischio di necrosi corticale bilaterale che, oltre ad essere irreversibile,<br />
comporta un elevato rischio di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materna e fetale.<br />
Un parametro utile di valutazione della funzional<strong>it</strong>à renale, oltre a quelli più classici, è rappresentato<br />
dalla osmolar<strong>it</strong>à urinaria. Urine concentrate, riflettono un sistema renale capace di<br />
mantenere l’omeostasi idro-elettrol<strong>it</strong>ica e l’eventuale presenza di oliguria è imputabile alla ridotta<br />
perfusione. Urine non concentrate rappresentano, invece, un segnale di scompenso della<br />
funzional<strong>it</strong>à renale.<br />
- Patologia epatica: test anomali di funzional<strong>it</strong>à epatica sono stati riportati nel 20-30% di gravidanze<br />
complicate da pre-eclampsia e riflettono, verosimilmente, una disfunzione secondaria<br />
alla vasocostrizione. Le lesioni istologiche caratteristiche sono rappresentate da deposizione<br />
di fibrina periportale, emorragia e necrosi epatocellulare.<br />
Una forma più grave di coinvolgimento epatico è rappresentata dalla sindrome HELLP (2-<br />
4%) (hemolysis-elevated liver enzymes-low platelet): si tratta di una sindrome ad eziopatogenesi<br />
ignota che può verificarsi anche in assenza dei sintomi caratteristici della pre-eclampsia.<br />
Le possibili complicazioni comprendono la coagulazione intravascolare, l’insufficienza renale<br />
acuta, l’edema polmonare acuto, la rottura di fegato. Quest’ultima rappresenta la complicanza<br />
epatica più temibile in quanto associata ad una mortal<strong>it</strong>à del 30%; si verifica soprattutto in<br />
multipare di età avanzata come conseguenza di una pre-eclampsia severa o della sindrome<br />
HELLP, ma la causa rimane ignota.<br />
Le ipotesi eziopatogenetiche comprendono una cascata di eventi che cominciano con la disfunzione<br />
endoteliale e la deposizione intravascolare di fibrina, ostruzione sinusoidale, congestione<br />
venosa intraepatica, ematoma epatico sottocapsulare e infine rottura epatica.<br />
L’emorragia può essere così estesa da causare la rottura della capsula dentro la cav<strong>it</strong>à per<strong>it</strong>oneale.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
- Patologia respiratoria: (2-5%) donne con pre-eclampsia possono sviluppare un’insufficienza<br />
respiratoria acuta, la cui causa più probabile è rappresentata dall’edema polmonare acuto.Tale<br />
complicanza solo nel 30% dei casi si verifica nel periodo antenatale e nella maggior parte di<br />
questi, condizioni favorenti sono l’ipertensione cronica in associazione con età materna avanzata<br />
e multipar<strong>it</strong>à. Il 70-80% dei casi di edema polmonare, invece, si verifica nel periodo del<br />
postpartum: questi sono imputabili ad una eccessiva infusione di liquidi. Occorre tenere presente,<br />
infatti, che nonostante le pazienti con pre-eclampsia siano ipovolemiche, i loro tessuti<br />
hanno un sovraccarico di fluidi e presentano una maggiore sensibil<strong>it</strong>à alle variazioni di volume.<br />
Anche l’ARDS può essere causa di insufficienza respiratoria acuta in pazienti pre-eclamptiche.<br />
Il danno polmonare in questo caso è l’espressione dell’insulto endoteliale locale, con<br />
sequestro di neutrofili nel polmone, aumentata permeabil<strong>it</strong>à capillare polmonare, edema interstiziale<br />
ed alveolare, ed infine emorragia alveolare a cui consegue la deposizione di fibrina<br />
e formazione di membrane ialine.<br />
- Patologia cerebrale: la pre-eclampsia è associata ad un’aumentata pressione di perfusione cerebrale<br />
controbilanciata da un’aumentata resistenza cerebrovascolare per cui il flusso cerebrale<br />
complessivo non subisce alcuna modificazione. L’espressione più classica del coinvolgimento<br />
cerebrale, l’eclampsia, è il risultato della perd<strong>it</strong>a dell’autoregolazione del flusso cerebrale,<br />
dovuta alla riduzione delle resistenze vascolari e iperperfusione. Le convulsioni cost<strong>it</strong>uiscono,<br />
tuttavia, solo una delle espressione del coinvolgimento del sistema nervoso centrale.<br />
L’analisi anatomopatologica evidenzia diverse possibili alterazioni organiche: la prima, l’emorragia<br />
intracranica massiva, è spesso conseguenza di un’ipertensione non controllata o riflette<br />
un trattamento r<strong>it</strong>ardato o inadeguato con agenti antiipertensivi e rappresenta la causa singola<br />
principale di morte.<br />
La seconda lesione, costante nell’eclampsia e variabilmente presente nella pre-eclampsia, è<br />
rappresentata da lesioni più diffuse, raramente fatali, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e da edema, iperemia, trombosi<br />
e emorragia associate costantemente a modificazioni fibrinoidi delle pareti vascolari. La causa<br />
di tali alterazioni non è defin<strong>it</strong>a, ma potrebbe essere attribu<strong>it</strong>a alla necrosi ischemica o alla<br />
iperperfusione. Segni neurologici prodromici e convulsioni possono esser imputabili a queste<br />
lesioni. Il terzo quadro cerebrale è dato dall’edema diffuso che si esprime con letargia,<br />
confusione, fino al coma con possibil<strong>it</strong>à di ernia cerebrale. Anche in questo caso la patogenesi<br />
può essere ischemica (c<strong>it</strong>otossica) sia da iperperfusione (vasogenica).<br />
Attualmente l’impiego di tecniche di imaging ha permesso di osservare tali lesioni in vivo suggerendo<br />
che le manifestazioni neurologiche cost<strong>it</strong>uiscono un continuum di diversi gradi di<br />
coinvolgimento cerebrale: l’estensione e la localizzazione delle lesioni, differenti nei singoli casi,<br />
condizionano il quadro neurologico, dai disturbi visivi, all’eclampsia fino al coma.<br />
- Disturbi visivi: questi sono relativamente frequenti nella pre-eclampsia severa, mentre più rara<br />
è la cec<strong>it</strong>à. La maggior parte delle donne con vari gradi di amaurosi ha un’evidenza radio-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
255
256<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
logica di ipodens<strong>it</strong>à nel lobo occip<strong>it</strong>ale. Questa in genere si risolve completamente. Altre cause<br />
di disturbi visivi sono rappresentate dallo spasmo dell’arteria retinica o il distacco di retina.<br />
- Coagulazione intravascolare disseminata (CID): considerando che la compromissione della regolazione<br />
dell’omeostasi da parte dell’endotelio cost<strong>it</strong>uisce una delle principali alterazioni fisiopatologiche<br />
della pre-eclampsia, non deve sorprendere che la CID cost<strong>it</strong>uisca un evento<br />
relativamente frequente (10-20%). Lo spettro di possibili manifestazioni, tuttavia è ampio, partendo<br />
da uno stato compensato privo di espressione clinica ed evidenziabile solo su parametri<br />
di laboratorio fino ad una condizione di emorragia massiva incontrollabile. La CID è sempre<br />
un fenomeno secondario: in donne pre-eclamptiche, oltre a manifestarsi nelle forme severe<br />
di malattia, può essere conseguente alla sindome HELLP, all’emorragia antepartum dovuta<br />
a distacco di placenta o verificarsi in segu<strong>it</strong>o ad una emorragia postpartum massiva: l’individuazione<br />
della causa sottostante è il requis<strong>it</strong>o imprescindibile di un corretto management.<br />
A conclusione di questa rassegna, occorre tener presente che l’ipertensione o la proteinuria<br />
possono essere assenti in percentuali relativamente elevate in caso di insorgenza di complicanze<br />
tipiche della pre-eclampsia, come nel 10-15% di donne che sviluppano HELLP 82 e nel<br />
38% di coloro che sviluppano l’eclampsia 83 .<br />
Complicanze fetali 70<br />
Sono dovute prevalentemente all’ipoperfusione uteroplacentare<br />
- Parto pretermine (15-67%)<br />
- Restrizione di cresc<strong>it</strong>a fetale (10-25%)<br />
- Ipossia-danno neurologico (
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
quindi, dovrebbe basarsi sulla identificazione precoce di donne a rischio affinché queste vengano<br />
sottoposte ad un mon<strong>it</strong>oraggio adeguato che consenta di massimizzare la possibil<strong>it</strong>à di<br />
diagnosi precoce e di management appropriato.<br />
L’ambulatorio ostetrico<br />
Nonostante la pre-eclampsia si manifesti clinicamente nel II trimestre di gravidanza, i meccanismi<br />
eziopatogenetici si realizzano molto più precocemente. Allo stato attuale, non è stato<br />
ancora universalmente riconosciuto, né validato un test di screening in grado di quantificare<br />
in epoche gestazionali iniziali il rischio di sviluppo successivo di pre-eclampsia. Esistono,<br />
tuttavia, una serie di fattori, per lo più anamnestici che consentono di sospettare la potenzial<strong>it</strong>à<br />
della successiva insorgenza della pre-eclampsia. La caratterizzazione di questi fattori dovrebbe<br />
essere effettuata per ciascuna donna nelle fasi iniziali della gravidanza e in alcuni casi<br />
in epoca preconcezionale: l’ambulatorio ostetrico, che cost<strong>it</strong>uisce la prima interfaccia con la<br />
paziente ostetrica, dovrebbe rappresentare anche un filtro capace di selezionare le donne più<br />
a rischio che necess<strong>it</strong>ano di un mon<strong>it</strong>oraggio più intensivo e specialistico 7 .<br />
Fattori di rischio generali<br />
1. Età>= 40 anni 85 .<br />
2. Obes<strong>it</strong>à 86<br />
Fattori di rischio ostetrici<br />
3. Precedente pre-eclampsia: l’anamnesi ostetrica remota pos<strong>it</strong>iva per una pregressa preeclampsia<br />
è uno dei principali fattori pred<strong>it</strong>tivi, soprattutto se questa si era presentata<br />
nella forma precoce moderata-severa con outcome neonatale sfavorevole per parto pretermine<br />
87 : secondo alcuni Autori in questi casi dovrebbe essere effettuato lo screening<br />
per la sindrome da anticorpi antifosfolipidi. Più controversa è la necess<strong>it</strong>à di uno screening<br />
trombofilico 88 .<br />
4. Nullipar<strong>it</strong>à 89 .<br />
5. Intervallo lungo tra le gravidanze: il rischio di pre-eclampsia nelle multipare è sovrapponibile<br />
a quello delle nullipare se sono trascorsi più di 10 anni dal parto precedente 90 .<br />
6. Gravidanza multipla 89 , indipendentemente dalla corionic<strong>it</strong>à e zigos<strong>it</strong>à.<br />
7. Storia familiare di pre-eclampsia 91 .<br />
Condizioni cliniche attuali 7<br />
8. P<strong>AD</strong>>o=80 mmHg<br />
9. Proteinuria ≥+ in più di un’occasione o ≥300 mg/24ore. In caso di proteinuria asintomatica,<br />
se persistente o confermata dalla raccolta nelle 24 ore, sarebbe opportuno escludere<br />
la possibil<strong>it</strong>à di una nefropatia sottostante o altre condizioni.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
257
258<br />
Presenza di uno di questi fattori:<br />
- pre-eclampsia precedente<br />
- gravidanza multipla<br />
- ipertensione cronica<br />
- diabete<br />
- S. anticorpi antifosfolipidi<br />
- LES<br />
- nefropatia<br />
VALUTAZIONE MATERNA<br />
PA (almeno tre rilevazioni)<br />
Conta piastrinica<br />
Proteinuria<br />
Uricemia<br />
Creatininemia<br />
Prove di funzional<strong>it</strong>à epatica<br />
AMBULATORIO OSTETRICO<br />
Presenza di due di questi fattori:<br />
- Età>40 anni<br />
- Obes<strong>it</strong>à<br />
- Nullipar<strong>it</strong>à<br />
- Familiar<strong>it</strong>à<br />
- P<strong>AD</strong>>80 mmHg<br />
- Proteinuria (+ allo stick o >300<br />
mg/24ore)<br />
ANTENATAL ASSESSMENT UNIT<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
20 Settimane<br />
- PA normale<br />
- esami ematochimici normali<br />
AMBULATORIO<br />
OSTETRICO<br />
- Ipertensione<br />
- esami ematochimici alterati<br />
ANTENATAL DAY<br />
ASSESSMENT UNIT<br />
- nuova ipertensione<br />
- nuova proteinuria<br />
- cefalea<br />
- disturbi visivi<br />
- dolore epigastrico<br />
- ridotti MAF, SGA<br />
VALUTAZIONE FETALE<br />
NST<br />
ECOGRAFIA:<br />
- liquido amniotico<br />
- cresc<strong>it</strong>a fetale<br />
- flussimetria doppler<br />
- PA>170/110<br />
- PA>140/90 e proteinuria (2+ o><br />
300mg/24 ore)<br />
- parametri ematochinici alterati<br />
- cefalea, disturbi visivi<br />
- dolore addominale<br />
- necess<strong>it</strong>à di terapia antipertensiva<br />
- segni di compromissione fetale<br />
RICOVERO<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
Condizioni mediche predisponenti<br />
10. Ipertensione cronica: il rischio di pre-eclampsia sovrimposta è associato al grado di ipertensione,<br />
risultando 46% in caso di ipertensione severa (diastolica >110 mmHg) e di circa<br />
il 14% in caso di ipertensione lieve 92 .<br />
11. Diabete: le forme di diabete pre-esistente determinano una predisposizione maggiore rispetto<br />
al diabete gestazionale 93 . La sever<strong>it</strong>à del diabete rappresenta comunque un fattore<br />
fortemente condizionante il rischio di pre-eclampsia che risulta aumentato soprattutto<br />
in presenza di coinvolgimento microvascolare, e quindi di complicanze renali o retiniche<br />
94 . Altri fattori di rischio per l’aumento del rischio di pre-eclampsia in donne con diabete<br />
tipo I includono la durata del diabete, l’ipertensione cronica e lo scarso controllo<br />
glicemico prima delle 20 settimane di gravidanza 94 : esiste, infatti, una relazione diretta tra<br />
i valori di emoglobina glicosilata e rischio di pre-eclampsia 95 .<br />
12. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi e LES: sebbene la sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
cost<strong>it</strong>uisca una delle principali condizioni predisponesti di pre-eclampsia, ed in particolare<br />
della forma precoce severa, l’aumento del rischio varia sulla base delle caratteristiche<br />
della sindrome (3-51%), essendo minore nelle forme associate ad aborto ricorrente<br />
96 ed estremamente elevato nelle forme associate a LES, trombosi e precedente<br />
morte endouterina 97 . Per quanto concerne il LES, il legame con la pre-eclampsia è attribuibile,<br />
più che alla malattia di per sé, ad alcune condizioni associate, come il coinvolgimento<br />
renale con o senza ipertensione, la presenza di anticorpi antifosfolipidi 98 : il rischio<br />
è sovrapponibile a quello della popolazione generale in donne con LES non attivo, assenza<br />
di anticorpi antifosfolipidi, nefr<strong>it</strong>e o ipertensione.<br />
13. Nefropatia: la ridotta funzione renale qualsiasi sia la causa è associata ad un aumentato<br />
rischio di pre-eclampsia, proporzionale al grado di compromissione funzionale: in particolare<br />
forme severe di nefropatia associate ad ipertensione spesso comportano l’insorgenza<br />
di pre-eclampsia severa precoce con restrizione di cresc<strong>it</strong>a marcata 99 .<br />
In presenza di condizioni mediche predisponenti alla pre-eclampsia, sarebbe opportuno<br />
un counselling preconcezionale che spieghi alla donna il significato della malattia sottostante<br />
come fattore di rischio, ma soprattutto la possibil<strong>it</strong>à che tale rischio possa essere modificato<br />
dal controllo pregravidico del diabete, dell’ipertensione e dall’insorgenza della gravidanza in<br />
una fase di stabil<strong>it</strong>à o di remissione del LES o della nefropatia. È importante che queste pazienti<br />
vengano segu<strong>it</strong>e da strutture adeguate e dotate di personale esperto: inoltre sono raccomandate<br />
misurazioni seriate della pressione arteriosa, della proteinuria, della funzione renale,<br />
uricemia e piastrinemia; in queste pazienti, infatti, al problema clinico gestionale si aggiunge<br />
quello diagnostico poichè alcune delle figure tipiche della pre-eclampsia possono essere<br />
presenti prima della gravidanza o possono svilupparsi come complicanza della malattia sottostante.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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260<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
Tabella II. Rischio relativo di insorgenza dei pre-eclampsia, con corrispondente I. C.a, associato alle condizioni predisponenti<br />
elencate100 RR CI<br />
Sindrome da anticorpi antifosfolipidi 9.72 4.34-21.75<br />
Storia di pre-eclampsia 7.19 5.85-8.83<br />
Diabete pregestazionale 3.56 2.54-4.99<br />
Gravidanza multipla 2.93 2.04-4.21<br />
Nullipar<strong>it</strong>à 2.91 1.28-6.66<br />
Storia familiare<br />
Età >40 aa<br />
2.90 1.70-4.93<br />
Nullipara 1.68 1.23-2.29<br />
Multipara 1.96 1.34-2.87<br />
Obes<strong>it</strong>à 1.55 1.28-1.88<br />
Secondo le linee guida inglesi 7 , la presenza di una delle seguenti condizioni è sufficiente<br />
per caratterizzare la donna a rischio aumentato di pre-eclampsia ed indirizzarla verso strutture<br />
di riferimento specialistico:<br />
- pre-eclampsia precedente<br />
- gravidanza multipla<br />
- condizioni mediche predisponenti<br />
- presenza contemporanea di due degli altri fattori di rischio elencati precedentemente.<br />
In assenza dei fattori di rischio, invece, non c’è evidenza di un programma di assistenza<br />
particolarmente raccomandabile rispetto ad altri 101 . Poiché la pre-eclampsia può insorgere anche<br />
in assenza condizioni predisponenti, dopo le 20 settimane si dovrebbe verificare la presenza<br />
di segni e sintomi caratteristici ad ogni vis<strong>it</strong>a ambulatoriale:<br />
- ipertensione di recente insorgenza<br />
- proteinuria di recente insorgenza<br />
- sintomi di cefalea o disturbi visivi<br />
- dolore epigastrico o vom<strong>it</strong>o<br />
- ridotti MAF, restrizione di cresc<strong>it</strong>a fetale<br />
Le donne che presentano 2 di questi fattori dovrebbero essere inviate ad una struttura<br />
di riferimento 7 .<br />
Nella valutazione del rischio, occorre tenere presente che l’insorgenza di nuova ipertensione<br />
prima delle 32 settimane determina una probabil<strong>it</strong>à del 50% di sviluppare la pre-eclampsia<br />
102 , e a 24-28 settimane è pred<strong>it</strong>tiva di pre-eclampsia severa 103 ; un aumento della pressione<br />
diastolica che non raggiunge 90 mmHg in qualunque epoca gestazionale, invece, non è associata<br />
a complicanze 104 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
Antenatal day assessment un<strong>it</strong><br />
Le donne a rischio prima delle 20 settimane o quelle sintomatiche dopo le 20 settimane,<br />
dovrebbero essere sottoposte ad un mon<strong>it</strong>oraggio più intensivo in una struttura di riferimento,<br />
defin<strong>it</strong>a dagli anglosassoni Day Antenatal Assessment Un<strong>it</strong>. Scopo di tale servizio è l’esecuzione<br />
di indagini più specialistiche e la valutazione dei risultati da parte di personale specializzato<br />
che fornisca un corretto inquadramento diagnostico e la programmazione della condotta<br />
clinica più adeguata al caso specifico.<br />
Valutazione materna Valutazione fetale<br />
- esami ematochimici: - Ecografia<br />
emocromo cresc<strong>it</strong>a fetale<br />
uricemia liquido amniotico<br />
creatininemia flussimetria Doppler in a. ombelicale<br />
prove di funzional<strong>it</strong>à epatica<br />
- proteinuria nelle 24 ore - CTG<br />
- pressione arteriosa (almeno 3 rilevazioni)<br />
Al termine delle indagini effettuate, può risultare sufficiente rinviare la donna ai normali<br />
controlli ambulatoriali qualora i valori pressori e gli altri parametri siano nel range di normal<strong>it</strong>à,<br />
oppure può rendersi opportuno continuare un mon<strong>it</strong>oraggio più intensivo presso la Day<br />
Antenatal Assessment Un<strong>it</strong> 105 nel caso in cui sia riscontrata la presenza di ipertensione o di un’alterazione<br />
degli altri esami effettuati; infine può risultare necessario il ricovero ospedaliero.<br />
Motivi di ricovero sono rappresentati da:<br />
- pressione arteriosa persistentemente >170/110 o persistentemente >140/90 o proteinuria<br />
2+ allo stick urinario o > 300 mg/24 ore;<br />
- alterazione degli esami ematochimici;<br />
- sintomi significativi (cefalea, disturbi visivi, dolore addominale);<br />
- necess<strong>it</strong>à di terapia antiipertensiva;<br />
- segni di compromissione fetale (anomalie della frequenza cardiaca, significativa restrizione<br />
di cresc<strong>it</strong>a).<br />
Il ricovero<br />
Sebbene le pazienti ricoverate siano, per definizione, ad alto rischio, la progressione della<br />
pre-eclampsia non è inev<strong>it</strong>abile e soprattutto poco prevedibile sul piano temporale.<br />
Qualunque decisione venga presa in mer<strong>it</strong>o alla opportun<strong>it</strong>à di proseguire la gravidanza o determinare<br />
l’espletamento del parto, è fondamentale la stabilizzazione della malattia materna<br />
che consenta un’obiettiva valutazione materna e fetale e la possibil<strong>it</strong>à di un eventuale intervento<br />
terapeutico in condizioni cliniche adeguate.Target della stabilizzazione sono il control-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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262<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
lo della pressione arteriosa, ed in particolare dell’ipertensione severa, e la terapia delle convulsioni,<br />
quando presenti, o la loro prevenzione nei casi più a rischio di evolvere verso l’eclampsia.<br />
Occorre precisare, inoltre che nei casi in cui è consigliabile il trasferimento presso un centro<br />
in grado di offrire un’assistenza più adeguata alla madre e al neonato (specie se pretermine),<br />
questo dovrebbe essere effettuato il più precocemente possibile.<br />
Terapia antiipertensiva<br />
Obiettivo della terapia dell’ipertensione acuta è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dalla prevenzione delle potenziali<br />
complicanze cerebrovascolari e cardiovascolari, che rappresentano la causa più frequente<br />
di mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à materna nei paesi sviluppati 106 . Nonostante sia ormai verificato che<br />
l’uso di farmaci anti-ipertensivi nelle donne con pre-eclampsia e severo aumento della pressione<br />
arteriosa rappresentano una protezione nei confronti delle complicanze cerebrovascolari,<br />
tale terapia non modifica il decorso naturale della malattia in donne con pre-eclampsia<br />
lieve 107 .<br />
Secondo la review più recente del Cochrane, la terapia antiipertensiva riduce fino a dimezzare<br />
il rischio di ipertensione severa rispetto al placebo o all’assenza di terapia, ma vi è una<br />
scarsa evidenza di una modificazione del rischio di pre-eclampsia, indipendentemente dal tipo<br />
di farmaco utilizzato 108 . Non sono stati riscontrati, inoltre, effetti significativi sul rischio di<br />
morte perinatale, parto pretermine o neonati SGA. In conclusione è poco defin<strong>it</strong>o l’effettivo<br />
beneficio che può derivare dalla terapia dell’ipertensione lieve-moderata durante la gravidanza.<br />
È stato addir<strong>it</strong>tura segnalata la possibil<strong>it</strong>à di un aumento di rischio di SGA in donne con<br />
patologia lieve come conseguenza dell’abbassamento dalla pressione arteriosa 109 . La terapia<br />
antiipertensiva è, invece, raccomandabile per valori di pressione sistolica > 160 mmHg e diastolica<br />
> 110 mmHg 110 . Dal momento che potenziali benefici potrebbero essere ottenuti anche<br />
per il trattamento di livelli pressori lievemente inferiori 111 , un compromesso accettabile<br />
potrebbe essere la scelta di valori di pressione diastolica persistentemente superiori a 100<br />
mmHg come soglia per intraprendere la terapia.<br />
Non c’è consenso unanime su quale debba essere il trattamento di scelta: i maggiori dati<br />
in letteratura riguardano l’utilizzo di idralazina, metildopa, labetalolo e nifedipina. Nonostante<br />
l’idralazina per via parenterale sia la terapia raccomandata da molti Autori 110,112 , il suo impiego<br />
è stato associato ad un maggior numero di effetti collaterali ed outcome materni e perinatali<br />
peggiori rispetto alla somministrazione di labetalolo o nifedipina 113 . Studi prospettici sulla<br />
somministrazione di metildopa e isradipina nonostante abbiano mostrato un effetto significativo<br />
sull’abbassamento pressorio e della frequenza cardiaca materna, non hanno evidenziato<br />
alcun beneficio sulle alterazioni ematochimiche tipiche della pre-eclampsia, né tantomeno<br />
sul peso alla nasc<strong>it</strong>a e sull’outcome neonatale 114,115 . L’approccio terapeutico iniziale che gode<br />
di un consenso sempre più ampio, è rappresentato dalla somministrazione di labetalolo<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
per os o, in alternativa per via parenterale, qualora quella orale non comporti un’adeguata riduzione<br />
dei valori pressori. L’assenza, anche in questo caso, di un effetto ipotensivo, suggerisce<br />
l’opportun<strong>it</strong>à di sost<strong>it</strong>uire o supplementare la terapia con la nifedipina orale.<br />
Prevenzione delle convulsioni<br />
La somministrazione profilattica di magnesio solfato in pazienti con pre-eclampsia severa<br />
è stato associato ad un tasso di eclampsia significativamente minore rispetto all’assenza di terapia,<br />
al placebo o all’utilizzo di nimodipina 116 ; nessun beneficio, invece, è stato dimostrato riguardo<br />
alle complicanze materne gravi della pre-eclampsia severa, come l’edema polmonare,<br />
l’ictus o l’insufficienza renale 116 . Sia in caso di pre-eclampsia severa, sia nelle forme lievi, comunque,<br />
l’utilizzo profilattico di magnesio solfato non ha mostrato alcun beneficio sull’outcome<br />
perinatale 116,117 . In conclusione, le evidenze disponibili suggeriscono che il magnesio solfato<br />
dovrebbe essere dato durante il travaglio e nell’immediato postpartum in alcune donne<br />
con pre-eclampsia severa, mentre il beneficio in quelle con malattia lieve rimane poco chiaro.<br />
Espansione del volume plasmatico<br />
Lo stato di emoconcentrazione, legato alla riduzione del volume circolante, potrebbe rappresentare<br />
un’indicazione alla infusione di liquidi con l’obiettivo di migliorare la circolazione<br />
materna sistemica e, di conseguenza, quella uteroplacentare. Sebbene i dati a disposizione siano<br />
scarsi, l’espansione del volume plasmatico non solo sembra privo di benefici, ma se non<br />
associato ad un rigoroso controllo del bilancio idrico comporta un aumento del rischio di sovraccarico<br />
di volume fino all’edema cerebrale o polmonare 118 .<br />
Corticosteroidi<br />
La stabilizzazione delle condizioni materne deve procedere contemporaneamente all’induzione<br />
della maturazione polmonare fetale, nell’eventual<strong>it</strong>à che si prospetti un successivo<br />
espletamento del parto. L’uso di corticosteroidi in epoca gestazionale
264<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
prospettico randomizzato che ha evidenziato un significativo miglioramento dei parametri clinici<br />
e di laboratorio conseguenti alla somministrazione di desametazone 10 mg ogni 12 ore<br />
per via endovenosa, un dosaggio decisamente superiore a quello sufficiente per la profilassi<br />
del distress respiratorio neonatale 121 . Effetti sovrapponibili sono stati descr<strong>it</strong>ti anche in segu<strong>it</strong>o<br />
alla somministrazione postpartum di desametazone (10 mg, 10 mg, 5 mg e 5 mg ev a distanza<br />
di 12 ore) 122 . Sulla base della considerazione che, in molti casi, la storia naturale della<br />
sindrome HELLP prevede un processo di deterioramento nelle 24-36 ore successive al parto,<br />
la somministrazione di corticosteroidi potrebbe rappresentare un valido strumento per<br />
accelerare la ripresa e ridurre la sever<strong>it</strong>à delle esacerbazioni postpartum.<br />
In realtà, una recente meta-analisi dei dati disponibili in letteratura, pur confermando effetti<br />
favorevoli di un tale approccio sui parametri biochimici, ha evidenziato l’assenza di significative<br />
differenze relative agli outcome primari di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materna dovute a distacco<br />
di placenta, edema polmonare, ematoma o rottura di fegato, concludendo che allo stato<br />
attuale non vi sono sufficienti evidenze che supportino o rifiutino l’uso di steroidi in epoca<br />
antenatale e post partum nella sindrome HELLP per ridurre o aumentare la mortal<strong>it</strong>à materna<br />
123 .<br />
Attesa o espletamento del parto?<br />
Lo step successivo alla stabilizzazione delle condizioni cliniche della paziente è rappresentato<br />
dalla decisione del timing di espletamento del parto: questa cost<strong>it</strong>uisce una delle decisioni<br />
più importanti nella gestione clinica della pre-eclampsia, capace di influenzare pesantemente<br />
l’outcome della gravidanza. I parametri che, in mer<strong>it</strong>o a questa decisione, presentano<br />
un maggior peso sono rappresentati dalla sever<strong>it</strong>à della malattia materna e dall’epoca gestazionale.<br />
Una diagnosi di pre-eclampsia severa o associata alla sindrome HELLP non consente<br />
molte alternative all’immediato espletamento del parto in epoche gestazionali superiori alle<br />
34 settimane 70 ; tale discorso è valido anche per epoche gestazionali inferiori, qualora il quadro<br />
clinico materno sia evolutivo con tromboc<strong>it</strong>openia grave (PLT< 50000), segni di discoagulopatia,<br />
PA diastolica >110 mmHg oppure vi sia l’evidenza di una severa restrizione di cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale o condizioni fetali non rassicuranti indipendentemente dalle condizioni materne 70 .<br />
Il lim<strong>it</strong>e cronologico inferiore di epoca gestazionale per cui tali circostanze rappresentano<br />
un’indicazione all’espletamento del parto è alquanto discutibile e non deve ignorare le possibil<strong>it</strong>à<br />
dell’assistenza neonatologica a disposizione; in centri dotati di un<strong>it</strong>à di terapia intensiva<br />
neonatale tale lim<strong>it</strong>e potrebbe essere quello di 29 settimane. In questi casi, è sempre consigliabile<br />
la profilassi corticosteroidea ed un’attesa di almeno 24 ore dall’ultima dose del cortisonico<br />
prima dell’espletamento del parto; naturalmente, l’insorgenza di segni di sofferenza<br />
fetale acuta, impone l’immediata esecuzione di un taglio cesareo d’urgenza. Per epoche gestazionali<br />
inferiori alle 29 settimane, nonostante la presenza di una pre-eclampsia severa o<br />
HELLP e la comparsa di discoagulopatia e tromboc<strong>it</strong>openia può essere opportuno il tentati-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
vo di protrarre la gravidanza anche di poche settimane per consentire il raggiungimento di<br />
epoche gestazionali con prognosi neonatale migliore. In questi casi, oltre ad essere mandatorio<br />
il ricovero della donna in un’un<strong>it</strong>à di terapia intensiva, ed uno stretto mon<strong>it</strong>oraggio di tutti<br />
i parametri v<strong>it</strong>ali, può risultare di notevole beneficio la somministrazione di prostaciclina:<br />
questa, verosimilmente, rappresenta una vera terapia causale in quanto in grado di correggere<br />
lo squilibrio TXA2/prostaciclina che rappresenta uno dei meccanismi eziopatogenetici dell’ipertensione<br />
e delle alterazioni coagulative nella pre-eclampsia. Si rimanda al cap<strong>it</strong>olo specifico<br />
presente in questo volume per una trattazione dettagliata relativa alla somministrazione<br />
di prostaciclina. Le forme severe di pre-eclampsia,in particolare quelle complicate da sindrome<br />
HELLP, che risultano refrattarie agli approcci terapeutici più “canonici”, possono trarre beneficio<br />
dalla plasmaferesi, anche se i dati relativi all’efficacia di tale metodica in epoca antepartale<br />
non sono concordi 124,125 , mentre vi sono diverse evidenze che testimoniano un miglioramento<br />
dell’outcome materno quando questa viene effettuata durante le esacerbazioni postpartum<br />
126 .<br />
Qualunque sia l’epoca gestazionale, l’attesa all’espletamento del parto è giustificata solo<br />
per le poche ore necessarie alla stabilizzazione, all’eventuale trasferimento o alla preparazione<br />
di un’appropriata assistenza postatale nel caso in cui si siano già verificate le convulsioni.<br />
Infatti, nel 15%-25% delle donne l’attacco eclamptico recidiva nonostante il trattamento ed il<br />
rischio sia per la madre sia per il feto aumentano con il numero di episodi convulsivi. In questi<br />
casi è indicata l’esecuzione di un taglio cesareo, non appena le condizioni cliniche lo permettano.<br />
La decisione di provocare l’espletamento del parto risulta molto più complessa quando<br />
la pre-eclampsia si manifesta nelle forme più moderate oppure, pur in presenza della malattia<br />
severa le condizioni materne e fetali sono stabili. Nonostante la possibil<strong>it</strong>à di un deterioramento<br />
più o meno rapido delle condizioni materno-fetali e la consapevolezza che il parto<br />
cost<strong>it</strong>uisce la cura defin<strong>it</strong>iva siano elementi a favore di una tempestiva interruzione della gravidanza,<br />
sono doverose alcune considerazioni: la prosecuzione della gravidanza, infatti, in gran<br />
parte dei casi è di beneficio per il feto; inoltre, il parto non ha un effetto immediato sulla malattia<br />
materna. Infatti, la maggiore morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materna si verificano nelle prime 48<br />
ore dopo il parto: in una paziente non stabile un parto affrettato aumenta il rischio di esacerbazione<br />
post-partum. L’ingiustificata prosecuzione della gravidanza può essere, allo stesso<br />
modo, deleteria: è importante che il parto avvenga non solo quando le condizioni materne<br />
sono stabili ma quelle fetali non sono ancora scompensate.<br />
Anche in questi casi, quindi, il primo elemento da prendere in considerazione è l’epoca<br />
gestazionale: la soglia dei vari parametri utilizzati per la valutazione delle condizioni materne<br />
e fetali che risulta accettabile per la prosecuzione della gravidanza è tanto più bassa quanto<br />
più avanzata è l’epoca gestazionale. In genere, in caso di malattia lieve che si sviluppa a 38 settimane,<br />
o più, l’outcome è paragonabile a quello di gravidanze normali 107 : considerando che<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
265
266<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
la pre-eclampsia comunque può evolvere verso forme complicate, questi casi dovrebbero essere<br />
sottoposti all’induzione del travaglio 70 . Come detto precedentemente, indicazione all’espletamento<br />
del parto è anche la comparsa di malattia severa dopo le 34 settimane, nonostante<br />
le condizioni materne siano stabili 70 . Il management della pre-eclampsia severa prima<br />
delle 34 settimane è, invece, ancora dibattuto qualora i parametri materni siano stabili e<br />
la condizione fetale rassicurante. Una review del Cochrane relativa al confronto dell’approccio<br />
interventista rispetto all’attesa sostiene che allo stato attuale, i dati a disposizione sono<br />
troppo lim<strong>it</strong>ati per giungere ad una conclusione che supporti il beneficio di un parto elettivo<br />
precoce rispetto a quello r<strong>it</strong>ardato, nonostante l’evidenza suggerisca che la morbil<strong>it</strong>à a breve<br />
termine per il neonato potrebbe essere ridotta da una pol<strong>it</strong>ica di attesa 127 .<br />
La decisione di far proseguire la gravidanza, rende opportuno lo stretto mon<strong>it</strong>oraggio delle<br />
condizioni materne e fetali che consenta un tempestivo intervento quando queste precip<strong>it</strong>ano.<br />
I parametri da prendere in considerazione e la frequenza delle valutazioni dipendono<br />
dall’epoca gestazionale, dalla sever<strong>it</strong>à delle condizioni materne e dalla presenza di restrizione<br />
di cresc<strong>it</strong>a fetale. Tali indagini dovrebbero essere ripetute prontamente in caso di peggioramento<br />
delle condizioni materne o fetali.<br />
Se l’epoca gestazionale è inferiore alle 34 settimane, qualora non si sia già provveduto, è<br />
consigliabile effettuare la profilassi corticosteroidea per la maturazione polmonare fetale. Per<br />
il massimo effetto, la gravidanza dovrebbe proseguire per altre 48 ore e per un massimo di<br />
6 giorni. L’insorgenza di un deterioramento delle condizioni sia materne sia fetali è indicazione<br />
all’espletamento del parto anche se le 48 ore non sono trascorse.<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio materno<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio delle condizioni materne si basa fondamentalmente su rilevazioni seriate<br />
della pressione arteriosa, sull’attenta osservazione clinica volta ad individuare precocemente<br />
l’insorgenza di sintomi e sulle rilevazioni di parametri ematochimici. Nel sospetto di una sindrome<br />
HELLP, sugger<strong>it</strong>a dall’alterazione delle prove di funzional<strong>it</strong>à epatica e della conta piastrinica,<br />
può essere utile l’esecuzione di uno striscio di sangue in quanto il riscontro di frammenti<br />
di globuli rossi fornisce un sostegno a tale ipotesi diagnostica.<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio fetale<br />
In assenza di indicazioni materne, la decisione di espletamento del parto si basa fondamentalmente<br />
sulle condizioni fetali.Tale valutazione, tuttavia, riconosce come principale lim<strong>it</strong>e<br />
l’impossibil<strong>it</strong>à di stabilire l’effettivo stato di benessere fetale in modo diretto, ma solo attraverso<br />
un insieme di segnali che rappresentano l’espressione probabile di una condizione<br />
o di una imminente progressione verso lo stato di sofferenza.<br />
Allo stato attuale i principali strumenti di sorveglianza della salute fetale sono rappresentati<br />
dalla cardiotocografia e dall’ecografia.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
- NST: nonostante il tracciato cardiotocografico cost<strong>it</strong>uisca uno dei parametri storicamente<br />
più utilizzati, la sua effettiva capac<strong>it</strong>à di valutazione del benessere fetale è molto<br />
controversa; inoltre, il valore pred<strong>it</strong>tivo di questa metodica diviene ancora più opinabile<br />
se si considera che l’interpretazione del tracciato CTG in epoche gestazionali<br />
precoci non è sovrapponibile a quella, per certi versi codificata, che si effettua in un<br />
feto a termine e che le madri di feti pretermine con pre-eclampsia possono essere<br />
esposte ad un numero di farmaci, come il solfato magnesio e gli steroidi, in grado di<br />
influenzare la frequenza cardiaca fetale 128,129 . È stato riportato che la cardiotocografia,<br />
quando utilizzata come unico elemento decisionale, è associata ad aumentata mortal<strong>it</strong>à<br />
perinatale 130 . L’introduzione del CTG computerizzato ha rappresentato un notevole<br />
progresso, poiché ha consent<strong>it</strong>o una valutazione oggettiva dei vari aspetti del tracciato,<br />
ed in particolare della variabil<strong>it</strong>à a breve termine della frequenza cardiaca che risulta<br />
essere strettamente correlata con l’ossigenazione fetale 131 .<br />
- Ecografia<br />
- Profilo biofisico<br />
- Doppler dell’arteria ombelicale<br />
- Doppler della cerebrale media<br />
- Doppler venoso<br />
Il deterioramento delle condizioni fetali è un processo che avviene progressivamente, secondo<br />
la sever<strong>it</strong>à della compromissione placentare. È stata individuata una sequenza temporale<br />
del coinvolgimento dei parametri di valutazione fetale con la progressione del deterioramento<br />
della placenta 132 . La maggior parte dei dati, in realtà, derivano dallo studio del r<strong>it</strong>ardo<br />
di cresc<strong>it</strong>a intrauterino che pur essendo una delle principali complicanze della pre-eclampsia,<br />
può insorgere indipendentemente da questa; inoltre, sebbene prevalentemente imputabile<br />
al defic<strong>it</strong> di perfusione placentare, il riscontro di IUGR impone una diagnosi differenziale<br />
con le forme legate alle aneuploidie.<br />
Nel complesso, l’alterazione dei flussi arteriosi cost<strong>it</strong>uisce il primo segnale di compromissione<br />
fetale, segu<strong>it</strong>o dall’interessamento di quelli venosi ed infine del profilo biofisico. Le anomalie<br />
Doppler precoci coinvolgono gli indici di pulsatil<strong>it</strong>à in arteria ombelicale e cerebrale<br />
media, mentre quelle tardive, significativamente associate a morte perinatale, includono l’inversione<br />
del flusso diastolico, le anomalie del dotto venoso e del tratto di efflusso aortico e<br />
polmonare 133 . Secondo uno schema di mon<strong>it</strong>oraggio fetale che integri l’ecografia e la cardiotocografia<br />
134 , la sequenza temporale del deterioramento delle condizioni fetali interessa inizialmente<br />
l’AFI e il PI dell’arteria ombelicale, successivamente la flussimetria in arteria cerebrale<br />
media e in aorta, la variabil<strong>it</strong>à a breve termine all’NST, ed infine il dotto venoso e cava<br />
inferiore.Tali evidenze suggeriscono che la valutazione del dotto venoso e la variabil<strong>it</strong>à a breve<br />
termine della frequenza cardiaca possono essere molto utili dal punto di vista decisiona-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
267
268<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
le e che l’indicazione fetale all’espletamento del parto dovrebbe essere presa in considerazione<br />
se uno di questi parametri diviene persistentemente anormale. Nelle gravidanze più tardive,<br />
tra 34-36 settimane, il riscontro di assenza o inversione del flusso diastolico imputabili<br />
all’insufficienza placentare è poco probabile. Quindi, a termine o presso il termine, la presenza<br />
di una flussimetria regolare in arteria ombelicale, non esclude il verificarsi di una redistribuzione<br />
emodinamica 135 . La valutazione dei flussi in arteria cerebrale può essere importante<br />
per segnalare quei feti a rischio di eventi avversi perinatali e quindi può essere un parametro<br />
utile per il management dei feti IUGR vicino il termine 136 .<br />
Il protocollo richiesto per il mon<strong>it</strong>oraggio ottimale fetale in caso di pre-eclampsia con insufficienza<br />
uteroplacentare è dibattuto. È stato sugger<strong>it</strong>o che per uno IUGR precoce la strategia<br />
complessiva di mon<strong>it</strong>oraggio fetale intensivo rappresenta una valida alternativa al parto<br />
immediato 137 . In caso di flussimetria Doppler normale, questa dovrebbe essere valutata settimanalmente,<br />
mentre l’evidenza di una redistribuzione significativa del flusso cerebrale necess<strong>it</strong>a<br />
di un controllo ogni 3 giorni. Feti con evidenza di modificazioni Doppler venose dovrebbero<br />
essere mon<strong>it</strong>orizzati più intensamente. Complementari alla sorveglianza fetale intensiva<br />
mediante i parametri flussimetrici sono la valutazione frequente del profilo biofisico e il mon<strong>it</strong>oraggio<br />
cardiotocografico, in particolare computerizzato. In epoche gestazionali precoci, la<br />
diagnosi IUGR severo con flusso diastolico assente dovrebbe portare alla considerazione di<br />
somministrare steroidi. È stato evidenziato che gli steroidi comportano un miglioramento dei<br />
flussi in arteria ombelicale trans<strong>it</strong>oriamente in queste circostanze per 4-7 giorni 138 ; d’altro canti<br />
i feti con restrizione di cresc<strong>it</strong>a sono a rischio di acidosi lattica e gli steroidi sembrano indurre<br />
acidosi in modelli animali 139 . Quindi in caso di IUGR con flusso ombelicale assente o invert<strong>it</strong>o<br />
la somministrazione di steroidi prima delle 32 settimane dovrebbe essere segu<strong>it</strong>a da<br />
uno studio intensivo a breve termine con il Doppler sia per identificare una risposta pos<strong>it</strong>iva<br />
favorevole del flusso diastolico sia per identificare la necess<strong>it</strong>à del parto.<br />
Il parto<br />
Generalmente quando l’epoca gestazionale è inferiore alle 32 settimane, il parto dovrebbe<br />
espletarsi mediante taglio cesareo elettivo in quanto offre maggiori garanzie sul mantenimento<br />
e sul mon<strong>it</strong>oraggio del benessere materno e fetale. Inoltre, il tentativo di induzione del<br />
travaglio in queste epoche precoci si conclude in parto vaginale solo nel 35% dei casi 140,141 .È<br />
preferibile che il taglio cesareo avvenga in anestesia perdurale o spinale, in quanto l’intubazione<br />
e l’estubazione necessari per l’anestesia generale possono provocare un aumento della<br />
pressione arteriosa e della frequenza cardiaca 142 . Sia nel corso dell’intervento sia nel decorso<br />
post-operatorio è inoltre importante l’attenta regolazione del carico di liquidi per il rischio<br />
di edema polmonare acuto.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
In epoche gestazionali superiori alle 34 settimane, se le condizioni materne e fetali sono<br />
stabili il parto vaginale è l’opzione preferibile: è opportuna l’induzione del travaglio di parto<br />
previa valutazione della cervice. Un parto vaginale si realizza nel 65% dei casi di induzione,<br />
soprattutto se si usano prostaglandine vaginali e le probabil<strong>it</strong>à di successo sono maggiori quanto<br />
più elevata è l’epoca gestazionale 140,141 . Considerando che la modal<strong>it</strong>à di parto preferibile<br />
è quella per via vaginale e che la maggior parte dei feti non compromessi può affrontare un<br />
travaglio di prova vaginale, tali affermazioni sono applicabili anche per la maggior parte dei<br />
feti con restrizione di cresc<strong>it</strong>a se l’induzione al travaglio viene effettuata gradualmente e viene<br />
effettuato un mon<strong>it</strong>oraggio continuo fetale per individuare precocemente segni di compromissione<br />
fetale.<br />
Un feto con restrizione di cresc<strong>it</strong>a severa ed evidenza Doppler di redistribuzione del flusso<br />
cerebrale e oligoanidramnios, invece, non è probabilmente in grado di affrontare un travaglio<br />
per cui tali condizioni possono rappresentare un’indicazione al taglio cesareo. In questi<br />
casi, tuttavia uno stress test con oss<strong>it</strong>ocina può essere di aiuto nel valutare la presenza di<br />
una riserva placentare sufficiente per il feto di affrontare le contrazioni del travaglio.<br />
Nel complesso, l’assistenza al travaglio di una paziente pre-eclamptica richiede comunque<br />
un mon<strong>it</strong>oraggio continuo della frequenza cardiaca fetale poiché la probabil<strong>it</strong>à di insorgenza<br />
di distress fetale è più frequente, a causa dell’insufficienza placentare 141 . La terapia antipertensiva<br />
può essere continuata per tutto il travaglio. È opportuno tenere presente che il taglio<br />
cesareo dovrebbe essere effettuato prontamente, ai primi segnali di compromissione materna<br />
o fetale se il travaglio è prolungato. Inoltre è indicato il parto strumentale se il secondo<br />
stadio del travaglio non procede rapidamente o se la PA diastolica supera i 100 mmHg.<br />
Analgesia durante il travaglio<br />
La pre-eclampsia non rappresenta una controindicazione all’analgesia epidurale: questa può<br />
apportare dei benefici, in quanto il sollievo dal dolore ha un effetto benefico sul rialzo pressorio<br />
spesso associato con il travaglio 143,144 .<br />
Il requis<strong>it</strong>o indispensabile per l’applicazione del catetere epidurale è dato dalla conoscenza<br />
del controllo dei livelli piastrinici e delle prove emogeniche al momento dell’ammissione<br />
in sala parto: valori di piastrine < 80 x 109/l controindicano il posizionamento del catetere,<br />
mentre valori compresi tra 80 x 109/l e 100 x 109/l, consentono l’analgesia epidurale solo se<br />
le prove emogeniche sono normali.<br />
Considerando la ridistribuzione dei fluidi associata alla fisiopatologia della pre-eclampsia,<br />
e degli effetti dell’analgesia epidurale sulla vasodilatazione, l’applicazione del catetere epidurale<br />
deve essere associata ad un giudizioso controllo del bilancio idrico. Inoltre occorre tenere<br />
presente l’eventual<strong>it</strong>à che l’ipotensione conseguente vasodilatazione indotta dall’analgesia<br />
epidurale faccia precip<strong>it</strong>are la già compromessa perfusione placentare determinando l’insorgenza<br />
di segni di sofferenza fetale.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
269
270<br />
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
Coplicanze post-partum<br />
Generalmente l’espulsione della placenta rappresenta la terapia della pre-eclampsia tuttavia<br />
le prime 48 ore dopo il parto cost<strong>it</strong>uiscono una fase “cr<strong>it</strong>ica” in cui si possono manifestare<br />
molte delle complicanze 70 . Il principale rischio materno in questa fase è rappresentato dall’edema<br />
polmonare 1 ; un mon<strong>it</strong>oraggio invasivo in genere non è necessario 145 specie considerando<br />
che nella pre-eclampsia, l’edema polmonare può verificarsi in presenza di una bassa<br />
pressione venosa centrale a causa dell’aumento dei fluidi interstiziali. Utile, invece, è la continua<br />
valutazione ossimetrica, o in caso di sospetto di edema polmonare, l’esecuzione di<br />
un’emogasanalisi.<br />
Il coinvolgimento renale è un’altra possibile complicanza: una oliguria relativa è frequente,<br />
realizzandosi in circa il 30% di donne con malattia severa 146 . Questa non richiede alcun intervento,<br />
perché in genere il volume di urine si ripristina spontaneamente in poche ore. Invece<br />
una compromissione più severa e prolungata della diuresi, può comportare la r<strong>it</strong>enzione fino<br />
al sovraccarico, che in genere incomincia 16 ore dopo il parto. In caso di bilancio idrico pos<strong>it</strong>ivo,<br />
o di sospetto di edema polmonare, dovrebbero essere somministrati diuretici: tale approccio<br />
riduce la probabil<strong>it</strong>à di edema polmonare, aumenta la saturazione di ossigeno, riduce<br />
l’edema cerebrale e migliora il controllo pressorio. Se l’edema polmonare insorge nonostante<br />
l’uso di diuretici, si deve prendere in considerazione la possibil<strong>it</strong>à di un difetto della funzione<br />
ventricolare sinistra.<br />
Altre possibili complicanze post partum sono rappresentate dalla sindrome HELLP, eclampsia<br />
postpartum e ictus 70 . In defin<strong>it</strong>iva, dopo il parto, il management di donne con pre-eclampsia<br />
è fondamentalmente di supporto e richiede uno stretto mon<strong>it</strong>oraggio della pressione arteriosa,<br />
dei sintomi, del bilancio di liquidi. Se è stato somministrato magnesio solfato, questo<br />
dovrebbe essere continuato per almeno 24 ore dopo il parto. La necess<strong>it</strong>à di terapia antiipertensiva<br />
spesso si riduce nelle prime 24 e, nelle successive 72 ore la dose somministrata<br />
dovrebbe essere rivalutata poiché la pressione tende a diminuire. Comunque può essere necessario<br />
proseguire la terapia antiipertensiva per alcune settimane dopo il parto.<br />
Lo screening della pre-eclampsia<br />
E’ ormai nota da tempo l’associazione tra la patologia vascolare uteroplacentare e forme<br />
anomale della veloc<strong>it</strong>à del flusso in arterie uterine 147 .Tale evidenza ha sugger<strong>it</strong>o l’ipotesi che<br />
il Doppler delle arterie uterine potesse avere un ruolo come screening non invasivo di placentazione<br />
difettiva in uno stadio della gravidanza sufficientemente precoce per identificare<br />
donne a rischio di sviluppare IUGR e/o pre-eclampsia. A sostegno di questa ipotesi, è stato<br />
riscontrato che le gravidanze in cui si evidenzi un’elevato indice di resistenza o un notch diastolico<br />
precoce (unilaterale o bilaterale) alla flussimetria doppler delle arterie uterine nel se-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
condo trimestre sono associate ad un aumento pari sette volte della frequenza di pre-eclampsia<br />
148 . In realtà, i dati in Letteratura sono piuttosto controversi: si può sostenere che tale metodica<br />
rappresenti un valido screening per quegli outcome avversi associati al difetto di placentazione<br />
che es<strong>it</strong>ano in parto pretermine, quali pre-eclampsia severa e IUGR precoci, mentre<br />
è scarsa la capac<strong>it</strong>à di predire pre-eclampsia e IUGR a termine 149-151 . Nel complesso, il valore<br />
pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo è del 6-40%, mentre la sensibil<strong>it</strong>à varia dal 20 al 60% 70 , essendo maggiore<br />
quando tale metodica è applicata ad una popolazione più selezionata (storia di ipertensione,<br />
nefropatia, sindrome da anticorpi antifosfolipidi). Il periodo ottimale di esecuzione è<br />
quello compreso tra 18-24 settimane 151 : nonostante il riconoscimento di un’alterazione flussimetrica<br />
in epoche gestazionali precoci avrebbe un maggiore beneficio in termini di tempestiv<strong>it</strong>à<br />
di intervento profilattico, il numero di falsi pos<strong>it</strong>ivi nel primo trimestre è molto elevato,<br />
verosimilmente perchè il processo di placentazione non è ancora completato. Sebbene<br />
non vi sia accordo su quale aspetto della forma della veloc<strong>it</strong>à possa considerarsi il gold standard<br />
per valutare lo screeninig pos<strong>it</strong>ivo, sembra che la combinazione di un elevato indice di<br />
resistenza e la presenza di notch siano associati a sensibil<strong>it</strong>à più elevata 152 . Infine, alcuni markers<br />
biochimici possono aumentare la sensibil<strong>it</strong>à dello screening ecografico: in particolare livelli<br />
elevati di inibina A nel II trimestre, indicatore indipendente di invasione trofoblastica inadeguata<br />
153 .<br />
Sulla base delle specifiche anomalie fisiopatologiche associate alla pre-eclampsia (attivazione<br />
endoteliale e della coagulazione, infiammazione sistemica), numerose sostanze sono state<br />
proposte come indicatori del successivo sviluppo di questa condizione. Nonostante siano<br />
state riportate concentrazioni materne di questi biomarcatori sia aumentate sia ridotte precocemente<br />
nelle donne che svilupperanno la pre-eclampsia, i dati sono inconsistenti e non<br />
sono utilizzabili nella pratica clinica 154,155 .<br />
Prevenzione della pre-eclampsia<br />
La possibil<strong>it</strong>à di definire un programma di prevenzione di una determinata patologia presuppone<br />
un’adeguata conoscenza della sua eziologia e fisiopatologia e l’esistenza di un test di<br />
screening sufficientemente sensibile per identificare donne ad alto rischio in modo che vengano<br />
indirizzate verso una terapia profilattica. Per quanto concerne la pre-eclampsia, tali aspetti<br />
sono tutt’altro che ben defin<strong>it</strong>i; inoltre l’eziologia multifattoriale e la natura eterogenea di<br />
questa sindrome suggeriscono che un programma di prevenzione univoco potrebbe non essere<br />
efficace in tutti i casi di pre-eclampsia.<br />
La prevenzione primaria, basata sulla identificazione e correzione dei fattori di rischio in<br />
fase pregravidica, dovrebbe essere rivolta alla perd<strong>it</strong>a di peso da parte di donne obese o in<br />
soprappeso, al buon controllo glicemico in pazienti diabetiche, alla normalizzazione della pres-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
sione arteriosa nelle forme di ipertensione cronica. La prevenzione terziaria, finalizzata a ridurre<br />
il rischio di insorgenza delle complicanze dopo che la malattia è clinicamente manifesta,<br />
consiste nella terapia. L’approccio più difficile riguarda, invece, la prevenzione secondaria,<br />
cioè quella da attuare in donne asintomatiche per una diagnosi e un trattamento precoce.<br />
I dati principali in letteratura riguardano la somministrazione di aspirina 155 : il razionale consiste<br />
nel tentativo di correggere lo sbilanciamento tra prostaciclina e trombossano A2, che<br />
cost<strong>it</strong>uisce uno degli aspetti maggiormente coinvolti nella fisiopatologia della pre-eclampsia:<br />
l’inibizione della sintesi piastrinica di TXA2 con basse dosi di aspirina migliorerebbe la vasocostrizione<br />
e l’aggregazione piastrinica e, in tal modo, potrebbe prevenire o r<strong>it</strong>ardare la progressione<br />
della malattia. I diversi trials clinici in propos<strong>it</strong>o, oltre ad essere spesso metodologicamente<br />
cr<strong>it</strong>icabili, sono caratterizzati da un’estrema variabil<strong>it</strong>à dei cr<strong>it</strong>eri di selezione, di randomizzazione<br />
e delle dosi utilizzate.<br />
Una meta-analisi di questi studi 116 , riporta una riduzione del rischio di pre-eclampsia del<br />
15% conseguente alla somministrazione di antiaggreganti, sia nella popolazione ad alto rischio<br />
(precedente pre-eclampsia severa, diabete, ipertensione cronica, nefropatia o malattia autoimmune)<br />
sia in quella a rischio moderato (prima gravidanza, lieve aumento pressorio senza proteinuria,<br />
roll-over test pos<strong>it</strong>ivo, anomalia al Doppler delle arterie uterine, gravidanza multipla,<br />
storia familiare di pre-eclampsia severa, teen-ager). Inoltre viene evidenziata una riduzione pari<br />
al 14% del rischio di morte neonatale nel gruppo trattato e di circa l’8% del rischio di parto<br />
pretermine prima delle 37 settimane, mentre non è riportata alcuna evidenza di una minore<br />
incidenza del parto prima delle 32 settimane.Tali dati suggeriscono che 89 donne dovrebbero<br />
essere trattate per prevenire 1 caso di pre-eclampsia e 250 donne dovrebbero ricevere<br />
la terapia antiaggregante per prevenire una morte neonatale: pertanto, nonostante la<br />
somministrazione di aspirina sia statisticamente associata a diversi benefici, questa evidenza<br />
non si è tradotta in un largo impiego nella pratica clinica, probabilmente perché numeri relativamente<br />
ampi di donne necess<strong>it</strong>erebbero di essere trattati per prevenire un singolo caso di<br />
pre-eclampsia.<br />
L’interesse è stato focalizzato, quindi, sull’efficacia dell’aspirina in donne identificate come<br />
ad alto rischio dallo screening del Doppler delle arterie uterine. Una meta-analisi di 5 studi<br />
randomizzati 157 ha dimostrato una riduzione del 45% di pre-eclampsia nel gruppo trattato che,<br />
in termini numerici, richiederebbe la somministrazione di aspirina a 16 donne con Doppler<br />
alterato per prevenire un caso di pre-eclampsia, fornendo un supporto più plausibile alla terapia<br />
preventiva in un campione più selezionato.<br />
Piuttosto dibattuti, sono il dosaggio ottimale e il timing del trattamento: la meta-analisi c<strong>it</strong>ata<br />
156 suggerisce maggiori benefici con dosi superiori a 75 mg e raccomanda l’inizio della terapia<br />
tra le 12 e le 20 settimane.<br />
Studi osservazionali, sebbene piuttosto lim<strong>it</strong>ati 158 , riportano un outcome migliore quando<br />
l’inizio della terapia antiaggregante avviene nel primo trimestre, sostenendo che questa po-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
La pre-eclampsia: un disordine multisistemico<br />
trebbe essere di beneficio per il processo di invasione del trofoblasto.<br />
Numerosi studi sono stati effettuati per valutare il potenziale beneficio di altre sostanze<br />
nel ridurre la frequenza e/o la sever<strong>it</strong>à della pre-eclampsia, quali la supplementazione di zinco,<br />
magnesio, olio di pesce, l’uso di diuretici, la restrizione di proteine o sale e, anche se i dati<br />
si basano su campioni lim<strong>it</strong>ati, hanno mostrato un beneficio da minimo a nullo 70 .<br />
Risultati più incoraggianti riguardano, invece, la somministrazione di calcio, antiossidanti ed<br />
eparina a popolazioni selezionate come a maggior rischio di sviluppare la pre-eclampsia.<br />
La supplementazione di calcio, teoricamente, può ridurre la contrattil<strong>it</strong>à delle cellule muscolari<br />
lisce sia riducendo il rilascio di paratormone e renina, sia per effetto indiretto attraverso<br />
l’aumento delle concentrazioni sieriche di magnesio 159 . Una meta-analisi del Cochrane<br />
riporta che la supplementazione di calcio, pur non comportando alcun beneficio sulla mortal<strong>it</strong>à<br />
perinatale, è associata, nel complesso, ad una riduzione del rischio di pre-eclampsia 160 :<br />
questa, tuttavia, risulta significativa solo in donne ad alto rischio di ipertensione o con scarso<br />
apporto di calcio con la dieta, suggerendo che tale approccio non abbia un reale significato<br />
nei paesi sviluppati.<br />
Per quanto concerne gli antiossidanti, sono stati riportati benefici conseguenti alla somministrazione<br />
di v<strong>it</strong>amina C ed E a donne defin<strong>it</strong>e a rischio di pre-eclampsia sulla base di anomalie<br />
Doppler delle arterie uterine a 18-22 settimane o di una precedente pre-eclampsia che<br />
avesse richiesto il parto prima delle 37 settimane 161 . In questi casi, l’evidenza clinica di una riduzione<br />
significativa della pre-eclampsia nel gruppo trattato, viene riflessa, sul versante biochimico<br />
da una riduzione del rapporto PAI-1/PAI-2, significativamente aumentato nella preeclampsia<br />
rispetto ad una normale gravidanza. Infine, risultati di studi osservazionali riportano<br />
una minore ricorrenza della pre-eclampsia ricorrente in donne con trombofilia in segu<strong>it</strong>o<br />
alla profilassi con eparina 162 .<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
279
280<br />
21<br />
IMMUNITÀ E <strong>GRAVIDANZA</strong>.<br />
ATTIVAZIONE O DEPRESSIONE:<br />
ASPETTI CLINICI<br />
E. Bianchini, M.Vessella, *R. Bulla, F .De Seta, A. Candiotto, S. Smiroldo, S. Sacco<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo<br />
* Ist<strong>it</strong>uto Patologia generale - Univers<strong>it</strong>à di Trieste<br />
PATOLOGIA AUTOIMMUNE<br />
Il sistema immun<strong>it</strong>ario del tratto gen<strong>it</strong>ale rappresenta una parte dell’esteso sistema di difesa<br />
che lambisce le membrane mucose del corpo umano. Sebbene esso, in tal sede, abbia<br />
notevoli similar<strong>it</strong>à con altre mucose dell’organismo, per molti aspetti risulta essere unico e<br />
funzionalmente separato dalle difese immuni mucosali, come quelle del polmone o dell’intestino,<br />
per esempio. Tale specifico sistema, infatti, deve proteggere adeguatamente l’apparato<br />
gen<strong>it</strong>ale ed essere in grado di rispondere ai patogeni sessualmente trasmissibili, alcuni dei quali<br />
potenzialmente letali come il virus HIV, il papilloma virus, ed altri che possono avere delle<br />
conseguenze devastanti per quanto riguarda la capac<strong>it</strong>à riproduttiva. Contemporaneamente,<br />
però tale sistema deve poter garantire la tolleranza nei confronti di antigeni come le molecole<br />
presenti nello sperma e nei confronti del prodotto del concepimento.<br />
Il sistema immun<strong>it</strong>ario può essere distinto in due grandi compartimenti: l’immun<strong>it</strong>à innata<br />
e quella acquis<strong>it</strong>a.<br />
L’immun<strong>it</strong>à innata rappresenta la prima risposta immun<strong>it</strong>aria agli stimoli e si estrinseca attraverso<br />
l’attivazione del complemento, la fagoc<strong>it</strong>osi macrofagica, la lisi cellulare da parte delle<br />
cellule NK.Tale risposta è immediata e non-antigene specifica e si caratterizza per una lim<strong>it</strong>ata<br />
capac<strong>it</strong>à di distinguere un microbo dall’altro, nonché una natura prettamente stereotipata;<br />
in altre parole, essa funziona sostanzialmente nella stessa maniera contro la maggior parte<br />
degli agenti infettivi; però risulta essere fondamentale perché non solo fornisce una prima<br />
linea di difesa nei confronti dei microbi, ma gioca anche un ruolo molto importante nell’induzione<br />
delle risposte immuni specifiche. Provvede infatti a fornire una sorta di “segnale d’allarme”<br />
che stimola la generazione di tali risposte.Vi sono infatti anche dei meccanismi di difesa<br />
maggiormente evoluti, che vengono stimolati dall’esposizione agli agenti infettivi, e che<br />
accrescono la loro intens<strong>it</strong>à ed il loro potenziale difensivo ad ogni successiva esposizione ad<br />
un determinato microbo.<br />
Dato che questa forma di immun<strong>it</strong>à evolve come risposta alle infezioni, essa viene denominata<br />
immun<strong>it</strong>à acquis<strong>it</strong>a o specifica. È in grado di rispondere in maniera diversa a microbi<br />
differenti, ha una specific<strong>it</strong>à per singole molecole ed ha la capac<strong>it</strong>à di “ricordare”, ossia di ri-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
spondere più intensamente ad esposizioni ripetute ad uno stesso agente patogeno. Le cellule<br />
coinvolte in tale tipo di risposte sono i linfoc<strong>it</strong>i T, divisi in TH1 e TH2 a seconda del recettore<br />
espresso sulla superficie cellulare, e i linfoc<strong>it</strong>i B.<br />
Perché un antigene estraneo possa essere riconosciuto dai linfoc<strong>it</strong>i, deve essere degradato<br />
in piccoli peptici antigenici ed essere associato alle molecole del complesso maggiore di<br />
istocompatibil<strong>it</strong>à MHC di classe I, espresse sulla superficie della maggior parte delle cellule e<br />
gli antigeni di istocompatibil<strong>it</strong>à di classe II, presenti sulle cellule presentanti l’antigene. L’iniziale<br />
incontro di un linfoc<strong>it</strong>a con un antigene induce una risposta primaria; in un successivo contatto<br />
con lo stesso patogeno l’organismo attiva una risposta di memoria caratterizzata da una<br />
reattiv<strong>it</strong>à immun<strong>it</strong>aria più rapida ed intensa finalizzata alla eliminazione del patogeno e alla prevenzione<br />
della malattia.<br />
La specific<strong>it</strong>à nei confronti dell’antigene è determinata, prima del contatto con l’antigene,<br />
dal riarrangiamento casuale dei geni che codificano il recettore, che avviene durante la maturazione<br />
dei linfoc<strong>it</strong>i nel midollo osseo o nel timo. Durante questo processo le cellule autoreattive<br />
sono eliminate permettendo esclusivamente la sopravvivenza delle cellule T che riconoscono<br />
i tessuti non-self.<br />
In gravidanza abbiamo una condizione molto particolare dal punto di vista immunologico.<br />
Essa infatti si caratterizza per l’instaurarsi di un rapporto immune speciale tra madre e feto<br />
che consente al feto di resistere all’attacco del sistema immun<strong>it</strong>ario materno, pur possedendo<br />
antigeni di istocompatibil<strong>it</strong>à diversi da quelli della madre.<br />
Allo sviluppo di questa s<strong>it</strong>uazione favorevole per il feto concorrono due fattori: l’instaurarsi<br />
di un processo di immunosoppressione locale a livello placentare e la formazione di una<br />
barriera protettiva per il feto. Alla cost<strong>it</strong>uzione della barriera di demarcazione tra madre e feto<br />
contribuisce il trofoblasto il quale utilizza diversi sistemi per evadere l’attacco immune materno.<br />
Confronto immun<strong>it</strong>ario tra madre e feto<br />
La placenta, l’organo neo-formato a livello uterino, svolge l’importante funzione di mantenere<br />
i contatti tra madre e feto. Alla formazione di questo tessuto contribuiscono strutture<br />
di origine materna e fetale: la decidua e il trofoblasto.<br />
La placenta svolge l’importante comp<strong>it</strong>o di assicurare al prodotto del concepimento il nutrimento<br />
necessario al suo sviluppo con un continuo rifornimento di sangue materno, che<br />
giunge attraverso le arterie uterine e spirali fin negli spazi intervillosi a ridosso dei villi coriali.<br />
Per ev<strong>it</strong>are che questo rifornimento subisca interruzioni, le pareti dei vasi materni vanno incontro<br />
ad una completa trasformazione strutturale quando entrano in terr<strong>it</strong>orio placentare.<br />
La principale trasformazione è la sost<strong>it</strong>uzione dell’endotelio con il trofoblasto al fine di ridur-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
281
282<br />
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
re al minimo il contributo delle cellule endoteliali nel determinare variazioni di flusso con il<br />
rilascio di endoteline, prostaglandine ed altri radicali.<br />
Il trofoblasto rappresenta la parte fetale della placenta. I villi corionici sono formati da due<br />
strati di cellule, uno più profondo di c<strong>it</strong>otrofoblasti mononucleati che aderiscono alla membrana<br />
basale dei villi ed uno più esterno di sinciziotrofoblasti multinucleati che derivano dalla<br />
fusione dei c<strong>it</strong>otrofoblasti.<br />
Il c<strong>it</strong>otrofoblasto ed il sinciziotrofoblasto formano una barriera che protegge il prodotto<br />
del concepimento da elementi potenzialmente dannosi quali i prodotti umorali e/o cellulari<br />
della risposta immune materna nei confronti di alloantigeni fetali, i più importanti dei quali sono<br />
gli antigeni di istocompatibil<strong>it</strong>à ered<strong>it</strong>ati dal padre e quindi estranei, che impediscono l’ingresso<br />
di leucoc<strong>it</strong>i che potrebbero attaccare il feto con meccanismi c<strong>it</strong>otossici o proinfiammatori.<br />
A dispetto della funzione di barriera, è ormai noto, che il trofoblasto villoso non impedisce<br />
il passaggio transplacentare di cellule tra la madre ed il feto, per esempio, microchimerismo<br />
fetale è stato r<strong>it</strong>rovato nel sangue materno molti anni dopo la gravidanza ed è particolarmente<br />
presente nelle cellule T periferiche di donne con sclerodermia; ciò suggerisce l’implicazione<br />
delle cellule fetali nell’insorgenza della malattia.<br />
Il trofoblasto non è presente esclusivamente a livello dei villi, ma cellule trofoblastiche sono<br />
presenti anche a livello della decidua dove prendono il nome di trofoblasto extravilloso<br />
(EVT) o di trofoblasto interstiziale. La penetrazione della parete uterina da parte del trofoblasto<br />
extravilloso avviene con un meccanismo non ancora conosciuto ma il processo ricorda<br />
gli eventi coinvolti nella migrazione delle cellule metastatiche. Durante la migrazione alcuni<br />
trofoblasti interstiziali cambiano morfologia divenendo prima fusiformi, poi rotondeggianti<br />
ed infine multinucleati quando raggiungono la porzione più profonda della decidua. Questi ultimi,<br />
noti come cellule giganti della placenta, rappresentano la tappa finale di trasformazione<br />
dei trofoblasti extravillosi e sono privi di attiv<strong>it</strong>à invasiva. Altri trofoblasti interstiziali, migrando<br />
in decidua tendono invece a localizzarsi di preferenza attorno alle arterie spirali. Durante<br />
la sua progressione attraverso la decidua il trofoblasto è in grado di modificare il pattern di<br />
molecole di adesione. Tali cellule perdono progressivamente l’integrina alfavbeta4 e la E-caderina<br />
tipiche delle cellule ep<strong>it</strong>eliali per acquisire alfavbeta3, il alfa5beta1 (recettore per la fibronectina),<br />
la VE-caderina e PECAM-1, molecole più tipiche delle cellule endoteliali.<br />
Vi sono poi delle cellule particolari del EVT, chiamate trofoblasto endovascolare che sono<br />
in grado di penetrare nelle arterie spirali, e di migrare in maniera retrograda all’interno<br />
del lume vascolare andando a sost<strong>it</strong>uire parzialmente il rivestimento endoteliale. Le arterie<br />
spirali a segu<strong>it</strong>o di questo rimodellamento vengono trasformate in ampi e tortuosi vasi ad alto<br />
flusso e bassa resistenza.<br />
Sia l’invasione trofoblastica endovascolare che perivascolare sono fondamentali per la prosecuzione<br />
della gravidanza. Alterazioni di tale fenomeno sono infatti associati ad un outcome<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
ostetrico sfavorevole come la pre-eclampsia, la restrizione di cresc<strong>it</strong>a intrauterina (IUGR) e<br />
l’aborto.<br />
Vi sono poi altri fattori che contribuiscono al rimodellamento vascolare, in particolare, in<br />
modelli murini un ruolo fondamentale sembrerebbero rivestire le cellule NK.<br />
A livello placentare le relazioni intercellulari sono speculari a quelle intercorrenti tra le cellule<br />
tumorali, infatti il controllo regolatorio dell’inibizione da contatto tra cellula-cellula è temporaneamente<br />
bloccato durante l’invasione trofoblastica. Alcuni Autori sono giunti a definire<br />
lo sviluppo placentare come un “processo pseudomaligno” enfatizzando il ruolo dei fattori di<br />
cresc<strong>it</strong>a, dei proto-oncogeni e delle proteine di adesione nello sviluppo placentare.<br />
Trofoblasto e risposta immune materna<br />
Le cellule del trofoblasto sono continuamente esposte al sangue materno e, poichè possiedono<br />
antigeni di derivazione paterna, potrebbero cost<strong>it</strong>uire un facile bersaglio per i componenti<br />
umorali e cellulari del sistema immun<strong>it</strong>ario materno, che riconosce questi antigeni come<br />
estranei. Per ev<strong>it</strong>are che una eventuale distruzione immuno-mediata di questa barriera<br />
protettiva apra la strada ad un massiccio attacco del feto da parte del sistema immunocompetente<br />
materno, il trofoblasto ha sviluppato sistemi di protezione molto efficienti.<br />
Il sinciziotrofoblasto non possiede né antigeni MHC di classe I né antigeni MHC di classe<br />
II per cui queste cellule non possono essere attaccate da linfoc<strong>it</strong>i c<strong>it</strong>otossici, che riconoscono<br />
il bersaglio antigenico soltanto in un contesto di restrizione imposto dagli antigeni HLA di classe<br />
I.<br />
Anche il c<strong>it</strong>otrofoblasto non esprime antigeni di istocompatibil<strong>it</strong>à, al contrario i trofoblasti<br />
extravillosi non esprimono antigeni MHC di classe I classici HLA-A e HLA-B (antigeni capaci<br />
di stimolare una reazione graft versus host disease-like) ma esprimono solo l’HLA-C ed una<br />
particolare molecola qual<strong>it</strong>ativamente diversa da quella espressa dagli altri tessuti materni. Si<br />
tratta, infatti, di un antigene MHC di classe I (o classe Ib) non classico denominato HLA-G<br />
che, come una classica molecola di classe I è associata alla beta2 microglobulina ed è espressa<br />
oltre che dalla placenta, in pochi altri tessuti quali l’occhio, il fegato ed i linfoc<strong>it</strong>i.<br />
L’HLA-G svolge un ruolo importante nella riproduzione poiché è coinvolta nella presentazione<br />
antigenica, infatti, i recettori CD8 possono legare l’HLA-G nello stesso modo in cui<br />
si legano ad antigeni MHC di classe I classici, inoltre, l’HLA-G può interagire con le cellule<br />
CD4 formando strutture simili a quelle di classe II. Quindi, una funzione dell’HLA-G potrebbe<br />
essere quella di presentare antigeni intracellulari estranei alle cellule T.<br />
L’espressione di HLA-G serve anche a proteggere il trofoblasto in quanto inibisce la proliferazione<br />
dei linfoc<strong>it</strong>i T CD4+ e diminuisce la produzione da parte della decidua di TNF-alfa<br />
ed IFN-gamma.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
283
284<br />
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
L’HLA-G, inoltre, è riconosciuta da specifici recettori espressi sulle cellule NK dell’utero,<br />
compresi i recettore CD94/NKG2A e LIR-1 e protegge il trofoblasto dall’azione lesiva delle<br />
cellule NK.<br />
L’HLA-G è presente anche in forma solubile ed al contrario della forma legata alla membrana,<br />
stimola il rilascio di TNF-alfa e INF-gamma. L’aumento di queste c<strong>it</strong>ochine Th1 è accompagnata<br />
da un aumento di IL-10 che è in grado di contrastarne gli effetti abortivi. La rilevanza<br />
clinica di tale molecola appare evidente da studi condotti su RSA ed eclampsia (patologia<br />
caratterizzata da una scarsa invasione trofoblastica) dove la sua espressione trofoblastica<br />
ed i livelli materni circolanti sembrerebbero essere fortemente diminu<strong>it</strong>i.<br />
Recenti studi condotti sulle gravidanze in v<strong>it</strong>ro hanno dimostrato come sia lo stesso embrione<br />
sHLA-G (forma solubile dell’HLA-G; massima concentrazione rilevata 2-3 giorni dopo<br />
la fecondazione in v<strong>it</strong>ro) a dimostrazione dell’importanza di fattore e dell’enorme potenzial<strong>it</strong>à<br />
dell’embrione stesso, nell’impianto.<br />
Sargent e coll. (Oxford Fertil<strong>it</strong>y Un<strong>it</strong>) hanno dimostrato come la percentuale di successo<br />
dopo fecondazione in v<strong>it</strong>ro era molto più elevata negli embrioni che producono elevate concentrazioni<br />
di tale molecola rispetto a quelli che non erano dotati di tale capac<strong>it</strong>à. Questi studi,<br />
tutt’ora in corso, forniscono importanti implicazioni per la fecondazione in v<strong>it</strong>ro, infatti, se<br />
tali dati preliminari venissero confermati, sarebbe possibile selezionare gli embrioni “migliori”<br />
non solo sulla base della morfologia, ma anche della capac<strong>it</strong>à di produrre sHLA-G, comportando<br />
un maggior tasso di successi e non solo, ma anche la possibil<strong>it</strong>à (ove la legge lo permettesse)<br />
di trasferire un solo embrione, ev<strong>it</strong>ando così i problemi legati alle gravidanze multiple.<br />
I trofoblasti extravillosi esprimono inoltre l’HLA-E, che è in grado di interagire con i recettori<br />
CD94/NKG2 delle cellule NK ed inibire la loro attiv<strong>it</strong>à c<strong>it</strong>otossica.<br />
In defin<strong>it</strong>iva, le molecole MHC di classe I non classiche e l’HLA-C svolgono un importante<br />
ruolo nella soppressione dell’attiv<strong>it</strong>à delle cellule T e NK nei confronti della placenta. Una<br />
recente teoria, supportata da notevoli evidenze sperimentali, sostiene che l’espressione di<br />
HLA-C-E-G avrebbe un ruolo protettivo verso la lisi NK, mediata grazie a due meccanismi,<br />
uno diretto sulle cellule trofoblastiche, mirato a regolarne la secrezione c<strong>it</strong>ochimica, l’altro invece<br />
rivolto direttamente sulle cellule NK, mirato a regolare l’espressione recettoriale su tali<br />
cellule. Inoltre il legame di tali molecole alla superficie delle NK e dei macrofagi sarebbe in<br />
grado di attivare il rilascio di c<strong>it</strong>ochine fondamentali per l’angiogenesi, il rimodellamento vascolare<br />
e l’impianto.<br />
Una aberrante espressione di molecole MHC di classe II od una aumentata espressione<br />
trofoblastica di MHC di classe I sarebbero in grado di stimolare una maggiore produzione di<br />
IFN- gamma.Tale meccanismo potrebbe essere implicato nella patogenesi della poliabortiv<strong>it</strong>à,<br />
in virtù del ruolo stimolatore della c<strong>it</strong>otossic<strong>it</strong>à T-mediata di tale molecola, sebbene al momento<br />
attuale non vi sia alcuna evidenza sperimentale.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
Tabella1. Rapporti tra trofoblasto e risposta immune materna<br />
Trofoblasto Modificazioni Significato funzionale<br />
Extravilloso antigeni di classe I classici<br />
antigeni HLA di classe I non classici Protezione contro il killing da cellule NK<br />
Espressione di inib<strong>it</strong>ori del complemento Protezione contro il killing C-mediato<br />
Villoso Assente espressione di antigeni HLA di classe I Suscettibil<strong>it</strong>à al killing da linfoc<strong>it</strong>i c<strong>it</strong>otossici<br />
n v<br />
Trofoblasto e complemento<br />
Il sistema del complemento ha un ruolo centrale nella funzione immun<strong>it</strong>aria. L’attivazione<br />
del complemento coinvolge una cascata di reazioni enzimatiche che genera varie proteine<br />
con attiv<strong>it</strong>à biologiche che coinvolgono sia l’immun<strong>it</strong>à innata sia quella acquis<strong>it</strong>a che consistono<br />
nella lisi cellulare, l’opsonizzazione, l’attivazione della risposta infiammatoria e la rimozione<br />
degli immunocomplessi. La rapid<strong>it</strong>à d’azione e la assenza di memoria, tipiche di tale sistema,<br />
lo rendono una componente importante del sistema immun<strong>it</strong>ario innato. Durante la gravidanza<br />
la placenta rappresenta un’importante stimolo antigenico, tuttavia non si assiste ad alcuna<br />
attivazione complementare, grazie ad alcune proteine regolatrici. Fra queste il DAF/CD55<br />
(Decay A celerating Factor), il MCP/CD46 (Membrane Cofactor Protein) ed il CD59, nonché<br />
l’espressione della proteina S o v<strong>it</strong>ronectina, un inib<strong>it</strong>ore del complesso terminale. Il trofoblasto<br />
villoso esprime MCP e CD59 ed un basso livello di DAF e ciò si spiega col fatto che queste<br />
cellule necess<strong>it</strong>ano di una minore protezione nei confronti del complemento rispetto al<br />
sinciziotrofoblasto, inoltre, DAF, MCP e CD59 sono stati r<strong>it</strong>rovati anche sull’EVT, sebbene queste<br />
cellule non siano esposte direttamente al sangue materno ad eccezione del trofoblasto<br />
endovascolare. Studi condotti sul DAF, sembrerebbero dimostrare come polimorfismi genetici<br />
si associno ad emoglobinuria parossistica notturna e quindi non si può escludere che possano<br />
essere alla base di poliabortiv<strong>it</strong>à inspiegata.<br />
L’importanza del complemento durante la gravidanza viene testimoniata dalla sindrome<br />
da anticorpi antifosfolipidi (APS). Essa è patologia autoimmune che ricorre in circa il 20% di<br />
donne con storia di RSA e si caratterizza per la presenza di elevate concentrazioni sieriche<br />
di anticorpi IgG rivolti verso una proteina anionica dei fosfolipidi di membrana che sono alla<br />
base di modificazioni placentari capaci di compromettere l’es<strong>it</strong>o della gravidanza (trombosi<br />
arteriosa e/o venosa). Questi anticorpi sarebbero rivolti verso proteine espresse anche dalla<br />
superficie dei trofoblasti, infatti studi esegu<strong>it</strong>i su topi gravidi hanno evidenziato come tale condizione<br />
si associ ad abortiv<strong>it</strong>à e a r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterina.Tali fenomeni sembrerebbero<br />
essere associati ad una massiva deposizione complementare, in particolar modo in assenza<br />
di proteine regolatrici. Infatti l’infusione, su modelli murini di proteine regolatrici è in grado<br />
di bloccare la necrosi cellulare complemento-mediata.<br />
Anche nella specie umana (come dimostrato dalla attivazione anticorpo mediata della ca-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
v<br />
285
286<br />
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
scata complementare in donne con storia di RSA) potrebbe associarsi a poliabortiv<strong>it</strong>à.<br />
Deposizione di componenti complementari è stata dimostrata in aree di necrosi fibrinoide<br />
placentari tipiche di patologie quali la preeclampsia.Tuttavia tali componenti sono state rilevate<br />
anche in placente di donne con gravidanze fisiologiche ma con una estensione ridotta e<br />
soprattutto non coinvolgente il sincizio/c<strong>it</strong>otrofoblasto.<br />
Cellule deciduali e loro ruolo nel rapporto immune materno-fetale<br />
I componenti del sistema immune naturale ed acquis<strong>it</strong>o presenti in decidua sono principalmente<br />
Natural Killer (NK), macrofagi, linfoc<strong>it</strong>i T e linfoc<strong>it</strong>i B.<br />
Natural Killer<br />
Le cellule natural killer (NK) rappresentano una distinta sottopopolazione linfoc<strong>it</strong>aria che riveste<br />
un ruolo fondamentale nelle fasi iniziali della risposta immun<strong>it</strong>aria ai patogeni grazie alla<br />
loro attiv<strong>it</strong>à c<strong>it</strong>otossica (secrezione di c<strong>it</strong>ochine e chemochine). Essi rappresentano il 5-20% dei<br />
linfoc<strong>it</strong>i del sangue periferico mentre a livello della mucosa uterina (decidua basale, decidua parietale<br />
e in prossim<strong>it</strong>à delle arterie spirali) rappresentano la sottopopolazione linfoc<strong>it</strong>aria predominante<br />
(70% dei linfoc<strong>it</strong>i).<br />
La funzione delle NK uterine non è ancora chiara, poichè, queste cellule, pur essendo in grado<br />
di eserc<strong>it</strong>are un’attiv<strong>it</strong>à c<strong>it</strong>otossica nei confronti di cellule tumorali, al pari delle NK extrauterine,<br />
non hanno alcun effetto l<strong>it</strong>ico sul trofoblasto a meno che non siano attivate all’IL-2.<br />
Alle NK uterine è stato attribu<strong>it</strong>o un ruolo di controllo sull’impianto, la placentazione e la<br />
diffusione del trofoblasto extravilloso nella parete uterina.Teorie supportate dall’evidenza che,<br />
col procedere della gravidanza, il numero delle NK decresce progressivamente fino a divenire<br />
virtualmente assente a termine di gravidanza.<br />
Tale ruolo di modulatori dell’invasione trofoblastica è stato confermato da studi di Hiby e<br />
coll. che hanno trovato una significativa correlazione tra un polimorfismo genetico del recettore<br />
KIR espresso dai NK e la pre-eclampsia.Tale patologia, tipica del secondo trimestre del<br />
5-10% delle gravidanze è infatti associata ad un incompleto processo di “remodelling” delle<br />
arterie spirali. Inoltre tali cellule potrebbero eserc<strong>it</strong>are una funzione di sorveglianza immunologica<br />
verso i virus controllandone un’eventuale trasmissione verticale oppure nei confronti<br />
di tumori che potrebbero svilupparsi in corso di gravidanza.<br />
Macrofagi<br />
La componente macrofagica presente a livello deciduale riveste un ruolo fondamentale<br />
per la difesa del prodotto del concepimento da possibili agenti patogeni, soprattutto fra la 23 a<br />
e la 36 a settimana. Infatti microrganismi quali lo Streptococco di gruppo B, l’Escherichia coli,<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
la Neisseriae gonorreae e la Chlamydia trachomatis sono ben noti per essere fonte di corioamnion<strong>it</strong>i<br />
che possono anche essere letali per il feto. Il lipopolisaccaride (LPS) presente sulla<br />
superficie cellulare di diversi patogeni, se introdotto all’interno della cav<strong>it</strong>à amniotica, può infatti<br />
attivare i macrofagi e stimolarli a produrre fosfolipasi A2, c<strong>it</strong>ochine come IL-1,TNF-alfa e<br />
IL-6 e ad incrementare la secrezione di Prostaglandina E2 e F2-alfa, responsabili di induzione<br />
di attiv<strong>it</strong>à contrattile uterina.Tali cellule non rivestirebbero però, solo un ruolo protettivo verso<br />
agenti esterni, forniscono anche un contributo importante nella regolazione dell’apoptosi<br />
cellulare, cr<strong>it</strong>ica per l’invasione e lo sviluppo embrionale, inoltre contribuiscono all’instaurarsi<br />
della tolleranza immunologica verso antigeni fetali.<br />
All’inizio della fase luteale del ciclo mestruale, a livello endometriale, è presente un gran<br />
numero di macrofagi, ma la loro quant<strong>it</strong>à tende a diminuire durante la fase secretoria; durante<br />
la gravidanza, i macrofagi sono distribu<strong>it</strong>i nella decidua in particolare nella zona di invasione<br />
trofoblastica. È stato dimostrato che i macrofagi placentari stimolano la cresc<strong>it</strong>a dei c<strong>it</strong>otrofoblasti<br />
e la loro differenziazione in sinciziotrofoblasto; possiedono una notevole attiv<strong>it</strong>à immunosoppressiva<br />
ed una più bassa capac<strong>it</strong>à di produrre IL-1 a segu<strong>it</strong>o di una stimolazione antigenica,<br />
rispetto ai monoc<strong>it</strong>i circolanti. Essi inoltre rappresentano una particolare classe di APC<br />
(Antigen Presenting Cells) il loro contatto con le cellule effettrici del sistema c<strong>it</strong>otossico ha, su<br />
di esse, un effetto inib<strong>it</strong>orio, soprattutto nelle fasi più precoci della gravidanza fondamentale<br />
per l’instaurarsi della tolleranza immun<strong>it</strong>aria verso il prodotto del concepimento<br />
Linfoc<strong>it</strong>i T e linfoc<strong>it</strong>i B<br />
Le cellule linfoc<strong>it</strong>arie sono poco rappresentate, il numero di linfoc<strong>it</strong>i T è modesto e ancora<br />
meno rappresentati sono i linfoc<strong>it</strong>i B. I linfoc<strong>it</strong>i T, con i recettori alfa-beta e gamma-delta,<br />
sono presenti durante tutta la gravidanza. Le cellule T alfa-beta che possono essere divise in<br />
CD4+ e CD8+ possono interagire con gli antigeni di classe Ib oppure con altre cellule presentanti<br />
l’antigene presenti nella decidua per combattere contro le infezioni. Le cellule T CD4+<br />
sono più numerose ed hanno attiv<strong>it</strong>à immunosoppressiva.<br />
Le cellule T alfa-beta sono presenti soprattutto nelle prime fasi della gravidanza, fino alla<br />
dodicesima settimana, successivamente sono assenti. Esse non necess<strong>it</strong>ano di una restrizione<br />
MHC per la loro azione c<strong>it</strong>otossica ed hanno un’attiv<strong>it</strong>à antimicrobica.<br />
Tabella II. Cellule deciduali e loro ruolo nel rapporto immuno materno-fetale<br />
Cellule Frequenza Funzione<br />
NK-simili (LGLs) Elevata Attiv<strong>it</strong>à antivirale, antineoplastica, controllo<br />
della diffusione trofoblastica<br />
Macrofagi Buona Difesa ed immunosoppressione<br />
Linfoc<strong>it</strong>i T Modesta TH1 →danno fetale<br />
TH2 →protezione<br />
Linfoc<strong>it</strong>i B Scarsa Ab bloccanti →protezione Ab c<strong>it</strong>otossici →danno<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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288<br />
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
C<strong>it</strong>ochine e risposta immune materna<br />
Le numerose e complesse interazioni cellulari presenti a livello dell’interfaccia maternofetale<br />
sono regolate da diversi fattori solubili quali c<strong>it</strong>ochine, prostaglandine, ed ormoni. Tali<br />
molecole vengono prodotte dalle stesse cellule del sistema immun<strong>it</strong>ario ma non solo, anche<br />
dalla decidua, dal trofoblasto e dal corion. Queste molecole solubili sono in grado di agire con<br />
diversi meccanismi: autocrino, paracrino ed endocrino secondo modal<strong>it</strong>à complesse spesso<br />
difficili da riprodurre su modelli umani.<br />
Immunodistrofismo<br />
Il paradigma noto come “immunodistrofismo” deriva dall’osservazione che il feto “semiallogenico”<br />
(antigeni paterni e materni) è in grado di evadere l’attacco del sistema immun<strong>it</strong>ario<br />
materno, potenzialmente dannoso per la sua sopravvivenza.<br />
Il sistema immun<strong>it</strong>ario materno possiederebbe, infatti, degli effetti inib<strong>it</strong>ori sul feto, aventi<br />
tuttavia funzioni protettive. Infatti, sembrerebbero lim<strong>it</strong>are l’invasione trofoblastica, come dimostrato<br />
da studi effettuati su gravidanze ectopiche, dove invece il trofoblasto avrebbe una<br />
maggiore invasiv<strong>it</strong>à.Tale evidenza sembra suggerire come in una gravidanza fisiologica fattori<br />
locali prodotti dalla decidua e/o dall’endometrio stesso siano capaci di regolarne la proliferazione<br />
e l’aggressiv<strong>it</strong>à.Tuttavia una eccessiva inibizione trofoblastica immuno-mediata è correlata<br />
con un insufficiente sviluppo placentare e può essere quindi correlato con un outcome<br />
materno-fetale sfavorevole: aborto, IUGR, pre-eclampsia.<br />
Da studi in v<strong>it</strong>ro è emerso come c<strong>it</strong>ochine quali TNF-alfa-beta, IFN-gamma ed il CSF (colony<br />
stimulating factor) possano lim<strong>it</strong>are non solo l’invasione trofoblastica ma anche quella di<br />
linee cellulari derivanti da corioncarcinoma, ruolo svolto dall’inibizione diretta sulla sintesi proteica<br />
trofoblastica.Tali c<strong>it</strong>ochine sarebbero poi in grado di inibire la proliferazione delle cellule<br />
deciduali potendo quindi interrompere lo sviluppo embrionario, come dimostrato da studi<br />
effettuati su donne con storia di poliabortiv<strong>it</strong>à.<br />
Studi esegu<strong>it</strong>i sui rod<strong>it</strong>ori hanno dimostrato come la somministrazione sistemica di IL-1,<br />
IL-2,TNF-alfa ed IFN-gamma possa indurre l’aborto. Sebbene i “livelli fisiologici” di queste c<strong>it</strong>ochine<br />
siano presenti durante una gravidanza fisiologica, in particolari condizioni come in caso<br />
di infezione ed ipossia, possono aumentare notevolmente implementando quindi il rischio<br />
di aborto. A livello materno la produzione di questi fattori è ascrivibile a cellule NK, linfoc<strong>it</strong>i<br />
T e macrofagi.<br />
Immunosoppressione<br />
Da diversi studi è emerso come vi siano c<strong>it</strong>ochine aventi attiv<strong>it</strong>à immunosoppressiva in<br />
grado di inibire il sistema immun<strong>it</strong>ario materno. La produzione di tali fattori è deputata ad<br />
una particolare popolazione di piccoli linfoc<strong>it</strong>i deciduali in grado di rilasciare un fattore solubile<br />
simile al TGF-beta2 (Transforming growth factorbeta2).Tale fattore è in grado di inibire l’at-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
tivazione dei linfoc<strong>it</strong>i T c<strong>it</strong>otossici e delle cellule NK (meccanismo mediato dal blocco dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
dell’IL-2); il defic<strong>it</strong> di tali cellule è associato sia nelle topine che nella specie umana ad<br />
aborto. Anche il trofoblasto e la placenta sono in grado di produrre un fattore anch’esso simile<br />
al TGF-beta2 capace di inibire la proliferazione dei linfoc<strong>it</strong>i T e di bloccare l’attiv<strong>it</strong>à l<strong>it</strong>ica<br />
della cellule NK.Tale fattore di origine placentare sarebbe in grado di legarsi all’alfa-fetoproteina<br />
presente nel liquido amniotico spiegandone il ruolo immunosoppressivo.<br />
Un’ulteriore c<strong>it</strong>ochina dotata di una notevole attiv<strong>it</strong>à immunoregolatrice è l’IL-10, anch’essa<br />
di produzione trofoblastica, è capace di regolare in senso inib<strong>it</strong>orio la produzione di alcune<br />
c<strong>it</strong>ochine (IL-1, IFN-gamma,TNF-alfa). Anche l’IL-4 è dotata di tale capac<strong>it</strong>à grazie alla soppressione<br />
dell’attivazione IL-2-mediata delle cellule NK.<br />
Non solo le c<strong>it</strong>ochine sono dotate di attiv<strong>it</strong>à immunosoppressiva, ma, in gravidanza, un ruolo<br />
fondamentale rivestono molecole come le prostaglandine, l’indolamina 2-3 diossigenasi<br />
(IDO) e gli ormoni steroidei.<br />
L’IDO è un fattore solubile di origine enzimatica prodotto dai macrofagi e da altre cellule<br />
del sistema immun<strong>it</strong>ario in risposta all’IFN-gamma. Esso è capace di prevenire la proliferazione<br />
dei linfoc<strong>it</strong>i T deciduali grazie alla sua capac<strong>it</strong>à di catabolizzare il triptofano, un aminoacido<br />
essenziale per la proliferazione dei linfoc<strong>it</strong>i. L’IDO viene prodotto dalla decidua basale<br />
nel primo trimestre, a termine, invece, dalle cellule endoteliali dei villi coriali, a riprova del suo<br />
ruolo protettivo nel mantenimento della gravidanza. In uno studio del 2002 Santoso et al. hanno<br />
rilevato una significativa diminuzione di tale enzima nel liquido amniotico derivante da gravidanze<br />
pre-eclamptiche rispetto ai controlli sani.Tale ruolo non è ancora stato studiato nell’aborto<br />
ricorrente.<br />
Gli ormoni steroidei, estrogeni e progestinici, sono anch’essi dotati di una fondamentale<br />
attiv<strong>it</strong>à immunomodulatrice a livello dell’interfaccia materno-fetale. Il progesterone è in grado<br />
di attuare un’attiv<strong>it</strong>à immunosoppressoria agendo su entrambe le braccia del sistema immune,<br />
umorale e cellulare. I linfoc<strong>it</strong>i T materni sono dotati di un peculiare recettore per il progesterone,<br />
che se stimolato induce la produzione di una potente molecola, capace di bloccare<br />
l’attiv<strong>it</strong>à dei Natural Killer attivati.Tuttavia tali effetti sono raggiungibili solo a livello placentare<br />
dove le concentrazioni del progesterone sono molto più elevate rispetto al siero materno,<br />
preservando l’immun<strong>it</strong>à sistemica da tale effetto.<br />
Oltre a possedere un effetto immunosoppressore, ben noto è il suo ruolo “preparatore”<br />
l’endometrio ad accogliere una gravidanza, nonché, una volta che questa si sia instaurata di<br />
inibire l’insorgenza di attiv<strong>it</strong>à contrattile uterina.<br />
Gli estrogeni sono in grado di sopprimere la proliferazione dei linfoc<strong>it</strong>i T e le reazioni di<br />
ipersensibil<strong>it</strong>à r<strong>it</strong>ardata sebbene alcuni Autori hanno postulato un possibile ruolo attivatorio<br />
nella risposta anticorpale. Anche gli steroidi presentano concentrazioni lievemente aumentate<br />
in gravidanza il cui effetto immunosoppressivo è ben noto. In particolare l’1,25 diidrossiv<strong>it</strong>amina<br />
D, presente in elevate quant<strong>it</strong>à a livello placentare e deciduale è in grado di inibire la<br />
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Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
produzione di Il-2 e IFN-gamma da parte dei linfoc<strong>it</strong>i T e di GM-CSF da parte dei macrofagi.<br />
Un altro ormone che, da recenti studi, sembrerebbe rivestire un ruolo essenziale come<br />
immunomodulatore, è il CRH (Corticotropin Releasing Hormone). È l’ormone di secrezione ipotalamica<br />
più importante per la produzione ipofisaria dell’ACTH ed è noto anche per il suo<br />
ruolo chiave nella risposta infiammatoria, infatti può essere prodotto dal c<strong>it</strong>otrofoblasto villoso<br />
ed extravilloso a dimostrazione delle sue elevate concentrazioni nel sangue materno.<br />
Recentissimi studi condotti su specie murina hanno dimostrato il suo ruolo chiave nell’impianto<br />
della gravidanza. Sembrerebbe infatti agire con meccanismi diversi: sul trofoblasto controllandone<br />
l’invasiv<strong>it</strong>à, sui linfoc<strong>it</strong>i T c<strong>it</strong>otossici inducendone l’apoptosi ed inibendo la risposta immune<br />
adattativa. Sarebbe dotato poi di un ruolo proinfiammatorio stimolando la secrezione<br />
c<strong>it</strong>ochinica mirata a favorire l’impianto, la vasodilatazione e la quiescenza uterina.<br />
Studi tutt’ora in corso (Oxford Fertil<strong>it</strong>y Un<strong>it</strong>) evidenziano come anche lo stesso embrione<br />
sia in grado di produrre CRH e possieda i recettori per quest’ultimo. La funzione di tale recettore<br />
su embrioni murini sembrerebbe essere quella di promuovere lo sviluppo della blastocisti.<br />
Esiste poi una serie di sostanze strettamente legate alla gravidanza per le quali è stata postulata<br />
una funzione regolatrice della risposta immun<strong>it</strong>aria. Di questo gruppo di proteine fanno<br />
parte l’Early Pregnancy Factor (EPF), il Pregnancy Specific Beta-1 Glycopr<strong>it</strong>ein (SP-1), la<br />
Pregnancy Zone Protein (PZP) e la Pregnancy Associated Plasma Protein (PAPP-A). Si tratta di<br />
proteine di peso molecolare variabile tra 20.000 e 750.000 Daltons prodotte in larga parte<br />
dal trofoblasto.<br />
Tabella III. Regolatori della risposta immune materna a livello placentare<br />
Funzione Gruppo di regolatori Sorgente cellulare<br />
Protettiva IL-4,IL-5,IL-10 Cellule deciduali<br />
Trofica IL-3,GM-CSF,CSF-1 Linfoc<strong>it</strong>i T ed NK deciduali<br />
C<strong>it</strong>otossica IFN-gamma,TNF-alfa Macrofagi,NK, trofoblasti<br />
Immunosoppressiva TGF-beta, PGE2, EPF, SP1, PZP, PAPP-A Linfoc<strong>it</strong>i T, NK,macrofagi,trofoblasti<br />
Immunotrofismo<br />
Diversamente dai concetti di immunodistrofismo ed immunosoppressione, vi sono, in letteratura,<br />
diverse evidenze sull’importanza della risposta immun<strong>it</strong>aria materna nei confronti di<br />
antigeni del prodotto del concepimento. Esistono, infatti, diverse c<strong>it</strong>ochine di derivazione linfoc<strong>it</strong>aria<br />
che possiederebbero un ruolo trofico sullo sviluppo placentare e sulle funzioni trofoblastiche<br />
contribuendo quindi alla sopravvivenza fetale. Tale concetto sviluppato da<br />
Wegmann nel lontano 1984, prende il nome di immunotrofismo placentare.<br />
Le principali c<strong>it</strong>ochine che svolgono questo fondamentale ruolo includono la famiglia delle<br />
CSF (Colony Stimulating Factor) di origine macrofagica, GM-CSF ed IL-3.Anche le stesse IFNalfa,<br />
IL-1-beta e TNF-alfa avrebbero funzioni immunotrofiche aumentando l’espressione, sul-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
l’endotelio vascolare, di recettori per il VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) durante il<br />
primo trimestre.<br />
Anche la risposta umorale materna nei confronti di antigeni fetali sembrerebbe essere protettiva.Tali<br />
anticorpi “bloccanti” ep<strong>it</strong>opi antigenici fetali potrebbero prevenire la risposta immune<br />
materna cellulo-mediata, come testimonia la relazione fra la loro assenza e l’aborto<br />
spontaneo.<br />
Il riconoscimento materno degli antigeni fetali si realizza in un gran numero di gravidanze<br />
evolutive, infatti, anticorpi leucoc<strong>it</strong>otossici anti-fetali (anti-paterni) sono stati riscontrati dal 35%<br />
al 65% nelle pluripare e nel 25% delle primipare. Si tratta di isotipi IgG e sono diretti contro<br />
gli antigeni MHC paterni che, sebbene potenzialmente possano essere nocivi per il feto, non<br />
danneggiano il trofoblasto e sono presenti in molte donne normali.<br />
Il paradigma TH1-TH2<br />
I linfoc<strong>it</strong>i T helper (CD4+) si dividono in due grandi categorie TH1 e TH2. Queste due<br />
sottopopolazioni linfoc<strong>it</strong>arie producono diversi tipi di c<strong>it</strong>ochine, responsabili del diverso ruolo<br />
di queste cellule nella risposta immune verso agenti patogeni. I linfoc<strong>it</strong>i TH1 sono in grado<br />
di produrre IFN-gamma,TNF-beta, IL-2 e TNF-alfa. Quest’ultimo mediatore, il TNF-alfa, viene<br />
prodotto ma in minore quant<strong>it</strong>à, anche dai linfoc<strong>it</strong>i TH2, e dato il suo effetto c<strong>it</strong>ol<strong>it</strong>ico a concentrazioni<br />
elevate, viene considerata una molecola tipica della risposta TH1.<br />
Le molecole prodotte dai TH1 sono in grado di attivare i macrofagi e di innescare la risposta<br />
immun<strong>it</strong>aria cellulare CD8-mediata, fondamentale nella protezione da patogeni intracellulari,<br />
agenti c<strong>it</strong>otossici e tipica delle reazioni di ipersensibil<strong>it</strong>à.<br />
I linfoc<strong>it</strong>i TH2, invece, producono IL-4, IL-5, IL-6, IL-10 ed IL-3, tutte molecole capaci di stimolare<br />
una vigorosa risposta anticorpale B-linfoc<strong>it</strong>aria, fondamentale nella protezione di patogeni<br />
extracellulari.<br />
Le molecole prodotte da queste due sottopopolazioni linfoc<strong>it</strong>arie rivestono un ruolo reciprocamente<br />
inib<strong>it</strong>orio, IL-10 (TH2) inibisce il richiamo dei TH1 interagendo a livello delle<br />
APC (Antigens Presenting Cells), mentre IFN-gamma (TH1) previene l’attivazione dei TH2. Studi<br />
condotti su specie murine ed evidenze cliniche nella razza umana, certificano che la risposta<br />
umorale durante la gestazione sia potenziata così come accade per l’attiv<strong>it</strong>à delle cellule NK<br />
(Natural Killer) e la risposta a patogeni intracellulari, anche le malattie autoimmuni avrebbero<br />
un decorso più accelerato. Tutte le evidenze suggeriscono che in gravidanza vi sia una soppressione<br />
della reattiv<strong>it</strong>à immunologia TH1 mediata a favore di un potenziamento della risposta<br />
TH2.<br />
Si assisterebbe, quindi, ad una graduale diminuzione del rapporto TH1/TH2 come testimoniano<br />
innumerevoli studi compiuti sul ruolo del sistema immun<strong>it</strong>ario nella poliabortiv<strong>it</strong>à.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
291
292<br />
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
Infatti, la risposta immun<strong>it</strong>aria materna può essere deleteria per lo sviluppo del prodotto del<br />
concepimento come evidenzia l’elevata percentuale, circa il 31%, di aborto misconosciuto (sub<strong>it</strong>o<br />
dopo impianto). Si stima, infatti, che il 40-60% degli RSA (Recurrent Spontaneus Abortions)<br />
defin<strong>it</strong>i come tre o più aborti prima del compimento della ventesima settimana di gestazione,<br />
sono attribu<strong>it</strong>i a cause note (anomalie cromosomiche, endocrinologiche, anatomiche, infettive),<br />
mentre un 60% rimane ancora inspiegato. Proprio su queste cause “non note” si è focalizzata<br />
l’attenzione degli studiosi. Nel 1995 Hill e colleghi hanno dimostrato, in donne con<br />
una storia di RSA, una maggiore responsiv<strong>it</strong>à linfoc<strong>it</strong>aria TH1 nei confronti di antigeni deciduo-coriali.<br />
Infatti, nel 66% di queste donne era possibile isolare una attiv<strong>it</strong>à embriotossica<br />
(IFN-gamma,TNF-beta e TNF-alfa).<br />
Studi più recenti hanno confermato come, in gravidanze fisiologiche concentrazioni di IL-<br />
4, IL-5, IL-6 ed IL-10 sono molto più alte alla fine del primo trimestre ed al momento del parto<br />
rispetto a donne con storia di RSA, dove c<strong>it</strong>ochine quali IL-2, INF-gamma,TNF-alfa rimangono<br />
costantemente elevate. Inoltre, nel siero dei 2/3 di queste donne sono state rilevate<br />
consistenti concentrazioni di IL-12, potente induttrice della risposta TH1 mediata. In gravidanze<br />
fisiologiche Piccinni e coll., hanno dimostrato come le stesse cellule placentari siano in grado<br />
di sostenere lo shift TH2 in virtù della produzione di IL-10 ed Il-4, potenti induttrici della<br />
risposta TH2.<br />
L’IL-1 sembrerebbe essere infatti una c<strong>it</strong>ochina cr<strong>it</strong>ica capace di mantenere l’equilibrio<br />
TH1/TH2 interferendo con le APC, inibendo la produzione c<strong>it</strong>ochinica di TH1 ed inibendo<br />
direttamente ed indirettamente le cellule NK. C<strong>it</strong>otrofoblasto e sinciziotrofoblasto producono<br />
tali c<strong>it</strong>ochine in funzione dell’epoca gestazionale.<br />
Anche il progesterone sembrerebbe essere responsabile del mantenimento dello sw<strong>it</strong>ch<br />
TH1 → TH2 a livello dell’interfaccia materno-fetale. Esso, infatti, stimolerebbe i linfoc<strong>it</strong>i a secernere<br />
una molecola, il PIBF (Progesterone-induced blocking factor) capace di inibire l’attivazione<br />
dei linfoc<strong>it</strong>i TH1. A tale azione inib<strong>it</strong>oria sui TH1 si oppone la relaxina capace di attivare e<br />
mantenere la risposta TH1-mediata, fondamentale per l’innescarsi del travaglio di parto. Una<br />
alterazione dell’equilibrio tra questi due stimoli a vantaggio della relaxina sarebbe capace di<br />
incrinare il ruolo dei TH2 favorendo l’azione dei TH1 e quindi un outcome ostetrico sfavorevole.<br />
Una alterazione dello sw<strong>it</strong>ch TH1 →TH2<br />
non sarebbe solo in grado di chiarire l’eziopatogenesi<br />
degli RSA inspiegati, ma da recenti studi sembrerebbe essere uno dei meccanismi<br />
coinvolti nella genesi di altre complicanze ostetriche quali pre-eclampsia e parto pretermine.<br />
LIF (Leucemia Inhib<strong>it</strong>ory Factor) è un fattore prodotto dalle cellule endometriali, NK e, in<br />
maggior quant<strong>it</strong>à dai TH2, fondamentale per l’impianto e per lo sviluppo embrionale. In donne<br />
con storia di RSA tale fattore sarebbe defic<strong>it</strong>ario proprio per l’alterato sw<strong>it</strong>ch TH1 →<br />
TH2.<br />
Dagli ultimi studi condotti nella specie murina emerge che il 70% delle topine con gravidanze<br />
fisiologiche presentano elevate concentrazioni di tale fattore contro solo il 10% delle topine<br />
con gravidanze ad alto rischio (RSA, PP, Eclampsia). Da queste recentissime evidenze di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
laboratorio emerge il ruolo fondamentale di tale fattore soprattutto nel primo trimestre di<br />
gravidanza.<br />
Figura 1. L’aborto spontaneo ricorrente<br />
RECURRENT SPONTANEOUS ABORTION<br />
Frequenza: 25%<br />
In conclusione<br />
Per lungo tempo illustri studiosi hanno cercato di comprendere se la risposta immunologica<br />
materna venga soppressa o semplicemente alterata in gravidanza e con quale meccanismo,<br />
al fine di comprendere la tolleranza immunologica verso antigeni fetali di origine paterna.<br />
Diversi studi clinici hanno dimostrato, in v<strong>it</strong>ro, come, in realtà, l’organismo materno gravido<br />
possieda una aumentata suscettibil<strong>it</strong>à ad infezioni, soprattutto virali. Ciò sembrerebbe essere<br />
correlato ad una diminuzione della difesa cellulo-mediata e della relativa diminuzione della<br />
risposta TH1.Tuttavia ultimi studi non sembrerebbero confermare tali evidenze sperimentali,<br />
garantendo all’organismo materno una totale immunoefficienza.Tuttavia nonostante l’immun<strong>it</strong>à<br />
sistemica non venga interessata dallo stato gravidico, il milieu immunologico uterino<br />
viene radicalmente modificato. Studi condotti sia su specie murina che sulla specie umana hanno<br />
infatti dimostrato notevole discordanza tra i monoc<strong>it</strong>i circolanti nel sangue periferico e<br />
quelli residenti a livello deciduale. Infatti questi ultimi sembrerebbero essere meno responsivi<br />
come dimostrato già nel 1987 dove l’infezione da Listeria monocytogenes indotta su utero<br />
di topine gravide non riusciva ad essere debellata, come invece accadeva se l’infezione veniva<br />
indotta in organi quali il fegato o la milza.Tale fenomeno è correlato ad una diminu<strong>it</strong>a resposiv<strong>it</strong>à<br />
del sistema monoc<strong>it</strong>o-macrofagico locale.<br />
Da allora tutti gli studi compiuti per caratterizzare e comprendere tali modifiche hanno<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
Eziologia:<br />
- Malformazioni congen<strong>it</strong>e<br />
- Disordini endocrini<br />
- Infezioni<br />
- Alterazioni anatomiche<br />
- CAUSE AUTOIMMUNI<br />
- HLA-G non viene espresso dal trofoblasto<br />
- Elevata attiv<strong>it</strong>à NK c<strong>it</strong>otossica<br />
- Prevalenza TH1<br />
- Elevati livelli di IL-2, IL-12, ed IFNα,TNFα,<br />
- Ridotta produzione di IL-10<br />
293
294<br />
Immun<strong>it</strong>à e gravidanza. A tivazione o depressione: aspetti clinici<br />
evidenziato come, in realtà non vi sia una sostanziale differenza funzionale del sistema immun<strong>it</strong>ario<br />
fra una donna gravida e una donna fertile non gravida. Infatti alcuni studi suggeriscono<br />
che sia l’immun<strong>it</strong>à T.mediata che la funzione NK sia diminu<strong>it</strong>a ma nonostante ciò la risposta<br />
immune materna rimane inalterata come dimostrato dalla efficace risposta ai vaccini e alla<br />
persistenza della ipersensibil<strong>it</strong>à r<strong>it</strong>ardata verso determinati stimoli antigenici. Inoltre da studi<br />
sperimentali è emerso come, in gravidanza il trapianto di tessuti allogenici sia segu<strong>it</strong>o da<br />
una intensa reazione di rigetto immuno mediato.<br />
Nonostante gli innumerevoli studi compiuti fino ad oggi, l’atteggiamento del sistema immun<strong>it</strong>ario<br />
materno nei confronti del prodotto del concepimento, rimane, per molti versi ancora<br />
un enigma. La sua presenza e le sue modifiche a livello uterino durante l’impianto dell’embrione<br />
garantiscono la tolleranza nei confronti di antigeni allogenici fetali. L’instaurarsi di<br />
una gravidanza e la sua prosecuzione sono il frutto di una complessa e, per molti versi, ancora<br />
oscura rete di interazioni cellulari e molecolari (c<strong>it</strong>ochine, chemochine, fattori di cresc<strong>it</strong>a,...)<br />
La comprensione di tali meccanismi e delle loro alterazioni rappresenta, ad oggi, una delle<br />
grandi sfide della scienza per riuscire a predire, e quindi, trattare precocemente eventi ostetrici<br />
sfavorevoli, che possono mettere a rischio la salute materna e fetale.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
295
296<br />
22 PATOLOGIA AUTOIMMUNE<br />
LES E SINDROME DA ANTICORPI<br />
ANTIFOSFOLIPIDI:<br />
SORVEGLIANZA MATERNO-FETALE<br />
E TIMING DEL PARTO<br />
S. De Carolis, A. Botta, S. Garofalo, G. Fatigante, C.Martino, F. Grimolizzi, A. Caruso.<br />
Ist<strong>it</strong>uto di Ginecologia ed Ostetricia. Univers<strong>it</strong>à Cattolica del Sacro Cuore, Roma<br />
Lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico<br />
Il lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico (LES) è una malattia infiammatoria cronica idiopatica, ad<br />
eziologia sconosciuta, caratterizzata dalla presenza di numerosi autoanticorpi che, in quanto<br />
tali o in forma di immunocomplessi, sono responsabili di un danno tissutale multiorganico.Tale<br />
danno può coinvolgere cute, articolazioni, reni, polmoni, membrane sierose, sistema nervoso,<br />
fegato ed altri organi. Come per altre malattie autoimmuni, il decorso del LES è caratterizzato<br />
da periodi di remissione e recidive. Perché si possa fare diagnosi di LES è necessaria la coesistenza<br />
di almeno 4 dei 12 cr<strong>it</strong>eri, sia clinici che di laboratorio, previsti dalla classificazione<br />
ARA 1 .<br />
EFFETTO DELLA <strong>GRAVIDANZA</strong> SUL LES<br />
Le pazienti affette da LES e i loro medici sono comprensibilmente preoccupati dai possibili<br />
effetti della gravidanza sul decorso della malattia. La maggiore preoccupazione riguarda<br />
l’esacerbamento o “accensione” del LES.<br />
Recenti studi hanno chiar<strong>it</strong>o la relazione della gravidanza con la frequenza ed il tipo di riesacerbamento<br />
del LES. Complessivamente dal 15 al 60% delle donne hanno riattivazioni della<br />
malattia in gravidanza o nel post-partum 2-4 . È stato tuttavia accertato che, se la gravidanza<br />
insorge dopo un periodo di remissione del LES, le possibil<strong>it</strong>à che la gravidanza stessa possa<br />
procedere senza complicanze sono superiori rispetto ad una gravidanza che insorge in una<br />
donna in fase attiva di malattia. L’attiv<strong>it</strong>à della malattia al concepimento si correla con il numero<br />
di perd<strong>it</strong>e fetali.<br />
Le pazienti gravide, con LES in remissione da almeno sei mesi, permangono in remissione<br />
nei 2/3 dei casi; si verifica, invece, una ripresa della malattia in 1/3 dei casi e, di questi, solo il<br />
10% si presenta in forma grave, ma comunque sempre reversibile. Al contrario, se il concepimento<br />
avviene quando il LES è in fase attiva, si assiste ad un peggioramento della malattia nella<br />
metà dei casi.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
Nel 20% circa dei casi il LES può esordire per la prima volta in gravidanza o in puerperio.<br />
Quando il LES insorge per la prima volta in gravidanza, la malattia è caratterizzata da un decorso<br />
particolarmente severo e richiede una terapia aggressiva.<br />
Per quanto concerne la nefropatia lupica, le pazienti affette da LES che hanno avuto gravidanze,<br />
non sembrano subire a lungo termine una progressione della lesione rispetto a quanto<br />
atteso al di fuori dello stato gravidico. Si può verificare un deterioramento permanente nel<br />
7% di tutte le gravidanze e un peggioramento trans<strong>it</strong>orio nel 30% dei casi.<br />
La remissione clinica, da almeno 6 mesi prima del concepimento, in presenza di una nefropatia<br />
lupica, si accompagna ad una buona prognosi fetale e ciò vale anche per le forme più<br />
severe di nefropatia; mentre il concepimento in fase attiva della malattia nei 6 mesi precedenti<br />
predispone la paziente ad un deterioramento permanente o trans<strong>it</strong>orio della funzional<strong>it</strong>à<br />
renale, durante o dopo la gravidanza 5 .<br />
Se la creatininemia si mantiene sui valori pari o inferiori a 1,5 mg/dl, è stata osservata una<br />
buona percentuale di nati vivi a termine; al contrario, la percentuale dei nati vivi si riduce, se<br />
i valori della creatininemia sono superiori a 1,5 mg/dl, con una percentuale di insuccessi ostetrici<br />
pari al 50%.<br />
EFFETTO DEL LES SULLA <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
Complicanze materne<br />
- Ipertensione arteriosa e pre-eclampsia: Complessivamente il 20-30% delle gravidanze con LES<br />
presenta complicanze legate all’insorgenza di ipertensione arteriosa 6 . Una storia di malattia<br />
renale (MR) sembra essere il principale fattore predisponente.<br />
Nello studio prospettico di Lockshin e coll. 6 il 72% delle gravide lupiche con MR era affetto<br />
da ipertensione contro il 22% delle pazienti con LES senza MR. L’ipertensione sistemica nel<br />
lupus potrebbe avere multiple eziologie che includono la patologia renale parenchimale, la patologia<br />
nefrovascolare, alterazioni della espressione genetica del sistema renina-angiotensina,<br />
ed il trattamento farmacologico con corticosteroidi.<br />
La prevalenza di pre-eclampsia (PE) è più elevata nelle donne con LES. Delle donne con<br />
LES e preesistente danno renale, è stato stimato che il 63% sviluppa PE contro il 14% delle<br />
donne che non hanno un danno renale 7 .<br />
In conclusione, il coinvolgimento renale nel LES è un importante fattore di rischio per<br />
l’ipertensione, la pre-eclampsia e la riattivazione della malattia, ma non rappresenta una controindicazione<br />
assoluta alla gravidanza, come si r<strong>it</strong>eneva in passato.<br />
- Tromboc<strong>it</strong>openia: nella maggior parte dei casi si tratta di una tromboc<strong>it</strong>openia di grado medio-severo<br />
che riconosce quattro diversi momenti eziopatogenetici: presenza di anticorpi antifosfolipidi<br />
(aPL), presenza di LES in fase attiva, presenza di anticorpi antipiastrine, pre-eclampsia.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
297
298<br />
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
- Patologia vascolare: la patologia vascolare arteriosa nel LES ha tra i meccanismi patogenetici:<br />
arter<strong>it</strong>i, coagulazione intravascolare e aterosclerosi, correlati sol<strong>it</strong>amente alla pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à di lupus<br />
anticoaugulant e di aPL.<br />
Le pazienti affette da LES sono colp<strong>it</strong>e precocemente da un processo di aterosclerosi accellerata,<br />
con un prevalente coinvolgimento del distretto coronarico. Sono stati identificati diversi<br />
fattori di rischio responsabili di tale prematura coronaropatia e tra questi i più importanti<br />
sono l’ipercolesterolemia e l’ipertensione, associati ad una serie di fattori di rischio minori,<br />
come obes<strong>it</strong>à, terapia prolungata con corticosteroidi, durata della malattia ed anzian<strong>it</strong>à.<br />
- Tromboembolismo: gli aPL come anticorpi anticardiolipina (ACA), il lupus anticoagulant (LA)<br />
e anti-b2 glicoproteina I giocano un ruolo molto importante nella patogenesi della trombosi<br />
in pazienti con LES. C’è una forte correlazione fra alti t<strong>it</strong>oli anticorpali e trombosi arteriose<br />
e venose.<br />
- Diabete gestazionale: spesso in queste pazienti insorge un diabete gestazionale, espressione<br />
di un mancato adeguamento della funzione insulinica alla terapia cortisonica somministrata. Il<br />
diabete gestazionale compare soprattutto in pazienti predisposte per familiar<strong>it</strong>à, hab<strong>it</strong>us cost<strong>it</strong>uzionale,<br />
età superiore ai 35 anni e precedente dato ostetrico.<br />
Complicanze fetali<br />
- Perd<strong>it</strong>e fetali: diversi studi, sia prospettici che retrospettivi, hanno evidenziato nelle pazienti<br />
lupiche una maggiore incidenza di perd<strong>it</strong>e fetali rispetto alla popolazione generale. La frequenza<br />
di perd<strong>it</strong>e fetali (aborti spontanei e morti endouterine) è stata stimata essere pari a 8-43%<br />
secondo studi retrospettivi, e 11-24% secondo studi prospettici8-11 .<br />
I fattori di rischio, implicati nell’incremento delle perd<strong>it</strong>e fetali nel LES, sono i seguenti: attiv<strong>it</strong>à<br />
del lupus, danno renale, aPL e precedente storia con perd<strong>it</strong>e fetali.<br />
Anche l’attiv<strong>it</strong>à della malattia e la presenza di malattia renale eserc<strong>it</strong>a un’influenza negativa<br />
nei riguardi dell’es<strong>it</strong>o fetale. La malattia renale attiva è un pred<strong>it</strong>tore statisticamente significativo<br />
di perd<strong>it</strong>a fetale (aborto spontaneo e natimortal<strong>it</strong>à). Infatti in tale studio delle pazienti<br />
con malattia renale attiva il 13% ha avuto nati vivi, il 33% perd<strong>it</strong>e fetali12 .<br />
Tutti gli ultimi studi condotti sul LES e gravidanza sono concordi nel r<strong>it</strong>enere che la presenza<br />
degli aPL sia il fattore di rischio più importante per il danno fetale. In particolare, gli<br />
ACA di classe IgG e il LA hanno un’alta sensibil<strong>it</strong>à e specific<strong>it</strong>à nell’indicare il rischio di perd<strong>it</strong>a<br />
fetale in corso di gravidanza con LES. La prevalenza media, nel LES, degli ACA è del 44%<br />
e quella del LA è del 34% 13 . Un altro studio indica che la presenza di aPL ed una storia di perd<strong>it</strong>e<br />
fetali predice oltre l’85% delle interruzioni delle gravidanze con LES14 .<br />
- Parti prematuri: l’incidenza del parto pretermine nelle donne affette da LES varia tra il 19%<br />
ed il 49% contro il 7% circa della popolazione generale15,16 . In queste gravidanze sono stati ri-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
scontrati molteplici e potenziali fattori di rischio per il parto pretermine: attiv<strong>it</strong>à del LES, malattia<br />
renale, terapia cortisonica, presenza di aPL, ipertensione, razza nera, bassi livelli sierici di<br />
C3, livelli sierici degli anticorpi anti-DNA.<br />
- R<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino (IUGR): è frequente nelle pazienti affette da LES riscontrare un<br />
r<strong>it</strong>ardo dell’accrescimento fetale. I dati migliori a riguardo sono quelli di uno studio condotto<br />
da Mintz e coll. 16 che hanno trovato su 86 gravidanze con LES, il 23% affette da IUGR contro<br />
il 4% nei controlli. Altre serie riportano una percentuale compresa fra il 12 e il 32% di<br />
neonati con r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a 8,14,17 . Kobayashi e coll. hanno dimostrato che livelli bassi dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
del complemento sierico sono significativamente associati ad una restrizione della cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale 18 . Se l’es<strong>it</strong>o avverso della gravidanza si riflette in bassi o decrescenti livelli sierici del<br />
complemento, la placenta o il letto vascolare deciduale possono essere la sede di consumo<br />
del complemento. Inoltre le gravidanze complicate da nefr<strong>it</strong>e lupica, possono avere un rischio<br />
più alto di r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino come riportato da Julkunen e coll 19 .<br />
MONITORAGGIO DELLA <strong>GRAVIDANZA</strong> COMPLICATA DA LES<br />
Le più importanti complicanze materne correlate al LES sono: i disordini ipertensivi legati<br />
alla gravidanza e la esacerbazione della malattia lupica 20 .<br />
Circa il 20-30% di tutte le pazienti affette da LES svilupperà un disordine ipertensivo durante<br />
la gravidanza tra cui il più comunemente diagnosticato è rappresentato dalla pre-eclampsia<br />
(PE).Tale complicanza ricorre più frequentemente nelle donne con ipertensione cronica<br />
(preesistente alla gravidanza) e in donne con insufficienza renale.<br />
L’ipertensione gestazionale raramente insorge prima della 20 a settimana. Pertanto nel corso<br />
del primo trimestre e delle prime settimane del secondo trimestre è possibile definire, in<br />
una paziente affetta da LES, l’andamento pressorio di base e lo stato di funzional<strong>it</strong>à renale.<br />
Sarebbe utile inoltre diagnosticare, nel corso del primo trimestre, la presenza di proteinuria<br />
preesistente alla gravidanza attraverso la raccolta delle urine nelle 24h.<br />
Dalla 20 a settimana di gravidanza in poi particolare attenzione deve essere data al mon<strong>it</strong>oraggio<br />
della pressione arteriosa ed alla ricerca di proteinuria nell’esame delle urine, da eseguire<br />
almeno una volta ogni due settimane.<br />
Nelle pazienti ad alto rischio, ossia quelle con ipertensione cronica o insufficienza renale,<br />
è indicato il mon<strong>it</strong>oraggio della pressione arteriosa quotidiano poiché tali pazienti possono<br />
sviluppare PE nel corso di pochi giorni. Sarebbe inoltre prudente istruire la paziente riguardo<br />
ai sintomi più comuni della PE quali cefalea, marcati disturbi visivi e neurologici, dolore epigastrico<br />
o dolore addominale a barra, emorragie retiniche, rapido incremento di peso.<br />
I disordini ipertensivi in gravidanza specie l’ipertensione gestazionale e PE possono associarsi,<br />
oltre alle suddette manifestazioni cliniche, anche ad alterazioni ematologiche, renali ed<br />
epatiche, che possono essere indagate con i test di laboratorio: piastrinopenia per consumo<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
299
300<br />
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
da danno endoteliale, iperuricemia correlata con la sever<strong>it</strong>à della prognosi fetale, aumento di<br />
AST, ALT, LDH per c<strong>it</strong>olisi epatica, emoconcentrazione in assenza di emolisi grave, ipocalciuria,<br />
aumento della creatinina, anemia emol<strong>it</strong>ica microangiopatica (schistoc<strong>it</strong>i e consumo di aptoglobina).<br />
I livelli di FDP, Fibrinogeno e PT e PTT sono normali o poco alterati tranne che in<br />
presenza di CID, per lo più secondaria a complicanze ostetriche. L’ATIII invece è spesso ridotta<br />
a differenza di quanto si osserva nell’ipertensione cronica. Questi parametri sono utili nella<br />
diagnostica differenziale infatti piastrinopenia, emoconcentrazione, ipocalciuria, iperuricemia,<br />
aumento di AST, ALT, LDH e riduzione di ATIII sono associate ad ipertensione gestazionale o<br />
PE piuttosto che ad ipertensione cronica.<br />
Il controllo periodico di questi parametri e di piastrine, LDH, aptoglobina, creatinina ed<br />
esame urine consente invece di mon<strong>it</strong>orizzare la grav<strong>it</strong>à del processo ed è utile alla prognosi<br />
materno fetale.<br />
Il coinvolgimento renale è sempre presente nella PE con manifestazioni variabili da proteinuria<br />
lieve fino all’insufficienza renale grave.<br />
È utile in questi casi anche il controllo dei volumi, che può avvalersi della valutazione della<br />
diuresi e del peso corporeo.<br />
La sindrome HELLP è defin<strong>it</strong>a dalla presenza di emolisi, aumento delle transaminasi, piastrinopenia<br />
ad esordio nel III trimestre o entro le prime settimane dopo il parto, in corso di<br />
PE grave. Riportata nel 4-12% delle PE, è caratterizzata da elevata morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materna<br />
e fetale. La presentazione clinica è sovrapponibile a quella della PE con epigastralgie,<br />
dolore addominale a barra e talora con sub<strong>it</strong>tero.Tra le alterazioni comuni alla PE più specifiche<br />
di HELLP sono l’anemia emol<strong>it</strong>ica microangiopatica, la piastrinopenia grave e la c<strong>it</strong>olisi<br />
epatica. Una CID è presente nel 30-40% dei casi. L’HELLP va dunque sospettata in presenza<br />
di dolore a barra epigastrico o dolore all’ipocondrio destro, piastrinopenia, anemia emol<strong>it</strong>ica<br />
microangiopatica e c<strong>it</strong>olisi epatica.<br />
Posta la diagnosi di ipertensione l’ospedalizzazione ed il tipo di trattamento dipendono<br />
dal grado di ipertensione, dalla presenza di proteinuria e dai sintomi: le raccomandazioni possono<br />
andare da lim<strong>it</strong>azione delle attiv<strong>it</strong>à e riposo a letto a domicilio, con controlli settimanali<br />
in day-hosp<strong>it</strong>al, a ricovero immediato con avvio del trattamento farmacologico. Il trattamento<br />
farmacologico consiste in farmaci di I scelta (metildopa), farmaci di II scelta (nifedipina, labetalolo<br />
e pindololo), farmaci di III scelta (clonidina, metildopa+farmaco di II scelta). I diuretici<br />
sono indicati solo in presenza di malattie cardiache o renali con sodiosensibil<strong>it</strong>à. Da ev<strong>it</strong>are<br />
gli Ace-inib<strong>it</strong>ori e gli Antagonisti recettoriali dell’Angiotensina per la loro documentata tossic<strong>it</strong>à<br />
sul rene fetale. Non ci sono evidenze di efficacia di farmaci o misure non farmacologiche<br />
nell’arrestare o ev<strong>it</strong>are l’evoluzione della ipertensione gestazionale e della PE ma obiettivo<br />
del trattamento farmacologico è quello di mantenere la pressione arteriosa materna entro<br />
un accettabile range di sicurezza.<br />
Una volta diagnosticata l’ipertensione gestazionale severa o la PE l’unica misura terapeu-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
tica efficace è l’espletamento del parto. Nella PE grave prima della 28 a settimana è indicato<br />
indurre il parto dopo profilassi corticosteroidea dell’ARDS. Nella PE grave dopo la 34 a settimana<br />
è indicata l’induzione del parto.Tra la 28 a e la 34 a settimana nelle PE non severe può<br />
essere considerata una terapia conservativa sotto mon<strong>it</strong>oraggio materno-fetale da interrompere<br />
in caso di aggravamento delle condizioni materno-fetali.<br />
Nelle nefropatiche orientano verso un’anticipazione del parto il peggioramento della funzione<br />
renale, della proteinuria e della pressione arteriosa accanto ad un peggioramento dei<br />
parametri fetali.<br />
Le modal<strong>it</strong>à del parto sono decise in base alle indicazioni ostetriche ed il parto va programmato<br />
in strutture adatte a fronteggiare complicanze materno-fetali (centri di III livello).<br />
L’ipertensione gestazionale potrebbe peggiorare o persistere dopo il parto, per cui un attento<br />
mon<strong>it</strong>oraggio clinico è sugger<strong>it</strong>o in questa fase.<br />
Per quanto concerne l’allattamento non ci sono controindicazioni durante il trattamento<br />
materno con calcio-antagonisti, beta-bloccanti e alfa-bloccanti.<br />
Alcuni studi hanno dimostrato che dal 15 al 60% delle donne affette possono avere una<br />
esacerbazione del LES durante la gravidanza o nel postpartum.<br />
L’Ostetrico dovrebbe essere attento a riconoscere i segni e i sintomi di una riaccensione<br />
lupica. L’uso di una profilassi immunosoppressiva non è supportata da evidenze scientifiche e<br />
rimane altamente controversa. Pertanto alcuni medici sostengono l’util<strong>it</strong>à di frequenti test di<br />
laboratorio per riconoscere precocemente una riaccensione lupica, mentre altri r<strong>it</strong>engono sufficiente<br />
uno stretto mon<strong>it</strong>oraggio clinico.<br />
Scoprire una riaccensione durante la gravidanza può essere difficoltoso dato che le sue le<br />
manifestazioni tipiche possono essere reperti normali in una donna gravida; inoltre, le comuni<br />
complicanze della gravidanza, come la PE, possono mimare la riattivazione lupica: entrambe<br />
le condizioni possono presentare proteinuria, ipertensione e disfunzione di più organi.<br />
Potrebbero suggerire una diagnosi di PE i seguenti dati: abbassamento dei livelli di<br />
Ant<strong>it</strong>rombina III, ipocalciuria, aumento dei livelli di fibronectina cellulare e nel plasma totale 21 ,<br />
tromboc<strong>it</strong>openia ed incremento delle transaminasi. Al contrario in una paziente con riattivazione<br />
lupica, potremmo aspettarci di vedere una riduzione dei fattori C3 e C4 del complemento<br />
22 , un aumento degli anticorpi anti-DNA e l’insorgenza di leucopenia.<br />
Per quanto riguarda le complicanze fetali del LES è stata sugger<strong>it</strong>a una forte associazione<br />
tra alti livelli di aPL e perd<strong>it</strong>a fetale. Si rende evidente dunque quanto sia importante “scrinare”<br />
le pazienti per il LA, gli ACA e gli anti-beta 2 Glicoproteina I. La prognosi fetale può infatti<br />
migliorare in segu<strong>it</strong>o ad una diagnosi preconcezionale e ad una adeguata terapia in gravidanza.<br />
Nelle pazienti lupiche le complicanze fetali sono correlate all’insufficienza placentare, condizione<br />
spesso associata all’ipertensione cronica e all’insufficienza renale materna. Le conseguenze<br />
dell’insufficienza placentare, dovute ad una restrizione della disponibil<strong>it</strong>à di nutrienti e<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
301
302<br />
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
ossigeno per il feto, sono rappresentate da iposviluppo fetale eventualmente associato ad oligoamnios<br />
ed insufficienza respiratoria che può portare dal distress fino alla morte fetale.<br />
Sfortunatamente è impossibile nella maggior parte dei casi predire il grado o la sever<strong>it</strong>à<br />
di insufficienza placentare che potrebbe svilupparsi, tuttavia è possibile sottoporre le pazienti<br />
ad un accurato mon<strong>it</strong>oraggio delle condizioni fetali attraverso ecografie ostetriche seriate<br />
(ogni 3-4 settimane a partire da 28-30 settimane) per diagnosticare restrizioni della cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale ed oligoamnios, e attraverso l’utilizzo della cardiotocografia e del profilo biofisico (“nonstress<br />
test”) per identificare segni di ipossia fetale.<br />
Studi di velocimetria Doppler della circolazione utero-placentare e fetale hanno evidenziato<br />
che un’alta impedenza al flusso è associata al successivo sviluppo di pre-eclampsia, IUGR<br />
e di complicazioni correlate 23 . La flussimetria Doppler è infatti un utile strumento nella pred<strong>it</strong>tiv<strong>it</strong>à<br />
di complicanze ostetriche in tali gravidanze ad alto rischio, quando esegu<strong>it</strong>a in un periodo<br />
ideale compreso tra 22 e 24 settimane.<br />
Nel nostro centro abbiamo dimostrato che la flussimetria Doppler delle arterie uterine,<br />
esegu<strong>it</strong>a tra la 18ª e la 24ª settimana di gravidanza, può dare una buona previsione dell’es<strong>it</strong>o<br />
della gravidanza. Un aumento delle resistenze uterine, ovvero un indice di resistenza (RI) >90°<br />
percentile, in particolar modo dell’arteria uterina migliore (quella identificata cioé dall’indice<br />
di resistenza più basso), si associa ad un minor peso fetale alla nasc<strong>it</strong>a, ad un più basso percentile<br />
e ad una più bassa età gestazionale al parto.Viceversa un buon valore dell’indice di resistenza<br />
delle arterie uterine si correla ad una prognosi fetale migliore.<br />
La presenza degli anticorpi anti-Ro/SSA e anti La/SSB, anticorpi rivolti verso antigeni nucleari<br />
estraibili (ENA), non influisce negativamente sull’es<strong>it</strong>o della gravidanza nelle pazienti con<br />
LES ma è un’importante fattore di rischio per il blocco congen<strong>it</strong>o cardiaco neonatale, la manifestazione<br />
più severa del lupus er<strong>it</strong>ematoso neonatale, dovuta ad un processo flogistico che<br />
interessa il tessuto di conduzione cardiaco e che es<strong>it</strong>a in una severa forma di miocard<strong>it</strong>e fetale.<br />
Il tessuto cardiaco una volta danneggiato è sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da tessuto fibrotico con conseguente<br />
perd<strong>it</strong>a della sua funzional<strong>it</strong>à 24 . I danni permanenti che ne conseguono, in alcuni casi, comportano<br />
la necess<strong>it</strong>à del pacemaker al fine di garantire la sopravvivenza neonatale.<br />
È stato dimostrato che la prevalenza del CHB nelle pazienti pos<strong>it</strong>ive per gli anticorpi anti-Ro/SSA<br />
e anti La/SSB è del 1,7%, con un rischio di ricorrenza nelle successive gravidanze<br />
del 19% 24 . È importante quindi effettuare in tutte le pazienti affette da LES la ricerca dei suddetti<br />
anticorpi e sottoporre tutte le pazienti risultate pos<strong>it</strong>ive ad un’ecocardiografia fetale a<br />
settimana a partire dalla 16° fino alla 26° settimana, e successivamente ad un’ecocardiografia<br />
ogni due settimane fino alla 34° settimana. Nel caso di diagnosi di CHB si consiglia la somministrazione<br />
di un glucocorticoide che attraversi la placenta (ad esempio desametazone, alle<br />
dosi di 4 mg/die) per lim<strong>it</strong>are ulteriori danni immunologici e flogistici al cuore fetale.<br />
Valutazioni seriate delle frazioni del complemento possono essere utili nella prognosi e<br />
nel “management” delle gravidanze complicate da LES. I livelli di C3 e C4 che sono o torna-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
no nel range di normal<strong>it</strong>à durante la gravidanza si associano con una maggior percentuale di<br />
nati vivi, la maggior parte dei quali sono di peso adeguato per l’epoca. Al contrario, bassi livelli<br />
o livelli decrescenti di C3 precedono tutti gli aborti spontanei e i parti prematuri. I livelli<br />
di C4 risultano bassi in tutti i casi di aborto spontaneo, ma solo nella metà dei parti prematuri.<br />
Se l’es<strong>it</strong>o avverso della gravidanza si riflette in bassi o decrescenti dei livelli sierici del<br />
complemento, la placenta o il letto vascolare deciduale possono essere la sede di consumo<br />
del complemento.<br />
Sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
Il termine “Sindrome da Anticorpi Antifosfoflipidi” (APS) è stato per la prima volta coniato<br />
nel 1956 per denotare l’associazione clinica fra gli anticorpi antifosfolipidi e una sindrome<br />
di ipercoagulabil<strong>it</strong>à, caratterizzata da una storia ostetrica di aborti ricorrenti e morti intrauterine,<br />
e da un’aumentata incidenza di trombosi arteriose o venose, infarti cerebrali, ipertensione<br />
polmonare e piastrinopenia.<br />
Gli anticorpi antifosfolipidi (aPL) sono una eterogenea famiglia di autoanticorpi che esibiscono<br />
un largo spettro di “target” specifici, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i da varie combinazioni di fosfolipidi, proteine<br />
leganti fosfolipidi o entrambi.<br />
Gli aPL più comunemente studiati sono: anticorpi lupus anticoagulant (LA), anticorpi anticardiolipina<br />
(aCL) e anticorpi anti beta2- glicoproteina I.<br />
I dati della letteratura sono oggi concordi nel r<strong>it</strong>enere che la presenza di aPL sia associata<br />
a patologia ostetrica. In effetti, sin dalla sua prima identificazione il LA è stato descr<strong>it</strong>to come<br />
un prolungamento dei test di coagulazione fosfolipido-dipendenti in pazienti con storia di<br />
ripetuti aborti del 2° trimestre di gravidanza, associato o meno a fatti trombotici, spesso nell’amb<strong>it</strong>o<br />
di malattie sistemiche come il lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico 25 . D’altra parte, negli Anni<br />
’80, l’introduzione del test aCL ha confermato come altamente significativa l’associazione con<br />
la patologia abortiva, sia nell’amb<strong>it</strong>o della malattia lupica che in donne altrimenti sane 26 .<br />
Gli aPL sono associati dunque ad un ampio spettro di es<strong>it</strong>i avversi della gravidanza dagli<br />
aborti del primo trimestre, alle perd<strong>it</strong>e fetali del secondo trimestre, alla PE, al r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a<br />
intrauterina, al parto prematuro e al distacco di placenta. L’alterazione dell’impianto placentare<br />
ed un quadro di vasculopatia deciduale rappresentano il tratto comune a tutte queste<br />
condizioni.Anche se genericamente il meccanismo patogenetico degli aPL viene ricondotto alla<br />
trombofilia, è risultato chiaro nel corso degli anni che i fenomeni trombotici non sono sufficienti<br />
a giustificare la particolare influenza di questi anticorpi sullo sviluppo della gravidanza.<br />
È stata infatti sugger<strong>it</strong>a la possibil<strong>it</strong>à di un danno diretto sul trofoblasto villoso ed extravilloso<br />
da parte degli aPL attraverso il riconoscimento di ep<strong>it</strong>opi quali la fosfatidilserina esposta<br />
nel corso della formazione del sincizio.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
303
304<br />
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
Studi condotti nei nostri laboratori hanno confermato questi dati e dimostrato, attraverso<br />
sieri ottenuti da donne con aPL e frazioni immunoglobuliniche di classe IgG, l’effetto funzionale<br />
degli anticorpi su culture di trofoblasto primario in termini di riduzione della fusione<br />
interc<strong>it</strong>otrofoblastica, della secrezione pulsatile di gonadotropina (hCG) e di invasiv<strong>it</strong>à del trofoblasto<br />
27-29 .<br />
È peraltro noto come un’alterata angiogenesi nella fase iniziale della gravidanza contribuisca<br />
all’incompleto rimodellamento delle arteriole spirali e all’insufficiente vascolarizzazione placentare.<br />
Durante l’8° Simposio Internazionale sugli aPL, tenutosi a Sapporo in Giappone nell’ottobre<br />
1998, è stato raggiunto un accordo internazionale sui cr<strong>it</strong>eri di classificazione per l’APS.<br />
Lo scopo di questo sforzo è stato quello di fornire dei requis<strong>it</strong>i rigidi e inconfutabili per poter<br />
creare dei gruppi di pazienti assolutamente omogenei, adatti anche ad un’elaborazione di<br />
studi controllati (Tabella I).<br />
Un paziente con APS deve avere almeno uno dei due cr<strong>it</strong>eri clinici (trombosi vascolare o<br />
complicanze della gravidanza) e almeno uno dei due cr<strong>it</strong>eri di laboratorio (pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à per gli<br />
ACA IgG o IgM o per il LA). Una diagnosi di APS primaria (PAPS) può essere formulata se il<br />
paziente soddisfa i cr<strong>it</strong>eri classificativi della APS e se può essere esclusa la contemporanea<br />
presenza di una malattia autoimmune sistemica. L’APS si definisce secondaria (SAPS) quando<br />
associata ad un’altra malattia reumatica. La stragrande maggioranza delle forme secondarie<br />
sono è stata riportata in corso di LES conclamato.<br />
Quando la patologia sistemica associata non può essere formalmente classificabile come<br />
tale a causa della mancanza di un numero sufficiente di cr<strong>it</strong>eri classificativi, la maggior parte<br />
degli autori parla di sindromi lupus-like.<br />
EFFETTO DEGLI APL SULLA <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
È stata ben documentata l’associazione tra la presenza degli aPL e storia ostetrica di aborti<br />
ripetuti e morti intrauterine, tale per cui, in mancanza di specifico trattamento medico, il rischio<br />
di perd<strong>it</strong>a fetale si aggira intorno all’80-98%.<br />
Le donne pos<strong>it</strong>ive per aPL hanno un’alta prevalenza di perd<strong>it</strong>e ostetriche entro il periodo<br />
fetale (10 o più settimane di gestazione). Contrariamente, in donne non selezionate con<br />
sporadici o ricorrenti aborti le perd<strong>it</strong>e ostetriche si verificano più frequentemente nel periodo<br />
preembrionale (meno di 6 settimane di gestazione) o nel periodo embrionale (da 6 a 9<br />
settimane di gestazione). Comunque studi più recenti hanno esteso gli effetti deleteri degli<br />
aPL a donne con ricorrenti perd<strong>it</strong>e embrionali e preembrionali, fra le quali il 10-20% ha pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />
per gli aPL senza altre manifestazioni cliniche.<br />
Oltre agli aborti spontanei e alle perd<strong>it</strong>e fetali del 2° e 3° trimestre, numerose complicanze<br />
ostetriche materno-fetali sono associate alla sindrome: la PE-HELLP, l’insufficienza uteroplacentare,<br />
lo IUGR (intrauterine growth retardation) ed il parto pretermine 30 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
In questo amb<strong>it</strong>o, il rapporto tra aPL e pre-eclampsia è uno degli argomenti più dibattuti.<br />
Infatti numerosi studi hanno sottolineato come l’incidenza di PE sia particolarmente elevata<br />
in pazienti con la classica forma di APS, sia primaria che secondaria 31 . D’altra parte, anche<br />
nella popolazione ostetrica con PE è stata osservata una elevata frequenza di pazienti con<br />
aPL 32 , anche se non in modo univoco.<br />
Peraltro, uno studio recente 33 , che esamina 317 pazienti gravide con storia ostetrica di preeclampsia<br />
e quindi r<strong>it</strong>enute ad alto rischio di recidive, concludeva che aPL di classe IgG non<br />
classici (anti-fosfatidilserina) erano associati con la pre-eclampsia severa, gli aCL di classe IgG<br />
erano associati con lo IUGR, ma entrambi i test avevano uno scarso valore pred<strong>it</strong>tivo per le<br />
c<strong>it</strong>ate complicazioni.<br />
D’altra parte, anche per quanto riguarda la frequenza dello IUGR o la pred<strong>it</strong>tiv<strong>it</strong>à degli<br />
aPL verso questa complicanza ostetrica, si ricavano dalla analisi della letteratura voci contrastanti.<br />
In effetti lo IUGR è riportato con frequenze che variano dal 30 al 12% in una serie di<br />
studi che comunque concordano almeno su un significativo aumento di prevalenza 34 , contrariamente<br />
ad altri che non la confermano affatto 35 .<br />
Una certa responsabil<strong>it</strong>à nel creare risultati discordanti è probabilmente attribuibile alla<br />
non sempre rigorosa classificazione degli es<strong>it</strong>i sfavorevoli della gravidanza. Inoltre in questa ottica<br />
è necessario non dimenticare un esame attento delle metodologie applicate dai singoli<br />
studi alla determinazione degli aPL.<br />
Altra complicanza ostetrica nelle pazienti affette da APS è il parto pretermine la cui prevalenza<br />
è stata stimata attorno al 30%. Fortunatamente però, la grave prematur<strong>it</strong>à è oggi infrequente<br />
e comunque i mezzi e la capac<strong>it</strong>à raggiunte nei reparti di terapia intensiva neonatale<br />
trasformano queste nasc<strong>it</strong>e pretermine in es<strong>it</strong>i globalmente favorevoli nella larga maggioranza<br />
dei casi.<br />
Infine non si può trascurare, tra i problemi clinici delle gravidanze in pazienti con APS, la<br />
possibil<strong>it</strong>à di un evento tromboembolico.Va al riguardo sottolineata la potenziale sinergia tra<br />
il rischio trombofilico proprio della gravidanza e/o del puerperio e quello rappresentato dagli<br />
aPL.<br />
MONITORAGGIO DELLA <strong>GRAVIDANZA</strong> COMPLICATA DA APS<br />
Una storia ostetrica di ricorrenti perd<strong>it</strong>e fetali, la presenza di una pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à ad alto t<strong>it</strong>olo<br />
degli aPL al momento del concepimento sono tutti fattori che correlano con un es<strong>it</strong>o infausto<br />
della gravidanza, in termini di probabil<strong>it</strong>à che possa ripetersi la perd<strong>it</strong>a fetale o che si abbia<br />
un peso più basso alla nasc<strong>it</strong>a.<br />
Il management ostetrico delle pazienti con APS è sostanzialmente sovrapponibile a quello<br />
che abbiamo delineato a propos<strong>it</strong>o delle pazienti affette da LES.<br />
Anche qui il più importante rischio ostetrico materno è rappresentato dall’insorgenza di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
305
306<br />
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
ipertensione gestazionale e/o PE. L’ipertensione preesistente alla gravidanza non è infrequente<br />
in queste pazienti, probabilmente per la tendenza alla microangiopatia renale.<br />
Anche le complicanze fetali nelle pazienti con APS sono simili a quelle riscontrate nelle<br />
pazienti affette da LES, ma l’insufficienza placentare, soprattutto quella severa, è molto più<br />
frequente.<br />
A partire dalla 20° settimana è indicato un intensivo mon<strong>it</strong>oraggio delle condizioni fetali<br />
mediante ecografie ostetriche seriate, al fine di identificare disturbi della cresc<strong>it</strong>a fetale ed<br />
oligoamnios. Inoltre sarebbe utile ricorrere precocemente (a partire da 28 settimane) al<br />
“nonstress test” per valutare il benessere fetale.<br />
Anche nelle gravidanze complicate da APS è importante sottolineare il ruolo pred<strong>it</strong>tivo<br />
svolto dalla Flussimetria Doppler utero-placentare, quando esegu<strong>it</strong>a nel periodo ideale compreso<br />
tra 22 e 24 settimane.<br />
La presenza di vasculopatia nelle arterie del letto placentare è supportata dagli studi di<br />
velocimetria Doppler delle arterie uterine nel secondo trimestre di gravidanza. L’associazione<br />
degli aPL con un alto indice di resistenza e/o del notch prediastolico dell’onda Doppler è<br />
generalmente pred<strong>it</strong>tiva di un successivo sviluppo di pre-eclampsia, parto prematuro e basso<br />
peso alla nasc<strong>it</strong>a.<br />
Importante nelle pazienti affette da APS è il mon<strong>it</strong>oraggio delle piastrine e, nel caso di<br />
insorgenza di tromboc<strong>it</strong>openia, differenziarne le diverse forme correlate o all’insorgenza di<br />
PE, o alla presenza di aPL o al trattamento con eparina. Quando la tromboc<strong>it</strong>openia è associata<br />
ad episodi trombotici dovrebbe essere sospettata una APS catastrofica ossia una forma<br />
accelerata di malattia che es<strong>it</strong>a in un grave danno multiorgano (più di 3 organi, sistemi,<br />
o tessuti interessati) ed in cui vi sia l’evidenza istopatologica di un occlusione diffusa di piccoli<br />
vasi.<br />
Studi recenti hanno enfatizzato un aspetto molto importante nel management delle pazienti<br />
affette da APS in gravidanza, il solo su cui vi è accordo comune: tali pazienti devono<br />
essere sottoposte ad un intensivo mon<strong>it</strong>oraggio materno e fetale mediante un ben coordinato<br />
approccio multidisciplinare da parte di dell’ostetrico, dell’internista, del reumatologo e<br />
dell’ematologo.<br />
In effetti, senza togliere nulla ai benefici dei trattamenti applicati, è necessario ricordare<br />
che in questo particolare settore è determinante una sorveglianza ostetrica attenta che, tram<strong>it</strong>e<br />
le metodologie diagnostiche a disposizione (ecografia ostetrica, flussimetria Doppler,<br />
cardiotocografia) finalizzate a valutare il benessere del feto, stabilisca il momento più favorevole<br />
per espletare il parto.<br />
Tale condotta un<strong>it</strong>a ai progressi compiuti nel campo della neonatologia, che permette una<br />
buona sopravvivenza con ridotta incidenza di handicap a distanza anche in feti prematuri, è<br />
stata e continuerà ad essere determinante nel migliorare la prognosi ostetrica delle pazienti<br />
affette da APS.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
Tabella I. Cr<strong>it</strong>eri per la diagnosi di Anticorpi Antifosfolipidi<br />
Cr<strong>it</strong>eri clinici<br />
1. Trombosi vascolari: uno o più episodi di trombosi arteriose, venose o dei piccoli vasi, in qualsiasi organo o tessuto,<br />
confermate da tecniche di imaging, doppler o dall’istopatologia<br />
2. Patologia ostetrica:<br />
a) Una o più morti fetali dopo la 10 a settimana;<br />
b) Uno o più parti prima della 34 a settimana, accompagnati da pre-eclampsia o severa insufficienza placentare;<br />
c) Tre o più aborti prima della 10 a settimana.<br />
Cr<strong>it</strong>eri laboratoristici<br />
1. Anticorpi anticardiolipina (aCL) di classe IgG e/o IgM a t<strong>it</strong>olo medio-alto, misurati con metodiche ELISA standardizzata<br />
in due o più occasioni a meno di 6 settimane di intervallo.<br />
2. Lupus Anticoagulant (LAC) pos<strong>it</strong>ivo in due o più rilevazioni a meno di sei settimane di intervallo, in accordo<br />
con le linee guida della Società Internazionale sulla Trombosi ed Emostasi<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
307
308<br />
LES e sindrome da anticorpi antifosfolipidi: sorveglianza materno fetale e timing del parto<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
PATOLOGIA AUTOIMMUNE<br />
IL NEONATO DA M<strong>AD</strong>RE<br />
CON PATOLOGIA AUTOIMMUNE:<br />
DANNI DA MALATTIA<br />
O DA FARMACI?<br />
L.A. Ramenghi, M. Fumagalli, F. Mosca<br />
U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale. Ospedali Mangiagalli, Regina Elena Policlinico IRCCS Fondazione<br />
Scientifica, Milano, Univers<strong>it</strong>à di Milano<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
23<br />
Le prime segnalazioni indicavano che l”autoimmun<strong>it</strong>à” presente in una sindrome ben defin<strong>it</strong>a,<br />
come il Lupus Er<strong>it</strong>ematoso Sistemico, o rappresentata dalla produzione di sottoclassi di<br />
autoanticorpi, potesse interferire con le capac<strong>it</strong>à riproduttive della donna. In realtà la fertil<strong>it</strong>à<br />
sembra non essere così significativamente compromessa, ma, in tempi successivi è emersa una<br />
preoccupazione prevalentemente rivolta ai potenziali effetti di tali patologie autoimmuni sul<br />
feto, in riferimento al rischio di prematur<strong>it</strong>à ed allo scarso accrescimento.<br />
Rimane ancora difficile avere una esatta cognizione epidemiologica di quanto le malattie<br />
autoimmun<strong>it</strong>arie, nel loro complesso, siano di per se dannose per il feto; ancor più difficile è<br />
valutare quanto questo eventuale danno derivi dai farmaci che vengono utilizzati nella madre<br />
per lo specifico trattamento. La cura di queste malattie è sensibilmente migliorata ed inoltre<br />
esiste una certa variabil<strong>it</strong>à di effetti tra le diverse malattie autoimmun<strong>it</strong>arie sul feto, in aggiunta<br />
alla diversa grav<strong>it</strong>à della malattia stessa che spesso però non incide sul rischio che corre il<br />
feto (vedi oltre). Questa variabil<strong>it</strong>à esiste anche per i diversi trattamenti farmacologici che non<br />
solo dipendono dai diversi agenti che possono essere utilizzati (si intendono in prevalenza gli<br />
steroidi), ma anche dalla diversa suscettibil<strong>it</strong>à individuale (madre e poi feto) ai farmaci stessi.<br />
Molte patologie autoimmuni non sembrano comportare particolari danni per il feto e pertanto<br />
ci riferiremo soltanto ad alcuni esempi paradigmatici di patologie che comportano rischi,<br />
anche subdoli, di coinvolgere la maturazione di importanti organi fetali, quali ad esempio<br />
l’encefalo o il cuore. Si analizzeranno, inoltre, i dati di quei farmaci maggiormente utilizzati nella<br />
cura delle problematiche autoimmuni, quali gli agenti steroidei.<br />
Ipotiroidismo<br />
L’ipotiroidismo grave comporta difficoltà nel concepimento e, pertanto, è molto raro durante<br />
la gravidanza. Forme meno gravi, se non trattate, portano ad un aumentato rischio di<br />
309
310<br />
Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?<br />
aborti e di nasc<strong>it</strong>e con feti morti attraverso meccanismi ancor oggi non ben chiar<strong>it</strong>i. La diagnosi<br />
di ipotiroidismo esegu<strong>it</strong>a durante la gravidanza è comunque rara, ed infatti la maggioranza<br />
delle donne con questo problema sono già in terapia con tiroxina (T4) da prima della<br />
gravidanza. C’è però, secondo alcuni studi, uno specifico ipotiroidismo gravidico (autoimmun<strong>it</strong>ario<br />
o anche da assunzione subottimale di iodio) che si presenta in circa il 2.5% delle gravidanze<br />
e che può accompagnarsi ad un ridotto sviluppo neuropsicologico del neonato e del<br />
bambino, oltre ad essere responsabile di un aumento di complicanze ostetriche.<br />
La disfunzione tiroidea postpartum ha una frequenza piuttosto elevata (5-9%) ed è associata<br />
con il riscontro, nel 10% dei casi, degli anticorpi anti tiroide-perossidasi (antiTPO per gli<br />
autori anglosassoni). Lo screening delle eventuali disfunzioni tiroidee dovrebbe essere esegu<strong>it</strong>o,<br />
attraverso le misurazioni di T4 e TSH circolanti. Nel caso di ipotiroidismo la levotiroxina<br />
dovrebbe essere somministrata in quanto il T4 è di essenziale importanza per la maturazione<br />
del sistema nervoso centrale del feto. Così pure, particolare attenzione va rifer<strong>it</strong>a alla assunzione<br />
giornaliera di iodio, che dovrebbe essere di 200 mg al giorno.<br />
Gli effetti di un ipotiroidismo anche subclinico possono essere particolarmente deleteri<br />
fin dalle fasi iniziali della gravidanza, infatti il riscontro a 12 settimane di gestazione o della pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />
anticorpale TPO o di un T4 libero basso si accompagna ad un significativo rischio di<br />
defic<strong>it</strong> neurologico nel nasc<strong>it</strong>uro. Da queste considerazioni derivano importanti implicazioni<br />
sulla eventuale necess<strong>it</strong>à di screening durante la gravidanza.<br />
La sindrome antifosfolipidi (APS)<br />
La sindrome da antifosfolipidi si caratterizza per una combinazione di caratteristiche cliniche<br />
che consistono di eventi trombotici o di altri correlati specificatamente al periodo della<br />
gravidanza. Nel 1998 (International Consensus Preliminary Cr<strong>it</strong>eria) si sono defin<strong>it</strong>i cr<strong>it</strong>eri più articolati<br />
che prevedono la coesistenza di specifici eventi clinici insieme alla pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à dei test di<br />
laboratorio. Gli anticorpi antifosfolipidi maggiormente implicati nel determinismo di eventi<br />
trombotici sono soprattutto gli anti-betaGP1 e gli anti-protrombina, ma i meccanismi di patogenesi<br />
rimangono ancora incerti. Il danno endoteliale che conduce poi alla trombosi sembrerebbe<br />
derivare da una azione sinergica tra attivazione del complemento ed anticorpi antifosfolipidi.<br />
Aborti spontanei ripetuti, prematur<strong>it</strong>à e pre-eclampsie aumentate, rappresentano<br />
note complicanze della condizione di APS.<br />
La sindrome da antifosfolipidi e rischio di danno cerebrale nel neonato<br />
Sebbene esistano segnalazioni di lesioni cerebrali ischemiche legate alla sola condizione di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?<br />
APS, ci sembra di poter affermare che questa forma di trombofilia acquis<strong>it</strong>a e trans<strong>it</strong>oria rappresenta,<br />
grazie ad alcuni studi, un rischio piuttosto basso per lesioni a tipo stroke e trombosi<br />
venosa cerebrale. Il discorso si modifica sensibilmente se si considerano in aggiunta alla APS<br />
condizioni di trombofilia congen<strong>it</strong>a.<br />
La più convincente analisi deriva da uno studio multicentrico cap<strong>it</strong>anato dal gruppo di<br />
Ulrike Nowak-Gottl. In questo studio si evidenzia come circa il 70% dei neonati con uno stroke<br />
clinicamente identificabile presenti almeno un fattore di rischio protrombotico, in confronto<br />
ad una popolazione controllo. Fattori “trigger” aggiuntivi come l’asfissia, la setticemia, il diabete<br />
materno, ed una trombosi renale venosa acquis<strong>it</strong>a venivano segnalati nel 54% dei casi.<br />
In questo studio si evince l’origine multifattoriale dello stroke neonatale che comprende fattori<br />
di rischio protrombotico, condizioni acquis<strong>it</strong>e o una combinazione di condizioni acquis<strong>it</strong>e<br />
e gentiche. Questi autorevoli Autori r<strong>it</strong>engono che uno studio di screening comprensivo<br />
dei vari fattori protrombotici sia raccomandabile in quei bambini che hanno sub<strong>it</strong>o insulti vascolari<br />
sintomatici quali lo stroke.<br />
Il nato da madre con anticorpi Anti-Ro/SSA,Anti-La/SSB<br />
Si può arrivare ad avere anche la morte del feto quando sono presenti nel sangue materno<br />
anticorpi Anti-Ro/SSA, isolati, o insieme ad anticorpi Anti-La/SSB.Viceversa, la presenza di<br />
una patologia cardiaca non strutturale con “blocco completo” nel secondo trimestre di gravidanza<br />
comporta che almeno l’85% delle gestanti con tali feti presenti le già c<strong>it</strong>ate anomalie<br />
anticorpali.<br />
La gamma delle differenti anomalie cardiache fetali vanno da una miocard<strong>it</strong>e fetale, ad un<br />
blocco atrioventricolare e all’idrope fetale, prima di es<strong>it</strong>are nel decesso del feto. È interessante<br />
notare che il rischio per il feto è assolutamente indipendente dal fatto che ci sia un Lupus<br />
conclamato oppure no; in altre parole è sufficiente che vi sia la presenza anticorpale. L’aspetto<br />
più interessante però risiede nel rischio che è esclusivo del feto. Nelle gestanti con tale profilo<br />
anticorpale non è mai stata riscontrata una patologia cardiaca, suggerendo che questi anticorpi<br />
presentano una specifica capac<strong>it</strong>à di “infiammare” il cuore fetale che è in via di sviluppo,<br />
ma non un cuore adulto.<br />
La sindrome da “blocco completo congen<strong>it</strong>o” comporta un rischio sostanziale di mortal<strong>it</strong>à<br />
(che si aggira intorno al 20%) e di morbil<strong>it</strong>à, con più del 60% dei neonati affetti sopravvissuti<br />
che necess<strong>it</strong>ano di pacemakers per il resto dei loro giorni. Con il miglioramento della<br />
ecocardiografia fetale, blocchi di primo e di secondo grado vengono diagnosticati in utero,<br />
aprendo pertanto una finestra di opportun<strong>it</strong>à in mer<strong>it</strong>o al potenziale trattamento. Il registro<br />
neonatale del Lupus ha permesso di verificare che il blocco incompleto Atrio Ventricolare può<br />
progredire in età neonatale nonostante l’eventuale rimozione degli anticorpi materni dalla cir-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
311
312<br />
Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?<br />
colazione neonatale. La sfida culturale maggiore rimane quella della conoscenza dei vari passaggi<br />
che iniziano dalla sola presenza di anticorpi, es<strong>it</strong>ando poi in una irreversibile fibrosi del<br />
tessuto cardiaco. Nonostante a livello molecolare si ipotizza che uno dei meccanismi di danno<br />
risieda nella apoptosi di alcune linee cellulari cardiache (e che quindi alcuni target possano<br />
essere intracellulari) rimane da chiarire come mai la maggioranza dei neonati da madri<br />
con gli specifici anticorpi rimanga clinicamente silente e non presenti alcun blocco AV.<br />
Lupus neonatale<br />
IL Lupus Neonatale è una non comune malattia autoimmun<strong>it</strong>aria di tipo “passivo”, nel senso<br />
che vi è passaggio transplacentare di antiRo/SSA e/o antiLa/SSB.Tra le caratteristiche cliniche<br />
vi sono le malattie cardiache, il blocco di branca congen<strong>it</strong>o, lesioni cutanee, e problematiche<br />
di ordine ematologico c<strong>it</strong>openico.<br />
Nel corso degli ultimi anni si è evidenziato come una malattia epato-biliare possa rappresentare<br />
una manifestazione del Lupus Neonatale Er<strong>it</strong>ematoso. Poiche la malattia è per definizione<br />
data dal passaggio di anticorpi materni non è difficile immaginare che sia uno stato patologico<br />
trans<strong>it</strong>orio e non permanente. Purtroppo però la forma cardiaca può essere fatale<br />
oppure invalidante per tutta la v<strong>it</strong>a.<br />
Farmaci/steroidi<br />
Durante la gravidanza, la farmacocinetica dei cortisteroidi cambia, ma è noto che i corticosteroidi<br />
non sono teratogeni. Diffuse esperienze cliniche suggeriscono una assenza di anomalie<br />
in quei neonati da madri trattate con usuali dosi di prednisone e prednisolone durante<br />
tutta la gravidanza, sebbene, tali farmaci, siano stati imputati dell’aumento del numero di<br />
rotture premature delle membrane e di neonati di basso peso. Betametasone e dexametasone<br />
sono utilizzati per trattare il feto.<br />
Nel complesso la terapia con corticosteroidi durante la gravidanza viene considerata appropriata<br />
per controllare malattie materne di tipo autoimmune; per trattare una card<strong>it</strong>e fetale<br />
da Lupus e per indurre maturazione polmonare fetale al di sotto delle 34-32 settimane di<br />
gravidanza. Molti studiosi del settore r<strong>it</strong>engono che gli effetti negativi delle già c<strong>it</strong>ate malattie<br />
immun<strong>it</strong>arie sulla cresc<strong>it</strong>a fetale e sullo sviluppo in genere, siano altamente più dannosi dell’eventuale<br />
danno da somministrazione di farmaci nella madre.<br />
Pur se esula dalle final<strong>it</strong>à di questo breve trattato è noto che l’uso di ripetute dose di steroidi<br />
prenatali, al fine di promuovere la maturazione polmonare, comporta elevati rischi di<br />
compromissione del normale sviluppo dell’encefalo.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Il neonato da madre con patologia autoimmune: danni da malattia o da farmaci?<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
313
314<br />
24 PATOLOGIA AUTOIMMUNE<br />
ASPETTI ECOGRAFICI FETALI<br />
NELLE PATOLOGIE AUTOIMMUNI<br />
R. Natale,T. Stampalja, M. Zanette, S. Inglese, M.Vessella, R.Tercolo<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
Introduzione<br />
Le patologie autoimmun<strong>it</strong>arie, defin<strong>it</strong>e anche malattie da immunocomplessi, comprendono<br />
un gruppo di patologie non organo specifiche che possono causare un quadro clinico generalizzato.<br />
La caratteristica principale di tali patologie è la presenza di autoanticorpi che determinano<br />
alterazioni immunopatologiche soprattutto del tessuto connettivo e vascolare. Ne<br />
consegue un’infiammazione “sterile” dei tessuti colp<strong>it</strong>i come reni, vasi, articolazioni e cute. Gli<br />
autoanticorpi provocano distruzione dei tessuti sia con meccanismo diretto, c<strong>it</strong>otossico, sia<br />
mediante la deposizione di immuno-complessi, s<strong>it</strong>uazione in cui il complesso antigene-anticorpo<br />
stesso attacca il tessuto suscettibile.<br />
È caratteristica delle patologie autoimmuni la predominanza di soggetti di sesso femminile<br />
tra i malati adulti (ratio donna/uomo 8-10:1), che decresce tra gli anziani (ratio donna/uomo<br />
5-7:1); da ciò si evince come la donna in età fertile rappresenti circa il 70-75% dei casi<br />
affetti 1 . La donna con patologia autoimmune, quindi, si trova a voler pianificare o ad iniziare la<br />
gravidanza e la patologia di base rappresenta un rischio oggettivo per gli effetti che può avere<br />
direttamente sul feto. Fino a qualche anno fa in questi casi si sconsigliava alla donna di intraprendere<br />
la gravidanza e si proponeva addir<strong>it</strong>tura l’aborto “terapeutico”, nei casi in cui questa<br />
fosse già iniziata. I progressi compiuti nella conoscenza dei meccanismi patogenetici di tali<br />
eventi morbosi, insieme al perfezionamento delle metodiche diagnostiche, ma soprattutto<br />
lo sforzo multidisciplinare nella gestione di queste gravidanze, permettono oggi di portare a<br />
termine la gravidanza con successo in numerosi casi.<br />
Non è chiaro se queste patologie subiscano sempre un peggioramento durante la gravidanza,<br />
ma il drastico incremento ormonale tipico di tale condizione certamente influenza<br />
l’espressione e la progressione di tali patologie. Wegmann ha sugger<strong>it</strong>o che l’un<strong>it</strong>à feto-placentare<br />
indirizza il sistema immun<strong>it</strong>ario materno verso una risposta umorale mediata da c<strong>it</strong>ochine<br />
e altri mediatori dell’infiammazione quali per esempio le prostaglandine; gli ormoni,<br />
soprattutto il progesterone ed il 17-beta-estradiolo, sono stati studiati come mediatori capaci<br />
di modulare squilibri tra cellule Th1/Th2 contro c<strong>it</strong>ochine anti-infiammatorie durante la gravidanza<br />
2 .<br />
Il lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico (LES) è una delle patologie autoimmuni multisistemiche più<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
comuni nella donna (rapporto donna/uomo 9:1) ed è spesso presente in associazione con la<br />
sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS). Rappresenta, inoltre, la patologia autoimmune più<br />
frequente in gravidanza ed è responsabile di outcome riproduttivo sfavorevole, soprattutto<br />
quando associato ad APS, potendo causare aborto, morte endouterina, parto pre-termine,<br />
blocco cardiaco atrio-ventricolare congen<strong>it</strong>o e restrizione della cresc<strong>it</strong>a intrauterina (IUGR).<br />
Non è stato ancora chiar<strong>it</strong>o un nesso causale tra il peggioramento degli es<strong>it</strong>i feto-neonatali e<br />
la fase più o meno attiva della malattia, ma di sicuro il meccanismo patogenetico della patologia<br />
autoimmun<strong>it</strong>aria (depos<strong>it</strong>o di immunocomplessi con conseguente vasculopatie e vascul<strong>it</strong>i)<br />
è legato alla compromissione fetale.<br />
La maggior parte delle malattie autoimmuni sono caratterizzate dalla presenza di autoanticorpi<br />
circolanti; alcune, come il LES, presentano un’ampia varietà di autoanticorpi (più di 100<br />
tipi di complessi antigene - anticorpo ), altre, invece, sono caratterizzate dal singolo autoanticorpo<br />
marker 3 . Nelle pazienti affette dal LES gli anticorpi anti-nucleo sono presenti in oltre il<br />
90%, Ac anti-DNA, Ac anti-istone e anti-er<strong>it</strong>roc<strong>it</strong>i nel 60-70%, Ac anti-Sm e Ac anti-RNP nel<br />
40%, Ac anti-Ro-SS-A nel 30% e Ac anti-La-SS-B nel 10% dei casi.Tra questi sono considerati<br />
responsabili diretti di outcome negativo gli Ac anti-Ro-SS-A e Ac anti-La-SS-B che determinano<br />
il blocco cardiaco feto-neonatale e gli Ac anti-fosfolipidi, in particolare lupus anti-coagulant,<br />
anti-cardiolipina e anti-beta-2 glicoproteina che causano trombosi venose e arteriose.<br />
Il passaggio trans-placentare di anticorpi materni può causare una rara sindrome, il lupus<br />
feto-neonatale, caratterizzata da blocco cardiaco atrio-ventricolare (BAV), lesioni cutanee e,<br />
meno frequentemente, tromboc<strong>it</strong>openia, anemia e epat<strong>it</strong>e. Da ricordare che se la maggior<br />
parte di questi segni scompare nei primi sei mesi di v<strong>it</strong>a, il BAV è irreversibile. L’origine del<br />
BAV nelle patologie autoimmuni materne si fonda sul passaggio trans-placentare precoce di<br />
anticorpi materni anti-Ro-SS-A e anti-La-SS-B, i cui antigeni bersaglio sono stati identificati in<br />
tre proteine: 52KD Ro, 50 KD Ro e 48 KD La 3 .<br />
La manifestazione clinica del LES materno non è un prerequis<strong>it</strong>o per l’insorgenza del lupus<br />
feto-neonatale. Quest’ultimo rappresenta forse la forma più grave di malattia autoimmune<br />
acquis<strong>it</strong>a che può insorgere in gravide pos<strong>it</strong>ive per autoanticorpi circolanti (fase latente).<br />
Similmente è stato osservato che nelle madri asintomatiche la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à per gli autoanticorpi<br />
aPLA, associati al LES, rappresenta il miglior fattore pred<strong>it</strong>tivo di insuccesso ostetrico 4 .<br />
La sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (APS) è caratterizzata da manifestazioni cliniche<br />
diverse, legate a trombosi arteriose e venose e t<strong>it</strong>olo elevato di anticorpi anti-fosfolipidi<br />
(aPLA), un gruppo eterogeneo di anticorpi; in circa il 40% dei casi tale sindrome è presente<br />
contemporaneamente nelle pazienti con LES. Cr<strong>it</strong>eri di classificazione clinici della APS includono<br />
trombosi vascolari e aborto ricorrente, che tipicamente avviene dopo la decima settimana<br />
di gravidanza, al contrario di ciò che avviene nella popolazione generale. La presenza di<br />
anticorpi anti-cardiolipina (aCL) e la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à per lupus anti-coagulant (LAC) rappresentano,<br />
invece, i cr<strong>it</strong>eri di classificazione di laboratorio della sindrome 5 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
315
316<br />
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
È stata provata la stretta associazione tra la presenza di questi anticorpi e la vasculopatia<br />
deciduale, gli infarti placentari, lo IUGR, la pre-eclampsia e la perd<strong>it</strong>a fetale ricorrente.<br />
Altre malattie autoimmuni chiamate in causa meno frequentemente, ma con effetti patologici<br />
feto-neonatali simili, sono la sindrome di Sjogren, la tiroid<strong>it</strong>e autoimmune, l’artr<strong>it</strong>e reumatoide,<br />
la sclerosi sistemica progressiva e la sclerodermia.<br />
Le premesse etiopatogenetiche sono necessarie a chiarire quali dei danni fetali, provocati<br />
dalle patologie autoimmuni materne, è possibile diagnosticare durante la v<strong>it</strong>a intrauterina.<br />
Blocco atrio-ventricolare (BAV)<br />
L’incidenza del BAV è stimata in 1 su 15000-22000 nati vivi 6,7 .<br />
Il rischio per il feto di avere un BAV, quando la madre presenta una patologia autoimmune,<br />
è di 1:60, ma aumenta a 1:20 se sono presenti in circolo anticorpi anti-Ro-SS-A 17 ; il BAV<br />
si riscontra nel 3.6% dei neonati da madri affette da LES, con una predilezione per il sesso<br />
femminile 8 .<br />
La mortal<strong>it</strong>à complessiva dei feti con BAV associato alla presenza di autoanticorpi materni<br />
arriva 11-20% 5,6,14,15,16,19 .<br />
Il rischio di ricorrenza di BAV dopo un primo figlio affetto è stato osservato da diversi<br />
Autori in una percentuale compresa tra il 10% e il 40% 9 . Il rischio relativo (RR) per le madri<br />
risultate pos<strong>it</strong>ive per la presenza di autoanticorpi circolanti si aggira intorno allo 0.5%.<br />
Embriologia<br />
Il r<strong>it</strong>mo del cuore origina a livello del nodo seno-atriale, s<strong>it</strong>uato in atrio destro, che compare<br />
nella v<strong>it</strong>a embriogenetica verso la sesta settimana di amenorrea; dalle cellule di tale struttura<br />
partono impulsi che si propagano all’atrio e al nodo atrio-ventricolare attraverso fasci di<br />
tessuto specializzato, intorno all’ottava settimana. L’attivazione elettrica si trasmette attraverso<br />
il tronco comune del fascio di His alle branche destra e sinistra e, infine, alle fibre ventricolari<br />
cardiache. L’unione del nodo con il fascio di His si completa verso la decima settimana.<br />
Un’anomalia a livello di questa giunzione può generare BAV. Gli anticorpi materni danneggiano<br />
il miocardio provocando flogosi, fibrosi e un danno irreversibile, dato da calcificazioni<br />
che sost<strong>it</strong>uiscono il nodo atrio-ventricolare.<br />
Il passaggio degli anticorpi materni avviene sol<strong>it</strong>amente intorno alla sedicesima settimana<br />
di gravidanza; questo è un periodo cruciale dal punto di vista embriologico, in quanto è il momento<br />
in cui il fascio atrio-ventricolare di His comincia l’azione di connessione funzionale; modelli<br />
sperimentali hanno scoperto che il trasferimento di anti-SS-A, con o senza anti-SS-B av-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
viene per endoc<strong>it</strong>osi a livello delle cellule trofoblastiche. Alterazioni della frequenza cardiaca<br />
fetale sono associate nel 50% di gestanti con pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à per anticorpi antifosfolipidi 12 .<br />
Gli anticorpi fissati sugli antigeni del cuore fetale inducono c<strong>it</strong>otossic<strong>it</strong>à diretta con reazione<br />
infiammatoria linfoc<strong>it</strong>aria. Parallelamente gli stessi anticorpi interferiscono con il trasporto<br />
del calcio e del potassio, creando un’alterata ripolarizzazione ventricolare 10 . Recentemente è<br />
stata dimostrata, mediante ibridizzazione con fluorescenza in s<strong>it</strong>u (FISH) la presenza di cellule<br />
materne nel miocardio fetale 11 ; tale dimostrazione proverebbe l’esistenza di una condizione<br />
di microchimerismo, cioè di contemporanea presenza in un organo, di linee cellulari geneticamente<br />
differenti, materne e fetali, fenomeno riscontrabile anche nelle trasfusioni ematiche<br />
e nei trapianti d’organo.<br />
In alcuni casi il BAV è associato fibroelastosi endocardica (EFE), una rara forma di fibrosi<br />
del miocardio, ancora poco conosciuta che consiste in un’iperplasia del collagene e dell’elastina<br />
ed in un diffuso ispessimento dell’endocardio che spesso progredisce fino all’ultimo stadio<br />
dell’insufficienza cardiaca congestizia ed alla morte feto-neonatale. Sebbene il BAV può<br />
essere associato ad EFE sono riportati casi in cui tale quadro era isolato ed associato ad anti-RO<br />
e anti-La materni in assenza di BAV 13 .<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi di BAV viene posta in presenza di bradicardia fetale e dissociazione tra frequenza<br />
atriale e ventricolare, con quest’ultima inferiore rispetto a quella atriale.<br />
La metodica diagnostica di scelta è rappresentata dall’ecocardiografia fetale.<br />
Con la visualizzazione bidimensionale ad alta risoluzione, l’M-mode, il Doppler pulsato ed<br />
il color Doppler è possibile precisare l’anomalia del r<strong>it</strong>mo e l’eventuale influenza emodinamica<br />
sul feto. Il ruolo dell’ecocardiografia nella diagnosi delle ar<strong>it</strong>mie fetali è quindi quello di valutare<br />
le conseguenze emodinamiche del disturbo elettrofisiologico.<br />
La valutazione ecocardiografica inizia con un completo studio bidimensionale del cuore<br />
fetale per escludere l’eventuale presenza di anomalie cardiache strutturali. Partendo sempre<br />
dalla scansione delle quattro camere cardiache, particolare attenzione deve essere data alla<br />
posizione ed al diametro delle camere stesse, alla loro funzional<strong>it</strong>à, oltre che alla presenza o<br />
assenza dell’idrope fetale. L’esame in M-mode deve sempre seguire l’esame bidimensionale. Il<br />
cursore viene posizionato preferenzialmente sulle pareti atriale e ventricolare in modo da valutare<br />
simultaneamente la loro attiv<strong>it</strong>à e di seguire accuratamente l’evoluzione temporale di<br />
questi eventi. Nei feti con BAV si osserverà una dissociazione tra le contrazioni atriali e quelle<br />
ventricolari. La classificazione del BAV distingue I, II e II grado.<br />
La diagnosi di BAV di I grado è puramente elettrocardiografica e, pertanto, può essere formulata<br />
solo dopo la nasc<strong>it</strong>a.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
317
318<br />
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
Il BAV di II grado può essere diagnosticato anche in utero e consiste nella determinazione<br />
di una frequenza atriale regolare e una conduzione ventricolare di 2:1, quindi una bradicardia<br />
episodica.<br />
Il BAV di III grado o completo, infine, consiste nella completa dissociazione tra le contrazioni<br />
atriali e ventricolari, con frequenza atriale regolare e bradicardia ventricolare 18 .<br />
L’esame con il Doppler pulsato e color Doppler permette di valutare l’impatto dell’ar<strong>it</strong>mia<br />
sull’emodinamica fetale. Quando il BAV è tale da compromettere la funzional<strong>it</strong>à cardiaca<br />
nonché l’emodinamica fetale, il feto può andare incontro ad uno scompenso cardiaco congestizio.<br />
Quest’ultimo si manifesta con una dilatazione delle camere cardiache ed una loro scarsa<br />
contrattil<strong>it</strong>à, con reflusso atrio-ventricolare e si associa spesso con idrope fetale (versamento<br />
pleurico e pericardio, asc<strong>it</strong>e, ispessimento della cute).<br />
La diagnosi di cardiomegalia viene effettuata calcolando il rapporto tra la circonferenza<br />
cardiaca (CC) e quella toracica (TC). Il normale rapporto CC/TC deve essere circa 0.5. Il versamento<br />
pericardico viene diagnosticato quando il cuore appare circondato da un anello ipoecogeno<br />
di almeno 2 mm di spessore.<br />
Il reperto ecografico dell’EFE è quello della dilatazione del ventricolo (in genere sinistro),<br />
con idrope fetale, mentre l’endocardio appare fortemente iperecogeno. Relativamente allo<br />
spessore ed all’estensione del miocardio coinvolto, ecograficamente l’EFE può essere classificata<br />
di grado minimo, moderato e severo.<br />
Secondo diversi Autori la prognosi per i feti con BAV dipende dalla frequenza atriale e<br />
ventricolare, oltre che dall’eventuale presenza d’idrope fetale. I feti che hanno una frequenza<br />
ventricolare >55 bpm e una frequenza atriale > 120 bpm, senza segni d’idrope, hanno prognosi<br />
favorevole 14-16,19 . Qualora la frequenza ventricolare scenda sotto 55 bpm si ha frequentemente<br />
l’insorgenza d’insufficienza cardiaca congestizia e d’idrope fetale 20 . Contrariamente,<br />
in un recente lavoro 21 , Berg pur non osservando un’associazione tra l’abbassamento della frequenza<br />
ventricolare e l’insorgenza dell’idrope fetale con un outcome sfavorevole, concorda<br />
con gli altri Autori che il rapporto CC/TC > 0.61 cost<strong>it</strong>uisca un segno prognostico sfavorevole.<br />
Management e terapia<br />
L’espressione clinica del BAV è ad ampio spettro, potendo mantenersi un compenso emodinamico<br />
e, quindi uno stato fetale stazionario, o svilupparsi un’insufficienza cardiaca congestizia.<br />
In alcune pazienti pos<strong>it</strong>ive per anti-Ro-La è stata osservata nei feti la progressione da<br />
una normale conduzione atrio-ventricolare ad un completo blocco cardiaco in meno di 11<br />
giorni. Questo indica che nelle pazienti note per pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à anticorpale, oltre ai controlli nel<br />
primo trimestre ed una precoce valutazione ecocardiografica tra 14-16 settimane, il mon<strong>it</strong>o-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
raggio ecocardiografico dovrebbe essere settimanale nel periodo di maggiore rischio (18-25<br />
settimane di gestazione) 22 .<br />
Il trattamento del BAV è un processo complesso che richiede un approccio multidisciplinare.<br />
Il trattamento di ciascun caso deve essere individualizzato, per soddisfare le necess<strong>it</strong>à<br />
del feto e della madre. Fino ad oggi vari tipi di terapie sono stati proposti nel trattamento di<br />
BAV associato a malattia autoimmune: somministrazione di beta-agonisti (salbutamolo o isoprenalina)<br />
ad effetto isotropo e cronotropo pos<strong>it</strong>ivo, digossina ad effetto isotropo pos<strong>it</strong>ivo,<br />
corticosteroidi e/o plasmaferesi per lim<strong>it</strong>are la sever<strong>it</strong>à del processo infiammatorio e l’impianto<br />
del pacemaker fetale. Ma nessuno di questi protocolli è stato dimostrato essere inequivocabilmente<br />
efficace. Nella scelta del farmaco si deve tener conto anche dello stato emodinamico<br />
del feto ed in presenza di idrope fetale occorre essere più aggressivi e tentare di ottenere<br />
un risultato entro tempi brevi.<br />
I dati della letteratura riportano l’utilizzo dei simpaticomimetici nel BAV secondo vari schemi<br />
con l’ottenimento nella maggior parte dei casi di un aumento della frequenza atriale e ventricolare<br />
fetale 14,23,24 , nonché la risoluzione dell’idrope in alcuni casi 23,25 senza però ottenere un<br />
miglioramento dell’outcome a lungo andare 26 . Questo effetto contradd<strong>it</strong>torio può essere spiegato<br />
con due motivazioni. In primo luogo bisogna essere consapevoli che l’aumento della frequenza<br />
atriale e ventricolare non ripristina la coordinazione della conduzione atrio-ventricolare<br />
dalla quale dipende un adeguato riempimento diastolico e la g<strong>it</strong>tata cardiaca. In secondo<br />
luogo è da considerare che alcuni studi prospettici hanno dimostrato che il BAV diagnosticato<br />
in utero può convertirsi spontaneamente senza l’ausilio terapeutico in r<strong>it</strong>mo sinusale o ad<br />
un blocco di grado minore 27 . Di conseguenza la maggior parte degli Autori mette in dubbio<br />
l’efficacia di tale gruppo di farmaci nel trattamento di BAV e ne consiglia l’utilizzo nei casi di<br />
severa bradicardia fetale 23 . Non da trascurare sono anche gli effetti collaterali materni della<br />
terapia a lungo termine con i beta-simpaticomimetici come l’ischemia miocardiaca e l’edema<br />
polmonare 28 .<br />
La digossina ha proprietà antiar<strong>it</strong>miche e antiscompenso, potendo in alcuni casi determinare<br />
un miglioramento o la risoluzione del versamento pericardico 29 , ma non un miglioramento<br />
della frequenza ventricolare. Da sottolineare che la farmacodinamica della dig<strong>it</strong>ale in gravidanza<br />
è caratterizzata da un’eliminazione più rapida del farmaco. Nel corso della terapia materno-fetale<br />
con dig<strong>it</strong>ale occorrono controlli ripetuti della digossinemia e dell’ECG materni,<br />
per sorvegliare l’effetto del farmaco.<br />
Rimane ancora controverso l’utilizzo dei corticosteroidi nelle pazienti pos<strong>it</strong>ive per anti-AAa-Ro<br />
e/o anti-SS-B-La. A scopo terapeutico o preventivo dello sviluppo del blocco cardiaco<br />
vengono usati: prednisone, prednisolone, betametasone e desametasone. Il cortisolo materno<br />
viene convert<strong>it</strong>o in cortisone da 11beta idrossi steroido deidrogenasi (11ß-HSD) per proteggere<br />
il feto da alte concentrazioni di steroidi materni 30 . Anche il prednisone e prednisolone<br />
vengono largamente convert<strong>it</strong>i in metabol<strong>it</strong>i inattivi da 11ß-HSD, cosi che solo circa 12%<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
319
320<br />
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
del farmaco raggiunge la circolazione fetale nella sua forma attiva 31 . Il betametasone e desametasone<br />
somministrati alla madre vengono scarsamente metabolizzati dalla placenta e passano<br />
prontamente nella circolazione fetale 32 .<br />
La somministrazione profilattica degli steroidi a partire dalle epoche gestazionali precoci<br />
potrebbe prevenire il danno infiammatorio al sistema di conduzione cardiaco fetale causato<br />
da anti-SS-A/Ro e/o anti SS-B/La.<br />
L’utilizzo di prednisone e prednisolone a scopo preventivo è discutibile causa la bassa percentuale<br />
del farmaco che raggiunge nella sua forma attiva il feto. Nella recente rewiev di Breur<br />
e coll. è stato analizzato il tasso di successo dell’utilizzo della terapia corticosteroidea a scopo<br />
preventivo. Di 43 feti 29 erano a rischio moderato (5% d’incidenza di blocco cardiaco nelle<br />
pazienti pos<strong>it</strong>ive per anti-SS-A-Ro e/o anti-SSB-La) di cui 8/29 (28%) svilupparono il blocco<br />
cardiaco durante la gravidanza. Dei rimanenti 14 feti che erano ad alto rischio per il blocco<br />
cardiaco (16% d’incidenza di blocco cardiaco nella pazienti pos<strong>it</strong>ive per anti-SS-A-Ro e/o<br />
anti-SS-B-La con gravidanza precedente complicata dal blocco cardiaco) nessuno sviluppò il<br />
blocco cardiaco totale. È da sottolineare che in 40 di questi feti è stato usato il prednisolone<br />
o prednisone. Solo in 3 casi è stato usato il desametasone e nessuno di questi ha sviluppato<br />
il blocco cardiaco 33 .<br />
Nella stessa rewiev gli Autori concludono che nei feti in cui il blocco cardiaco si è già sviluppato,<br />
la somministrazione materna dei corticosteroidi è inefficace 33 . Il trattamento del blocco<br />
di minore ent<strong>it</strong>à ha ottenuto in alcuni casi un miglioramento del quadro clinico, anche se<br />
tale miglioramento si potrebbe verificare anche in assenza di terapia. Questo suggerisce che<br />
anche in questo gruppo di feti l’efficacia del trattamento corticosteroideo è discutibile 33 .<br />
Contrariamente l’efficacia del trattamento con betametasone e/o desametasone è stata<br />
provata nei casi con cardiomiopatia dilatativa, condizione ad alto rischio di mortal<strong>it</strong>à associata<br />
al blocco cardiaco fetale 34 .<br />
La somministrazione materna degli steroidi tuttavia non è priva di rischi per il feto. IUGR<br />
e oligoamnios sono stati associati a tale terapia 35,36 . Studi sugli animali hanno inoltre dimostrato<br />
cresc<strong>it</strong>a cerebrale fetale ristretta, alterazioni dell’asse ipotalamo-p<strong>it</strong>u<strong>it</strong>ario-surrenalico e del<br />
sistema immun<strong>it</strong>ario, nonché alterazioni della morfologia placentare 35,36 .<br />
Dai dati attualmente disponibili in letteratura si può dedurre che l’efficacia della terapia<br />
steroidea materna non è stata provata nella prevenzione o trattamento del blocco cardiaco<br />
fetale, comunque il suo utilizzo potrebbe essere considerato nella prevenzione o modulazione<br />
dell’infiammazione miocardica, mentre inefficacie nei casi di blocco completo (blocco di III<br />
grado) 22 .<br />
L’unica terapia reale è rappresentata dall’impianto post-natale di un pace-maker, sebbene<br />
sia stato tentato il pacing trans-toracico durante la v<strong>it</strong>a fetale. Il management generale dipende<br />
dall’età gestazionale e dalla matur<strong>it</strong>à polmonare con possibil<strong>it</strong>à di anticipare il parto per il<br />
tempestivo impianto del pace-maker.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
Alterazioni della placenta e del liquido amniotico<br />
Uno dei target degli autoanticorpi materni, e soprattutto degli anticorpi antifosfoloipidi<br />
(aPL), è la placenta. Nonostante l’esame istopatologico dipende anche dall’epoca gestazionale,<br />
le alterazioni placentari maggiori riscontrabili nelle pazienti pos<strong>it</strong>ive per aPL sono: trombosi,<br />
arterosi acute, diminu<strong>it</strong>o numero di membrane sincizio-vascolari, aumentato numero di nodi<br />
sinciziali e arteriopatia obl<strong>it</strong>erativa. Queste lesioni non sono specifiche per la sindrome antifosfolipidi<br />
(aPL) e a volte non correlano con l’outcome fetale 53 .<br />
Ecograficamente la placenta nella gravidanza con patologia autoimmune materna spesso<br />
appare di dimensioni ridotte, con iperecogenic<strong>it</strong>à diffuse o focali, accentuazione della lobatura<br />
e la presenza di lacune anecogene.Tali alterazioni ecografiche sono da imputare a modificazioni<br />
ischemiche ed ipossiche, vasculopatia deciduale e presenza di trombi 37 .<br />
Oligoamnios è associato spesso alle altre complicanze ostetriche.<br />
Minaccia di parto pre-termine<br />
Nelle gravidanze complicate da LES in fase attiva l’incidenza di parti pretermine risulterebbe<br />
significativamente elevata, in modo particolare nelle gravide che assumono alte dosi di<br />
prednisone 38,39 .<br />
Da un punto di vista ecografico è ancora dibattuto il valore della misura della lunghezza<br />
del canale cervicale (cervicometria), come segno precoce di parto pretermine, anche se il reperto<br />
ecografico di svasamento del canale (“funneling“) in pazienti ad alto rischio ha sicuramente<br />
un peso nella gestione clinica del caso.<br />
Restrizione della cresc<strong>it</strong>a fetale (IUGR)<br />
Una restrizione della cresc<strong>it</strong>a fetale intrauterina (IUGR) è comune in donne gravide affette<br />
da malattie autoimmun<strong>it</strong>arie riscontrandosi dal 12% al 32%. In due studi prospettici 40,41 IUGR<br />
è stato riscontrato rispettivamente nel 23% e 18% di gravidanze complicate da LES segu<strong>it</strong>e a<br />
partire dalla ventesima settimana, comparate con gruppi di controllo; i risultati di tali studi hanno<br />
evidenziato come un esame ultrasonografico esegu<strong>it</strong>o entro le 5 settimane dal parto, prevede<br />
lo IUGR con buona accuratezza, definendo la restrizione della cresc<strong>it</strong>a fetale come circonferenza<br />
addominale AC < 10th percentile.<br />
L’individuazione dei feti a rischio di sviluppare una restrizione di cresc<strong>it</strong>a rappresenta uno<br />
dei maggiori obbiettivi della medicina perinatale: il percentile del peso alla nasc<strong>it</strong>a è inversamente<br />
correlato alla mortal<strong>it</strong>à perinatale 42,43 e la maggior quota di es<strong>it</strong>i neonatali sfavorevoli<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
321
322<br />
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
si verifica nei feti con restrizione di cresc<strong>it</strong>a in utero e basso peso alla nasc<strong>it</strong>a 44 : morte neonatale,<br />
emorragia intraventricolare e leucomalacia peri-ventricolare ed altre lesioni neonatali<br />
correlate all’eventuale prematur<strong>it</strong>à.<br />
Aspetti flussimetrici fetali delle malattie autoimmuni<br />
Circa il 25% delle gravidanze in donne affette da LES è complicato da pre-eclampsia 45 .La<br />
causa dell’aumentata incidenza di pre-eclampsia potrebbe essere legata alla sottostante patologia<br />
renale 46 . Distinguere tra un’esacerbazione del LES che coinvolge anche una nefr<strong>it</strong>e attiva<br />
e la pre-eclampsia è difficile in quanto entrambi questi quadri si possono presentare con<br />
proteinuria, ipertensione e l’evidenza di una disfunzione multi-organo.<br />
Circa il 50% delle donne con la sindrome antifosfolipidi sviluppa la pre-eclampsia, che può<br />
instaurarsi già a partire dalla 15 a settimana, o un’ipertensione ingravescente 47,48 . In circa 10%<br />
delle donne con l’instaurarsi precoce della pre-eclampsia (prima delle 34 settimane) si possono<br />
riscontrare anticorpi antifosfolipidi.<br />
In entrambi i casi il quadro si può associare anche alla presenza di una restrizione di cresc<strong>it</strong>a<br />
fetale.<br />
Nelle gravidanze complicate da LES materno, un aumento della resistenza nelle arterie<br />
ombelicali è associato all’aumentato rischio di pre-eclampsia e IUGR. Kerslake et al. riportano<br />
che l’assenza del flusso diastolico nell’arteria ombelicale è un buon pred<strong>it</strong>tore della necess<strong>it</strong>à<br />
di espletare il taglio cesareo nelle pazienti normotensive 49 . Non è ancora stato del tutto<br />
chiar<strong>it</strong>o se nelle pazienti con LES aumenta la resistenza al flusso nelle arterie uterine. Negli<br />
studi di Weineret al. e Guzman et al. tale associazione non era statisticamente significativa 50,51 .<br />
Gli Autori osservarono però che la presenza di resistenze aumentate nelle arterie uterine si<br />
associava ad un’aumentata incidenza di restrizione di cresc<strong>it</strong>a e/o un outcome avverso.<br />
La sindrome da anti-fosfolipidi è caratterizzata dalla trombosi dei vasi utero-placentari e<br />
dall’infarcimento placentare.<br />
Ci sono alcune evidenze che dimostrano che nelle gravidanze con sindrome anti-fosfolipidi<br />
un aumento dell’indice di resistenza (RI) nelle arterie uterine identifica i casi che successivamente<br />
svilupperanno pre-eclampsia e IUGR. Caruso et al. riportano che l’identificazione<br />
di un aumento di RI delle arterie uterine tra 18 e 24 settimane di gravidanza rappresenta un<br />
buon indice pred<strong>it</strong>tivo della pre-eclampsia e della restrizione della cresc<strong>it</strong>a fetale 52 . In questo<br />
senso il quadro clinico dello studio con Doppler nelle gravidanze con anti-fosfolipidi potrebbe<br />
essere simile a quello che caratterizza l’insufficienza placentare, causata dall’inadeguata invasione<br />
trofoblastica delle arterie spirali. Similmente alla LES anche in questa sindrome lo sviluppo<br />
della pre-eclampsia e dello IUGR è nella maggior parte dei casi preceduto da un aumento<br />
delle resistenze nell’arteria ombelicale.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
Conclusioni<br />
La risposta alla domanda iniziale di cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia<br />
autoimmune, deve essere differenziata in due possibili evenienze: la prima riguarda la<br />
donna nella quale si conosce la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à per gli autoanticorpi che inizia la gravidanza e che<br />
dovrà pertanto essere mon<strong>it</strong>orizzata cercando gli indizi delle molteplici alterazioni che la sua<br />
patologia può provocare al feto. Una proposta di protocollo potrebbe pertanto prevedere:<br />
8 settimane: verifica di v<strong>it</strong>al<strong>it</strong>à embrionale (BCE) aPS > poliabortiv<strong>it</strong>à<br />
12 settimane: conferma BCF e misurazione della nelle pazienti con LES sono riportati falsi<br />
translucenza nucale (NT) pos<strong>it</strong>ivi al “triplo test” per s. di Down<br />
14-15 settimane: valutazione delle 4 camere e FHR diagnosi di BAV/EFE<br />
18-25 settimane: controllo settimanale di FHR periodo di maggior rischio per<br />
l’insorgenza di BAV<br />
20-22 settimane: ecocardiografia diagnosi di BAV;<br />
(M mode, Color e Pulsed Doppler) esclusione di anomalie strutturali cardiache<br />
flussimetria delle aa uterine aumento di RI e/o notch in aa uterine<br />
25 settimane: FHR/biometria/valutazione LA diagnosi o mon<strong>it</strong>oraggio BAV<br />
flussimetria dei distretti fetali diagnosi IUGR precoce<br />
flussimetria aa utrine<br />
ogni 2 settimane: FHR/biometria/valutazione LA<br />
flussimetria<br />
34 settimane: FHR/biometria/flussimetria<br />
profilo biofisico/CTG<br />
fino a termine controllo settimanale:<br />
FHR/biometria/flussimetria/profilo biofisico NST<br />
Nel caso in cui la diagnosi di BAV venga fatta occasionalmente, in qualsiasi epoca di gravidanza,<br />
la paziente dovrà essere sottoposta ad indagini del pattern anticorpale, dovrà essere<br />
rapidamente istaurata la terapia e programmati controlli ecografici molto ravvicinati (7-8 giorni),<br />
per il possibile peggioramento della bradicardia e la possibile insorgenza di segni di scompenso<br />
cardiaco, che possono anticipare l’espletamento del parto.<br />
È raccomandabile che in caso di diagnosi di BAV la paziente sia inviata in un centro di riferimento,<br />
in cui sia possibile la gestione multidisciplinare del caso; solo la fusione delle competenze<br />
in amb<strong>it</strong>o ostetrico, ecografico, cardiologico, neonatologico ed immunologico possono<br />
culminare in un es<strong>it</strong>o favorevole della gravidanza.<br />
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Aspetti ecografici fetali nelle patologie autoimmuni<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
325
326<br />
25 PATOLOGIA AUTOIMMUNE<br />
GESTIONE CLINICA<br />
DELLA GRAVIDA<br />
CON PATOLOGIA AUTOIMMUNE<br />
N. Santangelo,V. Soini, S. Inglese, M.Vessella, E. Filippi, S. Smiroldo<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
I recenti progressi della scienza medica hanno trasformato sostanzialmente la gestione delle<br />
gravidanze complicate da malattie autoimmuni sistemiche; oggi le possibil<strong>it</strong>à di iniziare e portare<br />
a termine con successo una gravidanza in donne con patologia autoimmune sono di gran<br />
lunga maggiori che in passato. L’es<strong>it</strong>o della gravidanza in queste pazienti è condizionato dai rischi<br />
particolari legati alle malattie stesse o dalle conseguenze sullo sviluppo del feto. In un passato<br />
non molto lontano era relativamente poco frequente che donne con malattia autoimmune<br />
sistemica pianificassero delle gravidanze. Lo sforzo di questi ultimi 20 anni è stato quello<br />
di identificare e, quando possibile, di prevenire, nell’amb<strong>it</strong>o di questa patologia, le cause di<br />
insuccesso ostetrico e cioè di aborto, morte endouterina del feto, prematur<strong>it</strong>à e patologia<br />
neonatale 1 .<br />
L’elemento determinante per il buon es<strong>it</strong>o della gravidanza in una donna con malattia autoimmune<br />
è uno stretto controllo della patologia, sia prima del concepimento che durante<br />
l’intera gestazione, attraverso terapie adeguate e un’attenta valutazione della cresc<strong>it</strong>a e del<br />
benessere fetale, programmando le modal<strong>it</strong>à e i tempi del parto. È evidente che l’assistenza<br />
alla donna debba essere forn<strong>it</strong>a da un team multidisciplinare, che dovrebbe includere un’équipe<br />
ostetrica dedicata, un reumatologo esperto nel trattamento durante la gravidanza, un ematologo<br />
per la gestione delle possibili complicanze trombofiliche, un neonatologo e poi un pediatra<br />
che conosca e sappia affrontare i particolari problemi che possono insorgere in un neonato;<br />
un cardiologo pediatrico qualora insorgessero complicanze nel feto legate agli anticorpi<br />
anti-Ro.<br />
Malattie autoimmuni che determinano una condizione di gravidanza a rischio<br />
1. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
2. Connettiv<strong>it</strong>i<br />
Artr<strong>it</strong>e reumatoide<br />
Lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Sclerosi sistemica diffusa e lim<strong>it</strong>ata<br />
Sindrome di Sjögren<br />
Connettiv<strong>it</strong>e mista (MCTD)<br />
Connettiv<strong>it</strong>e indifferenziata (UCTD)<br />
Polimios<strong>it</strong>e/dermatomios<strong>it</strong>e<br />
Policondr<strong>it</strong>e recidivante<br />
3. Vascul<strong>it</strong>i<br />
Arter<strong>it</strong>e di Takayasu<br />
Granulomatosi di Wegener<br />
Poliarter<strong>it</strong>e nodosa<br />
Sindrome di Churg-Strauss<br />
Poliangi<strong>it</strong>e microscopica<br />
Porpora di Henoch-Schönlein<br />
Crioglobulinemia mista “essenziale”<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio delle malattie autoimmuni in gravidanza<br />
Le pazienti gravide con malattie reumatiche autoimmuni necess<strong>it</strong>ano di una particolare assistenza<br />
in gravidanza in quanto è necessario tenere sotto stretto controllo il loro stato di salute<br />
con un regime terapeutico che non sia dannoso per lo sviluppo del feto 2 .<br />
La gestione di queste gravidanze va pertanto affidata ad un team di medici che mettono<br />
insieme diverse competenze. Il reumatologo che si occupa di queste patologie deve lavorare<br />
al fianco di ostetrici che abbiano esperienza in gravidanze “ad alto rischio”. Dopo la nasc<strong>it</strong>a<br />
del bimbo è poi indispensabile la presenza di un pediatra con competenze specifiche, soprattutto<br />
in caso di parto pretermine, per garantire al bambino la migliore assistenza.<br />
Alcune malattie autoimmuni si associano ad una maggiore frequenza di complicazioni gravidiche<br />
o neonatali. Rappresentano condizioni di rischio importante le malattie autoimmuni<br />
con presenza di anticorpi antifosfolipidi o anticorpi anti Ro/SS-A. I primi si associano, nelle pazienti<br />
non trattate, ad un’elevata percentuale di aborti o perd<strong>it</strong>e fetali, i secondi si associano,<br />
in una percentuale molto bassa di casi, al “lupus neonatale” 3 , un quadro clinico generalmente<br />
trans<strong>it</strong>orio ma che può includere blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o. Alcuni tipi di malattie autoimmuni<br />
possono essere negativamente influenzate dalla gravidanza. Questo può essere il caso<br />
del lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico, quando non adeguatamente trattato e mon<strong>it</strong>orato durante<br />
la gestazione 4 .<br />
Si può considerare a basso rischio una gravidanza con malattia in remissione stabile, in assenza<br />
di danno d’organo. La gravidanza è a rischio medio/alto se la malattia non è in remis-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
327
328<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
sione, in presenza di nefropatia proteinurica o insufficienza renale, in presenza di ipertensione<br />
significativa, di trombofilia o di precedente patologia ostetrica.<br />
I principali rischi materni sono correlati a:<br />
- Possibil<strong>it</strong>à di riattivazione della malattia<br />
- Ipertensione e sue conseguenze<br />
- Aggravamento di nefropatia e insufficienza renale<br />
- Trombofilia<br />
I principali rischi fetali sono correlati a:<br />
- Insufficienza placentare<br />
- Danni da farmaci<br />
In considerazione di questi rischi, un ambulatorio dedicato è fondamentale nella gestione<br />
delle gravidanze complicate da malattie autoimmuni. Il counselling preconcezionale riveste in<br />
questo campo una importanza decisiva sull’es<strong>it</strong>o gravidico. La gravidanza andrebbe infatti programmata<br />
in fase di remissione della malattia da almeno 3 mesi. Comp<strong>it</strong>o del reumatologo è<br />
di indicare alla donna il momento più opportuno per iniziare una gravidanza, e sconsigliarla o<br />
procrastinarla ed eventualmente suggerire di ricorrere ad un valido metodo contraccettivo<br />
quando la malattia è attiva o quando la paziente deve assumere farmaci per il controllo della<br />
malattia che potrebbero risultare teratogeni per il feto. I farmaci teratogeni vanno sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i<br />
almeno 3 mesi prima del concepimento, non semplicemente sospesi per il rischio di riattivazione<br />
della malattia. Nelle ipertese gli ACE inib<strong>it</strong>ori vanno sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i con un’altra classe di<br />
farmaci per il rischio di tossic<strong>it</strong>à fetale. Nelle pazienti trattate con anticoagulanti orali questi<br />
vanno sospesi appena noto lo stato gravidico, e comunque entro la 10 a settimana. Le pazienti<br />
con artr<strong>it</strong>e reumatoide, pur non essendo generalmente soggette a particolari rischi in gravidanza,<br />
assumono trattamenti spesso non compatibili con la gravidanza, per cui risulta necessario,<br />
prima del concepimento, un opportuno aggiustamento terapeutico.<br />
Il calendario delle vis<strong>it</strong>e per le pazienti con malattie autoimmuni è abbastanza stretto, tuttavia<br />
ciò è reso necessario dalla compless<strong>it</strong>à della patologia.<br />
A scadenza mensile va effettuato un controllo:<br />
- laboratoristico<br />
- internistico/immunologico<br />
- ostetrico.<br />
Il controllo dei valori pressori va effettuato ogni 2 settimane, nei primi tre mesi, e dal 4<br />
mese ogni settimana a domicilio, o quotidianamente se insorgono problemi. Il mon<strong>it</strong>oraggio<br />
ostetrico prevede la valutazione della cresc<strong>it</strong>a fetale, da effettuarsi mensilmente dalle 18-20<br />
settimane, ed ogni 2 settimane dalla 32 a settimana; inoltre l’identificazione di una condizione<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
di insufficienza placentare prevede l’esecuzione della velocimetria Doppler dell’arteria ombelicale<br />
dalle 20-24 settimane. La gestione ottimale prevederebbe che una paziente vista dal reumatologo<br />
abbia la possibil<strong>it</strong>à, se lo richiede la sua s<strong>it</strong>uazione, di essere valutata, nella stessa occasione,<br />
anche dall’ostetrico e viceversa; nella stessa giornata è poi auspicabile che la paziente<br />
possa effettuare esami di laboratorio, inclusi quelli della coagulazione. Gli esami strumentali<br />
ostetrici, che di sol<strong>it</strong>o hanno un loro calendario, possono essere effettuati estemporaneamente,<br />
se r<strong>it</strong>enuti necessari al momento della vis<strong>it</strong>a.<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio delle pazienti non si esaurisce con il parto. L’ultima vis<strong>it</strong>a in ambulatorio<br />
va effettuata circa un mese dopo la nasc<strong>it</strong>a, per escludere che non siano insorte complicazioni<br />
nel puerperio.<br />
IL LABORATORIO NELLE MALATTIE AUTOIMMUNI<br />
Durante la gravidanza le donne affette da malattie autoimmuni devono eseguire frequenti<br />
controlli laboratoristici. Gli esami fondamentali nelle malattie autoimmuni in gravidanza includono<br />
l’emocromo con formula per la ricerca di anemia, leucopenia e tromboc<strong>it</strong>openia, gli<br />
indici di fase acuta (proteina C reattiva, ferr<strong>it</strong>ina, aptoglobina, ipergammaglobulinemia), gli indici<br />
di funzional<strong>it</strong>à renale ed epatica, oltre ad esami specifici per le singole malattie. Emocromo,<br />
glicemia e prove di funzional<strong>it</strong>à renale andrebbero ripetuti mensilmente. In presenza di una<br />
condizione di anemia il test di Coombs diretto e indiretto consente di individuare una anemia<br />
emol<strong>it</strong>ica autoimmune che richiede spesso un potenziamento della terapia. Il complemento<br />
andrebbe mon<strong>it</strong>orato periodicamente, e riduzioni progressive e costanti cost<strong>it</strong>uiscono un<br />
segnale di allarme. In alcune pazienti è utile la ricerca di una condizione di trombofilia genetica,<br />
come iperomocisteinemia, defic<strong>it</strong> di ATIII, proteina C e proteina S, mutazione G20210A<br />
della protrombina, fattore V Leiden.<br />
La ricerca e la quantificazione di autoanticorpi è diventata una componente importante<br />
nella diagnosi e nel trattamento di malattie autoimmuni come l’artr<strong>it</strong>e reumatoide, il LES, le<br />
vascul<strong>it</strong>i sistemiche, la sclerodermia 5 . Ciascuna di queste malattie è associata alla presenza di<br />
un particolare autoanticorpo o gruppo di autoanticorpi. L’impiego di questi autoanticorpi come<br />
test diagnostici presenta tuttavia numerose lim<strong>it</strong>azioni: vanno usati come parte di un pannello<br />
diagnostico piuttosto che come marker indicativi di una particolare malattia. Molti di questi<br />
markers non hanno correlazione con l’attiv<strong>it</strong>à della malattia, e possono essere riscontrati<br />
anche in soggetti sani. Il loro utilizzo dovrebbe essere ristretto alla valutazione iniziale e non<br />
ripetuto ad ogni controllo. Altri markers invece correlano con l’attiv<strong>it</strong>à della malattia e possono<br />
essere utilizzati per mon<strong>it</strong>orare l’attiv<strong>it</strong>à della malattia. Ad esempio, gli anticorpi antidsDNA<br />
sono da controllare periodicamente, perché il loro aumento può indicare una riattivazione<br />
della malattia, viceversa gli ANA e gli ENA tendono a rimanere stabili nel tempo. La<br />
determinazione degli anticorpi antifosfolipidi è essenziale per la valutazione e il mon<strong>it</strong>oraggio<br />
della gravidanza e del rischio ostetrico, in quanto tipicamente si associano ad aborti e perdi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
329
330<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
te fetali. Qui di segu<strong>it</strong>o è illustrato un pannello di esami utili per il mon<strong>it</strong>oraggio laboratoristico<br />
delle malattie autoimmuni.<br />
Tabella 1. Pannello di esami di laboratorio utili nelle malattie autoimmuni<br />
Emocromo con formula e piastrine Proteine totali ed elettroforesi<br />
Sideremia e transferrina IgG, IgM, IgA<br />
Ferr<strong>it</strong>ina Immunofissazione sierica<br />
Aptoglobina Complemento C3, C4<br />
Test di Coombs (diretto/indiretto) Fattore reumatoide<br />
Anticorpi antipiastrine Antinucleo (ANA)<br />
LDH Anti-dsDNA<br />
VES (util<strong>it</strong>à lim<strong>it</strong>ata in gravidanza) Anti ENA<br />
Proteina C reattiva Anticardiolipina<br />
Glicemia Anti beta2 glicoproteina<br />
Creatinina ANCA (PR3, MPO)<br />
Uricemia Crioglobuline<br />
Na Anticorpi ant<strong>it</strong>essutali:<br />
K tiroidei (Tg,TPO)<br />
Ca mucosa gastrica<br />
P muscolo liscio<br />
AST ALT m<strong>it</strong>ocondri<br />
Fosfatasi alcalina LKM<br />
gammaGT Anticorpi anti virali<br />
Bilirubina totale e diretta Virus epat<strong>it</strong>e B<br />
CK Aldolasi Virus epat<strong>it</strong>e C<br />
Colesterolo, HDL,Trigliceridi Virus HIV<br />
Omocisteina Anticorpi anti-Borrelia<br />
Tempo di Quick (INR), APTT<br />
Resistenza alla proteina C attivata Esame urine completo<br />
Fibrinogeno Proteinuria (24 ore)<br />
Proteina C Proteina S Bence Jones urinaria<br />
Anticoagulante lupico Elettroforesi proteine urinarie<br />
Fattore V (genetica)<br />
Protrombina (genetica)<br />
IL RUOLO DELL’IMMUNOLOGO/INTERNISTA<br />
Dal punto di vista immunologico, la gravidanza rappresenta un periodo vulnerabile a causa<br />
delle ripercussioni sul sistema immun<strong>it</strong>ario dell’adattamento materno al prodotto del concepimento.<br />
Il ruolo dell’immunologo nelle gravidanze complicate da malattie autoimmuni, consiste<br />
nell’individuazione, mon<strong>it</strong>oraggio e terapia delle principali condizioni che configurano un<br />
aumento di rischio gravidico. I principali fattori di rischio in queste gravidanze sono la presenza<br />
di malattia all’esordio o in fase attiva, la presenza di anticorpi antifosfolipidi, la presenza di<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
anticorpi anti-Ro/SS-A 6 . Comp<strong>it</strong>o dell’immunologo è anche stabilire il rischio teratologico dei<br />
trattamenti farmacologici in corso e consigliarne la sospensione o la modificazione prima del<br />
concepimento.<br />
L’attiv<strong>it</strong>à e il tipo di malattia<br />
L’outcome gravidico è condizionato dal tipo di malattia autoimmune e dal grado di attiv<strong>it</strong>à<br />
della malattia. È noto che alcune malattie autoimmuni rappresentano una condizione di<br />
rischio significativo per la gravidanza (es. la sindrome da anticorpi antifosfolipidi), ed è anche<br />
noto che la gravidanza determina un peggioramento di alcune malattie autoimmuni (es. il<br />
LES) ma non interferisce o determina addir<strong>it</strong>tura un miglioramento di altre (es. l’artr<strong>it</strong>e reumatoide).<br />
Esistono alcune condizioni preesistenti alla gravidanza che possono determinare un aumento<br />
del rischio gravidico, come la presenza di ipertensione, nefropatia e trombofilia.<br />
L’ipertensione cronica complica frequentemente la gravidanza nel LES, nella sindrome da anticorpi<br />
antifosfolipidi e nelle vascul<strong>it</strong>i, ma può insorgere anche per la prima volta nel corso<br />
della gestazione.<br />
L’ipertensione compare nel 20-30% delle pazienti affette da LES, e può assumere le caratteristiche<br />
dell’ipertensione maligna nelle crisi renali della sclerodermia. Un’ipertensione gestazionale<br />
severa può avere sequele gravissime come stroke, insufficienza cardiaca, insufficienza<br />
renale, eclampsia o morte.<br />
Alla base della condizione ipertensiva esiste spesso il danno renale. Le donne con insufficienza<br />
renale da moderata a severa hanno una elevata probabil<strong>it</strong>à di sviluppare pre-eclampsia,<br />
che a sua volta può causare un peggioramento della funzional<strong>it</strong>à renale. In alcune pazienti<br />
la grav<strong>it</strong>à della condizione rende necessario il ricorso alla emodialisi in gravidanza e all’espletamento<br />
immediato del parto.<br />
Una condizione di trombofilia genetica può sovrapporsi ad una trombofilia acquis<strong>it</strong>a e<br />
creare una condizione di rischio gravissimo nelle donne affette.<br />
La riattivazione della malattia autoimmune o “flare” è un possibile effetto della gravidanza<br />
sulla malattia. Le riattivazioni possono essere di grav<strong>it</strong>à variabile, da lieve, nella maggioranza<br />
dei casi, a severa e pericolosa per la v<strong>it</strong>a. Non esiste una profilassi efficace, pertanto l’immunologo<br />
deve avvalersi di un mon<strong>it</strong>oraggio clinico intensivo e di alcuni test di laboratorio<br />
per individuare precocemente una riattivazione.<br />
Le malattie in remissione al momento del concepimento hanno un outcome migliore delle<br />
malattie in fase di attiv<strong>it</strong>à. L’attiv<strong>it</strong>à di una malattia autoimmune si stabilisce in base alla presenza<br />
o al peggioramento dei sintomi, all’impiego di cortisonici a dosaggi elevati o di farmaci<br />
immunosoppressori e in base ad alcuni dati di laboratorio.<br />
Esistono molte scale per la valutazione del grado di attiv<strong>it</strong>à delle malattie autoimmuni al<br />
di fuori della gravidanza, ma stabilire il grado di attiv<strong>it</strong>à di una malattia autoimmune in gravi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
331
332<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
danza non è altrettanto semplice, perché alcune fisiologiche modificazioni della gravidanza<br />
possono mimare forme lievi di riesacerbazione delle malattie autoimmuni, e possono lim<strong>it</strong>are<br />
la valid<strong>it</strong>à di alcuni riscontri clinici e biochimici. Pertanto l’impressione clinica globale dell’immunologo<br />
ha valore pari se non superiore a quello degli indici proposti per la valutazione<br />
dell’attiv<strong>it</strong>à delle malattie autoimmuni 7 .<br />
In Tabella II è illustrata la scala di attiv<strong>it</strong>à LAI-P (Lupus Activ<strong>it</strong>y Index- Pregnancy), una delle<br />
più utilizzate per la valutazione dell’attiv<strong>it</strong>à del LES in gravidanza. Si parla di “flare” in caso di<br />
aumento di 0.25 del punteggio 8 .<br />
Tabella II. LAI-P score<br />
Lupus Activ<strong>it</strong>y Index- Pregnancy (LAI-P) score<br />
Gruppo I: Febbre 0 1 (a) media:<br />
manifestazioni cliniche minori Rush 0 2<br />
Artr<strong>it</strong>e 0 2 3<br />
Sieros<strong>it</strong>e 0 1 2 3<br />
Gruppo 2: Neurologici 0 3 (b) massimo:<br />
manifestazioni cliniche maggiori Renali 0 2 3<br />
Polmonari 0 3<br />
Ematologici 0 1 2 3<br />
Vascul<strong>it</strong>e 0 3<br />
Mios<strong>it</strong>e 0 2<br />
Gruppo 3: Prednisone, FANS, idrossiclorochina 0 1 2 3<br />
variazioni della terapia Immunosoppressori 0 3 (c) media:<br />
Gruppo 4: Proteinuria 0 1 2 3 (d) media:<br />
dati di laboratorio Anti-dsDNA 0 1 2<br />
C3, C4 0 1 2<br />
LAI-P score= (a+b+c+d)/4<br />
Gli anticorpi antifosfolipidi<br />
Gli anticorpi antifosfolipidi sono una famiglia eterogenea di anticorpi diretti, per lo più,<br />
verso proteine che legano i fosfolipidi, che in vivo si associano a ricorrenti episodi trombotici.<br />
Questi anticorpi includono il lupus anticoagulant, gli anticorpi anticardiolipina e gli anticorpi<br />
anti beta2-glicoproteina I.<br />
La presenza di questi anticorpi cost<strong>it</strong>uisce un rischio concreto per la gravidanza indipendentemente<br />
dal contesto della malattia materna nella quale siano rilevati. Da quando questi<br />
anticorpi sono stati identificati la strategia terapeutica è di lim<strong>it</strong>arne le conseguenze contrastandone<br />
l’effetto trombofilico con l’uso di farmaci anticoagulanti o antiaggreganti 9 . L’es<strong>it</strong>o<br />
della gravidanza, prima estremamente sfavorevole, è stato completamente sovvert<strong>it</strong>o dopo<br />
l’individuazione della sindrome.<br />
Resta da stabilire quanto a questo cambiamento abbia contribu<strong>it</strong>o la farmacoterapia e<br />
quanto invece abbiano contribu<strong>it</strong>o la sorveglianza ostetrica, il timing del parto e i progressi<br />
della terapia intensiva neonatale 10 .<br />
In Tabella III sono riassunte le principali indicazioni per la ricerca di questi anticorpi.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Tabella III. Indicazioni per la ricerca degli anticorpi antifosfolipidi<br />
Aborti spontanei ricorrenti<br />
Morte fetale inspiegabile del secondo o del terzo trimestre<br />
Pre-eclampsia severa ad insorgenza < 34 settimane<br />
Trombosi venosa inspiegabile<br />
Trombosi arteriosa inspiegabile<br />
Stroke inspiegabile<br />
TIA o amaurosi fugace inspiegabile<br />
LES o altre malattie autoimmuni<br />
Tromboc<strong>it</strong>openia autoimmune<br />
Anemia emol<strong>it</strong>ica autoimmune<br />
Livedo reticularis<br />
Chorea gravidarum<br />
Falsa pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à di un test sierologico per la sifilide<br />
Inspiegabile prolungamento dei test di coagulazione<br />
IUGR severo inspiegabile<br />
Anticorpi anti Ro/SS-A<br />
Nel counselling della paziente con patologia autoimmune che vuole intraprendere una gravidanza<br />
dovrebbe essere inclusa la ricerca degli anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B. Questi<br />
anticorpi, caratteristici del LES, della Sindrome di Sjögren e della connettiv<strong>it</strong>e indifferenziata<br />
(UCTD), espongono il neonato al rischio di lupus neonatale 11 , una sindrome caratterizzata da<br />
manifestazioni trans<strong>it</strong>orie quali rush cutaneo fotosensibile, epatopatia colestatica, c<strong>it</strong>openia e<br />
della temuta manifestazione permanente del blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o.<br />
Il blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o è stato correlato alla presenza di anticorpi anti Ro/SS-A materni<br />
in base all’osservazione che la larghissima maggioranza delle madri di bambini affetti risulta<br />
pos<strong>it</strong>iva a questi anticorpi. Inoltre il periodo in cui il blocco diviene rilevabile in utero,<br />
corrispondente ad un’epoca gestazionale compresa tra le 18 e le 22 settimane, coincide con<br />
un periodo in cui comincia a verificarsi un consistente passaggio transplacentare di immunoglobuline<br />
materne. Per una paziente con malattia autoimmune anti Ro/SS-A pos<strong>it</strong>iva, il rischio<br />
di avere bimbi affetti da blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o è di circa il 5% 12 .<br />
L’antigene Ro consiste in proteine di 52 e 60 kDa. La presenza nella madre di anticorpi<br />
diretti verso la componente 52 kDa dell’antigene Ro e/o verso l’antigene La conferisce un<br />
maggior rischio di blocco cardiaco per il neonato 13 .<br />
I trattamenti farmacologici<br />
Molte malattie autoimmuni sono attive o si riattivano durante la gravidanza perciò le pazienti<br />
devono essere trattate. I dati sugli effetti dei farmaci sui bambini di donne con malattie<br />
autoimmuni sono incompleti. Per ogni farmaco si devono considerare i possibili effetti sulla<br />
progressione della gravidanza, la teratogenic<strong>it</strong>à, la tossic<strong>it</strong>à fetale/neonatale, gli effetti a lungo<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
333
334<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
termine sui bambini 14,15 . Nelle Tabelle seguenti sono illustrati i possibili rischi fetali e le controindicazioni<br />
in gravidanza ed allattamento per i principali analgesici, antireumatici ed immunosoppressori<br />
impiegati nelle malattie autoimmuni.<br />
Tabella IV. Analgesici e antinfiammatori in gravidanza<br />
Farmaco Impiego principale Possibili rischi Controindicazioni Controindicazioni<br />
nelle malattie per il feto in gravidanza nell’allattamento<br />
autoimmuni<br />
Paracetamolo Analgesico (lieve) Improbabili No No<br />
Codeina Analgesico Depressione respiratoria,<br />
sindrome da astinenza<br />
No (cautela) Cautela<br />
Aspirina Anticoagulante Rischio minimo con i bassi No No<br />
dosaggi, ma emorragia<br />
neonatale e ipertensione<br />
polmonare con gli alti dosaggi<br />
(basse dosi) (basse dosi)<br />
Ibuprofene FANS lieve per Anomalie renali Cautela in fase No (basse dosi)<br />
l’artr<strong>it</strong>e reumatoide Chiusura prematura del dotto preconcezionale,<br />
e altre artr<strong>it</strong>i arterioso, ipertensione nel primo e terzo<br />
polmonare, aborti trimestre<br />
Indometacina FANS potente Aborti, malformazioni Si (utilizzare gli steroidi Si (utilizzare gli steroidi<br />
per la spondil<strong>it</strong>e congen<strong>it</strong>e, prolungamento<br />
della gestazione,<br />
ipertensione polmonare<br />
in sost<strong>it</strong>uzione) in sost<strong>it</strong>uzione)<br />
Tabella V. Farmaci antireumatici in gravidanza<br />
Idrossiclorochina Lupus er<strong>it</strong>ematoso No, ma anomalie oculari No No<br />
sistemico<br />
(artr<strong>it</strong>e reumatoide)<br />
e auricolari con la clorochina (basse dosi) (basse dosi)<br />
Sulfasalazina Artr<strong>it</strong>e reumatoide Possibile kernicterus No No (ev<strong>it</strong>are gli alti<br />
(non confermato). Dare<br />
supplementi di acido folico<br />
per ridurre i rischi<br />
dosaggi)<br />
Sali d’oro Artr<strong>it</strong>e reumatoide Non confermati No No<br />
(basse dosi) (basse dosi)<br />
D-penicillamina Artr<strong>it</strong>e reumatoide Anomalie del tessuto connettivo Si Si<br />
Tabella VI. Farmaci immunosoppressivi in gravidanza<br />
Prednisolone Artr<strong>it</strong>e reumatoide, Labio-palatoschisi, IUGR, No, cautela con No, cautela con<br />
lupus er<strong>it</strong>ematoso iposurrenalismo, natimortal<strong>it</strong>à gli alti dosaggi gli alti dosaggi<br />
sistemico, vascul<strong>it</strong>i con dosaggi >20 mg/die<br />
Azatioprina Lupus er<strong>it</strong>ematoso Non defin<strong>it</strong>i No, cautela con Cautela, dati<br />
sistemico, artr<strong>it</strong>e<br />
reumatoide, vascul<strong>it</strong>i<br />
gli alti dosaggi confl<strong>it</strong>tuali<br />
Ciclosporina A Artr<strong>it</strong>e reumatoide, R<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a Cautela Si<br />
lupus er<strong>it</strong>ematoso (non teratogeno (dati lim<strong>it</strong>ati)<br />
sistemico, vascul<strong>it</strong>i negli animali)<br />
Metotrexate Artr<strong>it</strong>e reumatoide, Anomalie facciali Si Si<br />
lupus er<strong>it</strong>ematoso<br />
sistemico, psoriasi<br />
e scheletriche<br />
Ciclofosfamide Lupus er<strong>it</strong>ematoso Anomalie facciali, Si Si<br />
sistemico, cutanee, degli arti<br />
vascul<strong>it</strong>i e viscerali<br />
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Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
IL RUOLO DELL’OSTETRICO<br />
Il ruolo dell’ostetrico nelle gravidanze complicate da malattie autoimmuni, consiste nella<br />
prevenzione e nel trattamento delle principali complicanze gravidiche.Tali complicanze sono<br />
essenzialmente l’aborto, la morte endouterina del feto, la prematur<strong>it</strong>à, la PROM, il r<strong>it</strong>ardo di<br />
cresc<strong>it</strong>a endouterino e la pre-eclampsia 16 .<br />
È stato osservato che le gravidanze che decorrono in pazienti con lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico<br />
registrano una percentuale di aborti e morti endouterine più alta che di norma 17 .<br />
Il rischio è più elevato nelle pazienti con malattia attiva al concepimento e funzione renale<br />
compromessa, mentre le donne con malattia stabilizzata e funzione renale discretamente<br />
conservata hanno una buona prognosi riproduttiva. Il rischio di perd<strong>it</strong>a fetale è elevato anche<br />
nelle vascul<strong>it</strong>i in fase attiva.<br />
Il fattore pred<strong>it</strong>tivo più importante di perd<strong>it</strong>a fetale è però la sindrome da anticorpi antifosfolipidi.<br />
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi comporta anche un rischio aumentato di<br />
IUGR, pre-eclampsia e parto prematuro.<br />
Una significativa percentuale di aborti e soprattutto di parti pretermine sono segnalati nelle<br />
pazienti con sclerosi sistemica progressiva 18 .<br />
Le gravidanze che insorgono nelle fasi precoci e di acuzie di questa malattia, con coinvolgimento<br />
renale o cardiaco, comportano un rischio elevato e andrebbero rimandate ad una<br />
fase di stabil<strong>it</strong>à della malattia.<br />
Nella sclerodermia diffusa la percentuale di morte fetale è probabilmente del 2-5% quindi<br />
sembra opportuna una sorveglianza fetale intensiva.<br />
A differenza di altre malattie autoimmuni, l’artr<strong>it</strong>e reumatoide non richiede un mon<strong>it</strong>oraggio<br />
ostetrico intensivo, la malattia presenta addir<strong>it</strong>tura un miglioramento in gravidanza e l’outcome<br />
gravidico è favorevole nella grande maggioranza dei casi.<br />
I principali rischi fetali nelle malattie autoimmuni sono correlati all’insufficienza placentare,<br />
una condizione conseguente all’ipertensione cronica o gestazionale. Le conseguenze dell’insufficienza<br />
placentare sono correlate al ridotto rifornimento di ossigeno e nutrienti al feto, e<br />
possono determinare un r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino, distress fetale e morte endouterina.<br />
L’ostetrico che si occupa di queste gravidanze deve effettuare frequenti controlli della cresc<strong>it</strong>a<br />
e del benessere fetale attraverso valutazioni ecografiche seriate dalla 18 a -20 a settimana,<br />
flussimetria delle arterie uterine e dell’arteria ombelicale, non stress test dalla 30 a -32 a settimana.<br />
In Tabella VII sono sintetizzati i fattori di rischio nel LES per le principali complicanze gravidiche.<br />
Da questi dati si può osservare che i maggiori determinanti dell’outcome fetale in pazienti<br />
con malattia autoimmune sono il grado di attiv<strong>it</strong>à della malattia al concepimento e la<br />
presenza di anticorpi antifosfolipidi.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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336<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Tabella VII. Complicanze ostetriche e fattori di rischio nel LES<br />
Complicanza Fattori di rischio nel LES<br />
Aborto Ipertensione al concepimento<br />
Quant<strong>it</strong>à di steroidi assunti nell’anno precedente<br />
Morte endouterina del feto Numero di riesacerbazioni prima della gravidanza<br />
Parto pretermine Sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
Alto t<strong>it</strong>olo di anti-dsDNA<br />
PROM Score di attiv<strong>it</strong>à del LES nei sei mesi precedenti la gravidanza<br />
IUGR Ipertensione al concepimento<br />
Pre-eclampsia LAC<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio ostetrico intensivo è finalizzato alla determinazione del migliore timing del<br />
parto. Per pianificare il tipo di parto e per prevenire possibili complicanze è opportuno il coinvolgimento<br />
di un anestesista verso la 36 a settimana di gestazione. La paziente affetta da malattie<br />
autoimmuni rappresenta spesso una sfida anche per l’anestesista a causa delle particolari<br />
caratteristiche delle singole malattie e degli effetti collaterali delle terapie. I principali problemi<br />
sono instabil<strong>it</strong>à/anchilosi di segmenti scheletrici di interesse anestesiologico, come la colonna<br />
cervicale (importante per l’intubazione tracheale) o la colonna lombare (rilevante per<br />
l’anestesia spinale), le anomalie delle vie aeree e/o la disfunzione dello sfintere esofageo superiore<br />
(dermatomios<strong>it</strong>e) che in pazienti che vanno sottoposte ad anestesia generale possono<br />
compromettere l’intubazione tracheale e/o la ventilazione o determinare aspirazione del<br />
contenuto gastrico; disfunzioni dei sistemi cardiovascolare o respiratorio, che possono alterare<br />
la normale risposta agli anestetici o alla ventilazione meccanica; disfunzione renale; e alla fine<br />
alterazioni ematologiche dovute sia alla malattia (sindrome da anticorpi antifosfolipidi) o<br />
ai farmaci utilizzati, come acido acetilsalicilico, FANS, corticosteroidi, eparina 19 .<br />
Oggi è possibile giungere ad un outcome favorevole nella maggioranza delle malattie autoimmuni.<br />
Questo progresso è stato possibile solo attraverso un counselling attento e un mon<strong>it</strong>oraggio<br />
intensivo e soprattutto grazie alla collaborazione di tutti gli specialisti coinvolti nella<br />
gestione di queste gravidanze ad alto rischio.<br />
Lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico<br />
Il Lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune in cui tessuti e cellule sono<br />
danneggiati da autoanticorpi e immunocomplessi diretti verso uno o più componenti del<br />
nucleo cellulare.<br />
Il LES si verifica in una donna su 1000 e nel 6% dei casi coesiste un’altra malattia autoimmune,<br />
come la sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi secondaria (APS).<br />
Il lupus è molto variabile nella sua presentazione clinica, decorso e outcome. Si riscontrano<br />
frequentemente malessere, febbre, artr<strong>it</strong>e, mialgia, calo ponderale, rush cutaneo, fotosensibil<strong>it</strong>à,<br />
pleuropericard<strong>it</strong>e, anemia e disfunzioni cogn<strong>it</strong>ive. Almeno metà dei pazienti presentano<br />
coinvolgimento renale 20 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Diagnosi<br />
I cr<strong>it</strong>eri della American Rheumatism Association (1997) per la diagnosi di LES sono elencati<br />
di segu<strong>it</strong>o. La diagnosi di lupus richiede 4 o più cr<strong>it</strong>eri presenti serialmente o simultaneamente<br />
21 .<br />
Cr<strong>it</strong>eri della American Rheumatism Association (1997) per la diagnosi di LES.<br />
Rush malare<br />
Rush discoide<br />
Fotosensibil<strong>it</strong>à<br />
Ulcere orali<br />
Artr<strong>it</strong>e (non erosiva, coinvolgente 2 o più articolazioni periferiche)<br />
Sieros<strong>it</strong>e (pleur<strong>it</strong>e o pericard<strong>it</strong>e)<br />
Disordini renali (proteinuria > 0.5 g/die o cilindri)<br />
Disordini neurologici (convulsioni o psicosi sine causa)<br />
Disordini ematologici (anemia emol<strong>it</strong>ica, leucopenia o linfopenia, tromboc<strong>it</strong>openia)<br />
Disordini immunologici (anticorpi anti-dsDNA o anti-Sm,VDRL falsamente pos<strong>it</strong>iva, livelli anormali di anticorpi<br />
anticardiolipina IgM o IgG o lupus anticoagulant)<br />
Anticorpi antinucleo<br />
I test sierologici immuni impiegati nella diagnosi di LES includono gli anticorpi antinucleo<br />
(ANA), riscontrati in oltre il 90% dei casi ma non specifici per il lupus; gli anticorpi anti-DNA<br />
a doppia elica (anti-dsDNA) trovati in quasi l’80% dei casi e gli anticorpi contro antigeni nucleari<br />
estraibili (ENA) trovati in circa il 30% dei casi. Gli ANA a basso t<strong>it</strong>olo possono essere<br />
presenti in individui normali, in altre malattie autoimmuni, in infezioni virali acute ed in processi<br />
infiammatori cronici, inoltre molti farmaci possono causare una pos<strong>it</strong>ivizzazione della reazione.<br />
Gli anti-dsDNA sono specifici per il lupus e mostrano la migliore correlazione con l’attiv<strong>it</strong>à<br />
della malattia. Gli ENA (extractable nuclear antigens) sono anticorpi diretti contro un<br />
gruppo di antigeni nucleari estraibili con soluzione salina, sono dotati di bassa specific<strong>it</strong>à e non<br />
sono correlati con l’attiv<strong>it</strong>à della malattia; essi comprendono gli anticorpi anti-Ro ed anti-La (i<br />
più rilevanti dal punto di vista clinico), gli anticorpi anti-Sm e gli anticorpi anti-RNP. Gli anticorpi<br />
anti-Sm sono relativamente specifici per il lupus.<br />
In Tabella VIII sono elencati i principali anticorpi riscontrabili nel LES e le loro associazioni<br />
cliniche.<br />
Tabella VIII.<br />
Anticorpo Incidenza Associazioni cliniche<br />
ANA 98<br />
Anti-dsDNA 80 Associato a nefr<strong>it</strong>e e attiv<strong>it</strong>à clinica<br />
Anti-Sm 30 Specifico per il lupus<br />
Anti-RNP 40 Polimios<strong>it</strong>e, sclerodermia, lupus, connettiv<strong>it</strong>e mista<br />
Anti-Ro (SS-A) 30 Sindrome di Sjögren, lupus cutaneo, lupus neonatale, lupus<br />
ANA negativo, blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o<br />
Anti-La (SS-B) 10 Sindrome di Sjögren<br />
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338<br />
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Antiistone 70 Comuni nel lupus indotto da farmaci<br />
Antifosfolipidi 50 Lupus anticoagulant e anticardiolipina associati con trombosi,<br />
perd<strong>it</strong>a fetale, tromboc<strong>it</strong>openia<br />
Anti-er<strong>it</strong>roc<strong>it</strong>i 60<br />
Anti-piastrine - Tromboc<strong>it</strong>openia<br />
Complicazioni del LES in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
I principali fattori che incidono sull’outcome materno nelle gravidanze complicate dal LES<br />
sono l’attiv<strong>it</strong>à della malattia all’inizio della gravidanza, la coesistenza di altri disordini medici o<br />
ostetrici, la presenza e il t<strong>it</strong>olo degli autoanticorpi, la presenza di anticorpi antifosfolipidi e il<br />
trattamento in corso 22 .<br />
Non è ancora chiaro se la gravidanza e il puerperio predispongano alla riesacerbazione o<br />
“flare” del LES 23,24 , in letteratura sono infatti descr<strong>it</strong>te percentuali variabili tra il 15 e il 60%.<br />
Quando si verifica un “flare”, nella maggior parte dei casi si tratta di manifestazioni cutanee<br />
trattate facilmente con basse dosi di glucocorticoidi. In alcuni casi invece si tratta di riesacerbazioni<br />
gravi 25 . In Tabella IX sono riassunte tali caratteristiche.<br />
L’ipertensione si sviluppa in circa il 20-30% delle gravidanze con LES, ed è frequentemente<br />
precoce e severa. La pre-eclampsia è favor<strong>it</strong>a da una nefropatia severa, dall’ipertensione<br />
preesistente, dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi, da un trattamento con corticosteroidi<br />
ad alte dosi. La nefropatia lupica tende a peggiorare in un quarto dei casi, ed in circa il 10%<br />
dei casi questo danno renale è permanente.<br />
Esiste una forte correlazione tra sever<strong>it</strong>à dell’insufficienza renale prima del concepimento<br />
e rischio di peggioramento durante la gravidanza ed il post-partum. Le condizioni cliniche possono<br />
aggravarsi rapidamente e spesso senza avvertimenti clinici o biochimici. In alcuni casi il<br />
LES può diventare pericoloso per la v<strong>it</strong>a, a causa del coinvolgimento renale e cardiaco, della<br />
comparsa di pre-eclampsia severa e delle complicanze correlate alla sindrome da anticorpi<br />
antifosfolipidi.<br />
Tabella IX. Caratteristiche delle riesacerbazioni del LES in gravidanza<br />
Riesacerbazione lieve/moderata Riesacerbazione severa<br />
Comparsa o peggioramento della malattia cutanea Comparsa o peggioramento dei sintomi neurologici<br />
Ulcere nasofaringee Vascul<strong>it</strong>e<br />
Pleur<strong>it</strong>e Nefr<strong>it</strong>e<br />
Pericard<strong>it</strong>e Mios<strong>it</strong>e<br />
Artr<strong>it</strong>e Anemia emol<strong>it</strong>ica<br />
Febbre attribu<strong>it</strong>a al LES Tromboc<strong>it</strong>openia (< 60000/ml)<br />
Aggiunta di FANS o idrossiclorochina Aggiunta di ciclofosfamide, azatioprina, metotrexate<br />
Aumento di prednisone fino a 0.5 mg/kg/die Aumento del prednisone > 0.5 mg/kg/die<br />
Ospedalizzazione per manifestazioni correlate al LES<br />
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Complicazioni fetali e neonatali<br />
Il LES è associato ad un aumento del numero di aborti, morti fetali endouterine e parti<br />
pretermine 17 . Nelle pazienti con LES la frequenza delle perd<strong>it</strong>e fetali che includono gli aborti<br />
spontanei (prima della 10 a settimana di gestazione) e le morti endouterine del feto (dopo la<br />
10 a settimana) varia dall’11 al 24%. La perd<strong>it</strong>a della gravidanza è correlata ad attiv<strong>it</strong>à della malattia,<br />
nefropatia severa e presenza di anticorpi antifosfolipidi. L’outcome gravidico è condizionato<br />
anche dalla significativa frequenza di parti pretermine (24-59%) e di r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a<br />
intrauterino (IUGR) (12-32%). Fattori di rischio per il parto pretermine sono l’attiv<strong>it</strong>à della<br />
malattia, l’utilizzo di una terapia con prednisone a dosaggi > 20 mg/die, la malattia renale e<br />
l’ipertensione. I cortisonici aumentano anche il rischio di rottura prematura delle membrane.<br />
Fattori di rischio per IUGR sono la malattia renale, la pre-eclampsia e la sindrome da anticorpi<br />
antifosfolipidi.<br />
La presenza di anticorpi anti-Ro e, in grado minore, di anticorpi anti-La è associata con lo<br />
sviluppo di sindromi lupiche fetali o neonatali in circa il 5-10% dei bambini 26,27 . La condizione<br />
fetale e neonatale più seria è il blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o completo (CCHB) che si verifica<br />
in circa il 2% dei feti e può essere identificato in utero dalla 18 a settimana di gestazione come<br />
una bradicardia fetale persistente. Questa condizione è permanente e può risultare in insufficienza<br />
cardiaca fetale e morte endouterina. In questi casi è spesso inev<strong>it</strong>abile il parto pretermine<br />
a causa di insufficienza cardiaca fetale, e il 70% dei neonati sopravvissuti richiederà<br />
l’applicazione di un pace-maker 28 . La ricorrenza di questa condizione in una successiva gravidanza<br />
è compresa tra il 16 e il 25%, aumentando al 50% con due precedenti gravidanze affette.<br />
Altri aspetti della sindrome lupica neonatale includono rush cutaneo, tromboc<strong>it</strong>openia,<br />
epat<strong>it</strong>e colestatica, polmon<strong>it</strong>i ed emolisi. Queste condizioni raramente richiedono un trattamento<br />
e sono trans<strong>it</strong>orie, scomparendo entro alcune settimane di v<strong>it</strong>a.<br />
Donne con LES senza coinvolgimento renale, APS o anticorpi anti-Ro non hanno un rischio<br />
aumentato di complicazioni durante la gravidanza. Attualmente la gestione multidisciplinare<br />
di queste donne ha migliorato notevolmente l’outcome gestazionale: è possibile in centri<br />
specializzati raggiungere una percentuale di nati vivi superiore all’80%, di cui poco più del<br />
20% pretermine, con una percentuale di morti endouterine del 5%.<br />
Management<br />
Management prenatale: mon<strong>it</strong>oraggio della malattia materna<br />
Prima di intraprendere la gravidanza, le donne con LES dovrebbero sottoporsi ad un counselling<br />
preconcezionale per la valutazione dei rischi medici ed ostetrici della gravidanza. In questa<br />
occasione si dovrebbero valutare la funzional<strong>it</strong>à renale ed i parametri ematologici. Il pannello<br />
di test consigliati include creatininemia, proteinuria delle 24 ore, clearance della creatinina<br />
ed emocromo con formula e piastrine, inoltre si dovrebbe effettuare la ricerca degli an-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
339
340<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
ticorpi antifosfolipidi. Prima del concepimento le pazienti affette da LES devono sospendere<br />
FANS e farmaci c<strong>it</strong>otossici. Alle donne con malattia attiva viene consigliato di posticipare la<br />
gravidanza, poiché la riesacerbazione del LES è meno comune in donne che sono state in remissione<br />
o stabili con un trattamento minimo per oltre 6 mesi.<br />
Complessivamente il rischio gravidico può essere stimato valutando diversi parametri:<br />
- score di attiv<strong>it</strong>à del LES al concepimento<br />
- numero di “flare” nell’anno precedente il concepimento<br />
- nefropatia concom<strong>it</strong>ante<br />
- corticosteroidi nell’anno precedente alla gravidanza (più o meno di 50 mg/settimana)<br />
- ipertensione al momento del concepimento<br />
- coesistenza di sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
- lupus anticoagulant<br />
- anticorpi anticardiolipina<br />
- anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B<br />
- anticorpi anti-dsDNA (alto t<strong>it</strong>olo).<br />
La paziente LES gravida dovrebbe essere vis<strong>it</strong>ata ogni due settimane nel corso del primo<br />
e secondo trimestre e ogni settimana successivamente. È fondamentale la collaborazione tra<br />
ostetrico e reumatologo. Ad ogni vis<strong>it</strong>a si devono valutare segni e sintomi di attiv<strong>it</strong>à della malattia<br />
ed i valori pressori. Durante la gravidanza ed il puerperio vanno effettuate frequenti valutazioni<br />
ematologiche, poiché si possono sviluppare leucopenia, tromboc<strong>it</strong>openia ed emolisi,<br />
con test di Coombs pos<strong>it</strong>ivo. La funzional<strong>it</strong>à renale va valutata con l’esame urine standard<br />
e dosando urea ed elettrol<strong>it</strong>i sierici materni, proteinuria delle 24 ore, clearance della creatinina<br />
e rapporto albumina/creatinina urinaria. È spesso difficile distinguere nefr<strong>it</strong>e lupica e preeclampsia<br />
perché entrambe le condizioni si possono presentare con ipertensione, proteinuria,<br />
edema e tromboc<strong>it</strong>openia. La diagnosi differenziale tra nefr<strong>it</strong>e lupica e pre-eclampsia è sugger<strong>it</strong>a<br />
da parametri sierologici, come la diminuzione del complemento e l’aumento del t<strong>it</strong>olo<br />
di anti-dsDNA nel LES e il defic<strong>it</strong> di ATIII nella pre-eclampsia, da parametri ematologici, come<br />
l’anemia emol<strong>it</strong>ica Coombs pos<strong>it</strong>iva e la leucopenia nel LES e l’anemia emol<strong>it</strong>ica microangiopatica<br />
nella pre-eclampsia, da parametri urinari, come la presenza di globuli rossi e cilindri cellulari<br />
nel LES e l’ipocalciuria nella pre-eclampsia, e da parametri epatici, come la ipertransaminasemia<br />
nella pre-eclampsia.<br />
La diagnosi defin<strong>it</strong>iva di nefr<strong>it</strong>e lupica a volte è possibile solo con la biopsia renale, che però<br />
viene raramente effettuata in donne gravide. In molti casi la diagnosi è effettuata in modo<br />
retrospettivo dopo la risposta ai farmaci steroidei o dopo il parto, quando la pre-eclampsia<br />
si risolve, a differenza della nefr<strong>it</strong>e lupica. Non è chiaro quali siano gli indici laboratoristici più<br />
affidabili per identificare un peggioramento dell’attiv<strong>it</strong>à del LES. Non è dimostrata infatti l’util<strong>it</strong>à<br />
di una diminuzione dei livelli del complemento o dell’aumento del t<strong>it</strong>olo degli anticorpi<br />
anti-DNA.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
La terapia del LES include quattro categorie di farmaci: FANS, antimalarici, corticosteroidi<br />
e c<strong>it</strong>otossici. I farmaci anti-infiammatori non steroidei dovrebbero essere ev<strong>it</strong>ati in gravidanza,<br />
come anche i farmaci c<strong>it</strong>otossici come ciclofosfamide e metotrexate.<br />
I corticosteroidi sono considerati abbastanza sicuri in gravidanza. Quelli più impiegati nel<br />
trattamento del LES sono l’idrocortisone, il prednisone e il prednisolone, che attraversano sono<br />
in minima parte la placenta. Gli effetti collaterali materni dei corticosteroidi includono<br />
osteopenia, alterata tolleranza ai carboidrati, infezioni, r<strong>it</strong>enzione idrica ed ipertensione, inoltre<br />
i corticosteroidi aumentano il rischio di diabete gestazionale, pre-eclampsia, rottura prematura<br />
delle membrane e IUGR.<br />
I vantaggi degli steroidi nelle donne affette da LES superano ampiamente questi rischi. Per<br />
controllare i sintomi deve comunque essere impiegata la dose efficace più bassa. Nelle donne<br />
in trattamento con idrossiclorochina la sospensione di questo farmaco in gravidanza è controindicata<br />
perché può causare una riesacerbazione della malattia.<br />
Le riattivazioni della malattia sono in genere lievi e vanno trattate con analgesici a base di<br />
paracetamolo, corticosteroidi e idrossiclorochina. Una nefr<strong>it</strong>e lupica severa può richiedere un<br />
trattamento con azatioprina o anche ciclofosfamide a basse dosi.<br />
I dettagli sul trattamento del LES in gravidanza sono illustrati nel cap<strong>it</strong>olo “LES - complicanze<br />
severe materne: prevenzione e terapia”.<br />
Management prenatale: sorveglianza fetale<br />
A causa del rischio di insufficienza utero-placentare, l’esame ecografico del feto dovrebbe<br />
essere compiuto ogni 4-6 settimane ad iniziare dalla 18 a -20 a settimana. La cresc<strong>it</strong>a fetale va<br />
segu<strong>it</strong>a attentamente, specialmente in caso di sviluppo di ipertensione materna, per individuare<br />
precocemente l’insorgenza di IUGR. Il mon<strong>it</strong>oraggio fetale (conteggio MAF quotidiano, cardiotocografia<br />
e controllo del liquido amniotico settimanale) dovrebbe cominciare dalla 30 a -<br />
32 a settimana. Nelle pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi secondaria può essere<br />
giustificato il controllo del feto a partire dalla 24 a -25 a settimana.<br />
Alcuni Autori raccomandano lo screening degli anticorpi anti Ro/SS-A e anti La/SS-B nel<br />
LES in gravidanza. Nelle donne pos<strong>it</strong>ive per questi anticorpi si effettua un esame ecografico<br />
fetale dettagliato nel secondo trimestre con ecocardiografia fetale, e la frequenza cardiaca fetale<br />
è mon<strong>it</strong>orata strettamente nella fase tardiva della gestazione. In alcuni casi il blocco cardiaco<br />
congen<strong>it</strong>o può essere revert<strong>it</strong>o in utero attraverso la somministrazione alla madre di<br />
desametasone. È raccomandato che i feti affetti da CCHB siano segu<strong>it</strong>i in un centro di medicina<br />
fetale e il timing del parto dipenderà dal grado di compromissione cardiaca fetale.<br />
Management intrapartum<br />
Nei casi di LES non complicati, non è necessario indurre il travaglio. Nei casi con coinvolgimento<br />
renale la donna va trattata in base alla presenza di pre-eclampsia, prendendo in con-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
341
342<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
siderazione tutti i parametri materni e fetali per decidere il timing e il tipo di parto. Le donne<br />
con coesistente sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono trattate in relazione all’anamnesi<br />
ostetrica (vedere il paragrafo sulla sindrome da anticorpi antifosfolipidi). Le donne che sono<br />
state trattate con prednisolone ≥10 mg/die per tre settimane prima del parto o più a lungo,<br />
devono ricevere idrocortisone endovena in travaglio in “dosi da stress”, ad esempio idrocortisone<br />
100 mg ogni 8 ore per 3 volte durante il travaglio o un bolo di cortisone al momento<br />
del parto cesareo.<br />
Figura 1. Algor<strong>it</strong>mo per il management del lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico in gravidanza<br />
Una donna con diagnosi di lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico<br />
desidera una gravidanza<br />
Counselling preconcezionale con un ostetrico e un reumatologo: valutazione<br />
dell’attiv<strong>it</strong>à del LES (funzional<strong>it</strong>à renale e parametri ematologici) ricerca degli<br />
anticorpi antifosfolipidi sospensione dei farmaci teratogeni<br />
R<strong>it</strong>ardare la gravidanza finché il LES non è in remissione da almeno 6 mesi<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong><br />
Mon<strong>it</strong>oraggio clinico Test diagnostici<br />
Vis<strong>it</strong>e prenatali ogni 2 settimane nel primo<br />
e nel secondo trimestre, poi ogni settimana.<br />
Controllo della pressione arteriosa<br />
e dell’attiv<strong>it</strong>à della malattia<br />
Vis<strong>it</strong>a reumatologica ogni 2-4 settimane.<br />
Trattamento delle esacerbazioni del LES<br />
Esame urine, emocromo e prove<br />
di funzional<strong>it</strong>à renale ogni 2 settimane.<br />
Screening degli Ab anti Ro e anti La.<br />
Ecografia ostetrica ogni 4-6 settimane<br />
dalla 18 a -20 a settimana<br />
Valutazione del benessere fetale<br />
settimanalmente dalla 30 a -32 a settimana<br />
o prima se indicato<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Management postnatale: malattia materna<br />
Le riattivazioni post-partum sono comuni e dovrebbero essere trattate prontamente e in<br />
modo aggressivo. Non è consigliabile l’impiego di steroidi nel puerperio a scopo profilattico,<br />
poiché non prevengono le riattivazioni; invece le riattivazioni postnatali dovrebbero essere<br />
trattate come nel periodo prenatale, con alcune cautele se la madre allatta.<br />
Il prednisolone in dosi >30 mg/die è associato con soppressione della ghiandola surrenale<br />
neonatale, ed in questi casi può essere necessario sospendere l’allattamento al seno.<br />
Sebbene precedentemente esistessero preoccupazioni riguardo alla soppressione immune<br />
neonatale con l’azatioprina, evidenze crescenti sostengono che questo farmaco è sicuro durante<br />
l’allattamento.<br />
Management postnatale: sorveglianza neonatale<br />
Se il feto presenta un CCHB, il parto dovrebbe avvenire in un’un<strong>it</strong>à con il servizio di cardiologia<br />
pediatrica. Sebbene non esistano controindicazioni al parto vaginale, la cardiotocografia<br />
intrapartum non è interpretabile ed in pratica la maggior parte dei bambini nascono<br />
con taglio cesareo.Alcuni studi riportano un tasso di mortal<strong>it</strong>à neonatale del 20-30% con questa<br />
condizione, ma per quei neonati che sopravvivono l’outcome a lungo termine è generalmente<br />
buono 26,29 .<br />
Sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APS) è una condizione autoimmune caratterizzata<br />
dalla produzione di anticorpi antifosfolipidi e da una combinazione di caratteristiche cliniche<br />
che includono fenomeni trombotici arteriosi o venosi, tromboc<strong>it</strong>openia autoimmune e<br />
aborti spontanei ricorrenti del primo trimestre (tre o più) o outcome gravidico avverso 30,31 .<br />
La APS si distingue in primaria, se non si riconoscono altri disordini autoimmuni, o secondaria,<br />
se diagnosticata in soggetti con una malattia autoimmune nota.<br />
Diagnosi<br />
I cr<strong>it</strong>eri preliminari per la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi sono stati stabil<strong>it</strong>i<br />
nell’International Consensus Statement on Preliminaty Cr<strong>it</strong>eria for the Classification of the<br />
Antiphospholipid Syndrome nel 1999 30 .Tali cr<strong>it</strong>eri sono stati rivisti nel 10° International Congress<br />
on Antiphospholipid Antibodies tenutosi a Taormina nel 2002.<br />
Cr<strong>it</strong>eri per la diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
Cr<strong>it</strong>eri clinici Cr<strong>it</strong>eri laboratoristici<br />
Trombosi arteriosa o venosa Lupus anticoagulant risultato pos<strong>it</strong>ivo in due rilevazioni<br />
a 6 o più settimane di intervallo<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
343
344<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Morbil<strong>it</strong>à gravidica: Anticorpi anticardiolipina (IgG o IgM) a t<strong>it</strong>olo medio-alto,<br />
- 3 o più aborti consecutivi
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
ria retinica, la succlavia, le arterie dig<strong>it</strong>ali, e possono causare amaurosi fugace, infarto del miocardio,<br />
TIA o stroke. Complessivamente la gravidanza ed il puerperio si associano ad un rischio<br />
di trombosi del 5-12% 33,34 . Altre complicazioni della sindrome includono anemia emol<strong>it</strong>ica<br />
autoimmune, livedo reticularis, chorea gravidarum, miel<strong>it</strong>e traversa, endocard<strong>it</strong>e e valvulopatie,<br />
ulcere cutanee, danno renale, ipertensione polmonare. In donne con APS secondaria<br />
si può osservare una esacerbazione della malattia autoimmune concom<strong>it</strong>ante durante la gravidanza.<br />
Occasionalmente la APS ha un decorso fulminante con trombosi progressive e insufficienza<br />
multi-organo (“catastrophic” antiphospholipid syndrome), scatenata da infezioni, procedure<br />
chirurgiche, complicanze ostetriche o sospensione della terapia anticoagulante 35 . Questa<br />
condizione è gravata da un tasso di mortal<strong>it</strong>à di circa il 50% nonostante il trattamento.<br />
Tabella X. Manifestazioni cliniche della APS<br />
Organo/sistema Manifestazioni cliniche<br />
Arteriose Trombosi dell’aorta o dell’arteria ascellare, carotidea, epatica, ileofemorale, mesenterica,<br />
pancreatica, popl<strong>it</strong>ea, splenica<br />
Cardiache Angina, infarto del miocardio, vegetazioni valvolari, anomalie valvolari, trombi intracardiaci,<br />
endocard<strong>it</strong>e trombotica non batterica (Libman-Sacks), embolizzazione periferica<br />
o aterosclerosi<br />
Cutanee Trombofleb<strong>it</strong>e superficiale, ischemia cutanea distale, ulcere cutanee, livedo reticularis,<br />
anetoderma<br />
Endocrine Infarto o insufficienza surrenalica, necrosi o insufficienza ipofisaria<br />
Gastrointestinali Sindrome di Budd-Chiari, infarti epatici, intestinali o splenici, perforazione esofagea,<br />
col<strong>it</strong>e ischemica, pancreat<strong>it</strong>e<br />
Ematologiche Tromboc<strong>it</strong>openia, anemia emol<strong>it</strong>ica autoimmune<br />
Neurologiche TIA, accidenti cerebrovascolari (embolici o trombotici), chorea, epilessia, miel<strong>it</strong>e trasversa,<br />
emicrania, trombosi venosa cerebrale, mononeur<strong>it</strong>i multiple<br />
Ossee Osteonecrosi<br />
Ostetriche Aborto, morte endouterina del feto, IUGR, HELLP syndrome, insufficienza placentare,<br />
pre-eclampsia<br />
Oftalmologiche Trombosi dell’arteria o della vena retinica, amaurosi fugace<br />
Polmonari Embolia polmonare, ipertensione polmonare, trombosi dell’arteria polmonare,<br />
emorragia alveolare<br />
Renali Trombosi della vena o dell’arteria renale, infarto renale, ipertensione, insufficienza renale<br />
acuta o cronica, proteinuria, ematuria o sindrome nefrosica<br />
Venose Trombosi venose profonde degli arti o della vena surrenalica, epatica, mesenterica,<br />
portale, splenica o della cava inferiore<br />
Complicazioni fetali<br />
Oltre all’aborto, molti disordini ostetrici sono associati alla APS. Le gravidanze es<strong>it</strong>ate in<br />
nati vivi sono frequentemente complicate da pre-eclampsia-HELLP, IUGR, insufficienza placentare<br />
e parto pretermine. In assenza di trattamento si stima che la percentuale di gravidanze<br />
portate a termine sia modesto e si attesti intorno al 10%.<br />
L’associazione tra APS ed aborto ricorrente è chiaramente riconosciuta 36,37 ed è anche comune<br />
l’aborto del secondo trimestre. Il tasso di perd<strong>it</strong>a fetale prospettico nella APS primaria<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
345
346<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
è del 50-75%. In donne con LES ed APS secondaria alcuni studi suggeriscono una percentuale<br />
del 90%, sebbene questa sia probabilmente una stima eccessiva. È stato osservato che la<br />
APS causa aborti nel periodo fetale, mentre l’associazione con aborti pre-embionali o embrionali<br />
non è significativa. Donne con aborti embrionali possono avere t<strong>it</strong>oli bassi di anticorpi<br />
antifosfolipidi, ma non presentano generalmente le manifestazioni classiche della sindrome.<br />
In gravidanze che non es<strong>it</strong>ano in aborto o morte endouterina del feto, si osserva un’alta<br />
incidenza di pre-eclampsia spesso severa e ad insorgenza precoce 38 .Tale associazione giustifica<br />
la ricerca di anticorpi antifosfolipidi in donne con pre-eclampsia grave
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
gliorare l’outcome materno e fetale riducendo i rischi di perd<strong>it</strong>a della gravidanza, pre-eclampsia,<br />
insufficienza placentare e parto pretermine e dovrebbe ridurre o eliminare il rischio trombotico<br />
materno. Le principali opzioni terapeutiche in gravidanza includono aspirina, eparina,<br />
steroidi e warfarin 41,42.<br />
L’aspirina andrebbe iniziata in fase preconcezionale in donne con diagnosi di sindrome da<br />
anticorpi antifosfolipidi. Si discute se proporre l’aspirina in monoterapia in caso di sola pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à<br />
degli anticorpi antifosfolipidi a t<strong>it</strong>olo medio-alto, in assenza di precedenti trombotici ed<br />
ostetrici. Non è invece raccomandata alcuna terapia in donne con t<strong>it</strong>olo basso di anticorpi<br />
antifosfolipidi. Due studi randomizzati hanno confrontato l’aspirina da sola con aspirina più<br />
eparina per il trattamento dell’aborto ricorrente correlato alla APS, ed entrambi hanno riportato<br />
outcome più favorevoli con l’aspirina in combinazione con l’eparina 43,44 .<br />
L’eparina è attualmente considerata il trattamento di scelta nella APS. Di sol<strong>it</strong>o si utilizzano<br />
eparine a basso peso molecolare (LMWH), come la enoxaparina, la dalteparina e la nadroparina<br />
calcica, a causa dei minori effetti collaterali e della maggiore emiv<strong>it</strong>a. In donne con<br />
anticorpi antifosfolipidi ed una storia di aborto ricorrente, l’eparina va utilizzata ad un dosaggio<br />
profilattico. Le donne con una storia di trombosi devono effettuare terapia eparinica a<br />
dosaggio terapeutico per tutta la gravidanza ed il puerperio. Con eparina non frazionata si<br />
deve ottenere un aumento del PTT di 1.5-2.5 volte la norma, mentre con le LMWH vanno<br />
mon<strong>it</strong>orati ogni trimestre i livelli di anti-fattore Xa. Il dosaggio ottimale di eparina in donne<br />
con pregressa morte endouterina o neonatale a causa di una pre-eclampsia severa o di insufficienza<br />
placentare, ma senza precedenti tromboembolici, è controverso. Queste donne sono<br />
a rischio di malattia tromboembolica e dovrebbero ricevere una tromboprofilassi a dosaggio<br />
intermedio, sol<strong>it</strong>amente una LMWH in monosomministrazione fino alla 16 a settimana<br />
e due somministrazioni successivamente.<br />
L’eparina va iniziata dopo la conferma di un embrione v<strong>it</strong>ale (tra la 5 a e la 7 a settimana) e<br />
va continuata per 6 settimane dopo il parto. I possibili effetti collaterali dell’eparina includono<br />
sanguinamento, tromboc<strong>it</strong>openia e osteoporosi, che aumentano con l’aumentare del dosaggio.<br />
In donne che hanno episodi trombotici nonostante la tromboprofilassi eparinica, occorre<br />
anticoagulare con dosi terapeutiche di eparina o di warfarin. Il warfarin è potenzialmente<br />
teratogeno, producendo un’embriopatia caratteristica nel 2-4% dei feti, ma in casi particolari<br />
viene utilizzato dalla 14 a alla 34 a settimana di gestazione.<br />
Un altro rischio è il sanguinamento intravascolare fetale che si può verificare in qualsiasi<br />
momento della gestazione durante il periodo di somministrazione del warfarin alla madre.<br />
Sembra esistere un’incidenza di complicazioni più elevata in donne gravide che assumono >5<br />
mg/die.<br />
Nel passato sono stati utilizzati anche i corticosteroidi a dosaggi medio-alti. Donne trattate<br />
con prednisone hanno un aumentato tasso di complicanze ostetriche come rottura prematura<br />
delle membrane, parto pretermine e pre-eclampsia, ed anche di diabete gestaziona-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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348<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
le ed ipertensione. Attualmente la terapia cortisonica viene prescr<strong>it</strong>ta solo in caso di APS associata<br />
a LES o nei casi poco frequenti di tromboc<strong>it</strong>openia autoimmune. Poiché eparina e aspirina<br />
a basse dosi hanno meno effetti collaterali, sono raccomandate come terapia di prima linea<br />
in donne con APS. I trattamenti con immunoglobuline i.v. sono riservati ai casi di fallimento<br />
della terapia eparinica o all’insorgenza di complicanze come una severa tromboc<strong>it</strong>openia.<br />
Management prenatale: sorveglianza fetale<br />
A causa dell’alta incidenza di aborto in questa popolazione, è raccomandata un’ecografia<br />
precoce in gravidanza. Dopo la 17 a -20 a settimana l’esame ecografico del feto ogni 3-4 settimane<br />
consente di individuare i primi segni di r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a e oligoamnios. La flussimetria<br />
Doppler delle arterie uterine nel secondo trimestre può essere utile nell’identificazione delle<br />
donne con APS che possono sviluppare complicazioni in gravidanza. Il mon<strong>it</strong>oraggio del benessere<br />
fetale (conteggio quotidiano dei MAF, cardiotocografia e controllo del liquido amniotico<br />
settimanale) andrebbe iniziato dalla 30 a -32 a settimana o anche prima (26 a -28 a settimana)<br />
se si sospetta una condizione di insufficienza placentare. La cardiotocografia può mostrare decelerazioni<br />
spontanee già nel secondo trimestre in gravidanze complicate dalla APS. Uno stretto<br />
mon<strong>it</strong>oraggio ostetrico è fondamentale per ev<strong>it</strong>are complicanze e determinare il timing del<br />
parto.<br />
Management intrapartum<br />
Le donne con una sfavorevole anamnesi ostetrica di sol<strong>it</strong>o sono indotte a 37-38 settimane<br />
di gestazione, ma molto spesso si deve ricorrere ad un parto pretermine iatrogeno. Le<br />
donne che assumono dosi profilattiche di eparina dovrebbero interrompere il trattamento il<br />
giorno dell’induzione o all’inizio del travaglio spontaneo. Nei casi in cui la donna riceva una<br />
terapia anticoagulante a dosaggio pieno con warfarin, questo va sospeso circa 10 giorni prima<br />
del parto elettivo e va iniziata un’infusione endovenosa di eparina non frazionata o LMWH<br />
in dosi terapeutiche sottocute. Questo consente un tempo sufficiente per la clearance del<br />
warfarin sia dalla madre che dal feto. Dovrebbe essere fatto ogni tentativo per ev<strong>it</strong>are una rapida<br />
reversione della terapia anticoagulante con warfarin con v<strong>it</strong>amina K al momento del parto,<br />
poiché questo rende difficile una successiva terapia anticoagulante nel periodo postnatale,<br />
ma ciò può essere necessario in casi imprevedibili come il distacco di placenta.<br />
Management postnatale: malattia materna<br />
In donne con anamnesi di aborti ricorrenti la profilassi eparinica va prosegu<strong>it</strong>a per 3-5 giorni<br />
post-partum. In donne con pregressa morte endouterina del feto o pre-eclampsia severa<br />
e/o con un pregresso episodio trombotico, la terapia anticoagulante va prosegu<strong>it</strong>a per 6 settimane<br />
dopo il parto. La terapia anticoagulante postnatale può essere effettuata anche con il<br />
warfarin, cominciando 2-3 giorni dopo il parto per minimizzare il rischio di emorragia secon-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
daria del post-partum. Nel frattempo, dovrebbero essere usate dosi profilattiche di LMWH<br />
o eparina non frazionata. Dopo il parto le donne con APS dovrebbero effettuare una consulenza<br />
reumatologica per valutare il rischio di complicanze non ostetriche, come la trombosi<br />
e l’insorgenza di una malattia autoimmune. In donne con sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
e un pregresso episodio trombotico che ha messo a rischio la v<strong>it</strong>a, la terapia anticoagulante<br />
orale andrebbe prosegu<strong>it</strong>a per tutta la v<strong>it</strong>a, ad un dosaggio terapeutico (INR ≥ 3).<br />
Figura 2. Algor<strong>it</strong>mo per il management della sindrome da anticorpi antifosfolipidi in gravidanza (da Branch, 2003)<br />
Una donna con diagnosi di sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
desidera una gravidanza<br />
Counselling preconcezionale con un ostetrico e un reumatologo:<br />
iniziare aspirina a basse dosi<br />
Ecografia transvaginale per confermare la presenza di un embrione v<strong>it</strong>ale<br />
a 5.5-6.5 settimane gestazionali<br />
Iniziare il trattamento eparinico<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio clinico Test diagnostici<br />
Vis<strong>it</strong>e prenatali ogni 2-4 settimane fino a 20-24<br />
settimane gestazionali poi ogni 1-2 settimane.<br />
Mon<strong>it</strong>oraggio per diagnosi precoce di morte<br />
fetale, pre eclampsia e IUGR<br />
Vis<strong>it</strong>a reumatologica ogni 2-4 settimane<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
Ecografia ostetrica ogni 3-4 settimane dalla<br />
17 a -20 a settimana.<br />
Valutare cresc<strong>it</strong>a fetale e volume del liquido<br />
amniotico. Flussimetria delle arterie uterine a<br />
20-24 settimane<br />
Valutazione del benessere fetale<br />
settimanalmente dalla 30 a -32 a settimana<br />
o prima se si sospetta insufficienza placentare<br />
349
350<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Management postnatale: complicazioni neonatali<br />
Tra le complicazioni neonatali della APS, le più frequenti sono l’alta incidenza di prematur<strong>it</strong>à<br />
e restrizione della cresc<strong>it</strong>a fetale, che richiedono un’adeguata assistenza neonatale. Sono<br />
stati descr<strong>it</strong>ti rari casi di insorgenza di trombosi in neonati di madri affette da APS, specialmente<br />
trombosi arteriose nel distretto cerebrale, pertanto la ricerca di anticorpi antifosfolipidi<br />
andrebbe sempre esegu<strong>it</strong>a in neonati di madri affette. È possibile un passaggio transplacentare<br />
di anticorpi dalla madre al feto, ma non è escludibile una sintesi de novo di alcuni autoanticorpi,<br />
anche perché spesso si riscontra una discrepanza tra madre e feto nei livelli e negli<br />
idiotipi degli autoanticorpi. Sono stati anche ipotizzati disordini dello sviluppo neurologico<br />
nei neonati di madri con APS, come difficoltà dell’apprendimento, ma non è ancora chiaro se<br />
tali disturbi siano semplicemente attribuibili alla prematur<strong>it</strong>à o siano correlati alla sindrome 45 .<br />
Artr<strong>it</strong>e reumatoide<br />
L’artr<strong>it</strong>e reumatoide è una malattia infiammatoria cronica che colpisce prevalentemente<br />
le articolazioni e si manifesta soprattutto tra i 35 e i 50 anni. L’aspetto caratteristico è la sinov<strong>it</strong>e<br />
che coinvolge le articolazioni periferiche e può determinare distruzione della cartilagine,<br />
erosioni ossee e deform<strong>it</strong>à articolari. Altre manifestazioni extraarticolari sono l’astenia,<br />
la malattia pleurica, la pericard<strong>it</strong>e, i noduli sottocutanei e la fibrosi polmonare 46 .<br />
È stato osservato un effetto protettivo della gravidanza sullo sviluppo dell’artr<strong>it</strong>e reumatoide.<br />
Diagnosi<br />
In accordo con la classificazione della American Rheumatism Association del 1987 47 , per la<br />
diagnosi di AR devono essere presenti almeno 4 dei 7 cr<strong>it</strong>eri elencati in Tabella. L’artr<strong>it</strong>e deve<br />
essere presente per almeno 6 settimane.<br />
Cr<strong>it</strong>eri della American Rheumatism Association (1987) per la diagnosi di AR<br />
- Rigid<strong>it</strong>à mattutina prolungata (oltre 1 ora)<br />
- Artr<strong>it</strong>e di >3 sedi articolari<br />
- Artr<strong>it</strong>e delle articolazioni tipiche delle mani<br />
- Tumefazione simmetrica delle medesime sedi (destra e sinistra)<br />
- Noduli reumatoidi<br />
- Fattore Reumatoide (FR) serico<br />
- Alterazioni radiologiche (erosioni o decalcificazione ossea iuxta-articolare)<br />
Gli esami del sangue dimostrano spesso la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à del Fattore reumatoide (FR), anticorpi<br />
generalmente del tipo IgM diretti contro la porzione Fc delle immunoglobuline. La forma<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
IgM è presente nel 90% dei pazienti con artr<strong>it</strong>e reumatoide. IgG, IgA e IgE sono presenti nel<br />
65% dei casi.All’esordio dell’artr<strong>it</strong>e reumatoide solo la metà dei pazienti, presenta il FR, e può<br />
essere osservata pos<strong>it</strong>ivizzazione in un ulteriore 20% nel corso del primo anno di malattia. Il<br />
FR presenta elevata sensibil<strong>it</strong>à, ma scarsa specific<strong>it</strong>à per la diagnosi di artr<strong>it</strong>e reumatoide. Esiste<br />
correlazione tra una elevata concentrazione sierica del FR e sintomi sistemici, vascul<strong>it</strong>e e decorso<br />
più severo della malattia, ma l’impiego del FR nel mon<strong>it</strong>oraggio dell’attiv<strong>it</strong>à della malattia<br />
e della risposta al trattamento resta controverso.<br />
Recentemente sono stati studiati anche gli anticorpi anti-CCP (cyclic c<strong>it</strong>rullinated peptide),<br />
diretti contro residui di c<strong>it</strong>rullina. Questi anticorpi presentano una elevata specific<strong>it</strong>à (98%) e<br />
una moderata sensibil<strong>it</strong>à (68%) per l’artr<strong>it</strong>e reumatoide. La concentrazione di questi anticorpi<br />
potrebbe essere utile insieme al fattore reumatoide come marker di prognosi o sever<strong>it</strong>à<br />
della malattia 48 .<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
L’artr<strong>it</strong>e reumatoide non influenza la fertil<strong>it</strong>à. Durante la gravidanza il 70% delle pazienti<br />
riferisce un miglioramento dei sintomi che inizia già nel primo trimestre e si protrae fino al<br />
parto. Questo miglioramento consiste principalmente in una riduzione del dolore e della rigid<strong>it</strong>à<br />
articolare, ed anche i noduli reumatoidi sottocutanei possono scomparire. In alcuni casi<br />
però l’artr<strong>it</strong>e reumatoide si riacutizza nel post-partum 49 .<br />
Alcuni Autori osservano solo una modesta riduzione obiettiva dell’attiv<strong>it</strong>à dell’artr<strong>it</strong>e reumatoide<br />
in gravidanza; solo il 16% delle pazienti ha una remissione completa, mentre almeno<br />
il 25% non mostra miglioramento o presenta addir<strong>it</strong>tura un peggioramento; nel post-partum<br />
aumenta significativamente il numero delle articolazioni colp<strong>it</strong>e 50,51 .<br />
Sembra che la gravidanza influenzi poco la prognosi della malattia. Analogamente l’artr<strong>it</strong>e<br />
reumatoide non ha effetti negativi sul decorso della gravidanza.<br />
La possibil<strong>it</strong>à che l’artr<strong>it</strong>e reumatoide esordisca in gravidanza è bassa, mentre è più frequente<br />
che compaia poco dopo il parto: la gravidanza ha un “effetto protettivo” sull’insorgenza<br />
della malattia, mentre la probabil<strong>it</strong>à di insorgenza della malattia è 6 volte più elevata nei<br />
primi tre mesi post-partum 49 .<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
La percentuale di perd<strong>it</strong>a della gravidanza sembra lievemente aumentata in donne affette<br />
da artr<strong>it</strong>e reumatoide o che svilupperanno la malattia in futuro, ma questo non preclude l’es<strong>it</strong>o<br />
favorevole della gravidanza nella grande maggioranza di donne con artr<strong>it</strong>e reumatoide.<br />
Il rischio di pre-eclampsia, prematur<strong>it</strong>à e r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a fetale non sembra aumentare<br />
nell’artr<strong>it</strong>e reumatoide.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
351
352<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Management<br />
La gravidanza non comporta rischi particolari per le donne affette da artr<strong>it</strong>e reumatoide,<br />
ma la questione fondamentale in gravidanza è ottenere un buon controllo della malattia con<br />
una terapia farmacologica che riduca al minimo i rischi fetali con il più basso dosaggio terapeutico.<br />
La gravidanza andrebbe programmata nel periodo di quiescenza della malattia. Il metotrexate<br />
va sospeso almeno 6 mesi prima del concepimento.<br />
I FANS sono controindicati nel primo trimestre a causa del rischio di aborto e sono controindicati<br />
nelle ultime settimane di gravidanza per il rischio di chiusura precoce del dotto arterioso<br />
fetale.<br />
Altri farmaci possono invece essere assunti in gravidanza con una ragionevole tranquill<strong>it</strong>à<br />
(cortisone, idrossiclorochina, ciclosporina). I sali d’oro sono stati impiegati in gravidanza, ma i<br />
loro effetti sul feto sono in gran parte sconosciuti. Azatioprina e ciclofosfamide non sono comunemente<br />
impiegati in gravidanza.<br />
Nel complesso le donne gravide con artr<strong>it</strong>e reumatoide possono essere tranquillizzate<br />
sull’outcome gravidico. Ogni paziente dovrebbe sottoporsi a vis<strong>it</strong>a medica ogni 2-4 settimane<br />
per tutto il tempo della gravidanza, soprattutto se la malattia non è in remissione. Il riposo<br />
è un aspetto importante del trattamento dell’artr<strong>it</strong>e reumatoide ed anche la fisioterapia<br />
può essere utile allo scopo di mantenere una buona mobil<strong>it</strong>à articolare. Se necessario, durante<br />
la gravidanza si può ricorrere a infiltrazioni locali di steroidi. Il parto non richiede precauzioni<br />
particolari, a meno che una grave artr<strong>it</strong>e deformante non cost<strong>it</strong>uisca un impedimento<br />
meccanico al parto vaginale.<br />
Se esiste un coinvolgimento del tratto cervicale del rachide si deve porre particolare attenzione<br />
perché la gravidanza predispone al rischio di sublussazione a causa della lass<strong>it</strong>à articolare.<br />
Nelle donne con malattia di lunga data o sintomi cervicali può essere utile una radiografia<br />
della colonna cervicale a collo flesso per escludere una sublussazione, e vanno ev<strong>it</strong>ate eccessive<br />
manipolazioni del collo durante l’anestesia generale.<br />
L’interessamento dell’articolazione temporo-mandibolare e della laringe, comune anche<br />
nelle pazienti giovani, può causare difficoltà all’intubazione se si deve ricorrere all’anestesia generale.<br />
Sindrome di Sjögren<br />
La Sindrome di Sjögren è una malattia autoimmune sistemica coinvolgente le ghiandole<br />
esocrine, caratterizzata da un infiltrato linfoplasmacellulare che conduce alla perd<strong>it</strong>a progressiva<br />
della funzional<strong>it</strong>à ghiandolare 52 . Si classifica in:<br />
primaria: coinvolgimento delle ghiandole esocrine con o senza interessamento sistemico;<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
secondaria: in associazione con altre malattie autoimmuni (es. artr<strong>it</strong>e reumatoide, LES, sclerodermia,<br />
vascul<strong>it</strong>i).<br />
La prevalenza della Sindrome di Sjögren nella popolazione generale è di circa 0.3-1.5%.<br />
La malattia si manifesta più frequentemente in donne di età compresa tra i 40 e 50 anni<br />
(rapporto femmine: maschi di 9:1).<br />
Le manifestazioni cliniche all’esordio possono essere aspecifiche e comparire molti anni<br />
prima della diagnosi defin<strong>it</strong>iva. Esse consistono in: secchezza oculare, secchezza delle fauci,<br />
artralgie/artr<strong>it</strong>i, fenomeno di Raynaud (35% dei pazienti), febbre, astenia, dispareunia, interessamento<br />
polmonare e renale.<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi di sindrome di Sjögren richiede la presenza di 4 o più cr<strong>it</strong>eri dell’American-<br />
European Consensus Group 53 .<br />
Cr<strong>it</strong>eri della American-European Consensus Group Classification per la Sindrome di Sjögren<br />
I Sintomi oculari: una risposta pos<strong>it</strong>iva ad almeno una delle seguenti domande<br />
Ha una sensazione giornaliera e fastidiosa di secchezza oculare da almeno 3 mesi?<br />
Ha una sensazione ricorrente di sabbia negli occhi?<br />
Fa uso di lacrime artificiali più di tre volte al giorno?<br />
II. Sintomi orali: una risposta pos<strong>it</strong>iva ad almeno una delle seguenti domande<br />
Ha una sensazione giornaliera di secchezza orale da almeno 3 mesi?<br />
Ha avuto in età adulta episodi ricorrenti e persistenti di tumefazione delle ghiandole salivari?<br />
È costretto a bere frequentemente quando mangia cibi secchi?<br />
III. Segni oculari: evidenza di impegno oculare documentato dalla pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à di almeno uno dei seguenti test:<br />
Test di Schirmer I (4 secondo van Bijsterveld)<br />
IV. Istopatologia: un focus score >1 nelle ghiandole salivari minori:<br />
V. Impegno delle ghiandole salivari: pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à del flusso salivare non stimolato (
354<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Management<br />
Management prenatale: mon<strong>it</strong>oraggio della malattia materna<br />
La malattia di Sjögren non controindica la gravidanza. Come con il lupus e le vascul<strong>it</strong>i, è<br />
importante che la paziente continui la terapia con i farmaci appropriati come basse dosi di<br />
steroidi, idrossiclorochina e/o azatioprina, ed ev<strong>it</strong>i la gravidanza quando la malattia è attiva.<br />
Sono utili il trattamento sintomatico della secchezza oculare e orale, e la prevenzione delle<br />
complicanze attraverso una accurata igiene orale, vis<strong>it</strong>e oculistiche periodiche e l’umidificazione<br />
degli ambienti.<br />
Management prenatale: sorveglianza fetale<br />
Nella sindrome di Sjögren è raccomandano lo screening degli anticorpi anti Ro/SS-A e anti<br />
La/SS-B. Questi anticorpi possono attraversare la placenta e causare lesioni infiammatorie<br />
del cuore, della cute e di altri organi fetali. Sono associati a blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o. Questa<br />
complicanza è particolarmente frequente in pazienti con sindrome di Sjögren (1:20) per la<br />
forte associazione con antigeni HLA-DR3 e anticorpi anti-Ro 54 .<br />
È opportuno che le donne con sindrome di Sjögren eseguano controlli ecografici ostetrici<br />
ogni 2 settimane, a partire dalla 18 a settimana e che la frequenza cardiaca fetale sia mon<strong>it</strong>orata<br />
attentamente nella fase tardiva della gestazione.<br />
Il trattamento del feto con desametasone somministrato alla madre può revertire il blocco<br />
congen<strong>it</strong>o se iniziato in una fase precoce. Se il feto presenta un blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o,<br />
il parto dovrebbe avvenire in un’un<strong>it</strong>à con il servizio di cardiologia pediatrica.<br />
Sclerosi sistemica<br />
È un disordine multisistemico ad etiologia sconosciuta, caratterizzato da fibrosi della pelle,<br />
dei vasi sanguigni e degli organi interni. Si distinguono due forme 55 :<br />
- sclerosi sistemica lim<strong>it</strong>ata o sindrome CREST (calcificazioni della cute coinvolta, fenomeno<br />
di Raynaud, ipomotil<strong>it</strong>à esofagea, sclerodattilia e teleangectasia);<br />
- sclerosi sistemica diffusa (rapido sviluppo di ispessimento cutaneo simmetrico di estrem<strong>it</strong>à<br />
prossimali e distali, faccia e tronco, ad alto rischio di coinvolgimento viscerale precoce).<br />
Alcuni studi hanno dimostrato che la presenza di cellule fetali chimeriche nei tessuti materni<br />
potrebbe in segu<strong>it</strong>o predisporre alla sclerosi sistemica 56 . Comunque la persistenza di cellule<br />
fetali nella madre dopo la gravidanza (microchimerismo) non è ristretta a pazienti con la<br />
sclerosi sistemica e può essere riscontrata in individui sani.<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi di sclerodermia non presenta particolari difficoltà in presenza di un fenomeno<br />
di Raynaud associato a lesioni cutanee tipiche e ad interessamento viscerale.<br />
La manifestazioni cliniche della sclerosi sistemica sono molteplici:<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
- cutanee: edema segu<strong>it</strong>o da fibrosi cutanea, teleangectasie, calcinosi, fenomeno di Raynaud<br />
- articolari: artralgie/artr<strong>it</strong>e<br />
- gastroenteriche: ipomotil<strong>it</strong>à esofagea, ipofunzione intestinale<br />
- polmonari: fibrosi polmonare interstiziale, ipertensione polmonare, alveol<strong>it</strong>e<br />
- cardiache: pericard<strong>it</strong>e, cardiomiopatia, alterazioni della conduzione<br />
- renali: ipertensione, crisi renale/insufficienza renale<br />
Gli anticorpi ANA si riscontrano nel 95% dei pazienti, la metà presenta crioglobuline sieriche.Tra<br />
i pazienti con sclerodermia cutanea lim<strong>it</strong>ata e variante CREST sono comuni gli anticorpi<br />
anti-centromero. Il 20-40% dei pazienti possiede anticorpi anti-scl-70, diretti contro la<br />
DNA topoisomerasi I. I pazienti con questi anticorpi sono generalmente più giovani dei pazienti<br />
con anticorpi anti-centromero, e sono spesso affetti da fibrosi polmonare.<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
L’outcome della gravidanza in donne affette da sclerosi sistemica è generalmente favorevole<br />
e la fertil<strong>it</strong>à è sovrapponibile a quella della popolazione generale.<br />
La sclerosi sistemica può comparire per la prima volta in gravidanza o nel post-partum,<br />
ma sol<strong>it</strong>amente non peggiora durante la gravidanza se la condizione è stabile al momento del<br />
concepimento 57 . I sintomi della sclerodermia generalmente restano stabili o migliorano durante<br />
la gravidanza, ma possono riacutizzarsi nel post-partum.<br />
Il fenomeno di Raynaud tende a migliorare, in particolare con l’aumento della g<strong>it</strong>tata cardiaca<br />
nella seconda metà della gravidanza.Tendono invece a peggiorare o a comparire per la<br />
prima volta il reflusso gastroesofageo e la disfagia, le ar<strong>it</strong>mie cardiache, l’artr<strong>it</strong>e. Si può osservare<br />
un deterioramento delle modificazioni sclerodermiche cutanee nella sclerosi sistemica<br />
diffusa, specialmente nel post-partum.<br />
Probabilmente la gravidanza è sicura nelle pazienti senza coinvolgimento renale, cardiaco<br />
o polmonare. Le pazienti con coinvolgimento viscerale diffuso devono invece affrontare un<br />
aumentato rischio di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à.<br />
Le principali complicanze della sclerosi sistemica sono le crisi renali, caratterizzate da ipertensione<br />
maligna e insufficienza renale progressiva. Lacerazioni di Mallory-Weiss si possono<br />
verificare in donne con sclerosi sistemica con malattia esofagea e possono causare emorragie<br />
pericolose.<br />
Le principali cause di morte in gravidanza in donne affette da sclerosi sistemica sono l’ipertensione,<br />
l’insufficienza renale o le complicanze cardio-polmonari.<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
La sclerosi sistemica è stata storicamente associata con un’aumentata incidenza di aborti<br />
prima e dopo l’insorgenza della malattia, comunque dati più recenti mostrano che solo le don-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
355
356<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
ne con sclerodermia diffusa di lunga durata, spesso affette da malassorbimento o insufficienza<br />
renale, hanno un effettivo aumento della percentuale di aborti 58 . Il parto pretermine è la<br />
complicanza ostetrica più frequente (circa 30% delle gravidanze), ma fino ad oggi resta inspiegabile.<br />
Con il management attuale, l’incidenza di IUGR è solo lievemente aumentata, mentre la<br />
mortal<strong>it</strong>à perinatale è aumentata solo in pazienti con sclerosi sistemica diffusa tardiva. Come<br />
con il LES, è importante che la malattia materna sia stabilizzata prima della gravidanza al fine<br />
di ridurre i rischi di complicanze materne e fetali.<br />
Management<br />
Management prenatale: mon<strong>it</strong>oraggio della malattia materna<br />
Nelle donne affette da sclerosi sistemica il counselling preconcezionale è importante per<br />
determinare la funzional<strong>it</strong>à renale, polmonare e cardiaca. Le donne vanno inv<strong>it</strong>ate ad affrontare<br />
la gravidanza solo quando la malattia è stabile da 3-5 anni. Sfortunatamente non esiste<br />
un trattamento efficace per questa patologia. La terapia è sintomatica e diretta al danno dei<br />
singoli organi.<br />
Nella valutazione della paziente gravida si dovrebbero includere, oltre agli esami richiesti<br />
per la maggioranza delle malattie autoimmuni, anche una consulenza pneumologica e cardiologica,<br />
includendo le prove di funzional<strong>it</strong>à respiratoria e l’ecocardiografia. Il polmone è un organo<br />
bersaglio di questa malattia e in alcune pazienti la progressiva fibrosi interstiziale polmonare<br />
determina fatica respiratoria anche per sforzi modesti e può instaurarsi una cardiopatia<br />
secondaria all’ipertensione polmonare.<br />
Il rischio maggiore in gravidanza per la madre e il feto deriva però dalle crisi renali; esse si<br />
presentano con ipertensione severa ad insorgenza acuta, spesso con tromboc<strong>it</strong>openia e peggioramento<br />
quotidiano dei valori della creatinina sierica in donne con sclerodermia diffusa da<br />
meno di 5 anni 58 . Le crisi renali devono essere distinte dalla pre-eclampsia. Un aumento giornaliero<br />
della creatinina sierica e l’assenza di proteinuria negli stadi precoci fanno propendere<br />
per la crisi renale della sclerosi sistemica, mentre il peggioramento dei test di funzional<strong>it</strong>à epatica<br />
è presente solo nella pre-eclampsia. Gli ACE inib<strong>it</strong>ori che non sono consigliati in gravidanza<br />
diventano essenziali nel controllo dell’ipertensione e delle crisi renali in pazienti gravide<br />
con sclerosi sistemica 59 . A differenza della pre-eclampsia, il parto non influenza il decorso<br />
dell’ipertensione e della crisi renale.<br />
In pazienti con malattia stabile e storia di una crisi renale prima della gravidanza è possibile<br />
mantenere il controllo pressorio con nifedipina, ma se la pressione o i valori di creatininemia<br />
cominciano a peggiorare dovrebbe essere ripreso un ACE inib<strong>it</strong>ore dopo una appropriata<br />
discussione con la paziente. Con un management attento l’anamnesi di una pregressa<br />
crisi renale non è una controindicazione per future gravidanze purché la malattia sia stata sta-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
bile per 3-5 anni prima della gravidanza. La nifedipina può essere somministrata per un fenomeno<br />
di Raynaud severo in gravidanza, ma i vasodilatatori dovrebbero essere sospesi in assenza<br />
di ipertensione. I corticosteroidi possono essere utili in casi selezionati.<br />
Management prenatale: sorveglianza fetale<br />
Il possibile rischio di r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a e di morte fetale richiede controlli ecografici seriati.<br />
Alla 30 a -32 a settimana di gravidanza, o anche prima se la s<strong>it</strong>uazione lo richiede, si deve<br />
iniziare il controllo del benessere fetale.<br />
Management intrapartum<br />
La sclerosi cutanea e dei vasi sanguigni rende difficoltosi i prelievi, gli accessi venosi e le<br />
misurazioni pressorie. Le fer<strong>it</strong>e possono cost<strong>it</strong>uire un problema nelle pazienti con malattia<br />
avanzata o trattate con steroidi, perciò gli interventi chirurgici richiedono una scrupolosa attenzione.<br />
È consigliabile una consulenza anestesiologica all’inizio della gravidanza a causa dei problemi<br />
tecnici, in particolare per la difficoltà dell’intubazione endotracheale nell’anestesia generale,<br />
perché le donne affette da sclerodermia possono avere severe lim<strong>it</strong>azioni all’apertura della<br />
bocca e si può quindi riscontrare difficoltà alla visualizzazione dell’orofaringe. A causa della<br />
disfunzione esofagea aumenta anche il rischio di reflusso esofageo e sindrome da aspirazione,<br />
per cui è sempre preferibile l’anestesia epidurale. Nelle pazienti con significative manifestazioni<br />
polmonari, cardiache o renali può essere necessaria l’ammissione al reparto di terapia<br />
intensiva nell’immediato post-partum.<br />
Connettiv<strong>it</strong>e indifferenziata (UCTD)<br />
Le connettiv<strong>it</strong>i indifferenziate sono condizioni paucisintomatiche caratterizzate da manifestazioni<br />
cliniche suggestive di connettiv<strong>it</strong>i (CTD), ma non sufficienti per la diagnosi di una defin<strong>it</strong>a<br />
CTD (come sindrome di Sjögren, sclerosi sistemica, polimios<strong>it</strong>e-dermatomios<strong>it</strong>e). La<br />
UCTD può restare indifferenziata o evolvere in una CTD defin<strong>it</strong>a dopo un periodo di tempo<br />
variabile 60 . L’evoluzione è più comune nei primi 2 o 3 anni dopo l’insorgenza dei sintomi,<br />
ed è rara dopo 5 anni. L’insorgenza della UCTD sol<strong>it</strong>amente si verifica prima dei 40 anni ed<br />
è perciò relativamente comune in gravidanza 61 .<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi della malattia è fatta in base ai seguenti cr<strong>it</strong>eri: segni e sintomi di una CTD,<br />
senza soddisfare i cr<strong>it</strong>eri di classificazione esistenti per una defin<strong>it</strong>a CTD, e presenza di ANA<br />
determinata in almeno 2 occasioni 62 . La diagnosi di UCTD deve essere riconfermata ad ogni<br />
osservazione clinica durante la gravidanza.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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358<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
Le pazienti affette da UCTD generalmente hanno un buon outcome gravidico.<br />
Nel 24% delle pazienti affette da UCTD si osserva una riattivazione della malattia durante<br />
la gravidanza o il post-partum.<br />
Le manifestazioni cliniche durante le riattivazioni sono generalmente lievi: artr<strong>it</strong>e, febbre e<br />
rush cutaneo. È anche possibile che la UCTD evolva in una CTD defin<strong>it</strong>a durante la gravidanza,<br />
generalmente il LES.<br />
La principale complicanza materna della UCTD è l’ipertensione trans<strong>it</strong>oria; è stato descr<strong>it</strong>to<br />
un caso di coagulazione intravascolare disseminata nel post-partum.<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
Sono stati segnalati parto pretermine e IUGR in gravidanze complicate da UCTD. In uno<br />
studio 61 non sono descr<strong>it</strong>te complicanze neonatali; in particolare non è stato osservato nessun<br />
caso di lupus neonatale in pazienti pos<strong>it</strong>ive per anti-Ro/SS-A e anti-La/SS-B. Invece, in uno<br />
studio prospettico sul blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o completo 63 un neonato che ha sviluppato<br />
un blocco cardiaco congen<strong>it</strong>o completo è nato da una madre con UCTD pos<strong>it</strong>iva per anti-<br />
Ro/SS-A.<br />
Management<br />
Le pazienti affette da UCTD devono essere segu<strong>it</strong>e in gravidanza da un team multidisciplinare,<br />
consistente in un reumatologo e un ostetrico esperto, a causa della possibile riattivazione<br />
della malattia e/o evoluzione in una CTD defin<strong>it</strong>a, e delle possibili complicanze ostetriche<br />
e neonatali.<br />
Nel counselling preconcezionale di queste pazienti deve essere discussa la possibil<strong>it</strong>à che<br />
la gravidanza possa favorire l’evoluzione di una UCTD in una CTD defin<strong>it</strong>a.<br />
Dal momento che l’evoluzione della UCTD si verifica prevalentemente nei primi 3-5 anni<br />
dall’insorgenza della malattia, le pazienti con una durata della malattia inferiore a 5 anni devono<br />
essere avvert<strong>it</strong>e del maggior rischio di sviluppare una CTD defin<strong>it</strong>a durante o sub<strong>it</strong>o<br />
dopo la gravidanza. Le pazienti con malattia di durata superiore ai 3 anni restano generalmente<br />
stabili durante la gravidanza.<br />
Per il trattamento delle pazienti con UCTD durante la gravidanza dovrebbe essere considerato<br />
un approccio simile a quello adottato per le pazienti con LES lieve, cioè basse dosi<br />
di prednisone e/o idrossiclorochina.<br />
Le pazienti con UCTD pos<strong>it</strong>ive per Ab anti-Ro/SS-A possono avere una frequenza lievemente<br />
superiore di perd<strong>it</strong>a di gravidanza di quelle anti-Ro/SS-A negative e vanno mon<strong>it</strong>orate<br />
più attentamente.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Connettiv<strong>it</strong>e mista (MCTD)<br />
La connettiv<strong>it</strong>e mista è una malattia reumatica autoimmune caratterizzata dalla coesistenza<br />
di aspetti clinici di diverse connettivopatie come LES, sclerosi sistemica, polimios<strong>it</strong>e e artr<strong>it</strong>e<br />
reumatoide, associate con pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à agli anticorpi anti U1-RNP, sol<strong>it</strong>amente a t<strong>it</strong>olo elevato<br />
64 . Manifestazioni cliniche caratteristiche di questa malattia sono fenomeno di Raynaud, poliartr<strong>it</strong>e,<br />
tumefazione delle mani o sclerodattilia, alterazioni della funzional<strong>it</strong>à esofagea, fibrosi polmonare,<br />
miopatia infiammatoria. L’interessamento renale è presente in circa il 25% dei casi.<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Sono disponibili solo pochi studi sull’outcome di gravidanze in pazienti affette dalla MCTD<br />
e i risultati sono contradd<strong>it</strong>tori.<br />
Gli studi più vecchi mostravano un alto tasso di complicanze materne e fetali. In uno studio<br />
più recente 65 non è stato osservato nessun caso di riesacerbazione durante la gravidanza<br />
o nel post-partum e la conclusione è che i rischi di complicanze fetali e di peggioramento<br />
della malattia materna sono bassi nelle pazienti con MCTD, anche se con alto t<strong>it</strong>olo di anticorpi<br />
anti-U1-RNP.<br />
Management<br />
Poiché la MCTD ha una prognosi relativamente buona, non sono necessarie variazioni della<br />
terapia durante la gravidanza a meno che la paziente non stia assumendo un farmaco teratogeno.<br />
Le riesacerbazioni della malattia, particolarmente se con coinvolgimento renale, dovrebbero<br />
invece essere trattate aggressivamente con gli stessi farmaci e schemi posologici utilizzati<br />
nelle pazienti con LES severo.<br />
Polimios<strong>it</strong>e/dermatomios<strong>it</strong>e<br />
La polimios<strong>it</strong>e è un malattia reumatica autoimmune caratterizzata da infiammazione dei<br />
muscoli striati.<br />
Nella dermatomios<strong>it</strong>e l’infiammazione muscolare è associata a caratteristiche manifestazioni<br />
cutanee (macchie eliotrope e papule di Gottron). La malattia si manifesta con debolezza<br />
della muscolatura prossimale e dei muscoli flessori del collo, disfagia, dispnea, disturbi cardiaci<br />
(difetti di conduzione, tachiar<strong>it</strong>mie, cardiomiopatia) e sintomi sistemici come febbre, malessere,<br />
calo ponderale, artralgie e fenomeno di Raynaud. In un terzo dei casi la<br />
polimios<strong>it</strong>e/dermatomios<strong>it</strong>e (PM-DM) è associata ad un’altra malattia del tessuto connettivo,<br />
come artr<strong>it</strong>e reumatoide, LES, MCTD o sclerodermia. Circa il 15% degli adulti che sviluppano<br />
dermatomios<strong>it</strong>e ha una neoplasia maligna. La PM-DM ha due picchi di incidenza in età infantile<br />
e oltre i 45 anni, quindi le donne in età fertile sono raramente affette. Questo spiega<br />
la rar<strong>it</strong>à delle gravidanze in pazienti affette da polimios<strong>it</strong>e/dermatomios<strong>it</strong>e PM-DM.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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360<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi di polimios<strong>it</strong>e/dermatomios<strong>it</strong>e è sugger<strong>it</strong>a dalla presenza di astenia muscolare,<br />
aumento di CK ed anomalie dell’EMG. I cr<strong>it</strong>eri diagnostici secondo Bohan e Peter consistono<br />
in 66 :<br />
- aumento degli enzimi muscolari (CK, aldolasi, transaminasi, LDH)<br />
- debolezza dei muscoli prossimali<br />
- alterazioni elettromiografiche<br />
- istologia muscolare alterata<br />
- rush cutaneo caratteristico<br />
La biopsia è di sol<strong>it</strong>o necessaria per porre la diagnosi ed escludere altre miopatie. Nel 50%<br />
dei pazienti affetti da polimios<strong>it</strong>e e nel 15% di quelli con dermatomios<strong>it</strong>e sono presenti autoanticorpi<br />
anti-Jo-1. Questi anticorpi sono diretti contro una famiglia di aminoacil-tRNA sintetasi<br />
e correlano con l’attiv<strong>it</strong>à della malattia.<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
I dati disponibili su gravidanze in donne con PM-DM sono scarsi 67 . La frequenza di riattivazioni<br />
della malattia è piuttosto alta (40%) in donne gravide con insorgenza di PM-DM in<br />
età infantile, anche se in remissione da lungo tempo, invece la frequenza di riattivazioni è bassa<br />
in donne gravide con PM-DM ad insorgenza in età adulta. Sono stati segnalati fino ad oggi<br />
due casi morte materna in donne affette da PM-DM in gravidanza.<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
Le principali complicanze della PM-DM sono parto pretermine e nati-mortal<strong>it</strong>à 68 . La prognosi<br />
fetale dipende dall’età di insorgenza della PM-DM e dall’attiv<strong>it</strong>à della malattia. In donne<br />
con insorgenza della malattia in età infantile la percentuale di nasc<strong>it</strong>e a termine è di circa il<br />
70%, mentre diminuisce a circa il 50% in donne con insorgenza in età adulta prima della gravidanza.<br />
Quando la malattia è inattiva durante la gravidanza la percentuale di nati a termine è elevata<br />
e non si riscontra un aumento delle morti endouterine, mentre in pazienti con malattia<br />
attiva la probabil<strong>it</strong>à di un parto pretermine è del 50% e la probabil<strong>it</strong>à di morte endouterina<br />
del feto e IUGR è elevata.<br />
Sono stati segnalati pochi casi di insorgenza di PM-DM durante la gravidanza. La maggioranza<br />
dei casi diagnosticati nel primo trimestre sono risultati in morte endouterina del feto<br />
o mortal<strong>it</strong>à neonatale, mentre la maggioranza di quelli diagnosticati nel secondo e terzo trimestre<br />
sono risultati in nati vivi a dispetto dell’alta frequenza di parti pretermine.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Management<br />
Management prenatale: mon<strong>it</strong>oraggio della malattia materna<br />
Nelle donne affette da PM-DM si deve valutare accuratamente l’attiv<strong>it</strong>à della malattia e<br />
il coinvolgimento cardiopolmonare.<br />
In presenza di debolezza muscolare, la spirometria consente di valutare il coinvolgimento<br />
dei muscoli respiratori. L’aspirazione cronica dovuta a debolezza della muscolatura faringea<br />
può portare a defic<strong>it</strong> di diffusione polmonare, così in fase prenatale possono risultare<br />
utili l’emogasanalisi e una radiografia del torace. Un ECG è necessario per escludere anomalie<br />
della conduzione e ar<strong>it</strong>mie.<br />
Nel caso di riattivazione della PM-DM durante la gravidanza, il trattamento deve essere<br />
iniziato il prima possibile. Come in donne non gravide, il prednisone andrebbe iniziato alla<br />
dose di 1 mg/kg/die e mantenuto a questo dosaggio fino alla normalizzazione dei livelli di<br />
CK sierici. Se la risposta al prednisone è insufficiente dovrebbe essere associata ciclosporina<br />
A o azatioprina.<br />
Plasmaferesi e immunoglobuline ev. sono altre opzioni terapeutiche non controindicate<br />
in gravidanza, comunque non è stata dimostrata l’efficacia di questi due trattamenti in pazienti<br />
con PM-DM durante la gravidanza. Quando la PM-DM insorge in gravidanza, il corso<br />
della malattia è più severo e si richiede un trattamento più aggressivo, con azatioprina o ciclofosfamide.<br />
Se la mios<strong>it</strong>e è attiva al momento del parto è necessario ricorrere ad un parto<br />
assist<strong>it</strong>o.<br />
Management prenatale: sorveglianza fetale<br />
In considerazione dell’alta percentuale di r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino e di parto pretermine<br />
è necessario un mon<strong>it</strong>oraggio prenatale intensivo.<br />
Management intrapartum<br />
La PM-DM può comportare alcune problematiche anestesiologiche se non vengono considerate<br />
alcune caratteristiche della malattia. In caso di ricorso all’anestesia generale esiste<br />
un rischio significativo di reflusso esofageo e di aspirazione polmonare del contenuto gastrico<br />
a causa della debolezza della muscolatura faringea. In caso di anestesia spinale si deve<br />
prevenire una eccessiva diffusione cefalica degli anestetici che possono peggiorare ulteriormente<br />
la funzione dei muscoli intercostali.<br />
Management postnatale: sorveglianza neonatale<br />
Alti livelli sierici di creatinina chinasi (CK) sono stati riportati in due bambini nati da madri<br />
con diagnosi di PM-DM durante la gravidanza.<br />
I livelli di CK di entrambi i neonati altrimenti sani, sono rimasti elevati per alcuni mesi dopo<br />
la nasc<strong>it</strong>a 69 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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362<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Policondr<strong>it</strong>e recidivante<br />
È una patologia di tipo infiammatorio, episodica e distruttiva, che coinvolge la cartilagine<br />
e gli altri tessuti connettivi, compresi l’orecchio, le articolazioni, il naso, la laringe, la trachea,<br />
l’occhio, le valvole cardiache, il rene e i vasi sanguigni.<br />
La mortal<strong>it</strong>à a 5 anni dall’esordio può raggiungere il 30% e il decesso è generalmente<br />
dovuto o a collasso delle strutture cartilaginee di supporto della laringe e della trachea o a<br />
coinvolgimento dell’apparato cardiovascolare sotto forma di aneurismi dei grossi vasi, insufficienza<br />
valvolare o vascul<strong>it</strong>i sistemiche.<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi viene posta clinicamente se il paziente sviluppa almeno tre delle seguenti condizioni:<br />
condr<strong>it</strong>e bilaterale dell’orecchio esterno, poliartr<strong>it</strong>e infiammatoria, condr<strong>it</strong>e nasale, infiammazione<br />
oculare, condr<strong>it</strong>e del tratto respiratorio o disfunzione dell’apparato ud<strong>it</strong>ivo o<br />
vestibolare.<br />
La biopsia del tessuto cartilagineo coinvolto può confermare la diagnosi.<br />
Complicazioni e management in gravidanza<br />
I dati a disposizione su questa patologia in gravidanza sono molto scarsi 70,71 . L’evoluzione<br />
della policondr<strong>it</strong>e non risulta essere influenzata dalla gravidanza, né la gravidanza dalla policondr<strong>it</strong>e.<br />
Su 25 gravidanze sono stati osservati sette episodi acuti, per due dei quali è stato<br />
necessario un potenziamento delle dosi terapeutiche. Non sono stati osservati casi di policondr<strong>it</strong>e<br />
neonatale.<br />
I casi di lieve ent<strong>it</strong>à possono rispondere al trattamento sintomatico con aspirina, indometacina<br />
o altri FANS. I casi più gravi vengono generalmente trattati con prednisone e in rari<br />
casi si deve ricorrere ad un farmaco immunosoppressivo come metotrexate o ciclofosfamide.<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio dei segni di restringimento tracheale è importante, poiché può predisporre<br />
a infezioni o anche portare all’emergenza di un collasso tracheale, in cui può risultare necessaria<br />
una tracheostomia o uno stent.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> NELLE VASCULITI<br />
Le vascul<strong>it</strong>i sistemiche cost<strong>it</strong>uiscono un ampio gruppo di patologie polimorfe che hanno<br />
come comune denominatore la presenza di una lesione infiammatoria di un vaso, di calibro<br />
e sede variabili.<br />
La presenza di alcune caratteristiche cliniche e biologiche ha portato alla redazione di diverse<br />
classificazioni, tra cui quella dell’American College of Reumatology (ACR) 72 e la Consensus<br />
Conference di Chapell-Hill (CHCC) 73 che si basa essenzialmente su cr<strong>it</strong>eri anatomo-patologici,<br />
in particolare il calibro del vaso interessato.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Classificazione della American College of Reumatology (1990)<br />
Poliarter<strong>it</strong>e nodosa<br />
Sindrome di Churg-Strauss<br />
Granulomatosi di Wegener<br />
Vascul<strong>it</strong>i da ipersensibil<strong>it</strong>à<br />
Porpora di Schonlein-Henoch<br />
Arter<strong>it</strong>e temporale a cellule giganti<br />
Arter<strong>it</strong>e di Takayasu<br />
Classificazione della Consensus Conference di Chapell-Hill (1994)<br />
Arter<strong>it</strong>e a cellule giganti Arter<strong>it</strong>e granulomatosa dell’aorta e dei suoi rami principali<br />
con predilezione per i rami extracranici della carotide.<br />
Spesso interessa l’arteria temporale, di sol<strong>it</strong>o in soggetti di età<br />
superiore a 50 anni, spesso associata a polimialgia reumatica<br />
Arter<strong>it</strong>e di Takayasu Infiammazione granulomatosa dell’aorta e delle sue maggiori<br />
diramazioni di sol<strong>it</strong>o in pazienti di età inferiore a 50 anni<br />
Poliarter<strong>it</strong>e nodosa Infiammazione necrotizzante delle arterie di medio calibro<br />
e delle piccole arterie<br />
Malattia di Kawasaki Arter<strong>it</strong>e che insorge ab<strong>it</strong>ualmente nel bambino sotto i 5 anni di età<br />
che interessa le arterie di piccolo medio e grosso calibro, associata<br />
ad interessamento cutaneo mucoso e linfoghiandolare<br />
Granulomatosi di Wegener Infiammazione granulomatosa che interessa il tratto respiratorio<br />
con evoluzione necrotizzante che interessa le arterie di piccolo-medio<br />
calibro, i capillari e le venule; una glomerulonefr<strong>it</strong>e necrotizzante è comune<br />
Sindrome di Churg-Strauss Vascul<strong>it</strong>e granulomatosa eosinofila con infiltrati polmonari, associata ad asma<br />
ed eosinofilia<br />
Poliangi<strong>it</strong>e microscopica Vascul<strong>it</strong>e necrotizzante con assenza o modesti depos<strong>it</strong>i immuni che interessa<br />
i piccoli vasi (capillari, venule ed arteriole) ma talvolta anche le arterie di medio<br />
calibro; una glomerulonefr<strong>it</strong>e necrotizzante è molto comune, talvolta associata<br />
a capillar<strong>it</strong>e polmonare<br />
Porpora di Schonlein-Henoch Vascul<strong>it</strong>e con depos<strong>it</strong>i immuni di IgA che interessano i piccoli vasi (capillari<br />
venule ed arteriole) con tipico interessamento cutaneo, intestinale<br />
e renale con artralgie o artr<strong>it</strong>e<br />
Crioglobulinemia mista Vascul<strong>it</strong>e con depos<strong>it</strong>i immuni di crioglobuline che interessa i piccoli vasi<br />
“essenziale” (capillari, venule, arteriole) associata a presenza di crioglobulinemia;<br />
la cute ed i glomeruli sono spesso interessati<br />
Vascul<strong>it</strong>i cutanee Interessamento cutaneo isolato senza interessamento glomerulare e senza<br />
leucoc<strong>it</strong>oclastiche vascul<strong>it</strong>e sistemica<br />
La classificazione delle vascul<strong>it</strong>i continua comunque ad evolvere. Gli attuali schemi di classificazione<br />
riconoscono circa 20 forme primarie di vascul<strong>it</strong>i e diverse categorie di vascul<strong>it</strong>i secondarie,<br />
e sono in continua rielaborazione.<br />
Considerazioni importanti nella classificazione delle vascul<strong>it</strong>i sono:<br />
- aspetti epidemiologici, come la fascia di età di insorgenza (arter<strong>it</strong>e a cellule giganti oltre i<br />
50 anni, malattia di Kawasaki in bambini di meno di 5 anni);<br />
- aspetti anatomo-patologici, come il tropismo d’organo, la presenza di infiammazione granulomatosa,<br />
la deposizione di complessi immuni (nella granulomatosi di Wegener, nella sindrome<br />
di Churg-Strauss e nella poliangio<strong>it</strong>e microscopica non si r<strong>it</strong>rovano immunocom-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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364<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
plessi: questa assenza o modesta quant<strong>it</strong>à di depos<strong>it</strong>i immuni distingue le vascul<strong>it</strong>i pauciimmuni<br />
dalle vascul<strong>it</strong>i da immunocomplessi);<br />
- l’associazione di specifiche infezioni (epat<strong>it</strong>e B o epat<strong>it</strong>e C);<br />
- la presenza di autoanticorpi, come gli ANCA, anticorpi diretti contro il c<strong>it</strong>oplasma dei polimorfonucleati<br />
neutrofili. Gli ANCA sono strettamente associati con tre categorie principali<br />
di vascul<strong>it</strong>e dei piccoli vasi: granulomatosi di Wegener, poliangio<strong>it</strong>e microscopica, sindrome<br />
di Churg-Strauss. L’immunofluorescenza indiretta produce due quadri principali,<br />
ANCA c<strong>it</strong>oplasmatici ed ANCA perinucleari, e gli studi immunoistochimici dimostrano due<br />
specific<strong>it</strong>à antigeniche: antimieloperossidasi (MPO-ANCA) ed antiproteinasi 3 (PR3-AN-<br />
CA). Il 90% degli ANCA c<strong>it</strong>oplasmatici sono PR3-ANCA, mentre il 90% degli ANCA perinucleari<br />
sono MPO-ANCA. I primi sono tipici della granulomatosi di Wegener, mentre i<br />
secondi si riscontrano in pazienti con sindrome di Churg-Strauss o poliangio<strong>it</strong>e microscopica.<br />
Il test per gli ANCA, insieme con altri markers immunopatologici come depos<strong>it</strong>i vascolari<br />
di IgA e crioglobuline sieriche facil<strong>it</strong>a la diagnosi e la categorizzazione delle vascul<strong>it</strong>i dei piccoli<br />
vasi.<br />
Tabella XI. Caratteristiche diagnostiche differenziali di alcune forme di vascul<strong>it</strong>e dei piccoli vasi<br />
Caratteristiche Porpora Crioglobulinemia Poliangio<strong>it</strong>e Granulomatosi Sindrome di<br />
di Schonlein-Henoch microscopica di Wegener Churg-Strauss<br />
Segni e sintomi + + + + +<br />
di vascul<strong>it</strong>e dei piccoli vasi<br />
Immunodepos<strong>it</strong>i di IgA + - - - -<br />
Crioglobuline nel sangue - + - - -<br />
o nei vasi<br />
ANCA nel siero - - + + +<br />
Granulomi necrotizzanti - - - + +<br />
Asma ed Eosinofilia - - - - +<br />
In Letteratura esistono informazioni insufficienti riguardo la sicurezza e l’outcome della gravidanza<br />
in pazienti con vascul<strong>it</strong>i 74 . Con l’eccezione della arter<strong>it</strong>e di Takayasu e della malattia di<br />
Behcet, i dati riguardanti la gravidanza in altre vascul<strong>it</strong>i sono principalmente aneddotici. Il management<br />
di una gravidanza complicata da una vascul<strong>it</strong>e deve tenere in considerazione gli effetti<br />
della vascul<strong>it</strong>e sulla gravidanza, gli effetti della gravidanza sull’attiv<strong>it</strong>à della malattia e gli effetti<br />
collaterali dei farmaci impiegati 75 .<br />
È possibile stimare il rischio gravidico in pazienti con vascul<strong>it</strong>e attraverso:<br />
- valutazione dell’attiv<strong>it</strong>à della malattia al momento del concepimento;<br />
- valutazione degli effetti della gravidanza sull’attiv<strong>it</strong>à della vascul<strong>it</strong>e (attraverso uno studio<br />
dei dati presenti in letteratura);<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
- considerazione degli effetti fisiologici della gravidanza sulla malattia cronica (ipertensione,<br />
insufficienza renale, compromissione vascolare);<br />
- considerazione dei rischi durante il parto (pervietà delle vie aeree, circolazione sanguigna,<br />
pressione arteriosa);<br />
- valutazione del rischio di riesacerbazione nel post-partum.<br />
L’outcome materno e fetale è ottimizzato se ad interessarsi della donna è un team multidisciplinare<br />
cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da un ostetrico esperto in gestione di gravidanze a rischio e da tutti<br />
gli specialisti che hanno esperienza nei campi delle possibili complicanze.<br />
Il ruolo del team multidisciplinare è di fornire una valutazione preconcezionale, di mon<strong>it</strong>orare<br />
la progressione della gravidanza e di valutare l’attiv<strong>it</strong>à della vascul<strong>it</strong>e. Il timing e il tipo<br />
di parto devono essere pianificati in anticipo. Nel puerperio è necessaria una attenta sorveglianza<br />
delle riesacerbazioni della malattia e degli effetti neonatali dei farmaci richiesti durante<br />
la gravidanza.<br />
Pianificare il momento del concepimento garantisce una maggiore sicurezza della gravidanza.<br />
Anche se i dati disponibili sono lim<strong>it</strong>ati, sembra che l’outcome della gravidanza sia favorevole<br />
se il concepimento si verifica in una fase di remissione della patologia. La determinazione<br />
dell’attiv<strong>it</strong>à della malattia richiede una sintesi di dati, inclusa l’anamnesi e l’esame clinico,<br />
la valutazione di esami di laboratorio e le tecniche di imaging. Sono preferibili le misure<br />
meno invasive, ma se le tecniche di imaging non sono ev<strong>it</strong>abili, è obbligatoria un’appropriata<br />
schermatura.<br />
Quando la vascul<strong>it</strong>e non è in remissione, le pazienti sono a rischio di danno d’organo e<br />
anche di morte.<br />
L’impatto di una vascul<strong>it</strong>e attiva sulla gravidanza dipende dalle manifestazioni della malattia,<br />
dallo stato di salute della madre, dallo stadio della gravidanza e dai farmaci necessari per<br />
trattare la malattia. Il trattamento dovrebbe essere individualizzato in base agli organi coinvolti<br />
e alla sever<strong>it</strong>à della malattia.Tutti i farmaci immunosoppressivi usati per trattare le vascul<strong>it</strong>i<br />
sono potenzialmente tossici in gravidanza.<br />
Fattori cr<strong>it</strong>ici per l’esposizione fetale sono il dosaggio, il tipo di farmaco, la durata del trattamento<br />
e il timing durante la gravidanza. Il trattamento di malattie severe e minacciose per<br />
la v<strong>it</strong>a dovrebbe avere la precedenza e può richiedere misure pericolose per il feto.<br />
Le vascul<strong>it</strong>i autoimmuni che cost<strong>it</strong>uiscono una condizione di gravidanza a rischio sono:<br />
- Arter<strong>it</strong>e di Takayasu<br />
- Granulomatosi di Wegener<br />
- Poliarter<strong>it</strong>e nodosa<br />
- Sindrome di Churg-Strauss<br />
- Poliangio<strong>it</strong>e microscopica<br />
- Porpora di Henoch-Schönlein<br />
- Crioglobulinemia mista “essenziale”<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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366<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Arter<strong>it</strong>e di Takayasu<br />
È una vascul<strong>it</strong>e granulomatosa che colpisce i grossi vasi come l’aorta, i suoi rami principali<br />
e le arterie polmonari 73,76,77 . Di tutte le vascul<strong>it</strong>i, l’arter<strong>it</strong>e di Takayasu è quella che più frequentemente<br />
si può riscontrare in gravidanza, perché si verifica con maggiore incidenza nelle<br />
donne durante gli anni riproduttivi.<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi di arter<strong>it</strong>e di Takayasu è molto probabile in presenza di almeno tre dei 6 cr<strong>it</strong>eri<br />
stabil<strong>it</strong>i dall’American College of Rheumatology nel 1990 78 , e cioè insorgenza ad un’età ≤ 40<br />
anni, claudicatio di un’estrem<strong>it</strong>à, diminu<strong>it</strong>o polso arterioso brachiale, differenza della pressione<br />
sistolica tra le braccia maggiore di 10 mm Hg, un rumore patologico sull’arteria succlavia<br />
o sull’aorta ed evidenza arteriografica di un restringimento o un’occlusione dell’intera aorta,<br />
dei suoi rami principali, o delle grosse arterie nella zona prossimale delle estrem<strong>it</strong>à superiori<br />
o inferiori. Non sempre è possibile confermare la diagnosi con dati istologici.<br />
Il decorso della malattia può essere valutato con l’esame clinico, con gli indici di flogosi e<br />
con tecniche di imaging come l’angiografia, la RMN o l’ultrasonografia Doppler.<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
La gravidanza non sembra influenzare il decorso della malattia, infatti non è stato dimostrato<br />
un peggioramento dell’attiv<strong>it</strong>à della malattia materna durante la gravidanza 79 . I due terzi<br />
delle donne con TA sviluppano complicanze in gravidanza, principalmente ipertensione severa<br />
e pre-eclampsia, ma sono state descr<strong>it</strong>te anche ischemia cerebrale nel primo trimestre,<br />
complicanze cardiovascolari fino allo scompenso cardiaco in fase perinatale, progressione dell’insufficienza<br />
renale e sepsi post-partum 79-81 .<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
L’outcome della gravidanza è condizionato dal numero e dalla sever<strong>it</strong>à delle complicanze,<br />
come ipertensione, pre-eclampsia, insufficienza aortica e aneurismi arteriosi, e dalla precoc<strong>it</strong>à<br />
del trattamento della malattia materna. Sono stati segnalati aborti spontanei nell’8-16 %<br />
dei casi con complicanze come r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino e parto prematuro nel 40%<br />
dei casi 79,81 . È stata anche segnalata da alcuni autori un’alta incidenza di morti endouterine<br />
(21%). Non è stato invece osservato un aumento delle morti neonatali o delle anomalie congen<strong>it</strong>e<br />
80 .<br />
Management<br />
L’incidenza di complicanze in gravidanza è aumentata in donne con coinvolgimento aortico<br />
ed ipertensione, pertanto la funzional<strong>it</strong>à cardiaca dovrebbe essere valutata all’inizio della<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
gravidanza e ricontrollata durante la gestazione. È difficile misurare la pressione arteriosa quando<br />
sono interessate le arterie brachiali, la misurazione della pressione può allora essere effettuata<br />
agli arti inferiori, ad eccezione che in travaglio, quando può rivelarsi necessaria una<br />
tecnica più invasiva.<br />
L’ecografia vascolare dei tronchi sovraaortici e l’ecocardiografia (per escludere ipertrofia<br />
ventricolare, aneurismi dell’aorta ascendente e dell’arco aortico, insufficienza valvolare aortica<br />
ed ipertensione polmonare) andrebbero inclusi nella valutazione iniziale della paziente gravida.<br />
L’ipertensione dovrebbe essere trattata aggressivamente in gravidanza, con alfa-metildopa,<br />
calcio antagonisti o idralazina. Alla nasc<strong>it</strong>a è inoltre raccomandata la profilassi antibiotica<br />
contro l’endocard<strong>it</strong>e infettiva.<br />
La gravidanza dovrebbe essere sconsigliata in donne con una valvulopatia aortica severa<br />
e con aneurisma aortico, a causa del grave rischio di mortal<strong>it</strong>à materna 80 . In pazienti gravide<br />
con queste complicanze andrebbe discussa l’interruzione terapeutica della gravidanza. Gli<br />
aneurismi aortici sono a rischio di rottura e se si verificano nella porzione addominale la compressione<br />
dell’utero gravido può favorire la trombosi.<br />
Se durante la gravidanza si verifica una riattivazione della vascul<strong>it</strong>e, è raccomandato un trattamento<br />
con cortisonici a dosaggio moderato, generalmente prednisone 1 mg/kg/die fino al<br />
controllo della malattia, poi il dosaggio può essere ridotto fino alla dose efficace più bassa, generalmente<br />
10 mg/die. Gli agenti c<strong>it</strong>otossici dovrebbero essere ev<strong>it</strong>ati, ma se necessari è raccomandata<br />
la azatioprina.<br />
Il tipo di parto andrebbe discusso con la paziente durante la gravidanza. La TA è stata associata<br />
con un aumentato rischio di emorragia cerebrale intrapartum, correlata a ipertensione<br />
e precedente ischemia cerebrale. Durante il secondo stadio del travaglio la pressione materna<br />
aumenta significativamente e può essere richiesto il mon<strong>it</strong>oraggio arterioso centrale nel<br />
periodo intrapartum, specialmente in pazienti con precedente emorragia cerebrale. La ventosa<br />
potrebbe essere utile per accorciare il secondo stadio del travaglio in pazienti con ipertensione<br />
severa. In pazienti con TA con malattia estesa e in quelle in cui la terapia medica non<br />
è riusc<strong>it</strong>a a controllare la pressione, è raccomandato il taglio cesareo. In questo caso è raccomandata<br />
l’anestesia epidurale. Sono ovviamente controindicati tutti i farmaci vasocostr<strong>it</strong>tori e<br />
gli ergot-derivati.<br />
Granulomatosi di Wegener<br />
La granulomatosi di Wegener è una vascul<strong>it</strong>e necrotizzante che interessa principalmente<br />
le vie respiratorie superiori e inferiori ed il rene 82 .<br />
Il picco di incidenza della malattia è dopo i 40 anni, perciò la gravidanza è poco comune<br />
in donne con la WG. La letteratura presenta solo pochi casi di granulomatosi di Wegener in<br />
gravidanza.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Diagnosi<br />
La granulomatosi di Wegener viene diagnosticata in base a elementi clinici, sierologici e<br />
anatomopatologici caratteristici 73 . È necessaria la dimostrazione di una vascul<strong>it</strong>e granulomatosa<br />
necrotizzante (all’esame bioptico di tessuti appropriati) in pazienti con interessamento clinico<br />
delle vie respiratorie superiori ed inferiori, associato a glomerulonefr<strong>it</strong>e.<br />
La diagnosi richiede manifestazioni cliniche in almeno due di questi sistemi: apparato respiratorio,<br />
rene e sistema vascolare.<br />
La biopsia renale determina l’ent<strong>it</strong>à delle lesioni renali.Talvolta, la biopsia polmonare permette<br />
di raggiungere la diagnosi.<br />
Raggruppamenti compatti di cellule atipiche possono essere presenti nell’espettorato dei<br />
pazienti con interessamento polmonare. È opportuno ricercare sempre la presenza di c-AN-<br />
CA ed effettuare una radiografia del torace.<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
Le pazienti con malattia attiva al concepimento o con insorgenza della malattia durante la<br />
gravidanza sono ad alto rischio di outcome sfavorevole per morte materna o fetale 83-85 .La<br />
pre-eclampsia e il peggioramento della funzional<strong>it</strong>à renale sono le principali complicanze materne<br />
della WG 86 .<br />
Nella donne con malattia in remissione al momento del concepimento la riattivazione si<br />
verifica approssimativamente nel 25% dei casi, ma esistono troppo pochi report per determinare<br />
l’esatta frequenza delle riattivazioni.<br />
Il rischio di riattivazione non correla con l’iniziale sever<strong>it</strong>à della malattia, è imprevedibile e<br />
si può verificare anche dopo alcuni anni di inattiv<strong>it</strong>à. La riattivazione si può verificare anche<br />
nel post-partum o dopo aborto spontaneo o terapeutico 87 .<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
In donne gravide con WG attiva si può verificare morte del feto in una alta percentuale<br />
dei casi.<br />
L’incidenza di prematur<strong>it</strong>à è elevata tra i figli di donne con WG, particolarmente tra quelle<br />
con riattivazione della malattia durante la gravidanza 85 . Un problema importante è il rischio<br />
teratogeno dei farmaci utilizzati per il controllo della malattia.<br />
Management<br />
Nelle pazienti con granulomatosi di Wegener la gravidanza dovrebbe essere pianificata solo<br />
dopo alcuni anni dalla completa scomparsa dei segni di attiv<strong>it</strong>à della malattia.<br />
A causa dell’alta incidenza di complicanze materne e fetali, in caso di malattia diagnosticata<br />
in gravidanza può essere consigliata l’interruzione terapeutica della gravidanza. Esistono da-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
ti lim<strong>it</strong>ati riguardo al ruolo degli anticorpi c<strong>it</strong>oplasmatici antineutrofili in gravidanza, ma come<br />
in pazienti non gravide, non dovrebbero essere utilizzati nella valutazione dell’attiv<strong>it</strong>à della malattia.<br />
Più utili a questo scopo sono la PCR, le prove di funzional<strong>it</strong>à renale e il t<strong>it</strong>olo di ANCA -<br />
antiproteinasi 3. Una consulenza otorinolaringoiatrica e la radiografia del torace vanno esegu<strong>it</strong>e<br />
per valutare l’interessamento delle vie aeree superiori ed inferiori.<br />
Le donne con WG con peggioramento della funzional<strong>it</strong>à renale durante la gravidanza devono<br />
essere distinte da quelle con pre-eclampsia. Entrambe presentano proteinuria e aumento<br />
dei livelli di creatinina, ma l’ipertensione è più comune nella pre-eclampsia, mentre un sedimento<br />
urinario attivo è indicativo di WG. Le due patologie possono però coesistere. La<br />
biopsia renale può essere dirimente, e non va esclusa a priori in gravidanza data l’estrema<br />
grav<strong>it</strong>à della patologia. Il trattamento per le riattivazioni della malattia durante la gravidanza<br />
dipende dal tipo e dalla sever<strong>it</strong>à delle manifestazioni della malattia, dal s<strong>it</strong>o coinvolto e dallo<br />
stadio della gravidanza. La malattia lim<strong>it</strong>ata alle vie aeree superiori può essere trattata con terapie<br />
locali, glucocorticoidi nasali, antibiotici o glucocorticoidi orali a basse dosi.<br />
Malattie sistemiche richiedono una terapia più aggressiva. Le pazienti trattate con un’associazione<br />
di corticosteroidi (prednisone orale ad alte dosi o in alternativa pulse di metilprednisolone<br />
i.v.) e farmaci immunosoppressori hanno un outcome gravidico migliore di donne<br />
trattate con soli corticosteroidi 85 .<br />
È importante che il ricorso agli immunosoppressori non sia r<strong>it</strong>ardato, poiché l’outcome<br />
della gravidanza è sfavorevole in caso di undertreatment. L’azatioprina è l’immunosoppressore<br />
più sicuro, ma sol<strong>it</strong>amente non induce remissione. La ciclofosfamide è un noto teratogeno,<br />
anche se alcuni report non segnalano danni fetali se utilizzata nel secondo e terzo trimestre.<br />
Il metotrexate non ha un ruolo terapeutico in gravidanza a causa dell’effetto antifolati.<br />
Sono state anche utilizzate immunoglobuline endovena o l’associazione di plasmaferesi e immunoglobuline<br />
i.v. in aggiunta a steroidi e azatioprina.<br />
Una stenosi sottoglottide nelle donne gravide può complicare il parto e richiede cure specializzate.<br />
La stenosi sottoglottide non risponde favorevolmente al trattamento medico e la<br />
dilatazione broncoscopica non è consigliabile in gravidanza, pertanto un otorinolaringoiatra<br />
dovrebbe essere consultato sulla necess<strong>it</strong>à di ricorrere alla tracheotomia per proteggere le<br />
vie aeree.<br />
Poliarter<strong>it</strong>e nodosa (Panarter<strong>it</strong>e nodosa)<br />
La poliarter<strong>it</strong>e nodosa è una vascul<strong>it</strong>e necrotizzante e progressiva che interessa le arterie<br />
muscolari di medio e piccolo calibro di rene, fegato, tratto gastroenterico, nervi periferici, cute<br />
e cuore. È caratterizzata clinicamente da febbre, perd<strong>it</strong>a di peso, artralgie, mialgia, neuropatia,<br />
disordini gastrointestinali, ipertensione e nefropatia 88 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
369
370<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Esistono pochi dati in letteratura di gravidanze complicate da PAN 89 . In alcuni casi l’interpretazione<br />
è complicata dalla presenza di epat<strong>it</strong>e B e dalla inclusione di pazienti che ora sarebbero<br />
considerate affette da poliangi<strong>it</strong>e microscopica.<br />
Diagnosi<br />
La poliarter<strong>it</strong>e nodosa deve essere considerata come possibile diagnosi, qualora siano presenti<br />
febbre inspiegabile, dolore addominale, insufficienza renale e ipertensione o quando un<br />
paziente con nefr<strong>it</strong>e o un disturbo cardiaco ha sintomi inspiegabili, quali artralgia, dolore e<br />
astenia muscolari, noduli sottocutanei, eruzioni cutanee tipo porpora, dolori addominali o degli<br />
arti e ipertensione acuta.<br />
Un terzo dei pazienti mostra pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à per HBsAg o HBsAb.<br />
La diagnosi defin<strong>it</strong>iva è possibile con una biopsia degli organi coinvolti con la dimostrazione<br />
angiografica di tipici aneurismi a carico dei vasi di medio calibro.<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
La prognosi materna e fetale dipende dall’attiv<strong>it</strong>à della PAN e dall’esistenza di patologia<br />
renale. Non sembra che la gravidanza favorisca la ripresa evolutiva della PAN e la PAN in remissione<br />
non sembra influenzare la gravidanza se non per i suoi postumi renali. La mortal<strong>it</strong>à<br />
materna è elevata se il concepimento si verifica in una fase di attiv<strong>it</strong>à della malattia, poiché si<br />
possono sviluppare manifestazioni sistemiche ingravescenti.<br />
In donne con diagnosi di PAN effettuata in gravidanza avanzata o nell’immediato post-partum,<br />
è stato osservato un outcome sfavorevole, con elevata mortal<strong>it</strong>à materna per uremia,<br />
emorragia gastrointestinale, coma o insufficienza respiratoria. In donne con diagnosi di PAN<br />
precedente alla gravidanza e che concepiscono durante la fase di remissione, l’outcome è favorevole,<br />
con il 100% di sopravvivenza materna, rare riattivazioni della malattia e nessuna riattivazione<br />
nel post-partum.<br />
Le riattivazioni in gravidanza sono caratterizzate da aggravamento dell’ipertensione arteriosa<br />
e dell’insufficienza renale.<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
La PAN in remissione porta alla nasc<strong>it</strong>a di neonati sani, anche se spesso pretermine e di<br />
basso peso. La riattivazione della PAN in gravidanza si può associare a morte fetale. L’esame<br />
istologico della placenta dimostra infarti placentari e una franca vascul<strong>it</strong>e.<br />
Management<br />
In donne con diagnosi di PAN effettuata durante la gravidanza può essere presa in consi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
derazione l’interruzione terapeutica della gravidanza a causa dell’elevato rischio di morte materna.<br />
Purtroppo il trattamento di questa vascul<strong>it</strong>e è in gran parte inefficace, ed anche con<br />
corticosteroidi ad alte dosi e trattamento immunosoppressivo, quasi la metà delle pazienti<br />
muore entro un anno dalla diagnosi. Il peggioramento di una PAN non severa in gravidanza<br />
può essere trattato efficacemente con soli glucocorticoidi. Casi di malattia che mettono a rischio<br />
la v<strong>it</strong>a, particolarmente quando caratterizzati da infarto intestinale, malattia del sistema<br />
nervoso centrale o cardiopatia richiedono corticosteroidi ad alto dosaggio con l’aggiunta di<br />
ciclofosfamide. Esistono segnalazioni di PAN cutanea in neonati di madri affette 90 .<br />
Sindrome di Churg-Strauss<br />
La sindrome di Churg-Strauss è una vascul<strong>it</strong>e granulomatosa che interessa in particolare<br />
il polmone; è caratterizzata da asma, rin<strong>it</strong>e allergica, eosinofilia periferica, infiltrati tessutali eosinofili<br />
91 . La fase vascul<strong>it</strong>ica di sol<strong>it</strong>o si sviluppa entro tre anni dall’inizio dell’asma.<br />
Diagnosi<br />
Secondo la American Rheumatism Association (1990), la diagnosi di sindrome di Churg-<br />
Strauss (CSS) richiede almeno 4 cr<strong>it</strong>eri tra i seguenti 92 : asma, eosinofilia > 10%, infiltrati polmonari,<br />
mono o polineuropatia, anormal<strong>it</strong>à dei seni paranasali, infiltrato eosinofilo extravascolare<br />
alla biopsia. A questi cr<strong>it</strong>eri andrebbe aggiunta la presenza di una vascul<strong>it</strong>e sistemica interessante<br />
due o più organi 93 . In oltre la metà dei pazienti sono inoltre presenti p-ANCA (MPO-<br />
ANCA).<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Complicazioni materne<br />
La riattivazione della CSS si verifica nel 50% delle donne che concepiscono mentre la malattia<br />
è in remissione 87 . Durante la riattivazione, le manifestazioni prevalenti sono il peggioramento<br />
dell’asma, la comparsa di rush cutaneo e di mononeur<strong>it</strong>i multiple 94,95 . La riattivazione<br />
della CSS si può verificare anche nel post-partum. La CSS diagnosticata in gravidanza è associata<br />
ad una prognosi sfavorevole. Le cause di morte materna sono correlate ad arresto cardiaco<br />
e cardiomiopatia.<br />
Complicazioni fetali e neonatali<br />
Su otto casi di CSS in remissione in gravidanza, sette gravidanze hanno portato alla nasc<strong>it</strong>a<br />
di neonati sani, una è es<strong>it</strong>ata in morte endouterina. L’incidenza di parto pretermine è elevata<br />
in caso di CSS diagnosticata durante la gravidanza o durante le riattivazioni della CSS in<br />
gravidanza 94-96 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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372<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
Management<br />
La prognosi materna e fetale dipende dall’attiv<strong>it</strong>à della malattia all’inizio della gravidanza e<br />
in particolare dalla presenza di una patologia viscerale grave. Rispetto ad altre vascul<strong>it</strong>i, la sindrome<br />
di Churg-Strauss interessa meno frequentemente e meno severamente il rene, ma causa<br />
più spesso neuropatia e cardiomiopatia, per cui vanno mon<strong>it</strong>orate le manifestazioni neurologiche<br />
e soprattutto cardiovascolari in gravidanza.<br />
Il trattamento della CSS durante la gravidanza consiste generalmente in corticosteroidi a<br />
cui può essere aggiunta azatioprina. Le pazienti con CSS dovrebbero essere sorvegliate per<br />
il possibile peggioramento del broncospasmo che può essere trattato con glucocorticoidi ad<br />
alto dosaggio.<br />
Un caso fulminante è stato trattato con successo con steroidi e ciclofosfamide nel terzo<br />
trimestre. In casi selezionati può essere presa in considerazione l’interruzione terapeutica della<br />
gravidanza.<br />
Poliangio<strong>it</strong>e microscopica<br />
La poliangio<strong>it</strong>e microscopica è una vascul<strong>it</strong>e sistemica necrotizzante dei vasi di piccolo calibro<br />
che interessa il glomerulo renale e i polmoni 73 . Presenta lo stesso spettro di manifestazioni<br />
della granulomatosi di Wegener, ma non vi è infiammazione granulomatosa. Inizialmente<br />
è stata considerata una varietà di poliarter<strong>it</strong>e nodosa da cui può essere difficile distinguere.<br />
A differenza della PAN, però, la maggior parte delle donne con poliangio<strong>it</strong>e microscopica sviluppano<br />
una nefropatia severa ed emorragie polmonari.<br />
Diagnosi<br />
L’esame istologico rivela una arter<strong>it</strong>e necrotizzante che è istologicamente identica a quella<br />
causata dalla poliarter<strong>it</strong>e nodosa. Con l’approccio propugnato dalla Consensus Conference<br />
di Chapel Hill, la poliarter<strong>it</strong>e nodosa e la poliangio<strong>it</strong>e microscopica sono patologicamente distinte<br />
dalla assenza di vascul<strong>it</strong>e in vasi diversi dalle arterie nella poliarter<strong>it</strong>e nodosa e dalla<br />
presenza di vascul<strong>it</strong>e in vasi più piccoli (arteriole, venule, capillari) nella poliangio<strong>it</strong>e microscopica.<br />
Oltre l’80 % dei pazienti sono pos<strong>it</strong>ivi per gli ANCA, generalmente con pattern perinucleare<br />
(MPO-ANCA). La pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à degli ANCA e la negativ<strong>it</strong>à dei test sierologici per l’epat<strong>it</strong>e<br />
B aiuta nella diagnosi differenziale con la poliarter<strong>it</strong>e nodosa.<br />
Complicazioni e management in gravidanza<br />
In Letteratura sono descr<strong>it</strong>ti solo pochi casi di donne con poliangio<strong>it</strong>e microscopica in gravidanza<br />
97,98 . La malattia può esordire con una emorragia polmonare e una glomerulonefr<strong>it</strong>e<br />
necrotizzante, pos<strong>it</strong>iva per pANCA e negativa per ANA e anticorpi antimembrana basale (anti-GBM).<br />
La poliangio<strong>it</strong>e microscopica può presentarsi anche con dispnea ed emottisi in gra-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
vidanza. L’insorgenza asintomatica, la pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à dell’esame urine per proteine ed emazie e il<br />
quadro radiologico polmonare, diffuso piuttosto che focale, aiutano nella diagnosi differenziale<br />
con la causa più frequente di emottisi in gravidanza, che è l’embolia polmonare. A volte,<br />
per giungere ad una diagnosi, è necessario ricorrere alla biopsia renale in gravidanza.<br />
Il mon<strong>it</strong>oraggio della malattia è possibile con le prove di funzional<strong>it</strong>à renale, il controllo del<br />
t<strong>it</strong>olo di pANCA, la PCR e l’esame clinico.<br />
La poliangio<strong>it</strong>e microscopica che causa un grave danno d’organo deve essere trattata con<br />
una combinazione di corticosteroidi ed agenti c<strong>it</strong>otossici. La capillar<strong>it</strong>e alveolare con emorragia<br />
polmonare è una complicanza pericolosa per la v<strong>it</strong>a e deve essere prontamente trattata<br />
con terapia combinata ed eventualmente con la plasmaferesi. La glomerulonefr<strong>it</strong>e è sol<strong>it</strong>amente<br />
a rapida progressione e va trattata con alte dosi di steroidi (metilprednisolone 1 g/die<br />
per tre giorni) associati a ciclofosfamide, che inducono la remissione in circa l’80% delle pazienti.<br />
La ciclofosfamide può essere somministrata in boli mensili, e sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a dopo 3 mesi con<br />
azatioprina. Successivamente il controllo della malattia si può mantenere con prednisone orale.<br />
Il più grande fattore di rischio per una sfavorevole evoluzione della malattia renale è l’inizio<br />
tardivo del trattamento, quando l’insufficienza renale si è già manifestata.<br />
È possibile che, come per la PAN o altre vascul<strong>it</strong>i, le pazienti con diagnosi di poliangio<strong>it</strong>e<br />
microscopica precedente alla gravidanza abbiano un outcome migliore, senza necess<strong>it</strong>à di ricorrere<br />
a trattamenti aggressivi che possono aumentare il rischio di morte materna e fetale.<br />
Porpora di Henoch-Schönlein<br />
La porpora di Henoch-Schönlein è una vascul<strong>it</strong>e sistemica mediata dal depos<strong>it</strong>o di IgA, che<br />
interessa i vasi di piccolo calibro 93 . La porpora vascolare è sol<strong>it</strong>amente confinata agli arti inferiori<br />
ed è associata a coinvolgimento articolare, gastrointestinale e renale di grado variabile.<br />
Diagnosi<br />
Nel 1990, l’American College of Rheumatology 99 ha defin<strong>it</strong>o i cr<strong>it</strong>eri per la diagnosi di porpora<br />
di Henoch-Schönlein. Per porre la diagnosi occorrono almeno 2 dei seguenti cr<strong>it</strong>eri: età<br />
di insorgenza della malattia ≤ 20 anni, porpora palpabile, dolore addominale acuto, infiltrazione<br />
granuloc<strong>it</strong>aria nella parete di arteriole e venule. Marker della porpora di Henoch-Schönlein<br />
sono i depos<strong>it</strong>i vascolari di IgA 73 .<br />
Complicazioni in gravidanza<br />
Non esistono molti dati sulla porpora di Henoch-Schönlein in gravidanza 100,101 . Questa malattia<br />
può essere scatenata o esacerbata da numerosi disordini, tra cui le malattie infiammatorie<br />
croniche intestinali, alcune infezioni batteriche e le infezioni virali da HBV, HCV o HIV.<br />
Gli effetti della gravidanza sul decorso di una porpora di Henoch-Schönlein preesistente<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
373
374<br />
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
devono essere chiar<strong>it</strong>i, infatti in alcuni casi è stato descr<strong>it</strong>to un aggravamento della malattia,<br />
in altri un miglioramento o anche una scomparsa dei sintomi. Nelle pazienti con anamnesi di<br />
porpora di Henoch-Schönlein in età pediatrica si può verificare la riattivazione della malattia.<br />
Le complicanze ostetriche più importanti sono l’insorgenza di ipertensione e delle sue possibili<br />
conseguenze (pre-eclampsia, eclampsia) e la progressione del danno renale. Se i reni non<br />
sono interessati dalla malattia la prognosi ostetrica è buona. La percentuale di abortiv<strong>it</strong>à e<br />
prematur<strong>it</strong>à non sembra significativamente aumentata.<br />
L’insorgenza della malattia in gravidanza è molto rara, la sintomatologia non è caratteristica<br />
e la diagnosi può essere difficile senza l’effettuazione di una biopsia della cute interessata.<br />
Quando il coinvolgimento renale, articolare e gastrointestinale precede le manifestazioni cutanee,<br />
molti aspetti della malattia, come ipertensione, sindrome nefrosica, dolore addominale,<br />
cefalea e convulsioni, possono mimare la pre-eclampsia o l’eclampsia. In letteratura sono<br />
descr<strong>it</strong>ti solo pochi casi, di cui oltre il 50% ha un outcome sfavorevole con nefropatia importante,<br />
eclampsia, aborti spontanei o morte fetale.<br />
Management<br />
L’ipertensione e l’insufficienza renale progressiva possono complicare la gravidanza e pertanto<br />
vanno mon<strong>it</strong>orate attentamente. Il ruolo dei corticosteroidi nel trattamento della malattia<br />
è controverso, infatti questi farmaci non sembrano modificare il decorso della malattia<br />
cutanea, anche se sono stati dimostrati effetti benefici in caso di malattia ulcerativa o estesa,<br />
mentre modificano il decorso della artr<strong>it</strong>e e dei disturbi gastrointestinali ed hanno un effetto<br />
protettivo sulla nefr<strong>it</strong>e. Il trattamento con corticosteroidi va pertanto riservato alle forme severe<br />
di porpora di Henoch-Schönlein con coinvolgimento articolare o gastrointestinale, in cui<br />
può rapidamente migliorare il decorso della malattia. Nei casi più gravi si può ricorrere alla<br />
plasmaferesi.<br />
Crioglobulinemia mista “essenziale”<br />
È una malattia da immunocomplessi caratterizzata da porpora, astenia ed artralgie, dal fenomeno<br />
di Raynaud e da patologie d’organo quali la nefropatia e la neuropatia periferica. Il<br />
quadro sintomatologico è assai variabile, potendo palesarsi con fenomeni attenuati o manifestazioni<br />
cliniche severe, come la glomerulonefr<strong>it</strong>e rapidamente progressiva e la vascul<strong>it</strong>e sistemica<br />
102 . La vascul<strong>it</strong>e è provocata dal depos<strong>it</strong>o di crioglobuline miste nelle pareti vascolari,<br />
che causa un’infiammazione acuta. Nella maggior parte dei pazienti si osserva l’associazione<br />
con un’infezione da HCV.<br />
Diagnosi<br />
La diagnosi deriva dal riscontro delle crioglobuline, un gruppo di immunoglobuline carat-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione clinica della gravida con patologia autoimmune<br />
terizzate dalla proprietà di precip<strong>it</strong>are reversibilmente a temperatura inferiore a 37°C. Le crioglobuline<br />
sono classificate in tre sottogruppi:<br />
- Crioglobuline di tipo I, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e da una sola immunoglobulina monoclonale, tipiche del<br />
mieloma multiplo, nella macroglobulinemia di Waldenström ed altre affezioni mielodisplastiche<br />
/ linfoproliferative;<br />
- Crioglobuline di tipo II e di tipo III, cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>e da due diverse immunoglobuline: una policlonale<br />
(sol<strong>it</strong>amente IgG) e l’altra monoclonale (generalmente IgM) con attiv<strong>it</strong>à di fattore<br />
reumatoide (FR) nel tipo II ed entrambe policlonali, di cui una (sol<strong>it</strong>amente IgM) con attiv<strong>it</strong>à<br />
di FR nel tipo III. Le crioglobuline di tipo II e III possono comparire nel corso di malattie<br />
infettive o autoimmuni oppure rappresentare un’ent<strong>it</strong>à distinta, non associata a fattori<br />
causali evidenti, denominata “crioglobulinemia mista essenziale”.<br />
La dimostrazione di immunocomplessi circolanti nel sangue si associa alla presenza di livelli<br />
molto bassi di C4 con C3 normale o appena ridotto nel 90% dei pazienti.<br />
Complicazioni e management in gravidanza<br />
In gravidanza è possibile un aggravamento del danno renale, con aumento dei valori di<br />
creatininemia, comparsa di sindrome nefr<strong>it</strong>ica acuta o sindrome nefrosica e progressione verso<br />
l’insufficienza renale cronica 103 .<br />
Se la malattia è modesta, con porpora ed artralgie, è sufficiente un trattamento con FANS,<br />
mentre la presenza di glomerulonefr<strong>it</strong>e è un’indicazione alla terapia steroidea associata a c<strong>it</strong>otossici,<br />
che migliorano sia il decorso della nefr<strong>it</strong>e che la porpora, le artralgie e gli altri sintomi<br />
vascul<strong>it</strong>ici. La plasmaferesi ha una valid<strong>it</strong>à incerta.<br />
Nella crioglobulinemia di tipo I è possibile il passaggio transplacentare di IgG monoclonali,<br />
che possono causare lesioni neonatali. Nella crioglobulinemia mista essenziale da IgM non<br />
si verificano lesioni neonatali<br />
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379
380<br />
26 TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE<br />
COAGULAZIONE, FIBRINOLISI<br />
E STATI TROMBOFILICI<br />
NELLA GRAVIDA<br />
M. Costantini, M. Bernardon, R.Tercolo,V. Soini, P. Bogatti, GP Maso, S. Alberico<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo,Trieste<br />
La gravidanza è una condizione associata a profondi cambiamenti nel dinamico equilibrio<br />
che regge i rapporti tra i fattori pro-coagulanti, anticoagulanti e fibrinol<strong>it</strong>ici dell’emostasi, estrinsecandosi<br />
in un effetto dominante procoagulante. Queste alterazioni fanno parte di quel complesso<br />
gruppo di adattamenti necessari a sostenere la circolazione utero-placentare durante<br />
la gestazione ed a garantire una pronta emostasi nel parto e nel secondamento. A tal fine, in<br />
gravidanza si assiste a significativi cambiamenti in tutti gli aspetti della classica triade di Virchow<br />
(stasi venosa, danno endoteliale e stato di ipercoagulabil<strong>it</strong>à), ad una progressiva emodiluizione<br />
e ad un rialzo della concentrazione di alcuni fattori della coagulazione (II,VII,VIII, IX, X), del<br />
fibrinogeno, dei PDF (prodotti di degradazione del fibrinogeno), ad un graduale aumento della<br />
resistenza all’eparina, mentre il tasso di plasminogeno rimane invariato.<br />
Tutto ciò non va interpretato come un reale stato di ipercoagulabil<strong>it</strong>à ma nel senso che<br />
in gravidanza deve risultare più rapido ed efficace il sistema della coagulazione quando le condizioni<br />
lo richiedano.<br />
Sistema pro-coagulante<br />
La coagulazione consta di un sistema a cascata che ha come fine ultimo la produzione di<br />
fibrina, la quale agisce a livello endoteliale stabilizzando il coagulo piastrinico. Classicamente,<br />
nel sistema coagulativo si distinguono due vie: intrinseca ed estrinseca, clinicamente testate<br />
dal APTT (activeted partial thromboplastin time) e dal PT (prothrombin time) rispettivamente.<br />
Il sistema coagulativo è regolato da quello anticoagulante e fibrinol<strong>it</strong>ico che cooperando garantiscono<br />
l’omeostasi emostatica.<br />
La via intrinseca inizia quando il sangue viene a contatto con una superficie carica negativamente,<br />
risultando nell’attivazione del fattore XII a fattore XIIa, che a sua volta attiva il fattore<br />
XI, il quale converte il fattore IX a IXa. La funzione principale della via intrinseca sta nell’amplificare<br />
l’attiv<strong>it</strong>à coagulativa innescata dalla via estrinseca.<br />
Fattore scatenante la via estrinseca è il TF (tissue factor), proteina di membrana espressa<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
sulla superficie di cellule che normalmente non si trovano a contatto con il plasma.<br />
L’esposizione al plasma di tali cellule dà inizio al processo coagulativo a livello dell’endotelio<br />
vasale danneggiato; anche le cellule endoteliali possono esprimere TF se stimolate da endotossine,TNF<br />
o IL-1, e ciò risulta essere predisponente alla formazione di trombi in condizioni<br />
patologiche.<br />
Il TF si complessa al fattore VII in presenza di fosfolipidi e calcio e ciò dà inizio ad una serie<br />
di reazioni proteol<strong>it</strong>iche che vanno ad attivare, in un sistema a cascata, i diversi fattori della<br />
coagulazione (Figura I), conducendo alla formazione di fibrina 1 .<br />
La trombina attua il clivaggio del fibrinopeptide A dalla catena a del fibrinogeno e del fibrinopeptide<br />
B da quella b, generando monomeri di fibrina che spontaneamente polimerizzano<br />
e vengono resi insolubili dall’azione del fattore XIIIa.<br />
Durante una gravidanza normale si assiste all’aumento dei livelli di protrombina 2 , fattore<br />
VII 2,3 , fattore X 2,4,5 , fattore XII 4,5 , fibrinogeno 2 , fattore VIII 2 e IX 2,4,5 .<br />
È facile dedurre come qualsiasi alterazione che comporti un’aumentata espressione di queste<br />
proteine sia un fattore predisponente all’instaurazione di un processo trombotico, mentre un loro<br />
defic<strong>it</strong> conduca ad una condizione di aumentato rischio emorragico.<br />
Sistema anticoagulante<br />
Nucleo centrale del sistema anticoagulante sono la proteina C e la proteina S, enzimi v<strong>it</strong>amina<br />
K dipendenti prodotti dal fegato. Quando la trombomodulina si lega alla trombina for-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
381
382<br />
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
ma un complesso che attiva la proteina C a proteina C attivata (APC).<br />
La proteina S si trova sia in forma libera (40%), quota capace di attivare la proteina C, che<br />
in forma legata alla frazione C 4b del complemento; ciò fa si che qualsiasi stato che induca un<br />
aumento della frazione C 4b (gravidanza, infiammazione o stress chirurgici), causi una diminuzione<br />
di attiv<strong>it</strong>à della proteina S.<br />
La APC inattiva sia il fattore VIIIa che il Va. Proprio una mutazione puntiforme del gene che<br />
codifica per il fattore V (fattore V Leiden), è il maggior responsabile dell’insorgenza di APCR<br />
(APC Resistance), condizione caratterizzata da un’eccessiva formazione di trombina 7 , con conseguente<br />
aumento del rischio trombotico.<br />
Un altro importante componente del sistema anticoagulante endogeno è l’ant<strong>it</strong>rombina<br />
III (ATIII), che legando la trombina previene la conversione del fibrinogeno in fibrina. AT possiede<br />
anche un s<strong>it</strong>o di legame per l’eparina: tale unione aumenta di circa 1000 volte l’attiv<strong>it</strong>à<br />
anticoagulante dell’AT. AT può anche inattivare i fattori Xa, IXa e VIIa; per tale ruolo il defic<strong>it</strong><br />
di AT è una ben riconosciuta causa di trombofilia ered<strong>it</strong>aria e sebbene la sua incidenza sia<br />
bassa (0.02%) è associato ad un rischio 50 volte aumentato di tromboembolismo venoso.<br />
In gravidanza i livelli di proteina C sembrano essere stabili o solo lievemente aumentati 8 ,<br />
con un aumento significativo di attiv<strong>it</strong>à solo nel primo periodo post-partum; invece c’è una<br />
diminuzione progressiva della proteina S totale e libera 9 . Pertanto APCR mostra un progressivo<br />
aumento in gravidanza, che si correla con le alterazioni a carico dei fattori procoagulanti<br />
elencati precedentemente.<br />
I primi studi condotti sull’AT suggerivano una sua diminuzione in gravidanza, mentre altri<br />
più recenti rilevano una stabil<strong>it</strong>à nei livelli plasmatici, con un aumento dopo il parto.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
Sistema fibrinol<strong>it</strong>ico<br />
La fibrinolisi agisce bilanciando il sistema coagulativo, prevenendo un eccessiva formazione<br />
di coagulo; è mediata dal TPA (tissue-type plasminogen activator) che attiva il plasminogeno<br />
a plasmina, enzima proteol<strong>it</strong>ico in grado di degradare la fibrina.<br />
L’attivazione della plasmina è inib<strong>it</strong>a dal PAI-I (plasminogen activator inhib<strong>it</strong>or-I) e dal più recentemente<br />
descr<strong>it</strong>to TAFI (thrombin activatable fibrinolysis inhib<strong>it</strong>or).<br />
Alcuni studi hanno dimostrato che la concentrazione degli attivatori del plasminogeno, t-<br />
PA 11 e u-PA 12 , aumenta in gravidanza, bilanciando l’elevazione del livello di PAI-I e la produzione<br />
placentare di PAI-2 11 . Questi ultimi deprimono la fibrinolisi in gravidanza, ma questa aumenta<br />
rapidamente dopo il secondamento.<br />
Gli elevati livelli di prodotti di degradazione del fibrinogeno (PDF) che si riscontrano nella<br />
seconda metà della gravidanza sembrano in contraddizione con quanto appena descr<strong>it</strong>to:<br />
durante una gravidanza fisiologica i livelli di D-dimero aumentano proporzionalmente all’età<br />
gestazionale e subiscono un ulteriore incremento nell’immediato periodo post-partum 13 .<br />
Questa condizione inficia il significato diagnostico di tale test, ma una sua negativ<strong>it</strong>à permette<br />
di escludere la possibil<strong>it</strong>à che si sia instaurato un evento tromboembolico.<br />
L’emostasi nella circolazione utero-placentare<br />
Nella circolazione utero-placentare il sistema emostatico deve soddisfare la necess<strong>it</strong>à di<br />
mantenimento della fluid<strong>it</strong>à ematica all’interfaccia materno-fetale e, al tempo stesso, contrastare<br />
l’emorragia che si sviluppa al momento del distacco della placenta.<br />
Studi sull’ultrastruttura del letto placentare hanno dimostrato che l’endotelio delle arterie<br />
spirali è in larga parte sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o da uno strato intimale c<strong>it</strong>otrofoblastico, la cui lamina elastica<br />
interna è sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a da una matrice amorfa contenente fibrina e c<strong>it</strong>otrofoblasti.<br />
Il processo di trofoblastizzazione si estende dalla decidua ai segmenti miometriali delle arterie<br />
uteroplacentari. Queste modificazioni permettono l’espansione del lume vasale per rispondere<br />
all’aumentato flusso ematico tipico della gravidanza.<br />
Nella gravidanze patologiche questo equilibrio risulta perturbato: il numero di vasi trofoblastizzati<br />
è diminu<strong>it</strong>o 14 , e l’invasione trofoblastica è poco profonda, non andando oltre il tratto<br />
deciduale; questa è la spiegazione delle alterazioni di flusso evidenziabili tram<strong>it</strong>e tecnica doppler<br />
nelle donne con pre-eclampsia e IUGR.<br />
Istologicamente la lesione assume il quadro di una necrosi fibrinoide, con placche intimali<br />
contenenti lipidi, cellule muscolari lisce e fibrina, e risulta essere questo il razionale su cui si<br />
basa l’utilizzo della prostaciclina in gravidanza. La alterata morfologia coinvolge anche il versante<br />
venoso con erosioni endoteliali.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
383
384<br />
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
Studi sull’emostasi nella circolazione utero-placentare sono lim<strong>it</strong>ati dalla difficoltà di ottenere<br />
campioni rilevanti: trombi vascolari sono documentati nel 3-5% delle gravidanze fisiologiche<br />
15 e pertanto se la trombofilia ered<strong>it</strong>aria media un aumento delle trombosi uteroplacentari<br />
ciò dovrebbe manifestarsi all’esame istologico.<br />
Ma a propos<strong>it</strong>o di questo in letteratura si evidenzia una mancata omogeneic<strong>it</strong>à di risultati.<br />
Al fine di avere una visione generale l’AJOG 10 ha recentemente pubblicato una review delle<br />
indagini condotte sull’associazione tra trombofilia e la perd<strong>it</strong>a fetale ricorrente, la pre-eclampsia,<br />
il r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a endouterino e il distacco di placenta.<br />
Dallo studio condotto è risultato che i disordini trombofilici sono associati con un aumentato<br />
rischio di perd<strong>it</strong>a fetale nella maggior parte degli studi di coorte e caso-controllo analizzati,<br />
che il rischio è aumentato durante tutta la gravidanza, ma in particolar modo nel II e III<br />
trimestre, e che una profilassi anticoagulante può migliorare l’outcome di questi soggetti, mentre<br />
non emerge una considerevole associazione con la pre-eclampsia, il r<strong>it</strong>ardo endouterino<br />
di cresc<strong>it</strong>a ed il distacco di placenta.<br />
Trombofilia ered<strong>it</strong>aria<br />
Il tromboembolismo venoso rappresenta a tutt’oggi la maggiore causa di mortal<strong>it</strong>à materna<br />
nel Mondo Occidentale e, come dimostrato nell’UK Confidential Enquires into Maternal<br />
Deaths 16 , la maggior parte di questi decessi sono da imputare al mancato riconoscimento di<br />
fattori di rischio per il tromboembolismo venoso, alla mancata attuazione di una terapia o di<br />
una profilassi adeguata e alla mancata diagnosi clinica di una trombosi venosa profonda (VTE).<br />
Risulta pertanto di fondamentale importanza conoscere quali siano i fattori di rischio predisponesti<br />
a uno stato trombofilico, siano essi ered<strong>it</strong>ari o acquis<strong>it</strong>i, temporanei o permanen-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
ti. Uno o più difetti trombofilici si riscontrano in almeno il 50% dei casi di VTE in gravidanza;<br />
i principali sono quelli che coinvolgono le proteine anticoagulanti, proteina C, proteina S e ant<strong>it</strong>rombina<br />
III e i fattori della coagulazione, quali la mutazione del fattore V Leiden (FVL) e della<br />
protrombina (PT) 17 .<br />
Il fattore V Leiden risulta da una mutazione puntiforme del gene del fattore V al s<strong>it</strong>o di clivaggio<br />
della proteina C (Arg506Glu), per questo funzionalmente si manifesta come resistenza<br />
alla proteina C attivata (APCR) e un effetto potenzialmente ipercoagulante. Questo tratto<br />
trombofilico si riscontra nel 20-40% delle donne che sviluppano una VTE associata alla gravidanza<br />
18 .<br />
È interessante anche notare che APCR, in assenza di FV°L, viene acquis<strong>it</strong>a nel 40% circa<br />
delle gravidanze, probabilmente come risultato dei cambiamenti del sistema coagulativo causati<br />
dalla gravidanza.<br />
L’APCR si riscontra anche in altre condizioni trombofiliche ered<strong>it</strong>arie o acquis<strong>it</strong>e: presenza<br />
di anticorpi anti-fosfolipidi, del fattore V Cambridge o dell’aplotipo HR2; quest’ultimo, relativamente<br />
comune, sembra comportare un ulteriore aumento del rischio trombotico 19 ed essere<br />
associato allo sviluppo di eventi trombotici in giovane età 20 .<br />
Possiamo pertanto affermare che lo sviluppo di un’aumentata resistenza alla proteina C<br />
attivata sia il fenotipo tram<strong>it</strong>e cui si esprimono condizioni genetiche o acquis<strong>it</strong>e che si esplicano<br />
comunque con una riduzione dell’attiv<strong>it</strong>à anticoagulante della proteina C.<br />
È interessante notare che la presenza della mutazione del FVL comporta un aumento di<br />
evento tromboembolico, con ridotta evoluzione dello stesso verso la tromboembolia 21 .<br />
Questo fenomeno è diverso da quello osservato nei casi con altre mutazioni (tipo<br />
Protrombina, ove l’evento trombotico evolve con maggior frequenza verso la embolia).<br />
Il meccanismo per cui questo accade non è chiaro, forse il FVL è associato alla formazione<br />
di un trombo più stabile, capace di intensificare la produzione locale di trombina che riduce<br />
la possibil<strong>it</strong>à di embolizzazione.<br />
La mutazione G20210A del gene della protrombina si associa all’aumento dei livelli di protrombina<br />
nel plasma e comporta il triplicarsi del rischio di VTE 22 ; si trova in circa il 6% dei pazienti<br />
con VTE ed è riportata in almeno il 20% di quelli con un’importante anamnesi familiare<br />
pos<strong>it</strong>iva per tale problema.<br />
L’iperomocisteinemia può essere associata con l’omozigosi del gene della metilentertraidrofolato<br />
reduttasi (MTHFR C677T), variante genotipica presente nel 10% della popolazione<br />
dell’Europa Occidentale e predisponente a trombosi arteriose e venose in concom<strong>it</strong>anza<br />
con un defic<strong>it</strong> di v<strong>it</strong>amina B 23 . L’omocisteina è un aminoacido prodotto dal metabolismo della<br />
metionina; il ruolo patogenetico della iperomocisteinemia non è ancora chiaro, sembra indurre<br />
un danno vascolare, riducendo la compliance vasale, causando un’alterazione in senso<br />
procoagulante dell’endotelio e attivando le piastrine.<br />
Il defic<strong>it</strong> di ant<strong>it</strong>rombina III è ered<strong>it</strong>ato come tratto autosomico dominante, ad alta pene-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
385
386<br />
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
tranza negli eterozigoti, ed è incompatibile con la v<strong>it</strong>a negli omozigoti. L’eccezione è rappresentata<br />
da quelle mutazioni che interessano il s<strong>it</strong>o di legame con l’eparina, nelle quali anche<br />
gli omozigoti presentano un quadro clinico simile a quello degli eterozigoti per mutazioni più<br />
importanti 24 . Il defic<strong>it</strong> di AT III risulta essere probabilmente il difetto più severo tra le trombofilie<br />
ered<strong>it</strong>arie e per questo se diagnosticato dopo un evento tromboembolico è sol<strong>it</strong>amente<br />
indicazione alla terapia anticoagulante per tutta la v<strong>it</strong>a; fortunatamente è trattabile con terapia<br />
sost<strong>it</strong>utiva.<br />
Altri caratteri da indagare per individuare lo stato di rischio trombofilico di una paziente<br />
sono il dosaggio della proteina C, della proteina S, del fibrinogeno, del fattore VIII, la presenza<br />
di anticorpi antifosfolipidi, anticardiolipina e del lupus anti coagulant (LAC).<br />
Inoltre nel mon<strong>it</strong>orare il rischio trombofilico di una donna in gravidanza bisogna attuare<br />
un attenta anamnesi personale e familiare e valutare la presenza anamnestica o obiettiva dei<br />
fattori di rischio riportati dalla Royal College of Obstetricians and Gynaecologists (RCOG) nell’ultima<br />
stesura delle linee guida per la profilassi del tromboembolismo venoso in gravidanza<br />
e puerperio 25 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
Trombofilia acquis<strong>it</strong>a e gravidanza<br />
Altri fattori conducono ad uno stato di ulteriore ipercoagulabil<strong>it</strong>à: col<strong>it</strong>e ulcerosa, diabete<br />
mell<strong>it</strong>o, pre-eclampsia, sindrome nefrosica, iperstimolazione ovarica e soprattutto la sindrome<br />
da anticorpi antifosfolipidi.<br />
La sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APLAS) è un complesso disordine multisistemico,<br />
defin<strong>it</strong>o dall’associazione di trombosi vascolari e morbid<strong>it</strong>à ostetrica dovuta alla presenza<br />
di anticorpi antifosfolipidi (aPL) e/o lupus anticoagulant (LAC). (In questa sede tratteremo questa<br />
patologia per le ripercussioni che essa è in grado di determinare sulla coagulazione materna.<br />
In altra parte di questo testo la stessa è trattata nella sua configurazione clinica più ampia).<br />
Il LAC è stato inizialmente identificato in pazienti con lupus er<strong>it</strong>ematoso sistemico (LES);<br />
il nome deriva dal fatto che in v<strong>it</strong>ro questi anticorpi sono associati con un prolungamento del<br />
tempo di coagulazione, mentre in vivo si associano a trombosi. Il LAC test va a valutare l’abil<strong>it</strong>à<br />
di APL di prolungare la formazione del coagulo dipendente dalla presenza di fosfolipidi.<br />
Affinché tale test sia pos<strong>it</strong>ivo è necessario che 26 :<br />
- Prolungamento del tempo di coagulazione in almeno un test che usi plasma povero di piastrine:<br />
aPTT (prolonged activated partila thromboplastin time) o dRVVT (dilu<strong>it</strong>e Russell’s viper<br />
venom time).<br />
- Non correzione del prolungamento del tempo di coagulazione in segu<strong>it</strong>o al miscelamento<br />
del plasma del paziente con plasma normale.<br />
- Accorciamento del tempo di coagulazione con l’aggiunta di un eccesso di fosfolipidi o piastrine.<br />
- Esclusione di altre coagulopatie<br />
APLAS è la più comune causa di trombofilia acquis<strong>it</strong>a in gravidanza e richiede un approccio<br />
multidisciplinare che coinvolga ostetrico, internista, ematologo e reumatologo. Perd<strong>it</strong>a fetale<br />
ricorrente, pre-eclampsia, IUGR, morte endouterina e trombosi sono le manifestazioni<br />
cliniche di tale patologia: un’appropriata diagnosi e il relativo trattamento farmacologico e di<br />
sorveglianza clinica della paziente durante la gestazione sono alla base di un concreto miglioramento<br />
dell’outcome materno-fetale.<br />
Il riscontro di una pos<strong>it</strong>iv<strong>it</strong>à verso gli anticorpi antifosfolipidi impone un approfondimento<br />
diagnostico verso altre patologie, perchè APLAS può essere prim<strong>it</strong>iva o sovrapporsi al Lupus<br />
Er<strong>it</strong>ematoso Sistemico (LES), patologia autoimmun<strong>it</strong>aria caratterizzata dalla presenza di anticorpi<br />
antinucleo (ANA), che causano lesioni connettivali a livello di derma, glomeruli renali,<br />
articolazioni, sierose e vasi sanguinei.<br />
Da un lato, la gravidanza predispone alla riesacerbazione del LES con lo sviluppo di edemi,<br />
proteinuria ed ipertensione, segni di uno stato pre-eclamptico, dall’altro il depos<strong>it</strong>o di immunocomplessi,<br />
che caratterizza questa patologia, conduce ad un danneggiamento del trofoblasto,<br />
dei vasi utero-placentare ed alla distruzione immunomediata del tessuto di conduzione cardiaco<br />
(anticorpi antiRo), causando il cosiddetto blocco cardiaco A-V congen<strong>it</strong>o del feto.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
387
388<br />
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
Viste le considerazioni fatte, la gravidanza risulta essere una s<strong>it</strong>uazione che espone la donna<br />
ad un aumentato rischio tromboembolico; pertanto si rivela di fondamentale importanza<br />
la valutazione e la stratificazione delle pazienti in classi di rischio, in modo da poter gestire i<br />
singoli casi nel modo più consono possibile. A tal fine l’Ostetrico deve eseguire un’attenta<br />
anamnesi familiare e personale della paziente e nel caso riscontri eventi che suggeriscono il<br />
rischio di una trombofilia deve attuare le indagini immunologiche e genetiche necessarie.<br />
Devono essere considerati elementi anamnestici a rischio non solo precedenti trombosi<br />
venose profonde, embolie polmonari, ictus e infarti del miocardio, ma anche outcomes ostetrici<br />
sfavorevoli, come la perd<strong>it</strong>a fetale ricorrente, una precedente pre-eclampsia, un nato piccolo<br />
per l’età gestazionale, un distacco di placenta, una precedente morte endouterina.<br />
Il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists 25 (RCOG) afferma che la gravidanza è<br />
associata ad un rischio 10 volte aumentato per lo sviluppo di VTE, comparato con il rischio<br />
di donne non gravide e pertanto r<strong>it</strong>iene opportuno che sia valutato anamnesticamente il rischio<br />
trombotico individuale, idealmente prima della gravidanza o in fase precocissima. I fattori<br />
di rischio che vanno ricercati sono quelli elencati in tabella 1.Tale condotta è solo sugger<strong>it</strong>a<br />
dal gruppo londinese con grado di raccomandazione di classe C, avendo un livello d’evidenza<br />
IV. Il National Screening Comm<strong>it</strong>tee UK, ha infatti concluso che non esiste evidenza per<br />
supportare lo screening per la trombofilia ered<strong>it</strong>aria in tutte le donne di età fertile, che veniva<br />
esegu<strong>it</strong>o con la ricerca del fattore V Leiden.Tale posizione, defin<strong>it</strong>a nel 2000, è stata confermata<br />
nel Marzo del 2004 e sarà sottoposta a nuova verifica nel 2006 27 .<br />
Pertanto, vista l’incongru<strong>it</strong>à esistente in letteratura circa la valid<strong>it</strong>à dell’esecuzione di uno<br />
screening trombofilico, non esistono protocolli validati che indichino il tipo di analisi da compiere.<br />
Possiamo quindi suggerire di indagare accuratamente l’anamnesi personale e familiare della<br />
paziente e nel caso sia presente un precedente evento di carattere tromboembolico o una<br />
familiar<strong>it</strong>à per tale patologia, oppure ci siano uno o più fattori di rischio tra quelli indicati in<br />
Tabella 1, è opportuno eseguire uno screening atto ad individuare la presenza di una predisposizione<br />
genetica o acquis<strong>it</strong>a.<br />
Tra le indagini da eseguire ricordiamo:<br />
- Ricerca mutazione PT<br />
- Proteina C<br />
- Proteina S<br />
- APCR<br />
- AT III<br />
- Omocisteinemia.<br />
- Ricerca anticorpi anticardiolipina<br />
- LAC<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
È possibile eseguire in prima battuta l’APCR e l’omocisteinemia e solo se queste risultano<br />
aumentate andare a valutare se sono presenti i condizionanti genetici di queste alterazioni:<br />
rispettivamente la presenza del fattore V Leiden e la mutazione della MTHFR. Una volta<br />
ottenuto lo stato di rischio della paziente è necessario stabilire quale sia l’<strong>it</strong>er terapeutico più<br />
opportuno.<br />
In Letteratura esistono diverse linee guida a riguardo, noi abbiamo considerato di esporre<br />
in questa sede quelle della RCOG del gennaio 2004 25 e dell’American College of Chest<br />
Physician (ACCP) 28 del settembre 2004, che per completezza risultavano essere le più appropriate.<br />
RCOG 25<br />
Tromboprofilassi in gravidanza e puerperio:<br />
Tipologia paziente Profilassi in gravidanza Profilassi post-partum<br />
non trombofiliche, No LMWH a dosi profilattiche<br />
con precedente VTE per 6 settimane*<br />
non trombofiliche, LMWH dosi profilattiche* LMWH a dosi profilattiche*<br />
con precedente VTE per 6 settimane<br />
“estrogeno-correlata” o BMI>30<br />
con più di una precedente VTE/ LMWH dosi profilattiche* LMWH a dosi profilattiche*<br />
con una precedente VTE+ per 6 settimane<br />
anamnesi familiare pos<strong>it</strong>iva/<br />
con precedente VTE in sede “insol<strong>it</strong>a”<br />
trombofiliche con precedente VTE LMWH dosi profilattiche* LMWH a dosi profilattiche*<br />
per 6 settimane<br />
trombofiliche senza precedenti VTE LMWH dosi profilattiche* LMWH dosi profilattiche*<br />
stratificazione del rischio: per 6 settimane<br />
Eterozigoti composti (FVL+PT)<br />
Omozigosi FVL<br />
Omozigosi PT<br />
Defic<strong>it</strong> AT III<br />
Altre condizioni+fattore no LMWH dosi profilattiche*<br />
di rischio associato (Tabella 1) /warfarin per 6 settimane<br />
con APLAS e precedenti trombosi LMWH dosi profilattiche* LMWH dosi profilattiche<br />
per 6 settimane*<br />
con APLAS e precedenti ostetrici negativi LDA LMWH dosi profilattiche<br />
per almeno 3-5gg*, soprattutto se<br />
esistono fattori di rischio associati<br />
con 3 o + fattori di rischio (Tabella1) LMWH dosi profilattiche* LMWH dosi profilattiche<br />
per almeno 3-5gg*<br />
con 2 fattori di rischio (Tabella1) No LMWH dosi profilattiche<br />
per almeno 3-5gg*<br />
* si intendono i valori riportati in Tabella II<br />
Il RCOG pone l’accento sulle donne obese, affermando la necess<strong>it</strong>à di rivalutare la donna<br />
prima o durante il travaglio per il rischio di VTE; l’età superiore ai 35 anni, un BMI > 30, o<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
389
390<br />
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
un peso superiore ai 90 Kg sono importanti fattori di rischio indipendenti per VTE anche dopo<br />
un parto per via vaginale. La combinazione di uno di questi con un qualsiasi altro fattore<br />
di rischio (es. pre-eclampsia o immobil<strong>it</strong>à), o la presenza d’altri due fattori di rischio persistenti<br />
può indurre il clinico a considerare l’uso di LMWH per 3-5gg nel post-partum.<br />
ACCP 28 :<br />
Prevenzione del tromboembolismo venoso in gravidanza:<br />
Tipologia paziente Profilassi in gravidanza Profilassi post-partum<br />
Precedente VTE associato a Clinical surveillance Postpartum anticoagulants<br />
fatt. rischio momentaneo,<br />
non più presente<br />
Precedente VTE Prophylactic LMWH Postpartum anticoagulants<br />
“estrogeno-associato” o presenza<br />
di altri fattori di rischio (es. Obes<strong>it</strong>à)<br />
Precedente VTE idiopatica Clinical surveillance Postpartum anticoagulants<br />
or prophylactic LMWH<br />
Precedente VTE e trombofilia Prophylactic/intermediate- Postpartum anticoagulants<br />
o anamnesi familiare pos<strong>it</strong>iva dose LMWH<br />
Defic<strong>it</strong> AT III/eterozigoti Intermediate-dose LMWH Postpartum anticoagulants<br />
composti (FVL+PT)/omozigosi<br />
FVL/omozigosi PT + precedente VTE<br />
Episodi ripetuti di VTE o pz Adjusted-dose LMWH Riprendere terapia<br />
in terapia anticoagulante cronica anticoagulante cronica<br />
Defic<strong>it</strong> AT III/ doppi Prophylactic LMWH Postpartum anticoagulants<br />
eterozigoti/omozigoti FVL/omozigoti<br />
PT senza precedenti VTE<br />
Altre alterazioni trombofiliche Clinical surveillance Postpartum anticoagulants<br />
congen<strong>it</strong>e senza precedenti VTE or prophylactic LMWH<br />
Trombofilia congen<strong>it</strong>a LDA+ prophylactic LMWH Postpartum anticoagulants<br />
+ aborti ricorrenti/aborto<br />
del II trimestre/ pre-eclampsia/<br />
distacco di placenta<br />
APLAS e ≥2 aborti precoci/ ≥1 LDA+ prophylactic LMWH no<br />
MEU/ pre-eclampsia/ IUGR/<br />
distacco placenta<br />
APLAS + storia di VTE Adjusted-dose LMWH + LDA Riprendere la terapia<br />
in terapia anticoagulante cronica anticoagulante cronica<br />
APLAS senza storia di VTE Clinical surveillance or prophylactic no<br />
o outcome ostetrici sfavorevoli LMWH and/or LDA (75-162mg/die)<br />
Omozigosi MTHFR Folic acid supplements no<br />
Prophylactic LMWH: enoxaparina 40 mg sc/die (sebbene il dosaggio possa richiedere delle modificazioni<br />
in caso di pesi estremi)<br />
Intermediate-dose LMWH: enoxaparina 40 mg sc/12 h<br />
Adjusted-dose LMWH: dose aggiustata sul peso della pz; enoxaparina 1 mg/kg/12 h.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
Postpartum anticoagulants: warfarin per 4-6 settimane con INR tra 2.0-3.0, con iniziale somministrazione<br />
di LMWH fino a che INR non sia ≥2.0.<br />
Surveillance: vigilanza clinica e indagini aggressive per donne con sintomatologia sospetta per<br />
trombosi venosa profonda o embolia polmonare.<br />
L’ACCP suggerisce anche l’utilizzo di gambaletti elastici a compressione graduata a tutte<br />
le donne con precedenti episodi di trombosi venosa profonda.<br />
Anche il RCOG 25 suggerisce che tutte le donne con precedente VTE o trombofilia siano<br />
incoraggiate ad indossare gambaletti elastici a compressione graduata di II classe in gravidanza<br />
e per 6-12 settimane dopo il parto, mentre quelli di I classe risultano essere i più adatti<br />
per pazienti ricoverate ad aumentato rischio di VTE (immobil<strong>it</strong>à), e nel caso che una donna<br />
in gravidanza debba volare.<br />
R<strong>it</strong>eniamo in mer<strong>it</strong>o che l’elastocompressione in gravidanza sia una misura preventiva a<br />
basso costo da consigliare comunque a tutte le gravide in modo particolare quando compare<br />
un fattore di rischio specifico per tromboembolia!<br />
Trattamento di una donna in tromboprofilassi durante il travaglio ed il parto:<br />
Il RCOG 25 afferma che al momento del travaglio la terapia eparinica non deve più essere<br />
autogest<strong>it</strong>a dalla donna, ma dallo staff medico:<br />
- Donne in profilassià continuare LMWH durante il travaglio ed il parto.<br />
- Donne in trattamento terapeutico a sospendere la terapia o ridurla ad un dosaggio profilattico<br />
il giorno prima dell’induzione del travaglio o del taglio cesareo elettivo.<br />
- Per ridurre al minimo il rischio d’ematoma epidurale, tecniche d’anestesia regionale devono<br />
essere ev<strong>it</strong>ate nelle 12 h successive la somministrazione di una dose profilattica di<br />
LMWH, e nelle 24 h successive ad un dosaggio terapeutico. La dose successiva di LMWH<br />
non deve essere somministrata per almeno 4 ore dalla rimozione o l’inserimento del catetere<br />
epidurale, il quale non va rimosso entro le 10-12 h dall’ultima dose di LMWH.<br />
- Per quanto concerne il TC, la donna riceve l’ultima dose profilattica il giorno precedente<br />
l’intervento; la dose successiva va somministrata 3 ore dopo l’operazione, o 4 ore se è<br />
stato utilizzato un catetere epidurale.<br />
- Per donne ad elevato rischio emorragico è utile l’uso di UFH che ha un’emiv<strong>it</strong>a minore di<br />
LMWH e per la quale l’esperienza con il solfato di protamina è maggiore.<br />
Altra questione dibattuta in letteratura è la profilassi in gravidanza per portatrici di valvole<br />
cardiache meccaniche; l’American Heart Association 29 nel 2003 ha concluso che tali pazienti<br />
necess<strong>it</strong>ano di uno stretto mon<strong>it</strong>oraggio della terapia con warfarin in gravidanza e che tale<br />
molecola sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a con UFH iv tra le 6 e le 12 settimane e nelle ultime due settimane di<br />
gravidanza è associata ad un basso tasso di embriopatia da warfarin e di sanguinamento nella<br />
mamma e nel bambino. In tale documento è riportato che donne che ricevono dosi di war-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
391
392<br />
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
farin ≤5 mg, risultano essere a basso rischio per sviluppare l’embriopatia e possono condurre<br />
tale terapia per tutta la gravidanza, anche se sono necessari ulteriori studi su tale argomento;<br />
inoltre viene affermato che l’eparina sottocute e LMWH non sono raccomandabili al momento,<br />
per tali pazienti.<br />
In contrasto con ciò le linee guida dell’ACCP31 suggeriscono in donne gravide portatici<br />
di protesi meccaniche cardiache adjiusted-dose di LMWH 2 volte al giorno, mantenedo un<br />
livello di anti-Xa a 4h di 1.0-1.2 U/ml, oppure UFH sc ogni 12 h in modo tale da ottenere un<br />
aPTT in range terapeutico per tutta la gravidanza, oppure l’uso di UFH o LMWH fino alla 13 a<br />
settimana, sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>i con warfarin fino alla prima metà del terzo trimestre, per poi tornare nuovamente<br />
a UFH o LMWH, con il r<strong>it</strong>orno alla terapia anticoagulante a lungo termine dopo il<br />
parto. Queste linee guida suggeriscono anche l’aggiunta di LDA (75-162 mg/die) in caso di<br />
alto rischio.<br />
Questo è quanto riportano le più recenti linee guida internazionali in amb<strong>it</strong>o di patologia<br />
tromboembolica. In letteratura sono reperibili anche le linee guida canadesi e australiane, che<br />
qui sono state omesse perché quelle riportate in precedenza sono apparse le più complete<br />
e specifiche.<br />
Per quanto ci riguarda, volendo riassumere in un breve schema le indicazioni alla tromboprofilassi<br />
in gravidanza possiamo dire:<br />
1. elastocompressione a tutte le gravide con anamnesi personale o familiare pos<strong>it</strong>iva per<br />
eventi tromboembolici in giovane età o estrogeno correlata, o in caso di immobil<strong>it</strong>à e disidratazione,<br />
e per tutte le classi successive<br />
2. dosi profilattiche di LMWH in gravidanza e per le 6 settimane post partum: donne con<br />
trombofilia congen<strong>it</strong>a “maggiore” (defic<strong>it</strong> AT III, omozigosi FVL, omozigosi per la mutazione<br />
della PT, eterozigoti composti), senza precedenti eventi tromboembolici;<br />
3. altri stati trombofilici, in assenza di precedenti eventi tromboembolici: sorveglianza clinica<br />
o LMWH a dosi profilattiche in gravidanza e profilassi eparinica nelle 6 settimane successive<br />
al parto;<br />
4. pazienti con trombofilia e precedente evento tromboembolico: LMWH a dosi profilattiche<br />
in gravidanza e nelle 6 settimane post partum (è indicato anche un dosaggio più alto<br />
in caso di stati trombofilici “maggiori”: 40 mg ogni 12 h);<br />
5. pazienti non trombofiliche, con precedente VTE “estrogeno associato”, o BMI >30, o anamnesi<br />
familiare pos<strong>it</strong>iva: LMWH dosi profilattiche in gravidanza e nelle 6 settimane post partum;<br />
6. pazienti non trombofiliche con precedente VTE idiomatico, o associato a condizioni momentanee,<br />
non più presenti: sorveglianza clinica in gravidanza e profilassi eparinica nelle 6<br />
settimane successive al parto;<br />
7. pazienti trombofiliche con precedenti ostetrici negativi (aborti ricorrenti, aborti del II trimestre,<br />
pre-eclampsia, distacco di placenta): LDA (low dose aspirin)+ LMWH dosaggio<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
profilattico in gravidanza e nelle 6 settimane successive al parto;<br />
8. pazienti con APLAS e precedenti outcome ostetrici negativi: LDA e LMWH dosaggio profilattico<br />
in gravidanza e LMWH per 3-5gg nel post-partum;<br />
9. pazienti con APLAS e precedenti VTE (in terapia anticoagulante cronica): LMWH<br />
1mg/kg/12h e LDA in gravidanza, ripresa della terapia cronica nel post partum;<br />
10.pazienti con iperomocisteinemia o variante tremolabile omozigote C677T della MTHFR:<br />
supplementazione di acido folico in gravidanza (5mg/die) 30 .<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
393
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Coagulazione, fibrinolisi e stati trombofilici nella gravida<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE<br />
EMERGENZE TROMBOTICHE<br />
IN <strong>GRAVIDANZA</strong>:<br />
EPARINIZZAZIONE/TROMBOLISI<br />
E TIMING DEL PARTO<br />
A. Sartore, M. Costantini, G. Russo, S. Smiroldo, E. Filippi, M. Zanette, P. Bogatti<br />
Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia, Univers<strong>it</strong>à di Trieste, I.R.C.C.S. “Burlo Garofolo”,Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
27<br />
Introduzione<br />
L’embolia polmonare rappresenta la causa più frequente di mortal<strong>it</strong>à materna 1,2 e il tromboembolismo<br />
venoso in gravidanza cost<strong>it</strong>uisce un’importante causa di morbid<strong>it</strong>à non solamente<br />
per il periodo gravidico o puerperale ma anche sul lungo termine 3 . È stata riportata<br />
un’incidenza variabile in un range di 0.5-3/1000 gravidanze 4 che si manifesterebbe in maniera<br />
pressoché sovrapponibile nei tre trimestri e nel post partum 5 . Le successive due tabelle riportano<br />
i fattori predisponenti (Tabella 1) e i fattori di rischio (Tabella II) della gravidanza e<br />
del puerperio associati alle manifestazioni tromboemboliche.<br />
Una volta manifestatosi l’evento tromboembolico, un immediato ed adeguato trattamento<br />
deve essere instaurato per ridurre la morbid<strong>it</strong>à e la mortal<strong>it</strong>à materne associate all’embo-<br />
Tabella 1. Fattori di rischio predisponenti associati alla gravidanza 6<br />
IPERCOAGULABILITA’ STASI ENDOTELIALI TROMBOFILIA ALTRI<br />
Aumento dei fattori II,V,<br />
VII,VIII, IX, X, XII, fibrinogeno<br />
Aumento aggregazione<br />
piastrinica<br />
Diminuzione proteina S,<br />
attivatore tissutale del plasminogeno,<br />
fattori XI e<br />
XIII<br />
Aumentata resistenza<br />
della proteina C attivata<br />
Ant<strong>it</strong>rombina normale<br />
o ridotta<br />
Ridotto tono venoso<br />
e aumento<br />
distensibil<strong>it</strong>à vasi<br />
venosi<br />
Flusso venoso<br />
ridotto del 50%<br />
negli arti inferiori<br />
nel III trimestre<br />
L’utero causa un<br />
impedimento meccanico<br />
al r<strong>it</strong>orno<br />
venoso<br />
Danno vascolare al<br />
momento del<br />
parto (taglio cesareo<br />
o parto vaginale)<br />
CONGENITA<br />
- Defic<strong>it</strong> di proteina<br />
C o S<br />
- Fattore V Leiden<br />
- Defic<strong>it</strong><br />
Ant<strong>it</strong>rombina III<br />
-<br />
Iperomocisteinemia<br />
- Variante del gene<br />
della protrombina<br />
- Defic<strong>it</strong> plasminogeno<br />
ACQUISITA<br />
- Sindrome anticorpi<br />
antifosfolipidi<br />
- Sindrome nefrosica<br />
(bassi livelli At III)<br />
- Pregressa embolia<br />
- Età > 35<br />
- Obes<strong>it</strong>à<br />
- Infezioni<br />
- Allettamento<br />
- Shock<br />
- Taglio cesareo<br />
- Parto operativo<br />
- Chirurgia pelvica<br />
nel peri partum<br />
395
396<br />
Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto<br />
Tabella II. Fattori di rischio per tromboembolismo venoso in gravidanza e nel puerperio 7<br />
PREESISTENTI TRANSITORIE O <strong>AD</strong> ESORDIO EX NOVO<br />
- pregressa tromboembolia<br />
- trombofilia congen<strong>it</strong>a<br />
- defic<strong>it</strong> ant<strong>it</strong>rombina<br />
- defic<strong>it</strong> proteina C<br />
- defic<strong>it</strong> proteina S<br />
- fattore V Leiden (resistenza alla proteina C attivata)<br />
- variante del gene della protrombina<br />
- sindrome da anticorpi antifosfolipidi<br />
- lupus anticoagulant<br />
- anticorpi anticardiolipina<br />
- età materna > 35 anni<br />
- obes<strong>it</strong>à (BMI > 30)<br />
- par<strong>it</strong>à > 4<br />
- grosse varici<br />
- paraplegia<br />
- malattie infiammatorie croniche<br />
- sindrome nefrosica<br />
- malattie mieloproliferative (ex. polic<strong>it</strong>emia vera, tromboc<strong>it</strong>osi<br />
essenziale)<br />
- procedure chirurgiche in gravidanza o in puerperio<br />
- iperemesi<br />
- disidratazione<br />
- iperstimolazione ovarica<br />
- infezione severa (ex. pielonefr<strong>it</strong>e)<br />
- immobil<strong>it</strong>à (allettamento > 4 giorni)<br />
- pre-eclampsia<br />
- eccessiva perd<strong>it</strong>a ematica<br />
- viaggi aerei intercontinentali<br />
- travaglio prolungato<br />
lia polmonare, per ridurre l’estensione della trombosi venosa profonda e per ridurre la morbid<strong>it</strong>à<br />
associata alla sindrome post-trombotica 8 . È chiaro, quindi, che un’efficace prevenzione<br />
primaria ed un corretto management dell’evento acuto gravidico cost<strong>it</strong>uiscono l’obiettivo principale<br />
da realizzare nell’ottica di lim<strong>it</strong>are al massimo le sequele materne e feto-neonatali cui<br />
tale patologia è associata.<br />
I cumarinici attraversano la placenta e il loro uso in gravidanza è controindicato 1 , in quanto<br />
associato a teratogenesi ed emorragia 9 .<br />
Per molti anni le eparine non frazionate (UFH: unfractionated heparin) hanno cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o il<br />
gold standard profilattico e terapeutico anticoagulante in gravidanza 10 . Attualmente, le eparine<br />
a basso peso molecolare (LMWH: low-molecular-weight heparin) hanno sost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o le UFH<br />
sia nella prevenzione che nel management dell’episodio embolico acuto in gravidanza 11 , sebbene<br />
la maggior parte degli studi inerenti alla loro efficacia derivi da popolazioni di non gravide<br />
1,12 .<br />
I vantaggi delle LMWHs rispetto alle UFH sono molteplici. Innanz<strong>it</strong>utto, determinano un<br />
minor rischio di sanguinamento perché aumentano il rapporto fra fattore ant<strong>it</strong>rombotico anti-Xa<br />
e fattore anticoagulante anti-IIa; sono stabili e prevedibili da un punto di vista farmacocinetico<br />
avendo un’aumentata biodisponibil<strong>it</strong>à ed emiv<strong>it</strong>a plasmatiche e rendendo la somministrazione<br />
terapeutica più agevole e con un mon<strong>it</strong>oraggio terapeutico meno indaginoso; l’at-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto<br />
tivazione piastrinica è minore con un ridotto legame al fattore 4 piastrinico, che induce raramente<br />
tromboc<strong>it</strong>openia 13,14 . Inoltre, con le LMWHs si abbatte la quota del 2% di fratture patologiche<br />
su base osteoporotica eparino-indotte 13,15 .<br />
La maggior parte delle linee guida internazionali sulla prevenzione e trattamento del tromboembolismo<br />
venoso in gravidanza indicano nelle LMWHs il gold standard farmacologico e<br />
l’eparina a basso peso molecolare maggiormente utilizzata è l’enoxaparina 1 . A tale molecola,<br />
quindi, si farà riferimento successivamente nella trattazione dell’approccio terapeutico dell’evento<br />
acuto.<br />
Pochissimi dati sono invece disponibili in letteratura riguardo l’utilizzo di agenti trombol<strong>it</strong>ici<br />
in gravidanza, tanto che la gravidanza e il post partum sono generalmente considerati una<br />
controindicazione alla trombolisi 16 . Saltuarie segnalazioni possono essere trovate sull’utilizzo<br />
di cateteri guidati a livello del trombo con iniezione locale di attivatore tissutale del plasminogeno<br />
ricombinante umano, con successiva angioplastica ed eventuale posizionamento di<br />
stent, ma tale presidio terapeutico è tutt’ora nella fase di studio pilota 16 .<br />
Diagnosi<br />
Evento tromboemobolico<br />
Qualsiasi donna con segni e sintomi suggestivi di tromboembolia acuta deve essere valutata<br />
sub<strong>it</strong>o con test diagnostici adeguati per ev<strong>it</strong>are rischi, inconvenienti e costi di un trattamento<br />
anticoagulante inappropriato. Ogni presidio ospedaliero dovrebbe disporre di protocolli<br />
concordati a livello interdisciplinare per una diagnosi obiettiva di un evento tromboembolico<br />
sospetto (grado di raccomandazione B) 17 . La valutazione clinica soggettiva di trombosi<br />
venosa profonda (TVP) ed embolia polmonare (EP) è inaffidabile, poiché meno della metà delle<br />
donne cui è stata sospettata tale patologia ha una conferma diagnostica strumentale.<br />
- Segni e sintomi di TVP: dolore o discomfort all’arto inferiore interessato, specie il sinistro,<br />
che risulta tumefatto e caldo; dolore addominale nei quadranti inferiori; leucoc<strong>it</strong>osi<br />
- Segni e sintomi di EP: dispnea, collasso, emottisi, astenia, aumento della pressione venosa<br />
centrale, segni focali a livello polmonare, segni e sintomi di TVP.<br />
Dal momento che questi segni e sintomi sono comuni in una gravidanza fisiologica, per<br />
ev<strong>it</strong>are un inutile trattamento in un falso pos<strong>it</strong>ivo si dovrebbe prontamente ricorrere alla diagnostica<br />
per immagini (ultrasonografia Doppler o venografia) e ad una radiografia del torace,<br />
che, qualora risultasse sospetta, dovrebbe essere completata da un’indagine più approfond<strong>it</strong>a<br />
(RMN, scintigrafia polmonare, angiografia).<br />
Evento trombotico<br />
Se la dopplersonografia risultasse suggestiva per TVP, la terapia anticoagulante dovrebbe<br />
essere iniziata immediatamente. Nel caso di fondato sospetto clinico senza conferma stru-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
397
398<br />
Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto<br />
mentale, la terapia dovrebbe essere mantenuta per una settimana, per ripetere il Doppler venoso;<br />
se quest’ultimo risultasse ulteriormente negativo, la terapia potrebbe essere sospesa 18<br />
(livello di evidenza IV).<br />
L’utilizzo del D-dimero come test di screening nelle donne non gravide è attualmente accettato<br />
grazie al suo elevato valore pred<strong>it</strong>tivo negativo. In gravidanza, solamente bassi livelli di<br />
D-dimero consentono una diagnosi di esclusione o di scarsa probabil<strong>it</strong>à, mentre valori elevati<br />
devono spingere ad approfondimenti diagnostici, ma non sono dirimenti per una diagnosi<br />
di certezza.<br />
Trattamento iniziale dell’evento tromboembolico<br />
In un sospetto clinico di TVP o EP il trattamento con UFH o con LMWH dovrebbe essere<br />
somministrato fino ad avere una diagnosi di esclusione con test strumentali, a meno che<br />
la terapia non sia fortemente controindicata (grado di raccomandazione A) 17 .<br />
I regimi terapeutici dovrebbero prevedere le seguenti modal<strong>it</strong>à di somministrazione: infusione<br />
endovenosa continua di UFH, iniezioni sottocutanee di UFH o iniezioni sottocutanee di<br />
LMWH.<br />
Infusione endovenosa continua di UFH<br />
Cost<strong>it</strong>uisce il metodo tradizionale di terapia dell’evento acuto e rimane il trattamento<br />
d’elezione nei casi di massiva EP per il suo rapido effetto e per la ricchezza di studi a suo carico<br />
12,19,20 . Il regime di somministrazione dovrebbe essere il seguente:<br />
- dose carico di 5000 UI, segu<strong>it</strong>e da un’infusione continua di 1000-2000 UI sulla base dei<br />
test laboratoristici esegu<strong>it</strong>i almeno quotidianamente (il mon<strong>it</strong>oraggio dovrebbe essere attuato<br />
tram<strong>it</strong>e l’APTT, che deve essere mantenuto a 1.5-2.5 volte rispetto i valori dei controlli<br />
21 ; il range da ottenere per il livello dell’anti Xa dovrebbe essere in questa s<strong>it</strong>uazione<br />
0.35-0.70 UI/ml);<br />
- iniziale concentrazione di infusione di 1000 UI/ml;<br />
- misurazione dei livelli di APTT ogni 6 ore dopo la dose di carico; dopo almeno una volta<br />
al giorno. Il dosaggio dovrebbe essere aggiustato per raggiungere il target terapeutico entro<br />
24 ore.<br />
Come detto, l’utilizzo della UFH in gravidanza potrebbe determinare fratture osteoporotiche<br />
e reazioni cutanee allergiche.<br />
Somministrazione sottocutanea di UFH.<br />
La somministrazione sottocutanea di UFH è altrettanto efficace rispetto all’infusione endovenosa<br />
nel management iniziale del tromboembolismo (grado di raccomandazione A) 17 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto<br />
LMWH<br />
Le LMWH sono più efficaci rispetto alle UFH con minore tasso di mortal<strong>it</strong>à e minori complicazioni<br />
emorragiche nelle donne non gravide nel trattamento delle TVP ed altrettanto efficaci<br />
rispetto alle UFH nel trattamento dell’EP (grado di raccomandazione A) 17 . La conferma<br />
di quanto riportato viene da uno studio randomizzato e controllato 22 , da due metanalisi di<br />
studi randomizzati 23,24 e da una recentissima review 1 . Riguardo alla sicurezza, i dati inerenti al<br />
trattamento acuto sono desunti dal largo impiego che ormai si fa come profilassi in gravidanza,<br />
sebbene, come cap<strong>it</strong>a spesso per farmaci utilizzati in gravidanza, non vi sia ancora un’indicazione<br />
specifica 25 . I dati più corposi sono a carico dell’enoxaparina (Clexane®) e a questa<br />
molecola si farà riferimento per ciò che concerne il trattamento.<br />
Nelle donne non gravide viene raccomandato un regime terapeutico che preveda la somministrazione<br />
di 1.5 mg/kg di enoxaparina in unica somministrazione giornaliera. Per ciò che<br />
concerne la gravidanza, a causa di alcune modificazioni di farmacocinetica, viene raccomandato<br />
un dosaggio di 1 mg/kg di enoxaparina due volte al dì.<br />
In linea di massima, la dose iniziale di enoxaparina può essere quella illustratata nella Tabella<br />
III. L’enoxaparina è presente in siringhe da 40, 60, 80 e 100 mg, per cui dovrebbe essere selezionato<br />
il dosaggio più vicino al peso pregravidico o al peso ad inizio gravidanza della paziente<br />
da trattare.<br />
Tabella III. Dosaggio iniziale di enoxaparina nel trattamento degli eventi tromboembolici acuti durante la gravidanza<br />
Peso pre-gravidico Dosaggio iniziale di enoxaparina<br />
< 50 kg 40 mg due volte al dì<br />
50-69 kg 60 mg due volte al dì<br />
70-89 kg 80 mg due volte al dì<br />
> 90 kg 100 mg due volte al dì<br />
NB: si ricorda che 1 mg = 100 UI<br />
Nel management iniziale di una TVP, gli arti inferiori dovrebbero essere alzati e sottoposti<br />
a compressione elastica graduata. Importante, naturalmente, la mobilizzazione. Se viene<br />
espletato il parto, soprattutto nelle donne con eventi tromboembolici ricorrenti, può essere<br />
utilizzato un filtro cavale temporaneo, cui si può ricorrere nel caso di controindicazioni all’utilizzo<br />
dell’anticoagulante. In alcuni centri attrezzati, la terapia trombol<strong>it</strong>ica, la frammentazione<br />
del trombo con catetere percutaneo o l’embolectomia chirurgica possono essere prese in<br />
considerazione, ma attualmente non vi sono indicazioni sul loro utilizzo in gravidanza.<br />
Naturalmente, nel caso di TVP con rischio di gangrena, il ricorso alla chirurgia potrebbe non<br />
essere differibile.<br />
VALUTAZIONE DI BASE PRIMA DI INIZIARE UN TRATTAMENTO ANTICOAGULANTE<br />
Esame emocromoc<strong>it</strong>ometrico con conta dei leucoc<strong>it</strong>i, prove emogeniche complete e<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
399
400<br />
Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto<br />
screening trombofilico dovrebbero essere esegu<strong>it</strong>i prima di iniziare un trattamento anticoagulante.<br />
Accanto a queste prove mirate, è fondamentale la valutazione della funzional<strong>it</strong>à renale<br />
(dosaggio dell’azotemia), epatica e degli elettrol<strong>it</strong>i, poiché un’alterazione a questo livello<br />
può compromettere il successo terapeutico. Sebbene i risultati dello screening trombofilico<br />
non alterino la condotta terapeutica dell’evento acuto, possono modificare l’impostazione dei<br />
dosaggi totali e della durata sul medio-lungo termine.<br />
TRATTAMENTO DI MANTENIMENTO PER TVP O EP<br />
- Terapia anticoagulante orale in gravidanza<br />
Dopo l’iniziale eparinizzazione dei pazienti affetti da tromboembolia, nelle donne non gravide<br />
la terapia anticoagulante viene mantenuta per os. Gli anticoagulanti orali attraversano in<br />
modo brillante la placenta, determinando una caratteristica embriopatia nel I trimestre (ipoplasia<br />
nasale), anomalie del sistema nervoso centrale ed emorragia fetale. È chiaro ed evidente<br />
che la terapia orale in qualsiasi trimestre della gravidanza è da proscrivere.<br />
- Terapia di mantenimento con eparina<br />
La terapia sottocutanea con UFH o LMWH è altrettanto efficace rispetto alla terapia orale<br />
nel trattamento di mantenimento di un episodio tromboembolico (grado di raccomandazione<br />
A) 17 .<br />
DURATA DELLA TERAPIA<br />
Nelle donne non gravide la durata della terapia con anticoagulanti è in genere di 6 mesi.<br />
Dal momento che la gravidanza è associata ad uno stato protrombotico per le modificazioni<br />
emodinamiche soprattutto a carico del circolo venoso e della cascata coagulativa, è prudente<br />
estendere la terapia di mantenimento a questo intervallo. Se l’evento tromboembolico<br />
si è manifestato precocemente nella gravidanza e i test sierologici non hanno evidenziato<br />
uno stato trombofilico, il dosaggio della UFH o delle LMWH può essere portato a livelli di<br />
profilassi (ad ex. 40 mg di enoxaparina una volta al giorno o 10.000 UI di UFH ripart<strong>it</strong>e in<br />
due somministrazioni giornaliere). Dopo il parto il trattamento dovrebbe proseguire per almeno<br />
6-12 settimane. È possibile uno shift verso la terapia orale (ad ex. Warfarin), poiché<br />
non è controindicata con l’allattamento.<br />
TERAPIA ANTICOAGULANTE DURANTE IL TRAVAGLIO DI PARTO<br />
La donna deve essere avvisata che la terapia anticoagulante deve essere sospesa una volta<br />
che la donna si presenta in sala parto. Se un travaglio di parto viene indotto, è opportuno<br />
ridurre ad un dosaggio profilattico la terapia anticoagulante il giorno prima dell’induzione e<br />
continuare tale dosaggio fino all’espletamento del parto, per poi riportarsi ai dosaggi terapeutici.<br />
Un’eventuale analgesia epidurale deve essere presa in considerazione solo dopo consul-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Emergenze trombotiche in gravidanza: eparinizzazione/trombolisi e timing del parto<br />
to con un’anestesista esperto. Nel caso di un taglio cesareo elettivo, si opta per un dosaggio<br />
profilattico il giorno prima dell’intervento, tralasciando la somministrazione del mattino (quando<br />
la donna viene operata) che va somministrato dopo 3-4 ore dal taglio cesareo. Il dosaggio<br />
terapeutico va ripristinato alla sera, a fronte di un rischio di ematoma della fer<strong>it</strong>a di circa<br />
il 2%. Per tale motivo, è utile lasciare in sede un piccolo drenaggio e chiudere la breccia cutanea<br />
con agraphes.<br />
PREVENZIONE DELLA SINDROME POST-TROMBOTICA<br />
La compressione graduata con calza elastica deve essere mantenuta sull’arto affetto per<br />
almeno due anni dall’episodio acuto.<br />
Conclusioni<br />
RACCOMANDAZIONI CHIAVE 17<br />
Qualsiasi donna con segni e sintomi suggestivi di TVP e/o EP dovrebbe essere rapidamente<br />
sottoposta a test diagnostici per ev<strong>it</strong>are i rischi, gli inconvenienti ed i costi di un inappropriato<br />
trattamento anticoagulante. Ogni ospedale dovrebbe avere un protocollo ad hoc (grado<br />
di raccomandazione B).<br />
Nel sospetto clinico di una TVP e/o EP il trattamento anticoagulante con UFH o LMWH<br />
dovrebbe essere iniziato, a meno che non vi siano forti controindicazioni, finchè i test diagnostici<br />
non abbiano escluso l’evento (grado di raccomandazione A).<br />
L’UFH sottocutanea è altrettanto efficace rispetto alla UFH somministrata a livello endovenoso<br />
(grado di raccomandazione A).<br />
Le LMWH sono più efficaci rispetto alle UFH perché presentano un minor tasso di mortal<strong>it</strong>à<br />
e minori complicazioni emorragiche nei soggetti non in gravidanza. Sono altrettanto efficaci<br />
nel trattamento dell’EP (grado di raccomandazione A).<br />
Durante la gravidanza le LMWH e le UFH in somministrazione sottocutanea sono altrettanto<br />
efficaci nella terapia di mantenimento di un tromboembolismo venoso rispetto alla terapia<br />
orale, senza i devastanti effetti collaterali fetali cui quest’ultima è associata (grado di raccomandazione<br />
A).<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE<br />
GESTIONE MULTIDISCIPLINARE<br />
DELLA CID<br />
V. Soini, R.Tercolo, M. Costantini, P. Lanza, S. Inglese, M.Vessella, S. Sacco<br />
Dipartimento Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
28<br />
Introduzione<br />
Il primo vero problema nei riguardi della CID (coagulazione intravascolare disseminata) è<br />
la definizione. Si tratta di una patologia che ogni medico deve conoscere e temere, in considerazione<br />
del fatto che solo una diagnosi tempestiva e corretta può salvare la v<strong>it</strong>a del paziente.<br />
Si verifica in un’ampia varietà di complicanze ostetriche ed è caratterizzata da un disordine<br />
trombo-emorragico associato a sindromi organiche ben defin<strong>it</strong>e e alterazione dei parametri<br />
della coagulazione, con attivazione di sostanze ad azione procoagulante, attivazione del<br />
sistema fibrinol<strong>it</strong>ico e consumo dei fattori della coagulazione. La possiamo meglio definire come<br />
una sindrome caratterizzata dall’attivazione massiva del sistema coagulativo, con formazione<br />
di grandi quant<strong>it</strong>à di trombina e precip<strong>it</strong>azione del fibrinogeno sottoforma di trombi di<br />
fibrina. Nella CID si ha quindi la coesistenza da un lato, di una coagulazione intravasale patologica<br />
e dall’altro, un’esaltata fibrinolisi a livello della microcircolazione periferica. Il risultato è<br />
un grave difetto emocoagulativo aggravato dall’azione anticoagulante degli FDP. A segu<strong>it</strong>o del<br />
consumo dei fattori della coagulazione e dell’attivazione del sistema fibrinol<strong>it</strong>ico, tale condizione<br />
può es<strong>it</strong>are, paradossalmente, in gravissime complicanze emorragiche, con consumo del<br />
fibrinogeno, delle piastrine e di altri fattori della coagulazione. È da sottolineare il fatto che la<br />
CID è sempre un fenomeno secondario, che segue sempre all’innesco di un’attiv<strong>it</strong>à coagulativa<br />
generalizzata. Come vedremo più avanti, le manifestazioni cliniche possono oscillare da<br />
lievi disordini della coagulazione, evidenti solo ai test di laboratorio, ad emorragie massive ed<br />
incontrollabili, con livelli molto bassi di fibrinogeno e piastrine. La mancata prevenzione o diagnosi<br />
precoce di CID rappresenta una delle cause principali di inadeguato trattamento nelle<br />
donne che muoiono di emorragia ostetrica e, nonostante i progressi dell’assistenza ostetrica<br />
e dei servizi di ematologia, l’emorragia associata a CID rappresenta una delle maggiori cause<br />
di mortal<strong>it</strong>à e di morbil<strong>it</strong>à materna.<br />
Incidenza<br />
A causa della vast<strong>it</strong>à delle complicanze ostetriche che possono accompagnarsi ad una CID<br />
403
404<br />
Gestione multidisciplinare della CID<br />
e della variabil<strong>it</strong>à della grav<strong>it</strong>à del fenomeno, è impossibile c<strong>it</strong>are una incidenza media della<br />
patologia, ma l’incidenza di CID grave con emorragia incontrollabile è stimata intorno allo 0,1%<br />
di tutte le gravidanze.<br />
Non esistono studi basati sulla popolazione o studi controllati sulle coagulopatie in gravidanza,<br />
a causa dei piccoli numeri che vengono osservati da ciascun dipartimento. L’incidenza<br />
di CID in rapporto alle varie complicanze è molto variabile, poiché vengono utilizzati spesso<br />
cr<strong>it</strong>eri diagnostici differenti.<br />
Etiologia<br />
La gravidanza può cost<strong>it</strong>uire una condizione predisponente alla CID in quanto si realizzano<br />
fisiologiche modificazioni della crasi ematica e coagulativa che aumentano la probabil<strong>it</strong>à<br />
d’insorgenza e la grav<strong>it</strong>à di una CID.<br />
Il meccanismo patogenetico della CID in ostetricia può essere innescato da molteplici cause:<br />
la presenza in circolo di sostanze ad azione procoagulante, un danno endoteliale dei piccoli<br />
vasi o la presenza di fosfolipidi procoagulanti, che vengono liberati in risposta ad emolisi<br />
intravascolare, sono pertanto tre i fattori che giocano un ruolo importante nell’etiologia della<br />
CID.<br />
Condizioni cliniche non ostetriche correlate alla CID in base al meccanismo<br />
eziopatogenetico<br />
1. Immissione in circolo di attivatori della protrombina:<br />
- Condizioni ostetriche (embolia di liquido amniotico aspirato dopo il parto, distacco precoce<br />
di placenta, atonia con emorragia post-partum, aborto settico, r<strong>it</strong>enzione di feto morto,<br />
aborto da cloruro di sodio, ecc);<br />
- Interventi su organi ricchi di trombochinasi, per es. sul polmone, pancreas, prostata, placenta<br />
(4P);<br />
- Emolisi grave, per es. per incompatibil<strong>it</strong>à trasfusionale;<br />
- Veleno di serpente;<br />
- Stati neoplastici terminali con liberazione in circolo di sostanze tromboplastinosimili, nelle<br />
leucemie.<br />
2. A tivazione della coagulazione tram<strong>it</strong>e mediatori:<br />
- Endotossine di batteri gram negativi in gravide;<br />
- Sindrome di Waterhouse Friderichsen (coagulopatia da consumo con emorragia cutanea,<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
shoch, rigid<strong>it</strong>à nucale ed emorragie cutanee e surrenali nella sepsi da Meningococco);<br />
- Coagulopatia da consumo nella setticemia da batteri gram negativi;<br />
- Porpora fulminante: affezione acuta, con microtrombi vasale post-infettiva con emorragie<br />
cutanee estese e simmetriche della cute e necrosi centrale e CID.<br />
Condizioni ostetriche<br />
Danno dell’endotelio vascolare<br />
- Pre- eclampsia<br />
- Shock ipovolemico<br />
- Shock settico<br />
Rilascio di fattori tromboplastinici tissutali<br />
- Distacco di placenta normoinser<strong>it</strong>a<br />
- Embolia di liquido amniotico<br />
- R<strong>it</strong>enzione di feto morto<br />
- Corionamnion<strong>it</strong>e<br />
- Mola idatiforme<br />
- Placenta accreta<br />
- Soluzione fisiologica ipertonica per indurre un aborto<br />
- Statosi epatica acuta<br />
Produzione di fosfolipidi procoagulanti<br />
- Emorragia feto- materna<br />
- Incompatibil<strong>it</strong>à trasfusionale<br />
- Setticemia<br />
- Emolisi intravascolare<br />
In defin<strong>it</strong>iva, la penetrazione in circolo di fattori tromboplastinici, la presenza di fosfolipidi<br />
procoagulanti o un danno endoteliale provocano la conversione della protrombina circolante<br />
a trombina, quindi la precip<strong>it</strong>azione del fibrinogeno sotto forma di trombi di fibrina specialmente<br />
nei piccoli vasi periferici di tutti gli organi e tessuti.<br />
La presenza di tali microtrombi attiva localmente i processi fibrinol<strong>it</strong>ici, che attaccano enzimaticamente<br />
la fibrina e tendono a restaurare la pervietà vascolare.<br />
Una volta che la CID è iniziata, si innesca un circolo vizioso, con ulteriore consumo dei<br />
fattori della coagulazione, delle piastrine e peggioramento del sanguinamento, fino a che non<br />
si corregge la causa scatenante.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
405
406<br />
Gestione multidisciplinare della CID<br />
Rischi<br />
I rischi materni e fetali da coagulopatia, in termini di mortal<strong>it</strong>à e morbil<strong>it</strong>à sono paragonabili<br />
a quelli che si riscontrano nelle emorragie ostetriche maggiori.<br />
Rischi materni:<br />
- Morte: 5,5 casi per milione di gravidanze. Questo rischio aumenta con la par<strong>it</strong>à e l’età materna<br />
sino a 20 per milione di gravidanze nel gruppo di età superiore a 35 anni.<br />
- Morbil<strong>it</strong>à maggiore.<br />
- Morbid<strong>it</strong>à iatrogena da sovraccarico idrico, da reazioni avverse alle trasfusioni, dal cateterismo<br />
venoso centrale. L’errore medico più comune, tuttavia, deriva da una sottostima della<br />
perd<strong>it</strong>a ematica, con conseguente insufficiente apporto di liquidi nelle fasi iniziali.<br />
- Anemia.<br />
- Sindrome di Sheehan in quanto una grave emorragia può provocare ipop<strong>it</strong>u<strong>it</strong>arismo permanente<br />
per necrosi avascolare dell’ ipofisi.<br />
- Riduzione della fertil<strong>it</strong>à per diverse cause: isterectomia, lesioni del tratto gen<strong>it</strong>ale che hanno<br />
richiesto altri interventi chirurgici, formazione di aderenze uterine ed infezioni secondarie<br />
con occlusione delle tube. A causa dell’ esperienza traumatica, inoltre, molte di queste<br />
pazienti non vogliono portare avanti un’ altra gravidanza, anche quando la CID ha portato<br />
a decesso del nasc<strong>it</strong>uro.<br />
Rischi fetali:<br />
- Mortal<strong>it</strong>à dovuta ad asfissia<br />
- Ipossia cerebrale<br />
- Complicanze associate alla prematur<strong>it</strong>à<br />
Qui di segu<strong>it</strong>o faremo un cenno delle principali cause ostetriche che possono creare un<br />
substrato per l’instaurarsi dei una CID mentre nel cap<strong>it</strong>olo inerente la terapia prenderemo in<br />
esame il trattamento terapeutico di ciascuna causa qui sotto riportata.<br />
DISTACCO DI PLACENTA<br />
Il DIPNI resta la causa più comune di coagulopatie in ostetricia e si correla al grado di separazione<br />
placentare ed allo shock ipovolemico. Nei distacchi gravi con morte del feto, si osserva<br />
grave ipofibrinogenemia (stadio 3 della CID) nel 35%-38% dei casi e questa incidenza<br />
è molto inferiore in caso di feto vivo. Gli stadi precoci di CID sono molto comuni in presenza<br />
di distacchi lievi e moderati, ma possono di sol<strong>it</strong>o essere corretti se si procede rapidamente<br />
all’ espletamento del parto per via addominale.<br />
Il meccanismo iniziale è rappresentato dal rilascio di sostanze tromboplastiniche, ma nei<br />
casi di shock ipovolemico da distacco grave, la s<strong>it</strong>uazione è peggiorata dai livelli elevati di prodotti<br />
di degradazione della fibrina, che agiscono essi stessi da anticoagulanti. Il 10% delle pa-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
zienti con DIPNI mostrano anormal<strong>it</strong>à coagulative significative, lo stillicidio continuo o sanguinamento<br />
dal naso e dalle gengive può far sospettare la complicanza coagulativa. L’emorragia<br />
postpartum è la causa più frequente di morte nelle pazienti con DIPNI.<br />
Alcuni studi hanno dimostrato che la valutazione ecografica ed il dosaggio della trombomodulina<br />
(che risulta aumentata) risultano essere a volte mezzi diagnostici. Gli FDP sono importanti<br />
perché hanno un’azione anticoagulante, inibiscono l’attiv<strong>it</strong>à miometriale, hanno un effetto<br />
cardiotossico in dosi elevate ed infine sono associati ad emorragia postpartum severa<br />
soprattutto in donne con DIPNI.<br />
In ogni caso è controindicata l’anestesia locale o analgesia perché può peggiorare la condizione<br />
di ipovolemia causando l’espansione del letto vascolare degli arti inferiori risultante<br />
dal blocco regionale.<br />
EMBOLIA DI LIQUIDO AMNIOTICO<br />
Questo disastro ostetrico avviene per lo più durante il travaglio con sacco amniotico integro,<br />
talora durante un taglio cesareo o immediatamente dopo il parto. Comporta una mortal<strong>it</strong>à<br />
materna superiore al 60% nelle pazienti sintomatiche ed è la causa del 10-20% di tutte<br />
le morti materne (5° causa di morte materna nel Regno Un<strong>it</strong>o, 3° causa in Francia). In un’alta<br />
percentuale (oltre il 50%) le sopravvissute presentano sequele neurologiche. Si r<strong>it</strong>iene che<br />
il liquido amniotico penetri in circolo attraverso soluzioni di continuo della placenta e/o del<br />
segmento uterino inferiore, provocando trombi piastrinici nei vasi polmonari e grave insufficienza<br />
cardio-respiratoria. In questa fase la mortal<strong>it</strong>à è molto elevata, ma se la paziente supera<br />
l’insulto iniziale svilupperà una CID massiva, con livelli ematici non dosabili dei fattori della<br />
coagulazione. La diagnosi può essere confermata postmortem tram<strong>it</strong>e il rilevamento di liquido<br />
amniotico e squame fetali all’interno del circolo polmonare materno, e pertanto l’incidenza<br />
dei casi a prognosi infausta è difficile da definire, dal momento che la diagnosi è solo suggestiva<br />
e non può essere provata.<br />
In realtà il riscontro di materiale fetale a livello dei vasi polmonari non è più patognomonico<br />
di embolia polmonare da quando si sono avuti casi di riscontro dello stesso in pazienti<br />
non andate incontro ad embolia polmonare da liquido amniotico. Occasionalmente sostanze<br />
di origine fetale possono essere aspirate dal catetere PVC o rilevate a livello dello sputum<br />
materno. L’obiettivo terapeutico principale è mantenere la circolazione sistemica fino a che la<br />
risposta fibrinol<strong>it</strong>ica dell’endotelio non elimina la trombina intravascolare a livello polmonare.<br />
RITENZIONE DI FETO MORTO<br />
Dopo il riscontro diagnostico di una morte intrauterina si osserva una graduale riduzione<br />
dei fattori della coagulazione, che sono rilevabili ai test di laboratorio dopo circa 3- 4 set-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
407
408<br />
Gestione multidisciplinare della CID<br />
timane. Circa l’80% della pazienti con un feto morto r<strong>it</strong>enuto andrà incontro a travaglio spontaneo<br />
entro 3 settimane, ma il 30% di quelle che non partoriscono entro 4 settimane andrà<br />
incontro ad una CID di basso grado (compensata), che può però sfociare in una forma tromboemorragica<br />
acuta.Tessuto necrotico fetale e sostanze di tipo tromboplastinico, provenienti<br />
dall’autolisi fetale, vengono rilasciate nella circolazione sistemica materna determinando l’<br />
attivazione dei sistemi coagulativo e fibrinol<strong>it</strong>ico con conseguente CID e coagulopatia da consumo.<br />
La condizione è oggi molto più rara, dal momento che la conferma della morte endouterina<br />
viene effettuata tram<strong>it</strong>e ecografia, i test della coagulazione sono controllati regolarmente<br />
e l’induzione del travaglio viene effettuata molto prima che siano trascorse 3- 4 settimane.<br />
In queste pazienti a travaglio avviato viene consigliata la rottura del sacco amniotico perché<br />
si è visto che c’è un rischio aumentato di travaglio precip<strong>it</strong>oso ed embolia da liquido amniotico.<br />
In caso di r<strong>it</strong>enzione di singolo feto morto in gravidanze pretermine plurigemine per<br />
condizioni cliniche di vario genere (esempio: disordini genetici, sindrome di trasfusione fetofetale)<br />
la discoagulopatia in realtà riguarda il feto rimanente più che la madre. La risoluzione<br />
ad eventuale insorgenza, seppur di fasi iniziali, di CID è sicuramente una diagnosi precoce di<br />
morte fetale e successivamente espletamento del parto<br />
PRE-ECLAMPSIA<br />
Sebbene etiologia e patogenesi di questa condizione non siano ben defin<strong>it</strong>e, lo sviluppo<br />
della sindrome conosciuta come pre-eclampsia sembra derivare da un danno endoteliale generalizzato,<br />
provocato da fattori rilasciati in circolo dalla placenta. Lo stimolo per il rilascio di<br />
tali fattori è dato dall’insufficienza utero- placentare e dall’ ischemia placentare ed il danno endoteliale<br />
diffuso spiega la varietà di organi coinvolti, compreso il sistema della coagulazione.<br />
I disturbi precoci sono rappresentati da una riduzione della conta piastrinica in una paziente<br />
altrimenti asintomatica, a causa del danno endoteliale, del consumo delle piastrine materne<br />
ed aumento degli FDP.<br />
A seconda della sever<strong>it</strong>à del quadro clinico avremo approcci diversi.<br />
SEPSI<br />
Questa è una complicanza ostetrica che sta scomparendo però, se non riconosciuta e<br />
prontamente trattata, può portare a decesso della paziente.<br />
Lo shock endotossico può seguire a corionamnion<strong>it</strong>e, aborto settico, infezioni endouterine<br />
del post- partum e quindi scatenare una discoagulpatia imporatnte. I germi isolati comunemente<br />
sono Gram negativi, sebbene si possano anche incontrare Clostridium welchi e<br />
Bacteroides soprattutto in corso di aborto settico.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
In tale condizione una CID può attivarsi attraverso due meccanismi diversi, a seconda che<br />
i germi in causa siano Gram+ oppure Gram-. Nel primo caso si realizza una distruzione granuloc<strong>it</strong>aria<br />
con liberazione di elastasi e di tromboplastina che determinano, rispettivamente,<br />
riduzione dell’ attiv<strong>it</strong>à dell’ ant<strong>it</strong>rombina III e attivazione della coagulazione. In caso di sepsi<br />
da Gram-, il danno è mediato da endotossine, con distruzione leucoc<strong>it</strong>aria, lesione vasale endoteliale<br />
e conseguente aggregazione piastrinica, attivazione della coagulazione ed eventuale<br />
CID.<br />
Successivamente, possono comparire emolisi intravascolare secondaria, con ematuria ed<br />
oliguria caratteristiche, emolisi microangiopatica con il possibile sviluppo di lesioni cutanee simili<br />
alla porpora. Sepsi, ipotensione ed anomalie della coagulazione sono segni prognostici negativi<br />
per l’ instaurarsi di una coagulopatia da consumo.<br />
La trasfusione di sangue ha effetto quasi nullo in questa condizione rispetto a quello che<br />
accade nelle condizioni ostetriche complicate da CID scatenata dallo shock ipovolemico.<br />
PURPURA FULMINANS<br />
È una rara condizione che si presenta per lo più in puerperio ed è aggravata sol<strong>it</strong>amente<br />
da una setticemia da Gram negativi. Si pensa ci sia un’attivazione del sistema coagulativo con<br />
deposizione di trombi di fibrina a livello dei vasi cutanei e di altri organi; si manifesta inizialmente<br />
a livello del volto e degli arti sotto forma di macchie color porpora a margini frastagliati<br />
er<strong>it</strong>ematosi che istologicamente sono sede di vascul<strong>it</strong>e leucoc<strong>it</strong>oclastica. La rapida evoluzione<br />
di questa patologia porta a shock, tachicardia, febbre ed anche a morte, se non trattata<br />
per tempo, anche se le pazienti sopravvissute sono comunque a rischio di andare incontro<br />
ad amputazione di d<strong>it</strong>a o arti a segu<strong>it</strong>o di lesioni gangrenose e necrosi degli stessi.<br />
L’associazione CID e leucoc<strong>it</strong>osi è segno laboratoristico di purpura fulminans. Non appena<br />
si ha il sospetto di questo tipo di diagnosi si dovrebbe iniziare una terapia con eparina per<br />
ev<strong>it</strong>are l’ ulteriore consumo dei fattori della coagulazione.<br />
Altri fattori di rischio<br />
Altre condizioni rare, in gravidanza, ma che possono essere associate a CID e ad alterazioni<br />
della coagulazione comprendono l’ aborto indotto con soluzione fisiologica ipertonica,<br />
la steatosi epatica acuta gravidica ed altri disordini epatici.<br />
La mole idatiforme e la placenta accreta si associano a CID in segu<strong>it</strong>o alla perd<strong>it</strong>a dell’ integr<strong>it</strong>à<br />
della decidua basale, che facil<strong>it</strong>a il passaggio di liquido amniotico e di altre sostanze<br />
tromboplastiniche nel circolo materno.<br />
L’ accretismo placentare, che rappresenta un altro fattore di rischio, (condizione frequen-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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410<br />
Gestione multidisciplinare della CID<br />
temente associata a placenta previa o casi di pregresso taglio cesareo e quindi cicatrice uterina)<br />
si manifesta nella quasi total<strong>it</strong>à dei casi con emoraggia massiva, durante un secondamento<br />
difficoltoso, da cui appunto si può innescare il meccanismo della CID. Il trattamento consiste<br />
nell’isterectomia d’urgenza o nell’embolizzazione arteriosa, metodo quest’ultimo conservativo<br />
ma utilizzato in rari casi.<br />
Ricordiamo inoltre la trasfusione di sangue incompatibile, le vaste emorragie feto-materne<br />
e altre cause di emolisi intravascolare, quali reazioni a farmaci e uso di altri liquidi di mantenimento.<br />
La statosi epatica gravidica (AFLP) è associata frequentemente ai diversi stadi della CID;<br />
la diagnosi e il suo trattamento precoce sono essenziali per il miglioramento della sopravvivenza<br />
della madre e del feto. Si è notato che prima dell’insorgenza dei sintomi conclamati della<br />
malattia si ha la comparsa di alterazioni dei parametri ematochimici (tromboc<strong>it</strong>openia con<br />
neutrofilia) tra i quali si evidenziano valori molto bassi di ATIII. In effetti il trattamento dell’<br />
ALFP e della conseguente CID comprende la somministrazione di ATIII concentrata; in tali<br />
condizioni la somministrazione di eparina può essere molto dannosa.<br />
CLINICA<br />
Il quadro clinico della CID dipende dall’ent<strong>it</strong>à del disturbo emocoagulativo, dalla veloc<strong>it</strong>à<br />
con cui si instaura, nonché dallo stadio e dalla sever<strong>it</strong>à della sindrome.<br />
Dal punto di vista clinico particolarmente temibile in ostetricia è la sintomatologia emorragica,<br />
secondaria appunto a coagulopatia da consumo. Può trattarsi di un sanguinamento subdolo,<br />
persistente (tipico delle sindromi a prevalente componente fibrinol<strong>it</strong>ica), oppure di una<br />
complicanza emorragica acuta.<br />
Il sanguinamento può pervenire da vie vascolari aperte come la cav<strong>it</strong>à uterina dopo il distacco<br />
della placenta, totale o parziale, da lacerazioni occorse durante il parto, da incisioni chirurgiche<br />
oppure dalle sedi di esecuzione di punture.<br />
Emorragie possono insorgere anche spontaneamente sotto forma di petecchie, ecchimosi,<br />
epistassi, ematuria.<br />
Il malato presenta shock, polso piccolo e frequente, ag<strong>it</strong>azione, pallore, sudorazione fredda<br />
e labbra cianotiche; possibilmente ha delle petecchie e/o porpora emorragica, ossia delle<br />
macchie che sembrano “piccoli nevi puntiformi” diffusi in tutto il corpo, mentre si manifestano<br />
emorragie. Più raramente possiamo avere acrocianosi periferica, trombosi e alterazioni pregangrenose<br />
delle d<strong>it</strong>a, del naso e dei gen<strong>it</strong>ali aree in cui il flusso sanguigno è ridotto dal vasospasmo<br />
o dai microtrombi.<br />
A seconda dei distretti interessati possiamo inoltre avere sintomi:<br />
- neurologici: coma, delirio, convulsioni<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
- renali: oliguria, anuria<br />
- gastrointestinali: ematemesi, melena<br />
- epatici: <strong>it</strong>tero<br />
- polmonari: dispnea<br />
La CID in ostetricia può presentarsi in forma latente, in assenza di sintomatologia e di defic<strong>it</strong><br />
emostatico o in forma manifesta oppure associata a complicanze gravi o a shock.<br />
Nella CID riscontriamo tre fasi:<br />
1. Fase pre-CID: presenza di malattie e stati a rischio<br />
2. Fase della CID: alterazioni di laboratorio e diatesi emorragica<br />
3. Fase post-CID: ipercoagulabil<strong>it</strong>à reattiva, ma via via non si rilevano i prodotti di degradazione<br />
del fibrinogeno che in un primo memento sono presentati ad alto dosaggio.<br />
Nel luglio 2001, l’International Society on Thrombosis and Haemostasis ha proposto un algor<strong>it</strong>mo<br />
per valutare se il paziente è affetto da CID:<br />
1 Disordine sottostante già noto associato a CID SI NO<br />
2 continua stop<br />
3 Conta piastrinica: >100=0; se 1g/l= 0; se 5 → CID manifesta e si ripete la valutazione,<br />
- Se < 5 ma > 0 →<br />
CID non confermata, si ripete al entro 1, 2 giorni.<br />
Nelle forme acute si osservano emorragie profuse (uterine, cutanee o mucose), incoagulabil<strong>it</strong>à<br />
del sangue secondaria a diminuzione del fibrinogeno circolante con d<strong>it</strong>ruzione quasi<br />
completa mentre nelle forme croniche o sub-acute i fenomeni emorragici sono scarsi o addir<strong>it</strong>tura<br />
assenti.<br />
I ST<strong>AD</strong>IO II ST<strong>AD</strong>IO III ST<strong>AD</strong>IO<br />
Forma compensata Forma scompensata Forma altamente scompensata<br />
(pre-eclampsia e sdr correlate) (DIPNI, pre-eclampsia grave) (DIPNI, eclampsia, embolia di liquido amniotico)<br />
Nessuna manifestazione Nessuna manifestazione Emorragia in atto<br />
emorragica emorragica<br />
> FDP > FDP > FDP<br />
> Fibrinopeptide A > Fibrinopeptide A > Fibrinopeptide A<br />
< Fibrinogeno < Fibrinogeno<br />
< PLT < PLT<br />
< Fattore V Diminuzione di tutti i fattori<br />
< Fattore VII della coagulazione<br />
< ATIII < ATIII < ATIII<br />
< Proteina C < Proteina C < Proteina C<br />
< Proteina S < Proteina S < Proteina S<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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Gestione multidisciplinare della CID<br />
Nelle forme acute si osservano emorragie profuse (uterine, cutanee o mucose), incoagulabil<strong>it</strong>à<br />
del sangue secondaria a diminuzione del fibrinogeno circolante con distruzione quasi<br />
completa mentre nelle forme croniche o sub-acute i fenomeni emorragici sono scarsi o addir<strong>it</strong>tura<br />
assenti. Sol<strong>it</strong>amente gli stadi I e II hanno un decorso sub-acuto o cronico però possono<br />
evolvere repentinamente ed in breve tempo al III stadio.<br />
Nei casi in cui l’esordio è improvviso e il decorso è grave ci si può trovare di fronte sub<strong>it</strong>o<br />
al III stadio senza che ci sia un vero passaggio dallo stadio I, II, III.<br />
Diagnosi<br />
È la fase più delicata della CID e presuppone che un medico abbia il sospetto clinico di<br />
ciò che cerca e presuppone l’attenta ed umile valutazione del malato.<br />
La diagnosi di una CID acuta è prospettabile in base al quadro clinico delle emorragie profuse.<br />
Se c’è CID la paziente sanguina da più di un organo o tessuto ed anche dalla zona ove<br />
vengono fatte le iniezioni. Di fronte ad un paziente con grave emorragia in atto, l’urgenza non<br />
consente di perdere tempo in complessi studi della coagulazione; invece ci si deve lim<strong>it</strong>are a<br />
pochi esami praticabili senza indugio ed a prelevare un abbondante campione di sangue prima<br />
di iniziare ogni tipo di terapia, campione che verrà sottoposto in un secondo tempo agli<br />
esami più complessi a scopo di documentazione e chiarimento diagnostico dettagliato. Non<br />
appena si osserva un sanguinamento preoccupante da qualunque sede bisognerebbe prelevare<br />
10-20 ml di sangue per le prove crociate e per le indagini di laboratorio, prima di iniziare<br />
la rianimazione.<br />
Per ev<strong>it</strong>are risultati inattendibili è importante:<br />
- Attuare un prelievo rapidamente<br />
- Attuare il prelievo in modo poco traumatico (per ev<strong>it</strong>are aggregazione piastrinica)<br />
- Non lasciare applicato il laccio emostatico tanto tempo prima della veni puntura (perché<br />
la prolungata stasi venosa può provocare attivazione locale della fibrinolisi)<br />
- Non effettuare il prelievo da cateteri o cannule venose<br />
Nelle forme sub-acute e croniche il problema diagnostico è meno presente; qui la s<strong>it</strong>uazione<br />
emocoagulativa può essere più agevolmente precisata nella sua patogenesi e documentata<br />
nella sua evoluzione, sfruttando metodi laboratoristici più complessi. Si valuteranno: FDP,<br />
fibrinopeptide A, ATIII e le prove dell’attiv<strong>it</strong>à fibrinol<strong>it</strong>ica.<br />
Laboratorio<br />
Come sopra c<strong>it</strong>ato in caso di un sanguinamento preoccupante bisognerebbe prelevare im-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
mediatamente 10-20 ml di sangue per le prove crociate e le indagini di laboratorio, e successivamente<br />
procedere al trattamento rianimatorio.<br />
Il tempo di trombina è il test più rapido di efficienza emostatica, dal momento che tale<br />
valore risulta aumentato in caso di ipofibrinogenemia e di aumento dei frammenti di degradazione<br />
della fibrina (FDP). Il prelievo dovrebbe essere utilizzato anche per il dosaggio degli<br />
FDP, dal momento che il loro aumento in fase acuta testimonia la presenza di CID; il test però<br />
dovrebbe essere posticipato fino alla fine dell’emergenza, dal momento che il risultato non<br />
è utile per il trattamento acuto.<br />
I test di screening dovrebbero essere ripetuti ad intervalli regolari durante tutto il periodo<br />
di rianimazione per valutare la necess<strong>it</strong>à di somministrare emocomponenti specifici quali<br />
le piastrine.<br />
Esami dirimenti da eseguire in corso di emorragia massiva<br />
Emocromo < continua delle PLT (anche nel giro di 30, 40 minuti)<br />
Fibrinogeno < veloce<br />
ATIII < veloce<br />
FDP ><br />
D-Dimero ><br />
PT <<br />
PTT ><br />
Indicativi di CID<br />
< Fibrinogeno<br />
> PT<br />
> PTT<br />
< PLT<br />
< ATIII<br />
Indicativi per una condizione di pre-CID<br />
< ATIII<br />
< alfa2 antiplasmina<br />
Nelle forme latenti si osserva da una parte una riduzione del fibrinogeno, delle PLT, dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
dell’ATIII e dall’altra un aumento degli FDP, del D- dimero, del PT e del PTT con presenza<br />
di schistoc<strong>it</strong>i circolanti.<br />
Nelle forme conclamate, con defic<strong>it</strong> emostatico evidente, si possono rilevare analoghe, ma<br />
più marcate, alterazioni dei parametri coagulativi.<br />
Un’alterazione di almeno tre o quattro dei sopracc<strong>it</strong>ati parametri (soprattutto la riduzione<br />
del fibrinogeno, delle piastrine e un concom<strong>it</strong>ante aumento di PT e PTT) devono far supporre<br />
ad una diagnosi di CID.<br />
Notevole valore diagnostico è stato riconosciuto al dosaggio del D-dimero (che risulta<br />
aumentato), soprattutto se associato al dosaggio dell’ATIII (diminu<strong>it</strong>o), del fibrinopeptide A,<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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Gestione multidisciplinare della CID<br />
marcatore del danno endoteliale e degli FDP (che risultano entrambi aumentati).<br />
Il D-dimero può essere considerato un indice globale di attivazione emostatica, in quanto<br />
è il prodotto finale di una sequenza di reazioni comprendenti: la proteolisi selettiva del fibrinogeno<br />
ad opera della trombina, la stabilizzazione della fibrina da parte del fattore XIII ed<br />
infine la degradazione della fibrina stabilizzata ad opera della plasmino, perciò è sempre indice<br />
di fibrinoformazioene e quindi, ad alti livelli, di rischio trombotico.<br />
Elevati FDP Elevato consumo di fibrinogeno NO CID<br />
Basso D-Dimero Normale formazione di fibrina<br />
Elevati FDP Elevato consumo di fibrinogeno SOSPETTA CID<br />
Elevato D-Dimero E formazione di fibrina<br />
La determinazione di uno solo dei parametri non è invece sufficiente a dare indicazioni<br />
valide in caso di sospetta CID.<br />
Quindi il dosaggio di tali parametri ematochimici consente di identificare precocemente<br />
forme latenti di CID.Tale diagnosi precoce, in ostetricia, è di cruciale importanza, in quanto<br />
rappresenta uno dei principali fattori in grado di influenzare favorevolmente la prognosi. La<br />
normal<strong>it</strong>à di ATIII esclude una CID. Nel 60% delle pazienti con CID acuta osserviamo un aumento<br />
del PT e PTT aspetti questi che osserviamo più raramente in un quadro di CID cronica.<br />
Comunque il parametro che meglio indica la presenza di CID è la diminuzione dell’ATIII<br />
indicativa che il consumo dei fattori della coagulazione supera la produzione.<br />
Opzioni terapeutiche<br />
È una terapia spesso e volentieri drammatica in quanto tale sindrome, sebbene a volte caratterizzata<br />
da un decorso torpido, può causare emorragie fatali e può richiedere una terapia<br />
d’emergenza; il trattamento della malattia scatenante è imperativo.<br />
Il principio fondamentale del trattamento è l’identificazione e la rapida correzione della<br />
causa di base.<br />
Nel trattamento della CID in ostetricia possono essere attivati tre ordini di terapia: ostetrica,<br />
medica e chirurgica. Bisognerà tenere conto dell’età della paziente, della causa della CID<br />
e, soprattutto, del prevalere della componente trombotica, della componente emorragica, o<br />
dei danni d’organo. In ostetricia, la s<strong>it</strong>uazione clinica da affrontare è, quasi sempre, di tipo emorragico.<br />
Sarà quindi necessario attivare contemporaneamente:<br />
- Una terapia ostetrica specifica, evidenziando tempestivamente le fonti del sanguinamento,<br />
con successiva revisione delle vie del parto e sutura accurata di eventuali lesioni. Dove<br />
necessario si dovrà procedere a tamponamento stipato utero- vaginale e all’uso di uterotonici,<br />
per favorire un’emostasi meccanica.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
- Una terapia medica di sostegno della volemia e/o di correzione dell’anemia, mediante infusione<br />
di plasma, sangue fresco, plasma expanders, emazie concentrate.<br />
- Una terapia sost<strong>it</strong>utiva dei fattori della coagulazione consumati<br />
- Un trattamento medico di blocco dell’attivazione della CID, che si avvale dell’eparina calcica,<br />
dell’ATIII.<br />
- Protocollo profilattico per prevenire le recidive in caso di CID cronica<br />
Il ricorso alla terapia chirurgica va preso in considerazione nei casi in cui l’utero è l’evidente<br />
e persistente punto di partenza delle sostanze attivanti la CID (aborto settico, distacco<br />
placentare con apoplessia utero-placentare), oppure nei casi in cui si r<strong>it</strong>iene necessario eliminare<br />
la fonte di sanguinamento di maggior ent<strong>it</strong>à.<br />
È chiaro comunque che la prognosi di una CID conclamata, risulta condizionata in modo<br />
cruciale, dal tempestivo riconoscimento della sua fase patogenetica clinica. È questa diagnosi<br />
precoce che consente poi di programmare una terapia mirata. Se l’emorragia è grave, è indicata<br />
una terapia sost<strong>it</strong>utiva: concentrati di piastrine per correggere la tromboc<strong>it</strong>openia (e anche<br />
come fonte del fattore V piastrinico); crioprecip<strong>it</strong>ati per reintegrare il fibrinogeno e il fattore<br />
VIII; plasma fresco congelato per aumentare il tasso del fattore V e di altri fattori della<br />
coagulazione e come fonte di ATIII, che può anch’essa risultare ridotta a segu<strong>it</strong>o di una CID.<br />
Il trattamento, quindi, comprende:<br />
1. Aggressiva terapia della causa scatenante la coagulopatia<br />
2. Supporto con emoderivati in presenza di sanguinamento o alto rischio<br />
- PLT se piastrinopenia < 50.000<br />
- Plasma fresco congelato:15 cc/kg<br />
3. Antibiotico terapia nei casi opportuni (cefalosporine di terza generazione in prima battuta<br />
e successiva antibiotico terapia mirata dopo antibiogramma)<br />
Distintamente dalla fase della CID il trattamento comprende:<br />
Nella fase pre-CID:<br />
- come profilassi si impiegano eparina a 500 UI/ora in pompa infusionale, riducendo se necessario,<br />
mon<strong>it</strong>orizzando la coagulazione.<br />
Durante la CID:<br />
- si impiega un prodotto concentrato a base di ATIII, in quant<strong>it</strong>à necessario per un ripristino<br />
normale dell’ATIII (circa 3000-5000 di ATIII)<br />
- plasma fresco per integrare il fibrinogeno ridotto; se il tempo di Quick è ridotto e se il<br />
PTT sale, almeno 500 ml nelle prime due ore; qui non si impiega eparina<br />
Nella fase di post-CID:<br />
- eparina per ridurre l’ipercoagulabil<strong>it</strong>à<br />
- ATIII se la sua attiv<strong>it</strong>à scende al di sotto dell’ 80%.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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416<br />
Gestione multidisciplinare della CID<br />
Nel caso di CID acuta è opportuno se non è presente una perd<strong>it</strong>a ematica, dare eparina<br />
a piccole dosi anche se generalmente non è indicata a bloccare la CID, se la malattia causale<br />
può essere prontamente controllata.<br />
Tuttavia, la somministrazione di eparina può essere appropriata qualora i rilievi clinici suggeriscano<br />
lo sviluppo di complicanze trombotiche e consumo di fibrinogeno (per esempio,<br />
quando si vada manifestando un’oliguria progressiva nonostante la P.A. e il volume vascolare<br />
siano normali, va considerata seriamente la possibil<strong>it</strong>à di una progressiva deposizione di fibrina<br />
nel letto capillare glomerulare; oppure quando una cianosi ingravescente e la freddezza<br />
delle d<strong>it</strong>a delle mani e dei piedi depongono per un’incipiente gangrena). L’eparina non è assolutamente<br />
da utilizzare in presenza di grave emorragia come nel terzo stadio della CID qui<br />
è più utile impiegare un concentrato di ATIII.<br />
Nella CID al I-II stadio ed anche in quella al III stadio dopo la cessazione dell’emorragia,<br />
l’eparina può essere impiegata con prof<strong>it</strong>to sia al dosaggio “pre-anticoagulante” sia anche a<br />
dosi piene.<br />
L’uso di eparina nel trattamento del sanguinamento sembra tutt’ora controverso. Sebbene<br />
il suo utilizzo sia un modo logico per ridurre la produzione di trombina e per prevenire un<br />
ulteriore consumo dei fattori della coagulazione, essa dovrebbe essere riservata a pazienti con<br />
trombosi o a quelli che, nonostante l’ energico trattamento con plasma e piastrine, continuano<br />
a sanguinare.<br />
Il trattamento profilattico con eparina può prevenire la progressione della CID.<br />
Si conclude però che non esistono prove defin<strong>it</strong>ive che suggeriscano che l’eparina fornisca<br />
un qualche beneficio rispetto alla terapia di supporto.<br />
Molti autori suggeriscono che l’eparina sia controindicata in caso di circolo non intatto,<br />
compreso il distacco di placenta. È possibile che l’eparina abbia un ruolo nel trattamento di<br />
patologie quali l’embolia di liquido amniotico e la sepsi e numerosi piccoli studi controllati<br />
hanno rifer<strong>it</strong>o di pochi casi trattati con successo.<br />
Quindi l’uso di eparina deve essere generalmente riservato ai casi in cui risulti predominante<br />
l’occlusione microvascolare piuttosto che l’emorragia.<br />
Farmaco molto importante nella correzione di questa coagulopatia è l’ATIII soprattutto in<br />
pazienti con un livello inferiore al 60% grave emorragia.<br />
Concentrati di proteina C attivata hanno mostrato beneficio clinico in alcuni pazienti con<br />
meningococcemia e CID.<br />
L’irudina, inib<strong>it</strong>ore del fattore tissutale, e gli inib<strong>it</strong>ori delle proteasi a serina sono oggetto<br />
di studio.<br />
L’uso di antifibrinol<strong>it</strong>ici non è da proporre sicuramente nel I e II stadio, mentre nel III stadio<br />
possono essere indicati dopo aver controllato gli aspetti più gravi dell’emergenza emorragica<br />
e solo se persistono sanguinamenti. Con l’utilizzo di questi farmaci esiste il rischio che<br />
questi impediscano l’allontanamento dal circolo dei trombi microvascolari da organi quali il<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Gestione multidisciplinare della CID<br />
cervello e reni, una volta risolta la CID, provocando sequele a lungo termine.<br />
Solo di rado è necessario somministrare altro fibrinogeno dal momento che è sufficiente<br />
quello presente nel plasma fresco congelato che contiene inoltre i fattori V, VIII e la ATIII in<br />
concentrazioni più elevate.<br />
Ricordiamo sempre che, quando l’intervento terapeutico è tempestivo ed il disordine<br />
emocagulativo non è ancora molto pronunciato, la rimozione del fattore etiologico iniziale è<br />
quasi sempre sufficiente da solo a risolvere la condizione.<br />
La scelta del trattamento va programmata in base alla condizione emocoagulativa; comunque<br />
il principale pericolo cui sono esposte le pazienti con grave emorragia ostetrica è l’ipovolemia.<br />
La prior<strong>it</strong>à iniziale è quella di mantenere il volume circolante e la perfusione tissutale e<br />
pertanto la rianimazione con cristalloidi e colloidi deve essere iniziata non appena possibile.<br />
Il reintegro della volemia è decisivo, sol<strong>it</strong>amente lo si esegue con sangue intero, plasma fresco,<br />
sospensioni concentrate di entrambe in associazione a Ringer Acetato più Emagel.<br />
Il plasma fresco congelato contiene tutti i fattori della coagulazione compreso il fibrinogeno,<br />
ma viceversa non possiede piastrine (le quali riflettono sia il grado di CID che di sangue<br />
somministrato) per cui se le PLT sono inferiori a 50000 è necessario somministrare in associazione<br />
un concentrato piastrinico.<br />
Un rapido ed adeguato rimpiazzo del volume circolante permetterà inoltre di ev<strong>it</strong>are il<br />
danno renale ed aiuterà l’eliminazione degli FDP attraverso il fegato, contribuendo al ripristino<br />
della normale attiv<strong>it</strong>à emostatica.<br />
La localizzazione ed il trattamento della sede di sanguinamento è fondamentale e deve<br />
essere fatto ogni sforzo per tentare di lim<strong>it</strong>are le perd<strong>it</strong>e ematiche, inoltre è d’obbligo mantenere<br />
l’utero contratto e lim<strong>it</strong>are il sanguinamento del letto placentare.<br />
Qui di segu<strong>it</strong>o riportiamo degli schemi terapeutici applicabili in base alla causa che ha scatenato<br />
la discoagulopatia:<br />
Terapia della CID nel DIPNI<br />
1. Correzione dell’ipovolemia<br />
2. Espletamento del parto (mediante Taglio cesareo)<br />
3. Mantenimento della P.V.C.<br />
4. Somministrazione di fattori della coagulazione<br />
Terapia della CID in corso di embolia da liquido amniotico<br />
1. Mantenere il circolo sistemico<br />
2. Espletamento del parto (mediante taglio cesareo)<br />
3. Mon<strong>it</strong>oraggio PVC<br />
4. Infondere plasma fresco<br />
5. Eparina (5000 UI ev in bolo, quindi infusione in pompa)<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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Gestione multidisciplinare della CID<br />
6. Controllo dei parametri v<strong>it</strong>ali<br />
diuresi> 25ml/h<br />
P.A.S.>90 mm/Hg<br />
pO2>60 mm/Hg)<br />
L’obiettivo terapeutico principale è mantenere la circolazione sistemica fino a che la risposta<br />
fibrinol<strong>it</strong>ica dell’endotelio non elimina la trombina intravascolare a livello polmonare.<br />
Gestione della condizione clinica allertando il rianimatore:<br />
- Mantenere la ventilazione (O2) con maschera o con intubazione<br />
- Rapida infusione di cristalloidi (2-3 volte rispetto al volume di liquidi perso)<br />
- Esami di laboratorio: emocromo, test della coagulazione, EGA<br />
- Rx torace, ECG<br />
- Somministrazione di fenilefrina e di dopamina; dig<strong>it</strong>alizzazione rapida<br />
- Somministrazione di plasma fresco congelato (FFP), di emazie concentrate e di piastrine<br />
- Se possibile clinicamente, porre un catetere nell’ arteria polmonare per il corretto management<br />
emodianamico<br />
- Aspirazione del sangue per la ricerca di eventuali elementi fetali<br />
- Se la paziente sopravvive al fatto acuto, la degenza successiva dovrà proseguire in un’Un<strong>it</strong>à<br />
di Terapia Intensiva.<br />
Conduzione ostetrica:<br />
- Estrazione del feto prima possibile (taglio cesareo)<br />
- Accurata descrizione del quadro clinico e dei provvedimenti adottati nella cartella clinica<br />
- Nei casi venuti a morte richiedere riscontro autoptico, con particolare riguardo al circolo<br />
polmonare (ricerca di elementi di origine fetale)<br />
Terapia della CID in caso di feto morto r<strong>it</strong>enuto<br />
1. Diagnosi precoce<br />
2. Espletamento del parto (mediante taglio cesareo)<br />
3. Eventuale antibioticoterapia<br />
Terapia della CID in corso di sepsi<br />
1. Risoluzione dell’infezione<br />
2. Cefalosporina di III generazione in prima battuta<br />
3. Esecuzione di emocolture e antibiogramma, quindi antibioticoterapia mirata<br />
4. Reidratazione<br />
5.Trasfusione di sangue (?)<br />
6. Eparina (?)<br />
Trattamento della CID in corso di pre-eclampsia<br />
1.Trattamento antipertensivo<br />
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Gestione multidisciplinare della CID<br />
Idralazina<br />
Labetalolo<br />
Nifedipina<br />
2. Espletamento del parto (per via addominale)<br />
3. Ripristino della volemia<br />
4. Solfato di Mg (?)<br />
Conclusioni<br />
L’evento emorragico è sicuramente quello che, in ostetricia, genera la maggior preoccupazione<br />
ed è spesso difficile individuarne rapidamente la causa e porvi rimedio.<br />
Il sospetto viene avvalorato dai dati di laboratorio che ci dimostrano defic<strong>it</strong> coagulativi assoluti<br />
o relativi all’efficienza emostatica, e nei casi più gravi, da successive compromissioni d’organo.<br />
In realtà, in ostetricia, solo raramente siamo in grado di diagnosticare con certezza una<br />
CID con tutte le sue peculiar<strong>it</strong>à cliniche e di laboratorio, poiché si vedono ab<strong>it</strong>ualmente solo<br />
gli effetti finali di una CID e cioè l’emorragia e l’incoagulabil<strong>it</strong>à, eventi, questi che possono<br />
però derivare da altre cause.<br />
Accade così che di fronte a sanguinamenti persistenti che non si giovano delle ab<strong>it</strong>uali misure<br />
di terapia ostetrica, si ipotizzi un defic<strong>it</strong> coagulativo secondario ad una CID e si etichetti<br />
il caso appunto come CID.<br />
Il trattamento della paziente ostetrica emorragica è il medesimo in presenza o meno di<br />
alterazioni della coagulazione e presuppone la presenza di un protocollo terapeutico predefin<strong>it</strong>o<br />
in ogni dipartimento di ostetricia.<br />
La nov<strong>it</strong>à attuale è la possibil<strong>it</strong>à di individuare preventivamente, con dati oggettivi, i casi a<br />
rischio di CID e di comportarsi di conseguenza.<br />
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<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE<br />
TROMBOEMBOLISMO VENOSO:<br />
FARMACI E COMPLICANZE<br />
P. Bogatti, GP Maso, M. Piccoli, M.Vessella, S. Inglese, M.Costantini<br />
Dipartimento Ostetricia e Ginecologia, IRCCS Burlo Garofolo - Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
29<br />
Obiettivi primari della moderna ostetricia nel campo della patologia trombo-embolica vengono<br />
considerati lo screening dei casi a rischio su cui utilizzare una adeguata profilassi e, rispettivamente,<br />
il corretto inquadramento diagnostico della patologia tromboembolica in atto<br />
con l’instaurazione della opportuna terapia. Su questa linea quindi all’ostetrico viene sempre<br />
di più richiesto di utilizzare farmaci attivi sui processi coagulativi con una approfond<strong>it</strong>a conoscenza<br />
dei loro meccanismi d’azione e dei possibili effetti collaterali.<br />
I farmaci cui fare riferimento sono tradizionalmente rappresentati dalle eparine -eparina<br />
non frazionata (UFH) ed eparina a basso peso molecolare (LMWH)- e dagli anticoagulanti<br />
orali.<br />
In riferimento a questi ultimi va sub<strong>it</strong>o detto che la loro embrio e feto tossic<strong>it</strong>à, connessa<br />
al passaggio transplacentare, che condiziona anche l’azione anticoagulante sul feto, diretta<br />
e non mon<strong>it</strong>orabile, ne sconsigliano l’uso in gravidanza.<br />
Unica eccezione a questa regola è da taluni concessa per la gravida portatrice di protesi<br />
valvolari cardiache di tipo meccanico in cui la profilassi con LMWH, anche a dosi aggiustate,<br />
non offre sempre risultati soddisfacenti. In tali casi l’utilizzo di anticoagulanti orali viene talora<br />
proposto dalla 12 settimana (fuori periodo organogenetico cr<strong>it</strong>ico) e fino alla 35 settimana<br />
per non creare interferenze in prossim<strong>it</strong>à del parto sulla base di una anticoagulazione fetale<br />
potenzialmente dannosa in tali circostanze.<br />
L’utilizzo degli anticoagulanti orali, quando sia richiesta una profilassi da iniziare o protrarre<br />
in puerperio o quando si voglia r<strong>it</strong>ornare ad una assunzione farmacologica che la paziente<br />
attuava già precedentemente e che era stata sospesa per la gravidanza, è invece compatibile<br />
con l’allattamento.<br />
In tali circostanze la paziente è generalmente già r<strong>it</strong>ornata alle competenze dello specialista<br />
di trombosi ed emostasi dal quale viene generalmente gest<strong>it</strong>a la terapia anticoagulante<br />
orale. Per tali considerazioni non tratteremo di questa classe di farmaci, peraltro di delicata<br />
gestione, lim<strong>it</strong>andoci a sottolineare che, sempre, il loro utilizzo deve iniziare embricato con<br />
l’eparina per le ben note azioni inibenti sui fattori v<strong>it</strong>amina K dipendenti in cui rientrano a pieno<br />
t<strong>it</strong>olo le proteine anticoagulanti C ed S. Dal momento che l’azione di interferenza con le<br />
proteine C ed S si instaura più rapidamente rispetto a quella sugli altri fattori K dipendenti<br />
(II, VII, IX e X) nelle fasi di avvio della terapia anticoagulante orale si induce sempre un au-<br />
421
422<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
mento del rischio trombotico che deve essere controllato dalla eparina. Allorchè si sia stabilmente<br />
raggiunto il range terapeutico degli anticoagulanti orali (INR terapeutico per 2-3 giorni)<br />
la somministrazione eparinica può venire sospesa.<br />
Del pari non tratteremo dei farmaci trombol<strong>it</strong>ici il cui uso è indicato nel paziente cr<strong>it</strong>ico<br />
con embolia polmonare con o senza instabil<strong>it</strong>à emodinamica o anche nel paziente non cr<strong>it</strong>ico,<br />
ma con disfunzione del ventricolo destro. Pur essendo riportato l’utilizzo di tali farmaci<br />
anche in rari casi di donne gravide, gli enormi rischi di sanguinamento placentare ad essi connesso<br />
non li fanno rientrare tra i farmaci di competenza dell’ostetrico.<br />
Esistono svariate altre classi di farmaci potenzialmente utili nel trattamento del tromboembolismo<br />
venoso. Di questi gli inib<strong>it</strong>ori dell’avvio della coagulazione, che hanno come obiettivo<br />
il complesso fattore VIIa/tromboplastina tissutale hanno appena raggiunto la sperimentazione<br />
di fase II.<br />
Gli inib<strong>it</strong>ori della propagazione della coagulazione che bloccano il fattore IXa e Xa o i loro<br />
cofattori fattore VIIIa e fattore Va sono in vari stadi di sperimentazione. Solamente gli inib<strong>it</strong>ori<br />
indiretti del fattore Xa, Fondaparinux e Idraparinux, sono attualmente in uso.<br />
Tra gli inib<strong>it</strong>ori diretti della formazione della trombina, l’irudina, l’argatroban e la bivalirudina<br />
sono stati immessi sul mercato in Nord America per indicazioni lim<strong>it</strong>ate. I primi due sono<br />
stati approvati per la terapia della piastrinopenia indotta da eparina, mentre il terzo è utilizzato<br />
come alternativa all’eparina, per i pazienti sottoposti ad interventi coronarici percutanei.<br />
Lo Ximelagatran è il primo inib<strong>it</strong>ore trombinico diretto assumibile per via orale.<br />
Un riferimento a questi farmaci verrà fatto a propos<strong>it</strong>o del trattamento della piastrinopenia<br />
da eparina.<br />
L’eparina è un miscuglio eterogeneo di glicosaminoglicani, dotata di attiv<strong>it</strong>à anticoagulante<br />
indiretta in quanto necess<strong>it</strong>a, per la sua azione, del fattore plasmatico ant<strong>it</strong>rombina III (AT<br />
III). Il legame dell’eparina con il s<strong>it</strong>o lisinico dell’AT III produce in quest’ultima un cambiamento<br />
sterico che la trasforma da lento e progressivo inib<strong>it</strong>ore trombinico in una forma molto<br />
rapida.<br />
L’arginina del centro reattivo presente sulla molecola di AT si lega in modo covalente alla<br />
serina del s<strong>it</strong>o attivo della trombina e di altri enzimi coagulativi, inibendo così in modo irreversibile<br />
la loro attiv<strong>it</strong>à procoagulante. È scoperta recente che il legame tra eparina e AT<br />
avviene tram<strong>it</strong>e un’unica un<strong>it</strong>à glicosaminica contenuta all’interno di una sequenza pentasaccaridica.Tale<br />
sequenza è stata sintetizzata e cost<strong>it</strong>uisce un promettente anticoagulante di nuova<br />
creazione. Lo sviluppo delle eparine a basso peso molecolare negli Anni ’80 ha portato al<br />
concetto che l’inattivazione della trombina e delle altre proteine coagulanti attivate è dipendente<br />
dalla lunghezza della catena saccaridica, mentre per l’inattivazione del fattore X attivato<br />
è solo richiesta la presenza del pentasaccaride ad alta affin<strong>it</strong>à.<br />
L’eparina è eterogenea rispetto al peso molecolare, attiv<strong>it</strong>à anticoagulante e farmacocinetica.Il<br />
peso molecolare varia da 3000 a 30000 daltons (media 15000) e solo 1/3 della dose<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
somministrata si lega all’AT comportando l’attiv<strong>it</strong>à anticoagulante. I rimanenti 2/3 della dose<br />
hanno una minima attiv<strong>it</strong>à anticoagulante a concentrazioni terapeutiche, ma a concentrazioni<br />
superiori l’eparina sia a bassa che ad alta affin<strong>it</strong>à catalizza l’effetto ant<strong>it</strong>rombinico di una seconda<br />
proteina: il cofattore eparinico II (HCII). A concentrazioni ancora maggiori l’eparina a<br />
bassa affin<strong>it</strong>à ostacola la formazione di fattore X attivato attraverso meccanismi indipendenti<br />
dall’AT e dal cofattore eparinico II.<br />
Il compleso eparina/AT inattiva la trombina, il fattore Xa, IXa, XIa e XIIa, essendo i primi<br />
due quelli più sensibili alla inattivazione (la trombina addir<strong>it</strong>tura 10 volte di più del fattore Xa).<br />
L’eparina inibisce la trombina legandovisi direttamente (tram<strong>it</strong>e un effetto aspecifico di carica)<br />
o indirettamente tram<strong>it</strong>e il legame ad alta affin<strong>it</strong>à tra il pentasaccaride e l’AT. Le molecole<br />
di eparina con meno di 18 saccaridi perdono la possibil<strong>it</strong>à di legarsi simultaneamente<br />
all’AT e alla trombina e perciò sono incapaci di catalizzare l’inibizione trombinica. Di contro<br />
frammenti eparinici molto piccoli che contengano il pentasaccaride ad alta affin<strong>it</strong>à catalizzano<br />
l’inibizione del fattore Xa tram<strong>it</strong>e l’AT. Inattivando la trombina, l’eparina non solo inibisce la<br />
formazione di fibrina, ma anche l’attivazione piastrinica e dei fattori V e VIII indotta dalla trombina.<br />
L’inattivazione trombinica mediata dal fattore eparinico II è carica dipendente, pentasaccaride<br />
indipendente, peso molecolare dipendente, dal momento che richiede un minimo<br />
di 24 residui saccaridici e può operare anche in caso di severo defic<strong>it</strong> di ATIII.<br />
La terza via anticoagulante dell’eparina risulta in una modulazione della generazione di fattore<br />
Xa indipendente dall’AT e dal HCII. È carica dipendente e mediato dal legame eparinico<br />
con il fattore IXa. Richiede dosi molto elevate del polisaccaride solfato.<br />
L’effetto anticoagulante dell’eparina è eterogeneo perché solo 1/3 delle molecole epariniche<br />
contiene il pentasaccaride ad alta affin<strong>it</strong>à e perché il profilo anticoagulante e la clearance<br />
dell’eparina sono influenzate dalla lunghezza della catena polisaccaridica delle molecole.<br />
Così le catene a più alto peso molecolare sono allontanate dalla circolazione più rapidamente<br />
di quelle a basso peso, che si accumulano con un progressivo decremento nel rapporto<br />
tra attiv<strong>it</strong>à anti IIa/anti Xa.<br />
Le frazioni epariniche ad alto peso molecolare, con bassa affin<strong>it</strong>à per l’AT, hanno un maggiore<br />
effetto sulla funzional<strong>it</strong>à piastrinica rispetto alle frazioni epariniche a basso peso ed alta<br />
affin<strong>it</strong>à per l’AT.Tali interazioni con le piastrine e le cellule endoteliali contribuiscono ai sanguinamenti<br />
indotti dall’ eparina in maniera indipendente dall’effetto anticoagulante.<br />
Oltre all’effetto anticoagulante l’eparina aumenta la permeabil<strong>it</strong>à vascolare, sopprime la<br />
proliferazione delle cellule muscolari lisce della parete vascolare e degli osteoblasti e attiva gli<br />
osteoclasti con una complessiva perd<strong>it</strong>a di osso. Le vie di somministrazione dell’eparina non<br />
frazionata comprendono quella endovenosa e quella sottocutanea. Quest’ultima prevede un<br />
aumento del 10% circa rispetto all’ ultimo dosaggio endovenoso per superare la ridotta biodisponibil<strong>it</strong>à<br />
ad essa connessa. Quando l’eparina è somministrata per via sottocutanea a dosi<br />
anticoagulanti l’effetto è r<strong>it</strong>ardato di circa 1 ora e livelli plasmatici di picco sono raggiunti in<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
423
424<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
approssimativamente 3 ore. Dopo la sua entrata in circolo l’eparina si lega a molteplici proteine<br />
plasmatiche che ne riducono l’attiv<strong>it</strong>à, con ciò contribuendo alla variabil<strong>it</strong>à della risposta<br />
anticoagulante e al fenomeno laboratoristico della resistenza eparinica. L’eparina si lega<br />
anche all’endotelio e ai macrofagi con ciò complicando la sua farmacocinetica. La resistenza<br />
all’eparina è un termine che definisce quei pazienti che richiedono dosaggi abnormemente<br />
elevati per spostare l’aPTT a livelli terapeutici.<br />
Vari meccanismi di resistenza includono defic<strong>it</strong> di AT, aumentata clearance eparinica, aumento<br />
delle proteine leganti e aumenti del fibrinogeno e del fattore VIII. In tali casi esiste una<br />
dissociazione tra l’effetto anticoagulante dell’eparina misurato dall’APTT e rispettivamente dai<br />
livelli di eparina misurati dalla attiv<strong>it</strong>à anti Xa. I risultati clinici indicano che in pazienti con TEV<br />
resistenti all’eparina (richiedenti cioè >40000 U/die per raggiungere un aPTT terapeutico) risultati<br />
clinici equivalenti vengono ottenuti anche a dosaggi inferiori aggiustati sul raggiungimento<br />
di livelli di eparina (misurati come attiv<strong>it</strong>à anti Xa) di 0,35-0,7 IU/ml. La clearance eparinica<br />
si effettua tram<strong>it</strong>e un meccanismo rapido a saturazione (legato al legame con l’endotelio<br />
ed i macrofagi che la depolimerizzano) ed un meccanismo lento, non saturabile, prevalentemente<br />
renale. Dal momento che, a dosaggi terapeutici, il primo meccanismo interessa una larga<br />
parte dell’eparina, si comprende la non linear<strong>it</strong>à della risposta anticoagulante la cui durata<br />
ed intens<strong>it</strong>à aumentano in modo non lineare all’aumentare delle dosi. Pertanto l’apparente<br />
emiv<strong>it</strong>a biologica dell’eparina aumenta da 30 minuti per boli endovena di 25 U/kg, a 60 minuti<br />
per boli di 100 U/kg a 150 minuti per boli di 400 U/kg.<br />
Le LMWH sono glicosaminoglicani polisolfati con peso molecolare di 1/3 circa rispetto<br />
all’UFH, che derivano da differenti metodi di depolimerizzazione della UFH.Tale depolimerizzazione<br />
conduce quindi a frammenti a basso peso molecolare dotati di minor capac<strong>it</strong>à legante<br />
a proteine o componenti cellulari da cui derivano quelli che sono considerati i vantaggi<br />
delle LMWH rispetto alla UFH da intendere soprattutto in termini di riduzione delle complicanze:<br />
- minor legame con la trombina e minor rapporto di attiv<strong>it</strong>à anti IIa/anti Xa: da questo profilo<br />
non emerge un vantaggio clinico noto<br />
- minor legame con le proteine plasmatiche e quindi elevata (80-90%) biodisponibil<strong>it</strong>à (svincolata<br />
da una cinetica di saturazione) con maggior predicibil<strong>it</strong>à di effetto anticoagulante ad<br />
una data dose: sul piano clinico questo rende il mon<strong>it</strong>oraggio dell’effetto anticoagulante<br />
non necessario e minori le complicanze emorragiche<br />
- minor legame con i macrofagi e conseguente clearance renale: ne consegue una maggiore<br />
emiv<strong>it</strong>a con possibil<strong>it</strong>à di somministrazione monodose<br />
- minor legame piastrinico con minore incidenza di formazione di anticorpi indotta dall’eparina:<br />
ne consegue una ridotta incidenza di piastrinopenia da eparina<br />
- minore legame con gli osteoblasti e quindi ridotta attivazione degli osteoclasti con minore<br />
incidenza di osteopenia.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
LMWH sono preparate dall’eparina seguendo metodi differenti di depolimerizzazione chimica<br />
o enzimatica che conducono a molecole con diverse proprietà farmacocinetiche e profilo<br />
anticoagulante: ciò le rende non perfettamente intercambiabili sul piano clinico. Hanno un<br />
peso molecolare medio di 4000-5000 daltons con una distribuzione del peso da 1000 a<br />
10000. Solo le LMWH con un minimo di 18 residui saccaridici (compresa la sequenza pentasaccaridica<br />
specifica) possono creare un complesso ternario tra eparina, AT III e trombina<br />
: ne consegue che solo quelle LMWH con peso molecolare al di sopra di tale soglia sono in<br />
grado di inattivare la trombina.Al contrario tutte le LMWH che contengono la sequenza pentasaccaridica<br />
ad alta affin<strong>it</strong>à possono inattivare il fattore Xa. La conseguenza di ciò è che le<br />
preparazioni commerciali di LMWH hanno rapporti di attiv<strong>it</strong>à anti fattore Xa : anti fattore IIa<br />
variabili da 4:1 a 2:1 a seconda della loro distribuzione di pesi molecolari. Al contrario tutte<br />
le molecole di UFH possiedono almeno 18 residui saccaridici e mostrano un’attiv<strong>it</strong>à anti Xa<br />
anti IIa di 1:1.<br />
Le complicanze emorragiche della terapia eparinica<br />
L’emorragia rappresenta indubbiamente la principale complicanza della terapia anticoagulante.<br />
Essa viene defin<strong>it</strong>a maggiore se in sede intracranica o retroper<strong>it</strong>oneale, se mortale o se<br />
richiedente la trasfusione o l’ospedalizzazione. L’eparina esplica la sua azione pro-emorragica<br />
inibendo la coagulazione, alterando la funzional<strong>it</strong>à piastrinica e aumentando la permeabil<strong>it</strong>à<br />
capillare.<br />
Il sanguinamento da anticoagulanti avviene sol<strong>it</strong>amente in sedi dove l’integr<strong>it</strong>à vascolare è<br />
alterata (come ad esempio dopo chirurgia), in associazione con neoplasie o calcoli renali, ma<br />
può avvenire anche spontaneamente in sedi dove non vi è apparentemente compromissione<br />
della integr<strong>it</strong>à vascolare. In realtà tali compromissioni sarebbero di minima ent<strong>it</strong>à, ma sarebbero<br />
esacerbate dall’anticoagulante. Questo meccanismo può spiegare la predisposizione<br />
al sanguinamento intracranico dell’anziano o del paziente con pregressa malattia cerebrovascolare.<br />
Il profilo del rischio emorragico del singolo paziente è multifattoriale e determinato dall’età,<br />
dalla condizione clinica che richiede la terapia, dal tipo di farmaco usato, dal dosaggio, dal<br />
metodo di mon<strong>it</strong>oraggio laboratoristico, dall’utilizzo concom<strong>it</strong>ante d’altri farmaci e dalla coesistenza<br />
d’altre condizioni patologiche, attuali o pregresse, prime fra tutte quelle che hanno richiesto<br />
una recente chirurgia o che sono state associate a traumi o l’insufficienza renale.<br />
Tra le molteplici condizioni patologiche che possono richiedere l’utilizzo dell’eparina a dosaggi<br />
terapeutici (malattia vascolare ischemica cerebrale, sindromi coronariche ischemiche,<br />
trombosi arteriose degli arti, cardiochirurgia ) quella che focalizza l’interesse ostetrico è rappresentata<br />
principalmente dalla malattia tromboembolica venosa. In queste circostanze l’inci-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
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426<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
denza delle complicanze emorragiche è stata riportata da studi randomizzati, non su popolazioni<br />
ostetriche, che hanno paragonato l’uso d’UFH in infusione venosa continua con quella<br />
interm<strong>it</strong>tente, UFH in infusione venosa con UFH sottocute, UFH endovenosa per un periodo<br />
di 7-10 gg con terapie brevi di 4-5 gg, UFH endovenosa continua e anticoagulanti orali<br />
con anticoagulanti orali solamente, UFH endovenosa somministrata in base al peso con approcci<br />
standardizzati (5000 U in bolo, 1000U/ora) e con mon<strong>it</strong>oraggio basato o sulla valutazione<br />
dell’aPTT o dell’eparinemia, e infine UFH endovena con LMWH sottocute. Per quanto<br />
concerne l’uso in gravidanza, data la pochezza dei dati disponibili, le raccomandazioni derivano<br />
da estrapolazioni di dati su popolazioni non ostetriche, da case reports, e da serie di casi<br />
ostetrici.<br />
L’incidenza della complicanza emorragica maggiore in gravide, trattate con UFH a dosi terapeutiche,<br />
è stimata intorno al 2%.<br />
Durante la gravidanza la risposta dell’aPTT alla terapia eparinica è spesso attenuate per<br />
un’eparino-resistenza dovuta ad un aumento del fattore VIII e del fibrinogeno. UFH a dosi aggiustate<br />
per via sottocutanea possono causare un effetto anticoagulante persistente al parto<br />
che ne complica l’uso prima del travaglio. Un effetto anticoagulante è stato osservato anche<br />
per 28 ore dopo l’ultima iniezione sottocutanea di UFH a dose aggiustata con un allungamento<br />
dell’aPTT persistente al parto di incerta origine. Le complicanze emorragiche appaiono essere<br />
molto rare con l’utilizzo di LMWH.<br />
Riduzione del rischio emorragico<br />
LMWH terapeutica è somministrata in dosi rapportate al peso senza necess<strong>it</strong>à di mon<strong>it</strong>oraggio<br />
laboratoristico. Non esistono tuttavia trials rivolti alla individuazione del dosaggio corretto<br />
in popolazioni speciali, quali le donne obese, e nell’insufficienza renale. In tali circostanze<br />
è stata sugger<strong>it</strong>a l’opportun<strong>it</strong>à del mon<strong>it</strong>oraggio laboratoristico.<br />
Il test raccomandato in questi casi è il dosaggio dell’attiv<strong>it</strong>à anti Xa con test cromogenico.<br />
Non esistono chiare evidenze sulla relazione tra attiv<strong>it</strong>à anti Xa e l’outcome clinico. Lo sviluppo<br />
e la propagazione della trombosi sono inversamente collegati con l’attiv<strong>it</strong>à anti Xa, ma<br />
il livello minimo richiesto resta incerto.<br />
Dopo una somministrazione sottocutanea di LMWH a dose aggiustata, l’attiv<strong>it</strong>à anti Xa<br />
raggiunge il picco a 4 ore quando appunto è consigliato il suo dosaggio. Il livello varia tra le<br />
diverse LMWH per questioni farmacocinetiche, ma un range terapeutico conservativo è considerato<br />
tra 0,6 e 1 UI/ml per le pazienti con VTE trattate con due somministrazioni al giorno.<br />
Il range è meno chiaro nel caso di monosomministrazione, ma è probabilmente >1 UI/ml<br />
per l’enoxaparina169, 0,85UI/ml per la tinzaparina, 1,3UI/mi per la nadroparina e 1,05 UI/ml<br />
per la dalteparina.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
Nel caso della paziente obesa la volemia non ha una relazione lineare con il peso e pertanto<br />
una somministrazione rapportata al peso potrebbe condurre a sovradosaggio con conseguente<br />
rischio emorragico. Dati recenti su pazienti con body mass index (BMI) >30 non<br />
mostrano tuttavia aumento delle complicanze emorragiche dopo somministrazioni calibrate<br />
sul peso. Dal momento che però sono poche le pazienti studiate con peso superiore ai 150<br />
kg sembra ragionevole sottoporre a controllo laboratoristico tali soggetti.<br />
Di converso le somministrazioni profilattiche a dosaggio fisso, per lo stesso principio, potrebbero<br />
risultare sottodosate e pertanto, nelle obese, è preferibile una somministrazione profilattica<br />
comunque rapportata al peso. In mancanza di dati defin<strong>it</strong>ivi è prudente un aumento<br />
del 25% del dosaggio profilattico di LMWH nelle pazienti molto obese (ad esempio 40 mg<br />
di enoxaparina 2X al dì).<br />
Per quanto concerne l’insufficienza renale non vi sono dati sulla somministrazione a dosi<br />
standard di LMWH dal momento che tale condizione è generalmente motivo di esclusione<br />
dai trials randomizzati. Tuttavia è ormai assodato che la clearance dell’attiv<strong>it</strong>à anti Xa delle<br />
LMWH è correlata alla clearance creatininica anche se con variazioni a seconda della specifica<br />
LMWH. L’accumulo di attiv<strong>it</strong>à anti Xa dopo multiple dosi terapeutiche è di particolare<br />
preoccupazione, in particolare per una clearance creatininica
428<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
A tale riguardo estrema attenzione deve essere posta alla somministrazione concom<strong>it</strong>ante<br />
di altri farmaci capaci di influenzare altre componenti del sistema coagulativo quali gli antinfiammatori<br />
non steroidei, che sovente rientrano nei regimi di analgesia postoperatoria. A<br />
questo propos<strong>it</strong>o ricordiamo la specifica controindicazione ministeriale all’utilizzo contemporaneo<br />
di LMWH e ketorolac trometanolo (Lixidol), che ne potenzia enormemente il rischio<br />
di complicanze emorragiche<br />
Trattamento del sanguinamento associato all’eparina<br />
La gestione del sanguinamento in eparino-terapia dipende dalla sede e dalla ent<strong>it</strong>à dello<br />
stesso. In tutti i casi, tranne quelli veramente poco rilevanti, il trattamento consiste nella immediata<br />
sospensione della terapia e nella gestione della origine dell’emorragia. L’intervento<br />
chirurgico o endoscopico può rappresentare talora una scelta obbligata, specialmente quando<br />
il sanguinamento persista dopo il termine dell’effetto anticoagulante dell’eparina.<br />
Il solfato di protamina si lega con grande affin<strong>it</strong>à all’eparina in virtù della sua forte carica<br />
negativa e ne neutralizza l’azione.Tale effetto è immediato, ma si può osservare un rebound<br />
anticoagulativo legato alla clearance più rapida del solfato di protamina rispetto all’eparina.<br />
Nella somministrazione del farmaco bisogna porre molta attenzione ai pazienti allergici allo<br />
iodio, al pesce o all’insulina zinco-protamina.<br />
Il dosaggio della protamina si calcola in base alla stima della concentrazione eparinica in<br />
circolo.<br />
1 mg di protamina neutralizza approssimativamente 100 un<strong>it</strong>à di eparina e quindi, se un<br />
paziente ha ricevuto 5000 un<strong>it</strong>à di eparina in bolo segu<strong>it</strong>e da un’infusione di 1000 un<strong>it</strong>à/ora<br />
per 3 ore, si dovrebbero somministrare all’incirca 25 mg di protamina, basandosi sulla stima<br />
di un’emiv<strong>it</strong>a eparinica di 1 ora<br />
Per un paziente che riceve una infusione stabile a 1250 U/ora sono richiesti circa 30 mg<br />
di portamina. L’emiv<strong>it</strong>a della protamina è minore di quella dell’eparina e pertanto somministrazioni<br />
ripetute possono essere richieste nei pazienti con alta eparinemia. Un calo dell’aPTT<br />
può servire per confermare l’avvenuta neutralizzazione dell’eparina. I rischi di severe reazioni,<br />
come ipotensione e bradicardia, possono essere ridotti da una somministrazione endovenosa<br />
lenta in 1-3 minuti.<br />
Per quanto concerne LMWH fin dai primi studi è emersa una minore incidenza di emorragia<br />
rispetto a UFH confermata da recenti metanalisi che suggeriscono minore incidenza di<br />
emorragie in pazienti trattati con LMWH per trombosi profonda rispetto a queli in terapia<br />
con eparina standard.<br />
La gestione del paziente con emorragia in corso di trattamento con LMWH è problematica.<br />
Il solfato di protamina neutralizza tutta l’attiv<strong>it</strong>à anti fattore IIa, ma solo il 75% dell’attivi-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
tà anti fattore Xa di LMWH per una ridotta capac<strong>it</strong>à di legame con la stessa. Il resto dell’attiv<strong>it</strong>à<br />
anti Xa non è neutralizzabile dalla protamina.<br />
Il solfato di protamina andrebbe comunque somministrato ad un paziente in anticoagulazione<br />
con LMWH che sviluppi una complicanza emorragica maggiore, predisponendo tuttavia<br />
per una valutazione chirurgica o endoscopica.<br />
Entro le 8 ore dalla somministrazione di LMWH la dose di portamina richiesta è di 1<br />
mg/100 U anti-Xa per l’enoxaparina. Se il sanguinamento persiste si può somministrare una<br />
seconda dose di 0,5 mg di portamina /100 U. Dosi ridotte sono richieste dopo le 8 ore dalla<br />
somministrazione di LMWH. Inoltre dosi sequenziali di protamina possono essere richieste,<br />
particolarmente quando LMWH è stata somministrata per via sottocutanea,a causa del<br />
prolungamento dell’emiv<strong>it</strong>a.<br />
Complicazioni trombotiche della terapia anticoagulante<br />
Le eparine ed i dicumarolici sono le due classi più utilizzate di farmaci anticoagulanti.<br />
Ironicamente entrambi possono occasionalmente indurre sindromi protrombotiche: la tromboc<strong>it</strong>openia<br />
da eparina (HIT) e la necrosi cutanea da dicumarolici.<br />
Approssimativamente il 3% dei pazienti non ostetrici che utilizzano UFH sviluppano HIT.<br />
Questa percentuale è maggiore per UFH bovina, a sua volta maggiore rispetto a quella di UFH<br />
porcina, a sua volta maggiore di quella di LMWH. Anche la tipologia della popolazione condiziona<br />
la frequenza (pazienti chirurgici> pazienti medici>pazienti gravide).<br />
La HIT è una delle più comuni reazioni immunomediate da farmaci. Il ruolo centrale svolto<br />
in questi casi dalla generazione di trombina offre il razionale per una trattamento rivolto<br />
appunto alla riduzione della formazione trombinica (danaparoid, irudina ricombinante, argatroban).<br />
Si caratterizza in vivo per una attivazione piastrinica causata da IgG la cui produzione viene<br />
indotta dall’eparina e rappresenta un fattore di rischio indipendente per trombosi venosa<br />
e arteriosa anche in pazienti a basso rischio di base. Comporta generalmente la formazione<br />
di trombi piastrinici in vasi venosi o arteriosi di grande calibro. La sua evenienza non dipende<br />
dal dosaggio eparinico e pertanto vi possono essere soggetti anche quei pazienti che assumono<br />
il farmaco in via profilattica. Un consensus report ha raccomandato che il termine<br />
HIT venga utilizzato in riferimento esclusivo alla malattia mediata da anticorpi: si tratta pertanto<br />
di una sindrome clinico patologica in cui la diagnosi può essere fatta con accuratezza<br />
quando uno o più eventi clinici (tromboc<strong>it</strong>openia, trombosi, lesioni cutanee, reazioni sistemiche<br />
acute) coesistano con anticorpi specifici dimostrabili. Di converso, il termine tromboc<strong>it</strong>openia<br />
non immune associata all’eparina dovrebbe essere usato nei casi di tromboc<strong>it</strong>openia in<br />
corso di trattamento eparinico, non associata a specifici anticorpi. Spesso tale s<strong>it</strong>uazione si rea-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
429
430<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
lizza per altre cause (emodiluizione perioperatoria, risposta infiammatoria sistemica) sebbene<br />
un effetto diretto di attivazione piastrinica da eparina, non immunomediato, può essere<br />
causa in alcuni pazienti. A differenza della HIT non vi è modo di inquadrare con sicurezza il<br />
ruolo dell’eparina nella tromboc<strong>it</strong>openia non immune associata alla somministrazione eparinica.<br />
L’att<strong>it</strong>udine dell’eparina a provocare la secrezione piastrinica di alfa granuli in cui è contenuto<br />
fattore piastrinico 4 (PF4), e di legarvisi, condiziona la comparsa di un s<strong>it</strong>o antigenico<br />
modificato sul PF4 (dopo ed in virtù del legame eparinico) contro il quale può venire diretta<br />
la risposta anticorpale. Questo modello è compatibile con il riscontro che altri carboidrati<br />
solfati, non eparinici, possono precip<strong>it</strong>are reazioni analoghe e con il riscontro di minore incidenza<br />
di HIT con LMWH , dal momento che solo molecole epariniche di almeno 14 zuccheri<br />
possono legarsi a PF4.<br />
Gli anticorpi così formati possiedono potente capac<strong>it</strong>à di attivazione piastrinica con generazione<br />
di microparticelle piastriniche procoagulanti, attivazione endoteliale con l’espressione<br />
sulla superficie di tromboplastina tissutale e neutralizzazione della attiv<strong>it</strong>à anticoagulante dell’eparina<br />
da parte del PF4 che giustifica l’eparino-resistenza spesso riscontrata in questi pazienti.<br />
La s<strong>it</strong>uazione clinica preesistente condiziona poi la tipologia della trombosi, che va a manifestarsi<br />
essendo tipico il tromboembolismo venoso nei pazienti ortopedici, quello arterioso<br />
nei pazienti sottoposti ad interventi cardiovascolari, mentre nei pazienti con cateteri venosi<br />
centrali è tipica la trombosi degli arti superiori.<br />
I pazienti con HIT mostrano tipicamente un calo piastrinico del 50% rispetto ai valori precedentemente<br />
determinati che inizia tra i 5 ed i 10 giorni dall’avvio della somministrazione<br />
eparinica. Talora l’esordio è più precoce, entro 24 ore, qualora vi sia stata una precedente<br />
esposizione all’eparina (generalmente entro i 3 mesi precedenti). In tal caso vi può essere una<br />
immediata ricorrenza della tromboc<strong>it</strong>openia alla reintroduzione dell’eparina, causata dalla presenza<br />
di anticorpi circolanti e non come conseguenza di risposta anamnestica.Anche una conta<br />
piastrinica con valori che scendono al di sotto delle 150.000 piastrine/ml va valorizzata per<br />
la diagnosi.<br />
L’ent<strong>it</strong>à della tromboc<strong>it</strong>openia è tuttavia generalmente lieve o moderata con valori minimi<br />
di 50-60.000 piastrine /ml. In meno del 5-10% dei pazienti la conta scende al di sotto delle<br />
20.000 piastrine/ml, livelli, al contrario, frequenti in più della metà dei casi con tromboc<strong>it</strong>openia<br />
immune da altri farmaci. Ecchimosi e petecchie sono generalmente assenti anche nei<br />
casi più severi, dal momento che il rischio più rilevante è effettivamente quello trombotico e<br />
non quello emorragico. La trombosi è frequente nella HIT indipendentemente dalla conta piastrinica<br />
e può avvenire in casi con calo piastrinico che conduca ad una conta non inferiore alle<br />
150.000 piastrine/ml.<br />
Le complicanze sono rappresentate per il 50% dalla trombosi venosa profonda, per il 25%<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
dall’embolia polmonare, per meno del 3% da trombosi dei seni cerebrali, per il 5-10% da trombosi<br />
aorto-iliaca, per il 3-5% da accidenti vascolari acuti cerebrali, per il 3-5% da infarto miocardio,<br />
in meno del 3% da trombosi degli arti superiori, renali, mesenteriche, spinali o di altri<br />
distretti arteriosi. Il 25% dei pazienti sensibilizzati che ricevono eparina sottocute può mostrare<br />
lesioni cutaneee; percentuale analoga può mostrare reazioni sistemiche acute (febbre, brividi,<br />
vampate, ipertensione, tachicardia, e tromboc<strong>it</strong>openia acuta entro 5-30 minuti da un bolo<br />
eparinico endovenoso. Un infarto emorragico surrenalico interessa l’1-3% dei pazienti complicati.<br />
Più rari (
432<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
sono disponibili due agenti: il danaparoid sodium e l’iruduna ricombinante (lepirudina) ciascuno<br />
con vantaggi e svantaggi .<br />
Il danaparoid sodium (Orgaran) è un mix di glicosaminoglicani anticoagulanti con attiv<strong>it</strong>à<br />
prevalente anti Xa (attiv<strong>it</strong>à anti Xa/anti IIa = 22/1).Tale attiv<strong>it</strong>à si esplica catalizzando l’inattivazione<br />
trombinica e del fattore Xa mediata dall’ATIII come nel caso dell’eparina. Alcuni di<br />
questi cost<strong>it</strong>uenti sono in grado di interagire con gli anticorpi anti HIT dal momento che, a<br />
seconda della sensibil<strong>it</strong>à del test usato, dal 10 al 40% dei sieri con HIT mostrano in v<strong>it</strong>ro un<br />
certo grado di cross reattiv<strong>it</strong>à con il Danaparoid. Questa cross reattiv<strong>it</strong>à in v<strong>it</strong>ro è tuttavia insignificante<br />
clinicamente e non deve distogliere dall’uso di questa terapia che consente un trattamento<br />
efficace in circa il 90% dei pazienti senza insorgenza di nuovi episodi trombotici.<br />
L’attiv<strong>it</strong>à anticoagulante del Danaparoid si misura con l’attiv<strong>it</strong>à anti Xa, che tuttavia non è<br />
richiesta dal momento che l’effetto anticoagulante è largamente prevedibile per somministrazioni<br />
aggiustate sul peso. Dopo un carico intravenoso di 2 fiale (1500 U) fino a 60 Kg, 3 fiale<br />
tra 60 e 75 Kg, 4 fiale tra 75 e 90 Kg o 5 fiale per >90 Kg, il mantenimento è di 400U/ora<br />
per 4 ore, poi di 300 U/ora per altre 4 ore e poi di 150-200 U/ora. L’attiv<strong>it</strong>à anticoagulante<br />
è ottenuta nel giro di pochi minuti dalla somministrazione.<br />
Dopo la dose di carico iniziale il mantenimento può essere somministrato anche per via<br />
sottocutanea a 1500 U ogni 8 o 12 ore. La profilassi si attua con 750 U sottocute ogni 8 o<br />
12 ore.<br />
La principale complicanza della terapia con Danaparoid è rappresentata dal sanguinamento<br />
che però, nell’animale da esperimento, risulta meno frequente che con la terapia con<br />
LMWH. Mancano dati sull’uomo. L’attiv<strong>it</strong>à del Danaparoid sul fattore IIa può essere parzialmente<br />
neutralizzata dal solfato di portamina, che però non eserc<strong>it</strong>a alcuna azione sulla attiv<strong>it</strong>à<br />
anti Xa. Pertanto un sanguinamento in corso di terapia è di gestione problematica data anche<br />
la lunga emiv<strong>it</strong>a dell’attiv<strong>it</strong>à anti Xa (24 ore). Il Danaparoid sodium non passa la placenta<br />
e pertanto può essere usato in gravidanza.<br />
La Lepiridina (Refludan) è un derivato ricombinante dell’irudina che inibisce la trombina<br />
con un legame non covalente ad alta affin<strong>it</strong>à, pressochè indissolubile. La sua clearance è prevalentemente<br />
renale il che consiglia estrema cautela nei pazienti con insufficienza renale.<br />
L’emiv<strong>it</strong>a plasmatica è di 40 minuti dopo somministrazione endovena e di 120 minuti per via<br />
sottocutanea. È approvata per la HIT complicata da trombosi. Dopo un bolo iniziale endovenoso<br />
di 0,4 mg/kg, l’infusione di mantenimento si attua a 0,15 mg/kg/ora. L’effetto anticoagulante<br />
si mon<strong>it</strong>orizza con l’aPTT ratio che dev’essere mantenuto tra 1,5 e 2,5. Sovente vi è la<br />
formazione di anticorpi anti lepirudina che paradossalmente aumentano l’attiv<strong>it</strong>à anticoagulante.<br />
Questo farmaco può dare un allungamento dell’INR e creare con ciò problemi per il<br />
dosaggio di anticoagulanti orali eventualmente associati. Non ha un antidoto specifico e, passando<br />
la placenta, è di uso problematico in gravidanza.<br />
L’Argatroban (Novastan) è un ant<strong>it</strong>rombinico sintetico, metaboilizzato per via epatica, in-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
dicato nel trattamento della HIT senza o con trombosi. Il dosaggio è di 2 microgr/kg/min con<br />
incrementi volti a mantenere un aPTT di 1,5-3 volte il valore iniziale. Ha breve emiv<strong>it</strong>a ( 0,1%;<br />
- per i pazienti che iniziano l’eparina e che la hanno già assunta entro i 3 mesi precedenti,<br />
il controllo va fatto già nelle prime 24 ore;<br />
- in caso di sintomi acuti di tipo infiammatorio, cardiorespiratorio, neurologico o inusuali entro<br />
30 minuti da un bolo endovenoso, una conta piastrinica va ist<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a immediatamente;<br />
- per tutti i pazienti che assumono eparina, o che l’hanno assunta nei 15 giorni precedenti,<br />
una HIT va esclusa se compare calo piastrinico >50% e/o insorge un evento trombotico;<br />
- per i pazienti con HIT diagnosticata o sospettata seriamente va ist<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a terapia con un anticoagulante<br />
alternativo, non eparinico, quale lepirudina, argatroban, bivalirudina o danaparoid;<br />
- anticoagulanti orali non vanno usati, per l’effetto di abbassamento sulla proteina C anticoagulante<br />
che in questi casi genera conseguenze drammatiche, fino a ripristino stabile e<br />
completo della conta piastrinica ed embricati, a dosi basse, con l’anticoagulante alternativo,<br />
per almeno 5 giorni, e fino al raggiungimento di un INR terapeutico per almeno 2 giorni;<br />
- per i pazienti con diagnosi di HIT durante la somministrazione di anticoagulanti orali, l’effetto<br />
di questi ultimi va neutralizzato con v<strong>it</strong>amina K (5-10 mg per via orale o endovenosa);<br />
- trasfusioni piastriniche vanno accuratamente ev<strong>it</strong>ate. I casi con sanguinamento attivo mer<strong>it</strong>ano<br />
considerazioni a parte.<br />
Osteoporosi indotta da eparina<br />
Le eparine sono generalmente utilizzate per brevi periodi di trattamento, mentre per anticoagulazioni<br />
di lunga durata si preferisce fare ricorso agli anticoagulanti orali.<br />
In gravidanza tuttavia tali farmaci sono controindicati e pertanto si assiste ad utilizzi prolungati<br />
di eparine.<br />
Cali significativi della dens<strong>it</strong>à ossea sono stati osservati in questi casi nel 30% dei pazienti,<br />
mentre fratture vertebrali sintomatiche si osservano nel 2-3% dei pazienti trattati per più di<br />
un mese.<br />
La demineralizzazione è dose dipendente e si associa ad un calo del 50% nel numero degli<br />
osteoblasti e della matrice osteoide, ma pure ad un aumento della superficie degli osteo-<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
433
434<br />
Tromboembolismo venoso: farmaci e complicanze<br />
clasti con incremento del riassorbimento osseo. Dopo la sospensione del trattamento eparinico<br />
i fenomeni osteoporotici non sono rapidamente reversibili dal momento che l’eparina<br />
resta sequestrata per lunghi periodi nell’osso, legata a proteine della matrice ossea.<br />
Le LMWH comportano un minor rischio di osteoporosi per il minor legame con i componenti<br />
cellulari e proteici ad esse associato.<br />
FARMACI POSOLOGIA NOTE<br />
SOLFATO DI PROTAMINA 1 mg ev ogni 100 U di Per infusioni stabilidi circa 1250 U/h<br />
eparina UFH sono richiesti circa 30 mg di farmaco<br />
(va considerato T/2 di 60 h)<br />
SOLFATO DI PROTAMINA 1 mg ogni 100 U di LMWH Ridurre il dosaggio per latenze più<br />
entro 8 ore dalla dose lunghe<br />
DANAPAROID SODIUM 1fl=750 U: dose aggiustata al peso Fino a 60 kg =2 fl<br />
–– mantenimento ev –– 400 U/h per 4h poi 60-75 kg = 3 fl<br />
300 U/h per 4h poi 75-90 kg = 4 fl<br />
150-200 U/h > 90 kg = 5 fl<br />
–– mantenimento sottocute –– 1500 U ogni 8-12h<br />
(dopo dose di carico ev)<br />
–– profilassi –– 750 U sottocute ogni 8-12h<br />
LEPIRUDINA Bolo iniziale ev 0,4 mg/kg Mon<strong>it</strong>orare con valori di APTT<br />
Mantenimento 0,15 mg/kg/h mantenuti tra 1,5-2,5<br />
ARGATROBAN 2µg/kg/minuto con incrementi<br />
per mantenere APTT terapeutico<br />
di 1,5-3<br />
Letture consigliate<br />
1. Colman R et al. Hemostasis and thrombosis. Basic principles and clinical practice. Fourth Ed<strong>it</strong>ion. Lippincott 2001 Williams<br />
and Wilkins.<br />
2. CHEST, 2004;126/ Nr 3 Supplement. September 2004. The VII ACCP Conference on ant<strong>it</strong>hrombotic and thrombol<strong>it</strong>ic<br />
therapy.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
TROMBOEMBOLIA E COAGULOPATIE<br />
COSA CERCARE<br />
ECOGRAFICAMENTE<br />
NELLA <strong>GRAVIDANZA</strong><br />
CON PATOLOGIA<br />
TROMBOTICO-EMORRAGICA<br />
A. Grasso, S. Revesz, P. Bogatti, M.Vessella, S. Inglese,T. Stampaljia<br />
Un<strong>it</strong>à di Diagnosi Prenatale, UDPEG, IRCS Burlo Garofolo-Trieste<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
30<br />
Per patologia trombotico-emorragica si intende convenzionalmente una sindrome conseguente<br />
ad un’accelerazione comunque indotta del processo emocoagulativo nel sangue circolante,<br />
con consumo dei fattori della coagulazione, della fibrina e delle piastrine, con massiva<br />
deposizione di fibrina e possibile ostruzione dei microvasi e alterazione secondaria della<br />
fibrinolisi.Tale sindrome defin<strong>it</strong>a in unico termine come coagulazione intravascolare disseminata<br />
o CID è sempre un fenomeno secondario innescato da una serie di meccanismi che comprendono<br />
il rilascio di agenti tromboplastinici in circolo, i fosfolipidi procoagulanti, che vengono<br />
liberati in risposta ad emolisi intravascolare e possibile danno endoteliale dei piccoli vasi.<br />
Le principali condizioni cliniche ostetriche che possono associarsi ad una CID sono:<br />
- La preeclampsia<br />
- Il distacco di placenta<br />
- L’embolia di liquido amniotico<br />
- La r<strong>it</strong>enzione di feto morto.<br />
Tutti questi quadri clinici possono configurarsi nell’amb<strong>it</strong>o di una paziente con alterazioni<br />
emocoagulative su base genetica sia in senso tromboembolico (vedi paziente trombofilico)<br />
che in senso emorragico.<br />
La malattia tromboembolica è la causa principale di mortal<strong>it</strong>à materna negli Stati Un<strong>it</strong>i.<br />
La preeclampsia, il r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino, il distacco di placenta e il parto pretermine<br />
complicano dello 0,2/3% delle gravidanze e sono le principali cause di morbid<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à<br />
perinatale.<br />
L’esame istologico dei vasi utero-placentari e dell’arch<strong>it</strong>ettura intervillosa nelle placente delle<br />
gravidanze complicate da questa patologia, dimostra un aumento dei depos<strong>it</strong>i di fibrina, trombosi<br />
e alterazioni endoteliali e del trofoblasto associata alla conseguente ipossia 5 . La presenza<br />
di trombofilia congen<strong>it</strong>a o acquis<strong>it</strong>a è stata recentemente considerata la causa principale di<br />
eventi trombotici materni e messa in relazione con un outcome perinatale sfavorevole.<br />
435
436<br />
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
Le trombofilie congen<strong>it</strong>e più comuni e clinicamente più significative sono rappresentate<br />
dalla mutazione eterozigotica del fattore V di Leiden, la mutazione della protrombina<br />
G20210A e la variante termolabile della Metilentetraidrofolato reduttasi, causa più comune<br />
della iperomocisteinemia. Le trombofilie più rare sono rappresentate da deficienza autosomica<br />
dominante dell’AT III, della Proteina C e della Proteina S. La principale causa di trombofilia<br />
acquis<strong>it</strong>a è rappresentata da sindrome da anticorpi antifosfolipidi.<br />
Questi disordini sono responsabili di oltre la metà di tutti eventi tromboembolici materni<br />
come la TVP e l’EP con una incidenza di 1 su 1000 e comportano un aumento del rischio<br />
da 3 a 4 volte di sviluppare preeclampsia, IUGR, distacco di placenta e parto pretermine sebbene<br />
complessivamente presenti nel 15% della popolazione europea.<br />
Le condizioni emorragiche più rilevanti clinicamente in gravidanza sono rappresentate dalla<br />
porpora tromboc<strong>it</strong>openica idiopatica o Morbo di Werlhof e delle piastrinopenie congen<strong>it</strong>e<br />
o Morbo di Willembrandt e dalla emofilia.<br />
Parliamo di tromboc<strong>it</strong>openia nella condizione in cui la conta piastrinica diventa inferiore<br />
a 150 x 10 9 /l. Da un punto di vista pratico la donna gravida con una conta piastrinica inferiore<br />
a questi valori viene sottoposta ad ulteriore valutazione clinica e di laboratorio.<br />
Le prinicipali cause di tromboc<strong>it</strong>openia in gravidanza sono.<br />
Consumo o distruzione di piastrine<br />
Sequestro splenico di piastrine<br />
Produzione midollare insufficiente<br />
La tromboc<strong>it</strong>openia gestazionale è responsabile di circa il 70% dei casi di tromboc<strong>it</strong>openia<br />
materna al momento del parto. La causa sembra essere sconosciuta. In genere questa patologia<br />
si sviluppa nel terzo trimestre di gravidanza. La tromboc<strong>it</strong>openia gestazionale può essere<br />
difficile da distinguere dalla tromboc<strong>it</strong>openia autoimmune lieve.<br />
La tromboc<strong>it</strong>openia autoimmune (AITP) è causata da autoanticorpi diretti generalmente<br />
contro le glicoproteine della superficie piastrinica e può essere idiopatica o secondaria ad altra<br />
patologia. Il s<strong>it</strong>o principale di distruzione piastrinica è cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>o dalla milza. LA AITP può<br />
presentarsi acutamente con porpora ed emorragie mucose autolim<strong>it</strong>anti.<br />
È stato stimato che la AITP si verifica nello 0,14% delle donne gravide al momento del<br />
parto, per le quali è responsabile del 3% dei casi di tromboc<strong>it</strong>openia 34 .<br />
I rischi materni sono correlati all’emorragia spontanea prima della nasc<strong>it</strong>a ed al momento<br />
del parto.<br />
I rischi fetali sono legati alla possibil<strong>it</strong>à degli anticorpi IgG anti-piastrine di attraversare la<br />
placenta dando origine a tromboc<strong>it</strong>openia fetale, con possibili emorragie fetali o neonatali.<br />
Studi retrospettivi dimostrano che circa la metà dei neonati di madri affette da AITP erano<br />
tromboc<strong>it</strong>openici alla nasc<strong>it</strong>a ed il 12% presentava una morbil<strong>it</strong>à significativa secondaria ad<br />
emorragie 36 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
Ampi studi prospettici pubblicati all’inizio degli anni ’90 chiariscono che il rischio per il feto<br />
ed il neonato nelle madri con AITP di emorragie secondarie a tromboc<strong>it</strong>openia è estremamente<br />
basso. Questi studi riportano come incidenza totale di tromboc<strong>it</strong>openia il 10-30%,<br />
dove la tromboc<strong>it</strong>openia severa era meno comune e le emorragie intracraniche rare 33-35 .<br />
Dal punto di vista materno nelle gravide con AITP è dibattuto se sia opportuno espletare<br />
il parto per via vaginale.<br />
Un’altra patologia emorragica importante da non sottovalutare in gravidanza è la malattia<br />
di von Willebrand data da un defic<strong>it</strong> ered<strong>it</strong>ario di fattore VIII della coagulazione. I livelli di<br />
fattore VIII tendono ad aumentare durante la gravidanza nelle donne normali. Possiamo riscontrare<br />
un miglioramento della tendenza emorragica nelle donne con malattia di von<br />
Willebrand tipo 1, nel tipo 2 non si verifica alcun miglioramento clinico mentre nel tipo 3 la<br />
grav<strong>it</strong>à della patologia aumenta. Il rischio di sanguinamento per le portatrici di emofilia A e<br />
per casi di malattia von Willebrand risultano maggiori nel periodo post-partum. Le procedure<br />
invasive effettuate nel primo trimestre (come ad es.il prelievo dei villi coriali) si caratterizzano<br />
da un aumentato rischio di sanguinamento, soprattutto perché in questa fase della gravidanza<br />
non si verifica un’incremento sostanziale del fattore VIII.<br />
Il rischio fetale quindi per un feto maschile da una madre portatrice defin<strong>it</strong>a di emofilia A<br />
o B è 50% di possibil<strong>it</strong>à di risulatare affetto. Sanguinamenti spontanei neonatali documentati<br />
esistono dopo un parto traumatico che deve essere ev<strong>it</strong>ato, mentre le decisioni relative al taglio<br />
cesareo devono essere prese unicamente sulla base di eventuali problemi ostetrici.<br />
Nelle pazienti con gravi patologie a rischio emorragico quali pre-eclampsia, trombofilia, sono<br />
state riportate emorragie intracraniche a prognosi peggiori come le subependimali con<br />
versamento emorragico intraventricolare, dilatazione ventricolare ed estensione al parenchima<br />
cerebrale. L’ecografia può dare un valido aiuto nella diagnosi precoce delle emorragie intracraniche<br />
(intra-ventricolare, intra-cerebellare) fetali. Infatti le scansioni seriate ultrasonografiche<br />
hanno potuto dimostrare l’evoluzione da un quadro anatomico intracraniale normale ad<br />
una ventricolomegalia o ad una poroencefalia, in associazione con patologie emorragiche materne<br />
31 . Le condizioni a rischio per lesioni del sistema nervoso centrale sono: IUGR, HELLP,<br />
parto pretermine, traumatismi materni. L’incidenza dell’emorragia intracranica è stimata a 1-<br />
5/10.000 parti. Una predisposizione materna/fetale può essere dimostrata in meno di metà<br />
dei casi 32 .<br />
L’aspetto ecografico dell’emorragia cerebrale è quello di un’area iperecogena irregolare<br />
localizzata nella parenchima cerebrale o nel sistema ventricolare dilatato. Le emorragie parenchimali<br />
possono andare incontro ad un processo progressivo di colliquazione con es<strong>it</strong>o in<br />
cisti porencefalica. L’emorragia appare inizialmente come una massa solida che progressivamente<br />
assume un aspetto cistico con interposte aree ecogene.Tale quadro leucomalacico può<br />
essere preceduto quindi da una ecodens<strong>it</strong>à periventricolare, che può essere visualizzata precocemente<br />
mediante ecografia transvaginale in feto in presentazione cefalica 43 . Estremamente<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
437
438<br />
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
più rare sono le emorragie subdurali localizzate tra la calotta cranica e parenchima cerebrale,<br />
esse in genere presentano le stesse cause delle emorragie intracraniche o sono secondarie<br />
a traumi materni.<br />
La risonanza magnetica viene indicata per la conferma dei casi a rischio.<br />
Da una condizione trombotica emorragica come finora descr<strong>it</strong>to, ne consegue una molteplic<strong>it</strong>à<br />
di patologie in gravidanza che coinvolgono la madre, il feto e gli annessi fetali e che<br />
possono essere valutabili ecograficamente.<br />
Il ruolo dell’ecografia in quest’amb<strong>it</strong>o è multidisciplinare e dovrebbe essere rivolto ad identificare<br />
in gravidanza precoce alcuni fattori di rischio che da soli o associati siano tali da definire<br />
la probabil<strong>it</strong>à di sviluppare le complicanze sia materne come l’EP, la TVP, la preeclampsia,<br />
emorragia post TC che fetali come la IUGR severa e le emorragie intracraniche.<br />
Pertanto gli ecografisti coinvolti nella gestione della gravida a rischio di patologia trombotico<br />
emorragica saranno di provenienza ostetrica, chirurgico-vascolare e cardiologica.<br />
L’ecografia ostetrica potrà avvalersi dell’utilizzo della flussimetria Doppler che dà importanti<br />
informazioni sulla circolazione fetale e uteroplacentare. Abbiamo già ricordato che le alterazioni<br />
trombotiche placentari evidenziate nelle pazienti affette da trombofilia sono alla base<br />
del meccanismo fisiopatologico che conduce alla preeclampsia ed al r<strong>it</strong>ardo di cresc<strong>it</strong>a intrauterino<br />
9 .<br />
È stato ipotizzato che queste anormal<strong>it</strong>à vascolari sono responsabili del decremento della<br />
veloc<strong>it</strong>à del flusso diastolico e dell’aumento dell’impedenza di flusso a livello delle arterie<br />
uterine. Con l’ecografia transvaginale già a partire dalla 12ª-16ª settimana di gestazione è possibile<br />
evidenziare la presenza di notch diastolico o di aumento della RI (indice di resistenza)<br />
in entrambe le arterie uterine.<br />
Poiché la fisiologica trasformazione delle arterie radiali e spirali è completa tra la 20ª e la<br />
24ª settimana di gestazione, l’impedenza vascolare e uteroplacentare decresce gradualmente<br />
fino a stabilizzarsi dopo la 24ª settimana. La persistenza del notch diastolico o dell’aumento<br />
della resistenza al flusso a 24 settimane è in stretta relazione con lo sviluppo di una IUGR e/o<br />
preeclampsia a termine di gravidanza 2 .<br />
Il reale valore pred<strong>it</strong>tivo in realtà non è ancora chiaro ma anche da studi recenti si evince<br />
che la presenza di notch bilaterale precoce alla 12ª-16ª settimana che persiste alla 20ª settimana<br />
di gestazione ha un alta sensibil<strong>it</strong>à (dall’81 all’87%) nella predizione di parti pretermine<br />
(
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
vena popl<strong>it</strong>ea viene studiata con la paziente prona o in decub<strong>it</strong>o laterale con il trasduttore<br />
posto posteriormente nella fossa popl<strong>it</strong>ea media e mosso lentamente dalla fossa popl<strong>it</strong>ea verso<br />
il basso fino alla triforcazione delle vene del polpaccio. Con il trasduttore si comprime quindi<br />
il lume di tutto il sistema venoso prossimale fino alla triforcazione. Nelle paziente sintomatiche<br />
la incompleta compressibil<strong>it</strong>à del lume venoso è segno di presenza di TVP prossimale.<br />
Se le vene risultano compressibili e non si visualizza lume residuo, si può escludere la presenza<br />
di TVP sia nella vena femorale comune che nella popl<strong>it</strong>ea. Una CUS normale però non<br />
esclude un TVP prossimale ma il test andrà ripetuto a distanza di una settimana per escludere<br />
la possibil<strong>it</strong>à di una estensione del trombo verso la parte più distale della vena popl<strong>it</strong>ea 12 .<br />
Se il test diviene anormale è segnale di presenza di una TVP prossimale.<br />
La CUS ha un’alta sensibil<strong>it</strong>à per la TVP prossimale sintomatica (97%) e una specific<strong>it</strong>à del<br />
94% nella popolazione generale 21 . La CUS però da sola è inadeguata per la diagnosi della trombosi<br />
isolata della vena iliaca. Poiché quest’ultimo è ad alto rischio di EP. Quando la sintomatologia<br />
della paziente (gonfiore dell’intera gamba con dolore posteriore) ci fa sospettare una<br />
trombosi della vena iliaca è opportuno eseguire ulteriori indagini diagnostiche come la pletismografia<br />
ad impedenza (IPG), il dosaggio dei D-dimeri, MRV (magnetic resonance venography),<br />
doppler pulsato o CT scan 12 .<br />
Ecocardiografia nella diagnosi di EP in gravidanza<br />
Nella paziente gravida con segni clinici sospetti di EP (dispnea, tachicardia, dolore toracico)<br />
ed in fase non acuta di emergenza della patologia, la tecnica diagnostica più utilizzata è la<br />
scintigrafia ventilo-perfusionale. Solo 1/3 di tutte le pazienti sottoposte a questa indagine ha<br />
un quadro scintigrafico decisivo mentre nei 2/3 la scintigrafia è incerta. In quest’ultimo caso<br />
se persiste il sospetto di PE ancora una volta, la CUS può avere un ruolo decisivo nella diagnosi<br />
di TVP asintomatica che potrebbe essere presente in concom<strong>it</strong>anza ad una EP.<br />
L’ecocardiografia transtoracica transesofagea che coinvolge lo specialista cardiologo nel<br />
management della paziente a rischio tromboembolico, non ha in realtà un ruolo clinico stabil<strong>it</strong>o<br />
nella diagnosi di EPA e non è raccomandata come test di routine nella diagnosi di sospetta<br />
embolia polmonare 37 .<br />
Tuttavia segni ecocardiografici indiretti come la ipocinesia ventricolare dx o la valutazione<br />
del rigurg<strong>it</strong>o tricuspidale, la persistente ipertensione polmonare e il libero sbandieramento<br />
del trombo possono aiutare a stimare la grav<strong>it</strong>à di un episodio embolico già diagnosticato con<br />
altri mezzi 23 .<br />
Inoltre l’ecocardiografia può essere d’aiuto nel guidare una trombolisi o una embolectomia<br />
e successivamente nel mon<strong>it</strong>orare l’effetto del trattamento mediante studi seriati della<br />
funzione ventricolare 37 .<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
439
440<br />
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
Ulteriori studi in futuro chiariranno e definiranno più precisamente l’utilizzo ed i lim<strong>it</strong>i<br />
dell’ecocardiografia nel management dell’embolia polmonare.<br />
Lo studio ecografico delle pazienti gravide a rischio di patologia trombotico emorragica<br />
è di fondamentale importanza per i seguenti motivi:<br />
1. Lo studio Doppler delle arterie uterine e delle arterie ombelicali fetali in gravidanza iniziale<br />
permette di identificare le pazienti che svilupperanno successivamente una preeclampsia<br />
e/o un IUGR severo e che sono a rischio di parto pretermine con un valore<br />
pred<strong>it</strong>tivo pos<strong>it</strong>ivo dal 57 all’87% 1 . Questo consente di sottoporre le pazienti ad una sorveglianza<br />
più stretta del benessere materno fetale ma soprattutto di instaurare misure<br />
profilattiche terapeutiche come aspirina a bassa dose con lo scopo di migliorare l’outcome<br />
prenatale.<br />
Una recente review sistematica ha evidenziato come l’aspirina a basse dosi ha un effetto<br />
statisticamente significativo nel risolvere l’incidenza di preeclampsia nelle donne con<br />
alterata flussimetria delle arterie uterine diagnosticate nel secondo trimestre 7 .<br />
2. L’ecografia transvaginale nelle pazienti a rischio permette di diagnosticare precocemente<br />
i casi di emorragia intraventricolare fetale permettendo di sospettare una causa traumatica<br />
verificatasi in epoca pre-partale. Il riscontro di un reperto di questo tipo assume<br />
oggi una rilevanza medico legale fondamentale in caso di danno cerebrale neonatale.<br />
Questo dato infatti in casi di manifestazione patologica neonatale tardiva (1 anno di v<strong>it</strong>a<br />
del bambino) dimostra che la noxa patogena all’origine dell’ handicap psicomotorio,<br />
non si è realizzata per un’asfissia intra-partum, non documentata, ma in epoca precedente<br />
al travaglio di parto, scagionando quindi l’incolpevole ostetrico, che ha assist<strong>it</strong>o quel<br />
determinato travaglio di parto.<br />
3. L’ecografia addominale rappresenta un’indagine importante nel controllo delle patologie<br />
del post-partum di tipo emorragico, con relativo quadro ipotensivo materno. In queste<br />
puerpere infatti, al di là del quadro clinico più o meno eclatante è possibile evidenziare<br />
la presenza di una raccolta ematica patologica, con la sua precisa collocazione: sottocutanea,<br />
sottofasciale, endocav<strong>it</strong>aria sino ad un quadro di emoper<strong>it</strong>oneo importante. È possibile<br />
in questi ultimi casi anche valutare l’estensione addominale dello stesso. È quindi di<br />
fondamentale importanza non lim<strong>it</strong>arsi alla osservazione della pelvi, ma allargare l’indagine<br />
a tutto l’addome, con lo scopo di evidenziare eventuali raccolte a livello della loggia<br />
splenica e/o epatica.<br />
4. La CUS permette di diagnosticare una TVP con un’alta sensibil<strong>it</strong>à e specific<strong>it</strong>à e quindi di<br />
trattare le pazienti affette con lo scopo di prevenire le complicanze tromboemboliche e<br />
ridurre quindi i tassi di morbil<strong>it</strong>à e mortal<strong>it</strong>à materna. Nelle pazienti con diagnosi di TVP<br />
il regime terapeutico ottimale tiene conto della sicurezza del farmaco, sia per il feto che<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
per la madre, dell’efficacia e del dosaggio che serve nella fase acuta, nel mantenimento e<br />
nel post partum. Nella donna con TVP acuta sono raccomandate dosi elevate di eparina<br />
a basso peso molecolare (LMWH) per 5 giorni con aggiustamento della dose nel corso<br />
della gravidanza e sospensione con 12/24 ore prima del parto e ripresa dopo il parto<br />
per 6 settimane 17 . Nella donne affette da trombofilia nelle quali si evidenzia un’aumento<br />
del rischio di TVP e un’associazione con pre-eclampsia, IUGR e aborti ripetuti, la raccomandazione<br />
è quella di utilizzare o aspirina a basse dosi più minidose di eparina oppure<br />
LMWH a dosi profilattiche. Questi aspetti sono trattati più ampiamente in altri cap<strong>it</strong>oli<br />
di questo testo<br />
5. L’ecocardiografia oltre che come momento diagnostico in caso di sospetta EP, può essere<br />
utilizzata per una valida e accurata valutazione del rischio nelle donne con diagnosi di<br />
EP severa 37 .<br />
Le tecniche ecografiche descr<strong>it</strong>te finora di facile esecuzione e non invasive ci permettono<br />
di identificare precocemente quei fattori di rischio associati a complicanze tardive sia materne<br />
che fetali.<br />
La diagnosi precoce dell’alterazione del flusso nelle arterie uterine e della presenza di<br />
una TVP ci impone di attivare misure di prevenzione e/o di controllo intensivo per migliorare<br />
l’outcome fetale e per la prevenzione delle complicanze materne quali l’EP e la preeclampsia.<br />
L’ecografia inoltre offre un valido aiuto nel mon<strong>it</strong>orare il benessere fetale.<br />
La semplic<strong>it</strong>à di esecuzione e il basso costo delle tecniche ci può fare riflettere sulla possibil<strong>it</strong>à<br />
di educare gli ostetrici già esperti nel campo degli ultrasuoni ad utilizzare metodiche<br />
come la CUS. Per l’ecocardiografia su pazienti sintomatiche o a rischio tromboembolico il<br />
discorso è più difficile, specialistico e complesso e quindi possono ipotizzarsi valutazioni su<br />
quadri di emergenza in assenza di un cardiologo.<br />
In questi casi l’ent<strong>it</strong>à delle anomalie del cuore destro può aiutare a confermare il sospetto<br />
di EP, anche da un operatore che non possiede una specializzazione specifica.<br />
È chiaro che le relative competenze specialistiche nella consulenza ecografica devono essere<br />
privilegiate, ma in alcuni casi o per carenze strutturali del centro ostetrico ove la paziente<br />
è ricoverata o per motivi di urgenza clinica, può essere v<strong>it</strong>ale possedere cognizioni<br />
ecografiche, che prescindono dal lim<strong>it</strong>e ostetrico, e consentono di ottenere un’informazione<br />
più completa del quadro clinico nella donna in gravidanza con un conseguente miglioramento<br />
della sua prognosi.<br />
R<strong>it</strong>eniamo simpatico chiudere questo nostro cap<strong>it</strong>olo con una “poesiola”, che ricorda in<br />
rima i momenti procedurali della diagnostica della tromboembolia polmonare.Talvolta questi<br />
anagrammi scientifici possono cost<strong>it</strong>uire un “memento” in momenti di stress operativo.<br />
<strong>GRAVIDANZA</strong> <strong>AD</strong> <strong>ALTO</strong> <strong>RISCHIO</strong> Management in assenza di EBM<br />
441
442<br />
If PE you want to detect,<br />
And ECHO is what you select,<br />
Why did you not plan<br />
Ct or lung scan<br />
To prove there’s a blood flow defect?<br />
Once diagnosis is secure,<br />
The ECHO <strong>it</strong>self is no cure.<br />
For prognostication,<br />
Risk stratification,<br />
Bibliografia:<br />
Cosa cercare ecograficamente nella gravidanza con patologia trombotico-emorragica<br />
ECHO can guide treatment for sure!<br />
You’re still hes<strong>it</strong>ating, I see<br />
Not certain about the RV?<br />
For more precise measure<br />
Than simply blood pressure,<br />
Just say “ECHOCARDIOGRAPHY”.<br />
(Samuel Z. Goldhaber, MD, FCCP. Echocardiography in the<br />
Diagnosis and Management of Pulmonary Embolism).<br />
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