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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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“Per dirla più chiaramente (così il NOBILI, “Nuove polemiche sulle cosiddette massime di<br />

esperienze”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1969 p. 123), a meno di contestare l’esistenza e l’applicabilità<br />

di “regole” generali del conoscere, extragiuridiche, il giudice ha il dovere di ragionare<br />

correttamente e di utilizzare le massime di esperienza, ove il non utilizzarle si tramuti in un<br />

ragionamento non corretto... Un conto è l’insensibilità verso le esigenze del caso concreto, altro<br />

conto la ammissione di conoscenze autonome rispetto ad esso... “le massime svolgono, come<br />

semplici strumenti, una funzione sussidiaria insostituibile nell’operazione giurisdizionale”.<br />

Entro questi limiti, pertanto, l’indizio è affidabile e non anche nel senso di rendere certa la<br />

esclusione <strong>della</strong> “più astratta e remota delle possibilità che, in contrasto con ogni e qualsiasi<br />

verisimiglianza e in conseguenza dell’inusitato combinarsi di imprevisti e imprevedibili fattori, la<br />

realtà delle cose sia stata diversa da quella ricostruita dal giudice. Se cosi fosse, infatti, non si<br />

dovrebbe più parlare di prova indiziaria e di indizi atti a sostenerla, ma di dimostrazione ‘per<br />

absurdum’ secondo regole proprie delle scienze esatte non esportabili, come tali, nell’esercizio<br />

dell’attività giurisdizionale (Cass. 2 marzo 1992 n. 173)”.<br />

Tale principio veniva affermato in relazione ad una fattispecie dove l’arma usata per la<br />

commissione di un omicidio era stata rinvenuta in un cespuglio dove poco prima aveva trovato<br />

rifugio un imputato il quale aveva negato che l’arma gli appartenesse. E al riguardo la Cassazione<br />

nella citata sentenza argomentava che “la pura e semplice prospettazione <strong>della</strong> mera possibilità che<br />

l’arma usata poco prima da uno dei partecipanti all’azione criminosa, pur se ritrovata nel medesimo<br />

cespuglio in cui era stato rinvenuto, perché volontariamente occultatovisi (l’imputato), non avesse<br />

nulla a che fare con costui, non può essere considerata idonea ad inficiare la validità del<br />

ragionamento sulla base del quale i giudici di merito hanno invece affermato che la predetta<br />

coincidenza non potesse avere, nel contesto dell’intera vicenda, altra spiegazione logica e<br />

verosimile che non fosse quella da essi recepita”.<br />

In definitiva l’indizio deve consentire “l’accertamento del fatto ignoto secondo i criteri di<br />

probabilità e di normalità causale (Cass. 30 luglio 1966 n. 464 sez. II)”.<br />

La gravità non va poi valutata neppure sotto il profilo <strong>della</strong> capacità risolutiva del singolo<br />

indizio in quanto la indicazione la si deve collegare al dato che il fatto certo esprime e che di per sé,<br />

seppure grave, può costituire soltanto un elemento probatorio in un contesto che richieda la<br />

concorrenza di altri elementi probatori.<br />

Il secondo requisito, quello <strong>della</strong> precisione, è complementare con il primo: l’indizio deve<br />

consistere in un fatto dal quale risulti chiara quale indicazione esso esprima nel senso che in ordine<br />

alla medesima non possano essere parimenti possibili diverse interpretazioni che renderebbero<br />

equivoco il suo significato.<br />

Con la precisione degli indizi si indica che i medesimi devono essere “non generici e non<br />

suscettibili di diversa interpretazione altrettanto o anche più verosimile, perciò non equivoci (Cass.<br />

30 gennaio 1992 n. 1035 sez. IV)”, per cui la precisione è “inversamente proporzionale al numero<br />

dei collegamenti possibili col fatto da accertare e con ogni altra possibile ipotesi di fatto (Cass. 14<br />

settembre 1994 n. 9916 sez. VI)”.<br />

L’indizio, quindi, potrebbe essere preciso, nel senso di esprimere chiaramente il significato di<br />

una indicazione seppure la medesima possa essere debole rispetto al thema probandum, e, d’altra<br />

parte, potrebbe essere grave ma non preciso quando la sua indicazione sia tale da non escluderne<br />

altre diverse rispetto alle quali risultasse egualmente pertinente.<br />

Ipotesi questa meno ricorrente di quella dell’indizio preciso ma non grave, che comunque<br />

doveva essere tenuta presente dal legislatore che con la previsione del concorso di entrambi i<br />

requisiti, <strong>della</strong> gravità e <strong>della</strong> precisione, ha escluso la ammissibilità di quell’indizio potenzialmente<br />

capace di offrire prospettazioni alternative che, annullandosi a vicenda, avrebbero neutralizzato<br />

ogni sua valenza probatoria.<br />

Ciò non contrasta con la possibilità che un fatto possa esprimere più indicazioni – come si è già<br />

accennato – quando però le medesime si pongano lungo una stessa linea di significati che, anzi, la<br />

gravità dell’indizio verrà cosi accentuata.

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