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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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E a questo punto la prima riflessione che si impone è quella di determinare quale grado di<br />

capacità dimostrativa l’indizio deve avere per essere considerato grave. La risposta non può che<br />

prendere l’avvio dalla struttura dell’indizio, da quella inferenza logica che conduce da un fatto noto<br />

ad un altro fatto ignorato, dove il primo può essere inteso quale effetto, quale traccia, del secondo: il<br />

processo logico viene denominato abduzione, operazione mentale questa che il, FASSONE (“Dalla<br />

certezza all’ipotesi preferibile: un petodo per la valutazione”, in Riv. it. dir. proc. pen. 1995, f.n. 4<br />

p. 1104 ss.) qualifica “a rischio” in quanto “il nesso causale percorso” all’indietro “è sempre frutto<br />

di un’opinabile selezione tra gli infiniti altri antecedenti astrattamente possibili. La scelta operata<br />

attraverso l’abduzione è la proposta di una REGOLA che conduce ad una causa la quale, per<br />

economia di pensiero, viene individuata come l’antecedente più probabile dell’evento conosciuto”.<br />

Ricordo qui, per la identità sostanziale del concetto, la definizione che il DE RUGGIERO nelle<br />

sue “Istituzioni di diritto privato (Milano - Messina 1953, vol. II, p. 580)” dà delle presunzioni che<br />

lui stesso parifica alla prova indiretta nel procedimento penale: “per effetto <strong>della</strong> presunzione si<br />

ritiene vero nel caso concreto ciò che suole esser vero in base ai dati dell’esperienza nella maggior<br />

parte dei casi simili. In sostanza perciò la presunzione, pur qualificandosi mezzo probatorio,<br />

differisce dalle altre prove in ciò che, mentre queste danno la certezza dell’esistenza di un fatto, la<br />

presunzione, invece, fornisce solo la probabilità che quel fatto possa essere vero”.<br />

È proprio perché questa operazione mentale porta in sé il rischio che l’inferenza possa essere<br />

falsata dalla regola o dal criterio seguiti nella abduzione, che si richiede che il fatto noto esprima<br />

una capacità dimostrativa di grado cosi elevato da ridurre al minimo il rischio che il rapporto<br />

inferenziale, che si istituisce, possa risultare fuorviante.<br />

Non però da eliminare il rischio senza il quale non sussisterebbe neppure l’indizio come si è già<br />

avuto occasione di accennare, e in senso conforme le sez. u. <strong>della</strong> Cassazione (sent. 4 febbraio<br />

1992, in Cass. pen. 1992 p. 2662) hanno precisato: “è possibile – seppur non frequente – che da un<br />

fatto accertato sia logicamente desumibile una e una sola conseguenza. In tal caso... dovrà<br />

affermarsi che non tanto di indizio si tratta ma di una prova logica compiuta. Di norma il fatto<br />

indiziante è significativo di una pluralità, maggiore o minore, di fatti non noti (tra i quali quelli da<br />

provare), presenta cioè un livello di gravità e precisione che è direttamente proporzionale alla forza<br />

di necessità logica con la quale l’indizio porta verso il fatto da dimostrare, e inversamente<br />

proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di<br />

esperienza”.<br />

Il requisito <strong>della</strong> gravità dell’indizio richiama questa realtà. L’aggettivo “grave”, riferito a un<br />

sostantivo che designi un accadimento, uno stato personale, una situazione, sottolinea il dato<br />

semantico che esso esprime nel senso di esaltarne il significato, le proprietà che possiede: una<br />

malattia, un pericolo, un incidente stradale, sono gravi quando producono in misura rilevante,<br />

qualitativamente e /o quantitativamente, gli effetti negativi che sono loro comunementi propri.<br />

Tutto questo riferito all’indizio non può che significare che la sua capacità dimostrativa,<br />

rapportata al fatto ignoto, pur tenuto conto che può non condurre a provarne con certezza la<br />

esistenza, deve presentare un grado di consistenza in sé e di resistenza alle obiezioni che potrebbero<br />

indebolirla, tale da accreditare, secondo l’id quod plerumque fit, il suo riferimento al fatto ignoto<br />

oggetto del thema probandum.<br />

È fuorviante, quindi, parlare di certezza che la gravità in sé dell’indizio dovrebbe offrire: è<br />

sufficiente che caratterizzi l’indizio sotto l’aspetto <strong>della</strong> sua valenza probabilistica da valutarsi alla<br />

stregua di parametri che possono essere costituiti o da acquisizioni scientifiche la cui validità non<br />

sia seriamente discutibile, seppure in taluni casi possa offrire non certezza ma soltanto probabilità in<br />

ordine alla derivazione di un evento da una determinata causa, o dalle cosiddette massime di<br />

esperienza da non intendersi quali espressione di una astratta configurazione sillogistica del<br />

conoscere giudiziale, ma di conoscenze generali indipendenti dal caso concreto che esprimono una<br />

costanza di rapporti.

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