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l'archivio fotografico - FedOA

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disordinata e orribile» ma è «la città rinascimentale», in cui «non v’è posto<br />

per le folle, ma solo per mute effigi di quel passato in cui De Chirico si è<br />

tuffato con disperata freddezza, cercando di fuggire un presente storico da<br />

cui non ci si può sottrarre se non attraverso la magica rarefazione del<br />

sentimento e della poesia» 251 ; alcune fotografie scattate da Pagano risultano<br />

in questo senso straordinariamente metafisiche, si pensi alle immagini<br />

realizzate in alcune città appositamente ‘svuotate’ come Bologna<br />

(Vol46_Num28), Pienza, a «quella ‘Ferrara’ che è la ‘più metafisica di tutte<br />

le città’», o la stessa Roma, nella quale il momento metafisico più<br />

penetrante si raggiunge nella fissità delle immagini dell’E42 in costruzione<br />

con le armature in legno delle statue – ‘manichini’, ‘muse inquietanti’ – che<br />

sarebbero poi state costruite come ‘arredo urbano’ del complesso<br />

residenziale 252 .<br />

Il dibattito sulla possibilità di associare la ricerca Metafisica alla fotografia<br />

si è rivelato negli anni, piuttosto complesso 253 . La Valtorta, concorda<br />

ampiamente con Claudio Marra 254 nel considerare possibile ed opportuna<br />

tale associazione, ritenendo che vi sia nella Metafisica, «un elemento<br />

profondamente <strong>fotografico</strong>» 255 . In particolare, Marra sviluppa una serie di<br />

considerazioni delucidanti su questo punto. Muovendosi infatti dal<br />

251 C. de Seta, cit. p. 74.<br />

252 Con questo non si intende assolutamente attribuire un valore metafisico alle costruzioni dell’E42,<br />

semmai è la sensibilità di Pagano che conferisce tale carattere alle inquietanti architetture del quartiere<br />

romano, attraverso le sue riprese fotografiche. Concordiamo infatti pienamente con Cesare de Seta<br />

quando afferma che: «sarebbe del tutto erroneo riconoscerla (l’architettura metafisica) nelle spettrali<br />

prospettive dell’E42 di Roma che di metafisico non hanno nulla, sono topoi formali solo apparentemente<br />

simili ma di fatto profondamente diversi; sono, al contrario, l’immagine di uno straniamento<br />

dell’architettura in balia di un accademismo classicista povero, rozzo e vanaglorioso. Proprio il contrario<br />

della contenuta, solida e tersa condizione classica e metafisica della città d’Italia di dechirichiana<br />

memoria». C. de Seta, L’architettura degli anni Venti: da Milano a Roma, in Architetti italiani del<br />

Novecento, Laterza, Roma-Bari 1987. In realtà Pagano, attraverso i suoi scatti al quartiere romano,<br />

intendeva proprio denunciare quella sensazione di ‘straniamento’ provocata da ‘un accademismo<br />

classicista povero, rozzo e vanaglorioso’, accentuandone l’apparente carattere metafisico.<br />

253 In effetti già de Seta parla di una «fissità metafisica» per descrivere alcune fotografie di Pagano come<br />

quelle realizzate nella città di Bologna. Cfr. C. de Seta (a cura di), Giuseppe Pagano fotografo, cit., p. 76.<br />

254 C. Marra, Fotografia e pittura nel Novecento. Una storia ‘senza combattimento’, Bruno Mondatori,<br />

Milano 2000.<br />

255 R. Valtorta, cit., p. 195.<br />

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