l'archivio fotografico - FedOA
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confronti della fotografia, tecnica da lui già utilizzata ma, fino a quel<br />
momento, non ancora ‘scoperta’, in quanto eccezionale strumento di<br />
rappresentazione e interpretazione della realtà. Sono le parole di un<br />
architetto fotografo che si affaccia su un mondo fatto per lo più di<br />
specialisti e professionisti con l’ingenuità dell’allievo curioso ed inesperto.<br />
L’interesse nei confronti della fotografia viene fuori paradossalmente da<br />
un’occasione preferenziale, la necessità di produrre materiale di<br />
documentazione per conto della VI Triennale di Milano del 1936 23 . Si tratta<br />
di realizzare un vero e proprio reportage foto-giornalistico che possa dar<br />
conto delle condizioni della realtà rurale contemporanea. Ciò che si deve<br />
realizzare è in pratica un’indagine di carattere socio-urbanistico e<br />
architettonico.<br />
È probabile però che siano stati soprattutto gli interessi specifici dello<br />
studioso a spingere in questa direzione l’analisi, desideroso di dimostrare<br />
che la vera arte italiana risiedesse nel patrimonio e nella cultura popolare,<br />
culla di una tradizione aulica per troppo tempo sottovalutata e dimenticata<br />
dall’uomo.<br />
L’universo dell’architettura rurale, era stato fino a quel momento,<br />
prudentemente ignorato dalla cultura accademica ufficiale, che si era<br />
sempre guardata dal considerare poesia le manifestazioni di architettura<br />
spontanea. Molto interessante al riguardo il volumetto di Bruno Zevi sui<br />
Dialetti architettonici, in cui il critico evidenzia nei secoli tale aulica<br />
indifferenza nei confronti dell’architettura ‘minore’ che dichiara<br />
23 L’architetto racconta delle difficoltà incontrate nel reperimento del materiale per la Triennale in uno dei<br />
suoi più vivaci articoli: «Pur essendo di natura molto ottimista, e già in possesso di un apparecchio da<br />
presa a passo ridotto e di una ‘rolleiflex’ inappuntabile, ero fiducioso negli specialisti. Con l’egida della<br />
Triennale di Milano, mi rivolsi così a tutti i regi sopraintendenti d’Italia pregandoli di fotografare, spese<br />
pagate, i cascinali e le case rurali e i villaggi più interessanti della loro regione. Le risposte che allora mi<br />
pervennero, scoraggianti, assurde, inverosimili, mi convinsero che dovevo assolutamente fare tutto da me.<br />
[…] A questo coro di pessimisti che vedeva e vede l’Italia soltanto attraverso le schede delle<br />
soprintendenze o le negative di Alinari io devo la mia totale conversione alla fotografia e i miei<br />
vagabondaggi per tutta l’Italia a caccia d’immagini». G. Pagano, Un cacciatore d’immagini, cit.<br />
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