Numero 34 - Ufficio Scolastico Regionale per la Basilicata - Miur
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che <strong>per</strong> difendersi è fuggita nel bagno del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>;<br />
i) nell’istituto tecnico professionale Ferraris<br />
Pacinotti di Mi<strong>la</strong>no un professore finite le lezioni<br />
esce da scuo<strong>la</strong>, gli studenti riuniti in capannello<br />
davanti all’ingresso, lo insultano con cori da stadio:<br />
“sei un buffone”. Lui, un uomo di 50 anni,<br />
abbassa lo sguardo e affretta il passo. Lo minacciano:<br />
“Sei un coniglio, dove scappi?”.<br />
A fronte dell’aumento del<strong>la</strong> diversità, a seguito<br />
del<strong>la</strong> globalizzazione e del<strong>la</strong> vita in società sempre<br />
più multietniche e multiculturali, è necessario<br />
e urgente riflettere seriamente sul fenomeno<br />
del bullismo, riconoscendone le origini (spesso<br />
situazioni di crescente disagio non solo fra le vittime,<br />
ma soprattutto nel<strong>la</strong> vita dei “carnefici”) e<br />
<strong>per</strong> e<strong>la</strong>borare programmi pedagogico-educativi tesi<br />
a contrastarlo e a gestirlo adeguatamente.<br />
Origini del bullismo: cos’è? Chi sono? Cosa fare?<br />
Il bullismo è frequentemente ed erroneamente<br />
assimi<strong>la</strong>to o confuso con altre manifestazioni di<br />
disagio o di aggressività. Chiariamo <strong>per</strong>ciò subito<br />
che il termine bullismo rimanda ad una re<strong>la</strong>zione<br />
di abuso di potere in cui avvengono dei comportamenti<br />
di prepotenza in modo ripetuto e continuato<br />
nel tempo, tra ragazzi non di pari forze, dove chi<br />
subisce non è in grado di difendersi da solo. Perciò<br />
il bullismo più che un comportamento iso<strong>la</strong>to<br />
descrive una re<strong>la</strong>zione, un susseguirsi di azioni<br />
di prevaricazione, continuate nel tempo. Per esempio,<br />
i giochi di lotta tra ragazzi, ricorrenti tra i<br />
maschi, non sono bullismo ma confronti al<strong>la</strong> pari.<br />
Nel bullismo invece esiste uno squilibrio di forze<br />
tra il bullo e <strong>la</strong> vittima, che non possono scambiarsi<br />
i ruoli. Inoltre esso avviene in un contesto<br />
di gruppo: chi fa le prepotenze o chi le subisce<br />
può essere un gruppo; gli eventi avvengono in<br />
contesto di gruppo (c<strong>la</strong>sse, cortile del<strong>la</strong> scuo<strong>la</strong>,<br />
autobus) in presenza di spettatori.<br />
Movendo da una simile definizione, è facile riscontrare<br />
fenomeni di bullismo nel passato e in<br />
altri ambiti del<strong>la</strong> vita (nelle caserme prende il nome<br />
di «nonnismo»; nel mondo del <strong>la</strong>voro si par<strong>la</strong> di<br />
«mobbing»). A scuo<strong>la</strong> il bullismo si manifesta sul<br />
piano verbale, psicologico o fisico, in forme leggere:<br />
prese in giro ripetute, minacce, offese, esclusioni<br />
dal gruppo, maldicenze (modalità tipiche del<br />
bullismo femminile); o pesanti: aggressioni, scherzi<br />
grevi, furti grandi o piccoli, estorsioni, danneggiamenti<br />
degli oggetti <strong>per</strong>sonali o del materiale sco<strong>la</strong>stico<br />
ecc. Fra le varie manifestazioni, le prese in<br />
giro sono le forme meno riconosciute, spesso fraintese<br />
come gioco o scherzo (l’insegnante spesso non<br />
comprende <strong>la</strong> gravità <strong>per</strong> chi subisce, chi è chiamato<br />
tutti i giorni con un nomignolo odioso o è<br />
preso in giro <strong>per</strong> l’aspetto o un difetto fisico, <strong>per</strong><br />
un modo di par<strong>la</strong>re; specie <strong>per</strong> l’adolescente che<br />
necessita di sentirsi parte del gruppo e di ricevere<br />
approvazione). Per quanto attiene alle aggressioni<br />
fisiche, generalmente tra ragazzi machi e più facili<br />
da riconoscere, l’insegnante dovrebbe prestare attenzione<br />
non solo alle forme più ec<strong>la</strong>tanti, ma<br />
anche a “tormenti” ripetuti, dispetti riproposti<br />
(come punzecchiare, pizzicare, dare uno scappellotto,<br />
tagliare una ciocca di capelli, picchiare<br />
con <strong>la</strong> penna continuamente nel<strong>la</strong> schiena). A<br />
scuo<strong>la</strong>, partico<strong>la</strong>re attenzione va data a furti ed<br />
estorsioni, anche se di entità ridotta (come il ragazzo<br />
che deve portare a scuo<strong>la</strong> ogni giorno qualche<br />
euro al compagno che lo minaccia).<br />
A scuo<strong>la</strong> il bullismo è osservabile dal<strong>la</strong> materna<br />
fino alle su<strong>per</strong>iori. Rispetto alle modalità di<br />
intervento, è chiaro che occorre tenere conto del<br />
contesto, dell’atto stesso (differenziando i fenomeni<br />
occasionali, da quelli continuati nel tempo),<br />
del<strong>la</strong> gravità e dell’età dei soggetti. Uno degli errori<br />
comuni consiste nello stigmatizzare di adolescenti<br />
o bambini con l’etichetta di bullo o di vittima.<br />
Il rischio maggiore è di identificare rigidamente<br />
un soggetto in evoluzione con il ruolo attribuito.<br />
Tali atteggiamenti potrebbero portare a definizioni<br />
rigide sul piano dell’identità, che condurrebbero<br />
i ragazzi “prepotenti” ad avere problemi<br />
con <strong>la</strong> giustizia nell’età adulta, nonché i “ragazzi<br />
vittima” a depressione anche dopo il <strong>per</strong>iodo sco<strong>la</strong>stico,<br />
a difficoltà nei luoghi di <strong>la</strong>voro, nel<strong>la</strong> costituzione<br />
del<strong>la</strong> famiglia elettiva.<br />
Prima di qualsiasi forma di intervento occorre<br />
ricordare che, nel caso di bulli e vittime, si tratta di<br />
ruoli, non di <strong>per</strong>sonalità. Si tratta di ragazzi che in<br />
un dato contesto o <strong>per</strong>iodo di tempo agiscono o<br />
subiscono prepotenze, ma ognuno di essi detiene<br />
enormi possibilità di cambiamento.<br />
Per calibrare meglio le modalità o<strong>per</strong>ative è fondamentale<br />
guardare da vicino chi sono. Tra chi subisce,<br />
le ricerche scientifiche distinguono le vittime<br />
passive dalle “provocatrici”: <strong>la</strong> vittima passiva<br />
subisce i comportamenti di altri, <strong>la</strong> vittima provocatrice<br />
invece è quel<strong>la</strong> che – direbbero i ragazzi<br />
– «se le cerca», cioè stuzzica il bullo e sembra fare<br />
di tutto <strong>per</strong> riuscire ad essere oggetto di attenzione<br />
(negativa) dal compagno più forte. Fra i due<br />
casi <strong>la</strong> vittima provocatrice è <strong>la</strong> più difficile da aiutare<br />
<strong>per</strong>ché non desta simpatia né nei compagni