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Untitled - dott. Simonini Maurizio La Spezia

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Dedica<br />

A Idea<br />

che compare una sola volta<br />

ma è madre di tutte le altre.<br />

2


L’analisi personale<br />

All’approssimarsi dei ventuno anni, periodo in cui, recitano i testi di<br />

fisiologia, termina la fase di accrescimento fisico, Sinsimor dovette costatare<br />

di non aver ancora raggiunto una eguale maturazione psicologica e pertanto<br />

si decise ad intraprendere una terapia psicoanalitica.<br />

Il primo analista che contattò era il primo della lista. Il primo per titoli, il<br />

primo per pubblicazioni, il primo per incarichi di prestigio e notorietà; in<br />

altre parole il primo in tutto. Purtroppo era anche il primo per lontananza e<br />

onorario. Ciò lo costringeva a impiegare mezza giornata per fare tre quarti<br />

d’ora di seduta, a spendere tutto il salario mensile per pagare l’analisi e ad<br />

andare in prestito dai genitori per affrontare le spese dei relativi spostamenti.<br />

<strong>La</strong> situazione si rese ben presto insostenibile.<br />

Non volendo abbandonare l’idea Sinsimor si rivolse ad un secondo<br />

analista. Questi era meno famoso del precedente e più accessibile per tempo e<br />

soldi ma, nel giardino antistante lo studio, teneva un dobermann<br />

precariamente legato ad una altrettanto precaria catena. All’entrata del muro<br />

di cinta della proprietà un’aiuola triangolare gli impediva di tagliare la strada<br />

lontano dalla belva e lo costringeva a passare a circa mezzo metro dal cane<br />

con conseguente ringhiata e spavento. Quell’analista lo avrebbe certo guarito<br />

dalle sue fobie ma inevitabilmente gliene avrebbe creata una che non aveva,<br />

quella per i cani. Così non poteva continuare.<br />

Col terzo analista il problema non era il cane ma il citofono. Anche questi<br />

aveva un giardino attorno allo studio. Entrare non era difficile. Sinsimor<br />

premeva il pulsante del citofono, posto a fianco del cancello di entrata, e<br />

l’analista prontamente, dalla sua stanzetta, mandava l’imput di apertura del<br />

cancello stesso. Attraversato il giardino, dopo una seconda scampanellata alla<br />

porta dello studio, veniva fatto accomodare dal maestro. Più complessa<br />

l’uscita. Sempre, dopo di lui, un altro paziente aspettava il proprio turno.<br />

Anch’esso aveva seguito il solito iter di suonare dapprima al citofono del<br />

cancello e poi un secondo squillo alla porta dello studio che rappresentava,<br />

per Sinsimor, il segnale che era giunto il tempo di andarsene. Uscito,<br />

riattraversava il giardino fino al cancello. Se questo era stato lasciato aperto<br />

dal paziente seguente nessun problema. Se però, come spesso accadeva, il<br />

cancello era stato richiuso si trovava inquietantemente imprigionato nel<br />

giardino. Non poteva tornare dall’analista perché ciò avrebbe significato<br />

3


disturbare il paziente che ormai era entrato e, come si sa, in analisi la seduta è<br />

sacra. Era perciò costretto, con una contorsione inaudita, ad inserire<br />

avambraccio e gomito nelle strette sbarre del cancello e poi, con uno sforzo<br />

ulteriore, a trovare a tentoni il pulsante del citofono posto all’esterno.<br />

All’infastidito: “chi è” dell’analista seguiva , dall’interno del giardino, a voce<br />

altissima per farsi sentire: “sono Sinsimor, il cancello è chiuso”. Al ché il<br />

terapeuta, che mentre ascoltava il paziente successivo si era goduto, dal suo<br />

monitor TV a circuito chiuso, i goffi tentativi di Sinsimor di arrivare al<br />

pulsante del citofono, con un click gli concedeva la agognata libertà. Dopo<br />

alcune di queste libertà vigilate decise che sarebbe evaso per sempre e non<br />

tornò più da quel medico.<br />

Il quarto analista era più umano, forse troppo umano. Fin dai primi<br />

colloqui accompagnava con un sorrisetto ironico ogni proferir parola del<br />

paziente. Sosteneva che il nucleo della sua cura era nel rapporto fra loro<br />

instaurato nel “qui e ora”. Riceveva nella propria abitazione in ciabatte e<br />

calzini. Una parete spessa quanto un’ostia divideva visivamente ma non<br />

acusticamente il suo lavoro da bimbi piangenti, gatti miagolanti, colf<br />

affaccendata e moglie urlante. Quel “qui e ora” era troppo.<br />

Il quinto analista lo stendeva su un materassino alto non più di dieci<br />

centimetri da terra e dall’altro di una seggiolina per bimbetti, dominava le<br />

reciproche bassezze. In più, alla distanza ravvicinata cui erano posti ed in<br />

concomitanza di sedute post-prandium in cui i gorgoglii dello stomaco dello<br />

strizzacervelli si facevano particolarmente sentire, Sinsimor aveva<br />

l’impressione che questi fosse sul punto di vomitargli addosso. Non era<br />

possibile proseguire.<br />

Il sesto analista aveva mal di schiena.Lo faceva sedere in una rigida sedia<br />

e lui, il re, in comoda poltrona. Aveva a fianco una palma da interni con una<br />

foglia sempre rotta e mai si decideva a potarla nonostante le ripetute<br />

rimostranze dell’occhio esteta di Sinsimor che per l’ennesima volta dovette<br />

desistere.<br />

Il settimo analista non aveva alcuna delle caratteristiche dei precedenti.<br />

Nonostante non sempre capisse i disagi di Sinsimor e nonostante quasi mai<br />

lo aiutasse a risolverli questi continuò a frequentarlo per alcuni anni. Come<br />

per i farmaci omeopatici, pensava, anche se di rado ne traeva benefici per lo<br />

meno non gli faceva del male. O così sperava.<br />

4


Fobie<br />

Una delle prime problematiche portate in analisi da Sinsimor furono le<br />

paure. Per essere più precisi una paura, una non-paura e una paura superata.<br />

<strong>La</strong> paura era quella del terremoto. <strong>La</strong> non-paura quella che la sua abitazione<br />

fosse svaligiata dai ladri. <strong>La</strong> paura superata quella del buio. Di quest’ultima<br />

ne andava particolarmente fiero.<br />

Da piccolo, come molti bambini, temeva il buio ma bastava rifugiarsi<br />

nelle braccia di mamma o papà perché tutto passasse. Quando divenne<br />

ragazzetto e prese a uscire con gli amici nelle calde serate estive, lì mamma e<br />

papà non c’erano. Con i compagni giocava a nascondino o a guardia e ladri<br />

ed immancabili erano i passaggi nei tratti di strada non illuminati e negli<br />

angoli e anfratti più remoti dove nascondersi. Imparò ben presto a defilarsi<br />

dai giochi che implicavano percorsi in zone buie. Da adolescente, però, non<br />

poteva più esimersi dalle passeggiate con le fidanzatine (un uomo non ha<br />

paura del buio anzi, in quel caso, ne approfitta) e dovette pertanto riesaminare<br />

seriamente il problema.<br />

Si disse: “quando cammino per un tratto di strada che presenta degli<br />

angoli bui ho paura che ci sia qualcuno o qualcosa di minaccioso che possa<br />

farmi del male. Bene, non c’è altro da fare che passare dall’altra parte cioè<br />

diventare io la minaccia”. Detto e fatto al primo angolo nero temuto vi entrò<br />

e vi si nascose. Rimase lì circa mezz’ora e vi sarebbe rimasto ancora se non<br />

fosse stato che l’ora era tarda. Vide passare tanta gente nella zona di strada<br />

illuminata. I grandi tranquilli, i giovani un po’ più titubanti; qualcuno, più<br />

che altro per fare coraggio a se stesso, diceva agli amici: “guardate lì, nel<br />

buio, sicuramente c’è un mostro”. In effetti non c’era nessun mostro ma solo<br />

Sinsimor che guardava bene dal mostrarsi.<br />

L’esperienza fu rassicurante. Da quella volta non ebbe più paura e,<br />

considerandolo terapeutico, raccontava l’episodio ai più giovani, molti dei<br />

quali rabbrividivano all’idea di trovarselo davanti o dietro nei tratti di strada<br />

oscurati. Questa dunque la paura superata. Le altre due, o meglio , la paura e<br />

la non-paura erano fra loro intimamente legate.<br />

Sinsimor, che abitava da solo al piano terra della bifamigliare dei<br />

genitori, dormiva regolarmente col portone di casa non chiuso a chiave. Le<br />

persiane (e le finestre clima permettendo) erano quasi sempre aperte.<br />

Sembrava così dimostrare di non temere l’eventuale visita di ladri o<br />

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malintenzionati ma la realtà era un’altra. Egli voleva avere sempre una pronta<br />

via di fuga nel caso di evento sismico, che per sua natura è improvviso.<br />

Anche due mandate di chiave al portone o una persiana chiusa gli<br />

sembravano ostacoli che gli avrebbero fatto perdere attimi preziosi nel caso<br />

di fulminea evacuazione. Molti gli dicevano che era coraggioso a dormire<br />

con porta e finestre aperte ma lui sapeva che era tutta una questione di forza o<br />

peso. Una paura grande ne dominava una piccola che in tal modo veniva<br />

praticamente annullata. Non si poteva dire che si trattasse del noto “chiodo<br />

scaccia chiodo” semmai si doveva parlare di “chiodo grosso schiaccia chiodo<br />

piccolo”.<br />

6


Quindici semafori<br />

Dopo le paure Sinsimor esplicitò all’analista la rigidità e le ruminazioni<br />

che lo perseguitavano. Descrisse con minuzia come, in una tarda serata, era<br />

stato davvero sfortunato.<br />

A bordo della propria autovettura, con ben quindici semafori che<br />

intervallavano il tragitto tra il negozio dove lavorava e la stazione di servizioristoro<br />

notturno che precedeva di poco casa sua, non era riuscito a prendere<br />

neppure un rosso.<br />

Sembrerà strano; di solito una persona si considera sfortunata se incontra<br />

continuamente semafori rossi e fortunata se viceversa li incontra a<br />

maggioranza verdi ma Sinsimor, quella sera, aveva necessità di fermarsi ad<br />

un rosso.<br />

Doveva controllare se le centomila lire che aveva preso al lavoro erano<br />

ancora nel portafoglio. Dopo aver posato il suddetto nel vano porta oggetti<br />

dell’auto, appena partito una smania lo aveva preso. Ricordava chiaramente<br />

di aver prelevato le centomila lire dalla cassa eppure non era sicuro di averle.<br />

Le aveva lasciate al negozio o le aveva messe nel portafoglio? E se anche le<br />

avesse prese poteva averle perse aprendolo distrattamente per controllare<br />

altri documenti.<br />

Era andato al lavoro senza soldi in tasca. Non come si dice solitamente per<br />

intendere che non si portano grosse cifre appresso ma proprio senza soldi nel<br />

senso letterale della frase. Nello scomparto cartamonete dunque, o c’erano le<br />

fatidiche centomila oppure nulla e Sinsimor voleva fermarsi alla stazioneristoro.<br />

Era tardi, aveva fame e prima di rientrare a casa necessitava di<br />

mangiare un panino e bere una bibita, ma tutto dipendeva dall’avere o non<br />

avere quei soldi.<br />

I tondi verdi si susseguivano l’uno dietro l’altro, Sinsimor non poteva<br />

recuperare il portafogli nel vano portaoggetti e si spazientiva sempre più.<br />

Sperava fortissimamente in un rosso. Ogni semaforo era atteso come l’acqua<br />

nel deserto ma niente; tutti verdi, sempre verdi. Arrivò persino a invocare di<br />

essere fermato da una volante della polizia ma anche questo non avvenne.<br />

Su quindici semafori il calcolo delle probabilità dice che si hanno circa<br />

sette semafori rossi, altrettanti verdi e un giallo. Se anche solo avesse beccato<br />

un giallo era fatta. Avrebbe dovuto rallentare e fermarsi al successivo scattare<br />

del rosso e finalmente avrebbe potuto controllare il portafoglio ma nulla,<br />

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neanche un giallo. Ormai erano gli ultimi semafori: verde, verde, verde e<br />

ancora verde. <strong>La</strong> stazione di servizio già si vedeva in lontananza, poi più da<br />

vicino, a fianco e infine dietro. Sinsimor l’aveva superata ed era furibondo.<br />

Arrivò ben presto a casa, spense l’auto e finalmente poté aprire il vano<br />

porta oggetti del cruscotto, afferrare il portafoglio, unico amico-nemico e<br />

testimone di quel tragico viaggio. Lo aprì e poté constatare la presenza<br />

inequivocabile dell’unica banconota da centomila. Una rabbia ancora più<br />

grande lo pervase. Doppiamente sfortunato; non aveva potuto controllare se<br />

aveva i soldi e non si era potuto fermare al ristoro pur avendoli. Ora era a<br />

casa, era notte, aveva fame e gli toccava trangugiare un pezzo di pane<br />

rinsecchito sempre che fosse avanzato.<br />

Del resto non era nel suo stile compiere manovre estranee alla guida<br />

quando era al volante, né accostare ai margini della strada per un banale<br />

controllo né entrare in un locale senza avere i soldi per consumare.<br />

8


<strong>La</strong> Punizione<br />

Non fu necessario che l’analista gli spiegasse che rigidità e ruminazione<br />

gli derivavano da una istanza interna punitiva, fu Sinsimor stesso ad<br />

evidenziarla raccontando di quando si era dimenticato di obliterare il biglietto<br />

ferroviario.<br />

Era salito sul treno e non aveva convalidato il biglietto in stazione come<br />

ormai era prassi. Appena seduto nello scompartimento si era accorto della<br />

dimenticanza e cercava di formulare una giustificazione plausibile per evitare<br />

la prevista penalità.<br />

Il primo pensiero fu quello, quando fosse giunto il controllore, di scusarsi<br />

adducendo il fatto che per un contrattempo era dovuto salire sul treno al volo.<br />

Era una bugia e le bugie, che hanno per tutti le gambe corte, per Sinsimor<br />

erano addirittura prive di arti inferiori tant’ è che la scusa pensata, secondo<br />

lui, si sarebbe rivelata insostenibile se solo il controllore avesse mosso<br />

qualche obbiezione del tipo: “ma noi non abbiamo notato nessuno salire sul<br />

treno al volo”. Anche la semplice asserzione: “avrebbe dovuto convalidare il<br />

biglietto ugualmente oppure prendere il treno successivo” sarebbe stata<br />

sufficiente a farlo arrossire , a fargli accettare la multa e a richiedere una<br />

sovratassa per il tentativo truffaldino messo in atto.<br />

Meglio dunque la verità ma perché fosse ancora più vera conveniva<br />

dichiarare la dimenticanza in anticipo andando a cercare il controllore per<br />

tutto il treno. Ciò però comportava un’altra difficoltà.<br />

Sinsimor si era faticosamente trovato un posto in uno scompartimento<br />

vuoto. Già aveva messo in atto tutte le strategie consuete per mantenere tale<br />

privilegio: posizionamento sul sedile centrale, luce soffusa,soprabito sul<br />

sedile antistante, riviste sui sedili a fianco e sigaretta accesa per intimidire i<br />

non fumatori. Regia perfetta e ora bisognava smontare tutto il set, riprendere<br />

9


ogni cosa per inseguire il controllore, di vagone traballante in vagone<br />

traballante , col rischio di non poter ritornare in possesso dell’agio<br />

metodicamente costruito.<br />

Questo pensiero fu accantonato da un altro ancora. Se il biglietto per un<br />

posto in tribuna allo stadio o per le prime file a teatro costava di più di un<br />

biglietto per un posto in curva o in galleria allora un posto in uno<br />

scompartimento vuoto valeva bene una multa. Anzi, non si poteva neanche<br />

più parlare di multa semmai di giusto pagamento di quanto avuto.<br />

<strong>La</strong> paura della punizione si dileguò e con essa, strano a dirsi ma vero, il<br />

controllore per gli oltre 400 chilometri di tragitto.<br />

10


Il fumo<br />

Seguirono alcune sedute in cui Sinsimor si dilungò sulla sua dipendenza<br />

da fumo.<br />

Aveva iniziato a fumare molto presto, verso i tredici/quattordici anni. Era<br />

cresciuto guardando films in cui i protagonisti, cow-boys o detectives che<br />

fossero, erano sempre inquadrati con la sigaretta accesa. Il padre era fumatore<br />

e così pure il vecchio nonno materno che al tempo viveva con la famiglia e di<br />

cui si diceva in casa che avesse bruciato un intero vagone ferroviario di<br />

tabacco visto che aveva iniziato in tenera età e superato i novant’anni. <strong>La</strong><br />

plurima identificazione era inevitabile.<br />

Al nonno figli, nipoti, cugini e parenti più lontani spesso regalavano<br />

stecche di sigarette che puntualmente venivano aperte, ricomposte in pile di<br />

pacchetti e riposte nello scomparto di un comò. Il vecchio era completamente<br />

cieco e in assenza dei genitori Sinsimor aveva ampie possibilità di trafficare<br />

in casa senza essere controllato. Fu così, ed anche questo era inevitabile, che<br />

aprì lo scomparto del comò del nonno e sottrasse un pacchetto di sigarette dal<br />

deposito; erano così tanti che nessuno se ne sarebbe accorto. Lo aprì, prese<br />

una sigaretta e provò ad accenderla rimanendone schifato. Come tutti sanno il<br />

fumo per il principiante è nauseante e Sinsimor, che voleva diventare grande<br />

ed eroe, dovette riprovare più volte prima di superare il fastidio iniziale e<br />

impratichirsi un minimo nella gestualità. Con un po’ più di esperienza, un po’<br />

più di accensioni di tirate e spegnimenti, nei giorni seguenti dopo aver rubato<br />

un secondo pacchetto coinvolse nella novità un gruppo di coetanei e fu per<br />

lui un successo, nascosti in un canneto lungo il fiume, mentre gli amici<br />

tossivano e sputavano, riuscire a fumare quattro sigarette una dietro l’altra.<br />

Al tempo Sinsimor frequentava l’ultimo anno delle scuole medie e un<br />

corso preagonistico natatorio ed il passo successivo nell’iter del fumatore fu<br />

quello di portare le sigarette nell’istituto nascoste nel borsello delle matite e<br />

in piscina dove i genitori lo mandavano perché si sa che il nuoto è lo sport<br />

più completo e più adatto ad una sana crescita e dove egli trovò degni<br />

compari di vizio. In quel periodo, comunque, fumare era ancora una<br />

esperienza ispirata ma non aspirata, sporadica e nascosta, limitata ad alcune<br />

situazioni esterne e saltuariamente e tranquillamente in casa. In casa infatti<br />

non c’era pericolo di essere scoperti per l’odore di fumo lasciato in quanto a<br />

questo già ci pensavano il padre e il nonno.<br />

11


Alle scuole superiori ci fu il salto di qualità. Il nonno era morto e con lui il<br />

deposito gratuito per cui Sinsimor fu costretto a decurtare parte della somma<br />

settimanale per le piccole spese, che gli elargivano i genitori, per l’acquisto<br />

delle sigarette in proprio dal tabaccaio. Inoltre il consumo si incrementò per<br />

rendersi interessante agli occhi delle nuove compagne di classe. Già si<br />

intravedeva il profilo di un fumatore, profilo che si delineò ufficialmente<br />

quando al compimento del diciottesimo compleanno, alla fine del pranzo<br />

augurale, il padre, oltre a consegnargli le chiavi dell’appartamento sottostante<br />

al loro, gli disse che da uomo a uomo aveva il permesso di fumare in sua<br />

presenza, visto che lo sapeva da tempo.<br />

Da lì in avanti la normale carriera di fumatore lo aveva portato dalle dieci<br />

alle quindici alle venti sigarette giornaliere quasi a voler seguire l’aumento<br />

continuo di prezzo delle stesse. Superato il pacchetto e accortosi della<br />

dipendenza che si era instaurata era venuta l’esigenza di smettere. Dapprima<br />

fece alcuni tentativi con scarsa motivazione che comportarono altrettanto<br />

scarsi risultati. Seguì una prova di forza di volontà che lo liberò dal vizio per<br />

alcuni mesi ma fu interrotta da una ricaduta. Si succedettero altri tentativi<br />

minimali tutti naufragati al che Sinsimor dovette ammettere a se stesso che se<br />

iniziare a fumare era stato difficile smettere era ancora più complicato. Ormai<br />

l’idea lo ossessionava e provò tutte le soluzioni di cui era venuto a<br />

conoscenza: tecniche comportamentali, cerotti e chewing gum contenenti<br />

nicotina, stimolazione del lobo auricolare, ipnosi, agopuntura e gruppi di<br />

incontro antifumo ma non ci fu nulla da fare. Oramai si era convinto di dover<br />

considerare il fumare un tratto idiosincrasico della propria personalità.<br />

In quel periodo Sinsimor quasi tutte le sere dopo cena si recava a trovare<br />

la fidanzata Elanida in un paese vicino. In una di queste andate intravide il<br />

momento giusto per togliersi il vizio. In fin dei conti la motivazione primaria<br />

del fumare era stata quella di diventare grande e interessante per conquistare<br />

le ragazze e ora stava recandosi dalla fidanzata. Raggiunto lo scopo e avendo<br />

letto che la sigaretta, come il ciucio, altro non era che il sostituto del seno<br />

materno, non aveva più senso mantenere quell’insana abitudine. Prese<br />

dunque il pacchetto di sigarette quasi pieno e lo gettò dal finestrino dell’auto,<br />

ai bordi di un tratto di strada non illuminata che stava percorrendo<br />

ripromettendosi, ovviamente, di non acquistarne mai più.<br />

Trascorse due orette in dolce compagnia, in cui fu facile convincersi di<br />

avere smesso, accingendosi al ritorno la voglia lo riprese, dapprima lieve e<br />

12


poi sempre più incalzante. Ciò che si era ripromesso svanì in poco tempo e<br />

alla guida per il ritorno il suo pensiero era unicamente quello di trovare un<br />

tabacchino o un bar-tabacchi aperto. Era passata mezzanotte e gli esercizi in<br />

quella zona erano chiusi. Arrivare a casa non sarebbe servito a nulla; non<br />

aveva sigarette di riserva poiché, per la scaramanzia di poter smettere in<br />

qualsiasi momento, non ne acquistava mai più di un pacchetto per volta.<br />

L’unica soluzione al desiderio era rintracciare il pacchetto gettato all’andata.<br />

Si fermò, così, nel punto in cui gli sembrava di aver lanciato le sigarette,<br />

lasciò gli abbaglianti accesi per illuminare il più possibile il ciglio della<br />

strada, scese e si mise alla ricerca spasmodica tastando l’erbetta fresca di<br />

brina. Imperterrito e indifferente al malocchio dei pochi automobilisti che,<br />

percorrendo quel tratto oscuro di strada, lo inquadravano con i proiettori delle<br />

loro auto, non ci mise molto a recuperare il pacchetto che seppur un po’<br />

bombato e umidiccio conteneva intatto il prezioso tesoro.<br />

Da quella volta Sinsimor si ripromise che non avrebbe mai più provato a<br />

smettere di fumare e ci riuscì. Talvolta, come succede agli ex fumatori, gli<br />

balenava la voglia di riprovare a smettere ma riusciva a superarla.<br />

13


E. P.<br />

Discusse in analisi paure, ruminazioni, ossessioni e dipendenze Sinsimor<br />

pensò di affrontare un problema che gli si era presentato solo di recente ma<br />

che gli procurava parecchio disagio nonché vergogna tantè che non poteva<br />

neanche nominarlo per intero limitandosi al suo acronimo E.P.<br />

E.P. stava per eiaculatio precox in <strong>dott</strong>o latino; in parole povere che<br />

quando iniziava il coito con la fidanzata raggiungeva quasi subito l’orgasmo<br />

e eiaculava lasciando a metà piacere la partner. Elanida, dopo anni di normale<br />

sessualità, era molto comprensiva e non ci faceva caso più di tanto ma per lui<br />

era una faccenda di principio; un uomo che non sa dare il piacere completo<br />

alla sua donna, almeno così aveva letto nei moderni manualetti di<br />

sessuologia, è un uomo di vecchio stampo che alla lunga perderà interesse<br />

agli occhi della donna stessa. <strong>La</strong> situazione non durava da molto ma per non<br />

rischiare che diventasse cronica bisognava porvi rimedio al più presto così si<br />

decise a tirare fuori il sacco.<br />

Prese l’argomento alla larga introducendolo con un elemento positivo<br />

come era solito fare. Descrisse dunque dapprima come anni addietro aveva<br />

trovato soluzione alle difficoltà che si erano manifestate nei primi tentativi di<br />

rapporto sessuale con Elanida.<br />

Con alle spalle una lunga preparazione masturbatoria, che aveva origini<br />

nell’infanzia, sapeva che eccitazione ed erezione non erano mai state un<br />

problema per lui, però un conto era fantasticare e toccarsi un conto era avere<br />

a che fare con una donna in carne e ossa. Così nei primi fallimenti aveva dato<br />

la colpa alla scomodità delle situazioni, all’inesperienza o alle complicazioni<br />

dell’uso del preservativo e pertanto aveva organizzato un incontro con tutte le<br />

comodità ed il tempo necessario in una casa disabitata di un suo amico e<br />

aveva chiesto alla fidanzata di iniziare a utilizzare la pillola anticoncezionale.<br />

Ma anche in quella occasione, con tutta la mattina a disposizione, un<br />

ambiente caldo e protetto, un comodo letto e senza l’impaccio del profilattico<br />

l’eccitazione che era nella sua testa non si era tra<strong>dott</strong>a in una sufficiente<br />

erezione. Si dette un'ultima giustificazione: forse si sentiva in colpa perché<br />

aveva marinato la scuola; ma non gli sembrava sufficiente.<br />

Fortunatamente stava sopraggiungendo l’estate e Sinsimor ed Elanida<br />

decisero che, previo il consenso delle rispettive famiglie, sarebbero andati in<br />

vacanza insieme in campeggio due intere settimane; sottinteso per risolvere<br />

14


definitivamente il problema. Poco tempo dopo partirono e nei primi giorni,<br />

nonostante i ripetuti tentativi, le cose andarono come al solito. Il quarto<br />

giorno, di buonora Sinsimor stava giocando a bigliardino con degli amici<br />

conosciuti al camping. Era all’attacco e stava gestendo veramente bene quel<br />

ruolo, concentrato, propulsivo, rapido, aggressivo, proteso e determinato<br />

verso la porta degli avversari. Stava segnando una marea di goals e di colpo<br />

intuì che non era in quello stupido gioco che doveva mettere tutta la sua<br />

potenza ma indirizzarla verso una buca di tutt’altra specie. <strong>La</strong>sciò la partita a<br />

metà sotto lo sguardo sorpreso dei compagni, si precipitò in tenda dove<br />

Elanida appena risvegliata stava stiracchiandosi e dopo un veloce<br />

preliminare il loro primo rapporto sessuale completo funzionò a meraviglia.<br />

Non solo quel primo ma anche tutti i successivi tant’è che insieme<br />

realizzarono che con era più un problema.<br />

Purtroppo negli ultimi tempi, come si è detto, Sinsimor si era dovuto<br />

confrontare con E.P., la seconda grande difficoltà sessuale dell’uomo<br />

moderno, e a questa non era riuscito a trovare soluzione da solo. Dopo<br />

l’introduzione positiva connessa al risolto problema impotenza descrisse<br />

dunque minuziosamente la questione.<br />

L’analista, che in quel primo anno di terapia non aveva mai aperto bocca,<br />

disse: “lei, quando sente che sta per raggiungere l’orgasmo, ha provato a<br />

fermarsi?”.<br />

A quelle prime parole Sinsimor lì per lì si chiese se stava spendendo bene<br />

i suoi soldi e il suo tempo ma rientrando a casa, come nei fumetti, intravide<br />

una lampadina che gli si accendeva nella testa, un’idea, un’ipotesi di<br />

soluzione. Quando fece l’amore con Elanida, successivamente a quella<br />

seduta, e si ripropose l’imminente eiaculazione, si ricordò che poteva anche<br />

fermarsi; che il ritmo copulatorio non era, come quello della musica in<br />

discoteca, dettato da altri ma era lui che poteva gestirlo. Bastò fermarsi un<br />

momento e subito poté ripartire e poi, dopo un po’ rifermarsi per partire di<br />

nuovo. Nei rapporti successivi questo alternarsi di partenze, frenate e<br />

ripartente che sulle prime gli sembrava un po’ macchinoso come uno che<br />

muove i primi passi di un ballo, prese fluidità e continuità fino a configurarsi<br />

come un normale rapporto sessuale in cui Sinsimor aveva il permesso di<br />

seguire il proprio ritmo. In breve tempo divenne anche bravo a sincronizzarsi<br />

con i tempi di Elanida la quale di li a poco gli confermò che scopava davvero<br />

bene.<br />

15


Era tale il piacere di entrambi per questa capacità di trattenere e<br />

prolungare il piacere che decisero di convivere a casa di Sinsimor e da lì a<br />

poco concepirono il loro primo figlio: Grigoi.<br />

16


Certezze<br />

Rinfrancato dai significativi miglioramenti Sinsimor si sentì abbastanza<br />

sicuro da esporre al terapeuta alcune conclusioni che aveva tratto dalla sua<br />

ancor giovane esperienza di vita.<br />

Come si dice, “ogni uomo è una filosofia”. Ciascuno elabora una propria<br />

teoria con dei postulati e dei corollari, un sistema per comprendere al meglio<br />

il mondo, gli altri e se stessi. Sinsimor era pervenuto ai seguenti enunciati di<br />

fondo che così elencava in ordine di lunghezza:<br />

I mezzi esplicitano il fine.<br />

<strong>La</strong> forma ha una propria sostanza.<br />

<strong>La</strong> sigaretta è una pausa dalla depressione.<br />

<strong>La</strong> tolleranza non può tollerare l’intolleranza.<br />

Evidentemente una evidente evidenza si evidenzia.<br />

Ciò che viene dopo è meglio di ciò che viene prima.<br />

Ciò di cui non si parla è ciò che da senso a ciò che si dice.<br />

Il gioco ai bimbi, il sesso agli adulti, la politica ai vecchi o viceversa.<br />

Un intestino ben regolato fa la cacca a palline come quella delle capre.<br />

Bere una coppa di champagne col mignolo alzato è un principio<br />

economico.<br />

<strong>La</strong> narrativa è una lotta fra narrato e narrante in cui il primo ha sempre<br />

il sopravvento.<br />

Lo psicoanalista è come l’automobile, non ti tradisce mai tranne quando<br />

ti dimentichi di metterci la benzina.<br />

In autostrada si deve inserire la freccia solo in fase di cambio di corsia e<br />

non mantenerla anche durante i sorpassi.<br />

L’uomo è materia che interroga, interpreta, elabora, organizza,<br />

modifica, costruisce, evolve, crea e distrugge se stessa.<br />

I defunti con gli occhi aperti sono da preferire a quelli con gli occhi<br />

chiusi in quanto danno maggiormente il senso della morte<br />

Queste certezze sono mie. Alcune di esse possono essere anche di altri<br />

ma la lista intera, nessuna esclusa e nessuna aggiunta, è solo mia. Se<br />

un’unica persona al mondo aderisce totalmente all’elenco mi resta<br />

comunque la certezza di essere stato clonato.<br />

17


Creatività<br />

Elanida aveva partorito Grigoi. Sinsimor ne era felice ma provava anche<br />

una certa invidia per questa possibilità tutta femminile pertanto si sentì<br />

autorizzato ad aprire, in seduta, alle proprie pretese di creatività.<br />

Egli era affascinato dalle poesie brevi, non rimate, che con poche e<br />

lapidarie parole lasciavano al lettore una sensazione unica. Una sensazione<br />

che difficilmente pagine di prosa avrebbero potuto descrivere con la<br />

medesima intensità.<br />

Prototipi di tali forme espressive erano le note dell’altrettanto noto autore:<br />

“si sta come d’autunno/sugli alberi le foglie” o “m’illumino d’immenso”. In<br />

età giovanile Sinsimor si era provato a riadattare questi versi per descrivere le<br />

sensazioni di uno studente rimandato o promosso: “si sta/come d’estate/al<br />

mare/a ripassare storia” oppure “m’illumino d’agosto” ma si era ben presto<br />

reso conto che trattavasi di malriuscite scopiazzature. Aspirava a versi<br />

personali e originali e covava questo intento da anni quando un giorno, forse<br />

proprio per gareggiare con Elanida, il poeta che era in lui trovò modo di<br />

esprimersi.<br />

Osservando casualmente la fotografia di un’insegna di un bar-gelateria<br />

ritraente un cono gelato gli venne l’ispirazione e buttò di getto i suoi primi e<br />

forse unici versi: “Una voglia pazza di gelato alla fragola/corro al bar/tutto il<br />

resto è lampone”.<br />

Gli sembrò una bellissima poesia; breve al punto giusto, colorata al punto<br />

giusto, ermetica al punto giusto, surrealista ed impressionista al punto giusto,<br />

dolce e golosa al punto giusto. Gli sembrò,insomma, di aver fatto, come<br />

Altri, una "cosa buona e giusta".<br />

18


Due vestaglie blu<br />

Visto che la vena poetica si era esaurita dopo il primo tentativo Sinsimor<br />

poco tempo dopo disse al terapeuta che avrebbe provato a stanare il genio<br />

creativo che doveva essere in lui approcciando un altro genere artistico,<br />

quello cinematografico. Per iniziare aveva deciso che avrebbe filmato la<br />

propria camera da letto.<br />

<strong>La</strong> camera di Sinsimor non aveva nulla di particolare tranne forse<br />

l’eccentricità del letto posto ad angolo anziché, come è d’uso razionale, in<br />

parallelo/ortogonale alle pareti. Dietro la spalliera del letto ed in linea con<br />

l’estremità di questa, un ripiano triangolare riempiva l’angolo e fungeva da<br />

comodino con relativa lampada, sveglia, cofanetto porta-ori ed alcuni libri.<br />

Ma non era il dietro che interessava Sinsimor bensì il davanti. Già era al<br />

proprio posto, seduto ed appoggiato alla spalliera alla sinistra del letto<br />

matrimoniale, imbracciava la videocamera e dava inizio ad un<br />

cortometraggio fenomenologico/minimalista che gli avrebbe reso gloria e<br />

onori.<br />

Inquadratura fissa centrale sul lato sinistro dell’angolo della stanza a lui<br />

opposto: appese all’attaccapanni a muro due vestaglie blu, l'una sua e l'altra<br />

di Elanida, l'una a quadri grandi e l'altra a quadri piccoli. poi, procedendo per<br />

successive scansioni a sinistra: porta in legno scuro; armadio a sei ante; altro<br />

angolo della stanza; specchio lungo a parete; sedia con su riversi alcuni capi<br />

di vestiario; presa della corrente elettrica con spina e pezzo di filo.<br />

Il filo, Sinsimor lo sapeva bene, si collegava alla lampada posta dietro di<br />

lui sul ripiano triangolare, ma non poteva e non voleva filmarla. Attenendosi<br />

allo stretto protocollo che si era imposto, lì arrivava la massima torsione che<br />

il suo collo poteva fare senza modificare la posizione del corpo e lì doveva<br />

fermarsi la ripresa. Il senso che voleva imprimere al filmato era quello di un<br />

uomo seduto sul letto che guarda fisso davanti a sé, poi, lentamente gira la<br />

testa a sinistra e in successione mette a fuoco i singoli elementi di<br />

quell’emicampo; poi, dopo un repentino rientro al centro di fissazione, scorre<br />

e osserva gli elementi dell’emicampo opposto per tornare infine al centro.<br />

Non male come primo parto di un futuro regista.<br />

Così Sinsimor continuava. Repentino ritorno alle due vestaglie blu, l'una<br />

sua e l'altra di Elanida, l'una a quadri grandi e l'altra a quadri piccoli. Poi<br />

19


ancora, per piccole e lente scansioni a destra: angolo della stanza a lui<br />

opposto; lettino con Grigoi di pochi mesi, comò con specchiera, profumi e<br />

trucchi;altro angolo della stanza; finestra con tenda; Elanida che dormiva al<br />

suo fianco.<br />

Più di così non si poteva filmare neppure a destra. Per terminare la ripresa<br />

ultimo repentino ritorno al centro visivo: due vestaglie blu, l'una sua e l'altra<br />

di Elanida,l'una a quadri grandi e l'altra a quadri piccoli e sfocata finale.<br />

Sinsimor decise che se mai avesse acquistato una videocamera quel primo,<br />

unico, irripetibile filmato lo avrebbe intitolato “due vestaglie blu, l'una sua e<br />

l'altra di Elanida, l'una a quadri grandi e l'altra a quadri piccoli”.<br />

20


Il negozio<br />

Non sempre le difficoltà descritte in terapia erano di natura prettamente<br />

psicologica. Talvolta dovevano essere presi in considerazione problemi<br />

d’ordine pratico come quello affrontato con la partner in una sera di fine<br />

agosto.<br />

Elanida, aveva chiesto a Sinsimor quali fossero i suoi progetti per la<br />

ripresa dell’attività lavorativa di settembre visto che la crescita di Grigoi<br />

comportava un aggravio economico alle già ri<strong>dott</strong>e finanze della famiglia.<br />

Sinsimor fece finta di pensarci un po’ su e poi esplicitò ciò che mentalmente<br />

aveva già elaborato nel corso dell’estate. Così si espresse:<br />

“Sono un negoziante non un venditore porta a porta. <strong>La</strong> mia attività mi<br />

impone eticamente di stare fermo al mio posto, non di andare in giro a<br />

indurre bisogni nella clientela. Certo posso allestire al meglio la mia vetrina,<br />

proporre sconti e saldi, promuovere con la pubblicità il mio pro<strong>dott</strong>o ma tutto<br />

a patto di stare ad aspettare; una sorta di attività passiva, di seduzione<br />

femminile contrapposta al corteggiamento del maschio. Chi entra nel mio<br />

negozio deve, in un certo qual modo, avere quel minimo di fiducia da porre<br />

in me l’autorità di vendergli ciò di cui ha bisogno”.<br />

Era contento Sinsimor, di quella spiegazione così elevata del suo umile<br />

lavoro. Poteva essere paragonata a quella di un candidato politico che riceve<br />

mandato elettorale di far crescere una comunità o a quella di un medico cui<br />

viene data fiducia dal paziente a guarirlo nel migliore dei modi.<br />

Tutto questo si traduceva però nel non far niente, per lo meno niente di<br />

innovativo, per accrescere il volume d’affari dell’esercizio che gestiva. Tutto<br />

questo significava aspettare, aspettare e ancora aspettare che la fiducia, per<br />

ora raccolta da pochi clienti, si allargasse a macchia d’olio e si concretizzasse<br />

in una congrua rendita.<br />

Tutto questo si evidenziò in Sinsimor quando il mattino dopo, alle quattro<br />

e quaranta, si trovò sveglio e vigile nel letto con una ansiosa voglia di fare e<br />

la cosa si chiarì ulteriormente quando, un’ora dopo,si ritrovò a pulire in ogni<br />

dove il fondo adibito a negozio. In effetti entrambi (il fondo e Sinsimor) ne<br />

avevano un gran bisogno.<br />

21


L’alluce<br />

Anche gli elementi più piccoli e insignificanti trovavano dignità di esame<br />

in analisi, come quando Sinsimor affrontò il discorso del proprio<br />

comportamento deambulatorio.<br />

Egli aveva notato che camminando scalzo o con le sole calze tendeva ad<br />

alzare gli alluci. Con le scarpe non poteva vederli direttamente ma era sicuro<br />

che la cosa si verificasse ugualmente per il fatto che spesso le sue calzature<br />

pesanti presentavano un rigonfiamento in corrispondenza del dito<br />

incriminato. Le calzature leggere non di rado evidenziavano nella stessa zona<br />

“lisature”, sfilacciamenti o veri e propri buchi tant’è che per lui l’acquisto di<br />

scarpe del tipo “superga”, quelle, per intenderci, nelle quali la gomma finisce<br />

prima della zona dell’alluce per lasciar posto alla tela, risultava<br />

improponibile. Le suddette non resistevano una stagione.<br />

Sinsimor si era anche accorto che spesso, in posizione coricata, un crampo<br />

al piede lo costringeva, per evitare forti dolori, a modificare la posizione -<br />

alluce alto altre dita abbassate- involontariamente assunta.<br />

Queste sensazioni dolorifiche lo riportavano al suo trascorso natatorio. Da<br />

ragazzo durante gli allenamenti in piscina questo stesso crampo lo prendeva e<br />

proprio al nuoto e all’umido dell’acqua aveva ormai attribuito la causa del<br />

suo modo di tenere i piedi. Ma ora, dopo l’occasionale lettura di<br />

quell’articoletto in una rivista peraltro non specializzata, una causa non<br />

funzionale ma genetica veniva in lui ad affermarsi come principale.<br />

L’articolo sosteneva che uno dei segni dell’orgasmo femminile, anche se<br />

non dei più eclatanti , era il sollevamento dell’alluce ed il successivo arretrare<br />

di questi rispetto alle altre dita. Dopo quanto letto Sinsimor si convinse che la<br />

posizione assunta dai suoi alluci era il rimasuglio genetico ancestrale<br />

dell’unità uomo/donna. Alzare l’alluce era il suo lato femminile recessivo.<br />

<strong>La</strong>to che non ebbe mai modo di validare scientificamente poiché nel<br />

momento più alto del piacere la sua concentrazione era altrove.<br />

22


Il complimento più bello<br />

Le sedute psicoanalitiche di solito non avevano argomenti piacevoli ma<br />

nulla toglieva, quando venivano i pensieri, che si potessero esternare<br />

sentimenti positivi come la gioia provata quella volta che Sinsimor ricevette<br />

il più bel complimento che mai gli avessero fatto.<br />

Un giorno d’estate Sinsimor, venticinque anni e mezzo, altezza un metro e<br />

ottanta, peso sessantacinque chili, con i pantaloni corti, passeggiava tenendo<br />

per mano Grigoi, due anni e mezzo, altezza un metro, peso dieci chili,<br />

anch’egli con i pantaloncini. Elanida, che camminava dietro, li chiamò e<br />

disse: “certo si vede proprio che voi siete padre e figlio, tutti e due così<br />

stecchi, siete uguali”. Sinsimor all’inizio fu piacevolmente sorpreso da tale<br />

affermazione e successivamente sempre più compiaciuto per non dire<br />

illuminato e radioso.<br />

Nonostante che “stecchi” al pari di secchi, magri, scarni, esili, gracili<br />

potesse dare un senso di carenza, di debolezza, di scarsa alimentazione, di<br />

precarietà o di che altro, il semplice accostamento con Grigoi, il più bello del<br />

mondo per Elanida, era sufficiente a riempirlo di gioia. Questa la sensazione<br />

nell’immediato ma ancora più interessanti i postumi.<br />

Avvenne che, non avendo replicato lì per lì all’affermazione della partner,<br />

Sinsimor si tenne dentro la gioia provata. Nei giorni seguenti quella frase:<br />

“padre e figlio, così stecchi, così uguali” gli riecheggiava in testa e ogni volta<br />

riportava felicità e pienezza ma non venne l’occasione di parlarne con<br />

Elanida, vuoi perché non era presente, vuoi perché non era il momento<br />

adatto.<br />

Nei giorni ancora successivi, pur diradandosi il recupero mnemonico<br />

dell’episodio, Sinsimor si trovò in alcune situazioni, peraltro banali e<br />

quotidiane, che riagganciavano il ricordo della frase. Così accadeva quando si<br />

scopriva a guardare il suo corpo e a raffrontarlo con quello di Grigoi. Così<br />

accadeva quando notava che il figlio gli somigliasse in qualche altro<br />

particolare che non fosse la magrezza. Così, più in generale, accadeva quando<br />

Sinsimor pensava ad altro che nulla aveva a che fare col rapporto padre/figlio<br />

ma che ad uno dei due riportava e di conseguenza ad entrambi.<br />

L’associazione era sempre la stessa: molteplicità di pensieri-padre/figliostecchi/uguali-gioia.<br />

Anche in quelle svariate circostanze, purtroppo, non vi<br />

fu modo di parlarne con Elanida.<br />

23


Ora avvenne che una sera la famiglia rientrò tardi dal mare. Grigoi si era<br />

già addormentato. Elanida faceva zapping sul telecomando del televisore e<br />

Sinsimor era andato in bagno a fare una doccia. Sotto il getto d’acqua<br />

scrosciante, imperitura, ancora una volta l’associazione: le proprie gambe<br />

insaponate e stecche, le gambe di Grigoi, il padre e il figlio, l’essere uguali.<br />

Pensò che quello era il momento giusto. Non terminò neppure di lavarsi, si<br />

asciugò velocemente e uscì dal bagno per dire finalmente a Elanida il suo<br />

grazie di cuore per il più bel complimento che mai gli avessero fatto.<br />

Il televisore era fermo sul primo canale. Elanida giaceva addormentata sul<br />

divano. Sinsimor realizzò che avrebbe mantenuto più a lungo la gioia provata<br />

se mai ne avesse parlato e di questa ringraziato Elanida.<br />

24


Quisquizie<br />

In analisi si parlava di tutto e prima o poi dovette emergere anche<br />

l’impegno politico di Sinsimor.<br />

Tre piccoli eventi, tre quisquiglie o inezie, in quel fine anno decretarono il<br />

segno di una svolta epocale ad Albio, la piccola comunità di duemila anime<br />

dove Sinsimor viveva. Un senso unico che si doveva fare, un campanile che<br />

non batteva più le ore nella notte, il bar, centrale e unico, che rimaneva<br />

chiuso il giorno di Natale.<br />

A memoria di automobilista gli abitanti di Albio avevano percorso la via<br />

centrale del paese nei due sensi di marcia sennonché negli ultimi anni la<br />

popolazione era aumentata e con essa il numero di autovetture circolanti. Si<br />

iniziavano a creare rallentamenti e ingorghi incrementati da parcheggi non<br />

molto ortodossi. Qualcuno propose l’adozione di un senso unico che,<br />

definendo l’andata in un senso e il ritorno in una strada a grande scorrimento<br />

con reinserimento nella centrale, snellisse la circolazione. Altri invece<br />

sostenevano che sarebbe bastata una migliore regolazione delle aree di sosta<br />

ed un correlato senso civico dei paesani per poter mantenere le cose come<br />

stavano.<br />

Le campane da qualche giorno non scandivano più le ore notturne a<br />

seguito di una ispezione dei tecnici dell’ASL che avevano appurato<br />

l’esistenza, nelle vicinanze del campanile, di un numero di decibel superiore<br />

a quello consentito. Il tutto era nato dalla denuncia alle autorità fatta da un<br />

forestiero venuto da poco ad abitare nella zona. <strong>La</strong> questione era tutt’altro<br />

che chiusa. Alcuni sostenevano che non era giusto privare la comunità dei<br />

rintocchi cui era abituata da decenni e minacciavano un ricorso, altri<br />

facevano notare che era altrettanto importante salvaguardare il diritto alla<br />

salute del singolo.<br />

<strong>La</strong> chiusura dell’unico esercizio pubblico nel giorno di Natale creò non<br />

pochi problemi. Il nuovo titolare del bar sosteneva il diritto personale di<br />

avere anche lui il meritato riposo nel giorno di festa. Alcuni gli davano<br />

ragione, altri rimbrottavano che in tal modo si privava il paese dell’unico<br />

punto di ritrovo nel giorno in cui più ci si affraterna.<br />

Su tutte e tre le vicende, dunque, i paesani si trovarono ben presto divisi,<br />

seguendo la nuova moda del bipolarismo, fra sostenitori degli interessi<br />

individuali e sostenitori degli interessi collettivi. Sinsimor, al cui interno da<br />

25


sempre albergava uno spirito sociale, si schierò con i secondi. <strong>La</strong> creazione di<br />

un senso unico, lo stop al rintocchio notturno, la chiusura del bar a Natale<br />

significavano per lui snaturare il senso profondo che tiene unita una<br />

comunità; degradare un paese a quartiere-dormitorio; soffocare simboli<br />

collettivi come la strada, le campane, il bar a esigenze individuali di<br />

percorribilità, silenzio, riposo. Secondo Sinsimor il senso unico non era da<br />

farsi, le campane dovevano poter suonare anche la notte, il bar doveva aprire<br />

le serrande per festeggiare la Natività.<br />

Sinsimor voleva continuare nella tradizione comunitaria in lui<br />

profondamente radicata. Percorrere con l’auto il paese in lungo e in largo e<br />

sostare dove gli pareva. Sentire in lontananza, nella notte, il suono gradevole<br />

delle campane attenuato dalle finestre a doppio vetro. Gustare nel giorno di<br />

festa per eccellenza il suo solito cappuccino mattutino.<br />

26


Norinor<br />

Un’analisi che si rispettasse doveva per necessità toccare il “complesso<br />

edipico” e ciò avvenne anche nella terapia che Sinsimor portava avanti ormai<br />

da tempo.<br />

Il padre di Sinsimor si chiamava Norinor. Già il nome era un programma.<br />

Dove il primo diceva: “si,si”, il secondo ribatteva: “no,no”. Definiti da tempo<br />

i loro ambiti domestici di potere (la famiglia del figlio al piano terra quella<br />

del padre al primo piano) campo del contendere era da tempo il terreno<br />

attorno casa.<br />

A dire il vero Sinsimor era stato bloccato da Norinor in tutti i suoi<br />

tentativi di modifica dell’esterno e ben presto aveva finito per lasciare carta<br />

bianca al padre in quel settore. Si trattava dunque di una contesa mentale<br />

interna che si traduceva in pratica in una resa incondizionata. Ora il figlio<br />

voleva togliersi da questo stallo e si decise per un piccolo lavoretto agricolo<br />

che pensava non avrebbe sconvolto più di tanto la pianificazione paterna. Un<br />

tentativo di movimento insomma.<br />

Il lavoro era appena iniziato che già Norinor era lì a rimproverare.<br />

Secondo lui il figlio aveva sbagliato nella scelta di quel determinato lavoro e<br />

in subordine nella tecnica esecutiva dello stesso. Sinsimor, sapendo che<br />

qualsiasi lavoro avesse fatto e qualsiasi tecnica avesse usato non sarebbe<br />

andata bene al padre, fece le sue rimostranze. Norinor ribatté che era ancora<br />

presto per prendere iniziative personali, aggiungendo che il figlio si sarebbe<br />

reso conto di ciò quando il nipotino Grigoi fosse cresciuto e avesse messo in<br />

discussione le opinioni del padre come ora lui stava facendo nei suoi<br />

confronti.<br />

Sinsimor, nel bel mezzo della discussione, si fermò un attimo a riflettere.<br />

Grigoi aveva da poco compiuto tre anni,fra dieci, nell’età dello sviluppo,<br />

avrebbe fatto le sue scelte e preso le sue decisioni, si sperava diverse da<br />

quelle del padre per decretarne una sana crescita; scelte che Sinsimor non<br />

avrebbe contrastato per non ripetere la condizione in cui si era trovato da<br />

figlio. Gli restavano quindi questi dieci anni per gestire a modo suo la<br />

conduzione della proprietà. “ Dieci anni” però erano un periodo di tempo<br />

decisamente inferiore a quello che, secondo un ragionevole calcolo<br />

probabilistico, rimaneva da vivere al padre.<br />

Sinsimor prese coscienza del fatto che non avrebbe comandato mai.<br />

27


Decise così di continuare il lavoro iniziato, come da lui progettato e come a<br />

lui piaceva, infischiandosene delle critiche paterne.<br />

28


Il sasso<br />

Risolto l’edipo Sinsimor prospettò al terapeuta il fatto che la più forte<br />

identità maschile acquisita gli desse soddisfazioni ma anche l’onere della<br />

responsabilità.<br />

Gli spettava un periodo di ferie e andava progettando un lavoro agrario<br />

ben più sostanzioso del precedente. Il primo giorno libero prese pala e picco e<br />

si accinse a scavare una buca. Dopo svariate palate di terra (la buca era già<br />

abbastanza profonda) sentì, con la punta della pala, qualcosa di duro. Pensò<br />

subito ad un tesoro o perlomeno a qualcosa di interessante come un resto<br />

archeologico, un fossile prezioso o un residuato bellico. Poi gli vennero idee<br />

più semplici. un tubo dell’acqua o del gas o peggio, la fogna. Infine il<br />

pensiero più banale che, come spesso gli accadeva, si evidenziò il più sensato<br />

e corretto: un sasso. Un normale sasso né ricercato né di forma o colore<br />

particolare, né tutto tondo né tutto spigoloso o perfettamente squadrato, né<br />

troppo grande né troppo piccolo. Un sasso e basta.<br />

Sinsimor lo tirò su con la pala e lo lanciò due o tre metri a lato, distante<br />

dal mucchio di terra che aveva accumulato; per ciò che doveva fare era<br />

meglio che nel successivo riempimento della buca non vi fossero sassi.<br />

Riprese a lavorare però, ogni volta che tirava su dalla buca una nuova palata<br />

di terra e la ribaltava sul mucchio adiacente, non poteva fare a meno di<br />

guardare con la coda dell’occhio il sasso solitario poco più in là. Dopo un po’<br />

fu costretto a fermarsi, a ridargli attenzione, ad avvicinarsi e a prenderlo in<br />

mano. In quel momento un flash, una folgorazione.<br />

In quella zona nessuno aveva eseguito ultimamente lavori anzi, a pensarci<br />

bene, la sua abitazione era già vecchia di decenni. Prima erano terreni incolti<br />

e comunque,anche se fossero stati arati, i solchi non avrebbero certo<br />

raggiunto la profondità alla qualeSinsimor aveva trovato il sasso. Non era<br />

neppure una zona ricca di ruderi o antiche vestigia. Era probabile che almeno<br />

negli ultimi cento anni quel sasso se ne fosse rimasto lì. Forse c’era da molto<br />

più tempo, da secoli, dalla preistoria o dalle varie glaciazioni o forse, a quei<br />

tempi, era ancora più sotto e ora era alla luce del sole, per la prima volta dopo<br />

migliaia o milioni di anni. Il sasso non poteva che destare simpatia in<br />

Sinsimor, dopo tutto era stato lui che lo aveva liberato da quella prigione<br />

millenaria. Era lui che gli aveva fatto assaporare per la prima volta l’aria<br />

fresca.<br />

29


Decise di proseguire il lavoro e lasciò nuovamente il sasso un po’<br />

scostato ma in bella vista. Se anche nei giorni successivi lo avesse dovuto<br />

ributtare nelle profondità della terra perlomeno si era goduto qualche giornata<br />

di sole e qualche nottata di luna piena. Continuando a scavare trovò altri sassi<br />

e lo stesso giorno e quelli seguenti, facendo altre buche, ne trovò ancora.<br />

Ormai accanto a tanti mucchi di terra ve ne era anche uno di sassi.<br />

Terminato il lavoro, che consisteva nel fare una serie di buche per<br />

piantarvi le vigne, Sinsimor constatò che ogni sasso trovato successivamente<br />

aveva tolto al primo il suo valore di unicità o meglio era lui che aveva perso<br />

il valore della sua unicità di salvatore nei confronti del sasso. Ne aveva<br />

salvati troppi dalla perenne sepoltura e un eroe compie solo gesta uniche.<br />

Quando , da ultimo, Sinsimor si rese conto che non era più possibile<br />

distinguere il primo sasso dai successivi, decise che il giorno seguente li<br />

avrebbe utilizzati tutti, affogandoli nel cemento, per costruire un muretto che<br />

delimitasse la zona delle vigne.<br />

30


Yuri<br />

Dopo tante difficoltà affrontate Sinsimor dovette ammettere al terapeuta<br />

che la convivenza quotidiana con Elanida stava prendendo una brutta piega.<br />

Oltre agli ormai scarsi incontri sessuali tutta una serie di incomprensioni,<br />

rimbrotti e silenzi si era abbattuta sulla coppia a tal punto che Sinsimor<br />

intravedeva una lenta ma inesorabile agonia del rapporto. Un giorno, in quei<br />

rari momenti in cui lui ed Elanida si permettevano uno stacco<br />

dall’accudimento di Grigoi lasciandolo per qualche ora alla nonna, andarono<br />

ad un cinematografo e lì avvenne il miracolo.<br />

Poco prima della pellicola in programmazione, uno spezzone pubblicitario<br />

di un film di fantascienza, che sarebbe stato proiettato nei giorni successivi,<br />

risvegliò in Sinsimor un ricordo. L’avveniristica astronave dello spot lo<br />

rimandò per contrapposizione alle rudimentali astronavi delle prime missioni<br />

spaziali e queste ad un nome: Gagarin. Questo nome era legato, in Sinsimor,<br />

ad un episodio familiare che mai era caduto nell’oblio.<br />

Idea, la madre di Sinsimor, aveva più volte rammentato al figlio che alla<br />

sua nascita non aveva ancora deciso un nome per lui e chiedendo consiglio al<br />

ginecologo che l’aveva assistita nel parto questi gli aveva detto che avrebbe<br />

potuto chiamarlo come Gagarin, il primo uomo al mondo che nell’aprile del<br />

1961 era stato lanciato in orbita nell’atmosfera, pochi giorni prima che<br />

Sinsimor nascesse. Poi Sinsimor per chissà quale ragione era stato chiamato<br />

così e questo gli andava bene. Nonostante mostrasse un certo orgoglio che<br />

nell’anno della sua nascita era iniziata la favolosa era delle esplorazioni dello<br />

spazio essere chiamato Gagarin non gli sarebbe piaciuto granché. Ma<br />

l’inghippo era proprio lì.<br />

Solo ora, dopo tante riedizioni del ricordo dell’episodio Sinsimor realizzò<br />

che non lo avrebbero potuto chiamare Gagarin ma “come Gagarin”. Gagarin<br />

non era un nome ma un cognome che rimandava ad un nome che Sinsimor<br />

neanche conosceva.<br />

Due ore dopo, al rientro dal cinematografo, l’enciclopedia acquistata a<br />

rate, e per questo sempre odiata, chiariva il mistero. Gagarin, l’astronauta<br />

russo primo uomo nello spazio, si chiamava Yuri. Un bel nome per Sinsimor<br />

che si mangiò le mani per non essere stato chiamato così e quasi per riparare<br />

al torto subito si sviluppò in lui una sorta di identificazione verso questo<br />

pioniere.<br />

31


Sinsimor, come un provetto attore, ne studiò sui testi la biografia fino a<br />

delinearne i tratti più fini della personalità e ad impossessarsene. Ma la cosa<br />

miracolosa fu che egli utilizzò Yuri come un alter-ego nel rapporto con<br />

Elanida.<br />

Dopo aver messo in chiaro la faccenda con la partner iniziò a inviare<br />

messaggi, lettere amorose, fiori, gentilezze e tenerezze nonché arditezze<br />

erotiche a nome Yuri e Yuri, da amante quale era diventato, ricevette da<br />

Elanida disponibilità, attenzioni, affetto e amore. Con Yuri la coppia ebbe di<br />

nuovo una vita sessuale intensa ed appagante e un rapporto rivitalizzato.<br />

32


<strong>La</strong> Befana<br />

Dopo la disamina dei suoi ruoli di figlio e di partner venne il giorno in cui<br />

Sinsimor dovette confrontarsi col proprio ruolo paterno.<br />

Grigoi, seppur in ritardo, aveva iniziato a frequentare la scuola materna<br />

del paese. Ci fu una prima assemblea dei genitori dei bimbi frequentanti la<br />

scuola che vide l’elezione di Sinsimor quale rappresentante degli stessi. Ci fu<br />

anche una successiva assemblea nella quale si doveva decidere chi avesse<br />

impersonato Babbo Natale e la Befana e donato piccoli presenti ai bambini.<br />

Per Babbo Natale la cosa era risolta. Un esponente di una associazione<br />

locale aveva fatto sapere che si offriva di apparire nelle classiche vesti di<br />

Santa Claus e di far contenti i bimbi con dolci e regalini. Restava da definire<br />

chi potesse impersonare la Befana e la scelta era ristretta ai genitori presenti a<br />

questa seconda assemblea.<br />

Sinsimor era l’unico maschio ed anche il rappresentante eletto, anzi forse<br />

lo avevano eletto proprio per questo. Guardò ad una ad una le facce<br />

preoccupate delle mamme presenti e ricordando che impersonare la Befana<br />

non piace molto al gentilsesso espresse il proprio sacrificio. Esordì e terminò<br />

ad un tempo così. “Gentili signore, in quanto unico maschio presente e<br />

rappresentante da voi eletto, conscio che nessuna di voi potrebbe impersonare<br />

una vecchia nonché brutterella, mi offro volontario”. L’assemblea terminò<br />

con un fragoroso applauso che lo gratificava ma già il suo pensiero era<br />

rivolto al futuro.<br />

Non gli era mai piaciuto travestirsi, neppure nel trasgressivo carnevale. Ci<br />

teneva a mantenere la propria identità e non capiva come mai tanti avevano la<br />

necessità di trasformarsi anche se per breve tempo e recitare personaggi<br />

diversi da se stessi. Ma ormai era fatto, non restava che preparare l’evento nei<br />

minimi dettagli.<br />

Elanida lo aiutò non poco nella ricerca degli abiti adatti: calzamaglia nera,<br />

gonnellone, scialle, riempimenti vari per seni e gobba, parrucca, foulard,<br />

ciabatte logore e ramazza. Nel frattempo Sinsimor si esercitava nella voce in<br />

falsetto e nelle movenze da vecchietta arzilla. Il giorno stabilito sempre<br />

Elanida aggiunse alla barba appena rasata un po’ di trucco e un nasone<br />

bitorzoluto connesso ad un paio di occhialini.<br />

Il primo giorno di rientro dalle vacanze natalizie la Befana si presentò a<br />

scuola, batté la ramazza alla porta, entrò con un sacco pieno di doni, fece un<br />

33


discorsetto augurale scusandosi nel contempo per il ritardo dovuto al fatto<br />

che quelli erano giorni di grande lavoro per lei, consegnò ai bimbi, uno per<br />

uno, i regalini, salutò le maestre, la cuoca, la bidella e se ne andò fra la gioia<br />

festante dei bambini contenti dei doni ricevuti e di poter parlare e toccare con<br />

mano il personaggio da sempre raccontato. Sinsimor aveva recitato la parte in<br />

modo ineccepibile.<br />

Per l’occasione erano presenti un fotografo e un videoreporter. Le foto e la<br />

ripresa video della giornata arrivarono nelle case di tutti i genitori e non<br />

mancarono i complimenti di molti.<br />

Ciò che più stupì Sinsimor fu che suo figlio Grigoi non lo riconobbe nè<br />

sul momento nè dopo riguardando foto e filmino. Eppure quella voce in<br />

falsetto e quelle strane movenze dovevano essere familiari a Grigoi come<br />

pure quella fugace occhiata che il bimbo e la Befana si erano scambiati<br />

mentre questa gli porgeva il dono. Niente. Grigoi non manifestò il benché<br />

minimo dubbio sull’identità della Befana. Era la Befana.<br />

Sinsimor era soddisfatto del fatto,che nonostante le sue titubanze, aveva<br />

avuto un’occasione e l’aveva presa al volo e si guardò bene dal chiarire al<br />

figlio il falso dell’accaduto. Pensava che come la prima bugia del figlio nei<br />

confronti del genitore segna l’inizio dell’autonomia così questa prima non<br />

verità al figlio rappresentava il suo riscatto di padre.<br />

34


<strong>La</strong> scommessa finale<br />

All’approssimarsi del ventisettesimo compleanno, età in cui, recitano i<br />

testi di fisiologia, inizia la fase involutiva del fisico umano, Sinsimor<br />

incontrò faccia a faccia i suoi due alter-ego, Yuri e la Befana, e insieme<br />

decisero di fare a gara a chi fosse andato più lontano nello spazio.<br />

Yuri era ormai anziano ma poteva contare su una notevole esperienza e su<br />

un mezzo rudimentale ma estremamente potente e pensava di avere bell’e<br />

vinta la scommessa. Accese i motori della Vostok e in pochi minuti era già a<br />

trecento chilometri da terra. A quella distanza, considerato che né Sinsimor<br />

né la Befana sarebbero mai potuti arrivare, rientrò. E’ vero che a circa<br />

settemila metri dal suolo, per paura che il modulo di atterraggio si<br />

schiantasse, si lanciò col paracadute ma la scommessa era valida con<br />

qualunque mezzo o sistema e già pregustava la vittoria.<br />

<strong>La</strong> Befana, vecchia e brutterella e però arzilla e ardimentosa si disse: “non<br />

sarà certo un pilota collaudatore seppur amico nostro a impedirmi di vincere<br />

la gara” e a cavalcioni della scopa magica puntò dritto sulla luna. Lì atterrò, o<br />

meglio allunò, raccolse un sasso dal suolo a testimonianza della propria<br />

impresa e in un baleno rientrò a terra raggiante per la vittoria preannunciata.<br />

Mentre Yuri piangeva dal disappunto Sinsimor pensava a come avrebbe<br />

fatto a superare tali performances. Yuri aveva volato con un’astronave, la<br />

Befana con la scopa, lui non aveva mezzi più potenti né più magici di questi;<br />

ma perché mai aveva accettato al volo la scommessa senza riflettere? Gli<br />

venne l’idea di prenotare un posto da passeggero sui voli per marte ma la<br />

prima spedizione sul pianeta rosso era prevista per il duemilaquindici<br />

sempreché i programmi degli enti spaziali non avessero subito intoppi. Da lì<br />

a diventare normali trasporti a pagamento sarebbero passati altri due o tre<br />

decenni o forse più. Yuri e la Befana non avrebbero accettato di procrastinare<br />

così a lungo tempo l’esito della scommessa. A Sinsimor non rimaneva che<br />

inventarsi qualcosa di veramente speciale e pensa che ti ripensa pensò di<br />

provare a volare col pensiero.<br />

Un pianeta qualunque? No, tanto valeva pensare in grande: il sole. Yuri e<br />

la Befana, che erano rivali in gara ma a lui molto legati, lo scongiurarono di<br />

stare attento; se fosse arrivato troppo vicino alla nostra stella avrebbe<br />

rischiato di bruciarsi. Sinsimor li rassicurò. Come poteva pensare di arrivare<br />

al sole così poteva pensare di non bruciarsi e partì per l’ultima sua grande<br />

35


avventura.<br />

Riprendendo a se ciò che spesso aveva ripetuto al figlio e cioè che la<br />

massima velocità non è quella della luce ma quella del pensiero, si concentrò<br />

così intensamente che non gli occorsero i canonici otto minuti per arrivare al<br />

sole ma in un attimo era già nelle sue immediate vicinanze. Ricordandosi gli<br />

ammonimenti di Yuri e della Befana pensò bene di non bruciarsi e così riuscì<br />

ad entrare nel nucleo del sole, in mezzo a tempeste termonucleari e a<br />

temperature di milioni di gradi. Per l’emozione si dimenticò persino di<br />

catturare un raggio solare da portare come prova della vittoria ai suoi amici.<br />

Trapassato il sole da parte a parte e preso da un entusiasmo sempre più<br />

irrefrenabile invece di rientrare a terra proseguì per un’altra stella e da lì ad<br />

altre ancora e poi via verso galassie lontane diverse per forme e dimensioni.<br />

Era tale la meraviglia che nessuno ebbe più sue notizie; neppure Yuri e la<br />

Befana dispiaciuti per l’amico ma anche dal fatto di non poter determinare<br />

chi avesse vinto la scommessa. Qualcuno dice che Sinsimor si sia perso nello<br />

spazio, altri sostengono che sia lassù o laggiù a godersela e che ogni tanto<br />

mandi segnali non ben identificati; altri ancora che sia entrato in una diversa<br />

dimensione spazio/temporale o tornato a terra sotto falso nome. L’unica e<br />

ultima sua certa testimonianza è che il giorno della scommessa, data<br />

l’arditezza e i rischi dell’impresa, in accordo col proprio terapeuta, aveva<br />

posto termine al trattamento analitico.<br />

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LE AVVENTURE INTERIORI DI SINSIMOR<br />

Dedica ...............................................................pag. 2<br />

L’analisi personale ……………………………pag. 3<br />

Fobie ………………………………………….pag. 5<br />

Quindici semafori …………………………….pag. 7<br />

<strong>La</strong> punizione ……………………………….....pag. 9<br />

Il fumo ………………………………………..pag. 11<br />

E.P. …………………………………………...pag. 14<br />

Certezze ………………………………………pag. 17<br />

Creatività ……………………………………..pag. 18<br />

Due vestaglie blu ……………………………..pag. 19<br />

Il negozio ……………………………………..pag. 21<br />

L’alluce …………………………………….....pag. 22<br />

Il complimento più bello ……………………...pag. 23<br />

Quisquizie …………………………………….pag. 25<br />

Norinor ………………………………………..pag. 27<br />

Il sasso ………………………………………...pag. 29<br />

Yuri …………………………………………...pag. 31<br />

<strong>La</strong> befana ……………………………………...pag. 33<br />

<strong>La</strong> scommessa finale ………………………….pag. 35<br />

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