INFORMAZIONE PREVIDENZIALE - Inps
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Tribunali 765<br />
dell’impresa, non invece le riduzioni dell’orario di lavoro dei singoli dipendenti. Ed<br />
infatti, se si desse rilievo a tali ultime riduzioni si permetterebbe una facile elusione<br />
della disposizione di legge, che non potrebbe essere applicata in nessun caso, in quanto<br />
ogni riduzione dell’orario di lavoro dei dipendenti, comunque e per qualsiasi ragione<br />
disposta dall’impresa, determinerebbe l’applicazione della contribuzione secondo le<br />
ore effettivamente prestate.<br />
Secondo i principi dettati dalla Suprema Corte di Cassazione citata, infatti, si<br />
ritiene che la ratio legis dell’art. 29 sia proprio quella di evitare, a fronte di tali rapporti<br />
di lavoro frammentari, come quelli edili, di avere una contribuzione insufficiente ad<br />
assicurare la necessaria provvista.<br />
Non va sottaciuto, tuttavia, che una successiva pronuncia della Corte di legittimità<br />
(Cass. 1301/06 (1)) ha statuito che il “minimale contributivo (di cui al D.L. 23<br />
giugno 1995, n. 244, articolo 29, comma 1, convertito in L. 8 agosto 1995, n. 341, cit.)<br />
non trova applicazione nelle ipotesi in cui non sia dovuta - in dipendenza del rapporto<br />
di lavoro - alcuna prestazione lavorativa, nè alcuna retribuzione - corrispettivo”.<br />
All’evidenza, non si tratta delle ipotesi di esclusione dal prospettato orario normale<br />
contrattuale (assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione<br />
dell’attività lavorativa, con intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi<br />
indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante<br />
accantonamento presso le casse edili, nonché per altri motivi individuati da decreto<br />
ministeriale, appunto), che incidono soltanto sull’importo del minimale, previsto contrattualmente,<br />
bensì di ipotesi affatto diverse - che esulano, quindi, dalla elencazione<br />
tassativa degli stessi casi di esclusione dal prospettato orario normale contrattuale -<br />
nelle quali, sia pure temporaneamente, non sorge - in dipendenza del rapporto di lavoro,<br />
appunto - nè l’obbligazione di prestare lavoro, né l’obbligazione di corrispondere la<br />
retribuzione.<br />
In tali ipotesi, non può sorgere, quindi, alcun problema circa la qualificazione<br />
giuridica della inesistente retribuzione - corrispettivo - come retribuzione imponibile a<br />
fini contributivi o meno, appunto - né circa la conformazione - che ne consegue - della<br />
stessa retribuzione al minimale (di cui al D.L. 23 giugno 1995, n. 244, articolo 29,<br />
comma 1, convertito in L. 8 agosto 1995, n. 341, cit.).<br />
È, proprio, questo il caso della sospensione consensuale del rapporto di lavoro.<br />
Il problema, quindi, è di coordinare le due pronunce, che a prima vista sembrano<br />
contrarie.<br />
L’interpretazione della pronuncia della Cassazione da ultimo citata non può prescindere<br />
dall’esame del sistema.<br />
Come sopra accennato la contribuzione avviene sulla base di un minimale contribuivo;<br />
l’istituto del "minimale contributivo" nel nostro ordinamento consiste nell’obbligo<br />
di versare i contributi sulla base di una retribuzione che può essere meramente<br />
"virtuale" nei casi in cui quella dovuta ed erogata sia concretamente inferiore.<br />
Esso trova fondamento in molteplici disposizioni, tra cui la più importante è quella<br />
di cui all’art. 1 DL 338/89, convertito con la legge n. 389/89, a norma del quale<br />
“l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali<br />
non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato<br />
settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle asso-