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Carlo Busiri Vici architetto romano

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Fra Felice da Cantalice, le dame<br />

e le pedine<br />

A Roma, il frate laico Felice da Cantalice visse quarant'anni, e vi<br />

morì il 18 maggio 1587, vecchia di settantadue. Era piccolO'ttO',grossa<br />

e atticciatO', cO'nuna barba tonda e bianca che ai cantemporanei richiamava<br />

qualche san Pietro dipintO'. Sopra la rusticità originaria (era stata<br />

prima bifolco, pastore di oovi) si era impiantata la semplicità cappuccinesca.<br />

A chi si attentava di complimentariO' rispondeva, vO'ltanta le<br />

spalle: « e finacchi! ». Per burla, annuiva can la formula di prammatica,<br />

« misersì », a chi si provava a fargli stendere un tovagliolO', le<br />

valte che mangiava in tavala, ma il legna mal squadrato restava nudO'.<br />

FrancescanO' di cuore e aHa maniera primitiva, piangeva a fare il presepio.<br />

In certi mO'menti, lo prendeva una specie di « embriacheza »<br />

mistica: allargava le braccia, chiamando il santO'fondatO're dell'O'rdine.<br />

E, a un pranzo dei magnifici signori Crescenzi, gli uscì il grida<br />

« san Francesca, san FrancescO'», esclamaziane di gioia per la sua<br />

libertà più forse che .]amenta di quella santuasa schiavitù. Ma il genuinamente<br />

più francescanO' dei gesti che si riferiscanO' di lui era quella<br />

di cO'spargersiH capO'e la barba di mO'llichedi pane per andare nell'artO'<br />

a farseli beccare dagli uccelli, attirapasseri di nuO'vo conio. Quella<br />

« r,ifarma» francescana, che manda aroma da duecento in mezzO' allO'<br />

sfarzaso cinquecentO', se 1a gadeva tutta. Con il buan sannO'e il buO'n<br />

appetitO' che aveva, nO'n si sarebbe cambiata can alcuna dei grandi:<br />

« iO'mi gO'da questO' monda e nan cambiaria questa saccoccia al papato<br />

et al re FilippO' insieme ».<br />

Sacche a saccale, « tasche », « ceste» e « zucche» erano la sua<br />

moneta di cambio, perché faceva sempre il cercate re, per la trentina<br />

di frati del sua cO'nvento satta Monte CavallO'.La giO'rnata era di questa<br />

specie. Discendeva in chiesa a punta di giorno, per servire la prima<br />

messa. Poi andava fuO'ri: sempre scappucciato, e solitamente senza<br />

mantellO'; scalza, estate e invernO', fina che gli permiserO', e gli pareva<br />

di « valare». Quando tarnava, mangiava prima degli altri, per l'ufficiO':<br />

anche sola pane, se non c'era altro, e acqua che tirava su dalla cisterna.<br />

DopO' il pasto, si rimetteva per strada, a menO' che il maltempO' nan la<br />

tenesse in cella, dO'vefaceva crocette di bosso a aggiustava le sue sacche.<br />

La sera, in agni maniera, si ritirava presta, perché di natte e all'aurara<br />

doveva suanare la campana, e ricominciare l'indomani, a bruzzico,<br />

quella vita paradisiacamente dannata. Gli pareva ancora di scialare,<br />

perché si era fattO' frate cO'n evangelica semplicità credendo di non<br />

avere mai da mangiare pane e da bere vino. A rientrare carico di<br />

grazia di Dio (andava alla cerca di pane vino olia legna, e di tutta<br />

quellO' che serviva) lo prendeva quasi una punta di vanteria, e si proclamava,<br />

deliziosamente, « padrO'nedi tutti li forni e le b6tte di Roma »,<br />

anzi addirittura « de tutto il pane di Roma ». Quando arrivava con il<br />

vinO',intimava allegramente al frate di cucina: « acconcia il carratellO'».<br />

L'aspro O'dore che saliva dal boccale gli faceva congegnare, senza che<br />

egli certo accostasse le labbra all'orlO', fino una vinO'sa, baracca imma-<br />

gine: « noi stamO' in questO' mO'ndo all'hO'staria». Del mestiere si gloriava,<br />

e diceva che si sarebbe vergO'gnatO'di uscire ,per Rama senza<br />

la « tasca », la quale era, soldatescamente, 1a sua « alabarda ». Cercatari<br />

diversi andavanO' 'per il pane, per l'O'lio,e anche forse per il restO': a<br />

coppia, cO'nforme la regola. Per un certo tempo almeno, egli fu mandato<br />

con le « zucche» da vino (che dO'veva riuscire una mistura di<br />

colari e di sapori da ubbriacare). Compagni fissi ebbe fra Matteo della<br />

Posta, « barba rO'ssaet grasso», Damenico da Carbognano, Giovanni<br />

da Paliano. Ma si trovanO' nO'minati anche AgostinO' da Bergamo, Marco<br />

da Castel Sant'Angelo, BartolO'meo da Palestrina: un picCO'lomondO'<br />

fratesca, tra il quale non mancava qualche gelosia e ripicco. MO'rta fra<br />

Felice, uno venne a raccontare che « vO'levafare lui, et voleva andare<br />

fuora lui », e un altro non ne aveva mai potutO' sapere, per le cerche<br />

dell'olio, le poste sicure.<br />

Con i SUO'iarnesi in spalla, usciva tutto affaccendata. Lo sentivanO'<br />

dire: « O quanto hO' da fare, o quante faccende ch'io hO'», mentre<br />

puntava rapido, con i piedi scalzi volanti, ai quartieri più PO'Polatidella<br />

Roma curiale. Strade che batteva erano i Cappellari, il Pellegrino,<br />

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