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Rend. Fis. Acc. L<strong>in</strong>cei<br />

s. 9, v. 10:25-62 (1999)<br />

La Biochimica prima della «doppia elica»<br />

Memoria (*) di Alfredo Ruffo<br />

Abstract. — The Biochemistry before the «Double Elix». The ma<strong>in</strong> results obta<strong>in</strong>ed by the biochemical<br />

research between the years from 1930 to ’50 are briefly referred, cover<strong>in</strong>g a period of great technical<br />

<strong>in</strong>novations which promoted many discoveries and gave successful prestige to the biochemical knowledge<br />

<strong>in</strong> the scientific community. Particular care was dedicated to the discovery of the nature and functions<br />

of the enzymes, and their utilization for the identification of new compounds formed <strong>in</strong> the course of<br />

<strong>in</strong>termediate metabolism. The pr<strong>in</strong>cipal derivatives com<strong>in</strong>g out from the breakdown of glucides, lipids,<br />

nucleotides and prote<strong>in</strong>s were identified and the possibility of their synthesis prospected follow<strong>in</strong>g the various<br />

metabolic steps. Among these, great attention was given to the cyclic sequential reactions responsible for the<br />

bioenergetic balance <strong>in</strong> liv<strong>in</strong>g cells. All together the referred results seem particularly suitable to promote the<br />

forthcom<strong>in</strong>g discovery of the «double elix» and the appreciated consequences for the future of the biological<br />

research.<br />

Key words: Double elix; Intermediate metabolism; Bioenergetics.<br />

Riassunto. — Sono stati riportati <strong>in</strong> forma riassuntiva alcuni dei risultati molto validi che hanno rappresentato<br />

il pieno successo della ricerca biochimica tra gli anni 1930 e ’50. Sono gli anni della grande svolta<br />

<strong>in</strong>novativa apportata dalle applicazioni tecnologiche che hanno facilitato dapprima la scoperta dell’attività<br />

catalitica degli enzimi, poi la loro identificazione con le macromolecole proteiche, qu<strong>in</strong>di la loro purificazione<br />

f<strong>in</strong>o alla cristallizzazione per cui a ciascun enzima è stata attribuita una funzione specifica sul modello<br />

di una prote<strong>in</strong>a simbolo dei rapporti fra struttura e funzione, l’emoglob<strong>in</strong>a. Su tali basi sono progredite le<br />

conoscenze sui vari componenti cellulari già noti come glucidi, lipidi, acidi nucleici e prote<strong>in</strong>e, che sotto<br />

l’<strong>in</strong>flusso dell’attività enzimatica vengono analizzati nel corso della loro demolizione e res<strong>in</strong>tesi mettendo <strong>in</strong><br />

evidenza la complessità delle reazioni che costituiscono il metabolismo <strong>in</strong>termedio. Viene <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e dedicata<br />

grande attenzione alla scoperta dei cicli sequenziali, caratteristici delle ossidazioni term<strong>in</strong>ali, per merito<br />

dei quali si realizza quel risparmio energetico che bilancia il dispendio dovuto alle s<strong>in</strong>tesi macromolecolari<br />

responsabili del cosiddetto ord<strong>in</strong>e biologico endocellulare. Tutto questo è messo nel dovuto risalto come<br />

base sperimentale di notevole spessore, sulla quale è stato possibile prevedere il successivo traguardo realizzato<br />

dalla scoperta della «doppia elica» e delle sue favorevoli conseguenze per la ricerca biologica negli anni<br />

successivi ai ’50.<br />

Gli anni che vanno dal 1930 al 1950 sono quelli che, a nostro avviso, segnano una<br />

svolta decisiva per il progresso delle conoscenze sulla materia vivente, dovuta al nuovo<br />

modo di affrontare la ricerca sulla base dell’applicazione delle tecnologie della chimica<br />

e della fisica, già allora notevolmente avanzate, ai vari problemi biologici non ancora<br />

risolti ed a quelli che attendevano una migliore soluzione.<br />

Una tale impostazione proveniva da valide esperienze che, negli anni precedenti,<br />

avevano promosso la nascita di una nuova discipl<strong>in</strong>a, la biochimica accolta nel mondo<br />

scientifico dapprima con qualche sospetto, ma <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e, riconosciuta come punta avanzata<br />

(*) Presentata nella seduta dell’8 maggio 1998.


26 a. ruffo<br />

nell’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e biologica ormai <strong>in</strong>dipendente dalla chimica da una parte e la fisiologia<br />

dall’altra che, all’epoca, ne contendevano l’appartenenza. Ma furono soprattutto il gran<br />

numero dei risultati ottenuti a partire dagli anni trenta e la loro qualità che ci autorizza<br />

a considerarli come quelli più ricchi di nozioni orig<strong>in</strong>ali che presentano il vero marchio<br />

<strong>in</strong>novativo di «ricerca biochimica».<br />

A conferma riportiamo due eventi culturali diversi ma ugualmente dimostrativi. Da<br />

un lato la co<strong>in</strong>cidenza dell’anno 1932 con quello di fondazione dell’Annual Review of<br />

Biochemistry edita dalla Stanford University Press quale prestigioso contributo alla necessità<br />

diriassumere <strong>in</strong> modo critico la gran mole di risultati che delimitavano i diversi<br />

settori d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e biochimica. Dall’altro, l’istituzione dell’<strong>in</strong>segnamento di Chimica Biologica<br />

nelle Facoltà Mediche anche nel nostro Paese con le prime cattedre apparse nelle<br />

Università diNapoli (1926), Roma (1930) e Padova (1931).<br />

Di questo periodo di <strong>in</strong>tensa attività sperimentale, noi riusciremo a mettere <strong>in</strong> evidenza<br />

soltanto alcuni tra i più significativi risultati che hanno contribuito alla risoluzione<br />

dei grandi problemi dibattuti all’epoca, quali la composizione chimica delle varie specie<br />

cellulari, l’attività catalitica e la natura degli enzimi, l’aspetto macromolecolare che<br />

contraddist<strong>in</strong>gue la struttura delle prote<strong>in</strong>e, degli acidi nucleici e dei polisaccaridi, le<br />

loro <strong>in</strong>terazioni con i numerosi lipidi che si andavano isolando. Si dovrà poi affrontare<br />

il problema degli scambi energetici con l’ambiente. Come molecole tanto complesse<br />

venivano scisse e ris<strong>in</strong>tetizzate, quali erano le condizioni termod<strong>in</strong>amiche che ne permettevano<br />

le trasformazioni, come i risultati raggiunti vennero <strong>in</strong>quadrati <strong>in</strong> un filone<br />

asé stante noto come «metabolismo» di cui oggi si dist<strong>in</strong>gue l’<strong>in</strong>termedio (catabolico<br />

ed anabolico) dal term<strong>in</strong>ale conseguente alla scoperta dei cicli metabolici ai quali, per<br />

la loro importanza <strong>in</strong> bioenergetica, verrà dedicato maggior spazio nei paragrafi f<strong>in</strong>ali.<br />

Che grosso modo i componenti fondamentali di tutte le cellule viventi fossero una<br />

miscela di zuccheri e prote<strong>in</strong>e più omeno comb<strong>in</strong>ati con gli acidi nucleici, ovvero con i<br />

lipidi, alcuni dei quali contenenti fosforo ed azoto, era già noto dall’<strong>in</strong>izio degli anni 30.<br />

Pertanto le ricerche che seguirono erano volte ad identificare tramite le nuove tecniche<br />

emergenti i s<strong>in</strong>goli componenti di queste grandi famiglie chimiche di base ed i loro<br />

rapporti con le funzioni cui era preposto il distretto cellulare <strong>in</strong> cui erano contenuti.<br />

1. Innovazioni metodologiche<br />

Se vogliamo <strong>in</strong>iziare dalle <strong>in</strong>novazioni realizzate <strong>in</strong> seguito all’applicazione delle tecnologie<br />

allora più avanzate, forse pochi ricordano che i primi approcci dell’applicazione<br />

dell’analisi diffrattometrica ai raggi-X <strong>in</strong>iziarono sulla cellulosa all’<strong>in</strong>izio degli anni 30<br />

[1] e, solo dopo alcuni anni, William Thomas Astbury (1898-1961) [2], attratto dall’aspetto<br />

ancora misterioso delle molecole proteiche (v. <strong>in</strong>fra, § 12.1) riuscì adimostrare<br />

la supercontrazione della cherat<strong>in</strong>a, suggerendo vari modelli di struttura tridimensionale<br />

per dist<strong>in</strong>guere le prote<strong>in</strong>e fibrose dalle globulari <strong>in</strong> funzione del modo di ripiegamento<br />

delle catene peptidiche. Fu questo l’<strong>in</strong>izio di una lunga serie di ricerche che si estese anche<br />

alla struttura degli acidi nucleici ed alle nucleoprote<strong>in</strong>e contenute nei virus (v. <strong>in</strong>fra,<br />

§ 4).


la biochimica prima della «doppia elica» 27<br />

Nella stessa epoca apparve il microscopio elettronico quale mezzo d’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e rivoluzionario<br />

che sostituiva l’illum<strong>in</strong>azione della luce con un fascio elettronico e le solite<br />

lenti con campi magnetici o elettrici e ben presto trovò leprime applicazioni <strong>in</strong> biologia<br />

ad opera di pionieri che permisero l’avvio di quelle ricerche che per la prima volta<br />

fecero <strong>in</strong>travedere la cosiddetta «ultrastruttura» cellulare [3]. Altre due importanti tecnologie<br />

contribuirono ad illustrare le proprietà chimico-fisiche delle molecole proteiche<br />

ed entrambe orig<strong>in</strong>arono dal vasto campo di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e della chimica colloidale. Da un<br />

lato l’elettroforesi per merito di W. B. Hardy [4] che, applicando alle prote<strong>in</strong>e le sue<br />

ricerche sulla migrazione di particelle colloidali <strong>in</strong> un campo elettrico, dimostrò che la<br />

direzione della migrazione delle prote<strong>in</strong>e verso il catodo o verso l’anodo dipendeva dal<br />

pH della soluzione <strong>in</strong> cui venivano disciolte. Lavorando sull’album<strong>in</strong>a J. Needham [5]<br />

trovò per la prima volta un valore di pH <strong>in</strong> cui la migrazione si annullava avanzando<br />

il concetto di «punto isoelettrico», che <strong>in</strong>fluenzò tutte le ricerche successive sull’importanza<br />

delle cariche elettriche sulla struttura proteica. La distribuzione delle cariche<br />

elettriche degli am<strong>in</strong>oacidi e le loro <strong>in</strong>terazioni sull’<strong>in</strong>tera molecola proteica, analizzate<br />

dal punto di vista chimico-fisico permisero di elaborare un modello matematico [6] che<br />

raffigurava ad una sfera la molecola proteica la cui solubilità era prevedibile calcolando<br />

il valore del suo momento dipolare. Da una tale impostazione teorica nacque un filone<br />

di ricerche [7] che, negli anni successivi, ne confermarono la validità epermisero non<br />

solo di comprendere la causa della mobilità elettroforetica specifica delle varie molecole<br />

proteiche, ma anche perché variava la loro solubilità. Intanto nel laboratorio di<br />

Arne Wilhelm Kaur<strong>in</strong> Tiselius (1902-1971) ad Uppsala [8] venne messo a punto un<br />

apparecchio elettroforetico di grande risoluzione, che tuttora porta il suo nome, capace<br />

di separare le prote<strong>in</strong>e del siero <strong>in</strong> quattro gruppi ben dist<strong>in</strong>ti e di ottenere frazioni<br />

proteiche isolate <strong>in</strong> base alla loro velocità dimigrazione. La portata applicativa di tale<br />

scoperta che permise l’identificazione e la purificazione di nuove molecole proteiche,<br />

venne riconosciuta nel 1948 con l’assegnazione ad Arne Tiselius del Premio Nobel per la<br />

Chimica.<br />

In modo analogo, cioè partendo dall’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e sulla distribuzione ed il volume molecolare<br />

di metalli colloidali sottoposti ad elevati campi gravitazionali adoperando rotori<br />

che aumentavano 70.000 volte la gravità, The Svedberg (1884-1971) [9] <strong>in</strong>ventò l’ultracentrifuga.<br />

Fu il mezzo con cui venne subito confermato l’elevato peso molecolare<br />

dell’emoglob<strong>in</strong>a, già supposto da ricerche precedenti e venne dimostrato che la molecola<br />

proteica sedimentava sotto forma di un sistema omogeneo e compatto, aprendo<br />

l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e che permise di identificare le nuove molecole proteiche con ben def<strong>in</strong>ite entità<br />

fisiche e non aggregati di particelle disperse come allora si credeva. Per quanto<br />

poi riguarda la composizione chimica delle molecole proteiche, il grande contributo alla<br />

conoscenza della composizione <strong>in</strong> am<strong>in</strong>oacidi delle varie prote<strong>in</strong>e che si andavano isolando,<br />

fu conseguente alla scoperta di A. J. P. Mart<strong>in</strong> e R. L. M. Synge [10] della<br />

cromatografia di ripartizione dei vari am<strong>in</strong>oacidi fra una fase stazionaria ed una mobile,<br />

che si poteva realizzare sia su carta da filtro sia su colonne di res<strong>in</strong>e scambiatrici di ioni,<br />

dalle quali i s<strong>in</strong>goli am<strong>in</strong>oacidi venivano eluiti da soluzioni tampone di differente pH e<br />

qu<strong>in</strong>di facilmente <strong>in</strong>dividuati dalla sensibilissima reazione colorata <strong>in</strong> violetto con la ni-


28 a. ruffo<br />

nidr<strong>in</strong>a. Su queste premesse F. Sanger [11] negli anni successivi trovò un’altra reazione<br />

specifica, questa volta per il gruppo am<strong>in</strong>ico <strong>in</strong> posizione a dell’am<strong>in</strong>oacido term<strong>in</strong>ale<br />

di ogni s<strong>in</strong>gola molecola proteica. La reazione con il fluorod<strong>in</strong>itrobenzene che dà luogo<br />

ad un derivato di color giallo senza alterare la struttura delle prote<strong>in</strong>e. Idrolizzandole<br />

<strong>in</strong> modo adatto ed applicando la cromatografia ai s<strong>in</strong>goli d<strong>in</strong>itro-derivati, si realizza una<br />

demolizione graduale della molecola proteica che permette di conoscere la composizione<br />

dell’esatta sequenza am<strong>in</strong>oacidica.<br />

2. Natura chimica degli enzimi<br />

Ritornando <strong>in</strong>dietro agli anni 30 diamo prima credito ad una metodica meno sofisticata<br />

ma più ricca di risultati di <strong>in</strong>novativo <strong>in</strong>teresse biochimico, la «salatura» delle<br />

prote<strong>in</strong>e. Tale procedimento fu largamente adoperato per le prime fasi di purificazione<br />

degli estratti enzimatici grezzi e rappresentò una <strong>in</strong>dispensabile premessa per raggiungere<br />

l’ambito traguardo della loro cristallizzazione. Dopo il primo successo ottenuto <strong>in</strong><br />

questo campo da John Howard Northrop (1891-1987) [12-14] che, nel 1930, riuscì a<br />

cristallizzare la peps<strong>in</strong>a, la storia dell’ureasi scritta da James Batcheller Sumner (1887-<br />

1955) [15] racconta con sottile umorismo la famosa disputa con la scuola di Richard<br />

Mart<strong>in</strong> Willstätter (1872-1942) che era scettica sulla natura proteica degli enzimi. Oltre<br />

a Northrop il merito di questo risultato fondamentale per l’enzimologia va dunque a<br />

Sumner, che, lavorando alla Cornell University di Ithaca (New York), riuscì apurificare<br />

l’ureasi dai famosi estratti di semi di legum<strong>in</strong>ose già noti possedere elevata attività<br />

catalitica sull’urea, f<strong>in</strong>o ad ottenere l’enzima puro allo stato cristall<strong>in</strong>o. Seguì qu<strong>in</strong>di<br />

la cristallizzazione della catalasi estratta dal fegato di varie specie animali a confermare<br />

senza ulteriori obiezioni la struttura proteica degli enzimi [16]. Una trattazione completa<br />

sulla cristallizzazione e sulla natura chimica degli enzimi è riportata da J. H. Northrop,<br />

M. Kunitz e R. M. Herriot che descrissero <strong>in</strong> un libro [17] l’<strong>in</strong>tenso lavoro eseguito tra<br />

gli anni ’30 e ’40 che permise di ottenere <strong>in</strong> forma cristall<strong>in</strong>a oltre alla peps<strong>in</strong>a anche la<br />

trips<strong>in</strong>a i loro zimogeni ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e la ribonucleasi. Contemporaneamente Wendell Meredith<br />

Stanley (1904-1971) applicò lestesse tecniche [18] per isolare i virus riuscendo<br />

a cristallizzare sotto forma di aghi sottili, il virus del mosaico del tabacco ben noto agente<br />

<strong>in</strong>fettivo costituito da una nucleoprote<strong>in</strong>a contenente RNA. Il virus era molto simile a<br />

quella che <strong>in</strong>fetta le patate [19]. Non fa dunque meraviglia che il formidabile contributo<br />

sperimentale, impegnato per ottenere piena conferma della natura proteica degli enzimi,<br />

permise a Sumner, Northrop e a Stanley di conseguire il Premio Nobel per la Chimica<br />

nel 1946. Un altro enzima già noto e studiato da tempo, l’esoc<strong>in</strong>asi, venne purificato<br />

dal lievito f<strong>in</strong>o ad ottenere una preparazione omogenea che fosforilava il glucoso,<br />

il mannoso ed il fruttoso, la cui attività era <strong>in</strong>crementata dall’aggiunta di un estratto<br />

contenente un fattore catalitico ottenuto dai muscoli identificato poi con la mioc<strong>in</strong>asi.<br />

Alla loro ulteriore purificazione f<strong>in</strong>o alla cristallizzazione dell’esoc<strong>in</strong>asi avvenuta nel 1946<br />

lavoravano illustri scienziati come Cori, Sidney P. Colowick e M. R. Mac Donald, che<br />

riportò <strong>in</strong>unnoto articolo [20] i brillanti risultati ottenuti.


la biochimica prima della «doppia elica» 29<br />

2.1. Le vitam<strong>in</strong>e come coenzimi.<br />

Adesso passiamo a descrivere enzimi di natura più complessa, che oltre alla prote<strong>in</strong>a<br />

contenevano un componente non proteico, detto prostetico che risultò partecipare<br />

direttamente alla catalisi e perciò fu chiamato coenzima. La scoperta dei coenzimi<br />

delle deidrogenasi avvenne da parte del gruppo di Stoccolma nel 1936 dove Hans von<br />

Euler-Chelp<strong>in</strong> (1873-1964) nel 1929 aveva già ottenuto il Premio Nobel <strong>in</strong>sieme a<br />

Sir Arthur Harden (1865-1940) per i loro studi sugli enzimi della fermentazione degli<br />

zuccheri. I risultati sulle deidrogenasi [21-24] portarono all’identificazione della nicot<strong>in</strong>amide,<br />

del pentoso-fosfato, dello adenos<strong>in</strong>difosfatato quali componenti fondamentali<br />

della cosiddetta cozimasi che catalizzava l’ossidazione dei triosi, f<strong>in</strong>ora ignorata nel suo<br />

<strong>in</strong>timo meccanismo d’azione. La sua purificazione portò alla successiva identificazione<br />

della formula con il adenos<strong>in</strong>difosfatato-nicot<strong>in</strong>amide-riboside, oggi detto NAD + ela<br />

sua scoperta co<strong>in</strong>cise con quella contemporanea di Otto He<strong>in</strong>rich Warburg [25-28] che,<br />

negli eritrociti di cavallo, trovò unenzima noto come Zwischenferment capace di ossidare<br />

il glucoso-6-fosfato ad acido-6-fosfogluconico <strong>in</strong> virtù diunprocesso ossidoriduttivo a<br />

carico della nicot<strong>in</strong>amide qui comb<strong>in</strong>ata con un riboside trifosfatato, l’attuale NADP + .<br />

Così vennero scoperti <strong>in</strong>sieme i due fondamentali coenzimi delle deidrogenasi contenenti<br />

una vitam<strong>in</strong>a, la nicot<strong>in</strong>amide come gruppo attivo, entrambi responsabili del<br />

trasporto di idrogeno e qu<strong>in</strong>di dell’ossido-riduzione dei rispettivi substrati. A tale proposito<br />

vogliamo far notare che alla scoperta di quest’ultimo coenzima contribuì un’altra<br />

<strong>in</strong>novazione tecnologica di ampia portata <strong>in</strong>trodotta da Warburg, la tecnica spettrofotometrica<br />

che per la prima volta mise <strong>in</strong> evidenza la possibilità dideterm<strong>in</strong>are molto<br />

rapidamente un’attività enzimatica <strong>in</strong> base a variazioni dell’assorbimento all’UV dovute<br />

allo stato ossidato o ridotto di un componente della reazione.<br />

La presenza della nicot<strong>in</strong>amide nei coenzimi risvegliò l’<strong>in</strong>teresse dei nutrizionisti e<br />

ne permise l’identificazione con il «fattore antipellagra» che era noto essere contenuto<br />

nei lieviti sotto il nome di complesso vitam<strong>in</strong>ico B, i cui molteplici componenti all’epoca<br />

non erano stati ancora tutti identificati. Per quanto riguarda quello che prese il<br />

nome di vitam<strong>in</strong>a B1 e la struttura di tiam<strong>in</strong>a, il merito di essere riuscito ad isolarne<br />

mezzo grammo allo stato cristall<strong>in</strong>o, partendo da circa 2 qu<strong>in</strong>tali di lievito, spetta a<br />

Sir Rudolph Peters ed ai suoi collaboratori [29]. Le loro ricerche <strong>in</strong>iziate negli anni<br />

’30 portarono alla scoperta dell’accumulo di acido piruvico nel cervello di piccioni <strong>in</strong><br />

avanzata deficienza vitam<strong>in</strong>ica, accumulo che scompariva per aggiunta alla dieta di piccole<br />

quantità di vitam<strong>in</strong>a B1. In tal modo venne dimostrata per la prima volta la<br />

correlazione tra accumulo dell’acido piruvico nel cervello e l’<strong>in</strong>sorgenza delle gravi alterazioni<br />

del sistema nervoso caratteristiche del «beri-beri» che, ad opera della vitam<strong>in</strong>a,<br />

regredivano <strong>in</strong>sieme alla scomparsa dell’acido piruvico. Non fa qu<strong>in</strong>di meraviglia come<br />

<strong>in</strong>dipendentemente e sempre nel 1932 Ernst Auhagen [30] scoprisse un nuovo fattore<br />

termostabile, la co-carbossilasi <strong>in</strong> estratti acquosi di lievito bollito. In sua assenza la<br />

fermentazione degli zuccheri si arrestava a livello dell’acido piruvico da cui il nome di<br />

«cofattore» della decarbossilasi identificato <strong>in</strong> seguito anche <strong>in</strong> idrolizzati del complesso<br />

vitam<strong>in</strong>ico B estratto da tessuti animali [31]. Occorsero vari anni per purificarlo, ana-


30 a. ruffo<br />

lizzarlo e stabilirne la struttura con l’estere pirofosforico della tiam<strong>in</strong>a, <strong>in</strong> sigla TPP, il<br />

cui meccanismo d’azione nel fegato sarà chiarito <strong>in</strong> seguito dalle ben note ricerche di<br />

Alessandro Rossi-Fanelli (1906-1990) e Noris Siliprandi [32].<br />

Un’altra importante conquista sui rapporti tra vitam<strong>in</strong>e ed enzimi è dovuta alla<br />

scoperta del coenzima-A così chiamato perché rendeva «attivo» l’acetato. Il merito<br />

spetta a Fritz Albert Lipmann (1899-1986) [33-34], che, partendo dal «potenziale di<br />

fosforilazione» conseguente ai ben noti risultati di W. H. Engelhardt [35], che avevano<br />

ampiamente illustrato la potenza energetica dell’ATP, riuscì prima, nel 1939, ad<br />

identificare, quale <strong>in</strong>termediario dell’ossidazione batterica del piruvato, la formazione<br />

dell’acetil-fosfato. Poi si accorse, nel 1941, che nei tessuti animali la reazione era diversa<br />

[36] e l’attivazione dell’acetato dipendeva dalla presenza di ATP e di un nuovo<br />

cofattore termostabile e dializzabile contenente un’altra vitam<strong>in</strong>a, l’acido pantotenico, che<br />

chiamò coenzima A, <strong>in</strong> quanto capace di «attivare» l’acetato provocando l’acetilazione<br />

della sulfanilamide e di altri accettori, tra cui l’acido ossalacetico, già noto componente<br />

fondamentale del ciclo citrico. Così venne anche dimostrato, per la prima volta, che<br />

la reazione <strong>in</strong>iziale del ciclo, e cioè las<strong>in</strong>tesi di citrato (v. <strong>in</strong>fra, § 13.3), avviene ad<br />

opera della reattività dell’acetil-coenzima-A con l’acido ossalacetico. Questo formidabile<br />

<strong>in</strong>sieme di ricerche fu premiato nel 1953 con il conseguimento del Premio Nobel per<br />

la Fisiologia e Medic<strong>in</strong>a <strong>in</strong>sieme ad Hans Adolf Krebs (1900-1981) che, nel frattempo,<br />

aveva scoperto il «ciclo citrico» (v. <strong>in</strong>fra, § 13.1).<br />

Ma non dobbiamo dimenticare che sul meccanismo dell’acetilazione nei tessuti animali<br />

aveva già lavorato David Nachmansohn [37]. Egli, nel 1937, aveva trovato una<br />

elevata concentrazione di acetil-col<strong>in</strong>a-esterasi nei tessuti di Torpedo, unpesce capace di<br />

produrre energia elettrica, dimostrando che esisteva una relazione tra l’idrolisi dell’acetilcol<strong>in</strong>a<br />

e la produzione di energia elettrica, ma da dove proveniva l’energia per la sua<br />

res<strong>in</strong>tesi? Occorsero vari anni di esperimenti per venir a capo della questione, f<strong>in</strong>o a<br />

che apparve nel 1943 il lavoro di D. Nachmansohn e P. Machado – citato <strong>in</strong> [37] –,<br />

<strong>in</strong> cui è descritta l’estrazione dal cervello di un enzima capace di acetilare la col<strong>in</strong>a<br />

a condizione che l’ATP fosse presente. Un tale risultato fu molto discusso, perché,<br />

allora, era diffusa l’op<strong>in</strong>ione che l’acetilazione fosse prodotta dall’acetil-fosfato o da<br />

altri acil-fosfati che si potevano formare nel corso del metabolismo ossidativo. Lo<br />

stesso Lipmann per s<strong>in</strong>cerarsene andò a lavorare nel laboratorio di Nachmansohn e,<br />

dal confronto dei loro risultati, apparve chiara la differenza fra il sistema di acetilazione<br />

scoperto nei tessuti animali che adoperava ATP come sorgente energetica e quello di<br />

orig<strong>in</strong>e batterica che <strong>in</strong>vece utilizzava l’acetil-fosfato. Pertanto fu raggiunta l’<strong>in</strong>tesa che<br />

la prima reazione di acetilazione scoperta nei tessuti animali era quella che produceva<br />

acetilcol<strong>in</strong>a <strong>in</strong> un sistema enzimatico solubile estratto dagli organi elettrici della Torpedo<br />

adoperando l’energia proveniente dall’idrolisi dei legami pirofosforici dell’ATP. Da<br />

questa premessa presero slancio le ricerche che permisero a Lipmann la scoperta del<br />

coenzima-A.<br />

Inf<strong>in</strong>e concludiamo sugli enzimi descrivendo un episodio rimasto celebre <strong>in</strong> campo<br />

di c<strong>in</strong>etica enzimatica. Infatti, a convalida del meccanismo di azione degli enzimi con il<br />

famoso Complesso Enzima-Substrato, il contemporaneo sviluppo degli studi di c<strong>in</strong>etica


la biochimica prima della «doppia elica» 31<br />

aveva portato a varie formulazioni del calcolo della velocità di reazione. Fra queste<br />

merita un particolare commento la pubblicazione dell’articolo sulla determ<strong>in</strong>azione delle<br />

costanti di dissociazione enzimatica, a firma di Hans L<strong>in</strong>eweaver e Dean Burk [38]<br />

perché dovette superare nel 1934 la decisa opposizione di ben 6 referees che non volevano<br />

accettare il lavoro sul loro giornale. Oggi il proposto grafico dei «doppi reciproci» è<br />

riportato su tutti i libri di testo di Biochimica come modello più adatto per calcolare<br />

rapidamente la costante di Michaelis e Menten, base <strong>in</strong>discussa della c<strong>in</strong>etica enzimatica<br />

e ben noto riferimento teorico per la successiva scoperta dei «siti attivi» degli enzimi.<br />

3. Ricordo di alcuni ben noti protagonisti<br />

Alla f<strong>in</strong>e di questo paragrafo, dopo tanti contributi fondamentali sulla conoscenza<br />

degli enzimi, vorrei concedermi una breve pausa per dedicare un omaggio o, meglio, un<br />

affettuoso ricordo ad alcuni tra gli illustri scienziati f<strong>in</strong>ora nom<strong>in</strong>ati, che ho avuto modo<br />

di <strong>in</strong>contrare più volte <strong>in</strong> Italia ed all’estero. Il primo ricordo che li accomuna fuori del<br />

laboratorio, èlasemplicità eilgusto della loro conversazione sempre piacevole, lontana<br />

dal rango accademico e dalla loro notorietà <strong>in</strong>ternazionale, ricca di spunti letterari, che<br />

mostravano la prem<strong>in</strong>enza della cultura umanistica su quella scientifica. Sir Rudolph<br />

Peters era un vero rappresentante del gran mondo <strong>in</strong>glese, educato e vissuto ad Oxford,<br />

alto, elegante, i candidi capelli su di un volto asciutto dagli occhi mobilissimi, pronti<br />

ad osservare ogni piccolo particolare ed a ricavarne commenti salaci, che deliziavano gli<br />

ascoltatori conquistati dal suo <strong>in</strong>nato «sense of humour». Quando veniva <strong>in</strong> Italia, di<br />

cui conosceva ed ammirava la storia e l’arte con particolare competenza quella promossa<br />

dal Papato, avrebbe voluto <strong>in</strong>contrare il Papa <strong>in</strong> carica compiacendosi del passato ma<br />

soprattutto per <strong>in</strong>vocarlo a benedire ancora una volta «gli enzimi» che producevano il<br />

buon v<strong>in</strong>o delle nostre terre!<br />

Lipmann e Nachmansohn erano vecchi amici, entrambi provenienti dalla prestigiosa<br />

scuola di Otto Meyerhof ed, <strong>in</strong>sieme, profughi <strong>in</strong> USA <strong>in</strong> seguito ai tristi eventi del<br />

nazismo nel 1934. Lipmann <strong>in</strong> apparenza era <strong>in</strong>troverso, forse per il peso di aver lasciato<br />

l’Europa che molto amava e, <strong>in</strong>fatti, aveva scelto di risiedere a Boston, che giudicava la<br />

più europea delle città americane. Ma quando il ghiaccio era rotto e si parlava, oltre<br />

che di scienza, di attualità culturali o di questioni mondane, il suo riserbo spariva e<br />

la conversazione correva rapida e piacevole, piena di considerazioni e di aneddoti, che<br />

mettevano <strong>in</strong> luce la sua cultura letteraria e l’<strong>in</strong>teresse per i problemi morali e materiali<br />

che travagliavano la Società d’allora, prevedendo il rischio di dividere fatalmente il<br />

dest<strong>in</strong>o dei popoli, con lo scoppio della guerra.<br />

David Nachmansohn <strong>in</strong>vece era un uomo di simpatia immediata, sempre pronto a<br />

lasciare una sessione di un Congresso per andare a bere un bicchiere con un amico<br />

ed a conversare di ogni cosa, passando con eguale competenza dalla risoluzione di un<br />

problema termod<strong>in</strong>amico all’ammirazione ed al commento di un bel volto femm<strong>in</strong>ile. Il<br />

suo aspetto colpiva per l’amabilità dei modi e la ricercatezza del vestire, sobrio ed austero<br />

come un vero discendente della Corte Imperiale, di cui era solito ricordare gli splendori<br />

ma anche criticare le responsabilità ela decadenza. Nell’<strong>in</strong>sieme somigliava ad un celebre


32 a. ruffo<br />

attore tedesco dell’epoca, Eric von Stroheim, e, quando glielo dicevo, sorrideva negando<br />

il confronto, ma il sorriso nascondeva un piccolo lampo di compiacimento!<br />

Prima di chiudere, vorrei ricordare un altro grande scienziato, Sir Hans Adolf Krebs,<br />

benché ilsuo nome non sia ancora apparso fra gli enzimi f<strong>in</strong>ora trattati, ma solo perché<br />

ne aveva fatto tanto buon uso da scoprire come si organizzassero fra di loro per dar<br />

luogo a due capolavori del metabolismo term<strong>in</strong>ale, il ciclo dell’urea e quello citrico<br />

(v. <strong>in</strong>fra, § 13.1 e § 13.2). Per tali ragioni condivise con Lipmann il Premio Nobel nel<br />

1953. Con lui l’amichevole consuetud<strong>in</strong>e durò piùalungo perché negli anni ’49 e ’50<br />

fui ammesso a frequentare il suo laboratorio di Sheffield ed a collaborare ad una ricerca<br />

[39] che, per la prima volta, dimostrò come l’ossidazione enzimatica del chetoglutarato<br />

desse orig<strong>in</strong>e a 4 molecole di ATP. Oltre a quanto ebbi ad imparare <strong>in</strong> impegno teorico<br />

e sperimentale, di quel periodo conservo un ricordo di relazioni umane con Lui e con<br />

i suoi collaboratori che trascendono dai rapporti di lavoro e confluiscono <strong>in</strong> un’<strong>in</strong>tesa<br />

morale e materiale che andrebbe tutt’oggi riportata come esempio di successo della<br />

collaborazione scientifica <strong>in</strong>ternazionale. Inf<strong>in</strong>e mi sia concesso di paragonare la Sua<br />

figura di Maestro a quella altrettanto elevata di un altro Maestro che abbiamo avuto<br />

<strong>in</strong> Italia nello stesso periodo, Gaetano Quagliariello (1883-1957), entrambi uniti da<br />

reciproca stima ed amicizia, entrambi promotori della ricerca biochimica nei rispettivi<br />

Paesi, dove tutt’ora i loro numerosi allievi tengono alto il prestigio delle Scuole da cui<br />

provengono, contribuendo con il loro impegno al tumultuoso sviluppo bio-tecnologico<br />

che <strong>in</strong> questi ultimi anni ha portato la biochimica di nuovo all’avanguardia della tematica<br />

e dei risultati che guidano la biologia moderna.<br />

4. Nucleotidi ed acidi nucleici<br />

Volgendo ora lo sguardo ad altri componenti cellulari credo che la prima identificazione<br />

con il desossi-riboso dello zucchero contenuto nel DNA fosse opera di P. A.<br />

Levene e collaboratori [40-41], che già datempo avevano <strong>in</strong>iziato ricerche fondamentali,<br />

che portarono alla scoperta della struttura tetranucleotidica degli acidi nucleici. Circa<br />

la possibilità didist<strong>in</strong>guere il DNA dal RNA con la reazione di Feulgen, assai <strong>in</strong> voga<br />

all’epoca, vanno ricordati i contributi ottenuti, alla Stazione Zoologica di Napoli, da<br />

Jean Brachet (1909-1988) con ricerche istochimiche su embrioni di vari organismi mar<strong>in</strong>i<br />

[42]. Egli aveva elaborato una tecnica capace di dist<strong>in</strong>guere il contenuto del DNA<br />

da quello del RNA, che trovò <strong>in</strong>aumento <strong>in</strong> quelle cellule <strong>in</strong> cui la produzione di enzimi<br />

aumentava con lo sviluppo, tanto da prospettare s<strong>in</strong> da allora la possibile <strong>in</strong>fluenza<br />

del RNA sulla s<strong>in</strong>tesi proteica. A conclusioni ancora più vic<strong>in</strong>e alla correlazione tra<br />

l’elevato contenuto di riboso-nucleotidi del RNA ed elevata produzione di prote<strong>in</strong>e nel<br />

citoplasma era giunto T. Casperson [43] con altri mezzi di <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e che mostrarono<br />

la composizione chimica dei cromosomi di Drosophila e quelli della ghiandola salivare.<br />

I suoi risultati lasciavano già <strong>in</strong>travedere la proprietà dei geni a s<strong>in</strong>tetizzare le prote<strong>in</strong>e<br />

prospettando l’ipotesi che il materiale genico si potesse identificare con gli acidi nucleici.<br />

Intanto i nuovi metodi analitici di purificazione dell’acido nucleico estratto dal timo,<br />

permettono il riconoscimento delle varie basi contenute nei s<strong>in</strong>goli nucleotidi, tra cui la


la biochimica prima della «doppia elica» 33<br />

citos<strong>in</strong>a, l’aden<strong>in</strong>a, le idrossi-pur<strong>in</strong>e quali componenti dei nucleotidi contenuti nel sangue<br />

e nei muscoli [44]. Contemporaneamente vengono trovati nella mucosa <strong>in</strong>test<strong>in</strong>ale due<br />

nuovi enzimi idrolitici uno dei quali agisce <strong>in</strong> modo specifico sulla molecola dell’acido<br />

nucleico per produrre i rispettivi nucleotidi e gli si attribuisce il nome di pol<strong>in</strong>ucleotidasi.<br />

È l’<strong>in</strong>izio per <strong>in</strong>dagare sulla natura dei legami che tengono uniti i nucleotidi<br />

tra di loro negli acidi ribo- e desossiribo-nucleico tramite l’azione idrolitica degli enzimi<br />

capaci di attaccare specificamente il legame da idrolizzare contenente fosforo. Anche qui<br />

non può sfuggire la co<strong>in</strong>cidenza tra la scoperta delle prime nucelotidasi e l’attuale «abbondanza»<br />

degli enzimi, oggi detti di «restrizione», scoperti recentemente <strong>in</strong> vari batteri<br />

largamente adoperati <strong>in</strong> ricerche di genetica molecolare, per ottenere frammenti ristretti<br />

e riproducibili di pol<strong>in</strong>ucleotidi, di cui si vuol <strong>in</strong>dagare la composizione.<br />

Inf<strong>in</strong>e altre ricerche sull’elevata viscosità del DNA attribuiscono elevato peso molecolare<br />

all’acido desossiribonucleico, confermato dalle immag<strong>in</strong>i diffrattometriche ottenute<br />

ai raggi-X da Astbury e P. O. Bell [45], che <strong>in</strong>dicano la polimerizzazione di almeno<br />

2000 mononucleotidi nella molecola del DNA. Più omeno a questo livello navigavano<br />

le conoscenze sugli acidi nucleici prima della grande svolta che creò lapremessa per il<br />

riconoscimento della «doppia elica» e del conseguente «distacco del macromolecolare»<br />

che portò alle orig<strong>in</strong>i di una nuova discipl<strong>in</strong>a, la biologia molecolare.<br />

5. Lipidi e derivati<br />

Altrettanto <strong>in</strong>tenso il lavoro sulla chimica dei costituenti acilici dei grassi naturali e<br />

degli oli vegetali nelle cui strutture di trigliceridi si ritrovano esterificati <strong>in</strong> prem<strong>in</strong>enza<br />

acidi grassi a 16 e 18 atomi di C saturi, <strong>in</strong>sieme a piccole quantità dicomponenti<br />

<strong>in</strong>saturi <strong>in</strong> una o più posizioni. La loro presenza <strong>in</strong>dividuata da un gruppo che fa capo<br />

a Erw<strong>in</strong> Chargaff [46] venne confermata anche nei fosfatidi estratti dalla milza, dal<br />

fegato, dal latte ed <strong>in</strong> alcuni di essi vengono identificati nuove catene aciliche <strong>in</strong>sature,<br />

isolate <strong>in</strong> seguito ad idrolisi di una frazione purificata contenente lecit<strong>in</strong>e e cefal<strong>in</strong>e. Il<br />

meccanismo enzimatico della desaturazione dovuto all’azione di deidrogenasi specifiche<br />

presenti non solo nel tessuto adiposo e nella bile, ma anche nel fegato, nel rene e<br />

<strong>in</strong> estratti di colture di E. coli ed <strong>in</strong> vari semi, è stato studiato a fondo da Gaetano<br />

Quagliariello e dai suoi allievi [47-48]. Degni di rilievo sono i risultati ottenuti da<br />

Francesco Paolo Mazza [49-51] sulla idrolisi e s<strong>in</strong>tesi enzimatica degli acidi biliari. Egli<br />

ottenne nuovi risultati, che <strong>in</strong>dirizzarono <strong>in</strong>dag<strong>in</strong>i successive sulle <strong>in</strong>terazioni possibili<br />

fra enzimi e substrati apparentemente <strong>in</strong>solubili come si riteneva allora fossero le lunghe<br />

catene apolari dei vari acidi grassi. Un’ampia rassegna sulle ricerche che mostrano il<br />

livello delle conoscenze nel campo del metabolismo dei grassi è riportata da Camillo<br />

Artom [52] <strong>in</strong>sieme ad una serie di risultati orig<strong>in</strong>ali relativi al ruolo dei fosfolipidi nel<br />

tessuto nervoso.<br />

Contemporaneamente subisce una decisiva schiarita la chimica delle cosiddette «sostanze<br />

steroidi», il cui nome era stato proposto da R. K. Callow e F. G. Young [53]<br />

per considerare nel loro <strong>in</strong>sieme tutti i composti derivati dal colesterolo contenenti l’anello<br />

ciclopentano-peridrofenantrene. La tecnica della precipitazione specifica con la


34 a. ruffo<br />

digiton<strong>in</strong>a permise l’analisi di moltissimi composti, che differivano per le catene laterali<br />

elaposizione ed il numero dei doppi legami. Tra i composti di maggiore <strong>in</strong>teresse<br />

biologico, quelli relativi agli <strong>in</strong>termedi tra il colesterolo e gli acidi biliari che dimostrarono<br />

la possibilità diun’analoga trasformazione enzimatica anche <strong>in</strong> vivo. Ugualmente<br />

fondamentali le numerose ricerche che mostrarono l’identità dell’anello policiclico del<br />

colesterolo con quello dell’ergosterolo e dei composti derivati dalla sua irradiazione UV<br />

che porta alla formazione della vitam<strong>in</strong>a D. Inf<strong>in</strong>e vogliamo segnalare la scoperta dei<br />

gangliosidi [54] quali nuovi componenti delle membrane cellulari, risultati che per la<br />

prima volta dimostrarono come i lipidi si possano trovare comb<strong>in</strong>ati oltre che con il fosforo<br />

e l’azoto, anche con composti di natura chimica assai diversa, come l’acido sialico<br />

e l’acido neuram<strong>in</strong>ico la cui funzione nelle membrane degli eritrociti sarà illustrata solo<br />

molti anni dopo [55].<br />

6. Carboidrati<br />

Non abbiamo accennato f<strong>in</strong>ora ai carboidrati perché all’epoca erano i componenti<br />

meglio noti per il gran numero di risultati ottenuti dai chimici che si occupavano<br />

delle sostanze naturali. I biochimici qu<strong>in</strong>di già sapevano che nelle cellule si ritrovavano<br />

sotto forma di monosaccaridi, disaccaridi ed assai più complessa di polisaccaridi quale<br />

riserva energetica cellulare, tra cui l’amido, la cellulosa ed il glicogeno, caratteristici<br />

rappresentanti del mondo vegetale e rispettivamente animale. Perciò illoro <strong>in</strong>teresse<br />

fu subito volto a studiare le trasformazioni che subivano negli organismi viventi di cui<br />

rappresentavano la più efficiente fonte energetica soprattutto quando si ritrovavano sotto<br />

forma di esteri fosforici, argomenti che meritano un adeguato trattamento più avanti a<br />

proposito del loro metabolismo. Invece vogliamo qui ricordare come, tramite le ricerche<br />

sulla chimica dei prodotti di ossidazione degli esosi, si riuscì dapprima ad identificare con<br />

un acido esuronico la cosiddetta vitam<strong>in</strong>a C, quel ben noto agente riducente di elevata<br />

attività «antiscorbuto» isolato da Albert von Szent-Györgyi (1893-1986) ([56-57], v.<br />

anche [106-107] e <strong>in</strong>fra, § 13.3) <strong>in</strong> forma cristall<strong>in</strong>a dalle arance, dai limoni, dalla<br />

lattuga e dalle ghiandole surrenali. Poi si riuscì astabilirne l’esatta struttura identificata<br />

con il lattone dell’acido 3-cheto-L-gulonico, quando lo si riuscì adottenere per s<strong>in</strong>tesi<br />

chimica ad opera di A. C. Bacharach e E. L. Smith [58].<br />

7. Premessa al problema del metabolismo<br />

A parte le conoscenze di base acquisite f<strong>in</strong>ora, un nuovo modo di affrontare i problemi<br />

biologici relativi alle trasformazioni che subivano i vari composti nell’<strong>in</strong>terno<br />

della cellula vivente è dovuta al contributo portato da un grande scienziato tedesco,<br />

Otto He<strong>in</strong>rich Warburg (1893-1970); ed alla scuola da lui fondata già ben nota per la<br />

scoperta del ruolo catalitico esercitato dalle ferroporfir<strong>in</strong>e sull’ossigeno molecolare che gli<br />

fruttarono il Premio Nobel per la Fisiologia e Medic<strong>in</strong>a nel 1931. Il laboratorio di Biochimica<br />

a Berl<strong>in</strong>o-Dalhem del famoso Kaiser Wilhelm Institute für Biologie, rappresentò<br />

per oltre un decennio una fuc<strong>in</strong>a di scoperte rivoluzionarie che modificarono a fondo


la biochimica prima della «doppia elica» 35<br />

le conoscenze dell’epoca. Le ragioni del successo dipesero non solo dall’impostazione<br />

teorica che guidava la ricerca, ma anche dall’abilità tecnica e dalla <strong>in</strong>ventiva sperimentale<br />

dei suoi valorosi allievi e collaboratori fra cui spiccano i nomi di W. Christian, F.<br />

Kubowitz, E. Negele<strong>in</strong>, E. Haas, T. Bucher, Krebs e tanti altri [59-60].<br />

Abbiamo già accennato prima all’applicazione della spettroscopia nell’UV e nel visibile<br />

che permise la scoperta del meccanismo d’azione dei coenzimi pirid<strong>in</strong>ici e poi di<br />

quelli flav<strong>in</strong>ici, i famosi «fermenti gialli» che anch’essi trasferiscono idrogeno. Ma come<br />

non ricordare la tecnica delle fett<strong>in</strong>e di tessuti sopravviventi <strong>in</strong>cubate nelle vaschette di<br />

vetro collegate agli ancora più famosi manometri differenziali che hanno permesso di determ<strong>in</strong>are<br />

il consumo di O 2 elaproduzione di CO 2 ad <strong>in</strong>tere generazioni di biochimici<br />

<strong>in</strong> tutto il mondo? E non basta: <strong>in</strong>novative tecniche di chimica organica avanzata permisero<br />

di identificare ed isolare i composti altamente <strong>in</strong>stabili dalla fermentazione degli<br />

zuccheri, come l’acido 1-3-difosfoglicerico ed il fosfoenolpiruvato e di suggerire orig<strong>in</strong>ali<br />

procedimenti per ottenere <strong>in</strong> grandi quantità prote<strong>in</strong>e enzimatiche purificate. Warburg<br />

era dotato di una forte personalità qualche volta rude, ben nota a Napoli quando<br />

frequentò laStazione Zoologica e soprattutto votata ad ottenere successo nell’impresa<br />

<strong>in</strong>iziata, anche sfruttando la sua abilità alla polemica. Tuttavia, a tanti anni di distanza,<br />

mi sembra che nella sua persona si possa simbolicamente rappresentare l’artefice di quel<br />

«balzo degli anni 30» accennato all’<strong>in</strong>izio, per cui la biochimica assunse dignità, autorità<br />

ed <strong>in</strong>dipendenza nei confronti delle più note discipl<strong>in</strong>e operanti, all’epoca, nell’agone<br />

scientifico <strong>in</strong>ternazionale (v. [61]).<br />

Dal punto di vista pratico, la sua opera ha permesso di affrontare <strong>in</strong> modo nuovo<br />

gli <strong>in</strong>combenti problemi che a mano a mano si erano accumulati per effetto delle<br />

trasformazioni <strong>in</strong>dotte dagli enzimi sui costituenti cellulari provenienti dai carboidrati,<br />

dai grassi, dalle prote<strong>in</strong>e e dagli acidi nucleici. Nacque così il bisogno di orientare<br />

numerosi risultati che si erano già ottenuti <strong>in</strong> un capitolo unico anche se di vaste<br />

dimensioni, che prese il nome di metabolismo <strong>in</strong>termedio, che tuttora è oggetto di studio<br />

da parte dei ricercatori <strong>in</strong>teressati da tale tematica, la cui importanza è oggi rivalutata<br />

dalla famosa rivista The Biochemist che gli dedica un <strong>in</strong>tero fascicolo dal titolo: Teach<strong>in</strong>g<br />

Metabolism for the future (vol. 21, 1999: 1-68).<br />

7.1. Metabolismo dei glucidi.<br />

Per quanto riguarda i carboidrati, il problema della loro utilizzazione e conseguente<br />

s<strong>in</strong>tesi è stato affrontato trascurando l’aspetto <strong>in</strong>teressante della cosiddetta «mobilizzazione»<br />

del glicogeno nel fegato perché ormai di competenza fisiologica (v. P. Ostern et<br />

al. [62]). Descriveremo <strong>in</strong>vece come i s<strong>in</strong>goli enzimi trovati nel citoplasma dei lieviti<br />

e<strong>in</strong>vari microorganismi producono la fermentazione alcolica <strong>in</strong> paragone a quelli isolati<br />

dai muscoli e dal fegato che <strong>in</strong>vece producono la glicolisi. Inoltre, <strong>in</strong> seguito alle<br />

ricerche di Otto Meyerhof [63-65], di W. H. Chambers [66] e di Cori [67], siamo<br />

<strong>in</strong> grado di descrivere tutte le s<strong>in</strong>gole reazioni che, nelle varie cellule, dal glicogeno<br />

portano all’acido lattico tramite la glicolisi anaerobica, mentre, <strong>in</strong> presenza di ossigeno,<br />

producono l’ossidazione del piruvato con utilizzazione della maggior parte dell’energia


36 a. ruffo<br />

che, <strong>in</strong> condizioni adatte, permette anche la res<strong>in</strong>tesi di glucoso (v. <strong>in</strong>fra, § 13.6). I<br />

nuovi enzimi sono la fosforilasi così chiamata perché <strong>in</strong>troduce un radicale fosforico<br />

nella posizione-1 del glucoso proveniente dall’estremità non riducente del glicogeno con<br />

un meccanismo detto appunto fosforolitico e poi la fosfomutasi che trasferisce il fosforo<br />

nella posizione-6 e l’esoc<strong>in</strong>asi che <strong>in</strong>vece forma il glucoso-6-fosfato partendo da glucoso<br />

ed ATP. Per quanto riguarda il guadagno energetico proveniente dalla loro ossidazione,<br />

apparvero per la prima volta gli <strong>in</strong>termediari fosforici detti di alta energia (v. [33] e<br />

[35]), responsabili della conseguente s<strong>in</strong>tesi di ATP, descritto da Herman M. Kalckar<br />

[68] quale vero distributore chimico di energia, <strong>in</strong> tutte le cellule viventi.<br />

Il contributo apportato dalla coppia Carl Ferd<strong>in</strong>and Cori (1896-1984) e Gerty Theresa<br />

Radnitz Cori (1896-1957) per la conoscenza della struttura, del meccanismo d’azione<br />

e della funzione degli enzimi connessi col metabolismo dei carboidrati fu premiato<br />

con l’assegnazione del Nobel per la Fisiologia e Medic<strong>in</strong>a nel 1947.<br />

7.2. Metabolismo dei lipidi.<br />

L’energia potenziale i cui valori erano ben noti dalle vecchie misure ottenute al<br />

calorimetro è elevata, non solo nei carboidrati ma ancora molto di più, nelle molecole<br />

di acidi grassi che rappresentano il valido supporto energetico dei trigliceridi, i cosiddetti<br />

grassi neutri. Anche gli enzimi che li producono, le lipasi ed altre esterasi più omeno<br />

specifiche che attaccano i grassi naturali erano abbastanza conosciute per poter <strong>in</strong>dagare<br />

sul dest<strong>in</strong>o metabolico dei loro prodotti di scissione.<br />

Che gli acidi grassi venissero gradualmente demoliti <strong>in</strong> unità bicarboniose e si formassero<br />

i corpi chetonici, era noto s<strong>in</strong> da quando, all’<strong>in</strong>izio del secolo venne confermata<br />

anche <strong>in</strong> vitro la classica teoria della b ossidazione. Ma si attesero molti anni pieni di<br />

risultati <strong>in</strong>certi e molte volte contrastanti, prima che si chiarisse il meccanismo con cui<br />

si verificavano le s<strong>in</strong>gole reazioni. Il merito è legato soprattutto ai nomi di J. G. Quastel,<br />

L. F. Leloir, J. M. Munoz, A. L. Lehn<strong>in</strong>ger, Feodor Lynen e molti altri (v. [69])<br />

che partendo dalle ricerche sulla desaturazione enzimatica degli acidi grassi di Gaetano<br />

Quagliariello e collaboratori (v. [47] e [48]), ripresero il problema tra gli anni ’40 e<br />

’50 e riuscirono ad <strong>in</strong>dividuare gli enzimi relativi e gli <strong>in</strong>termediari che si producevano<br />

applicando la tecnica del consumo di O 2 <strong>in</strong> miscele di <strong>in</strong>cubazione prima con fett<strong>in</strong>e<br />

di fegato e poi su sospensioni cellulari ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e su estratti privi di cellule. Ci si accorse<br />

che l’ossidazione degli acidi grassi avveniva solo se il sistema era addizionato da ATP,<br />

metalli bivalenti e citocromi, ovvero se le sospensioni erano accoppiate all’ossidazione<br />

di qualche altro metabolita capace di produrre ATP dall’acido adenilico e fosfati. Fu la<br />

sc<strong>in</strong>tilla che fece brillare la luce proveniente da una lampada che, <strong>in</strong>vero, si era accesa<br />

per un’altra ragione e cioè <strong>in</strong>conseguenza della scoperta di poter ottenere mitocondri<br />

«puri» da una sospensione di vari tessuti opportunamente centrifugati su gradiente di<br />

saccaroso. Adoperandoli al posto degli estratti, si vide che l’ossidazione di numerosi<br />

acidi grassi avveniva nei mitocondri ed era strettamente correlata alla fosforilazione ossidativa<br />

che produceva ATP necessario per attivare le lunghe catene di acidi grassi. Oltre<br />

al riconoscimento delle deidrogenasi e dei loro coenzimi che attaccavano <strong>in</strong> posizione


la biochimica prima della «doppia elica» 37<br />

b gli acidi grassi, si era scoperto da un lato il coenzima-A (v. supra, § 2.1) e dall’altro<br />

un enzima, chiamato tiolasi, capace di <strong>in</strong>trodurre il gruppo tiolico del coenzima nel<br />

gruppo carbossilico dell’acido grasso, dando orig<strong>in</strong>e ad un tioestere che, oltre a favorire<br />

la solubilità, era la forma attiva specifica per essere ossidata dalle deidrogenasi. Inf<strong>in</strong>e<br />

come prodotto term<strong>in</strong>ale si ottenevano tanti equivalenti di acetil-CoA, quante erano le<br />

coppie di atomi di C costituenti la molecola demolita (v. [69]). Si conclude così con<br />

l’identificazione dell’acetil-CoA nei mitocondri, la acuta osservazione rilevata un secolo<br />

addietro dalla presenza di un composto bicarbonioso trovato nelle ur<strong>in</strong>e dei cani alimentati<br />

con un eccesso di acidi grassi! Vedremo più avanti che il dest<strong>in</strong>o metabolico<br />

dell’acetil-CoA co<strong>in</strong>cide con la sua completa combustione che avviene tramite il ciclo<br />

citrico con relativo grande vantaggio energetico per l’<strong>in</strong>tera cellula.<br />

7.3. Metabolismo degli am<strong>in</strong>oacidi.<br />

Passando agli am<strong>in</strong>oacidi, possiamo dire che la storia si ripete perché anche qui era<br />

già dimostrata s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio del secolo la loro ossidazione nei rispettivi chetoacidi nei<br />

tessuti animali <strong>in</strong> seguito ad un processo di deam<strong>in</strong>azione. Ma benché <strong>in</strong>torno agli<br />

anni ’30 si fosse identificato un enzima flav<strong>in</strong>ico capace di ossidare entrambi gli isomeri<br />

ottici dei vari am<strong>in</strong>oacidi, la sua funzione venne discussa perché era molto <strong>in</strong>tensa solo<br />

sugli antipodi D- rispetto alle forme L- naturali. Pertanto non era responsabile dell’elevato<br />

<strong>in</strong>cremento del consumo di O 2 che più omeno contemporaneamente era stato<br />

osservato <strong>in</strong> fett<strong>in</strong>e ed omogenati di fegato, rene e muscoli opportunamente <strong>in</strong>cubati<br />

con diversi am<strong>in</strong>oacidi. Passarono molti anni prima che il meccanismo di transam<strong>in</strong>azione,<br />

conseguente alla scoperta del trasporto enzimatico di un gruppo am<strong>in</strong>ico di un<br />

am<strong>in</strong>oacido a quello chetonico di un chetoacido di struttura diversa risolvesse il problema.<br />

Alla sperimentazione sul meccanismo del trasferimento del gruppo am<strong>in</strong>ico ed<br />

all’identificazione degli enzimi relativi chiamati transam<strong>in</strong>asi, contribuirono varie scuole<br />

fra cui ricorderemo quella di A. E. Braunste<strong>in</strong> <strong>in</strong> Russia [71], di E. E. Snell <strong>in</strong> USA<br />

(v. [70]) e di Francesco Cedrangolo <strong>in</strong> Italia [72-73] e che portarono da un lato alla<br />

scoperta del piridossalfosfato con il coenzima delle transam<strong>in</strong>asi e dall’altro al ruolo della<br />

glutammicodeidrogenasi-NAD-dipendente nell’ossidare, tramite l’acido glutammico, tutti<br />

gli altri am<strong>in</strong>oacidi donatori a loro volta del gruppo amm<strong>in</strong>ico all’acido chetoglutarico.<br />

Un’altra proprietà dell’acido glutammico degna di menzione è quella messa <strong>in</strong> evidenza<br />

da Giuseppe Porcellati e Francesco Salvatore di comb<strong>in</strong>arsi con l’NH 3 prodotta nel<br />

corso del metabolismo dell’isoniazide e dell’idraz<strong>in</strong>a [74]. Anche qui il dest<strong>in</strong>o metabolico<br />

dello scheletro carbonioso dei diversi am<strong>in</strong>oacidi, tramite l’acido chetoglutarico<br />

è legato al ciclo citrico (v. <strong>in</strong>fra, § 13.1) e quello dell’ammoniaca alla successiva scoperta<br />

dell’enzima che la condensa con il CO 2 tramite l’ATP. Esso prenderà ilnome di<br />

carbamilfosfato-s<strong>in</strong>tetasi e parteciperà all’andamento di un altro ciclo metabolico di fondamentale<br />

importanza, quello dell’urea anch’esso descritto più avanti (v. <strong>in</strong>fra, § 13.2).<br />

8. Contributo degli isotopi<br />

A questo punto conviene, ancora una volta, richiamare l’attenzione sul grande im-


38 a. ruffo<br />

pulso apportato alla biochimica dalle <strong>in</strong>novazioni tecnologiche. Intorno agli anni ’40,<br />

dopo la scoperta della radioattività «artificiale» fu possibile adoperare vari radioisotopi<br />

di numerosi elementi di <strong>in</strong>teresse biologico nella sperimentazione <strong>in</strong> vivo e <strong>in</strong> vitro. Fra<br />

questi il primo ad essere largamente adoperato <strong>in</strong> ricerche metaboliche fu il fosforo-32<br />

per cui si può dire che non ci fu ricerca sui meccanismi enzimatici di fosforilazione e<br />

di transfosforilazione che non venne confermata o addirittura scoperta (v. <strong>in</strong>fra, §§ 13.4<br />

e 13.5, «fosforilazione ossidativa») senza l’ausilio del ben noto contatore di Geiger. Fu<br />

proprio nel 1939 che George de Hevesy (1885-1966) illustrò alla Chemical Society di<br />

Londra i risultati raggiunti <strong>in</strong>iettando fosfati radioattivi <strong>in</strong> uova di gall<strong>in</strong>a <strong>in</strong>cubate f<strong>in</strong>o<br />

allo stadio di embrione [75]. La radioattività siritrovava <strong>in</strong> tutti i fosfolipidi ed <strong>in</strong><br />

altri composti fosforici organici opportunamente isolati, dimostrando la loro orig<strong>in</strong>e per<br />

s<strong>in</strong>tesi diretta con il fosfato <strong>in</strong>organico. Questi primi risultati aprirono il campo ad<br />

una serie di ricerche <strong>in</strong>novatrici, la cui risonanza <strong>in</strong>ternazionale permise a de Hevesy di<br />

conseguire il Premio Nobel per la Chimica nel 1943.<br />

Ma quando poi si resero utilizzabili anche gli isotopi stabili dell’idrogeno, ossigeno e<br />

carbonio, anche la spettrografia di massa entrò afar parte analitica dei più moderni laboratori<br />

biochimici <strong>in</strong>teressati al problema del metabolismo. Dell’uso degli isotopi come<br />

<strong>in</strong>dicatori trassero maggior vantaggio tutte le ricerche che dibattevano il problema allora<br />

difficile ed <strong>in</strong>certo del metabolismo bios<strong>in</strong>tetico, che aveva già preso una certa distanza<br />

da quello catabolico, presentandosi con il nome <strong>in</strong>novativo di anabolismo. I primi risultati<br />

rilevanti si ottennero sul metabolismo azotato alimentando ratti con tiros<strong>in</strong>a e<br />

leuc<strong>in</strong>a marcate con azoto-15. Più della metà dell’isotopo somm<strong>in</strong>istrato venne trovato<br />

<strong>in</strong> vari tessuti, legato ai gruppi am<strong>in</strong>ici degli am<strong>in</strong>oacidi non essenziali cioè diquelli<br />

che si potevano s<strong>in</strong>tetizzare negli organismi dei mammiferi. In tal modo l’osservazione<br />

della rapida ed elevata mobilità isotopica del gruppo −NH 2 precedette la scoperta del<br />

meccanismo di transam<strong>in</strong>azione operata dall’acido glutammico cui si ègià accennato<br />

(v. supra, § 7.3). Per quanto poi riguarda l’azione della glutammicodeidrogenasi sull’<strong>in</strong>cubazione<br />

dell’acido chetoglutarico con ammoniaca marcata, venne dimostrato che<br />

l’enzima, quando era attivato dal coenzima NADPH, provocava la am<strong>in</strong>azione riduttiva<br />

dell’acido chetoglutarico trasformandolo <strong>in</strong> acido glutammico. Una scoperta che<br />

chiarì come avviene la fissazione biologica dell’azoto <strong>in</strong>organico e qu<strong>in</strong>di, tramite le<br />

transam<strong>in</strong>asi, venne spiegata anche la conseguente s<strong>in</strong>tesi di tutti gli altri am<strong>in</strong>oacidi<br />

che costituiscono le prote<strong>in</strong>e degli organismi viventi ([75] v. anche [70-73]).<br />

Altrettanto sorprendenti i risultati ottenuti con l’uso degli acidi grassi deuterati che<br />

oltre a confermare il processo della b-ossidazione dimostrano [76] la loro res<strong>in</strong>tesi <strong>in</strong><br />

topi alimentati con dieta priva di grassi e di steroli, ma arricchita con acqua pesante.<br />

In tali condizioni venne per la prima volta isolato [77] anche il colesterolo deuterato ed<br />

avanzata l’ipotesi della sua s<strong>in</strong>tesi tramite la condensazione successiva di piccole unità<br />

forse bicarboniose, alle quali venne attribuita grande importanza metabolica. Infatti,<br />

<strong>in</strong> condizioni sperimentali diverse, partendo da acetato marcato, si potevano ottenere<br />

anche gli acidi grassi deuterati a 16 e 18 atomi di C, quelli maggiormente contenuti<br />

nei più diffusi trigliceridi naturali. Quando poi si adoperò acetato marcato con l4 C, si<br />

riuscì aconfermare l’ipotesi di K. Bloch (v. [78]) che l’acetil-CoA fosse il precursore


la biochimica prima della «doppia elica» 39<br />

di tutti gli atomi di C contenuti nelle lunghe catene di acidi grassi che si formavano<br />

negli organismi viventi, <strong>in</strong>dicando la strada che ha portato alla più recente scoperta<br />

della s<strong>in</strong>tetasi degli acidi grassi, uno dei più grandi e complessi sistemi enzimatici che<br />

si conosca <strong>in</strong> natura, che adopera molteplici molecole di acetil-CoA quale materiale di<br />

partenza.<br />

9. Fotos<strong>in</strong>tesi<br />

Ma forse i risultati [79] che più mutarono la conoscenza di argomenti di <strong>in</strong>teresse<br />

biologico furono quelli che si realizzarono nel campo della fotos<strong>in</strong>tesi <strong>in</strong> seguito al contributo<br />

dell’isotopo 14 del carbonio la cui lunga vita permise di ampliare e chiarire i<br />

punti rimasti <strong>in</strong>soluti sulla fissazione del CO 2 e sulla sua riduzione <strong>in</strong> un composto<br />

sconosciuto che si trasformava <strong>in</strong> glucoso. Quando si poté disporre di soddisfacenti<br />

quantità di 14 CO 2 il problema fu ripreso da A. Benson e Melv<strong>in</strong> Calv<strong>in</strong> (1911-1997)<br />

[80-82] sperimentando su sospensioni di Chlorella <strong>in</strong>cubata <strong>in</strong> diverse condizioni di illum<strong>in</strong>azione.<br />

La massima <strong>in</strong>corporazione di radioattività furitrovata nei campioni esposti<br />

alla luce <strong>in</strong> una frazione cromatografica di natura acida, <strong>in</strong>solubile <strong>in</strong> etere, ma eluibile<br />

con ammoniaca da una res<strong>in</strong>a scambiatrice di ioni il che fece pensare che il composto<br />

radioattivo si potesse identificare con un acido carbossilico probabilmente l’acido<br />

3-fosfoglicerico. Ma il suo riconoscimento, per altro all’epoca molto discusso, fu ritardato<br />

a causa delle difficoltà dianalizzare la piccola quantità del prodotto ottenuto,<br />

f<strong>in</strong>o a che un nuovo procedimento tecnico basato sulla sovrapposizione della carta cromatografica<br />

ad appropriate pellicole fotografiche produsse radiogrammi che risolsero il<br />

problema <strong>in</strong> modo soddisfacente. Dopo un periodo brevissimo (1 m<strong>in</strong>) di illum<strong>in</strong>azione<br />

delle sospensioni di alghe o di estratti di foglie, la radioattività apparve distribuita<br />

<strong>in</strong> 3 regioni del radiogramma: una superiore (meno solubile) corrispondente alla zona<br />

degli acidi carbossilici ed altre 2 <strong>in</strong>feriori corrispondenti a quelle degli esosodifosfatati<br />

ed esoso-monofosfatati.<br />

Le premesse per <strong>in</strong>terpretare una tale distribuzione, che faceva supporre l’esistenza di<br />

un accettore specifico su cui si fissasse il CO 2 radioattivo, erano gettate e l’attenzione<br />

venne rivolta alla sua provenienza, che era sconosciuta. Stranamente queste ricerche<br />

co<strong>in</strong>cisero con quelle condotte da un altro gruppo per scopi completamente diversi.<br />

Infatti, dopo la scoperta di Warburg e W. Christian (v. [27]) della deidrogenasi NADP +<br />

dipendente nelle emazie, che ossidava il glucoso-6-fosfato ed il suo prodotto l’acido 6fosfo-gluconico,<br />

varie ricerche ripresero il problema giungendo alla conclusione che,<br />

nei tessuti animali, esisteva una via di demolizione diretta degli zuccheri, diversa dalla<br />

già nota glicolisi che, tramite la possibile decarbossilazione dell’acido 6-fosfo-gluconico,<br />

portava alla formazione dei pentosi. Ma il problema rimase <strong>in</strong>soluto f<strong>in</strong>o a che non<br />

si scoprirono gli enzimi specifici, che agivano sui pentosi e la proprietà decarbossilante<br />

dell’enzima che li produceva. Per far breve una storia lunga e piena di brillanti risultati,<br />

scritta <strong>in</strong> dettaglio da Sandro Pontremoli e Enrico Grazi [83], fra gli anni ’40 e ’50, ad<br />

opera di una stretta collaborazione fra le scuole di B. Horrecker a Bethesda e di Arturo<br />

Bonsignore a Genova, lo scopo fu raggiunto da una serie di ricerche <strong>in</strong>novative che


40 a. ruffo<br />

portarono alla scoperta di nuovi enzimi chiamati transchetolasi e transaldolasi. Numerose<br />

ricerche contribuirono a purificarli ed identificarli con enzimi appartenenti al gruppo<br />

delle transferasi. Tutti <strong>in</strong>sieme presentano la proprietà ditrasformare reversibilmente gli<br />

esosofosfati <strong>in</strong> pentosofosfati con un meccanismo non ossidativo, cui partecipano oltre<br />

ai pentosofosfati, un <strong>in</strong>termediario ben noto, l’aldeide 3-fosfoglicerica <strong>in</strong>sieme a nuovi<br />

zuccheri a 7 atomi di C, come il sedoeptuloso-7-fosfato ed a4atomi come l’eritroso-<br />

4-fosfato. Un mirabile <strong>in</strong>treccio di reazioni <strong>in</strong>terdipendenti che, confermate <strong>in</strong> seguito<br />

con l’uso di esosi marcati con 14 C, è alla base del cosiddetto ciclo dei pentosofosfati,<br />

una scoperta che ha dimostrato l’unica via alternativa alla demolizione glicolitica del<br />

glucoso ed ha messo nella dovuta evidenza quale sia l’orig<strong>in</strong>e biologica dei pentosi e la<br />

loro utilizzazione [83].<br />

Il gruppo di Melv<strong>in</strong> Calv<strong>in</strong>, che aveva seguito con attenzione tali ricerche e le<br />

aveva applicate al loro problema, riuscì negli anni successivi a ritrovare fra le «macchie»<br />

dei radiogrammi nella zona dei pentosi il ribuloso-5-fosfato che ad opera dell’ATP si<br />

fosforilizza <strong>in</strong> ribuloso-1,5-bifosfato ed a dimostrare la sua abilità afissare il CO 2 . Infatti<br />

un enzima chiamato carbossidismutasi [82], poi purificato dai cloroplasti di varie piante,<br />

permette la carbossilazione del ribuloso seguita dalla dimerizzazione di un <strong>in</strong>termedio<br />

<strong>in</strong>stabile a 6 atomi di C che spontaneamente si sc<strong>in</strong>de <strong>in</strong> 2 molecole di acido 3-fosfoglicerico.<br />

Su tali basi era tracciata la via che conduceva alla s<strong>in</strong>tesi degli esosofosfati<br />

tramite reazioni che si svolgevano al buio a condizione che fossero presenti sufficienti<br />

quantità del coenzima NADPH allo stato ridotto. La trasformazione del CO 2 <strong>in</strong> glucoso<br />

era f<strong>in</strong>almente spiegata attraverso la via <strong>in</strong>versa della glicolisi.<br />

A questo punto si <strong>in</strong>nesca la fase di recupero prevista dal ciclo dei pentosofosfati, che<br />

genera nuove molecole di ribuloso 1,5-bisfosfato su cui si fissano altrettante molecole<br />

di CO 2 e così via, <strong>in</strong> una successione di tre stadi, il primo carbossilante, il secondo<br />

riducente ed il terzo rigenerante che permisero a Melv<strong>in</strong> Calv<strong>in</strong> di concludere le sue<br />

ricerche con la brillante descrizione di una serie di reazioni presentate con il titolo<br />

The Photosynthetic Carbon-Cycle al III Congresso Internazionale di Biochimica tenutosi<br />

a Bruxelles nel 1955. Da allora, dopo varie conferme il ciclo di Calv<strong>in</strong> è entrato a far<br />

parte saliente del capitolo sulla fotos<strong>in</strong>tesi <strong>in</strong> tutti i libri di testo di Biochimica e di<br />

Botanica.<br />

10. Bios<strong>in</strong>tesi degli am<strong>in</strong>oacidi e delle pur<strong>in</strong>e<br />

Lasciando ora le piante per rientrare nel mondo animale e dei microrganismi ci<br />

accorgiamo che l’uso del 14 C come «tracciante» di vecchie e nuove vie metaboliche<br />

e delle loro <strong>in</strong>terrelazioni, ha portato contributi fondamentali per chiarire problemi<br />

metabolici che attendevano una migliore soluzione. Vogliamo ricordarne ancora due<br />

che testimoniano come entro il breve volgersi degli anni tra il ’40 ed il ’50, siano<br />

state conquistate nuove conoscenze basali oltre che sul meccanismo bios<strong>in</strong>tetico degli<br />

am<strong>in</strong>oacidi anche sull’uricogenesi, un argomento che era noto da tempo dist<strong>in</strong>guere il<br />

metabolismo azotato degli ovipari da quello dei mammiferi che <strong>in</strong>vece elim<strong>in</strong>avano urea<br />

(v. <strong>in</strong>fra, § 13.2).


la biochimica prima della «doppia elica» 41<br />

Per quanto riguarda gli am<strong>in</strong>oacidi a presc<strong>in</strong>dere dalla conferma che «tutti» possono<br />

venir s<strong>in</strong>tetizzati nei microrganismi del tipo Escherichia coli adoperando l’ammoniaca<br />

marcata come unica sorgente azotata, i risultati più importanti sulla loro bios<strong>in</strong>tesi<br />

nei tessuti animali, fatta eccezione per i7<strong>in</strong>dispensabili, hanno confermato il ruolo<br />

distributivo dei gruppi NH 2 da parte dell’acido glutammico. Infatti è stato messo <strong>in</strong><br />

evidenza come tramite la proprietà degli enzimi transam<strong>in</strong>anti esso venga trasferito su<br />

accettori provenienti dalla glicolisi, come l’acido piruvico che dà luogo alla alan<strong>in</strong>a, o dal<br />

ciclo citrico come l’acido ossalacetico che forma l’acido aspartico ovvero il chetoglutarico<br />

che forma il glutammico [84].<br />

Tra gli aromatici merita un cenno a parte il metabolismo della tiros<strong>in</strong>a nei tessuti<br />

animali <strong>in</strong> quanto risultò progenitrice della ep<strong>in</strong>efr<strong>in</strong>a, l’ormone della capsula midollare<br />

surrenale e attraverso un <strong>in</strong>termediario comune la dopa-am<strong>in</strong>a anche delle melan<strong>in</strong>e, i<br />

ben noti pigmenti responsabili del colore della cute e del fenomeno del mimetismo,<br />

caratteristico di alcune specie animali. Argomenti che hanno permesso a Luigi Panizzi<br />

(1909-1988) e Rodolfo Nicolaus [85] di ottenere risultati fondamentali sulla melanogenesi<br />

del «nero di seppia» alla Stazione Zoologica di Napoli e poi a Nicolaus ed allievi di<br />

avvic<strong>in</strong>arsi sempre più alla complessa struttura della melan<strong>in</strong>a. Ugualmente <strong>in</strong>teressante<br />

dal punto di vista metabolico la dimostrazione dovuta ad Ernesto Quagliariello e collaboratori<br />

[86] secondo cui da un altro am<strong>in</strong>oacido aromatico, il triptofano, tramite vari<br />

<strong>in</strong>termediari, tra cui l’acido ch<strong>in</strong>ol<strong>in</strong>ico e 3-idrossiantranilico, particolarmente studiati<br />

dalla scuola di Francesco Cedrangolo, si ottiene come prodotto f<strong>in</strong>ale il ribonucleotide<br />

dell’acido nicot<strong>in</strong>ico, spiegando <strong>in</strong> tal modo la via bios<strong>in</strong>tetica della nicot<strong>in</strong>amide. Che<br />

l’acido nicot<strong>in</strong>ico non fosse necessario all’accrescimento dei ratti era stato già visto da<br />

Alfredo Ruffo e Alessandro Vescia [87] su animali a dieta controllata per un’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e<br />

alimentare promossa dal CNR negli anni 40.<br />

Abbiamo già avuto occasione di constatare come vari risultati ottenuti negli anni<br />

meno recenti abbiano avuto, oltre all’orig<strong>in</strong>alità, il merito di aprire la ricerca verso<br />

problemi di ampiezza maggiore. Un esempio proviene dalla scuola di Bologna dove<br />

Giovanni Moruzzi ed allievi [88], studiando l’effetto dell’acido orotico sulla s<strong>in</strong>tesi del<br />

Co-A e della vitam<strong>in</strong>a B12, prevedono il suo impiego come possibile precursore di<br />

nucleotidi pirimid<strong>in</strong>ici. Al loro lavoro va aggiunto quello di un valido gruppo dedicato<br />

all’azione delle vitam<strong>in</strong>e nello sviluppo, tra cui ricordiamo i contributi di C. A. Rossi,<br />

A. Rabbi e C. M. Caldarera. Un altro caso che merita di essere considerato come<br />

proiezione sperimentale <strong>in</strong> tematiche differenti è quello dell’acido 3-idrossiantranilico,<br />

che essendo risultato <strong>in</strong> ulteriori ricerche agente disaccoppiante la fosforilazione ossidativa<br />

mitocondriale, ed assieme ad altri o-fenoli agente cancerogeno per il cancro vescicale,<br />

viene posto oggi al centro di un problema di grande attualità relativo alla cancerogenicità<br />

conseguente al danno del DNA mitocondriale. Pertanto <strong>in</strong>vito i lettori a consultare<br />

nella rubrica correspondence di FEBS Letters (260, 1990, 318-321) l’articolo dal titolo<br />

Comment : Mitochondria and Carc<strong>in</strong>ogenesis, afirma di Ernesto Quagliariello, Sergio Papa<br />

e Cecilia Saccone.<br />

Ritorniamo adesso a trattare un ulteriore problema risolto dall’<strong>in</strong>tervento degli isotopi,<br />

la s<strong>in</strong>tesi dei nuclei pur<strong>in</strong>ici e pirimid<strong>in</strong>ici. Quando venne affrontato era l’epoca


42 a. ruffo<br />

<strong>in</strong> cui a causa della differenza con cui term<strong>in</strong>a il metabolismo azotato nei mammiferi<br />

che elim<strong>in</strong>ano urea e quello degli ovipari che <strong>in</strong>vece elim<strong>in</strong>ano acido urico, era <strong>in</strong> corso<br />

un’ampia discussione filogenetica sull’evoluzione delle razze animali. Ma a livello biochimico<br />

le ragioni del divario erano tutte da dimostrare. In realtà anche prima di adoperare<br />

isotopi traccianti vari tentativi avevano prodotto risultati che mostravano che nella via<br />

s<strong>in</strong>tetica delle pur<strong>in</strong>e l’azoto proveniva dall’ammoniaca e non dall’urea come tutti prevedevano<br />

<strong>in</strong> seguito alla scoperta di Krebs delle reazioni che formano urea nei mammiferi<br />

(v. <strong>in</strong>fra, § 13.2). Il tentativo che più siavvic<strong>in</strong>ò alla realtà fuquello eseguito dallo<br />

stesso Krebs e collaboratori [89] secondo cui la s<strong>in</strong>tesi della pur<strong>in</strong>a nel fegato e nel rene<br />

di piccioni e gall<strong>in</strong>e viene fortemente accelerata dall’aggiunta di glutam<strong>in</strong>a, asparag<strong>in</strong>a,<br />

piruvato ed ossaloacetato, facendo <strong>in</strong>travedere la possibilità che alla s<strong>in</strong>tesi partecipassero<br />

oltre ai gruppi am<strong>in</strong>ici anche lo scheletro carbonioso dei composti adoperati.<br />

Ma anche qui la soluzione del problema non si ottenne f<strong>in</strong>o a che non si <strong>in</strong>trodussero<br />

nella sperimentazione gli eventuali precursori marcati con 14 Ce 15 N. Occorsero vari<br />

anni (1947-53) di <strong>in</strong>tenso lavoro f<strong>in</strong>o a che da una parte il gruppo di G. R. Greenberg<br />

e dall’altra quello di J. M. Buchman (v. [90]) riuscirono a dimostrare <strong>in</strong> omogenati di<br />

fegato di piccione s<strong>in</strong>tesi di ipoxant<strong>in</strong>a partendo da precursori marcati molto semplici<br />

come il CO 2 , il formiato e la glic<strong>in</strong>a. I dati salienti di queste ricerche stabilirono<br />

che la glic<strong>in</strong>a, la glutam<strong>in</strong>a e l’acido aspartico contribuiscono per la maggior parte<br />

all’<strong>in</strong>corporazione dell’azoto nel nucleo pur<strong>in</strong>ico e che per quanto riguarda gli atomi di<br />

carbonio la bios<strong>in</strong>tesi non era completa se non si aggiungeva alla miscela di <strong>in</strong>cubazione<br />

un radicale fosforico <strong>in</strong>sieme a riboso. Tali osservazioni misero <strong>in</strong> evidenza che la<br />

chiusura dell’anello avveniva solo <strong>in</strong> presenza di fosforiboso, avanzando l’ipotesi che uno<br />

dei fondamentali <strong>in</strong>termediari della s<strong>in</strong>tesi fosse un ribonucleotide che, <strong>in</strong>fatti, venne<br />

<strong>in</strong> seguito identificato con l’acido <strong>in</strong>os<strong>in</strong>-5-fosforico [90]. Sono queste le premesse<br />

che permisero negli anni successivi la scoperta degli enzimi che fosforilavano tramite<br />

l’ATP il 5-fosforiboso <strong>in</strong> un composto molto più reattivo il 5-fosforibosil-1-pirofosfato.<br />

Agendo da supporto comune su cui, atomo dopo atomo, si costruisce gradualmente<br />

l’<strong>in</strong>tero anello pur<strong>in</strong>ico è ritenuto oggi il vero <strong>in</strong>iziatore della s<strong>in</strong>tesi di tutti i nucleotidi<br />

pur<strong>in</strong>ici esistenti <strong>in</strong> natura. Insieme ai pirimid<strong>in</strong>ici di cui all’epoca si ignorava la s<strong>in</strong>tesi,<br />

costituiscono i ben noti progenitori degli acidi nucleici che tuttora custodiscono nelle<br />

loro complesse strutture il segreto della trasmissione dei caratteri genetici <strong>in</strong> ogni cellula<br />

vivente, sia essa di orig<strong>in</strong>e batterica, animale o vegetale.<br />

11. Bios<strong>in</strong>tesi delle porfir<strong>in</strong>e<br />

Un ultimo punto ci sembra utile illustrare prima di concludere con rispetto ed<br />

ammirazione sul contributo apportato alla cultura biochimica tra gli anni ’40 e ’50,<br />

dall’uso degli isotopi traccianti per chiarire i problemi più complessi del metabolismo<br />

bios<strong>in</strong>tetico. Pensiamo per un attimo ai colori predom<strong>in</strong>anti del pianeta su cui viviamo,<br />

il verde delle piante ed il rosso del sangue che nutre tutti i tessuti animali. Ci accorgiamo<br />

che sono dovuti alla presenza di 2 pigmenti, ben noti chimicamente s<strong>in</strong> dall’<strong>in</strong>izio del<br />

secolo: verde quello delle clorofille, rosso quello contenuto nelle emazie, nei muscoli e


la biochimica prima della «doppia elica» 43<br />

<strong>in</strong> alcuni mitocondri allora noto con il nome generico di emat<strong>in</strong>a. Nel loro <strong>in</strong>sieme<br />

costituiscono 2 grandi famiglie di composti analoghi che si differenziano, per la natura<br />

dei sostituenti laterali, che ne caratterizzano la funzione, ma presentano la proprietà<br />

comune di derivare entrambi da un’unica struttura basale detta porfir<strong>in</strong>a, costituita da<br />

4 anelli pirrolici che, tenuti <strong>in</strong>sieme da 4 unità monocarboniose <strong>in</strong>sature danno luogo<br />

ad una costruzione di aspetto quadrangolare, caratteristica, appunto delle porfir<strong>in</strong>e. Una<br />

tale molecola è molto reattiva sia per la dislocazione degli orbitali, dovuta all’alternanza<br />

dei doppi legami, sia per la tendenza dell’azoto pirrolico a generare legami dativi. Per<br />

conseguenza non ci sorprende che il nucleo centrale sia particolarmente adatto a formare<br />

un ampio «campo legante» <strong>in</strong> cui restano «<strong>in</strong>trappolati» alcuni metalli dando orig<strong>in</strong>e<br />

a rispettivi chelati organici. In natura quando viene fissato il magnesio si ottiene il<br />

progenitore della vasta famiglia verde delle clorofille, quando <strong>in</strong>vece il ferro, quello dei<br />

pigmenti em<strong>in</strong>ici, rosso splendente.<br />

Il problema di scoprire come venissero s<strong>in</strong>tetizzate strutture tanto complesse, venne<br />

risolto solo dopo che si adoperarono am<strong>in</strong>oacidi marcati con 15 Nacom<strong>in</strong>ciare dalla<br />

glic<strong>in</strong>a la quale era già stata <strong>in</strong>dicata come la più adatta allo scopo. Due gruppi di<br />

lavoro <strong>in</strong>dipendenti, diretti uno da D. Rittenberg e l’altro da A. Neuberger (v. [91])<br />

adoperarono glic<strong>in</strong>a doppiamente marcata con 15 N e 14 C <strong>in</strong> posizione 2. Entrambi<br />

riuscirono a dimostrare che oltre all’azoto anche l’atomo di C-metilenico, quello legato<br />

al gruppo am<strong>in</strong>ico, viene <strong>in</strong>corporato nell’eme, mentre altri esperimenti esclusero la<br />

partecipazione del gruppo carbossilico.<br />

Ma da dove proveniva il restante C, che completava la complessa struttura delle<br />

porfir<strong>in</strong>e? Come abbiamo già visto accadere <strong>in</strong> altre situazioni analoghe, la soluzione di<br />

un problema si ottiene da risultati ricavati da un’area di ricerca completamente differente.<br />

Era da poco stato scoperto l’acetil-coenzima A e la sua proprietà direagire con l’acido<br />

ossalacetico, un acido bicarbossilico a 4 atomi di C, assai diffuso <strong>in</strong> tutte le cellule<br />

viventi <strong>in</strong> quanto proveniente da una serie di reazioni ad andamento ciclico che danno<br />

orig<strong>in</strong>e all’acido citrico (v. <strong>in</strong>fra, § 13.1).<br />

L’attenzione dei ricercatori sulla s<strong>in</strong>tesi delle porfir<strong>in</strong>e fu attratta dalla natura dei<br />

composti facenti parte della sequenza di reazioni del ciclo, tutti acidi tra 6e4atomi<br />

di C, di cui uno contenente l’acetato, e con pazienza li saggiarono uno alla volta, marcandoli<br />

opportunamente per ritrovare quello che, comb<strong>in</strong>andosi con la glic<strong>in</strong>a, potesse<br />

dare orig<strong>in</strong>e ad un <strong>in</strong>termediario adatto a formare il pirrolo e da questi la porfir<strong>in</strong>a. La<br />

lunga serie di ricerche dette esito positivo. Alla f<strong>in</strong>e risultò che sia l’acido chetoglutarico<br />

sia il suo prodotto di decarbossilazione, l’acido succ<strong>in</strong>ico, erano eccellenti donatori<br />

di carbonio per la s<strong>in</strong>tesi, il che permise di scoprire una nuova reazione tra 2 molecole<br />

di succ<strong>in</strong>ato ed una di glic<strong>in</strong>a che giustificava la formazione di una molecola di<br />

pirrolo.<br />

Pertanto D. Shem<strong>in</strong> e J. B. Wittenberg [91] prospettarono una stretta relazione<br />

tra l’andamento del ciclo citrico e la s<strong>in</strong>tesi della porfir<strong>in</strong>a, sebbene i relativi processi<br />

metabolici si svolgessero <strong>in</strong> compartimenti cellulari diversi. Dai risultati così ottenuti<br />

appariva che il succ<strong>in</strong>ato per comb<strong>in</strong>arsi con il gruppo am<strong>in</strong>ico della glic<strong>in</strong>a si doveva<br />

trovare <strong>in</strong> condizioni di elevata reattività probabilmente attivato dal coenzima-A


44 a. ruffo<br />

che permetteva la formazione transitoria di un <strong>in</strong>termediario, poi identificato con l’acido<br />

d-am<strong>in</strong>olevul<strong>in</strong>ico. Da 2 molecole di tale composto poteva ottenersi un derivato<br />

pirrolid<strong>in</strong>ico, anch’esso riconosciuto con il porfobil<strong>in</strong>ogeno, un composto già noto<br />

perché ritrovato <strong>in</strong> abbondanza nelle ur<strong>in</strong>e di ammalati di un morbo genetico, la porfiria<br />

acuta. Da 4 molecole di tale composto si orig<strong>in</strong>ava la protoporfir<strong>in</strong>a IX che a<br />

sua volta chelando il ferro si trasformava nel protoemo, il ben noto gruppo prostetico<br />

dell’emoglob<strong>in</strong>a.<br />

Eleclorofille? Le abbiamo f<strong>in</strong>ora trascurate perché lericerche sulla loro bios<strong>in</strong>tesi<br />

erano <strong>in</strong>iziate molto dopo quelle del protoemo e risolte solo negli anni successivi al<br />

’50, ma possiamo rassicurare chi legge che la via bios<strong>in</strong>tetica trovata <strong>in</strong> vari mutanti di<br />

Chlorella, nelle piante ed <strong>in</strong> alcuni batteri fotos<strong>in</strong>tetici è molto simile a quella descritta<br />

per il protoemo, salvo il fatto che la s<strong>in</strong>tesi <strong>in</strong>izia adoperando l’azoto del glutammato<br />

<strong>in</strong>vece della glic<strong>in</strong>a, e si conclude con l’<strong>in</strong>troduzione del magnesio al centro del nucleo<br />

tetrapirrolico al posto del ferro.<br />

12. Struttura delle prote<strong>in</strong>e<br />

Torniamo ora all’emoglob<strong>in</strong>a, di cui oggi si conosce tutto, dalla sequenza dei s<strong>in</strong>goli<br />

am<strong>in</strong>oacidi che formano le 4 subunità polipeptidiche che danno orig<strong>in</strong>e alla struttura<br />

terziaria e qu<strong>in</strong>di alla quaternaria, f<strong>in</strong>o ai legami ed alle <strong>in</strong>terazioni con il gruppo prostetico<br />

che sono responsabili delle modifiche conformazionali che ne permettono la sua<br />

funzione biologica di fissare l’O 2 e trasportarlo senza alterare il suo stato molecolare.<br />

Tanto è vero che oggi troviamo <strong>in</strong> tutti i libri di testo rappresentata la sua immag<strong>in</strong>e<br />

quale «modello molecolare» adatto a spiegare i rapporti che esistono tra struttura e<br />

funzione. Ad un tale modello vengono paragonate le strutture di oltre mille enzimi<br />

solubili f<strong>in</strong>ora isolati, molti dei quali allo stato cristall<strong>in</strong>o, per <strong>in</strong>dagare sulle loro proprietà<br />

catalitiche. Ebbene questa molecola simbolo del successo della ricerca biochimica<br />

moderna non ha raggiunto per caso la notorietà che la dist<strong>in</strong>gue, né tantomeno, per un<br />

colpo di fortuna! Al contrario, l’attuale successo è pervenuto <strong>in</strong> seguito all’enorme<br />

impegno di lavoro sperimentale svolto proprio tra gli anni ’30 e ’50 da numerosi<br />

gruppi di ricerca che hanno affrontato il problema da un duplice punto di vista, quello<br />

della sua funzione di comb<strong>in</strong>arsi reversibilmente con l’ossigeno molecolare e quello più<br />

misterioso di dove e come l’ossigeno venisse fissato, per quale ragione ed <strong>in</strong> quale<br />

forma venisse rilasciato, quali fossero le strutture responsabili di un meccanismo così<br />

preciso e delicato, come potesse essere messo <strong>in</strong> relazione con il cambiamento di colore<br />

verso il rosso più <strong>in</strong>tenso conseguente alla reazione di ossigenazione. Inoltre c’è da<br />

notare che l’<strong>in</strong>teresse sperimentale di tanti ricercatori per questa molecola è stato sp<strong>in</strong>to<br />

all’<strong>in</strong>izio anche dalla sua proprietà, poco frequente tra le prote<strong>in</strong>e, di cristallizzare facilmente<br />

<strong>in</strong> seguito a salatura e trattamento con etere. Proprietà già scoperta nel secolo<br />

scorso con i famosi cristalli di Teichmann tuttora celebrati nei Trattati di Medic<strong>in</strong>a<br />

Legale per scoprire tracce di sangue e rimasta caratteristica della emoglob<strong>in</strong>a per oltre<br />

mezzo secolo.


la biochimica prima della «doppia elica» 45<br />

12.1. La conformazione a spirale.<br />

Ma quali erano le conoscenze negli anni ’30 sulle prote<strong>in</strong>e <strong>in</strong> generale e sulla emoglob<strong>in</strong>a<br />

<strong>in</strong> particolare? Che tutte le prote<strong>in</strong>e fossero costituite da più omeno lunghe catene<br />

di am<strong>in</strong>oacidi tenuti <strong>in</strong>sieme da legami peptidici era generalmente noto, ma come esse<br />

formassero aggregati tanto stabili da poter essere isolati dall’ultracentrifuga di Svedberg<br />

(v. supra, § 1) sotto forma di unità omogenee dal peso molecolare m<strong>in</strong>imo <strong>in</strong>torno a<br />

17.500 Dalton, o multipli <strong>in</strong>teri di esso, non era affatto conosciuto.<br />

Vennero poi prospettati legami «secondari» che si potevano giustificare ammettendo<br />

un possibile equilibrio tra le forme tautomere dei molteplici legami peptidici che tenevano<br />

unita la molecola ed eventuali legami di idrogeno tra l’azoto dei gruppi im<strong>in</strong>ici e<br />

l’ossigeno dei gruppi carbonilici anch’essi conseguenti all’equilibrio tra le forme lattamiche<br />

e lattimiche del legame peptidico. Ma per una risposta esauriente occorsero dieci<br />

anni di lavoro <strong>in</strong> cui, nel laboratorio di L<strong>in</strong>us Carl Paul<strong>in</strong>g (1901-1994) [69], sulla<br />

base dei concetti chimico-fisici fondamentali relativi alla struttura degli atomi che costituiscono<br />

la catena polipeptidica, vennero di nuovo calcolati l’<strong>in</strong>tensità dei legami che<br />

si formavano, la rotazione degli angoli di valenza, la sovrapposizione degli orbitali, ed i<br />

risultati vennero paragonati a quelli ottenuti dall’analisi diffrattometrica. Solo allora fu<br />

avanzata la proposta di un riavvolgimento elicoidale ord<strong>in</strong>ato <strong>in</strong>torno ad un asse centrale,<br />

le cui spire tenute <strong>in</strong>sieme da legami di idrogeno, si ripetevano a distanze determ<strong>in</strong>ate.<br />

Vari risultati <strong>in</strong>vero concordarono nell’<strong>in</strong>dicare che la forma più stabile dell’avvolgimento<br />

polipeptidico è quella dell’a-elica. Ma il diritto di rappresentare il «modello ufficiale»<br />

della struttura proteica con l’a-elica fu acquisito dopo un’altra serie di ricerche eseguite<br />

ai raggi X sulla struttura cristall<strong>in</strong>a di s<strong>in</strong>goli am<strong>in</strong>oacidi e di vari peptidi. Vennero così<br />

confermati i caratteri di «doppio legame» da cui l’impossibilità dirotazione del legame<br />

peptidico, responsabile della solidità equ<strong>in</strong>di della struttura «primaria» della <strong>in</strong>tera catena<br />

polipeptidica. Venne qu<strong>in</strong>di dimostrato che la proiezione dei legami di idrogeno<br />

è diversa a seconda della natura degli am<strong>in</strong>oacidi che compongono la catena polipeptidica<br />

per cui il riavvolgimento può dar orig<strong>in</strong>e a due differenti strutture «secondarie»<br />

dipendenti dalla composizione della sequenza am<strong>in</strong>oacidica della catena «primaria». Da<br />

cui la conclusione tratta dal lavoro di Paul<strong>in</strong>g e B. B. Corey che porta la data del 1950<br />

ed il titolo Two hydrogen-bonded helical configurations of the polypeptide cha<strong>in</strong> [92-93], che<br />

illustra la natura di due strutture fondamentali delle molecole proteiche esistenti <strong>in</strong> natura,<br />

una dell’a-elica, caratteristica delle prote<strong>in</strong>e globulari solubili e l’altra a b-foglietti<br />

rappresentativa delle prote<strong>in</strong>e fibrose, <strong>in</strong>solubili. Forse la conferma più ambita della<br />

configurazione ad a-elica venne dalle ricerche più omeno contemporanee che il gruppo<br />

di Sir William Lawrence Bragg (1890-1971), Sir John Cowdery Kendrew (1917-1997)<br />

e Max Ferd<strong>in</strong>and Perutz [94] conduceva al Cavendish Laboratory di Cambridge sulla<br />

struttura cristallografica dell’emoglob<strong>in</strong>a e della mioglob<strong>in</strong>a analizzate ai raggi X. Non<br />

si erano ottenuti risoluzioni del tutto conv<strong>in</strong>centi analizzando le immag<strong>in</strong>i con i metodi<br />

ortodossi, ma eseguendo le misure tenendo conto del modello proposto da Paul<strong>in</strong>g e B.<br />

B. Corey si trovarono valori che oltre al ripiegamento delle catene ad a-elica permisero<br />

di confermare la struttura tetramerica ed i siti di simmetria delle 4 subunità. Poi tutti


46 a. ruffo<br />

sanno come andò af<strong>in</strong>ire: a Paul<strong>in</strong>g fu assegnato il Premio Nobel per la Chimica nel<br />

1954 ed altrettanto ambito traguardo venne raggiunto da Kendrew e Perutz nel 1962<br />

dopo che fu presentata oltre alla mioglob<strong>in</strong>a, la raffigurazione quasi completa dell’<strong>in</strong>tera<br />

molecola di emoglob<strong>in</strong>a.<br />

12.2. Il contributo dell’emoglob<strong>in</strong>a.<br />

Ma sull’emoglob<strong>in</strong>a non hanno lavorato solo i Premi Nobel! Abbiamo già detto della<br />

sua tendenza a cristallizzare. Se volessimo soltanto sfogliare le pubblicazioni dedicate a<br />

metodi <strong>in</strong>novativi o altri accorgimenti tecnici sulla cristallizzazione saremmo costretti a<br />

vari mesi di assidua lettura! Specialmente quando ci si accorse che la cosiddetta «emoglob<strong>in</strong>a<br />

dei muscoli» presentava caratteristiche diverse da quella del sangue ad <strong>in</strong>iziare dalle<br />

condizioni <strong>in</strong> cui si formavano i cristalli. Trovate quelle migliori per isolarla, apparve<br />

chiara la differenza dovuta al fatto che si trattava di una sola catena polipeptidica con<br />

un solo protoemo e con qualche differenza nella composizione di am<strong>in</strong>oacidi. Insomma<br />

era una nuova prote<strong>in</strong>a che con l’emoglob<strong>in</strong>a aveva <strong>in</strong> comune solo il colore rosso e la<br />

proprietà dilegarsi reversibilmente con l’ossigeno molecolare, per cui le venne imposto<br />

il nome quanto mai appropriato di mioglob<strong>in</strong>a. Si può facilmente immag<strong>in</strong>are l’<strong>in</strong>teresse<br />

suscitato da questa scoperta ed il gran numero di ricerche che <strong>in</strong>dagarono sulle<br />

identità edifferenze tra queste due molecole <strong>in</strong> rapporto alle loro funzioni. Fra le tante<br />

vogliamo ricordare quelle di A. Rossi-Fanelli e della sua scuola [95-97] per l’<strong>in</strong>sieme<br />

dei risultati che, come vedremo, hanno conseguito vasta risonanza <strong>in</strong>ternazionale. Iniziate<br />

sulla cristallizzazione e sulla struttura della mioglob<strong>in</strong>a nel 1938 presso l’Istituto di<br />

Chimica Biologica dell’Università diNapoli e cont<strong>in</strong>uate nell’arco di dieci anni prima<br />

a Pavia e poi a Roma, portarono nuovi risultati ampiamente confermati sulle proprietà<br />

chimico-fisiche e sulla sequenza am<strong>in</strong>oacidica della mioglob<strong>in</strong>a umana <strong>in</strong> paragone all’emoglob<strong>in</strong>a<br />

anch’essa cristallizzata da sangue umano. Sempre su questo argomento un<br />

ulteriore risultato ottenuto negli anni ’50, fa spicco sia per orig<strong>in</strong>alità della ricerca, sia<br />

per il consenso conseguito <strong>in</strong> campo <strong>in</strong>ternazionale. Per la prima volta l’emoglob<strong>in</strong>a<br />

umana viene separata nei suoi componenti protoemo e glob<strong>in</strong>a con un metodo semplice<br />

e facilmente riproducibile che permette d’isolare la glob<strong>in</strong>a allo stato nativo, tanto da<br />

poterla ricomb<strong>in</strong>are <strong>in</strong> vitro con il protoemo per ricostituire una nuova molecola di<br />

emoglob<strong>in</strong>a. Le sue proprietà, accuratamente analizzate, sono <strong>in</strong>dist<strong>in</strong>guibili da quelle<br />

dell’emoglob<strong>in</strong>a umana nativa. Il lavoro suscitò tale <strong>in</strong>teresse da superare entro breve<br />

tempo le 500 citazioni su pubblicazioni apparse nelle più qualificate riviste <strong>in</strong>ternazionali,<br />

per cui nell’anno 1985 ricevette l’ambito riconoscimento di «Citation Classic» da<br />

parte della ben nota rivista Current Contents (vol. 28, n. 22, p. 19).<br />

Nessuna meraviglia qu<strong>in</strong>di se tutt’oggi, sulla scia tracciata dal Maestro, una schiera<br />

di giovani allievi, tra cui emergono i nomi, oltre che del compianto Eraldo Anton<strong>in</strong>i<br />

(1931-1983), di Maurizio Brunori, Carlo De Marco, Francesco Bossa, Doriano Cavall<strong>in</strong>i,<br />

Emilia Chiancone, Paolo Fasella, Bruno Mondovì, Paolo Cerletti e Noris Siliprandi,<br />

cont<strong>in</strong>uano a lavorare con successo nelle nuove sedi, ovvero nel vecchio Laboratorio dell’Università<br />

diRoma «La Sapienza» sui rapporti tra struttura e funzione delle emo- e


la biochimica prima della «doppia elica» 47<br />

metallo-prote<strong>in</strong>e producendo ulteriori risultati degni della massima considerazione <strong>in</strong>ternazionale.<br />

Ma ora ritorniamo <strong>in</strong>dietro quando questa tematica era ancora agli albori e l’<strong>in</strong>teresse<br />

era concentrato sull’aff<strong>in</strong>ità dell’ossigeno per il protoemo e quali fossero le <strong>in</strong>terazioni<br />

che lo legavano alla glob<strong>in</strong>a. Su tali argomenti vanno ricordati i contributi di Rodolfo<br />

Margaria (1901-1983) [98] che, tra i primi, dimostrò che anche CO 2 si lega stabilmente<br />

sull’emoglob<strong>in</strong>a desossigenata a livello dei tessuti ed <strong>in</strong> tale condizione viene trasportata<br />

ai polmoni dove si libera. Ricerche che aprirono l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e sul potere tampone esercitato<br />

dall’emoglob<strong>in</strong>a e sull’ionizzazione dei gruppi am<strong>in</strong>oacilici sensibili alla variazione del pH<br />

dell’ambiente <strong>in</strong> cui avviene l’ossigenazione e la desossigenazione. Poi vennero trovate variazioni<br />

del punto isoelettrico di emoglob<strong>in</strong>a isolata da differenti specie animali ed anche<br />

fra quella fetale e quella di uomo adulto che sp<strong>in</strong>sero le ricerche verso eventuali differenze<br />

sulla composizione di am<strong>in</strong>oacidi che costituiscono la glob<strong>in</strong>a, secondo la sua orig<strong>in</strong>e.<br />

12.3. Paragone con gli <strong>in</strong>vertebrati.<br />

Differenze che si rilevarono molto consistenti quando si passò aduno studio comparativo<br />

fra la composizione dell’emoglob<strong>in</strong>a dei vertebrati rispetto a quella degli <strong>in</strong>vertebrati.<br />

Qui si giunse alla scoperta dell’esistenza di gruppi prostetici «non em<strong>in</strong>ici», fra<br />

cui quelli delle emocian<strong>in</strong>e contenenti rame <strong>in</strong>vece del ferro e delle emoeritr<strong>in</strong>e dove<br />

l’atomo di ferro si trova a contatto diretto con la glob<strong>in</strong>a, <strong>in</strong> una forma completamente<br />

diversa da quella em<strong>in</strong>ica. Sulla struttura, sulle proprietà chimico-fisiche ed il meccanismo<br />

d’azione di questi nuovi pigmenti animali capaci di trasportare O 2 fanno testo<br />

le ricerche di Jean Roche (1901-1992) e della sua scuola [99] che, nel loro <strong>in</strong>sieme,<br />

costituiscono uno dei primi esempi di biochimica comparata. Tale problematica, negli<br />

anni successivi, ha trovato applicazione e sviluppo nel mondo degli animali mar<strong>in</strong>i<br />

presso la Stazione Zoologica di Napoli diretta f<strong>in</strong>o al 1954 da R<strong>in</strong>aldo Dohrn, figura<br />

em<strong>in</strong>ente di studioso e tenace organizzatore. Vi portarono rilevanti contributi scienziati<br />

provenienti da ogni parte del mondo attratti dalla possibilità didisporre di un materiale<br />

biologico selezionato e di una attrezzatura eccellente che permetteva di sperimentare e<br />

mettere a confronto tematiche di differenti <strong>in</strong>teressi che andavano dal campo della zoologia<br />

a quello della fisiologia ed alla chimica della fecondazione, dell’embriologia e dello<br />

sviluppo.<br />

Chi abbia desiderio di consultare i 27 nitidi volumi delle Pubblicazioni della Stazione<br />

Zoologica di Napoli [100] che fanno seguito ai precedenti ben noti Mitteilungen<br />

aus der Zoologischen Station zu Neapel editi dal fondatore della Stazione, Anton Dohrn<br />

(1840-1909), vi troverà risultati di grande prestigio ottenuti da scienziati illustri come<br />

J. S. Huxeley e J. Joung provenienti da Londra e Oxford, dei coniugi Runnström di<br />

Stoccolma, R. Wurmser di Parigi, Z. M. Bacq di Liegi, per citarne solo alcuni! E poi<br />

quelli di tanti italiani fra cui più att<strong>in</strong>enti alla nostra discipl<strong>in</strong>a quelli di Giuseppe Montalenti<br />

(1904-1991) su vari problemi di citologia genetica ed evoluzionistica, di Silvio<br />

Ranzi (1902-1996) sull’effetto degli ioni sullo sviluppo embrionale, di Alberto ed Anna<br />

Monroy sulla fisiologia e la chimica della fecondazione, di V<strong>in</strong>cenzo Baccari, Enzo Boeri


48 a. ruffo<br />

e Alessandro Vescia sulla reversibilità delle <strong>in</strong>terazioni fra emoglob<strong>in</strong>a, ossigeno ed altre<br />

metallo-prote<strong>in</strong>e di Giovanni Chieffi sugli ormoni degli <strong>in</strong>vertebrati, di Luigi Califano e<br />

Gaetano Salvatore (1932-1997) sulla natura e funzioni di una nuova prote<strong>in</strong>a respiratoria,<br />

l’emovanad<strong>in</strong>a. E per f<strong>in</strong>ire una ricerca che apre la via ad una metodologia <strong>in</strong> grande<br />

sviluppo negli anni ’50, l’uso di precursori marcati per scoprire il complicato processo<br />

della s<strong>in</strong>tesi degli acidi nucleici. Edoardo Scarano e Herman M. Kalckar, adoperando<br />

glic<strong>in</strong>a e aden<strong>in</strong>a marcate con 14 C <strong>in</strong>cubate con embrioni di riccio di mare, trovarono<br />

che la glic<strong>in</strong>a viene utilizzata prima dell’aden<strong>in</strong>a dagli enzimi responsabili della s<strong>in</strong>tesi<br />

dei nucleotidi precursori del DNA. Argomento che porterà Severo Ochoa alla scoperta<br />

del meccanismo d’azione delle pol<strong>in</strong>ucleotide-fosforilasi ed Enzo Leone (1917-1984) a<br />

quello della ribonucleasi ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e verrà ripreso <strong>in</strong>dipendentemente da Pietro Omodeo e<br />

Marcello S<strong>in</strong>iscalco entrambi <strong>in</strong>teressati, per ragioni diverse, al metabolismo degli acidi<br />

nucleici nello sviluppo embrionale. Il volume 27, che porta la data del 1955 e che<br />

chiude questa prima serie delle Pubblicazioni, è <strong>in</strong>teramente dedicato all’opera di R<strong>in</strong>aldo<br />

Dohrn con articoli <strong>in</strong> suo onore firmati da O. H. Warburg, J. Brachet, Z. M.<br />

Bacq oltre a tanti altri illustri estimatori italiani e stranieri.<br />

13. I cicli metabolici<br />

A questo punto mi sembra di aver toccato vari aspetti che hanno permesso di tracciare<br />

una breve e certamente <strong>in</strong>completa descrizione dei risultati alcune volte eclatanti, che<br />

la biochimica ha realizzato tra gli anni ’30 e ’50. Ci resta ora da considerare un altro<br />

«grande problema biologico» quello che riguarda gli scambi energetici con l’ambiente<br />

ritenendo che si tratti di quello che maggiormente dist<strong>in</strong>gue le reazioni della materia<br />

vivente da quelle dell’ambiente <strong>in</strong> cui è contenuta.<br />

Se per un momento ricordiamo che nel corso di millenni l’evoluzione a livello molecolare<br />

delle varie specie viventi sul nostro pianeta ha trasformato le reazioni metaboliche<br />

da fermentative <strong>in</strong> ossidative si comprende perché acausa della comparsa dell’O 2 ed alla<br />

sua utilizzazione, è stata data una nuova dimostrazione di come «l’ord<strong>in</strong>e biologico» si<br />

mantiene <strong>in</strong> natura. Sono le reazioni ossidative della «bioenergetica» tanto vantaggiose<br />

da realizzare il massimo rendimento con il m<strong>in</strong>imo lavoro. Il vantaggio deriva soprattutto<br />

da una serie di reazioni sequenziali che hanno preso il nome di «cicli metabolici».<br />

Le reazioni più efficienti presentano la caratteristica molto orig<strong>in</strong>ale di procedere con<br />

un andamento «ciclico» perché il«componente <strong>in</strong>iziale» reagendo con il composto che<br />

viene trasformato dà luogo ad una serie di composti differenti che alla f<strong>in</strong>e rigenerano<br />

il «componente <strong>in</strong>iziale». In tal modo il ciclo funziona come un vero e proprio<br />

«catalizzatore». Ma come e quando sono stati scoperti i cicli metabolici e quale èil<br />

reale vantaggio termod<strong>in</strong>amico per cui, malgrado si costruiscano nelle cellule strutture<br />

«ord<strong>in</strong>ate», le leggi fondamentali della termod<strong>in</strong>amica vengono tutte rispettate?<br />

13.1. Ossidazione dei prodotti della glicolisi: il ciclo citrico.<br />

Nel paragrafo sul metabolismo <strong>in</strong>termedio dedicato alla glicolisi, sono stati riportati<br />

risultati che mostravano come <strong>in</strong> anaerobiosi si renda utilizzabile una m<strong>in</strong>ima parte,


la biochimica prima della «doppia elica» 49<br />

circa il 10% dell’energia contenuta nella molecola del glucoso. La maggior parte viene<br />

prodotta nel successivo processo ossidativo di cui si conosceva poco f<strong>in</strong>o a quando<br />

non venne chiarito il dest<strong>in</strong>o metabolico del piruvato (v. supra, § 2.1). A questo<br />

punto le ricerche s’<strong>in</strong>contrarono con nuovi risultati di eccezionale importanza ottenuti<br />

da Krebs e W. H. Johnson [101] che nel 1937 dimostrarono l’effetto catalitico del<br />

citrato sulla respirazione cellulare di poltiglie muscolari. Il dato nuovo dal punto di<br />

vista metabolico riguardava un meccanismo ossidativo ad andamento ciclico, secondo<br />

cui uno dei componenti delle reazioni, l’acido ossaloacetico, si condensava con una<br />

sostanza «sconosciuta» proveniente dalla demolizione dei carboidrati, per dar orig<strong>in</strong>e<br />

ad acido citrico che, a sua volta, tramite una serie di reazioni successive, rigenerava<br />

acido ossaloacetico, e così via! È questo un punto saliente della ricerca metabolica di<br />

quell’epoca perché per la prima volta viene <strong>in</strong>dicata la via vantaggiosa della demolizione<br />

ossidativa dei carboidrati [101]. Infatti la nuova serie di reazioni ad andamento ciclico<br />

ad ogni giro riproduce un «catalizzatore», <strong>in</strong> questo caso il citrato, capace di bruciare<br />

completamente il residuo carbonioso (forse un trioso) prodotto dalla glicolisi.<br />

Sebbene non sfugga ad alcuno l’importanza di una simile scoperta, dobbiamo dire<br />

subito che non si tratta di una assoluta novità. Lo stesso Krebs anni prima [102], <strong>in</strong><br />

condizioni sperimentali diverse, aveva trovato che la s<strong>in</strong>tesi dell’urea, il noto prodotto<br />

term<strong>in</strong>ale del metabolismo azotato <strong>in</strong> tutte le specie di mammiferi, si verificava nel fegato<br />

tramite un meccanismo ciclico (v. <strong>in</strong>fra, § 13.2) <strong>in</strong> cui un am<strong>in</strong>oacido, l’ornit<strong>in</strong>a,<br />

veniva trasformata <strong>in</strong> modo da produrre urea e qu<strong>in</strong>di riformata alla f<strong>in</strong>e del ciclo,<br />

agendo anche <strong>in</strong> questo caso da «catalizzatore». Pertanto i cicli dell’urea e quello citrico<br />

restano i caratteristici prototipi di questo nuovo livello di organizzazione metabolica che<br />

ottenne la def<strong>in</strong>izione, ormai corrente, di «ciclo metabolico». In entrambi i casi si è<br />

svolto un processo <strong>in</strong> cui un cambiamento chimico totale, misurabile quantitativamente,<br />

è prodotto da una sequenza di reazioni di natura diversa che si succedono l’una dopo<br />

l’altra, rigenerando alla f<strong>in</strong>e il componente utilizzato all’<strong>in</strong>izio. In seguito altri cicli analoghi<br />

sono stati trovati ad andamento più vasto, come quello di Calv<strong>in</strong> della fotos<strong>in</strong>tesi<br />

(v. supra, § 9), quello dell’ossidazione degli acidi grassi, quello dei pentoso-fosfati, la cui<br />

importanza metabolica verrà scoperta negli anni successivi al ’50, ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e quello del<br />

gliossilato su cui torneremo avanti a proposito della regolazione del ciclo citrico.<br />

13.2. Il ciclo dell’ornit<strong>in</strong>a.<br />

Il primo ciclo con le caratteristiche di dar luogo ad un prodotto f<strong>in</strong>ale, quantitativamente<br />

apprezzabile, l’urea, tramite una serie di reazioni che si succedono per rigenerare<br />

il composto <strong>in</strong>iziale è quello dell’ornit<strong>in</strong>a, scoperto da Krebs e Kurt Henseleit nel 1932<br />

[102]. Merita la nostra attenzione per il grande rilievo conseguito all’epoca per chiarire<br />

il meccanismo con cui si formava l’elevata quantità diurea con cui era noto «term<strong>in</strong>are»<br />

il metabolismo azotato <strong>in</strong> tutte le specie di mammiferi. In un uomo di 70 kg se ne<br />

producono tra 20 e 30 gr al giorno.<br />

Sulla base dei nuovi risultati sulla utilizzazione della ornit<strong>in</strong>a fu possibile proporre<br />

il verificarsi di un nuovo processo caratterizzato da reazioni sequenziali che permette-


50 a. ruffo<br />

vano la s<strong>in</strong>tesi di grandi quantità diurea tramite la reattività dell’am<strong>in</strong>oacido ornit<strong>in</strong>a<br />

capace di fissare notevoli quantità diCO 2 ed NH 3 trasformandole opportunamente <strong>in</strong><br />

un «ciclo» che <strong>in</strong>izia e term<strong>in</strong>a a livello dell’ornit<strong>in</strong>a. Si ottenevano come <strong>in</strong>termediari<br />

citrull<strong>in</strong>a ed arg<strong>in</strong><strong>in</strong>a che <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e ad opera dell’arg<strong>in</strong>asi formava urea e di nuovo ornit<strong>in</strong>a,<br />

<strong>in</strong> accordo con una serie di reazioni riportate oggi <strong>in</strong> tutti i testi di Biochimica. A<br />

proposito dell’arg<strong>in</strong><strong>in</strong>a èdaricordare una precedente, validissima osservazione di Anton<strong>in</strong>o<br />

Clementi (v. [103]), che aveva trovato assente l’arg<strong>in</strong>asi dal fegato di vari ovipari,<br />

<strong>in</strong>dicando, per la prima volta, la sostanziale differenza sulla elim<strong>in</strong>azione dell’azoto tra<br />

ovipari e mammiferi.<br />

Cicli di tale genere non erano stati descritti f<strong>in</strong>o allora, e la comunità biochimica<br />

<strong>in</strong>ternazionale reagì positivamente alla scoperta che, oltre tutto, dimostrava un aspetto<br />

nuovo di come si produceva un composto «f<strong>in</strong>ale» del metabolismo azotato quale l’urea<br />

nei mammiferi. Tuttavia non mancarono le critiche soprattutto da parte di fisiologi<br />

che <strong>in</strong> esperimenti di perfusione di fegati di cane o di ratto negarono la possibilità che<br />

l’ornit<strong>in</strong>a, la citrull<strong>in</strong>a e perf<strong>in</strong>o l’arg<strong>in</strong><strong>in</strong>a partecipassero alla formazione della urea!<br />

Ma le conferme giunsero alcuni anni dopo con il progredire della tecnica della omogenizzazione<br />

tissutale che <strong>in</strong>dicò lanecessità diattivare gli omogenati con l’aggiunta di<br />

ATP. Nel 1946 P. P. Cohen e S. Grisolia (v. [104]) ripresero il problema mettendo <strong>in</strong><br />

evidenza le migliori condizioni sperimentali per realizzare la s<strong>in</strong>tesi dell’urea <strong>in</strong> omogenati<br />

di fegato, dando <strong>in</strong>izio ad un nuovo <strong>in</strong>teresse su tale problema che <strong>in</strong> una dec<strong>in</strong>a<br />

di anni produsse una lunga serie di nuovi risultati ottenuti da nomi celebri come quelli<br />

di S. Ratner, V. Nocito, M. E. Jones e dello stesso Krebs, da cui si identificarono nuovi<br />

<strong>in</strong>termediari, come il carbamil-fosfato e l’arg<strong>in</strong><strong>in</strong>-succ<strong>in</strong>ato e i relativi enzimi che li producono.<br />

Ricaviamo da un noto libro [105] la descrizione dettagliata di tali esperimenti,<br />

il primo dei quali, e forse il più importante, è quello di S. Grisolia e P. P. Cohen<br />

(1951-1953) sulla scoperta della carbamil-fosfato s<strong>in</strong>tetasi nel fegato di vari mammiferi.<br />

Si tratta dell’identificazione di un nuovo enzima il cui meccanismo d’azione rimase<br />

misterioso per lungo tempo a causa della struttura <strong>in</strong>stabile del composto di reazione<br />

f<strong>in</strong>o a quando non venne prodotto <strong>in</strong> una preparazione da fegato di ratto stabilizzata<br />

dall’aggiunta di mercaptoetanolo, cianuro e glicerolo che permise di <strong>in</strong>dividuare tutti i<br />

componenti della reazione:<br />

2ATP + NH3 + CO2 −→ 2ADP + H3PO4 + H2N−−CO:OPO3H2 Il riconoscimento del prodotto <strong>in</strong>stabile con il carbamil-fosfato dette luogo a diverse<br />

<strong>in</strong>certezze superate dalla brillante dimostrazione che quello ottenuto per s<strong>in</strong>tesi chimica<br />

era il «vero» donatore del gruppo carboamidico all’ornit<strong>in</strong>a, per formare la citrull<strong>in</strong>a.<br />

Altrettanto complessa fu l’<strong>in</strong>dag<strong>in</strong>e per il riconoscimento e la purificazione dell’enzima<br />

che catalizza la trasformazione della citrull<strong>in</strong>a <strong>in</strong> arg<strong>in</strong><strong>in</strong>a. Il merito va alle ricerche<br />

di S. Ratner e J. Pappas (v. [104]) che tra il 1947 ed il 1949 trovarono nel fegato di<br />

bue un sistema enzimatico capace di utilizzare <strong>in</strong> presenza di ATP il gruppo am<strong>in</strong>ico<br />

dell’aspartato. L’enzima <strong>in</strong> seguito purificato per precipitazione alcolica frazionata risultò<br />

essere costituito da 2 componenti, uno condensante capace di fissare il gruppo am<strong>in</strong>ico<br />

dell’acido aspartico (unico fra 20 am<strong>in</strong>oacidi esam<strong>in</strong>ati) alla citrull<strong>in</strong>a trasformandola


la biochimica prima della «doppia elica» 51<br />

<strong>in</strong> acido arg<strong>in</strong><strong>in</strong>-succ<strong>in</strong>ico ed un altro ad attività idrolitica che trasformava il composto<br />

di condensazione <strong>in</strong> arg<strong>in</strong><strong>in</strong>a ed acido L-malico ben noto componente del ciclo citrico<br />

(v. supra, § 13.1). Tale stretta correlazione trovata tra l’andamento del ciclo citrico<br />

ed ureogenesi fa pensare che le scoperte di Krebs dei 2 cicli sebbene avvenute <strong>in</strong>dipendentemente<br />

l’una dall’altra, abbiano avuto la prodigiosa, quanto <strong>in</strong>attesa co<strong>in</strong>cidenza<br />

di <strong>in</strong>dicare le vie term<strong>in</strong>ali con cui si conclude, nella maggioranza dei mammiferi, il<br />

metabolismo dei composti carboniosi e di quelli azotati. Pertanto oggi <strong>in</strong> tutti i Trattati<br />

di Biochimica l’ureogenesi dei mammiferi si identifica con il ciclo dell’ornit<strong>in</strong>a e la<br />

premessa per la formazione term<strong>in</strong>ale dell’H 2 Oedel CO 2 con il ciclo citrico.<br />

Siamo così giunti a trattare gli argomenti dibattuti <strong>in</strong>torno agli anni ’50, avvic<strong>in</strong>andoci<br />

a passi veloci alla fatidica data del 1953, <strong>in</strong> cui venne proposta dalla ormai celebre<br />

scoperta di James Dewey Watson e Francis Harry Compton Crick (Premio Nobel 1962)<br />

l’altrettanto famosa struttura di doppia elica attribuita al DNA. Tuttavia ci accorgiamo<br />

che non è possibile fermarsi all’improvviso tenendo fede strettamente alle date <strong>in</strong>dicate,<br />

senza mancare di considerare le conseguenze delle ricerche che erano <strong>in</strong> corso, che per<br />

quanto riguarda il ciclo citrico come vedremo, erano ormai sp<strong>in</strong>te verso traguardi che<br />

prospettavano il ruolo del ciclo quale meccanismo unitario di convergenza dei coenzimi<br />

ridotti verso la fosforilazione ossidativa mitocondriale dove avviene lo smaltimento dei<br />

prodotti term<strong>in</strong>ali della respirazione cellulare, H 2 OeCO 2 <strong>in</strong>dipendentemente dalla loro<br />

provenienza.<br />

Ad esempio vorremo ricordare quelle ricerche che nel 1950 vertono sulle reazioni<br />

di regolazione del flusso del ciclo, a com<strong>in</strong>ciare dall’effetto della compartimentazione<br />

mitocondriale che provoca una speciale <strong>in</strong>terazione da «<strong>in</strong>gombro» fra enzimi sequenziali<br />

ed all’effetto dei processi di fosforilazione e defosforilazione che <strong>in</strong>fluenzano l’attività di<br />

vari enzimi, ponendo <strong>in</strong> primo piano il problema della regolazione fisiologica del ciclo,<br />

già notoriamente sotto controllo degli enzimi pirid<strong>in</strong>ici ridotti e dell’ATP orig<strong>in</strong>atosi<br />

dalla loro riossidazione. Pertanto <strong>in</strong>iziando dalle orig<strong>in</strong>i giungeremo a descriverne i<br />

tratti salienti.<br />

13.3. Orig<strong>in</strong>e dei precursori.<br />

L’impostazione della ricerca che portò alla scoperta del ciclo citrico trae orig<strong>in</strong>e dai<br />

precedenti risultati di Albert von Szent-Györgyi [106-107] (v. anche [56]) che avevano<br />

prospettato la vantaggiosa partecipazione ai processi ossidativi di vari acidi bicarbossilici<br />

come il succ<strong>in</strong>ico, il fumarico e l’ossaloacetico senza però def<strong>in</strong>ire il loro meccanismo<br />

d’azione.<br />

Albert von Szent-Györgyi era uno scienziato di straord<strong>in</strong>aria capacità esimpatia che<br />

meriterebbe un ricordo a parte tra i protagonisti più valorosi degli anni trenta. Qui<br />

ci limitiamo a far notare che proprio il suo contributo alla scoperta dell’attività catalitica<br />

dell’acido fumarico sulle ossidazioni biologiche venne considerato equivalente<br />

alla scoperta della vitam<strong>in</strong>a C (v. supra, § 6) per l’assegnazione del Premio Nobel con<br />

cui fu premiato nel 1937. Il che doveva esser noto, e venne apprezzato da Krebs,<br />

che nel famoso lavoro pubblicato lo stesso anno su Enzymologia prende lo spunto due


52 a. ruffo<br />

volte dai risultati di von Szent-Györgyi per impostare i suoi esperimenti sull’effetto del<br />

citrato. Da qui venne l’idea della sua res<strong>in</strong>tesi <strong>in</strong> una sequenza di reazioni ad andamento<br />

ciclico, dovuta alla partecipazione di un composto, forse un «trioso» proveniente<br />

dalla ossidazione dei prodotti della glicolisi. Per quanto i primi risultati fossero stati<br />

negativi sull’identificazione del «trioso» con il piruvato o con il suo prodotto di decarbossilazione,<br />

l’acetato, la partecipazione di tali composti alla condensazione con l’acido<br />

ossaloacetico per formare citrato non venne esclusa da Krebs e Johnson [101] sulla<br />

base di quei risultati che <strong>in</strong>dicavano <strong>in</strong>cremento della s<strong>in</strong>tesi di citrato qualora venissero<br />

aggiunti glicogeno, esosomono-fosfati o glicerofosfato, tutti ben noti precursori del<br />

piruvato. Nel frattempo si era scoperta la partecipazione dei coenzimi tiam<strong>in</strong>pirofosfato<br />

(TPP) e del CoA quali forme attive rispettivamente della vitam<strong>in</strong>a B1 e dell’acido<br />

pantotenico e quella di un nuovo cofattore di natura assai semplice, l’acido lipoico o<br />

tiottico e di tutti fu dimostrata la proprietà nello stimolare la decarbossilazione ossidativa<br />

del piruvato di cui già sisapeva che il NAD + era l’accettore di idrogeno naturale<br />

della piruvico-deidrogenasi. Erano questi i risultati premonitori della scoperta di Lipmann<br />

che identificò con l’acetil-CoA il prodotto che si formava dal piruvato (v. supra,<br />

§ 2.1). Trattandosi di un tioestere e cioè uncomposto di elevato contenuto energetico<br />

<strong>in</strong> quanto paragonabile ad un’anidride mista molto reattiva, si comprese subito che<br />

era stato trovato il vero progenitore capace di reagire con l’ossaloacetato per formare<br />

citrato.<br />

Le reazioni che mostrano la sua s<strong>in</strong>tesi dal piruvato si svolgono secondo questa<br />

formulazione:<br />

CH3−−CO−−CO2H + CoA−−SH + NAD + TPP + Mg2+ + lipoato<br />

−−−−−−−−−−−−−−−−−−→<br />

TPP + Mg 2+ + lipoato<br />

−−−−−−−−−−−−−−−−−−→ CH 3 −−CO−−S−−CoA + CO 2 + NADH + H +<br />

Essa dimostra che l’unità bicarboniosa che entra nella molecola del citrato, opportunamente<br />

«modellata» dalla piruvico deidrogenasi, èl’acetil-CoA.<br />

A questo punto, va tenuto conto del ruolo fisiologico dovuto all’orig<strong>in</strong>e metabolica<br />

dell’acetil-CoA. Quella f<strong>in</strong>ora descritta riguarda la quota proveniente dalla demolizione<br />

dai glucidi ed è notevole. Ma una quantità ancora maggiore se ne forma <strong>in</strong> seguito<br />

alla trasformazione delle lunghe catene di acidi grassi nel ben noto processo della bossidazione<br />

e qu<strong>in</strong>di proviene <strong>in</strong> elevata quantità anche da lipidi. Inoltre c’è daaggiungere<br />

l’aliquota proveniente dagli am<strong>in</strong>oacidi glicogenetici, per cui si conclude che<br />

l’acetil-CoA rappresenta il punto di convergenza metabolico degli scheletri carboniosi dei<br />

pr<strong>in</strong>cipali componenti cellulari. Il suo <strong>in</strong>gresso nel ciclo permette il loro successivo smaltimento<br />

sotto forma di 2 molecole di CO 2 quale prodotto term<strong>in</strong>ale di tutti i composti<br />

carboniosi.<br />

Siccome contemporaneamente ad ogni giro del ciclo 4 coppie di atomi di H sottratte<br />

dalle deidrogenasi si scaricano sulla catena respiratoria mitocondriale per formare quattro<br />

molecole di H 2 O, si comprende come il meccanismo ciclico con cui viene bruciato l’acetato<br />

corrisponda alla completa combustione dei composti carboniosi, <strong>in</strong>dipendentemente<br />

dalla loro orig<strong>in</strong>e e pertanto bene si identifica con il «metabolismo term<strong>in</strong>ale».


la biochimica prima della «doppia elica» 53<br />

Oggi sappiamo, <strong>in</strong>oltre, che l’acido ossalacetico è impegnato <strong>in</strong> ulteriori ed importanti<br />

vie metaboliche, alcune delle quali di <strong>in</strong>teresse bios<strong>in</strong>tetico come la s<strong>in</strong>tesi dei carboidrati,<br />

tramite gli enzimi che lo trasformano <strong>in</strong> fosfoenolpiruvato, e la s<strong>in</strong>tesi degli am<strong>in</strong>oacidi<br />

tramite le transam<strong>in</strong>asi, che producono acido aspartico dall’ossalacetico. In tali casi la sua<br />

presenza nei tessuti animali è assicurata da altri enzimi carbossilanti biot<strong>in</strong>a-dipendenti,<br />

che lo formano dal piruvato mentre nelle piante ed <strong>in</strong> vari batteri ad opera della malato<br />

s<strong>in</strong>tetasi che utilizza gliossilato ed acetil-CoA per la s<strong>in</strong>tesi di malato. Pertanto, negli anni<br />

più recenti (1950-1970), all’ossaloacetato è stato assegnato un ruolo molto importante<br />

non solo quale catalizzatore nel metabolismo ossidativo, ma quale metabolita «chiave»<br />

capace di <strong>in</strong>tervenire, a secondo del fabbisogno fisiologico, <strong>in</strong> molteplici vie metaboliche.<br />

13.4. La compartimentazione enzimatica.<br />

Un contributo fondamentale per comprendere la posizione del ciclo citrico nel metabolismo<br />

cellulare è stato portato tra gli anni ’40 e ’60 dallo sviluppo delle tecniche di<br />

centrifugazione frazionata degli omogenati tissutali tramite la velocità disedimentazione<br />

<strong>in</strong> ultracentrifuga su differenti gradienti di densità, realizzati <strong>in</strong> pratica da opportune<br />

concentrazioni di saccarosio. In tal modo fu possibile isolare 4 frazioni cellulari ben<br />

dist<strong>in</strong>te: la nucleare, la mitocondriale, la microsomiale ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e una frazione chiamata<br />

da H. A. Lardy (v. [108]) «citosol» ad <strong>in</strong>dicare quella parte della cellula privata oltre<br />

che dei nuclei, anche dei mitocondri e del reticolo endoplasmatico e che pertanto<br />

corrisponde ai componenti solubili del citoplasma cellulare.<br />

Che tutti gli enzimi del ciclo fossero contenuti nella frazione mitocondriale era prevedibile<br />

dai risultati ottenuti nel 1948 da D. E. Green e collaboratori [109], che avevano<br />

isolato dal rene di coniglio una preparazione «corpuscolata» chiamata «cicloforasi» <strong>in</strong><br />

quanto era capace di ossidare il piruvato e tutti gli altri componenti del ciclo ben noti<br />

s<strong>in</strong> d’allora. Quando poi la tecnica di centrifugazione frazionata dell’omogenato permise<br />

di isolare i mitocondri dal fegato e da altri organi su gradienti di saccaroso, fu facile<br />

constatare che gli enzimi contenuti <strong>in</strong> quella frazione erano gli stessi di quelli presenti<br />

nella preparazione di «cicloforasi». In tal modo venne <strong>in</strong>iziato uno studio sistematico<br />

sulla distribuzione dei s<strong>in</strong>goli enzimi isolati uno alla volta dalle varie frazioni cellulari,<br />

che oltre a confermare la presenza di tutti gli enzimi del ciclo nei mitocondri dimostrò<br />

che alcuni di essi, come l’aconitasi e l’isocitrico-NADP-deidrogenasi, erano contenuti anche<br />

nel citosol (v. <strong>in</strong>fra, § 13.5), impostando così unnuovo problema la cui soluzione<br />

def<strong>in</strong>itiva non è stata tuttora raggiunta.<br />

13.5. Purificazione degli enzimi del ciclo.<br />

Oggi molti di essi sono stati purificati e si conoscono i loro pesi molecolari e le<br />

<strong>in</strong>terazioni con i siti delle deidrogenasi su cui si legano i rispettivi coenzimi. Pertanto<br />

un’enorme quantità dilavoro sperimentale eseguito da successive generazioni di ricercatori<br />

ha accumulato <strong>in</strong> questi ultimi anni un altrettanto elevato numero di pubblicazioni<br />

su problemi correlati alla distribuzione pressoché ubiquitaria del ciclo nei vari tessuti<br />

animali, vegetali e nei batteri, sul meccanismo d’azione dei vari enzimi ed <strong>in</strong>f<strong>in</strong>e sulla


54 a. ruffo<br />

complessità funzionale del ciclo, dovuta alla scoperta dei meccanismi di regolazione<br />

enzimatica [110-111].<br />

Per quanto riguarda le funzioni degli enzimi estratti dai mitocondri e dal citoplasma<br />

altamente purificati, oggi se ne potrebbe ripetere la sequenza <strong>in</strong> vitro adoperando quelli<br />

che sono addirittura <strong>in</strong> vendita sotto forma di preparati del commercio. Seguendo<br />

la loro successione <strong>in</strong> senso orario, <strong>in</strong>iziamo dapprima con la citrato-s<strong>in</strong>tetasi che si<br />

identifica con una C-C-liasi capace di condensare l’acetil-CoA con l’acido ossaloacetico<br />

tramite l’<strong>in</strong>termediario citril-CoA. Il secondo è l’aconitato-idratasi, <strong>in</strong> breve aconitasi, un<br />

enzima la cui attività disottrarre e re<strong>in</strong>trodurre una molecola di H 2 O, tramite l’acido<br />

cis-aconitico, è stata a lungo discussa, così come la proprietà diessere presente anche nel<br />

citoplasma che oggi apre nuovi orizzonti a causa dell’identità strutturale recentemente<br />

trovata [112] tra aconitasi ed una prote<strong>in</strong>a citoplasmatica che regola il metabolismo del<br />

ferro.<br />

Inoltre è nota per aver dato orig<strong>in</strong>e alla famosa teoria dei «3 punti di contatto» fra<br />

enzima e substrato, per cui <strong>in</strong> tali complessi anche una molecola simmetrica come il<br />

citrato si viene a legare su gruppi funzionali diversi dell’enzima, trasformandosi <strong>in</strong> una<br />

molecola chirale come il suo prodotto di reazione, l’isocitrato. Di isocitrico-deidrogenasi<br />

sono stati trovati 2 enzimi diversi, uno contenuto solo nei mitocondri, <strong>in</strong> forma tetramerica<br />

che adopera il NAD + come coenzima ed un altro monomero, NADP + -dipendente<br />

che oltre che nei mitocondri, si trova anche solubile nel citosol, <strong>in</strong>sieme all’aconitatoidratasi,<br />

sopra descritta, ponendo il problema, non ancora risolto, delle loro funzioni nel<br />

compartimento extra-mitocondriale. Entrambi formano l’acido chetoglutarico e CO 2 .<br />

Il quarto enzima èlachetoglutarico-deidrogenasi NAD + dipendente che dà luogo a<br />

CO 2 ed acido succ<strong>in</strong>ico. È uno dei grandi complessi enzimatici isolati recentemente,<br />

molto simile alla piruvico-deidrogenasi e come questa, costituita da varie subunità dicui<br />

una capace di attivare il prodotto della reazione trasferendolo sul coenzima A. L’energia<br />

<strong>in</strong> esso contenuta viene immediatamente utilizzata per la s<strong>in</strong>tesi di una molecola di<br />

GTP, fornendo l’esempio unico fra le reazioni metaboliche, di fosforilazione a livello di<br />

substrato nel corso di un processo ossidativo (v. Krebs et al. [39]).<br />

Il qu<strong>in</strong>to la succ<strong>in</strong>ico-deidrogenasi-FAD dipendente, forma acido fumarico ed è strettamente<br />

associato alla membrana <strong>in</strong>terna della matrice mitocondriale da cui è difficile<br />

separarlo ed il sesto la fumarasi un’altra idratasi analoga alla aconitasi che aggiungendo<br />

una molecola di H 2 O all’acido fumarico, lo trasforma <strong>in</strong> un composto asimmetrico, l’acido<br />

l-malico, che viene ossidato dalla relativa deidrogenasi anch’essa attivata dal NAD + .<br />

In tal modo alla f<strong>in</strong>e di questa ultima reazione sequenziale, si riforma il componente<br />

«<strong>in</strong>iziale» del ciclo, l’acido ossaloacetico a garanzia che si è concluso il «giro» completo<br />

del ciclo.<br />

A conti fatti, dunque, si verificano nei mitocondri 4 reazioni ossidative che danno<br />

orig<strong>in</strong>e a 3 coenzimi pirid<strong>in</strong>ici ed uno flav<strong>in</strong>ico allo stato ridotto, pronti, per così dire,<br />

ad esercitare la loro «forza riducente» sugli appositi accettori che si trovano nelle immediate<br />

vic<strong>in</strong>anze, <strong>in</strong>fissi sui complessi enzimatici delle creste mitocondriali che, nel loro<br />

<strong>in</strong>sieme, costituiscono la «catena respiratoria». È qui che avviene la loro riossidazione<br />

che, utilizzando due molecole di O 2 , forma 4 molecole di H 2 O producendo un ele-


la biochimica prima della «doppia elica» 55<br />

vato guadagno energetico sotto forma di s<strong>in</strong>tesi di ATP nel ben noto processo della<br />

«fosforilazione ossidativa».<br />

Calcolando il bilancio termod<strong>in</strong>amico <strong>in</strong> equivalenti di molecole di ATP s<strong>in</strong>tetizzate<br />

si ricava facilmente il paragone energetico fra glicolisi (v. supra, § 7.1), che ne forma<br />

2 per ogni equivalente di glicoso glicolizzato ad acido lattico, e ciclo citrico che ne<br />

produce circa 12 per ogni equivalente di acetil-CoA ossidato. Non resta alcun dubbio<br />

sull’efficienza termod<strong>in</strong>amica del processo ciclico.<br />

13.6. I meccanismi di regolazione.<br />

Il confronto tra struttura chimica e meccanismo d’azione dei s<strong>in</strong>goli enzimi del ciclo,<br />

avvenuto negli anni più recenti, ha messo <strong>in</strong> evidenza un nuovo problema d’importanza<br />

metabolica dovuto al riconoscimento di «siti non catalitici» sulle strutture enzimatiche,<br />

sui quali possono comb<strong>in</strong>arsi alcuni metaboliti o altre molecole di natura diversa, capaci<br />

di modificare, <strong>in</strong> senso positivo o negativo, la velocità della reazione catalizzata. Se<br />

un tale fenomeno si verifica su uno o più enzimi responsabili delle reazioni del ciclo,<br />

necessariamente il suo «flusso» subisce un cambiamento. Dalle numerose ricerche che<br />

hanno <strong>in</strong>dagato su tale problema, si possono trarre alcune conclusioni di carattere generale.<br />

I primi risultati [113] hanno mostrato l’effetto <strong>in</strong>ibente sulle deidrogenasi dovuta<br />

ai coenzimi pirid<strong>in</strong>ici ridotti ed, ancora più evidente, da parte dell’ATP formatosi dalla<br />

loro riossidazione sulla catena respiratoria. Il loro aumento riduce la velocità del ciclo e<br />

per conseguenza provoca l’accumulo di vari <strong>in</strong>termediari, come il citrato precursore di<br />

acidi grassi (v. <strong>in</strong>fra, § 13.7) e il chetoglutarato che per transam<strong>in</strong>azione può dare acido<br />

glutammico e da questo la «famiglia» di am<strong>in</strong>oacidi da esso derivati. Ricordiamo che<br />

i loro gruppi am<strong>in</strong>ici, tramite le reazioni di transam<strong>in</strong>azione e di deam<strong>in</strong>azione ossidativa<br />

(v. supra, § 7.3), forniscono l’NH 3 per l’ureogenesi dei mammiferi e l’uricogenasi<br />

negli ovipari. Inoltre anche l’ossaloacetato transam<strong>in</strong>a ad acido aspartico ad opera di<br />

am<strong>in</strong>otransferasi specifiche, mentre <strong>in</strong> diverse condizioni metaboliche dà orig<strong>in</strong>e a fosfoenolpiruvato<br />

capace di risalire la via glicolitica f<strong>in</strong>o a glucoso (v. supra, § 7.1). Inf<strong>in</strong>e<br />

qualora si verifichi accumulo di citrato, previo trasporto attraverso la membrana mitocondriale,<br />

ad opera della ATP-citratoliasi citoplasmatica, si ottiene di nuovo ossaloacetato<br />

(precursore di gluconeogenesi) <strong>in</strong>sieme ad acetilCoA (precursore di acidi grassi e qu<strong>in</strong>di<br />

di lipogenesi). S’<strong>in</strong>travede <strong>in</strong> tal modo un primo meccanismo di regolazione capace di<br />

coord<strong>in</strong>are il flusso del ciclo con altre vie metaboliche dette «ancillari» tramite l’effetto<br />

esercitato sui s<strong>in</strong>goli enzimi mitocondriali da composti orig<strong>in</strong>atisi nel corso delle reazioni<br />

del ciclo stesso, cioè coenzimi ridotti ed ATP, che qu<strong>in</strong>di agiscono come «retro<strong>in</strong>ibitori».<br />

Inoltre da un’altra vastissima serie di ricerche risulta una evidente <strong>in</strong>terazione fra<br />

ioni calcio e le deidrogenasi NAD + dipendenti connesse con il ciclo nei tessuti animali,<br />

che vengono attivate dall’aggiunta di piccole quantità di calcio, probabilmente<br />

per effetto dell’<strong>in</strong>tervento ormonale che nei mammiferi regola il trasporto di Ca 2+ nei<br />

mitocondri. Siccome contemporaneamente si osserva <strong>in</strong>ibizione di enzimi responsabili<br />

della s<strong>in</strong>tesi di urea, quali la carbamil-fosfato e la citrull<strong>in</strong>a-s<strong>in</strong>tetasi, nonché <strong>in</strong>ibizione<br />

della piruvico-carbossilasi, la cui efficienza èlapremessa per risalire a glucoso, sembra


56 a. ruffo<br />

possibile attribuire al calcio proprietà stimolanti il ciclo citrico ed <strong>in</strong>ibenti l’ureagenesi e<br />

la gluconeogenesi. Questo vale per i nostri cicli; ma per farsi un’idea dell’importanza del<br />

calcio sul metabolismo cellulare occorre rivolgersi ai numerosi lavori di Ernesto Carafoli<br />

[114]. Una serie di risultati da cui si ricava un vero avvertimento da parte del piccolo<br />

Ca 2+ della sua potenza fisiologica esercitata sulla reattività delle enormi macromolecole<br />

proteiche. Ma non solo il calcio. Molti altri metalli come Cu 2+ ,Mn 2+ ,Mg 2+ ,Fe 2+ ,<br />

Zn 2+ <strong>in</strong>teragiscono con prote<strong>in</strong>e ed enzimi modificandone le funzioni. Uno dei più<br />

antichi esempi è quello trovato da A. Rossi e A. Ruffo [115] sulla partecipazione del<br />

manganese alla formazione del complesso dell’arg<strong>in</strong>asi con il substrato.<br />

13.7. Relazioni tra ciclo citrico e gliossilato.<br />

Ma dove appare una correlazione che merita tuttora un maggiore approfondimento<br />

sperimentale èalivello dell’effetto prodotto dal gliossilato il cui metabolismo presenta<br />

differenze sostanziali nelle piante e microorganismi rispetto ai tessuti animali. La ragione<br />

pr<strong>in</strong>cipale del divario sta nel fatto che nei tessuti animali mancano 2 enzimi,<br />

la isocitrato-liasi che trasforma l’acido isocitrico <strong>in</strong> succ<strong>in</strong>ico e gliossilico, e la malatos<strong>in</strong>tetasi<br />

che catalizza la condensazione del gliossilico con l’acetil-CoA formando una<br />

molecola di acido malico.<br />

È stato visto da H. Kornberg e Krebs [116] che nelle piante<br />

e vari microorganismi il gliossilato formato dall’isocitrato si condensa subito con un’altra<br />

molecola di acetil-CoA per dare malato, altro ben noto componente del ciclo citrico<br />

(v. supra, § 13.1). Pertanto appare la possibilità di<strong>in</strong>staurarsi un altro «vero ciclo metabolico»,<br />

quello del gliossilico, collaterale al citrico, capace di utilizzare <strong>in</strong> totale 2 molecole<br />

di acetil-CoA per dar luogo ad una molecola di succ<strong>in</strong>ato, che entrando nel ciclo<br />

citrico funziona da precursore di glucoso, tramite la trasformazione dell’acido ossaloacetico<br />

<strong>in</strong> fosfoenolpiruvico (v. supra, § 13.3). Il nuovo ciclo spiega, tra l’altro, come vari<br />

batteri possano crescere e riprodursi su terreni contenenti acetato come unica sorgente<br />

carboniosa. Considerando il suo andamento, ci accorgiamo che il ciclo al contrario del<br />

citrico, produce un composto più complesso, il succ<strong>in</strong>ato, partendo da 2 più semplici,<br />

l’acetato, cioè funzionando come un vero ciclo anabolico, ed <strong>in</strong> questo senso èdaconsiderarsi<br />

capace di <strong>in</strong>vertire l’andamento del ciclo citrico <strong>in</strong> caso di carenza metabolica<br />

di glucoso utilizzando l’acetil-CoA proveniente ad es. dall’ossidazione degli acidi grassi.<br />

Ma cosa accade nei tessuti animali? Varie ricerche avevano dimostrato che il gliossilato<br />

è assente o scarsamente contenuto negli organi <strong>in</strong> cui è stato ricercato, <strong>in</strong> quanto<br />

la possente reattività del suo carbocatione aldeidico produce <strong>in</strong>attivazione di parecchie<br />

strutture enzimatiche. Tuttavia la presenza di due ben noti enzimi, la D-am<strong>in</strong>oacidoossidasi<br />

e la glutammico-gliossilico-transam<strong>in</strong>asi capaci di formarlo agendo sulla glic<strong>in</strong>a,<br />

hanno fatto pensare che <strong>in</strong> tale «forma am<strong>in</strong>ata e ridotta» lo si ritrova per così dire<br />

«camuffato» nei tessuti animali e che dalla glic<strong>in</strong>a lo si possa ottenere qualora dovesse<br />

partecipare a qualche reazione connessa con il ciclo citrico. Una tale possibilità ha<br />

acquisito credibilità allorché lavorando sull’<strong>in</strong>ibizione dell’ossidazione del citrato Ruffo,<br />

Anna Ad<strong>in</strong>olfi e Marta Romano [117] hanno trovato nei mitocondri di fegato e di rene<br />

di vari animali, una nuova reazione del gliossilato con l’ossaloacetato che dà luogo alla


la biochimica prima della «doppia elica» 57<br />

formazione di un nuovo acido tricarbossilico, l’acido ossalomalico. La reazione avviene<br />

anche <strong>in</strong> vitro <strong>in</strong> condizioni fisiologiche di temperatura e pH, ed è favorita dalla presenza<br />

di metalli bivalenti come Ca 2+ eMg 2+ .Ilsale trisodico dell’acido ossalomalico così ottenuto<br />

si dimostrò unpotente <strong>in</strong>ibitore competitivo dell’aconitato-idratasi, l’enzima che<br />

trasforma il citrato <strong>in</strong> isocitrato [118], ed <strong>in</strong>oltre agisce anche sulla isocitrato-(NADP + )deidrogenasi<br />

<strong>in</strong> modo duplice. Saggiato sull’ossidazione dell’isocitrato la <strong>in</strong>ibisce per<br />

competizione con Ki dell’ord<strong>in</strong>e 1 mM. Ma aggiunto all’enzima <strong>in</strong>sieme ad NADPH e<br />

cioè <strong>in</strong>condizioni di catalizzare la reazione <strong>in</strong>versa a quella ossidativa, anche l’ossalomalato<br />

funziona da substrato e viene ridotto, dando orig<strong>in</strong>e ad un composto che perde la<br />

sua proprietà <strong>in</strong>ibente. Pertanto appare che il gruppo chetonico dell’acido ossalomalico<br />

è responsabile dell’<strong>in</strong>ibizione ossidativa perché silega al sito attivo dell’enzima, come se<br />

fosse chetoglutarato, che èilsubstrato naturale della reazione <strong>in</strong>versa.<br />

L’<strong>in</strong>sieme di tali risultati permette di proporre l’acido ossalomalico come un nuovo<br />

regolatore a livello molecolare della velocità diflusso del ciclo nei tessuti animali. Infatti<br />

l’<strong>in</strong>ibizione esercitata sull’aconitasi, che blocca il ciclo e produce accumulo di citrato,<br />

può essere rimossa per l’<strong>in</strong>tervento della isocitrato-deidrogenasi che <strong>in</strong> presenza di NADP<br />

allo stato ridotto trasforma l’<strong>in</strong>ibitore <strong>in</strong> un composto <strong>in</strong>attivo [118]. Se ciò non dovesse<br />

avvenire si realizzerebbe la previsione del Collega Siliprandi secondo cui si tratta di un<br />

<strong>in</strong>ibitore «suicida».<br />

Ricerche più recenti hanno messo <strong>in</strong> evidenza che l’ossalomalato agisce anche su alcune<br />

culture cellulari <strong>in</strong>ibendone la crescita probabilmente a causa del blocco del ciclo.<br />

In tali condizioni, su varie cellule <strong>in</strong> cultura sono state trovate variazioni del metabolismo<br />

lipidico e protidico che sono tuttora <strong>in</strong> corso di valutazione. Inoltre, sperimentando<br />

su cellule 3T3-L1, una l<strong>in</strong>ea di fibroblasti di orig<strong>in</strong>e fetale che tendono a trasformarsi<br />

<strong>in</strong> adipociti, si osservò, per aggiunta di ossalomalato alle culture un fenomeno <strong>in</strong>atteso<br />

a livello cellulare e cioè stimolo della trasformazione dei fibroblasti <strong>in</strong> adipociti maturi.<br />

Risultati che nel loro <strong>in</strong>sieme suggeriscono una tematica di maggiore apertura che ci risulta<br />

<strong>in</strong> corso di sperimentazione da parte di un giovane gruppo esperto <strong>in</strong> biotecnologie.<br />

Analoga dedizione ai nuovi problemi derivati dal ciclo è stata già realizzata da numerosi<br />

ricercatori anglosassoni che hanno cont<strong>in</strong>uato a dedicare la loro attività diricerca a vari<br />

argomenti legati al ciclo non solo relativi al campo dell’enzimologia, ma proiettati verso<br />

problemi di attualità «post doppia elica» quali la genetica molecolare, l’<strong>in</strong>gegneria proteica,<br />

la regolazione dello sviluppo e l’evoluzione dell’organizzazione cellulare. I risultati<br />

ottenuti sono raccolti <strong>in</strong> una piacevole edizione curata da J. Kay e P. D. N. Weitzman<br />

[119] a ricordo di un Simposio tenutosi a Leichester, il cui titolo non poteva esser<br />

scelto più pert<strong>in</strong>ente: «Ha mezzo secolo e gira ancora». Una ben meritata conferma<br />

della traccia lasciata dalle scoperte di Krebs nella comunità biochimica <strong>in</strong>ternazionale.<br />

14. Considerazioni conclusive<br />

Giunti alla f<strong>in</strong>e del periodo prescelto, <strong>in</strong> attesa di esprimere un commento sugli<br />

argomenti riportati nelle pag<strong>in</strong>e precedenti, è sorto un dubbio che ha fermato la mia<br />

attenzione proprio sull’evento f<strong>in</strong>ale, la scoperta della «doppia elica». Mi sono chie-


58 a. ruffo<br />

sto: qualora la biochimica non avesse prodotto i risultati sopra descritti la scoperta<br />

sarebbe avvenuta ugualmente? Chi scrive ha esclamato un sì spontaneo, per la grande<br />

ammirazione dovuta alla vena creativa degli scopritori che ha portato a conclusione un<br />

problema aperto da decenni, di difficile risoluzione sperimentale. Ma poi, proprio tenendo<br />

conto dell’impegno dedicato da tanti altri ricercatori ed alla varietà diapprocci<br />

impiegati, l’affermazione ha perso lo slancio <strong>in</strong>iziale f<strong>in</strong>o a trasformarsi nella ovvia constatazione<br />

che il progresso scientifico è conseguente solo ai risultati che già hanno prodotto<br />

le basi teoriche su cui si dibatte il problema da risolvere. D’altronde, non sono<br />

meno gratificanti i risultati ricordati nelle pag<strong>in</strong>e precedenti. Vi troviamo le più brillanti<br />

<strong>in</strong>novazioni tecnologiche che hanno permesso una nuova impostazione degli esperimenti<br />

biologici, a com<strong>in</strong>ciare dalla scoperta dell’ultracentrifugazione, della elettroforesi, della<br />

cromatografia di ripartizione f<strong>in</strong>o alla analisi spettrofotometrica e diffrattometrica ed<br />

all’impiego degli isotopi. Sono i mezzi che hanno permesso di giungere a conquiste<br />

<strong>in</strong>attese <strong>in</strong> quella epoca, come la scoperta della struttura e del meccanismo d’azione<br />

degli enzimi che hanno sconvolto il concetto corrente della catalisi <strong>in</strong>organica, dimostrando<br />

che <strong>in</strong>vece l’attività catalitica è una proprietà caratteristica delle macromolecole<br />

proteiche le cui estese superfici sembrano particolarmente adatte a recepire il contatto<br />

con i più svariati substrati per modificarne le strutture <strong>in</strong> modo demolitivo, ovvero<br />

costruttivo.<br />

È questa forse la parte che ha permesso alla ricerca biologica dell’epoca di allungare<br />

il passo verso traguardi di successo che hanno risolto problemi una volta <strong>in</strong>accessibili,<br />

come il ritrovamento sotto forma di CO 2 ed H 2 Oditutti i composti carboniosi che<br />

costituiscono le cellule viventi ed ancora più affasc<strong>in</strong>ante come molecole così semplici<br />

sotto l’<strong>in</strong>flusso della luce e la guida degli enzimi si trasformano <strong>in</strong> glucoso, molecola<br />

fondamentale per garantire la sopravvivenza cellulare. Sono questi soltanto una piccola<br />

parte dei risultati che hanno dato forma e sostanza al metabolismo <strong>in</strong>termedio il cui<br />

contributo si estende ben oltre alle trasformazioni prodotte sui glucidi, f<strong>in</strong>o a quelle delle<br />

prote<strong>in</strong>e, dei grassi, degli acidi nucleici. In questo campo risultati di prestigio hanno<br />

<strong>in</strong>dividuato il meccanismo della transam<strong>in</strong>azione per spiegare il dest<strong>in</strong>o metabolico dell’azoto<br />

degli am<strong>in</strong>oacidi e scoperto la s<strong>in</strong>tesi e scissione delle basi azotate costituenti<br />

i nucleotidi per spiegare quello dell’azoto pur<strong>in</strong>ico e pirimid<strong>in</strong>ico. Inf<strong>in</strong>e non meno<br />

importante il ruolo della bioenergetica che ha dimostrato il vantaggioso rapporto termod<strong>in</strong>amico<br />

della materia vivente con l’ambiente, secondo cui l’andamento ciclico di<br />

reazioni sequenziali hanno felicemente risolto il problema dell’«ord<strong>in</strong>e biologico» che<br />

prevede cont<strong>in</strong>ua formazione di strutture macromolecolari, a spese dell’energia ricavata<br />

dalle piccole molecole «bruciate» nel metabolismo term<strong>in</strong>ale.<br />

Insomma, una serie di risultati che ci permettono di concludere che non si poteva<br />

pretendere di più emeglio nel periodo che precedette la scoperta della «doppia elica»<br />

che, oggi, ha certamente accresciuto la notorietà della biochimica ed <strong>in</strong>dicato nuove<br />

prospettive. Tuttavia la ricerca che l’ha preceduta già sivanta del gradito riconoscimento<br />

a suo tempo formulato da un illustre scienziato di Cambridge di quell’epoca Frederich<br />

Gowland Hopk<strong>in</strong>s, che rispose a chi dubitava della sua essenza: «La Biochimica? non<br />

è chimica per tutti, è superchimica».


la biochimica prima della «doppia elica» 59<br />

R<strong>in</strong>graziamenti<br />

Si r<strong>in</strong>grazia la Dott.ssa Gianna Benigni per la competenza e la precisione con cui ha revisionato il<br />

manoscritto.<br />

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Pervenuta il 24 aprile 1998,<br />

<strong>in</strong> forma def<strong>in</strong>itiva il 14 maggio 1999.<br />

Dipartimento di Chimica delle Sostanze Naturali<br />

Università degli Studi di Napoli «Federico II»<br />

Via D. Montesano, 49 - 80139 Napoli

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