quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura
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Nella deduzione regola e caso si conoscono e si intende ricavarne il risultato, mentre nella<br />
abduzione risultato e regola si conoscono e si va alla ricerca del caso: ma è proprio questa seconda<br />
la fattispecie di cui si discute. La pericolosità sociale non si presume ma deve essere concretamente<br />
provata: quale che sia l’organo che vi provvede essa non può essere applicata senza un previo<br />
esame da parte del magistrato di sorveglianza (art. 679 c.p.p.). Per farlo il giudice deve procedere<br />
alla valutazione di determinati elementi – di fatti – i quali abbiano la capacità dimostrativa idonea a<br />
ritenere probabile la commissione da parte del condannato – o del prosciolto nei casi di cui all’art.<br />
222 c.p. – di nuovi fatti preveduti dalla legge come reato. Da fatti certi e concreti riguardanti la<br />
personalità del soggetto quale estrinsecatasi in determinati comportamenti e condotte passati, si<br />
desume la probabilità (non la certezza) <strong>della</strong> commissione da parte sua di altri reati: un processo<br />
abduttivo esiste, solo che da fatti certi non si risale a un fatto ignoto collocato nel passato ma a un<br />
fatto ignoto collocato nel presente. Non deve trarre in inganno il riferimento alla probabilità di<br />
commettere in futuro altri reati in quanto l’accertamento verte sulla attuale probabilità di<br />
commettere altri reati, e proprio la peculiarità di tale fatto esige che esso sia accertato attraverso una<br />
prova indiziaria: i mezzi di prova che possono essere utilizzati – previsti dagli artt. 666 n. 5 c.p.p. e<br />
185 disp. att. c.p.p., in via peraltro esemplificativa – seppure possano consistere anche in<br />
testimonianze, non sono direttamente rappresentativi del thema probandum per cui soltanto dal<br />
concorso di una pluralità di indizi sarà dato accertare la attuale pericolosità sociale del soggetto.<br />
Il richiamo agli indizi di cui all’art. 192, 2° comma c.p.p. è del tutto pertinente in quanto si<br />
tratta pur sempre di una valutazione di prove nell’ambito di un processo che è sostanzialmente<br />
identico a quello che si conclude con una sentenza di condanna o di assoluzione. Così il<br />
GUARNIERI (G. Guarnieri, Il processo delle misure di sicurezza, Torino, 1953, p. 105 ss.) il quale<br />
sottolinea che il giudizio di pericolosità funzionalmente non si differenzia se non per elementi del<br />
tutto secondari dal giudizio penale stante che non è vero che quest’ultimo “si volga esclusivamente<br />
al passato (reato commesso) e sia chiuso a qualsiasi considerazione relativa alla presumibile<br />
condotta del giudicabile dopo la sentenza. Infatti in caso di condanna e qualora la pena inflitta non<br />
superi certi limiti, il giudice può e deve fare una prognosi di pericolosità dipendendo la concessione<br />
del perdono giudiziale e <strong>della</strong> sospensione condizionale <strong>della</strong> pena dall’accertamento che, avuto<br />
riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133 c.p., si possa presumere che il colpevole si asterrà dal<br />
commettere ulteriori reati. Ma oltre che in queste ipotesi, che potrebbero definirsi marginali, il<br />
giudice deve sempre porsi tale problema in sede di individuazione <strong>della</strong> pena in concreto, in quanto<br />
deve tener conto <strong>della</strong> capacità criminale e questa non sussiste fuori dal riferimento alla futura<br />
condotta del giudicabile... Così accade che nella misura e nella scelta <strong>della</strong> pena si tenga conto<br />
anche delle qualità personali del reo che, senza riflettersi nel singolo episodio criminoso,<br />
costituiscono un indizio <strong>della</strong> sua capacità a delinquere, cioè <strong>della</strong> possibilità maggiore o minore<br />
che egli commetta nell’avvenire altri reati”.<br />
Certo l’assetto normativo del processo di esecuzione, applicabile anche a quello proprio <strong>della</strong><br />
magistratura di sorveglianza, esigerebbe, è proprio il caso di dire, un riassetto se non altro “a<br />
seguito dell’entrata in vigore <strong>della</strong> normativa sull’ordinamento penitenziario e in relazione alle<br />
necessità applicative delle disposizioni in punto di misure alternative alla detenzione. Difatti, con la<br />
legge n. 354 del 1975 e le sue successive modificazioni, il legislatore aveva per la prima volta<br />
configurato un procedimento, quello di sorveglianza, diretto a consentire a un giudice, dopo la<br />
sentenza definitiva di condanna, un intervento determinante sulla qualità e modalità di esecuzione<br />
<strong>della</strong> pena, oltre che in punto di misure di sicurezza...