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Carlo Busiri Vici architetto romano

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simi, dei Vitelleschi, dei Ceuli, alle damigelle della magnifica contessa<br />

Fulvia Sforza di Santa Fiora, a povere serve, a pedine di ogni qualità.<br />

Richiamava le sposate: « Voi non date così liberamente il cuore a<br />

Christo... », e prediceva male di partiti che apparivano splendidi, come<br />

di un conte Gambara, che morì per un'archibugiata. Ricusò un gambo<br />

d'insalata del suo orto a una « signora titolata », che lo chiedeva per<br />

devozione, mandandole a dire che non glielo voleva dare se non mutava<br />

vita. Riprendeva le gentildonne che andavano « così pompose». Una<br />

volta, nel palazzo di una « signora principale romana», proruppe a<br />

piangere silenziosamente, al vederla. Interrogato da lei, rispose (si<br />

notino anche le deliziose discordanze): « Non sta bene, signora, non<br />

sta bene; e se non te lo dico io, non te lo dice nissuno. Sete giovine,<br />

e sapete, questi macelari, quando hanno un bel pezzo di carne, lo<br />

mettono alla mostra acciò ognuno li venga la voglia di comprar lo.<br />

Perdonatemi, signora, chè lei porta questo petto così aperto. Perdonatemi<br />

». Il pianto innocente si leva sopra tutto quel secolo voluttuoso<br />

e carnale, in lustrazione. La sera della cena per le nozze di Giacomo<br />

Boncompagni, figlio di papa Gregario XIII, con Costanza Sforza,<br />

passò tra gli invitati che affluivano (cardinali, ambasciatori, cento<br />

dame ornate con tutte le fastose eleganze dell'epoca). Al banchetto<br />

avrebbe preferito una frusta tura « per tutto Banchi». Poi dette un<br />

sospiro, salito certo al Padre celeste che riveste con più splendidezza<br />

i fiori del campo.<br />

Scelse per suo conto questo stare peggio per andare a stare meglio<br />

il celestiale fra Felice. A chi gli chiedeva se il papa lo aveva fatto cardinale<br />

rispondeva: « Sì, cardinale, con lo capo mozzo». Quando lo<br />

pregavano, certo ancora per derisione: Benedicite, replicava con rudezza<br />

« Cetta» (accétta, per decapitarlo). Era lui, con la sua vita<br />

disperata per amore di Dio, a inginocchiarsi dinanzi al magnifico cardinale<br />

Alessandro Farnese, per chiederne la benedizione. S'imparadisiva<br />

delle ingiurie, come quella del molto provveduto prelato Girolamo<br />

de' Rustici, che lo scappucciato cercatore andava « robbando il<br />

pane per Roma». Un giorno tornava dalla cerca con il carico di pane,<br />

e come il frate portinaio tardava ad aprirgli, un gentiluomo, così è<br />

detto, che stava a riguardarlo si rallegrò tutto, perché 'portava « un<br />

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poco più la soma ». Ridendo, gli rimandò il motto che usava: « rose<br />

et fiori ». Venne il tempo che il « somaretto », rustico termine applicato<br />

a se stesso, non si rialzò più. Sulla fine, una notte, aveva veduto quat-<br />

tro cinque frati morti sedere in cucina al fuoco, « con le mani nella<br />

manica et li cappucci calati giù in testa», e la macabra scena, che<br />

s'impronta di un certo gusto dell'epoca, lo aveva avvisato. Fu anche in<br />

uno di quegli ultimi giorni che, aggirandosi quasi alla cieca nel<br />

dormitorio, disse al guardiano: « Vado cercando la morte i). Le dame<br />

devote lo mandavano a sollecitare, ancora. L'ambasciatrice di Spagna,<br />

la magnifica duchessa di Olivares (madre proprio in quest'anno 1587,<br />

di Gaspar, il futuro famoso ministro di Filippo IV) spiccò un paggio,<br />

che entrò nella povera cella. Il morente gli fece ripetere i versetti<br />

di una « canzone », che la grande signora doveva imparare. Fu il suo<br />

lineare, innamorato testamento, poiché nel comunicarli passò di vita.<br />

La prepotentemente pia castigliana accampò, anche in morte, diritti a<br />

un trattamento di privilegio. Nella ressa e nel tumulto che si pro-<br />

dussero per arrivare al corpo del santo frate, riuscì a saziare ancora<br />

la sua avidità, e si portò via la tonaca che egli aveva vestito. Con lei<br />

sono nominate altre grandi dame, quali Felice Colonna Orsini, vedova<br />

del vincitore di Lepanto, Giovanna Orsini Caetani, Camilla Peretti,<br />

sorella del regnante Sisto V. Al quadro, nello stile del Greco, non<br />

mancò l'indemoniato, anzi l'indemoniata, che fu una figlia dei Cotta,<br />

liberata in maniera drammatica, movimentatissima. Tutto barocco è<br />

l'ultimo tocco, un'altra appassionata gesta delle devote di fra Felice,<br />

che fecero un buco con un chiodo nel sepolcro per estrarne il liquido<br />

stillato dal corpo. Ne cavarono un barile, con paziente tenacia durata<br />

più giorni, fino a che il papa intervenne alla sua energica maniera<br />

per troncare anche questa santa industria.<br />

NELLO VIAN<br />

La materia di questo bozzetto storico. inclusi i brevi testi e i dialoghetti, è<br />

ricavata dai processi ecclesiastici pubblicati e illustrati nel volume: ProcesStls Sixti-<br />

11tH fratris Felicis a Cantalice cum selectis de eiusdem vita vetustissimis testimol1iis<br />

il1 lllcem edidit MARIA:-1US .\B AUTRI, O.F.M. Cap., Romac. lnstitutum historicum<br />

O.F.M. Cap., 1964.<br />

31<br />

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