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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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Il primo riguarda le impronte digitali trovate impresse sull’arma del delitto e corrispondenti a<br />

quelle dell’imputato. Di per sé l’indizio è indubbiamente grave e preciso nell’indicare la persona<br />

che ha impugnato quell’arma dalla quale è stato esploso il proiettile che ha colpito la vittima, ma se<br />

questo indizio fosse il solo ad essere stato acquisito, la sua gravità e precisione potrebbero rendere<br />

soltanto probabile il fatto che autore del delitto sia la persona cui le impronte appartengono. Infatti<br />

non sarebbe certo il tempo in cui l’arma è stata impugnata dall’imputato nel senso che potrebbe<br />

esserlo stata in tempo precedente a quello in cui se ne servi poi l’autore del delitto dopo essersi<br />

infilato un guanto così da lasciare impresse le sole impronte dell’imputato.<br />

Concorrendo invece altri indizi convergenti nell’indicare la persona, cui appartengono le<br />

impronte, quale autore del delitto, la loro concordanza consentirebbe di raggiungere quella certezza<br />

del thema probandum che il solo indizio delle impronte non era in grado di offrire.<br />

Ancora si cita l’alibi sufficiente a dimostrare che l’imputato non è stato l’esecutore materiale<br />

del delitto in quanto risultato presente in luogo diverso da quello del delitto nel tempo in cui il<br />

crimine venne commesso. L’alibi, però, deve essere provato e se la prova viene offerta, come<br />

solitamente accade, da una testimonianza, è tale prova diretta a scagionare l’imputato e non<br />

l’indizio: il testimone riferisce su di un fatto del quale è a conoscenza diretta per aver veduto<br />

l’imputato in un determinato luogo. Se poi questo elemento lo si voglia considerare indizio si<br />

tratterebbe di un indizio c.d. necessario stante che se l’imputato era in quel luogo non poteva essere<br />

contemporaneamente nel luogo teatro del delitto.<br />

Sul punto chiaramente il BELLAVISTA (G. Bellavista, Considerazioni sulla prova d’alibi, in<br />

Scritti in onore di S. Pugliatti, vol. 3°, Milano 1978, p. 23, citato dalla Battaglio nell’articolo<br />

citato): “la circostanza d’alibi, una volta accertata, opera così radicalmente sul piano <strong>della</strong> decisione<br />

giudiziale da non consentire spazio alcuno a quei margini di dubbio che sono connaturali alla prova<br />

indiziaria. Essa è prova logica piena sempre sul piano <strong>della</strong> non partecipazione materiale del<br />

prevenuto al delitto... una volta accertato rigorosamente l’alibi... ogni altra ricerca probatoria appare<br />

sterile e vana”.<br />

Può ancora dirsi che l’alibi potrebbe essere altrimenti provato, da un documento di trasporto ad<br />

esempio, che individui il luogo, il giorno e l’ora in cui venne acquistato: ma in tal caso l’indizio, pur<br />

grave e preciso, potrebbe avere la sola valenza probatoria di quello dato dalle impronte digitali non<br />

potendosi ragionevolmente escludere che altri lo avessero acquistato per poi cederlo all’imputato.<br />

Un altro esempio, molto incisivo, <strong>della</strong> sufficienza di un unico indizio a dimostrare la esistenza<br />

di un fatto, è quello <strong>della</strong> ripresa dell’imputato dalle telecamere di un circuito interno nella<br />

flagranza del delitto (furto, rapina, o altro). Certamente il dato ha una valenza probatoria da sola<br />

sufficiente a ritenere accertato il fatto ignorato, e se di indizio si parla è perché il nastro nel quale è<br />

impressa la sequenza delle immagini dell’autore del crimine non sarebbe direttamente<br />

rappresentativo del fatto reato ma costituirebbe soltanto una traccia, un segno, del medesimo: fatto<br />

certo, quindi, dal quale desumere quello ignorato.<br />

Qui, peraltro, la distinzione tra prova diretta rappresentativa e prova indiretta critica non ha<br />

ragione di essere. Se è vero che il processo abduttivo proprio dell’indizio conduce da un fatto certo<br />

ad acquisire conoscenza di un fatto ignoto, nell’esempio il fatto certo è già rappresentativo del<br />

thema probandum senza la necessità di alcuna inferenza logica: chi osserva la videoregistrazione<br />

prende già conoscenza del fatto prima ignoto. L’unica verifica che si impone è quella di controllare<br />

che la videoregistrazione provenga dalla telecamera installata in quel determinato luogo e non sia<br />

stata manomessa, ma tale verifica può essere messa sullo stesso piano di quella relativa alla<br />

attendibilità di un testimone: in entrambi i casi è il fatto certo in sé che abbisogna di una verifica per<br />

essere considerato tale, ma una volta superata tale verifica nessun processo di inferenza logica<br />

risulta necessario. La videoregistrazione e la testimonianza provano direttamente il thema<br />

probandum, ed è evidente che la forza probatoria <strong>della</strong> prima risulterebbe, in un giudizio di<br />

comparazione, certamente superiore a quella <strong>della</strong> seconda.

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