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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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Sotto il secondo aspetto non sempre la forza indiziante del fatto si manifesta appieno all’atto del<br />

suo accertamento: ciò dipende dal livello di conoscenze fino a quel momento acquisite nel contesto<br />

nel quale l’indizio si colloca, e che può consentire di apprezzare soltanto alcuna o alcune delle<br />

indicazioni che il fatto indizio può offrire, ma in seguito il concorso di altre circostanze, che aprono<br />

nuove prospettive o precisano meglio certi aspetti <strong>della</strong> vicenda, può rendere meritevoli di<br />

attenzione altre indicazioni prima trascurate che portano ad altri fatti ignoti ma che ripetono il loro<br />

momento genetico non da una inferenza logica a cui si fosse giunti in base al fatto – indizio<br />

inizialmente accertato, ma direttamente da quest’ultimo.<br />

Altre volte, invece, non di un solo indizio si tratta dal quale ne siano derivati altri, ma di una<br />

pluralità di indizi che per l’oggetto proprio di ciascuno di essi, per la loro contiguità che li colloca<br />

lungo una medesima linea di indagine, appaiono derivare l’uno dall’altro.<br />

Una riprova, comunque, dell’ammissibilità dell’indizio mediato sarebbe data – per riprendere<br />

un esempio fatto dal GIANTURCO nella sua opera citata – dal disposto dell’art. 244 c.p.p..<br />

Ora il disposto <strong>della</strong> norma disciplina casi e forme delle ispezioni e prevede anche che nessuna<br />

mutazione di luoghi e cose sia intervenuta: infatti è previsto che il reato non abbia lasciato tracce o<br />

effetti materiali, e in questo caso non c’è evidentemente nessun stato preesistente di luoghi e cose<br />

da verificare. Prevede poi il legislatore pure la ipotesi che una eventuale modificazione vi sia stata,<br />

per cause o naturali o determinate dall’intervento dell’uomo, e in tal caso, e “in quanto possibile”, il<br />

giudice verificherà lo stato preesistente.<br />

Ora due sono le possibilità che possono presentarsi. Che una attività di verifica possa fare<br />

riferimento allo stato attuale quando il medesimo contenga elementi di per sé indicativi di una<br />

traccia o effetto materiale del reato seppure connotati da una rilevanza indiziaria ridotta rispetto a<br />

quella che si ritiene potessero avere prima <strong>della</strong> intervenuta mutazione, e allora l’indizio sarà di 1°<br />

grado con valenza probatoria limitata a quella che il fatto in sé è capace di esprimere, in quanto<br />

senza un riscontro oggettivo non è possibile argomentare alcunché, poiché se così fosse, neppure<br />

l’indizio di 1° grado sussisterebbe. Sotto questo aspetto andare oltre alla valenza probatoria così<br />

circoscritta per desumere da essa altro indizio è veramente congetturare – come freudianamente si<br />

esprime l’Autore.<br />

La seconda possibilità che può presentarsi in assenza di tracce o effetti materiali, o unitamente a<br />

residui dei medesimi, è che la verifica possa giovarsi di elementi non presenti nei luoghi o nelle<br />

cose, ma che riproducono documentalmente lo stato dei medesimi quale esso era prima<br />

dell’accadimento del fatto reato: si pensi a planimetrie, fotografie, etc., che consentono di rilevare<br />

con il raffronto tra i due dati, quello attuale e quello preesistente, le eventuali mutazioni che siano<br />

intervenute. Ma in questo caso il giudice dispone di una prova documentale (tale è qualificata<br />

dall’art. 234 c.p.p.) che seppure la si voglia intendere pure essa quale indizio, concreta un c.d.<br />

indizio necessario nel senso che la inferenza logica che da esso consegue non può che portare alla<br />

conclusione che una determinata mutazione dei luoghi e delle cose vi è stata per qui è tale prova<br />

logica, da considerarsi alla stregua del fatto certo di cui prima si è detto, che potrà poi avere una<br />

valenza probatoria nell’indicare un fatto ignorato pertinente al thema probandum.

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