l'archivio fotografico - FedOA
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Della Lombardia, ‘il cacciatore d’immagini’ 109 produce, come già detto,<br />
molti scatti. Tra i centri maggiormente ripresi ci sono Torino, Milano,<br />
Bergamo, Bologna ma anche cittadine poco conosciute come Gandino e<br />
Dalmine nei dintorni di Bergamo, oppure Fino Mornasco e Gorgonzola<br />
vicino Milano che rivelano realtà insperate e affascinanti.<br />
A Torino, città che lo accoglie in tanti anni di lavoro non dedica<br />
stranamente molte fotografie, qualche sguardo al Teatro Regio e alla Porta<br />
palatina, del Palazzo Madama ritrae solo i trofei e giusto tre scatti<br />
documentano il lavoro condotto per il Palazzo Gualino, realizzato insieme a<br />
Levi Montalcini tra il 1928 e il 1930, progetto che tante polemiche avrebbe<br />
suscitato per il suo carattere precocemente moderno.<br />
La Milano rivelata da Pagano è una città che si esprime in tutta la sua<br />
dimensione metropolitana, leggibile attraverso le immagini aeree che ne<br />
denunciano lo schema urbanistico; una foto interessante riprende la piazza<br />
del Duomo riempita di manifesti pubblicitari (vol 46, num 16): è una natura<br />
indubbiamente commerciale e industriale quella che si vuol mettere in<br />
evidenza, cui fa da contrappunto una Milano colta e intellettuale che, nel<br />
Duomo con i suoi alti pinnacoli, si manifesta in tutta la sua elegante<br />
dignità.<br />
Ma è alla città di Bologna che Pagano dedica inaspettatamente molti scatti.<br />
Riprende praticamente tutto il centro, con i portici, la fontana del Nettuno,<br />
l’archiginnasio; alla famosa torre Asinelli dedica le riprese più ispirate, in<br />
109 Questa definizione che Pagano fa di se stesso (G. Pagano, Un cacciatore di immagini, in «Cinema»,<br />
dicembre 1938), trova conferma in una considerazione di Vilém Flusser, studioso del linguaggio e della<br />
cultura, che scrive: «Se osserviamo i movimenti di un uomo munito di apparecchio <strong>fotografico</strong> (o<br />
piuttosto di un apparecchio <strong>fotografico</strong> munito di un uomo), abbiamo l’impressione di assistere a un<br />
agguato: è l’antico gesto venatorio del cacciatore paleolitico della tundra. Con la differenza che il<br />
fotografo non insegue la sua cacciagione nella prteria aperta, bensì nella giungla degli oggetti culturali, e i<br />
suoi sentieri segreti sono formati da questa taiga artificiale. […] La giun gla fotografica è composta di<br />
oggetti culturali, vale a dire di oggetti che sono stati ‘disposti intenzionalmente’. Ognuno di questi oggetti<br />
regola lo sguardo del fotografo sulla sua preda. Egli si muove furtivamente fra questi oggetti, per schivare<br />
l’intenzione che vi si dissimula». Il gesto <strong>fotografico</strong>, in V. Flusser, Per una filosofia della fotografia,<br />
Mondatori, Milano 2006, p. 39.<br />
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