quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura
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In merito le Sez. Un. (Cass. 21 aprile 1995) sono quantomai esplicite nell’affermare che si deve<br />
“innanzi tutto escludere che l’inserimento dell’art. 192 c.p.p. fra le ‘Disposizioni Generali’ del libro<br />
III del codice di rito intitolato ‘Prove’ implichi, di per sé solo, che tale norma sia applicabile anche<br />
alla fase dell’indagini preliminari e in particolare alle misure cautelari. Al contrario, la stessa<br />
intitolazione del libro III persuade che le norme in esso contenute siano dettate specificamente per il<br />
giudizio, quali regole per l’accertamento <strong>della</strong> responsabilità dell’imputato, essendo noto che nelle<br />
indagini preliminari non si ricercano prove, ma soltanto elementi indiziari di tale spessore da<br />
rendere utile un rinvio a giudizio nella prospettiva di una condanna... Che poi l’art. 192 c.p.p. non<br />
sia applicabile alla fase delle indagini preliminari e in particolare alle misure cautelari lo si ricava,<br />
oltre che dalla sua rubrica, ‘Valutazione <strong>della</strong> prova’, dall’esame delle specifiche disposizioni da<br />
esso dettate. Invero il comma 1, che impone al giudice di valutare la prova, dando conto in<br />
motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati, non riguarda le ordinanze impositive delle<br />
dette misure, posto che la motivazione di questi provvedimenti è specificamente disciplinata<br />
dall’art. 292 c.p.p.. Inoltre il comma 2, stabilendo che ‘l’esistenza di un fatto’ non è desumibile da<br />
indizi che non siano ‘gravi, precisi e concordanti’ prescrive, in primo luogo, un criterio di<br />
valutazione diretto a verificare il sicuro accadimento di fatti giuridicamente rilevanti, il quale<br />
integra il presupposto necessario del giudizio di responsabilità incentrato sulla dimostrazione dei<br />
fatti ascritti all’imputato, ma non anche dell’applicazione delle misure cautelari, fondate soltanto<br />
sulla sussistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza. In secondo luogo, la medesima<br />
norma sottende un concetto di indizi – intesi come circostanze certe da cui può logicamente dedursi<br />
l’esistenza del fatto da provare – che non coincide con la diversa e più ampia nozione degli indizi<br />
richiesti per l’applicazione di tali misure. Infine, la norma in esame richiede la sussistenza del<br />
triplice requisito <strong>della</strong> gravità, precisione e concordanza, mentre l’art. 273 c.p.p. impone soltanto il<br />
requisito <strong>della</strong> gravità”.<br />
Dottrina e giurisprudenza si soffermano soprattutto sull’art. 273 c.p.p. e al riguardo si sottolinea<br />
come la nozione di indizio accolta nella suddetta norma sia “più ampia di quella strettamente<br />
tecnica, e tale quindi da comprendere sia le prove così dette logiche o indirette, sia quelle dirette, tra<br />
le quali vanno ricomprese anche le dichiarazioni accusatorie rese da coimputato o coindagato (Cass.<br />
11 maggio 1993 n. 1489 sez. I)”, e più in particolare che “la valenza probatoria degli indizi è<br />
diversa secondo che siano utilizzati durante la fase delle indagini preliminari, per l’applicazione<br />
delle misure cautelari personali, o nel giudizio: certezza, univocità e concordanza sono caratteri<br />
necessari affinché gli indizi assurgano a prova di colpevolezza per la pronuncia di una sentenza di<br />
condanna, mentre, ai fini cautelari, essi devono considerarsi solo gravi, tali, cioè, che siano dotati di<br />
un valore da giustificare il giudizio di apprezzabile colpevolezza <strong>della</strong> persona indagata (Cass. 1<br />
settembre 1992 n. 3079 sez. VI)”.<br />
In definitiva “l’indizio quale probatio minor prevista dall’art. 273 c.p.p. si distacca dalla<br />
definizione <strong>della</strong> prova indiziaria che va ancorata ai requisiti stabiliti dall’art. 192 c.p.p.; esso, però,<br />
deve avere il requisito <strong>della</strong> gravità che si individua, in direzione dell’indagato, nella consistente<br />
probabilità di colpevolezza, <strong>della</strong> quale occorre dar ragione in motivazione nella valutazione di un<br />
<strong>quad</strong>ro di elementi validi a sostenere l’assai credibile convinzione di responsabilità di un individuo<br />
nei confronti del quale è applicata la misura cautelare. Ai fini di cui trattasi, dunque, l’indizio va<br />
inteso in senso valutativo, come ciò che non prova completamente, non solo per la sua qualità<br />
inferiore a quella <strong>della</strong> prova (probabilità e non certezza), ma anche in rapporto alla funzionalità<br />
(idoneità per l’applicazione di una misura cautelare personale e non, appunto, per l’affermazione di<br />
responsabilità) e in relazione al momento cronologico (fase delle indagini preliminari del<br />
procedimento (Cass. 3 dicembre 1993 n. 4843 sez. I)”.