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quad. n. 98ù - Consiglio Superiore della Magistratura

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Non è preciso l’indizio equivoco e plurivalente proprio perché non consente di individuare con<br />

chiarezza la indicazione o le indicazioni pertinenti al thema probandum. Una selezione di<br />

indicazioni in queste condizioni sarebbe del tutto arbitraria e spezzerebbe quella consequenzialità<br />

logico-giuridica che deve presiedere a ogni operazione mentale del processo abduttivo. Ecco perché<br />

l’indizio preciso può anche venire qualificato necessario, aggettivo questo, però, appropriato se si<br />

intende che senza precisione l’indizio non può avere alcun rilievo probatorio, ma fuorviante se lo si<br />

intende di per sé e da solo idoneo e sufficiente a provare il fatto ignoto. Così, invece, Cass. 5 marzo<br />

1992 n. 2398, secondo la quale “con la precisione degli indizi si stigmatizza la circostanza<br />

indiziante inidonea a prestarsi ad interpretazione diversa (alternativa) da quella <strong>della</strong> prova del fatto<br />

ignoto (da dedurre): indizio preciso è, perciò, quello che la ricorrente dottrina qualifica indizio<br />

necessario” con la conseguenza che “i requisiti <strong>della</strong> precisione e <strong>della</strong> concordanza non possono<br />

coesistere in ciascuno indizio da valutare, dato che, ove uno di essi possegga quello <strong>della</strong> precisione<br />

(nel senso <strong>della</strong> necessarietà), di per sé e da solo risulta idoneo e sufficiente a provare il fatto<br />

ignoto; al contrario, in presenza di più indizi, nessuno dei quali sia fornito del requisito <strong>della</strong><br />

precisione, è necessario pervenire ad una operazione logico-concettuale di complessiva valutazione<br />

sotto la regia <strong>della</strong> regola di esperienza assunta dal decidente”.<br />

Interpretazione <strong>della</strong> norma questa da non condividere affatto in quanto da un lato identifica<br />

sostanzialmente l’indizio con la prova tout-court che di per sé dà certezza del fatto ignoto e<br />

dall’altro non ritiene che ciascun indizio debba avere ab intrinseco una propria precisione ma possa<br />

ripeterla da una valutazione complessiva che ricomprenda altri indizi.<br />

Quanto al primo aspetto valgono le considerazioni già svolte e questa puntualizzazione <strong>della</strong><br />

S.C. (Cass. 16 luglio 1992 n. 8045 sez. I): “l’insufficienza del singolo dato indiziante, ancorchè<br />

grave e preciso, è connaturale al carattere stesso dell’indizio; l’essenziale è che l’univocità<br />

probatoria venga raggiunta attraverso i collegamenti e la confluenza univoca dei plurimi indizi,<br />

evitandosi l’errore di una valutazione frazionata e, come tale, viziata dall’apparenza, non avendo<br />

essa tenuto conto del significato promanante dal sinergismo indiziario”.<br />

Quanto al secondo aspetto se più indizi sono tutti equivoci nel senso che non consentano di<br />

individuare con chiarezza alcuna indicazione che prevalga sulle altre pure espresse, una valutazione<br />

complessiva non potrà che condurre a un risultato del pari equivoco: una somma di ambiguità non<br />

potrà mai tradursi in un risultato di chiarezza.<br />

Se alcuni indizi soltanto, invece, sono equivoci e altri univoci, una valutazione che li<br />

considerasse tutti precisi privilegerebbe dei primi quella loro indicazione che risulta coerente con<br />

quella offerta dai secondi, ma questa scelta, non motivata da elementi propri del singolo indizio,<br />

condurrebbe pur sempre a ricomprendere nel novero degli indizi, valorizzabili quali elementi di<br />

prova, fatti privi di per sé di una propria valenza probatoria, il che ritengo non sia consentito in<br />

quanto una operazione del genere si colloca nell’ambito di una valutazione unitaria degli indizi che<br />

è volta ad apprezzare la concordanza di fatti che già di per sé hanno ciascuno dignità di indizio e<br />

che da un raffronto reciproco potrebbero soltanto vedere potenziata e completata la loro singola<br />

valenza probatoria nel senso di confluire tutti in una unica direzione.<br />

Non è esatta, pertanto, la impostazione del SAMMARCO che, nel suo articolo citato, afferma<br />

che “nell’ipotesi in cui l’indizio equivoco converga con altri elementi verso un’unica conclusione,<br />

allora esso perde il suo originario carattere di equivocità e contribuisce validamente a fondare la<br />

dimostrazione del tema di prova. L’equivocità si annulla allorché tra le molteplici inferenze<br />

possibili sulla base del solo elemento considerato singolarmente, ne prevale una soltanto perché<br />

confermata dagli altri elementi acquisiti agli atti”: più esatto è dire che fatti indizianti non precisi<br />

sono indifferenti rispetto al thema probandum al quale si potrà pervenire non tanto perché essi<br />

ricevono da altri indizi la univocità che non possiedono, quanto perché tale univocità risulta<br />

affermata da quegli indizi che ab intrinseco la possedevano.<br />

Il singolo indizio, quindi, deve essere di per sé tale, ma questo principio, anche da parte di chi<br />

appare seguirlo, non sempre viene inteso in senso corretto.

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