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la biochimica prima della «doppia elica» 27<br />

Nella stessa epoca apparve il microscopio elettronico quale mezzo d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e rivoluzionario<br />

che sostituiva l’illum<strong>in</strong>azione della luce con un fascio elettronico e le solite<br />

lenti con campi magnetici o elettrici e ben presto trovò leprime applicazioni <strong>in</strong> biologia<br />

ad opera di pionieri che permisero l’avvio di quelle ricerche che per la prima volta<br />

fecero <strong>in</strong>travedere la cosiddetta «ultrastruttura» cellulare [3]. Altre due importanti tecnologie<br />

contribuirono ad illustrare le proprietà chimico-fisiche delle molecole proteiche<br />

ed entrambe orig<strong>in</strong>arono dal vasto campo di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e della chimica colloidale. Da un<br />

lato l’elettroforesi per merito di W. B. Hardy [4] che, applicando alle prote<strong>in</strong>e le sue<br />

ricerche sulla migrazione di particelle colloidali <strong>in</strong> un campo elettrico, dimostrò che la<br />

direzione della migrazione delle prote<strong>in</strong>e verso il catodo o verso l’anodo dipendeva dal<br />

pH della soluzione <strong>in</strong> cui venivano disciolte. Lavorando sull’album<strong>in</strong>a J. Needham [5]<br />

trovò per la prima volta un valore di pH <strong>in</strong> cui la migrazione si annullava avanzando<br />

il concetto di «punto isoelettrico», che <strong>in</strong>fluenzò tutte le ricerche successive sull’importanza<br />

delle cariche elettriche sulla struttura proteica. La distribuzione delle cariche<br />

elettriche degli am<strong>in</strong>oacidi e le loro <strong>in</strong>terazioni sull’<strong>in</strong>tera molecola proteica, analizzate<br />

dal punto di vista chimico-fisico permisero di elaborare un modello matematico [6] che<br />

raffigurava ad una sfera la molecola proteica la cui solubilità era prevedibile calcolando<br />

il valore del suo momento dipolare. Da una tale impostazione teorica nacque un filone<br />

di ricerche [7] che, negli anni successivi, ne confermarono la validità epermisero non<br />

solo di comprendere la causa della mobilità elettroforetica specifica delle varie molecole<br />

proteiche, ma anche perché variava la loro solubilità. Intanto nel laboratorio di<br />

Arne Wilhelm Kaur<strong>in</strong> Tiselius (1902-1971) ad Uppsala [8] venne messo a punto un<br />

apparecchio elettroforetico di grande risoluzione, che tuttora porta il suo nome, capace<br />

di separare le prote<strong>in</strong>e del siero <strong>in</strong> quattro gruppi ben dist<strong>in</strong>ti e di ottenere frazioni<br />

proteiche isolate <strong>in</strong> base alla loro velocità dimigrazione. La portata applicativa di tale<br />

scoperta che permise l’identificazione e la purificazione di nuove molecole proteiche,<br />

venne riconosciuta nel 1948 con l’assegnazione ad Arne Tiselius del Premio Nobel per la<br />

Chimica.<br />

In modo analogo, cioè partendo dall’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e sulla distribuzione ed il volume molecolare<br />

di metalli colloidali sottoposti ad elevati campi gravitazionali adoperando rotori<br />

che aumentavano 70.000 volte la gravità, The Svedberg (1884-1971) [9] <strong>in</strong>ventò l’ultracentrifuga.<br />

Fu il mezzo con cui venne subito confermato l’elevato peso molecolare<br />

dell’emoglob<strong>in</strong>a, già supposto da ricerche precedenti e venne dimostrato che la molecola<br />

proteica sedimentava sotto forma di un sistema omogeneo e compatto, aprendo<br />

l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e che permise di identificare le nuove molecole proteiche con ben def<strong>in</strong>ite entità<br />

fisiche e non aggregati di particelle disperse come allora si credeva. Per quanto<br />

poi riguarda la composizione chimica delle molecole proteiche, il grande contributo alla<br />

conoscenza della composizione <strong>in</strong> am<strong>in</strong>oacidi delle varie prote<strong>in</strong>e che si andavano isolando,<br />

fu conseguente alla scoperta di A. J. P. Mart<strong>in</strong> e R. L. M. Synge [10] della<br />

cromatografia di ripartizione dei vari am<strong>in</strong>oacidi fra una fase stazionaria ed una mobile,<br />

che si poteva realizzare sia su carta da filtro sia su colonne di res<strong>in</strong>e scambiatrici di ioni,<br />

dalle quali i s<strong>in</strong>goli am<strong>in</strong>oacidi venivano eluiti da soluzioni tampone di differente pH e<br />

qu<strong>in</strong>di facilmente <strong>in</strong>dividuati dalla sensibilissima reazione colorata <strong>in</strong> violetto con la ni-

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