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L'Anxiety come interruzione nella Gestalt Therapy - prof. G.nni Salonia

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L’ANXIETY 1 COME INTERRUZIONE NELLA GESTALT THERAPY 2<br />

Giova<strong>nni</strong> <strong>Salonia</strong><br />

1. DESCRIZIONE DELL’ANXIETY NELLA GESTALT THERAPY<br />

1.a L’ansia <strong>come</strong> evento corporeo<br />

Anxiety as an emotion is<br />

the dread of one’s own daring 3<br />

Il concetto di ansia è centrale in <strong>Gestalt</strong> <strong>Therapy</strong>. Coerentemente con il suo background<br />

fenomenologico, l’approccio terapeutico originato dal libro fondamentale di Perls e Goodman non<br />

parte, <strong>nella</strong> sua comprensione dell’ansia, da un assunto teorico, bensì dal puro accadere, dal<br />

manifestarsi dell’anxiety nel corpo del soggetto che vi si trova implicato: «L'angoscia è il sintomo<br />

nevrotico per eccellenza. Anche se si può non provarla in quanto rimossa, essa si manifesterà a<br />

chiunque la cerchi sotto forma di irrequietezza, aumentato ritmo del polso, o respirazione<br />

affannosa. Dato che i terapeuti la riscontrano, <strong>come</strong> sintomo basilare, in tutti i pazienti, su di essa<br />

sono fatte teorie ad infinitum. Il trauma della nascita, il soffocamento causato dal grande seno<br />

materno, la 'conversione' della libido, l'aggressività inibita, il desiderio di morte: tutto questo, ed<br />

altro, è apparso agli occhi di studiosi diversi <strong>come</strong> il fenomeno centrale dell'angoscia. Rispetto a<br />

certi casi particolari, ogni teoria è forse corretta; ma l'elemento che tutte queste teorie hanno in<br />

comune e stato trascurato. È un evento psicosomatico semplicissimo. L'angoscia è l'esperienza di<br />

provare difficoltà nel respirare durante qualsiasi eccitazione bloccata. È l'esperienza di cercare di<br />

immettere più ossigeno , nei polmoni immobilizzati dalla contrazione muscolare della cavità<br />

toracica *…+. L'angoscia (da angustia, ristrettezza) si verifica con la costrizione involontaria del<br />

petto. Essa si sviluppa in tutte le situazioni, nevrotiche o meno, in cui l'organismo viene privato<br />

dell'ossigeno adeguato. L'angoscia, pertanto, non è, in se stessa, un sintomo della nevrosi, ma si<br />

manifesta <strong>nella</strong> nevrosi. Noi impieghiamo il termine ‘eccitazione’ per esprimere l'aumentata<br />

mobilitazione di energia che ha luogo in occasione di un interesse e un contatto forti, siano questi<br />

erotici, aggressivi, creativi o altro. Nell'eccitazione vi è sempre un brusco aumento nell'intensità<br />

del processo metabolico di ossidazione delle sostanze nutritive immagazzinate e quindi un bisogno<br />

1 Come si sa, la lingua italiana usa (in modo interscambiabile?) due termini – ‘ansia’ e ‘angoscia’ – mentre la lingua<br />

inglese ha solamente il termine anxiety e il tedesco angst. Tranne alcune precisazioni, userò il termine anxiety<br />

(abbreviato in a.) che, tra l’altro, fa riferimento al testo originale di F. Perls, R. Hefferline, P. Goodman, Teoria e pratica<br />

della Terapia della <strong>Gestalt</strong>, Astrolabio, Roma, 1997 (ed. or. 1951).<br />

2 Ringrazio la <strong>prof</strong>.ssa Agata Pisana e il <strong>prof</strong>. Antonio Sichera per il significativo contributo di confronto e di revisione.<br />

3 «L’angoscia <strong>come</strong> emozione è lo spavento della propria audacia/temerarietà» (mia traduzione) in F. Perls, R.<br />

Hefferline, P. Goodman, <strong>Gestalt</strong> <strong>Therapy</strong>. Excitement and growth in the human personality, in «The <strong>Gestalt</strong> Journal<br />

Press», Highland, NY, 1994, 192


imperioso di più aria *…+ L'organismo sano risponde in maniera semplice aumentando ritmo e<br />

ampiezza della respirazione… Se l’eccitazione in aumento viene soffocata si ha l’a.» 4 .<br />

Contro ogni rischio di reificazione, F. Perls e P. Goodman descrivono dunque l’a. <strong>come</strong> un evento<br />

che accade nel qui-e-adesso e nel corpo. A livello fenomenologico, la restrizione della respirazione<br />

e il venir a mancare dell’aria causano l’a. e da essa, al contempo, derivano. Infatti, <strong>come</strong><br />

‘confermato’ dall’etimologia, siamo di fronte ad un evento particolarmente angosciante perché<br />

accade nel momento in cui l’eccitazione nel corpo va montando a motivo della tensione a<br />

raggiungere uno scopo.<br />

Trattenere il fiato, ovvero limitare la <strong>prof</strong>ondità del respiro, serve a inibire o ridurre la percezione<br />

di sentimenti dolorosi o spaventosi e a bloccare il movimento spontaneo attraverso la tensione<br />

muscolare o la rigidità. Ogni muscolo cronicamente teso rimanda ad un blocco di quei movimenti<br />

pulsatili fondamentali (espansioni e contrazioni, movimenti longitudinali ondulatori), nonché alla<br />

soppressione o alla riduzione di un’emozione. Ovviamente non c’è nulla di patologico nell'arresto<br />

momentaneo della respirazione al presentarsi improvviso di uno stimolo forte. Messo all’erta, un<br />

organismo ferma i propri movimenti osservabili, incluso quello di respirare, al fine di creare la<br />

necessaria attenzione totale per orientarsi verso il nuovo. La patologia insorge quando tale<br />

comportamento di emergenza si cristallizza e di trasforma in habitus, per cui esso viene attivato<br />

anche quando non è necessario. La respirazione non è semplicemente l'atto di inspirare: essa è un<br />

ciclo completo di inspirazione-espirazione. In condizioni normali l'espirare non richiede uno sforzo,<br />

giacché si tratta semplicemente di lasciarsi andare permettendo ai muscoli che sollevano e<br />

abbassano il diaframma di rilassarsi. Ma l'espirazione è, naturalmente, altrettanto importante<br />

quanto l'inspirazione poichè purifica e svuota i polmoni in modo che l'aria fresca possa<br />

nuovamente entrare. La quantità di aria che si può espirare dipende, ovviamente, da quanta ne è<br />

stata inspirata. Chi soffre un disagio psichico non può espirare e inspirare perché mette<br />

inconsapevolmente in atto contro la propria respirazione un sistema di tensioni motorie: contrae il<br />

diaframma contro la tendenza ad ansimare o ad esprimere disgusto, contrae la gola contro la<br />

tendenza a gridare, sporge fuori il petto, trattiene l'aggressività delle spalle, serra i denti, tende i<br />

muscoli addominali, tira indietro il bacino, stringe il retto, ecc. Egli è totalmente incapace di una<br />

espirazione completa. Come aveva intuito lucidamente Reich 5 , è la cronica posizione inspiratoria<br />

ad essere risultato ed espressione dell’a., mentre l’espirazione e il suo prolungamento esprimono<br />

rilassamento e disponibilità all’interazione piena.<br />

In definitiva, anche se l’esperienza globale dell’a. è composta da diversi livelli – vissuti corporei<br />

(mancanza di ossigeno, dispnea, accelerazione del battito cardiaco, contrazione della muscolatura<br />

liscia, ecc.), emozioni (timore, paura), pensieri (di tipo disfunzionale su se stessi o sugli altri) la<br />

scelta di campo della GT è quella di partire dall’esperienza corporea perché è proprio nel corpo (i<br />

cinque sensi, la pelle, le parole) il luogo (il confine di contatto) in cui il sé si posiziona quando deve<br />

4 F. Perls et alii, op. cit., pp.401.402.269<br />

5 Cfr. G. <strong>Salonia</strong>, M. Spagnuolo Lobb (a cura di), Quale Reich influenzò Perls? Intervista a Luigi De Marchi, in «Quaderni<br />

di <strong>Gestalt</strong>», 6/7, 1988, 19-36, in particolare la p.29.


entrare in contatto con l’ambiente. In altre parole, secondo l’assunto fenomenologico, è nei vissuti<br />

corporei che si rende presente la <strong>prof</strong>ondità dell’anima 6 .<br />

1.b L’a. <strong>come</strong> <strong>interruzione</strong> di un episodio di contatto<br />

Naturalmente la fenomenologia corporea dell’ansia non ne esaurisce le forme dell’accadere.<br />

In GT l’ansia si manifesta nel corpo in quanto <strong>interruzione</strong> di un episodio di contatto. Cerchiamo di<br />

capire.<br />

Il mondo interiore/interpersonale del soggetto non è un succedersi lineare e fluido di vissuti, ma<br />

un continuo alternarsi di ‘episodi di contatto’, vale a dire di processi di<br />

formazione/distruzione/ristrutturazione delle <strong>Gestalt</strong> all’interno delle molteplici esperienze di<br />

contatto dell’Organismo con il suo Ambiente. In <strong>Gestalt</strong> <strong>Therapy</strong> si individuano fondamentalmente<br />

due tipi di interazioni 7 : i contatti scontati e i nuovi contatti. Nella prima tipologia vengono<br />

annoverati i contatti ormai divenuti abituali (habitus) e vissuti <strong>come</strong> esperienze conosciute,<br />

familiari (la lingua, le posture, i modi di dire, ecc). Tali contatti compongono (e qui la GT, con una<br />

mossa decisiva, prende a prestito e fa suo il linguaggio della <strong>Gestalt</strong>psycologie) lo sfondo,<br />

quell’indispensabile ground esperienziale fatto di apprendimenti e di sicurezze assimilate. Ma<br />

l’Organismo ha bisogno anche di contatti nuovi per crescere, di interazioni non sperimentate, che<br />

appaiono interessanti, intensamente attraenti perché percepite rispondenti al bisogno di crescita<br />

e di pienezza. Mentre i contatti scontati rispondono al bisogno di sicurezza, quelli nuovi danno<br />

sostanza al bisogno di rischio, di scoperta di novità, di sperimentazione delle possibilità soggettive<br />

(dece<strong>nni</strong> dopo, la Mahler parlerà di «ancoraggio affettivo e comportamento esplorativo» 8 ). Ora, se<br />

la qualità dei contatti è buona, l’Organismo cresce e si realizza. Se i contatti non sono ‘buoni’,<br />

l’Organismo si ammala.<br />

Ma per comprendere cosa rende nutriente un contatto è necessario descrivere le fasi del suo<br />

svolgimento. Ogni contatto si dispiega, infatti, lungo un continuum temporale racchiuso tra un<br />

inizio e una conclusione. Infatti, quando l’O. avverte il desiderio di cambiare qualcosa nel rapporto<br />

con l’A. e fa sua questa intenzionalità relazionale, esso si mette in azione per entrare in contatto<br />

con il proprio A. Da questo momento in poi la storia del processo di contatto è quella di un ‘corpo<br />

a corpo’ tra l’intenzione dell’O. e le esigenze dell’A., che sfocia infine 9 in un contatto, dopo il quale<br />

l’episodio si chiude. Se alla fine di questo itinerario l’O. per un verso (e l’A.per altri) avvertiranno<br />

un intimo senso di soddisfazione, allora la qualità dell’interazione è stata buona. Al contrario,<br />

quando l’episodio di contatto non è portato a termine in modo pieno, il contatto non risulta<br />

nutriente ma frustrante.<br />

6 G. <strong>Salonia</strong>, La psicoterapia della <strong>Gestalt</strong> e il lavoro sul corpo. Per una rilettura del fitness, in S. Vero, Il corpo<br />

disabitato. Semiologia, fenomenologia e psicopatologia del fitness, Franco Angeli, Milano, 2008.<br />

7 Cfr. Perls et alii, op. cit.; G. <strong>Salonia</strong>, Tempi e modi di contatto, in «Quaderni di <strong>Gestalt</strong>», 8-9, 1989, 55-64.<br />

8 Cfr M.S. Mahler, F. Pine, A. Bergman, La nascita psicologica del bambino, tr. it., Boringhieri, Torino 1978.<br />

9 “Fase del contatto finale. Come si sa, il ‘finale’ sta per ‘finalmente!’ ”, in G. <strong>Salonia</strong>, “Tempi e modi di contatto”,<br />

“Quaderni di <strong>Gestalt</strong>», 8/9, 1989, 55-64, p.60.


Segno (e causa) del fallimento del contatto è appunto l’ansia, che ne interrompe la sequenza,<br />

bloccando la crescita dell’O. Questo verbo – “interrompere” – costituisce la cifra ermeneutica della<br />

psicopatologia gestaltica. Ogni malessere psichico, infatti, in GT viene letto <strong>come</strong> <strong>interruzione</strong> di<br />

uno specifico episodio di contatto. Interrompere e bloccare un percorso già intrapreso (e<br />

l’eccitazione ad esso correlata) diventa fonte di ansia e non permette all’O. di portare a termine la<br />

propria intenzionalità, ovverossia di crescere. Giungiamo qui ad un altro nucleo essenziale della<br />

teoria gestaltica dell’ansia: rileggere l’a. <strong>come</strong> <strong>interruzione</strong> di un percorso significa ridarle<br />

sequenzialità e direzionalità, portando alla luce l’energia in essa contenuta. Ma <strong>come</strong> agisce in<br />

concreto l’ansia all’interno del processo di contatto? Come lo disturba?<br />

Intanto l’a. evita il gesto prossimo. Nell’<strong>interruzione</strong> di contatto, l’eccitazione attivata per<br />

raggiungere lo scopo relazionale cambia qualità e diventa angoscia, cambia la direzione e blocca<br />

l’andare avanti verso una meta. In concreto, viene evitato il next step, il ‘gesto prossimo’, quello<br />

che avrebbe permesso all’O. di continuare verso il proprio completamento l’intenzionalità di<br />

contatto. Il gesto bloccato è, a livello fenomenologico, un gesto preciso (e non uno qualsiasi) che<br />

non può essere sostituito da altri gesti (<strong>come</strong> la parola di una poesia non può essere sostituita da<br />

sinonimi) 10 . Quando l’O. si mette in azione per portare avanti un episodio di contatto, esso<br />

instaura una sequenzialità di gesti che si succedono, passo dopo passo, fino al contatto pieno<br />

(Erving Polster ce ne ha dato una magnifica descrizione 11 ). L’intenzionalità instaura una sorta di<br />

‘spontaneità ineluttabile’ per cui all’interno del processo ogni gesto è <strong>come</strong> intimamente<br />

direzionato verso il proseguimento della sequenzialità. Ciò non turba la spontaneità della<br />

sequenza, perché i gesti rimangono imprevedibili (è la regola dell’azione mediana – attiva e<br />

passiva, insieme 12 – che presiede la logica del gioco, per cui si può affermare che è vero che si<br />

gioca ed è altrettanto vero che si è giocati). Se il processo si interrompe, il gesto mancato – di cui il<br />

soggetto non è consapevole – rimane presente a livello subliminale <strong>nella</strong> memoria corporea (il<br />

corpo, infatti, era pronto per compierlo) e si carica di tutta l’eccitazione che ha bloccato il<br />

cammino verso il contatto pieno e che si trasforma in ansia ogni volta che il desiderio riemerge. Ci<br />

vogliono spesso tempi lunghi in terapia per ritrovare il ‘gesto bloccato’ delle prime (in senso<br />

teleologico e non archeologico) interruzioni.<br />

I gesti che il soggetto compie in preda all’ansia diventano sintomi di malessere perché sono<br />

‘instead of’ (stanno a posto di altri gesti). Il sintomo è infatti una parola ‘errata’ nei contenuti ma<br />

vera nel proprio sofferto rimando ad un contesto relazionale: il sintomo è, in ultima analisi,<br />

l’appello alla conclusione dell’episodio di contatto 13 .<br />

10 G. <strong>Salonia</strong>, La psicoterapia della <strong>Gestalt</strong> e il lavoro sul corpo, op. cit.<br />

11 E. Polster, Ogni vita merita un romanzo. Quando raccontarsi è terapia, Astrolabio, Roma, 1988.<br />

12 Cfr. F. Perls et alii, op. cit.; A. Sichera, Un confronto con Gadamer: per una epistemologia ermeneutica della <strong>Gestalt</strong>,<br />

in Spagnuolo Lobb M. (a cura di), Psicoterapia della <strong>Gestalt</strong>. Ermeneutica e Clinica, Franco Angeli, Milano, 2001, 17-41.<br />

13 Un’attenzione particolare merita il ‘gesto atteso’. Se un bambino è seduto vicino alla madre e si aspetta una carezza,<br />

il suo corpo trattiene il respiro, si concentra e diventa allertato in attesa che il gesto accada. Ogni gesto della madre<br />

sarà decodificato sull’asse: carezza/non carezza. Se questo episodio si ripete, potrà accadere che il ragazzo ogni volta<br />

che si accosta alla madre, magari in specifiche situazione, sentirà il corpo contrarsi, il fiato sospeso, ma ha dimenticato<br />

la ragione di questa ansia di attesa che non gli permetterà di vivere con pienezza i nuovi episodi di contatto offerti dal<br />

presente relazionale. Cfr. G. <strong>Salonia</strong>, La psicoterapia della <strong>Gestalt</strong> e il lavoro sul corpo, op. cit.


Parlare di ‘gesto mancato’ o di ‘gesto atteso’ potrebbe far sorgere l’equivoco che l’a. interrompa<br />

unicamente dei comportamenti. La GT, in realtà, è interessata ai comportamenti della persona in<br />

quanto contengono ed esprimono dei vissuti corporeo-relazionali. I vissuti in GT hanno infatti tre<br />

caratteristiche: sono corporei (segnati e visibili nel corpo), relazionali (direzionati verso l’altro) e<br />

temporali (presenti in un qui-e-adesso evolutivo perché inscritto in un prima o in un dopo che<br />

segna l’episodio di contatto). Se due partners sono impegnati in una conversazione telefonica e ad<br />

un tratto cade la linea, l’<strong>interruzione</strong> è ovviamente solo comportamentale e non riguarda i<br />

processi di contatto. Se, invece, mentre parlano al telefono uno dei due si sente offeso e non lo<br />

esplicita ma continua la conversazione riducendo sempre più lentamente il proprio interesse verso<br />

di essa, il processo di contatto è stato interrotto anche se le interazioni verbali continuano. In<br />

definitiva, nell’a. dunque vengono interrotti dei vissuti corporeo-relazionali nel corso della loro<br />

evoluzione.<br />

1c. ‘Perché’ l’a.<br />

Una volta descritta la fenomenologia corporea dell’ansia e il suo manifestarsi in rapporto<br />

all’<strong>interruzione</strong> del processo di contatto, ci resta da chiarire il ‘perché’ del suo advenire in GT. In<br />

verità, per poter intraprendere l’avventura di un nuovo contatto con l’Ambiente, l’Organismo ha<br />

bisogno di essere sostenuto da tre specifiche emozioni: l’attrazione, la paura e il coraggio.<br />

L’attrazione rivela che il nuovo contatto intravisto è interessante per l’Organismo; la paura ricorda<br />

la necessità di circospezione, perché si tratta di un’esperienza nuova; il coraggio 12 dà la spinta, la<br />

forza per andare avanti. Queste tre emozioni sono sostenute dall’eccitazione 14 che crescit eundo,<br />

ma il loro destino è diverso. L’attrazione rimarrà sempre presente anche se l’Organismo non<br />

dovesse raggiungere lo scopo; la paura ha un andamento in crescendo e scompare nel momento<br />

in cui l’Organismo raggiunge pienamente l’A; il coraggio è esposto al rischio di venir meno in<br />

qualsiasi momento della sequenza. Quando il coraggio viene travolto dalla paura, allora si<br />

manifesta l’ansia. In sostanza, l’eccitazione che sosteneva il progresso verso lo scopo non riceve<br />

l’ossigeno necessario e si muta in angoscia. Anche nei casi in cui sembra che l’Organismo non<br />

avverta alcuna paura nel creare un contatto nuovo, in realtà la sta semplicemente rimuovendo,<br />

<strong>come</strong> dimostrano alcuni segni (sottili tensioni corporee, desensibilizzazioni totali in alcune zone,<br />

euforia fatua che sostituisce il coraggio, distorsioni percettive che non fanno vedere gli aspetti<br />

nuovi dell’interazione).<br />

È lecito chiedersi: <strong>come</strong> mai la paura travolge l’O.? O, in termini corporei, <strong>come</strong> mai invece di<br />

produrre maggiore ossigeno per andare avanti nell’episodio di contatto l’O. si blocca e non<br />

respira? Angela ha sette a<strong>nni</strong> ed è tutta euforica perché la mamma la sta portando a casa di<br />

un’amica che festeggia il compleanno. Arrivate <strong>nella</strong> stanza vede il gruppetto delle amiche e, con<br />

tutto il suo corpo, è pronta per andare mentre tiene stretta la mano della mamma. La mamma<br />

14 Energia che include la respirazione.


incontra un’amica, lascia la mano di Angela e si ferma per parlare. Angela rimane sola. Guarda le<br />

amiche. Non ha il coraggio di andare da loro. Il suo respiro si interrompe, comincia a sgonfiarsi, il<br />

petto si collassa, il corpo si ritrae lentamente e – mi racconterà lei quindici a<strong>nni</strong> dopo – si sente<br />

triste e comincia a pensare “stanno ridendo di me”.<br />

La mano e la presenza della madre avrebbero permesso ad Angela di restare sintonizzata con il<br />

coraggio e l’attrazione, aiutandola ad attraversare la paura . È il sostegno adeguato e specifico 15<br />

delle figure genitoriali 16 che genera l’autosostegno: nel momento difficile il bambino riceve dalla<br />

figura genitoriale quella presenza (corporea) che gli permette di sentire la propria forza per andare<br />

avanti e giungere alla meta desiderata. Il coraggio ‘sostenuto’ vince la paura. In altre parole, l’a.<br />

rivela l’assenza nell’O. di un intimo auto sostegno che non si è costruito per la mancanza dello<br />

specifico sostegno ambientale. Usando l’aggettivo ‘specifico’ intendo sottolineare che il sostegno<br />

dell’Ambiente deve essere ‘adeguato’ sia per l’età del bambino sia per il momento preciso<br />

dell’episodio di contatto (inizio, metà, fine) in cui va dato.<br />

L’analisi dell’evento-ansia mette dunque in crisi la legge psicologica (invero un po’ semplicistica)<br />

per cui l’uomo si muove unicamente per ricercare il piacere ed evitare il dolore. La situazione è, in<br />

realtà, più complessa. Si dà, prima ancora del raggiungimento del piacere, un bisogno intimo di<br />

sentirsi adeguati alle situazioni, una sorta di senso della propria integrità che, ad un metalivello,<br />

diventa competenza indispensabile per portare avanti un episodio di contatto (al di là del fatto che<br />

in esso siano implicati emozioni e sentimenti dolorosi o piacevoli). Ad esempio, non pochi disturbi<br />

sessuali evidenziano <strong>come</strong> l’Organismo, che non ha avuto il sostegno adeguato, pur essendo<br />

attratto dal piacere, può aver paura dell’incrementarsi dell’eccitazione (necessaria per raggiungere<br />

la pienezza del piacere), bloccarla e sentire poi la frustrazione di avere interrotto il percorso verso<br />

la pienezza. Al di là del piacere e del dolore, è necessario per l’Organismo aver maturate, grazie al<br />

sostegno ambientale, la capacità di essere audace/temerario per poter arrivare all’esperienza<br />

della pienezza, decisiva per la crescita dell’Organismo. Fare emergere dall’evento-ansia la ricerca,<br />

il tendere interrotto verso la pienezza, è il primo passo di ogni intervento psicoterapeutico.<br />

Le radici nell’ansia affondano dunque in una mancanza di adeguato sostegno nell’avventura del<br />

contatto che ne comporta l’<strong>interruzione</strong> e il blocco corporeo del ciclo respiratorio. Ma la patologia<br />

accade, com’è ovvio, se la situazione produttrice di ansia persiste e si prolunga. Allora, infatti, il<br />

disturbo della respirazione si struttura <strong>nella</strong> tensione toracica e addominale. Il compito incompiuto<br />

(effetto Zeigarnik 17 ) resta presente e attivo nello sfondo corporeo-relazionale. Come sintetizza<br />

Goodman, «ciò che non si completa si perpetua» 18 . Tali <strong>Gestalt</strong> aperte nello sfondo interferiscono<br />

con la formazione di nuove figure. Se non ho elaborato il rapporto con mio padre e le eventuali<br />

interruzioni del processo di contatto connesse alla mia relazione con lui, tutte le volte che entrerò<br />

in rapporto con un ‘rimando’ alla figura paterna, ad un certo momento accadrà ansia e, senza che<br />

15<br />

Cfr. M. Spagnuolo Lobb, Il sostegno specifico nelle interruzioni di contatto, in «Quaderni di <strong>Gestalt</strong>», 1990, n.10/11,<br />

pp.17-41.<br />

16<br />

Per ‘figura genitoriale’ intendo una persona che si prende cura del bambino in modo continuativo ed intimo.<br />

17<br />

Cfr. U. Galimberti, Enciclopedia di psicologia, Garzanti, Torino, 1999, p.109.<br />

18 F. Perls et alii, op. cit.


me ne accorga, distorsione percettiva. Di conseguenza il mio nuovo rapporto non sarà pieno e<br />

nutriente.<br />

2. MICROANALISI DELLE INTERRUZIONE DELL’EPISODIO DI CONTATTO: LE VARIE FORME<br />

DELL’ANXIETY<br />

Le due angosce esistenziali 19<br />

Ci siamo finora soffermati sulla teoria dell’ansia nelle sue coordinate generali, ma in GT viene<br />

effettuata un’analisi ‘al microscopio’ delle interruzioni di contatto e della relativa manifestazione di un<br />

vissuto di ansia. Per capire questo punto è necessario partire da più lontano. L’enfasi che la GT pone sul<br />

contatto O.-A. ha <strong>prof</strong>onde radici antropologiche e cliniche. L’episodio di contatto, infatti, rappresenta<br />

l’avvenimento vertice della crescita umana: l’uomo, progettato <strong>come</strong> essere-nel-mondo, cresce se entra in<br />

interazione nutritiva con l’Ambiente. La crescita altro non è se non un susseguirsi di contatti nutrienti. Per<br />

essere capaci di contatto nutriente, si richiedono fondamentalmente due competenze: la capacità di essere<br />

pienamente se stessi e quella di sapersi relazionare con l’altro. Un contatto in cui il soggetto non sia<br />

pienamente se stesso si riduce ad una relazione di dipendenza o di asservimento; se invece il soggetto è<br />

centrato unicamente su se stesso, le sue relazioni saranno autistiche o narcisistiche. Solo quando un<br />

soggetto può essere pienamente se stesso di fronte all’altro (all’Ambiente) e può sentire di fronte a sé l’altro <strong>nella</strong><br />

sua realtà e integrità, allora egli non ha più il bisogno ossessivo di idealizzare, di attaccarsi, di dipendere, di<br />

contrapporsi, di fuggire o di isolarsi, ma potrà incontrare il Tu in maniera piena e nutriente. Per maturare tali<br />

competenze il soggetto deve attraversare ed elaborare le due grandi angosce dell’esistenza: l’angoscia di<br />

separarsi per poter essere se stessi (l’ansia di dire ‘Io’) e l’angoscia di consegnarsi per appartenere ( l’ansia<br />

del ‘noi’, ‘io-tu’). Come a dire: fiducia in se stessi (senso della propria integrità) e fiducia adulta<br />

nell’Ambiente 20 .<br />

Se si osserva, in un ritmo di microanalisi, l’arco di svolgimento di un episodio di contatto, ci si accorge che<br />

lungo il succedersi delle fasi queste due competenze emergono e si congiungono progressivamente: l’O.<br />

deve prima essere capace di integrità e di spontaneità (per poter dire: ‘Io sento e voglio questo’) e, in un<br />

secondo momento, deve saper decidere di consegnarsi all’incontro con l’altro (dall’Io al Noi). In un certo<br />

qual modo è <strong>come</strong> se in ogni episodio di contatto si ripetessero e rinnovassero le fasi arcaiche della<br />

crescita: separarsi, differenziarsi, consegnarsi e ritornare ‘cresciuti’ a se stessi. La mancanza di sostegno<br />

19 «Nel background dell'elaborazione delle angosce in P. Goodman sono determinanti le riflessioni di Otto Rank su eros e<br />

agape, sulla tendenza all'autorealizzazione da una parte e al consegnarsi con le rispettive paure dall'altra: paura della vita <strong>come</strong><br />

paura dell'autonomia e paura della morte <strong>come</strong> paura dell'appartenenza» in G. <strong>Salonia</strong>, Tempo e Relazione. L’intenzionalità<br />

relazionale <strong>come</strong> orizzonte ermeneutico della Psicoterapia della <strong>Gestalt</strong>, in M. Spagnuolo Lobb (a cura di), Psicoterapia<br />

della <strong>Gestalt</strong>. Ermeneutica e Cinica, Franco Angeli, Milano, 2001, 65-84; Cfr. anche E. Becker, Il rifiuto della morte,<br />

Paoline, Roma 1982<br />

20 Si tratta, in realtà, dei due compiti evolutivi (andare ‘dal noi all’io’ e ‘dall’io all’io-tu’), descritti dalla teoria evolutiva della GT e<br />

confermati, in questi ultimi a<strong>nni</strong>, dalle teorie dell’Infant Research. Cfr. G. <strong>Salonia</strong>, Dal noi all’Io-Tu: un contributo per una<br />

teoria evolutiva del contatto, in «Quaderni di <strong>Gestalt</strong>», 8-9, 1989, 8-45.


interrompe il cammino dell’Organismo verso l’Ambiente: a seconda della fase <strong>nella</strong> quale avviene tale<br />

<strong>interruzione</strong> l’a. presenta forme diverse e si configurano differenti forme di disagio psichico.<br />

La specificità del disagio è strettamente connessa al tempo del contatto 21 , ovvero al momento del<br />

processo in cui l’<strong>interruzione</strong> accade:<br />

A. L’ansia di avvertire il nuovo (confluenza disfunzionale).<br />

Un episodio di contatto prende avvio quando l’O. avverte la sensazione corporea di un bisogno di<br />

cambiamento. Se in questa fase l’O. non riceve il sostegno adeguato, esso nega le sensazioni che il suo<br />

corpo avverte, rimanendo aggrappato all’esperienza <strong>nella</strong> quale si trova e che non riesce a concludere<br />

sebbene non sia più attuale e nutriente. In GT si dice che l’O. è bloccato in una confluenza disfunzionale che<br />

può essere nevrotica o grave. Nella confluenza psicotica, ad esempio, non esistono confini di contatto ben<br />

definiti tra corpo-casa-cosmo, le tre aree di differenziazione che strutturano il rapporto O./A. L’O. non<br />

avverte nemmeno l’insorgere di un nuovo bisogno. «Nella confluenza — hanno scritto Perls e Goodman 22<br />

— il ‘sé che si concentra’ si sente circondato da un’oscurità oppressiva» e «non è consapevole di<br />

nulla e non ha nulla da dire». Non c'è , quindi, alcun contatto con l'eccitazione: l’ambiente e<br />

l’organismo si appiattiscono; si avvertono solamente stati d'animo di noia, mancanza di energia, bisogno<br />

eccessivo di sicurezza, indisponibilità a reagire alle richieste dell’ambiente. L’organismo asserisce di<br />

star bene, ma in realtà si tratta di una <strong>prof</strong>onda desensibilizzazione che si manifesta anche a livello<br />

corporeo.<br />

B. L’ansia di identificare le sensazioni (fase dell’orientamento).<br />

Se l’emergere delle sensazioni non è stato interrotto, inizia la seconda fase, ossia il processo di<br />

identificazione del bisogno e di orientamento sul da farsi. Se l’<strong>interruzione</strong> accade in questo<br />

momento, invece di fidarsi della propria spontaneità il soggetto si attacca in modo inconsapevole e rigido<br />

a ‘introietti’ (i ‘devi’, gli ‘idola’ di baconiana memoria) ingoiati. Non essendo (stato) incoraggiato a fidarsi<br />

della propria spontaneità, egli è travolto dalla paura di sbagliare e diventa dipendente in modo<br />

acritico dall’A. Perls direbbe: non mastica il cibo per mancanza di fiducia nei propri denti 23 . Per<br />

questo l’O. nega il proprio gusto e si fa guidare da valutazioni e gusti non suoi e non assimilati. È un<br />

processo talmente inconsapevole che, ad un certo punto, egli «giustifica <strong>come</strong> normale ciò che il sé<br />

che si concentra sente <strong>come</strong> corpo alieno che vuole rigettare» 24 . A livello corporeo, l’<strong>interruzione</strong> (e<br />

quindi l’a.) crea sorrisi forzati, desensibilizzazione del palato, bacino arretrato, nausea, incapacità<br />

di masticare il cibo fino in fondo (l’alcolismo rientra in questa fase <strong>come</strong> molte altre dipendenze).<br />

C. L’ansia di avvertire l’eccitazione (fase della manipolazione).<br />

Quando l’Organismo comincia ad identificare il bisogno avverte contestualmente un crescendo<br />

dell’eccitazione e dell’energia necessarie per mettersi in movimento verso l’Ambiente. Aumenta l’ampiezza<br />

del respiro, cresce l’energia, percepisce il corpo attivato. Sentire di avere a disposizione tanta energia<br />

21 G. <strong>Salonia</strong>, Tempi e modi di contatto, op. cit; G. <strong>Salonia</strong>, Disagio psichico e risorse relazionali”, «Quaderni di <strong>Gestalt</strong>»,<br />

32-33, 2001, 13-22; I. Bloomberg, Lavoro corporeo <strong>nella</strong> terapia della <strong>Gestalt</strong>. Concezione e pratica di sviluppo<br />

terapeutico, «Quaderni di <strong>Gestalt</strong>», n.6-7, 1988, 68-93.<br />

22 F. Perls et alii, op. cit., p.267<br />

23 F. Perls, L’Io, la fame, l’aggressività, Franco Angeli, Milano, 1995<br />

24 F. Perls et alii, op. cit., p.267


intensifica la paura di non sapere <strong>come</strong> andrà a finire. Iniziano i movimenti direzionati verso il confine di<br />

contatto. Se l’Organismo è sostenuto, si fida della propria energia e va avanti. Senza il sostegno specifico di<br />

questa fase (sentirsi contenuti da una presenza anche corporea rassicurante), di fronte all’eccitazione l’O. si<br />

sentirà troppo piccolo: <strong>come</strong> se il suo schema corporeo si fosse rimpicciolito e avesse arretrato i propri<br />

confini. A questo punto l’eccitazione viene avvertita <strong>come</strong> insopportabile e l’O. non la riconosce <strong>come</strong><br />

propria ma la attribuisce bensì all’A. Le sue eventuali azioni risultano inappropriate perché finalizzate a<br />

scaricare la tensione e non a raggiungere una meta. L’O. si ostina a cercare fuori di sé, nell’Ambiente, la fonte<br />

dell’energia che non riesce a sentire <strong>come</strong> propria. Questo lo rende provocatorio, quasi a confermare che<br />

l’emozione è stata provocata dall’esterno. «Nella proiezione, il nevrotico è convinto dell'evidenza<br />

sensoriale laddove il sé che si concentra sente una lacuna dell'esperienza» 25 . La contrazione oculare<br />

(occhi offuscati o spalancati, fissi e vuoti nello stesso tempo) è un tipico segno corporeo di tale<br />

<strong>interruzione</strong> del ciclo di contatto. Un esempio per chiarire: mentre la mamma sta asciugando<br />

Laura, questa, ad un tratto comincia a piangere e a gridare ripetutamente: «Mamma, mi fai<br />

cadere!». La mamma cerca di spiegarle che le vuole bene e che non può farla cadere, ma Laura<br />

insiste. Ad un tratto, la bambina stringe la manina al braccio della madre, e lei capisce: «Gioia, hai<br />

paura», le dice accogliente. Laura si placa. Dopo, Laura divertita inizierà il gioco cado/non cado.<br />

D. L’ansia di consegnarsi (retroflessione).<br />

Se il bisogno è stato identificato, l'eccitazione ha raggiunto l’intensità richiesta, l'Organismo ha sentito<br />

<strong>come</strong> proprie l’emozione e l’eccitazione ed è pronto all’azione decisiva del contatto: consegnarsi – per<br />

tanto o per poco – all’altro. La paura raggiunge il suo livello più alto ma anche il coraggio è presente. Se<br />

il sostegno sarà disponibile, allora il coraggio vincerà sulla paura ed avverrà (finalmente!) il contatto, la<br />

crescita dell’O. Mancando il sostegno specifico (una presenza disponibile ma non oppressiva o<br />

richiedente), l’O. si sentirà travolto dalla paura di un incontro nel quale gli sarà richiesto troppo e<br />

sentirà sfiducia nell’A., che percepirà piccolo e richiedente. Proprio in prossimità del contatto finale<br />

bloccherà il percorso verso l’altro e si ritirerà sfiduciato. L'energia, pronta per andare verso l’A.,<br />

invertirà la propria direzione e si ritorcerà verso l’O. stesso. Esso si sentirà costretto a fare da solo, a<br />

dichiararsi autosufficiente, a fare a se stesso e con se stesso quello che avrebbe voluto fare all’A. In<br />

modo particolare, viene vissuta <strong>come</strong> distruttiva e umiliante l’esperienza del rifiuto e della perdita di<br />

controllo del contatto. «Nella retroflessione, il nevrotico è indaffarato ed impegnato, laddove il sé che si<br />

concentra si sente lasciato fuori, escluso dall'ambiente» 26 . Da punto di vista corporeo, l’a. diventa<br />

manipolazione e contrazione inconsapevole dei muscoli. L’aggressività o la sessualità finiranno<br />

per essere rivolte contro/verso se stessi: l’O. travolto dalla fobia del legame e dalla paura di<br />

ferire e di essere feriti preferisce sdoppiarsi in O. e A., corpo che avverte il movimento ossia la<br />

spinta in avanti e corpo che al contempo la subisce.<br />

3.IL PRENDERSI CURA TERAPEUTICO NELLA GESTALT THERAPY<br />

25 Ibidem<br />

26 Ivi, p.268


A questo punto, non resta che tentare di rispondere alla domanda terapeutica. Cerchiamo di<br />

capire, cioè, <strong>come</strong> in GT si pensa e si pratica la cura dell’ansia (e dell’<strong>interruzione</strong> di contatto ad<br />

essa specificamente correlata) in terapia. Nel modello della GT la cura può essere descritta <strong>come</strong><br />

la co-costruzione di una relazione <strong>nella</strong> quale il paziente diventa, progressivamente, consapevole<br />

dei modi e dei tempi in cui egli interrompe (<strong>nella</strong> terapia e <strong>nella</strong> vita ) l’episodio di contatto e<br />

matura – attraverso il sostegno specifico del terapeuta – la capacità di essere pienamente se<br />

stesso per realizzare contatti nutrienti con l’A. Sin dai suoi inizi la GT ha dato valore primario alla<br />

relazione, partendo dall’assunto che ogni blocco intrapsichico si forma in una relazione primaria, si<br />

riattualizza <strong>nella</strong> relazione attuale ed è curato all’interno di una relazione terapeutica. Oggi la<br />

dimensione relazionale ha assunto valore centrale <strong>nella</strong> maggior parte degli approcci terapeutici e<br />

ha ricevuto conferme dalle ricerche sull’efficacia della terapia, nonché dalle scoperte delle<br />

neuroscienze. Il termine ‘relazionale’, nel mondo della psicoterapia (e non solo), viene usato in un<br />

modo così pervasivo da rischiare di perdere la ricchezza delle differenze (a volte più intriganti delle<br />

convergenze). Per tale ragione metterò propedeuticamente in luce alcune caratteristiche<br />

specifiche della relazione terapeutica in GT, per poi passare alla questione del sostegno specifico<br />

dell’ansia.<br />

In primo luogo bisogna rilevare <strong>come</strong> il terapeuta della GT, consapevole del fatto che ogni<br />

descrizione di patologia rischia di trasformarsi in ‘tipologia’ e di far perdere la freschezza<br />

dell’incontro, si accosta al paziente non con l’atteggiamento di chi deve scoprire dentro quale<br />

patologia classificarlo ma pienamente sveglio e attento per vivere l’esperienza di un incontro<br />

umano colto e gustato in tutte le sue sfumature. Mantenendo nello sfondo gli orientamenti<br />

diagnostici (che hanno la funzione di indicare la strada e non di descrivere il paziente), egli si<br />

centra sulle risonanze proprie e del paziente nello svolgersi della seduta. Come hanno riconosciuto<br />

anche gli ultimi studi della teoria sulle relazioni oggettuali 27 , la relazione terapeuta-paziente non<br />

può essere pensata ‘in vitro’ ma deve mantenere le caratteristiche di una relazione tra umani. Il<br />

terapeuta <strong>nella</strong> GT vive la relazione anche nei suoi aspetti positivi: valorizza, conferma, dà<br />

sostegno. Nel momento in cui emerge un blocco e la relazione perde la spontaneità nonché il suo<br />

fluire verso una meta, allora egli focalizza quello che accade e insieme al paziente si chiede <strong>come</strong> si<br />

stia interrompendo un processo di incontro umano. In questo senso, il terapeuta della GT<br />

s’interessa non solo e non tanto dell’here and now bensì del next step, e cioè del ‘dove stavamo<br />

andando?’, ‘qual era il prossimo passo prima del blocco?’. L’attenzione del terapeuta rimane<br />

focalizzata sulla presenza: in che modo egli si sente presente; in che modo il paziente si sente<br />

presente; <strong>come</strong> e quando si perde la freschezza e la spontaneità della presenza.<br />

Un secondo elemento di specificità risiede <strong>nella</strong> teoria del confine di contatto. L’interesse della GT<br />

per il contatto si concretizza nel focalizzare quel luogo in cui O. e A., <strong>nella</strong> fattispecie terapeuta e<br />

paziente, si incontrano 28 . In termini buberiani potremmo pensare il confine di contatto <strong>come</strong> una<br />

‘traità’, uno spazio dinamico relazionale che si costruisce di volta in volta quando l’O. e l’A. si<br />

27 Cfr, S. Mitchell, Il modello relazionale: dall’attaccamento all’intersoggettività, Raffaello Cortina, Milano, 2002.<br />

28 Cfr. G. <strong>Salonia</strong>, M. Spagnuolo Lobb, A. Sichera, Postfazione alla edizione del 1997 di F. Perls, R. Hefferline, P.<br />

Goodman, Teoria e pratica della Terapia della <strong>Gestalt</strong>, op. cit.


incontrano. Tale concetto si differenzia in modo netto sia dall’empatia (di Jaspers 29 , di Rogers 30 ,<br />

dell’antropofenomenologia 31 , dei ‘neuroni specchio’ 32 ) che dall’analisi del doppio transfert 33 , in<br />

quanto non pone il proprio centro su cosa sente il paziente, bensì su quel che accade – a livello di<br />

vissuti reciproci – tra terapeuta e paziente 34 . Nella GT il terapeuta si chiede cosa è accaduto/sta<br />

accadendo tra noi due? Come i nostri rispettivi vissuti si autoregolano reciprocamente? Come<br />

immettere il mio eventuale fastidio <strong>nella</strong> nell’intreccio dei reciproci vissuti?<br />

Il terzo aspetto precipuo della GT è l’intenzionalità relazionale. Ogni contatto inizia infatti con<br />

un’intenzionalità relazionale. In effetti l’episodio di contatto altro non è che il dispiegarsi di<br />

un’intenzionalità di contatto che si intreccia con l’intenzionalità relazionale dell’altro.<br />

L’intenzionalità può essere interrotta ma non si perde mai. In questo senso si può affermare che<br />

ogni a. è il fremere di un’intenzionalità relazionale bloccata. Nella GT ogni seduta ha una direzione,<br />

c’è <strong>come</strong> un punto verso cui converge l’intenzionalità del paziente prima, e del terapeuta poi.<br />

29 Cfr. K. Jaspers, Psicopatologia generale, Il pensiero Scientifico, Roma,1964 (ed. or. 1960).<br />

30 Cfr. C. Rogers, Terapia centrata sul cliente, Giunti-Martelli, Firenze, 1970.<br />

31 B. Callieri, Lineamenti di psicopatologia fenomenologica, Mondatori, Milano, 1999; E. Borgna, L’arcipelago delle<br />

emozioni, Feltrinelli, Milano, 2002.<br />

32 G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina, Milano, 2006.<br />

33 Cfr. A. Carotenuto, La colomba di Kant, Bompiani, Milano, 1986.<br />

34 Facciamo qualche esempio, che illustrerà questo aspetto che è proprio della GT. Inizio con il verbatim di un brano di<br />

seduta di O. Gabbard (G.O. Gabbard, Mente, cervello e disturbi di personalità, in «Psicoterapie e Scienze Umane»,<br />

2006, XL, 1, pp.9-24). «La signora A era una paziente di 28 a<strong>nni</strong> con un disturbo di personalità borderline trattato con<br />

psicoterapia psicodinamica. Circa 6 mesi dopo l'inizio della terapia, un evento apparentemente minore in seduta caus6<br />

un'importante reazione <strong>nella</strong> signora A. Circa 5 minuti dalla fine della seduta, la signora A stava parlando del fatto che<br />

aveva visitato la famiglia durante le feste del Ringraziamento. Si era sentita poco importante per il padre perche lui era<br />

sembrato molto più interessato alle attività del fratello che alle sue. Durante questo discorso io guardai l'orologio alla<br />

parete perche sapevo che stava per finire la seduta, e volevo vedere se avevo il tempo per fare un'osservazione sulla<br />

sua supposizione riguardo i sentimenti di suo padre nei suoi riguardi. La signora A smise di parlare e guardò il<br />

pavimento. Le chiesi che cosa c'era che non andava. Dopo qualche secondo di silenzio scoppiô in lacrime e disse: “Non<br />

aspetta altro che me ne vada dal suo studio! Mi spiace annoiarla! So da molto tempo che lei non mi sopporta e fa<br />

questo lavoro solo per i soldi. Se vuole me ne vado!”. Fui colto alla sprovvista e replicai, in una certa misura<br />

difensivamente, che stavo semplicemente controllando l'orologio perche volevo essere sicuro di aver tempo di dire<br />

qualcosa prima della fine della seduta. La signora A replica dicendo: “Bel tentativo di cavarsela! Pensa che io ci<br />

creda?”. Ancora pia difensivo, esclamai enfaticamente: “Che lo creda o no, questa è la verità!”. La signora A fu<br />

durissima: “Ho visto quel che ho visto”. Mettendo la sua mano fermamente sul tavolo di legno vicino alla sedia, alza la<br />

voce: “È <strong>come</strong> se lei mi dicesse che questo tavolo non è fatto di legno!”. Sentendomi incompreso tanto quanto lei,<br />

continuai: “Tutto ciò che dico è questo: a possibile che io abbia guardato l'orologio per ragioni diverse da quelle che<br />

mi attribuisce, giusto <strong>come</strong> lei potrebbe fare delle supposizioni su suo padre”. La signora A divenne sempre pia<br />

insistente in risposta ai miei sforzi di offrirle altre ipotesi: “Ora sta cercando di dirmi che io non vidi ciò che vidi!<br />

Almeno potrebbe ammetterlo!”. Dopo tale verbatim, Gabbard fa un lungo commento sostenendo che “una delle più<br />

grandi sfide per lo psicoterapeuta a gestire queste convinzioni simil-deliranti di alcuni pazienti borderline… Questo<br />

fallimento di mentalizzazione può far si che diventi estremamente difficile lavorare sul transfert». Si tratta ovviamente<br />

di considerazioni interessanti. Vediamo adesso la prospettiva della GT che focalizza cosa è avvenuto <strong>nella</strong> traità tra<br />

terapeuta e paziente. Un terapeuta gestaltista avrebbe forse detto alla paziente: “In un certo senso lei ha ragione. Tra<br />

noi è successo ancora una volta quello che accadeva a casa sua. Mentre lei mi parlava di sé, per un attimo io mi sono<br />

distratto, e ho pensato piuttosto a me, alla mia possibilità di aiutarla offrendole un mio commento interessante. Mi<br />

dispiace. Mi sa che mi sono perso delle cose interessanti che lei stava dicendomi”. In effetti, a pensarci bene, ancora<br />

una volta il maschile sembra prendere il sopravvento con questa paziente. Nella GT il terapeuta si chiede cosa è<br />

accaduto/sta accadendo tra noi due? Come i nostri rispettivi vissuti si autoregolano reciprocamente? Come immettere<br />

il mio eventuale fastidio <strong>nella</strong> nell’intreccio dei reciproci vissuti?


Assumere l’intenzionalità relazionale <strong>come</strong> chiave ermeneutica trasforma ogni sintomo in ricerca<br />

fallita ma non dismessa dell’altro. Solo se il terapeuta sarà sensibile e attento al fremere<br />

dell’intenzionalità di contatto del paziente potrà ridare alla freccia quell’energia direzionata che la<br />

porterà a raggiungere il bersaglio.<br />

Il quarto elemento decisivo e caratteristico dell’ermeneutica gestaltica ha a che fare la dimensione<br />

triadica della relazione fondativa e della terapia. Gli ultimi sviluppi della GT 35 hanno messo in luce<br />

infatti <strong>come</strong> per ‘relazione che cura’ non di deve intendere solamente il rapporto terapeutapaziente,<br />

ma anche (e soprattutto) quello tra il terapeuta e il suo co-terapeuta. Sia la rilettura del<br />

complesso di Edipo 36 che le ricerche sul triangolo primario di Losanna 37 si muovono proprio su<br />

questa prospettiva epistemologica. La relazione genitore-figlio si comprende e va letta sempre<br />

dentro un triangolo il cui vertice è rappresentato dalla relazione dei co-genitori. Se il figlio è legato<br />

ossessivamente alla madre, non si tratta di intervenire per ridurre questo desiderio ma di<br />

elaborare il rapporto padre-madre (la dimensione genitoriale rimane sempre presente <strong>nella</strong><br />

coppia) dentro il quale prende senso la relazione di ogni genitore con il figlio. In termini<br />

terapeutici, si tratta di tenere presente un triangolo nel quale sono due le figure che si prendono<br />

cura del paziente: il terapeuta reale e una sorta di coterapeuta interno, la cui presenza illumina<br />

momenti di blocco e di difficoltà tra terapeuta e paziente. La mancanza di sostegno non può<br />

essere attribuita ad una figura genitoriale ma alla co-genitorialità, e così un terapeuta deve<br />

pensare la cura in termini di co-terapia.<br />

Chiariti i fondamenti della relazione terapeutica nell’ottica gestaltica, possiamo ora<br />

ultimativamente concentrarci sul concreto lavoro del terapeuta dinanzi alle interruzioni del<br />

contatto e alla puntuale emergenza dell’ansia. In realtà il terapeuta lavora non tanto sulle<br />

interruzioni del paziente in genere ma sulla <strong>interruzione</strong> che emerge nel qui-e-adesso del contatto<br />

che si sta co-creando. Le interruzioni si sono infatti stratificate nel tempo fino a formare quella<br />

famosa ‘struttura cipollina’ di cui parla Perls a proposito della consapevolezza. Le esperienze di<br />

<strong>interruzione</strong> di contatto che hanno ridotto la competenza relazionale dell’O. sono diventate sfondo<br />

inconsapevole. Nel qui-e-adesso ci si trova a confrontarsi, dunque, solo con i prodotti delle interruzioni.<br />

L'<strong>interruzione</strong> attuale (quella che interessa al terapeuta) è figura di uno sfondo implicito di<br />

interruzioni. Già O. Rank 38 aveva intuito la necessità di lavorare sul presente partendo proprio dal<br />

concetto freudiano di ‘coazione a ripetere’. Se a ripetersi nel qui-e-ora è una situazione passata,<br />

allora lavorare sul presente (su <strong>come</strong> oggi essa si presenta piuttosto che sulla ricostruzione storica)<br />

permette di comprendere il passato. . Man mano che emergono le varie interruzioni di contatto (man<br />

mano che ‘si pela la cipolla’), si sprigionano nel paziente vissuti di ansia <strong>prof</strong>onda e intensa. Si tratta proprio<br />

dell'ansia che non permette di continuare i processi di contatto e procura le interruzioni. L'intervento<br />

del terapeuta innanzitutto valorizza la funzione che ha svolto quell’<strong>interruzione</strong> <strong>nella</strong> storia del<br />

35<br />

M. Spagnuolo Lobb , G. <strong>Salonia</strong> , Al di là della sedia vuota: un modello di coterapia. «Quaderni di <strong>Gestalt</strong>», Anno II, 3,<br />

lug.-dic. 1986.<br />

36<br />

G. <strong>Salonia</strong>, Il lungo viaggio di Edipo: dalla legge del padre alla verità della relazione, in P. Argentino (a cura di),<br />

Tragedie greche e psicopatologia, Siracusa, Medicalink Publishers, 2005, 29-46.<br />

37<br />

F. Fivaz-Depeursing, A. Corboz-Warnery, Il triangolo primario, Raffaello Cortina, Milano, 2000.<br />

38 O. Rank, Volonté et psychotherapie, Payot, Paris, 1976


paziente: rendere onore ad un adattamento creativo che ha permesso all’O. di fare la scelta un tempo<br />

migliore per sopravvivere. Poi il paziente viene invitato a prendere consapevolezza di <strong>come</strong> operi oggi<br />

l’<strong>interruzione</strong>. Si permette così all'ansia di tornare a trasformarsi in eccitazione, in energia positiva che<br />

riattiva la sequenzialità tipica dei processi che portano al contatto. Ma <strong>come</strong> fare in pratica?<br />

Concretamente, una strada molto efficace è quella di iniziare con lo sciogliere le ‘retroflessioni’,<br />

ovvero con il facilitare e permettere al paziente di esprimere di volta in volta quello di cui è<br />

consapevole sulla relazione con il terapeuta 39 . Si tratta però di sostenere il rischio del paziente di<br />

diventare consapevole delle sue sensazioni e delle sue emozioni. Rivalutando la dentizione <strong>come</strong><br />

metafora dell’apprendimento a fronte della suzione, piuttosto passiva, Perls lasciò la tecnica delle<br />

libere associazioni e la sostituì con quella della concentrazione (‘il sé che si concentra’) 40 . Deve<br />

essere il paziente stesso a diventare consapevole di quello che gli succede: il paziente viene<br />

invitato dal terapeuta a diventare consapevole dei propri vissuti corporei e, nello specifico, del<br />

modo in cui il suo corpo interrompe l’episodio di contatto. Non si tratta ovviamente di proporre<br />

esercizi di respirazione, ma di focalizzare i momenti in cui un’<strong>interruzione</strong> del ciclo di contatto<br />

produce inconsapevoli tensioni muscolari. Le domande offerte al paziente sono: «Quando e <strong>come</strong><br />

inizio a interrompere la spontaneità corporea dell’intenzionalità di contatto?». Il paziente deve<br />

scoprire perché continua a fare uso di uno schema relazionale oggi non più funzionale. In questo<br />

senso, diventare consapevole del proprio corpo e di <strong>come</strong> si interrompono i processi relazionali, di<br />

<strong>come</strong> si blocca il respiro, è già terapeutico. Al terapeuta interessa che il paziente ritrovi se stesso e<br />

ripristini la propria innata competenza al contatto. Una funzione che aiuterà questo percorso è la<br />

‘valutazione intima’: 41 ogni percorso di consapevolezza deve partire innanzitutto dal fare<br />

emergere <strong>come</strong> nel proprio intimo, nel proprio corpo, il paziente valuta l’esperienza. Non<br />

avvengono miglioramenti significativi se si cambia sotto la spinta di valutazioni esterne (cosa dice<br />

la gente; così non mi piaccio), ma solo se si individua il punto in cui nel corpo una tensione blocca il<br />

fluire verso il prossimo passo dell’avvenimento contatto.<br />

Altro atto terapeutico fondamentale è certo quello di sostenere il rischio dell’eccitazione e<br />

dell’espressione del gesto mancato. Se l’<strong>interruzione</strong> emerge quando il paziente comincia ad avvertire<br />

l’energia, il sostegno specifico riguarda proprio il contenimento che fa sentire il paziente più forte, in<br />

modo che questi possa rilassare gli occhi e sentire nel proprio corpo i vissuti che fugge.<br />

Un discorso a parte merita il gesto mancato. Spesso l’agitazione e l’<strong>interruzione</strong> del ciclo di contatto sono<br />

legati, <strong>come</strong> abbiamo visto, all’a. imprigionata nel gesto mancato, di cui il paziente sente la necessità senza<br />

riuscire a riconoscerlo. In un primo momento si tratterà di sostenere il paziente nel rintracciare il gesto (o la<br />

parola) che il suo corpo vuole compiere per chiudere una <strong>Gestalt</strong> aperta (vissuto corporeo bloccato); in un<br />

secondo momento il terapeuta dovrà dare sostegno alla paura, al senso di ridicolo, alla vergogna che<br />

cercano di bloccare l’espressione di tale gesto. Quando il paziente si riprende le proprie emozioni, egli<br />

39 Per tale ragione, ad esempio, I. From (cfr. B. Muller, Isadore From’s contribution to the theory and practic of <strong>Gestalt</strong><br />

<strong>Therapy</strong>, in «Studies in <strong>Gestalt</strong> <strong>Therapy</strong>», 2, 1993, 7-21), dava grande peso ai sogni dei pazienti dopo e a quelli prima<br />

della seduta. Come se dicessero ciò che non si riesce a dire. Molti impasse in terapia sono connesse, per l’appunto,<br />

all’a. di dire al terapeuta tutto, e specificatamente il tutto relazionale (<strong>come</strong> vive la relazione con il terapeuta).<br />

40 F. Perls et alii, op. cit.<br />

41 Ibidem


chiude l’unfinished business, ha la sensazione che la stanza sia diventata più luminosa, il suo volto<br />

diventa radioso e aperto all'ambiente. In una parola: il paziente finalmente ‘vede’, <strong>come</strong> se fosse stato<br />

tolto il velo che copriva il contatto vivido con il proprio A.<br />

Per aiutare il paziente che interrompe il proprio andare verso l’A. proprio nel momento in cui è<br />

prossimo al consegnarsi, è necessario dare un sostegno alla sua paura di essere umiliato o di<br />

ricevere dall’A. delle richieste impossibili. Spesso la retroflessione tipica di questa fase blocca i<br />

momenti intensi in cui il paziente sarebbe pronto per una grande esperienza di gratitudine e di<br />

vicinanza, ma ha paura di sembrare piccolo o teme che il terapeuta stesso sia piccolo. Di fronte alla<br />

fobia del legame da parte del paziente («In questa terapia io ho fatto un bel lavoro»), il terapeuta<br />

lo aiuta a sperimentare l’ansia di riconoscere che «Io e lei(tu) abbiamo fatto un bel lavoro» e a<br />

sentire <strong>come</strong> riconoscere la cocreazione non sia un pericolo. Il ‘grazie’ diventa, in questa f-ase,<br />

segno di un riconoscimento e di un legame, nonché di una prossima fine.<br />

Concludiamo. Parafrasando Freud, si potrebbe affermare che il ‘coitus interruptus’ è la metafora di<br />

ogni a. 42 . Ma – ci chiediamo – che cosa si interrompe, in realtà? La libido – che è stata bloccata ed<br />

è diventata a. – verso dove andava? E poi cos’è la libido? Ci sono tre risposte integrabili a questa<br />

domanda. Per la prima la libido è ricerca di piacere. Per un’altra la libido è ricerca dell’oggetto.<br />

Una terza risposta potrebbe suonare così: la libido è una ricerca dell’anima. Alla fine del cammino,<br />

infatti, si vuole in fondo ritrovare la propria anima. E se l’anxiety, allora, in fondo, non fosse che<br />

l’<strong>interruzione</strong> di un cammino alla ricerca della propria anima?<br />

42 F. Perls et alii, p. 216


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