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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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Altro esempio è quello dell’intercettazioni telefoniche: “per la loro utilizzazione probatoria non<br />

devono necessariamente essere riscontrate con altri elementi esterni. Quando costituiscono indizi<br />

qualificati sono esse stesse fonte diretta di prova (Cass. 17 ottobre 1991 n. 2157, sez. IV)”.<br />

La prova indiziaria deve essere quindi valutata nei suoi limiti e nella sua valenza quali risultano<br />

dalla sua struttura: i suoi limiti sono la sua forza: da un superamento dei primi uscirebbe indebolita<br />

la seconda.<br />

Tutti i requisiti previsti dall’art. 192, 2 comma c.p.p. devono perciò necessariamente concorrere<br />

perché il thema probandum possa, in sede di decisione, ritenersi accertato. La concordanza riassume<br />

in sé la idoneità degli indizi gravi e precisi a provare il thema probandum per collocarli tutti<br />

“armonicamente in un unico contesto dal quale possa per tale via essere desunta l’esistenza o, per<br />

converso, l’inesistenza di un fatto (Cass. 14 settembre 1994, n. 9916, sez. VI)”.<br />

A questo punto, proprio con riferimento al requisito <strong>della</strong> concordanza, merita di essere<br />

ricordato l’indizio dato dal movente del delitto.<br />

Un indizio grave e preciso può essere costituito, infatti, dalla causale del crimine che ha: “non<br />

solo la capacità di esaltare gli elementi indiziari di carattere oggettivo, facendoli convergere in un<br />

<strong>quad</strong>ro unitario di riferimento, ma è essa stessa dotata dell’autonoma capacità di manifestare ciò che<br />

senza la sua corretta valutazione resterebbe sconosciuto... Pertanto, la prova del coinvolgimento di<br />

un soggetto in un delitto può anche essere la causale, quando questa, per la sua specificità, converge<br />

in una direzione univoca. In tema di omicidio è stato ritenuto che l’interesse di alcuni imputati alla<br />

eliminazione fisica di un ufficiale dei carabinieri sorreggeva l’ipotesi <strong>della</strong> riferibilità del fatto<br />

all’associazione criminosa di cui essi imputati erano esponenti, rafforzando nel contempo la valenza<br />

probatoria degli altri indizi (Cass. 11 marzo 1993, n. 2381, sez. V)”.<br />

Nel contesto di valutazione complessiva dell’insieme degli indizi chiari e convergenti, la<br />

causale individuata esprime la sua funzione di elemento catalizzatore delle altre circostanze<br />

indizianti e di chiave di lettura di esse. Fuori da tale contesto, la causale costituisce solo un valido<br />

elemento orientativo nella ricerca <strong>della</strong> prova, che conserva tuttavia, di per sé, un connotato di<br />

ambiguità perché da solo non può esaurire con certezza la gamma delle possibili ragioni di un fatto<br />

(Cass. 27 marzo 1992, n. 3727 sez. I)”.<br />

Una interessante applicazione dell’indizio <strong>della</strong> causalità valutato alla stregua di quelle<br />

massime di esperienza di cui prima si è parlato, risulta dalla sentenza n. 280 del 9 aprile 1992 <strong>della</strong> I<br />

sez. pen. <strong>della</strong> Corte di Cassazione dove nella valutazione <strong>della</strong> prova nei confronti di soggetto<br />

(pastore sardo) imputato di omicidio in danno del suo datore di lavoro si legge che “non meno che<br />

le norme di legge, il giudice deve anzitutto interpretare i fatti, dando di essi spiegazioni non astratte<br />

bensì adeguate alla realtà storica le quali, già per questo, non possono prescindere dal tener conto di<br />

speciali condizionamenti psicologici e formativi di chi attua condotte criminose, sicché il giudice<br />

non può, a tal uopo, pretermettere il notorio, ancorché locale, né le presunzioni semplici, ossia<br />

regole di condotta particolari alla cui stregua va impostata l’ottica di valutazione delle prove, non<br />

solo civili, ma anche penali... Risulta quindi corretto l’indugio del giudice di merito nel considerare<br />

l’influenza – per i partecipi di particolari ambienti – che acquista una mentalità educata alla<br />

preminenza di valori arcaicamente e anomalamente individualisti, la quale finisce con il suggerire<br />

comportamenti e condotte volti ad assicurare la preminenza dell’io, sino al controbilaciamento con<br />

la via altrui, di pretesi torti subiti come quello di essere rimasto soggetto passivo di ‘spiata’<br />

all’autorità di polizia”. Indizio causale questo apprezzato “quale momento di coagulo e di<br />

spiegazione che legava i plurimi elementi indiziari desunti da fatti storicamente certi”.<br />

Altra interessante pronuncia è quella dove si legge (Cass. 3 marzo 1992, n. 173, sez. I) che “in<br />

linea di principio nulla vieta che elementi indizianti, anche in ordine alla individuazione ex post<br />

<strong>della</strong> causale di un delitto di omicidio, possano essere tratti da comportamenti rivelatori che il<br />

prevenuto abbia posto in essere successivamente all’epoca in cui il delitto ha avuto luogo (si<br />

trattava di un imputato la cui appartenenza a un sodalizio criminoso contrapposto a quello cui<br />

apparteneva la vittima dell’omicidio, era emersa da una condotta tenuta dall’imputato due anni dopo<br />

la commissione del crimine )”.

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