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26 a. ruffo nell’indagine biologica ormai indipendente dalla chimica da una parte e la fisiologia dall’altra che, all’epoca, ne contendevano l’appartenenza. Ma furono soprattutto il gran numero dei risultati ottenuti a partire dagli anni trenta e la loro qualità che ci autorizza a considerarli come quelli più ricchi di nozioni originali che presentano il vero marchio innovativo di «ricerca biochimica». A conferma riportiamo due eventi culturali diversi ma ugualmente dimostrativi. Da un lato la coincidenza dell’anno 1932 con quello di fondazione dell’Annual Review of Biochemistry edita dalla Stanford University Press quale prestigioso contributo alla necessità diriassumere in modo critico la gran mole di risultati che delimitavano i diversi settori d’indagine biochimica. Dall’altro, l’istituzione dell’insegnamento di Chimica Biologica nelle Facoltà Mediche anche nel nostro Paese con le prime cattedre apparse nelle Università diNapoli (1926), Roma (1930) e Padova (1931). Di questo periodo di intensa attività sperimentale, noi riusciremo a mettere in evidenza soltanto alcuni tra i più significativi risultati che hanno contribuito alla risoluzione dei grandi problemi dibattuti all’epoca, quali la composizione chimica delle varie specie cellulari, l’attività catalitica e la natura degli enzimi, l’aspetto macromolecolare che contraddistingue la struttura delle proteine, degli acidi nucleici e dei polisaccaridi, le loro interazioni con i numerosi lipidi che si andavano isolando. Si dovrà poi affrontare il problema degli scambi energetici con l’ambiente. Come molecole tanto complesse venivano scisse e risintetizzate, quali erano le condizioni termodinamiche che ne permettevano le trasformazioni, come i risultati raggiunti vennero inquadrati in un filone asé stante noto come «metabolismo» di cui oggi si distingue l’intermedio (catabolico ed anabolico) dal terminale conseguente alla scoperta dei cicli metabolici ai quali, per la loro importanza in bioenergetica, verrà dedicato maggior spazio nei paragrafi finali. Che grosso modo i componenti fondamentali di tutte le cellule viventi fossero una miscela di zuccheri e proteine più omeno combinati con gli acidi nucleici, ovvero con i lipidi, alcuni dei quali contenenti fosforo ed azoto, era già noto dall’inizio degli anni 30. Pertanto le ricerche che seguirono erano volte ad identificare tramite le nuove tecniche emergenti i singoli componenti di queste grandi famiglie chimiche di base ed i loro rapporti con le funzioni cui era preposto il distretto cellulare in cui erano contenuti. 1. Innovazioni metodologiche Se vogliamo iniziare dalle innovazioni realizzate in seguito all’applicazione delle tecnologie allora più avanzate, forse pochi ricordano che i primi approcci dell’applicazione dell’analisi diffrattometrica ai raggi-X iniziarono sulla cellulosa all’inizio degli anni 30 [1] e, solo dopo alcuni anni, William Thomas Astbury (1898-1961) [2], attratto dall’aspetto ancora misterioso delle molecole proteiche (v. infra, § 12.1) riuscì adimostrare la supercontrazione della cheratina, suggerendo vari modelli di struttura tridimensionale per distinguere le proteine fibrose dalle globulari in funzione del modo di ripiegamento delle catene peptidiche. Fu questo l’inizio di una lunga serie di ricerche che si estese anche alla struttura degli acidi nucleici ed alle nucleoproteine contenute nei virus (v. infra, § 4).

la biochimica prima della «doppia elica» 27 Nella stessa epoca apparve il microscopio elettronico quale mezzo d’indagine rivoluzionario che sostituiva l’illuminazione della luce con un fascio elettronico e le solite lenti con campi magnetici o elettrici e ben presto trovò leprime applicazioni in biologia ad opera di pionieri che permisero l’avvio di quelle ricerche che per la prima volta fecero intravedere la cosiddetta «ultrastruttura» cellulare [3]. Altre due importanti tecnologie contribuirono ad illustrare le proprietà chimico-fisiche delle molecole proteiche ed entrambe originarono dal vasto campo di indagine della chimica colloidale. Da un lato l’elettroforesi per merito di W. B. Hardy [4] che, applicando alle proteine le sue ricerche sulla migrazione di particelle colloidali in un campo elettrico, dimostrò che la direzione della migrazione delle proteine verso il catodo o verso l’anodo dipendeva dal pH della soluzione in cui venivano disciolte. Lavorando sull’albumina J. Needham [5] trovò per la prima volta un valore di pH in cui la migrazione si annullava avanzando il concetto di «punto isoelettrico», che influenzò tutte le ricerche successive sull’importanza delle cariche elettriche sulla struttura proteica. La distribuzione delle cariche elettriche degli aminoacidi e le loro interazioni sull’intera molecola proteica, analizzate dal punto di vista chimico-fisico permisero di elaborare un modello matematico [6] che raffigurava ad una sfera la molecola proteica la cui solubilità era prevedibile calcolando il valore del suo momento dipolare. Da una tale impostazione teorica nacque un filone di ricerche [7] che, negli anni successivi, ne confermarono la validità epermisero non solo di comprendere la causa della mobilità elettroforetica specifica delle varie molecole proteiche, ma anche perché variava la loro solubilità. Intanto nel laboratorio di Arne Wilhelm Kaurin Tiselius (1902-1971) ad Uppsala [8] venne messo a punto un apparecchio elettroforetico di grande risoluzione, che tuttora porta il suo nome, capace di separare le proteine del siero in quattro gruppi ben distinti e di ottenere frazioni proteiche isolate in base alla loro velocità dimigrazione. La portata applicativa di tale scoperta che permise l’identificazione e la purificazione di nuove molecole proteiche, venne riconosciuta nel 1948 con l’assegnazione ad Arne Tiselius del Premio Nobel per la Chimica. In modo analogo, cioè partendo dall’indagine sulla distribuzione ed il volume molecolare di metalli colloidali sottoposti ad elevati campi gravitazionali adoperando rotori che aumentavano 70.000 volte la gravità, The Svedberg (1884-1971) [9] inventò l’ultracentrifuga. Fu il mezzo con cui venne subito confermato l’elevato peso molecolare dell’emoglobina, già supposto da ricerche precedenti e venne dimostrato che la molecola proteica sedimentava sotto forma di un sistema omogeneo e compatto, aprendo l’indagine che permise di identificare le nuove molecole proteiche con ben definite entità fisiche e non aggregati di particelle disperse come allora si credeva. Per quanto poi riguarda la composizione chimica delle molecole proteiche, il grande contributo alla conoscenza della composizione in aminoacidi delle varie proteine che si andavano isolando, fu conseguente alla scoperta di A. J. P. Martin e R. L. M. Synge [10] della cromatografia di ripartizione dei vari aminoacidi fra una fase stazionaria ed una mobile, che si poteva realizzare sia su carta da filtro sia su colonne di resine scambiatrici di ioni, dalle quali i singoli aminoacidi venivano eluiti da soluzioni tampone di differente pH e quindi facilmente individuati dalla sensibilissima reazione colorata in violetto con la ni-

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nell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e biologica ormai <strong>in</strong>dipendente dalla chimica da una parte e la fisiologia<br />

dall’altra che, all’epoca, ne contendevano l’appartenenza. Ma furono soprattutto il gran<br />

numero dei risultati ottenuti a partire dagli anni trenta e la loro qualità che ci autorizza<br />

a considerarli come quelli più ricchi di nozioni orig<strong>in</strong>ali che presentano il vero marchio<br />

<strong>in</strong>novativo di «ricerca biochimica».<br />

A conferma riportiamo due eventi culturali diversi ma ugualmente dimostrativi. Da<br />

un lato la co<strong>in</strong>cidenza dell’anno 1932 con quello di fondazione dell’Annual Review of<br />

Biochemistry edita dalla Stanford University Press quale prestigioso contributo alla necessità<br />

diriassumere <strong>in</strong> modo critico la gran mole di risultati che delimitavano i diversi<br />

settori d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e biochimica. Dall’altro, l’istituzione dell’<strong>in</strong>segnamento di Chimica Biologica<br />

nelle Facoltà Mediche anche nel nostro Paese con le prime cattedre apparse nelle<br />

Università diNapoli (1926), Roma (1930) e Padova (1931).<br />

Di questo periodo di <strong>in</strong>tensa attività sperimentale, noi riusciremo a mettere <strong>in</strong> evidenza<br />

soltanto alcuni tra i più significativi risultati che hanno contribuito alla risoluzione<br />

dei grandi problemi dibattuti all’epoca, quali la composizione chimica delle varie specie<br />

cellulari, l’attività catalitica e la natura degli enzimi, l’aspetto macromolecolare che<br />

contraddist<strong>in</strong>gue la struttura delle prote<strong>in</strong>e, degli acidi nucleici e dei polisaccaridi, le<br />

loro <strong>in</strong>terazioni con i numerosi lipidi che si andavano isolando. Si dovrà poi affrontare<br />

il problema degli scambi energetici con l’ambiente. Come molecole tanto complesse<br />

venivano scisse e ris<strong>in</strong>tetizzate, quali erano le condizioni termod<strong>in</strong>amiche che ne permettevano<br />

le trasformazioni, come i risultati raggiunti vennero <strong>in</strong>quadrati <strong>in</strong> un filone<br />

asé stante noto come «metabolismo» di cui oggi si dist<strong>in</strong>gue l’<strong>in</strong>termedio (catabolico<br />

ed anabolico) dal term<strong>in</strong>ale conseguente alla scoperta dei cicli metabolici ai quali, per<br />

la loro importanza <strong>in</strong> bioenergetica, verrà dedicato maggior spazio nei paragrafi f<strong>in</strong>ali.<br />

Che grosso modo i componenti fondamentali di tutte le cellule viventi fossero una<br />

miscela di zuccheri e prote<strong>in</strong>e più omeno comb<strong>in</strong>ati con gli acidi nucleici, ovvero con i<br />

lipidi, alcuni dei quali contenenti fosforo ed azoto, era già noto dall’<strong>in</strong>izio degli anni 30.<br />

Pertanto le ricerche che seguirono erano volte ad identificare tramite le nuove tecniche<br />

emergenti i s<strong>in</strong>goli componenti di queste grandi famiglie chimiche di base ed i loro<br />

rapporti con le funzioni cui era preposto il distretto cellulare <strong>in</strong> cui erano contenuti.<br />

1. Innovazioni metodologiche<br />

Se vogliamo <strong>in</strong>iziare dalle <strong>in</strong>novazioni realizzate <strong>in</strong> seguito all’applicazione delle tecnologie<br />

allora più avanzate, forse pochi ricordano che i primi approcci dell’applicazione<br />

dell’analisi diffrattometrica ai raggi-X <strong>in</strong>iziarono sulla cellulosa all’<strong>in</strong>izio degli anni 30<br />

[1] e, solo dopo alcuni anni, William Thomas Astbury (1898-1961) [2], attratto dall’aspetto<br />

ancora misterioso delle molecole proteiche (v. <strong>in</strong>fra, § 12.1) riuscì adimostrare<br />

la supercontrazione della cherat<strong>in</strong>a, suggerendo vari modelli di struttura tridimensionale<br />

per dist<strong>in</strong>guere le prote<strong>in</strong>e fibrose dalle globulari <strong>in</strong> funzione del modo di ripiegamento<br />

delle catene peptidiche. Fu questo l’<strong>in</strong>izio di una lunga serie di ricerche che si estese anche<br />

alla struttura degli acidi nucleici ed alle nucleoprote<strong>in</strong>e contenute nei virus (v. <strong>in</strong>fra,<br />

§ 4).

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