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Carlo Busiri Vici architetto romano

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figure di Cimabue per un aspetto altrimenti classico e piano; e dal<br />

CavaIIini potrebbe derivare anche il loro colorito arrossato, più fuso<br />

e con forte chiaroscuro. Ma le qualità più alte, e tutte le particolarità<br />

minori eppur distintive, negano che i due affreschi siano del CavaUini,<br />

così prima come dopo i suoi mosaici di Santa Maria in Trastevere o i<br />

suoi affreschi di Santa Cecilia, tra i quali un frammento di ugual<br />

soggetto - Esaù respinta -, di mano non proprio del maestro ma di<br />

un suo aiuto, dà d'intravedere una composizione ben differente, almeno<br />

nel senso dello spazio, da quella di Assisi.<br />

Soltanto certi affreschi nel transetto di Santa Maria Maggiore a<br />

Roma potrebbero dar consistenza alla supposta figura di un anonimo<br />

pittore <strong>romano</strong>, autore dell'Inganna di Isacco e di Esaù respinto, ma<br />

essi trovano posto, a mio credere, proprio nell'attività giovanile del<br />

discepolo di Cimabue che ora andiamo seguendo. Nell'Inganno d'Isacco<br />

è dominante e possente quell'impressione di profondità che il Cavallini,<br />

per l'essenza stessa del suo stile, pone sempre come secondaria:<br />

ed essa va unita a un senso del rilievo portato a maggior potenza,<br />

anzi diverso, ed espresso con altri mezzi, che nelle opere del maestro<br />

<strong>romano</strong>. Entro il riquadro dell'affresco, con mezzi prospettivi elementari<br />

ma sicuri, è nettamente incavato il vano del cubicolo in cui<br />

sorgono statuarie ,le figure, pur tanto cancellate dal tempo; nelle quali,<br />

il drappeggio non rammenta punto la maniera del Cavallini e ras-<br />

somiglia invece quella di Cimabue, come negli altri affreschi vicini,<br />

avvolgendo in pieghe distese i corpi saldamente costruiti: sembrano<br />

sbalzati in metallo i volti, per lineamenti e per distacchi precisi di<br />

piani; sono arrossati nel colorito, con ombre arsicce a contrasto di<br />

qualche lumeggiatura bianca, in modo del tutto differente dal colorire<br />

del CavaIIini, così nell'effetto plastico come nella tecnica, ché il maestro<br />

<strong>romano</strong> ha un pennelleggiare più avvolgente, e senza quei contrasti.<br />

Nell'altro affresco - Esaù respinto - non è meno esaltato il senso<br />

dello spazio entro cui le figure hanno un posto e un volume saldamente<br />

definiti: il gesto della destra di Isacco sembra esplorare fino alla<br />

superficie esterna la profondità del dipinto; il colore arido e rossastro<br />

dei visi, senza dolcezze, non è altro che strumento a modellarli più<br />

forte: e sono indicati con varietà gli effetti, in Esaù che si acciglia,<br />

in Sara sorridente, nell'incerto !sacco. Nei due affreschi, che per le<br />

differenze dai loro vicini vorrei credere eseguiti dopo tutti gli altri<br />

del Vecchio e del Nuovo Testamento, la conoscenza dell'arte del<br />

Cavallini arricchisce di qualche qualità di colore, e d'una maggiore<br />

compostezza, lo stile del discepolo di Cimabue senza obliterarne Ia<br />

discendenza prima dal maestro fiorentino, segnata anche in partico-<br />

larità esteriori, e tanto meno quelle doti fondamentali - di senso<br />

dello spazio e del rilievo - in cui già consisteva e si affermava il<br />

suo essere.<br />

Era in sua gioventù il pittore che concluse le storie del Vecchio<br />

e del Nuovo Testamento nella chiesa di Assisi dove poi ebbe a ritor-<br />

nare per dipingere la Vita di S. Francesca. Era un artista nuovo a<br />

confronto degli altri seguaci di Cimabue e dei pittori romani che colà<br />

avevano lavorato nella navata, prima di lui: e presto dovette attrarre<br />

discepoli se poi nella Vita di S. Francesco poté riunire tanti aiuti,<br />

concordi nella sua maniera; anzi, già mentre ultimava il ciclo del<br />

Vecchio e del Nuovo Testamento sembra ch'egli non sia stato solo<br />

nel dipingere l'arcone con figure di santi presso il muro frontale della<br />

navata, e che abbia lasciato a qualche suo aiuto la decorazione della<br />

prima delle volte, con le figure dei Santi Dottori, in cui son tutte le<br />

sue particolarità esteriori, ma non c'è la sua forza del rilievo o della<br />

prospettiva e il disegno è altrimenti calligrafico che il suo proprio.<br />

Forse nell'intervallo di tempo, non grand~, tra l'aver compiuto<br />

gli ultimi affreschi delle zone superiori e l'inizio di quelli della zona<br />

inferiore egli era stato a Roma, probabilmente non ,per la prima volta:<br />

lo fanno supporre i ricordi delle opere dei marmorari romani, e soprattutto<br />

di Arnolfo, frequenti negli affreschi della Vita di S. Francesco.<br />

A Roma l'aver conosciuto meglio la maniera dello scultore fiorentino<br />

Arnolfo di Cambio da Colle di Valdelsa dovette confermarlo nella<br />

ricerca di forme che mediante asprezze di disegno e di piani, e<br />

perfino giovandosi di certa rigidità di moti e di struttura, riuscissero<br />

a più forte espressione plastica, quali poi egli trovò negli affreschi<br />

della Vita di S. Francesco. E a Roma dovrebbero essere attribuiti a<br />

lui, al tempo di quel soggiorno, gli affreschi ora liberati alla vista, nel<br />

transetto di Santa Maria Maggiore che Niccolò IV aggiunse all'antica<br />

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