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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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La certezza di cui si discute deve essere riferita all’indizio quale fonte di prova che può essere<br />

la più varia, o l’esame di un testimone che abbia direttamente assistito all’accadimento di un evento,<br />

o un documento, o tracce rinvenute sul luogo teatro del reato, o altre cose ancora, per cui è evidente<br />

che la certezza non consegue automaticamente da una semplice constatazione <strong>della</strong> esistenza <strong>della</strong><br />

fonte ma comporta una verifica <strong>della</strong> medesima che nel caso <strong>della</strong> testimonianza sarà data dalla<br />

accertata attendibilità del testimone, nel caso del documento dall’accertata sua autenticità, nel caso<br />

delle tracce dalla accertata loro individuazione di res appartenenti a una determinata specie, o di<br />

segni che univocamente indichino la causa che li ha prodotti: ad esempio, in presenza di impronte<br />

sul terreno se esse siano state lasciate dall’uomo, o da un animale, o da un mezzo meccanico.<br />

In tutti questi casi la verifica <strong>della</strong> fonte non comporta alcuna inferenza logica che conduca al<br />

disvelamento del fatto ignorato proprio del thema probandum, in quanto considera l’indizio non<br />

quale elemento probatorio ma semplicemente come un fatto che deve essere individuato nella sua<br />

oggettività senza preoccupazione alcuna dei significati che il medesimo potrà poi esprimere nella<br />

storia criminale – come si usa dire – nel cui contesto soltanto la fonte dell’indizio potrà essere<br />

valutata quale elemento di prova: è per questo che il fatto noto deve offrire un grado tale di certezza<br />

da apparire indubitabile e incontestabile.<br />

Il fatto di per sé non è indizio ma può diventarlo, e soltanto con riferimento a tale divenire si<br />

giustificano i requisiti che devono connotarlo tra i quali la certezza non può avere ingresso posto<br />

che, se intesa in senso assoluto, confligge con la valenza probatoria propria dell’indizio conseguente<br />

alla sua struttura, mentre se intesa in senso relativo essa trova già la sua espressione nei requisiti<br />

<strong>della</strong> gravità e <strong>della</strong> precisione che la presuppongono nel senso che li precede logicamente tutti e,<br />

oltretutto, se il legislatore avesse inteso indicare con l’aggettivo “precisi” la certezza degli indizi<br />

non avrebbe mancato di farne menzione quale loro prima connotazione.<br />

La verità è che la certezza dell’indizio deve ritenersi implicita nella norma e ciò trova conferma<br />

anche nella lettura dell’art. 2729 c.c. che prevede, al pari dell’art. 192, 2° comma, c.p.p., i requisiti<br />

che l’indizio deve possedere per acquistare valenza probatoria e che non ricomprende tra di essi la<br />

certezza proprio perché la medesima si pone su un piano ontologico diverso che trova espressione<br />

in altra norma, l’art. 2727 c.c., dove le presunzioni semplici – indizi – sono le conseguenze che il<br />

giudice trae da un fatto noto, e cioè certo.<br />

Poiché, pertanto, l’art. 192, 2° comma c.p.p. ripete la aggettivazione dell’art. 2729 c.c., è<br />

evidente come in tale aggettivazione non possa ritenersi prevista anche la certezza o notorietà del<br />

fatto che funge da indizio e che viene, quindi, semplicemente presupposta.<br />

La certezza che deve essere propria del fatto per acquistare valenza di indizio pone però il<br />

problema se sia possibile che un indizio abbia come suo antecedente logico altro indizio, se sia<br />

possibile che un rapporto eziologico leghi più indizi e che l’ultimo, nonostante la mediatezza del<br />

riferimento alla certezza del primo fatto indiziante, possa comunque avere una propria valenza<br />

probatoria.<br />

Dopo quanto si è argomentato una risposta positiva è da escludere ma questo non significa<br />

affatto, come pure in dottrina si sostiene, porre dei limiti al libero convincimento del giudice, ma<br />

semplicemente evitare che esso possa formarsi – e riprendo una considerazione già accennata –<br />

sulla base di elementi di valutazione tali da inficiare, per l’assenza di un fatto certo, il processo<br />

logico inferenziale che conduce al fatto ignorato.<br />

E a questo punto è opportuno anche evidenziare come a rigore è libero non il modo di<br />

formazione ma l’an del convincimento nel senso che il convincimento del giudice si forma dopo<br />

che una valutazione delle prove vi sia stata in ordine agli elementi probatori rispetto ai quali esso<br />

può formarsi: i requisiti che l’indizio deve avere attengono alle regole che disciplinano la<br />

ammissibilità e la utilizzabilità processuali delle prove e che hanno lo scopo di impedire che il<br />

convincimento del giudice possa fondarsi solo sulla sua intima convizione, nella sua coscienza, che<br />

in sede di decisione possono, nel foro interno del giudice, avere un rilievo soltanto se a formarle<br />

concorrono elementi probatori che non ripetano la loro ontologia da sospetti, congetture,<br />

supposizioni che la vicenda giudiziaria possa aver suggerito al giudice.

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