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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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Le Sez. Un. (Cass. 4 giugno 1992 n. 1) precisano che l’apprezzamento unitario degli indizi<br />

costituisce “un’operazione logica che presuppone la previa valutazione di ciascuno singolarmente,<br />

onde saggiare la valenza qualitativa individuale. Ciò perché una molteplicità di elementi ai quali<br />

fosse attribuibile rilevanza, non sulla base di regole collaudate di esperienza e di criteri<br />

logico-scientifici, bensì ed esclusivamente in virtù di semplice intuizioni congetturali o di arbitrarie<br />

e personalistiche supposizioni, non consentirebbe di pervenire ragionevolmente ad alcun risultato<br />

probatorio anche nel <strong>quad</strong>ro di un contesto estimativo unitario (icasticamente, si usa dire in tali<br />

situazioni, che ‘più zeri non fanno una unità’, aforisma che il legislatore ha canonizzato nel 2°<br />

comma dell’art. 192 c.p.p.)”.<br />

Ma dopo tale premessa concludono che “acquisita la valenza indicativa, sia pure di portata<br />

possibilistica e non univoca di ciascun indizio, è doveroso e imprescindibile logicamente passare al<br />

momento metodologico successivo dell’esame globale e unitario attraverso il quale la relativa<br />

ambiguità indicativa di ciascun elemento probatorio può risolversi, perché nella valutazione<br />

successiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri talché il limite <strong>della</strong> valenza di ognuno<br />

risulta superato e l’incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, sicché<br />

l’insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo per il quale può affermarsi<br />

conseguita la prova logica del fatto”.<br />

Tutto questo desta perplessità perché riguarda aspetti essenziali del rapporto inferenziale che<br />

caratterizza l’indizio, e nel quale si introducono elementi deboli come tali capaci di inquinarlo e<br />

destinati ad incidere negativamente sul risultato stesso dell’operazione mentale.<br />

Alla base di tutto questo, peraltro, si annida una interpretazione del 2° comma dell’art 192 c.p.c.<br />

che considera il requisito <strong>della</strong> concordanza da un lato non necessariamente concorrente con gli altri<br />

due requisiti, e dall’altro, invece, capace di attribuire ad una pluralità di fatti, di per sé anche non<br />

gravi e precisi quali singoli indizi, quella forza dimostrativa suffciente a pervenire al thema<br />

probandum.<br />

Una tale interpretazione non può affatto essere condivisa e la sua confutazione porta a trattare il<br />

requisito <strong>della</strong> concordanza.<br />

Un indizio singolo correttamente inteso sul piano logico-giuridico, non può dare certezza del<br />

thema probandum, il raffronto inferenziale di per sé non può condurre ad essa ed è esclusivamente<br />

sotto questo aspetto che la prova indiziaria può venire considerata una probatio minor, ma è proprio<br />

con riferimento a tali limiti del singolo fatto indiziante che il legislatore ha previsto che la esistenza<br />

di un fatto non possa essere desunta che da indizi gravi, precisi e concordanti i quali, per essere tali,<br />

devono essere necessariamente plurimi.<br />

Se il legislatore avesse inteso che la esistenza di un fatto potesse essere desunta anche da un<br />

solo indizio avrebbe declinato al singolare tale sostantivo non menzionando affatto il requisito <strong>della</strong><br />

concordanza o aggiungendolo nella previsione di una eventuale concorrenza di altri indizi.<br />

Né a sminuire il peso di una tale interpretazione letterale – che secondo certa giurisprudenza<br />

(Cass. 25 marzo 1992 n. 903) non sarebbe da sola sufficiente a risolvere il problema <strong>della</strong><br />

sufficienza o non di un solo indizio – può essere addotto il fatto che il legislatore non si sarebbe<br />

posto particolari problemi al riguardo richiamandosi semplicemente al testo dell’art. 2729 c.c., in<br />

quanto proprio in sede civilistica era stata dibattuta la questione, nel progetto LIEBMAN, di una<br />

soppressione del requisito <strong>della</strong> concordanza ritenendosi sufficiente che il fatto ignorato fosse<br />

desunto quale conseguenza univoca e concludente da un fatto noto, per cui doveva essere ben<br />

presente al legislatore il dibattito in merito al fatto costitutivo <strong>della</strong> presunzione e, quindi,<br />

dell’indizio.<br />

La concordanza degli indizi non è un requisito dell’indizio, che è sufficiente sia grave e preciso,<br />

ma è un requisito degli indizi nel senso che tutti gli indizi presenti abbiano ciascuno una valenza<br />

probatoria che si armonizza con quella degli altri nell’accertamento del thema probandum. La<br />

concordanza non aumenta la valenza probatoria del singolo indizio, che rimane quella che gli è<br />

propria, ma consente di raggiungere la univocità probatoria “attraverso i collegamenti e la<br />

confluenza univoca dei plurimi indizi (Cass. 16 luglio 1992 n. 8045 sez. I)”.

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