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Carlo Busiri Vici architetto romano

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Corte Savella, che si trovano parecchie volte nelle narrazioni (erano<br />

quelle per cui s'aggirava anche il suo celestiale amico messer Filippo<br />

Neri). Tutta la ristretta città del tempo sapeva chi era il frate scappucciato,<br />

come egli conosceva tutti, popolani e signori: « putti, donne,<br />

huomini, cardinali et prencipi», secondo l'ordine di enumerazione che<br />

tiene non a caso un testimonio. Ma egli andava, angelicamente, senza<br />

riconoscere chi lo salutava, « attento per la strada nelle cose di Dio»;<br />

e meraviglia che all'estatico non uscissero di mano i fili di tanti terre-<br />

stri traffici. Usava egli appunto mettere in guardia i compagni che con<br />

1ui dovevano praticare piazze e vicoli presi per scena anche in commedie<br />

di Annibal Caro o dell'Aretino: « Fratelli, gl'occhi in terra, la<br />

corona in mano et il core a Dio». Andava vestito come si è descritto,<br />

con qualche sua aggiunta trasandatezza alla foggia fratesca. Satireggiava<br />

anzi qualche compagno che portasse « habito borioso», con i<br />

taglienti elogi « o che bella corda, o bell'abito». Si riduceva, d'inverno,<br />

in stato da fare pietà, con crepature lunghe mezzo dito nelle cakagne<br />

e la parte superiore dei piedi scorticata come per una lebbra. Ricuciva<br />

i piedi con lo spago, come le scarpe. Dicèva: « Mi dole et gli recoscio».<br />

Quando l'imperioso cardinale Giulio Antonio Santoro ordinò che per<br />

l'età (dopo i cinquant'anni i frati erano già ritenuti vecchi) non uscisse<br />

più alla cerca e che portasse le suole ai piedi, resistette sul primo punto<br />

estorcendo la licenza di seguitare, ma dovette fare l'obbedienza per iI<br />

secondo. Pur non si scalzava mai al fuoco, anche con i gran freddi,<br />

procurandosi a causa delle incrostature del gelo un diverso supplizio.<br />

Il cercatore faceva il suo ufficio con impegno, portando ogni giorno<br />

in convento il suo carico. Pane vino legumi farina e « tutto quello<br />

che voleva» gli dava Cleria della Valle, nata dal sangue dei Ponziani,<br />

e gli prestava fino il carretto per 'portare, dalla Rotonda a Monte<br />

Cavallo, gli « occhi delle canne», probabilmente spuntature per gli<br />

animali. Doveva chiedere con francescana libertà, e con argomenti che<br />

solo egli poteva usare. Il giorno che entrò nel palazzo Crescenzi, a<br />

chiedere pane, e sentì dalla « putta» che non ce n'era, andò diritto<br />

alla cassa, e 1a trovò piena. Trionfalmente domandò: « Manca il pane<br />

qua? », ma fuggi via ,perché la serva si diede a gridare al miracolo.<br />

Parecchi casi del genere, per l'olio e il vino, sono raccontati da gente<br />

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che vide. Richiesta dell'olio, una madonna Lorenza Duranti, che stava<br />

a Monte Citorio, lo avvisò che nella « vettina» rimaneva solo mor-<br />

chia, ma andata a vedere la scoperse quasi colma, tanto che ne riempi<br />

il fiasco del frate e seguitò poi lei ad attingere per due mesi. A strada<br />

Giulia, la signora Claudia, vedova del famoso medico Andrea da<br />

Fano, gli rispose alla stessa maniera, che era capitato male perché il<br />

vaso conteneva solo morchia, neanche buona per la lucerna: se ne<br />

tirò invece olio « buonissimo, limpido et chiaro» in quantità, e la<br />

padrona voleva darglielo tutto. Affare suo era anche il vino, come si è<br />

detto. « Voi non lo sapete cavare», dichiarò 'perentorio a madonna<br />

Lavinia Carpi e alla gente di casa, che si erano provati a tirarne dalla<br />

solita botte, esausta e addirittura sturata; andò in cortile, e inginocchiato<br />

davanti ne fece scaturire un getto gagliardo, che colmò la fiasca,<br />

e durò poi quasi un mese. Maddalena Pilois, moglie di un Nanni<br />

Straccalini, lo vide arrivare un giorno che pioveva a dirotto, a doman-<br />

dar di riempirgli le zucche di vino. La donna allevava bachi da seta;<br />

e lamentava di essere rovinata, perché non poteva, con quell'acqua,<br />

andare a raccogliere la foglia di gelso. Servizievole, frate Felice, tornò<br />

fuori, riportandone le bisacce zeppe. La foglia era bagnata, ma egli<br />

prese a spargerla ugualmente sopra i tavolati dei vermi, chiamando<br />

san Francesco. La padrona, disperata, rattenne a fatica la collera, per-<br />

ché sapeva che ne sarebbe seguita la quasi certa morte delle larve, ma<br />

la mattina dopo trovò che avevano fatto tutte il bozzolo, cosi da<br />

cavarne subito la più morbida seta.<br />

Come si vede anche da questa novelletta, l'elemosinante, a sua<br />

volta, si fa limosiniero. Mette anzi più industria nel dare che nel<br />

ricevere. Non usciva scarico, ma si faceva dare dal « dispensiero» e<br />

dal « canavaro» pane, carne, vino da portare ai poveri. Con misura<br />

larga, perché le « zucche)) che vuotava erano di quattro o cinque boccali,<br />

e ogni boccale del tempo equivaleva a due litri. Le pagnotte<br />

facevano mucchio perché ne metteva nelle capaci bisacce fino a quindici<br />

o sedici, e dieci ne recava a una sola vedova con numerose figlie,<br />

'povere vergognose, come si diceva allora. Anche in vecchiezza, quando<br />

non andava più fuori per la cerca, asportava dalla « canova» tanto<br />

pane che ne era fatta lagnanza al guardiano. A una Orsini, che aveva<br />

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