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Roberto Valle Il concetto politico di Apocalisse ... - PoliticaMente

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<strong>Roberto</strong> <strong>Valle</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>concetto</strong> <strong>politico</strong> <strong>di</strong> <strong>Apocalisse</strong>: Voegelin e Dostoevskij<br />

1<br />

Le considerazioni <strong>di</strong> Dostoevskij sull’<strong>Apocalisse</strong> politica si<br />

collocano in una duplice prospettiva: da una parte scaturiscono dalla<br />

paradossale istoriosofia dostoevskiana che riflette sulle origini e sugli esiti<br />

storici dell’immanentizzazione e del rovesciamento gnostico<br />

dell’escatologia cristiana ; dall’altra formulano quel <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> <strong>Apocalisse</strong><br />

“infrastorica” ed eudemonistica che è il tratto <strong>di</strong>stintivo della modernità<br />

della fine, dell’avvento <strong>di</strong> quel regno <strong>di</strong> mezzo dell’universale sazietà<br />

che, con la sua miserevole rivelazione, decreta la fine della storia.<br />

Entrambe le prospettive si fondono in una visione metastorica e<br />

metapolitica che è attraversata da una peculiare sensibilità apocalittica.<br />

Tali considerazioni, inoltre, sono contenute sia nei principali romanzi <strong>di</strong><br />

Dostoevskij (I demoni, L’i<strong>di</strong>ota, I fratelli Karamazov), sia nel Diario <strong>di</strong><br />

uno scrittore, un’opera sperimentale che non segue la via del “pensiero<br />

lineare”, ma è un paradossale rovesciamento degli stereotipi dello<br />

storicismo gnostico e provvidenzialista. Per Berdjaev, Dostoevskij è il<br />

“massimo genio”, perché ha colto l’essenza del pensiero russo che è<br />

apocalittica, al polo positivo, e nichilista, al polo negativo. <strong>Il</strong> “sentire<br />

apocalittico e nichilista” rifiuta la me<strong>di</strong>età della vita e della cultura e si<br />

protende verso la fine, verso l’estremo limite. <strong>Il</strong> nichilismo si intreccia con<br />

l’<strong>Apocalisse</strong> e può risultare “esigenza della fine”.


2<br />

1. <strong>Il</strong> “principio antropologico” dell’<strong>Apocalisse</strong> politica secondo<br />

Dostoevskij e Voegelin<br />

Come rileva Ellis Sandoz (biografo <strong>di</strong> Voegelin, curatore delle sue<br />

opere e autore <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o sulla Leggenda del Grande Inquisitore),<br />

Dostoevskij e Voegelin, sia pur con <strong>di</strong>verse modalità ed esiti, hanno<br />

<strong>di</strong>svelato il fondamento gnostico dell’<strong>Apocalisse</strong> politica, quale fatalismo<br />

apocalittico del progresso. Sebbene citi lo scrittore russo in maniera<br />

rapso<strong>di</strong>ca, Voegelin fu introdotto all’opera <strong>di</strong> Dostoevskij nel 1938 dagli<br />

esuli russi a Parigi. Voegelin stu<strong>di</strong>ò il russo con Lozinskij e con<br />

Močul’skij, che nel 1935 aveva fondato con Berdjaev l’Azione Ortodossa<br />

ed era autore <strong>di</strong> un libro sulla vita e l’opera <strong>di</strong> Dostoevskij. Gli esuli a<br />

Parigi (espulsi dalla Russia sovietica nel 1922 con la “nave dei filosofi”)<br />

erano stati protagonisti, all’inizio del XX secolo, <strong>di</strong> quel “rinascimento<br />

religioso” che aveva inaugurato l’ “era dostoevskiana” del pensiero<br />

filosofico-<strong>politico</strong> russo. L’Apocallisse politica, secondo Ellis Sandoz,<br />

scaturisce dall’ immanentizzazione dell’escatologia cristiana e dalla<br />

ra<strong>di</strong>calizzazione della “civiltà secolare” in Occidente. L’<strong>Apocalisse</strong><br />

politica, inoltre, è espressione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi movimenti gnostici emersi dopo<br />

la rivoluzione francese (progressismo, utopismo, attivismo rivoluzionario)<br />

che sono stati inquadrati negli orientamenti ideologici del XIX secolo.<br />

L’<strong>Apocalisse</strong> politica si basa su tre elementi: 1) la preservazione della fede<br />

<strong>di</strong> fronte al male e alla sofferenza; 2) la sud<strong>di</strong>visione della storia in perio<strong>di</strong><br />

che sono rappresentati come campi <strong>di</strong> battaglia della lotta tra il bene e il<br />

male; 3) il profetismo escatologico, quale attesa della fine della storia.<br />

Come afferma Ellis Sandoz, Dostoevskij ha svelato il “principio<br />

antropologico” dell’<strong>Apocalisse</strong> politica e dell’umanesimo ateo, perché ha


3<br />

indagato nel mistero dell’uomo. Dostoevskij ha scoperto l’uomo del<br />

sottosuolo che incarna il ri<strong>di</strong>colo psicodramma dell’utopista gnostico:<br />

nelle sue visioni del futuro, l’utopista rappresenta l’essere umano come<br />

una creatura sostanzialmente buona, ma quando si confessa (come<br />

Rousseau) rivela abissi <strong>di</strong> abiezione. La rivelazione del “principio<br />

antropologico” dell’età dell’<strong>Apocalisse</strong> politica inizia con Ricor<strong>di</strong> dal<br />

sottosuolo e si <strong>di</strong>spiega nella Leggenda del Grande Inquisitore. Secondo<br />

Voegelin, Dostoesvkij (anticipando il Newspeak <strong>di</strong> Orwell e il demonismo<br />

della “seconda realtà” descritto in stile burlesque da Heimito von<br />

Doderer) ha scoperto il linguaggio ossessivo dei demoni (od ossessi)<br />

rivoluzionari, che, con la sua povertà <strong>di</strong> vocaboli, riduce la realtà ad una<br />

“fantasia dell’ideologia”. L’”eclissi della realtà” nell’in<strong>di</strong>stinta notte<br />

dell’ateismo gnostico e ideologico è una conseguenza dell’eclisse della<br />

trascendenza. E’ questo il “principio antropologico” dell’<strong>Apocalisse</strong><br />

politica. Dostoevskij, però, è un filosofo scellerato e un antropologo<br />

<strong>di</strong>onisiaco che contempla entrambi gli abissi (quello dell’immanenza e<br />

quello trascendenza), rivelando sia la polifonicità dell’<strong>Apocalisse</strong> politica,<br />

quale sintesi tra l’<strong>Apocalisse</strong> cristiana e l’eterno ritorno pagano (il mito<br />

dell’età dell’oro), sia le cesure e i grotteschi rovesciamenti del pensiero<br />

gnostico-ideologico. Voegelin, invece, è un filosofo per bene e un<br />

antropologo apollineo che ha cristallizzato nella “nuova scienza politica”<br />

alcune configurazioni della trascendenza e dello gnosticismo.<br />

2. Genealogie del <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> “religione politica”: il “sogno<br />

gnostico” e il “sogno <strong>di</strong> un uomo ri<strong>di</strong>colo”<br />

L’ateismo religioso svelato da Dostoevskij è all’origine del <strong>concetto</strong><br />

<strong>di</strong> “religione politica” che, anticipando Voegelin, è stato formulato


4<br />

nell’ambito del rinascimento religioso russo. Già nel 1906, rilevando la<br />

comparsa <strong>di</strong> una “nuova coscienza religiosa”, Berdjaev <strong>di</strong>stingueva tra<br />

“socialismo neutrale” e “socialismo come religione”. <strong>Il</strong> socialismo<br />

religioso non si caratterizzava come organizzazione della vita economica,<br />

ma come un principio sovrastorico animato da un pathos scaturito dalla<br />

“deificazione dell’umanità futura”. Dal canto suo, nel 1907 Bulgakov, in<br />

un saggio su Marx come tipo religioso, sottoponeva il marxismo alla<br />

critica corrosiva del dostoevskiano uomo del sottosuolo, svelandone il<br />

segreto: al proletariato era affidata la missione <strong>di</strong> porre in opera<br />

storicamente l’ateismo, la liberazione pratica dell’uomo dalla religione.<br />

Per Berdjaev, la rivoluzione bolscevica era un fenomeno d’or<strong>di</strong>ne<br />

religioso, perché voleva “risolvere il problema <strong>di</strong> Dio”. Secondo Berdjaev,<br />

la “gnosomachia” era il tratto caratteristico dell’era dell’oscurantismo<br />

ideologico. Non <strong>di</strong>versamente da Voegelin, Berdjaev considera lo<br />

gnosticismo non come un’eresia, ma come una conoscenza non <strong>di</strong>scorsiva,<br />

ma contemplativa basata sulla rivelazione, sui simboli, sui miti e non sui<br />

concetti. In un articolo del 1928 sul marcionismo, Berdjaev afferma che<br />

Dostoevskij, ne I fratelli Karamazov, ha posto la questione<br />

dell’insorgenza <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> neo-marcionismo. Ivan Karamazov rifiuta<br />

la trage<strong>di</strong>a senza uscita della storia e vuole restituire il biglietto a Dio,<br />

demiurgo <strong>di</strong> un mondo che offre uno spettacolo orrendo e osceno (la<br />

sacralizzazione <strong>di</strong> un potere crudele e la sofferenza dei bambini). Per<br />

Berdjaev, il neo-marcionismo ideologico, antiteista o ateo, si scaglia<br />

contro un “monoteismo astratto” e non comprende il mistero della libertà e<br />

della <strong>di</strong>vino-umanità. Nel ricostruire la genesi della “tesi sullo<br />

gnosticismo” <strong>di</strong> Voegelin, Opitz cita l’influsso <strong>di</strong> Balthasar, Taubes, Henri


5<br />

de Lubac, Löwith. Per Lubac, il “dramma dell’umanesimo ateo” è<br />

inscenato soprattutto dalle opere <strong>di</strong> Dostoevskij: lo scrittore russo ha<br />

avversato tutte le teo<strong>di</strong>cee ottimiste e spogliate del tragico ed ha mostrato<br />

come le principali manifestazioni dell’ateismo contemporaneo siano<br />

destinate al fallimento. In particolare, Dostoevskij ne ha in<strong>di</strong>viduate tre:<br />

l’uomo-Dio (il superomismo); la torre <strong>di</strong> Babele (la ra<strong>di</strong>cale<br />

secolarizzazione del mondo borghese); il Palazzo <strong>di</strong> Cristallo (il<br />

socialismo come utopia secolarizzata). L’interpretazione <strong>di</strong> Lubac risente<br />

dell’influsso <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Berdjaev; d’altro canto, nella genealogia della<br />

“tesi sullo gnosticismo” <strong>di</strong> Voegelin andrebbe posto il pensiero religioso<br />

russo della prima metà del XX secolo. Per Močul’skij, Dostoesvkij aveva<br />

aderito in gioventù al socialismo utopistico, quale mistica attesa<br />

dell’avvento dell’età dell’oro: l’utopia socialista era la traduzione<br />

dell’<strong>Apocalisse</strong> cristiana nei moderni termini politici. Non <strong>di</strong>versamente<br />

dagli esponenti del rinascimento religioso russo, anche per Voegelin<br />

l’“immanentizzazione dell’eschaton” ha consentito ai movimenti gnostici<br />

<strong>di</strong> pretendere l’abolizione del cristianesimo e della trascendenza. Lo<br />

gnosticismo è, per Voegelin, un fenomeno regressivo, perché ha creato un<br />

“mondo <strong>di</strong> sogno” (o “seconda realtà”) “controesistenziale”, quale forza <strong>di</strong><br />

primaria importanza per motivare le azioni delle masse. La “rivolta<br />

gnostica” nasce dal “sogno gnostico”, quale stato d’animo psicopatologico<br />

estremamente complesso. L’ “immanentizzazione dell’eschaton” operata<br />

dall’utopia borghese e/o socialista era considerata da Dostoevskij<br />

“sommamente ri<strong>di</strong>cola”. <strong>Il</strong> “sogno gnostico” è per lo scrittore russo il<br />

“sogno <strong>di</strong> un uomo ri<strong>di</strong>colo”: il ri<strong>di</strong>colo utopista progressista aspira ad<br />

entrare nell’eletta schiera dei “figli del sole” e crede <strong>di</strong> vivere nel recinto


6<br />

edenico <strong>di</strong> un mondo perfetto, mentre in realtà è un inferno che si regge<br />

sulla “bellezza della menzogna” e su una religione nichilista con il culto<br />

del “ non essere e dell’auto<strong>di</strong>struzione in nome della eterna pace del<br />

Nulla”. Anche per Voegelin, l’utopia è frutto dell’”alienazione gnostica”;<br />

per questo la “politica gnostica” è “auto<strong>di</strong>struttiva” e può provocare una<br />

stato <strong>di</strong> guerra permanente.<br />

3. La <strong>di</strong>versione apocalittica: la rivolta degli indemoniati dalla noia<br />

Quale “movimento gnostico <strong>di</strong> tipo attivistico”, il bolscevismo,<br />

secondo Voegelin, aveva ra<strong>di</strong>ci non solo nel marxismo, ma anche nel<br />

pensiero <strong>politico</strong> rivoluzionario russo del XIX secolo. A tal fine risulta<br />

essenziale quella lettura voegeliana de I demoni contenuta in un saggio <strong>di</strong><br />

Richard Avramenko sugli indemoniati dalla noia. Secondo Avramenko,<br />

Dostoevskij e Voegelin non solo descrivono quella deformazione gnostica<br />

della coscienza che ha condotto agli orrori del totalitarismo, ma pongono<br />

in evidenza un questione centrale del XXI secolo: la noia indotta da una<br />

razionalismo massacrante che, nelle sue veglie, genera mostri. La “rivolta<br />

gnostica”, infatti, non scaturisce solo dalle perplessità della malinconia, ma<br />

anche dalla noia provocata dall’esprit de géométrie: per Dostoevskij, il<br />

“muro <strong>di</strong> pietra” delle scienze naturali e della matematica inibisce il <strong>di</strong>ritto<br />

naturale al capriccio. Sia Dostoevskij, sia Voegelin fanno riferimento alle<br />

categorie <strong>di</strong> ennui e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertissement forgiate da Pascal: la noia del mondo<br />

e il risentimento contro la sua imperfezione inducono alla ricerca del<br />

<strong>di</strong>vertimento-<strong>di</strong>versione, anche sub specie ideologiae , per realizzare la<br />

felicità sulla terra. <strong>Il</strong> “pervertimento dell’immanenza”, che ha avuto inizio<br />

con l’<strong>Il</strong>luminismo, sfocia nel <strong>di</strong>vertimento-<strong>di</strong>versione delle “apocalissi<br />

immanentistiche”: tuttavia, per Voegelin, la noia inquieta dell’uomo in


7<br />

rivolta non è destinata a sprofondare nello stupore <strong>di</strong> una i<strong>di</strong>lliaca società<br />

futura, ma nell’impotenza dello spirito causata dall’inquietante<br />

inveramento dell’utopia. Come afferma Voegelin, Lenin, all’epoca della<br />

rivoluzione e della guerra civile, evocava visioni i<strong>di</strong>lliache <strong>di</strong> uno Stato<br />

controllato <strong>di</strong>rettamente dal popolo e trasformato in un enorme ufficio o in<br />

un’enorme fabbrica governati da una “cuoca”. Sia Bentham nel<br />

Panopticon, sia Lenin in Stato e rivoluzione pongono in essere, secondo<br />

Voegelin, una “immaginazione sa<strong>di</strong>ca” che lascia alle vittime solo la scelta<br />

tra la “sottomissione” e il “suici<strong>di</strong>o”. Con il suo “talento crudele”<br />

Dostoevskij (considerato il Sade russo) ha previsto con largo anticipo ne I<br />

demoni gli esiti catastrofici <strong>di</strong> quella “immaginazione sa<strong>di</strong>ca” che è alla<br />

base della grottesca crudeltà del “sogno gnostico”. Sia per Voegelin, sia<br />

per Dostoevskij la comprensione della politica all’epoca della sua<br />

<strong>Apocalisse</strong> si deve basare su una teoria della coscienza. La coscienza, per<br />

Voegelin, esiste nella realtà e si esprime attraverso simboli; anche per<br />

Dostoevskij la coscienza è un’esperienza concreta che può sprofondare nel<br />

sottosuolo della sua malattia quando viene meno la mutua partecipazione<br />

tra l’immanente e il trascendente. Dopo l’eclisse della realtà e del <strong>di</strong>vino,<br />

la noia senza oggetto può indurre alla <strong>di</strong>sperazione: otčajanie è una parola<br />

russa che significa nel contempo noia, <strong>di</strong>sperazione, pazzia, entusiasmo,<br />

fatalismo. Come <strong>di</strong>mostra Dostoevskij ne I demoni, lo gnosticismo può<br />

essere un <strong>di</strong>vertimento-<strong>di</strong>versione per scrollarsi <strong>di</strong> dosso il peso della noia-<br />

<strong>di</strong>sperazione. La Torre <strong>di</strong> Babele senza Dio e la realizzazione del para<strong>di</strong>so<br />

in terra compaiono reiteratamente nel romanzo <strong>di</strong> Dostoevskij come<br />

“simboli <strong>di</strong> autosalvazione”, al fine <strong>di</strong> espellere il <strong>di</strong>vino dai principi<br />

or<strong>di</strong>natori della coscienza e dalla comunità politica. L’entelechia


8<br />

dell’<strong>Apocalisse</strong> politica inverata nella storia va dal “gorilla alla <strong>di</strong>struzione<br />

<strong>di</strong> Dio”. L’autentico protagonista de I demoni è il principe Stravrogin<br />

(come annota Dostoevskij nei suoi taccuini “Stavrogin è tutto”), secondo<br />

Avramenko, il “più indemoniato dalla noia” e il più somigliante all’uomo<br />

del XXI secolo, perché è l’epitome del nichilismo compiuto. Stravrogin ha<br />

perso la capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra bene e male, è profondamente<br />

annoiato, non riesce a ristabilire l’equilibrio della coscienza ed è destinato<br />

al suici<strong>di</strong>o.<br />

4. La “passione per la <strong>di</strong>struzione”: l’affaire Bakunin secondo<br />

Dostoevskij e Voegelin<br />

<strong>Il</strong> personaggio <strong>di</strong> Stravrogin è ispirato in parte a Bakunin, un<br />

demiurgo dell’<strong>Apocalisse</strong> politica. Animato dal “desiderio <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione”,<br />

Bakunin è, per Voegelin, l’epitome dell’”esistenza rivoluzionaria”.<br />

L’escatologia politica <strong>di</strong> Bakunin è strettamente correlata all’ “<strong>Apocalisse</strong><br />

dell’uomo”, quale rivelazione dell’autosalvazione dell’umanità. Non<br />

<strong>di</strong>versamente da Marx e da Lenin, Bakunin ha <strong>di</strong>vinizzato la propria esistenza<br />

attraversata dalla “passione per la <strong>di</strong>struzione”e dall’idea della rivoluzione<br />

come metanoia. <strong>Il</strong> nichilismo incen<strong>di</strong>ario, secondo Dostoevskij, ha fatto<br />

appello a quegli “istinti personali <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione” che “covano in ogni animo”:<br />

la “cupa sensazione” suscitata dalla “passione per la <strong>di</strong>struzione” può<br />

rivelarsi “inebriante”. La funzione storica <strong>di</strong> Marx era la creazione <strong>di</strong> un<br />

“sistema <strong>di</strong> dottrina” che doveva servire come “sacra scrittura” per l’<br />

apostolato rivoluzionario. <strong>Il</strong> movimento rivoluzionario russo è iniziato con<br />

una rivolta pan<strong>di</strong>struttiva contro la nazione e lo Stato ed è terminato con<br />

l’imperalismo della Terza Roma comunista. Secondo Voegelin, questo esito<br />

era implicito nell’<strong>Apocalisse</strong> politica <strong>di</strong> Bakunin con il suo catechismo


ivoluzionario. Per <strong>di</strong>mostrare questo assunto, Voegelin attribuisce un<br />

significato decisivo alla Confessione che Bakunin, in stato <strong>di</strong> cattività, inviò<br />

allo zar Nicola I nel 1851. Di fronte a un reazionario conseguente come<br />

Nicola I, Bakunin si presenta come un rivoluzionario deluso dagli esiti del<br />

1848 e dal comunismo europeo. Bakunin considera la rivoluzione russa<br />

come parte <strong>di</strong> una rivoluzione panslava: i due tempi della rivoluzione erano la<br />

<strong>di</strong>struzione dell’autocrazia e la guerra permanente contro l’Austria, la Prussia<br />

e la Turchia. Alla Russia era necessario il <strong>di</strong>spotismo illimitato, la <strong>di</strong>ttatura<br />

rivoluzionaria, per giungere alla libertà illimitata: la <strong>di</strong>ttatura rivoluzionaria,<br />

in seguito, si sarebbe resa superflua, perché il popolo sarebbe stato elevato<br />

al livello dei suoi <strong>di</strong>spotici benefattori. Ne I demoni, Šigalëv, “fanatico<br />

filantropo” e fautore <strong>di</strong> “soluzioni estremamente <strong>di</strong>spotiche”, espone un<br />

programma <strong>politico</strong> non <strong>di</strong>ssimile da quello <strong>di</strong> Bakunin. Per Šigalëv, la<br />

struttura della società futura non può fondarsi su Platone, Rousseau e Fourier,<br />

perché sono “colonne d’alluminio”. Ridotto alla “<strong>di</strong>sperazione” per mancanza<br />

<strong>di</strong> visioni granitiche della società futura, Šigalëv propone la “soluzione finale<br />

del problema”: “la <strong>di</strong>visione della società in due parti <strong>di</strong>seguali. Un decimo<br />

riceve la libertà personale e un <strong>di</strong>ritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi<br />

devono perdere la loro personalità e trasformarsi in una sorta <strong>di</strong> gregge e in<br />

completa obbe<strong>di</strong>enza, attraverso una serie <strong>di</strong> rigenerazioni, raggiungere<br />

l’innocenza primigenia, una specie <strong>di</strong> para<strong>di</strong>so primor<strong>di</strong>ale”. Per Voegelin, il<br />

programma <strong>di</strong> Bakunin è stato realizzato da Lenin e da Stalin: l’estensione<br />

dell’impero sovietico nel secondo dopoguerra corrispondeva sostanzialmente<br />

al “programma <strong>di</strong> un impero slavo sotto egemonia russa quale fu, ad esempio,<br />

proposto da Bakunin a Nicola I”.<br />

9


dall’Occidente”<br />

10<br />

5. L’<strong>Apocalisse</strong> politica dell’impero russo-sovietico e l’ “Esodo<br />

Secondo Voegelin, la storiografia pensante è nata dal “confronto con<br />

l’impero”: secondo il filosofo tedesco, un “impero egemonico russo non<br />

comunista” avrebbe costituito, nel secondo dopoguerra, un pericolo<br />

“maggiore” per l’Occidente, perché sarebbe stato “meglio consolidato”<br />

dall’idea russa, epitomata dalla trascendenza del cristianesimo ortodosso.<br />

Negli anni <strong>di</strong> guerra, Voegelin attribuì a Dostoevskij (sulla scia della lettura<br />

<strong>di</strong> La Russia e il germanesimo <strong>di</strong> Bauer) il ruolo <strong>di</strong> ideologo dell’ascesa<br />

dell’impero russo che, per il suo elevato potenziale religioso, meritava <strong>di</strong><br />

imporre la propria egemonia sugli altri popoli. In realtà, Dostoevskij non è<br />

l’ideologo della Santa Russia, quale apocalisse politica sub specie impero. La<br />

complessità polifonica del pensiero <strong>politico</strong> <strong>di</strong> Dostoevskij comprende in sé<br />

la doppia identità della Russia, europea e asiatica: Dostoevskij da una parte<br />

afferma che l’Occidente è la “patria dei santi miracoli”, dall’altra, invece, lo<br />

definisce il “più caro dei cimiteri”, esortando la Russia all’ “Esodo<br />

dall’Occidente”. Dostoevskij contrappone l’Esodo russo all’<strong>Apocalisse</strong><br />

politica causata dall’immanentismo escatologico occidentale, che egli<br />

considera come una sorta <strong>di</strong> “Egitto spirituale”. Per Voegelin, l’Esodo è una<br />

categoria fondamentale per comprendere i fenomeni storici: l’Esodo è una<br />

tendenza a liberarsi dei vincoli <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne più vasto, per affermare una<br />

nuova concezione del vero. Volendo affermare una concezione del vero<br />

antitetica a quelle Apocalissi politiche migrate dall’Europa alla Russia,<br />

Dostoevskij mette a nudo quella crisi della filosofia occidentale che si è<br />

rivelata XIX secolo con l’<strong>Apocalisse</strong> dell’uomo.


11<br />

6. La crisi della filosofia occidentale e l’<strong>Apocalisse</strong> dell’uomo:<br />

Dostoevskij, Solov’ëv e Voegelin<br />

L’interpretazione della crisi della filosofia occidentale è sia il tema<br />

centrale dell’opera <strong>di</strong> Solov’ëv (amico e sodale <strong>di</strong> Dostoesvkij e ispiratore del<br />

rinascimento religioso russo del primo Novecento), sia delle riflessioni <strong>di</strong><br />

Voegelin sull’<strong>Apocalisse</strong> dell’uomo. Per Solov’ëv, la filosofia occidentale<br />

nasce dallo “sdoppiamento” tra il pensiero in<strong>di</strong>viduale e la fede collettiva del<br />

popolo; la filosofia è una visione del mondo <strong>di</strong> persone singole che non può<br />

essere imposta alla collettività: la sovranità in<strong>di</strong>scussa della ragione ha<br />

provocato quella crisi della filosofia occidentale che è sfociata nel “papismo”<br />

del positivismo, quale paradosso estremo dell’autoaffermazione e<br />

dell’auto<strong>di</strong>vinizzazione dell’uomo. Per Voegelin, la vicenda esistenziale e<br />

intellettuale <strong>di</strong> Comte è una “autentica apocalisse” nel senso religioso del<br />

termine. <strong>Il</strong> fondatore della religione dell’umanità preconizzava l’avvento del<br />

“terzo regno” dello spirito positivo, la Repubblica Occidentale, e si era<br />

elevato al rango <strong>di</strong> pontefice massimo. Per Dostoevskij, l’”idea cattolica” è la<br />

“resurrezione” dell’antica “idea romana della sovranità” che ha voluto<br />

realizzare l’”unione forzata dell’umanità” nella forma <strong>di</strong> una “monarchia<br />

universale”. L’Inquisizione e il gesuitismo hanno decretato la scomparsa del<br />

“potere morale” della religione cristiana forgiando con il terrore una teologia<br />

politica che pre<strong>di</strong>ca l’avvento del regno dell’Anticristo sub specie para<strong>di</strong>so<br />

terrestre. Da tale teologia politica sono scaturiti la rivoluzione francese, il<br />

positivismo e il socialismo, che sono un prodotto dell’”essenza del<br />

cattolicesimo”. La rivoluzione francese e il socialismo (soprattutto quello<br />

utopistico <strong>di</strong> Saint-Simon, che Enfantin voleva elevare a papa <strong>di</strong> una nuova<br />

religione) sono stati l’ultima “trasformazione e reincarnazione” dell’”idea


cattolica”, imposta per mezzo della “spada e del sangue”, secondo il dogma<br />

fraternité ou la mort. Inquisizione e Terrore hanno allestito roghi e<br />

ghigliottine per imporre la propria teologia politica: l’astratta ricerca della<br />

“felicità dell’umanità” dei “rivoluzionari gesuiti” ha generato boia concreti.<br />

7. Baal e il Palazzo <strong>di</strong> Cristallo<br />

12<br />

Dostoevskij formula per la prima volta il <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> <strong>Apocalisse</strong><br />

politica in Note invernali su impressioni estive, un resoconto del suo<br />

primo viaggio in Europa pubblicato nel 1863. Note invernali su<br />

impressioni estive è uno scritto polifonico (non solo narrativo) che rivela<br />

in alcune sue parti (Saggio sul borghese e Baal) una capacità <strong>di</strong> analisi<br />

socio-politica superiore a quella <strong>di</strong> Marx nei Manoscritti economico-<br />

filosofici del 1844. Secondo Voegelin i Manoscritti <strong>di</strong> Marx rivelano gli<br />

elementi <strong>di</strong> continuità tra la realtà, che lo gnostico si “propone <strong>di</strong><br />

superare”, e le “componenti realistiche del suo sogno”. In Baal,<br />

Dostoevskij infrange tale continuità e descrive Londra come un “quadro<br />

biblico” e il Crystal Palace dell’esposizione universale come la rivelazione<br />

terrifica della fine della storia dell’umanità borghese, quale inveramento<br />

dell’utopia del benessere e della “felicità forzata”. <strong>Il</strong> Palazzo <strong>di</strong> Cristallo<br />

era una “profezia dell’<strong>Apocalisse</strong>”: milioni <strong>di</strong> persone affluivano<br />

docilmente nel “palazzo colossale” come unite da un unico pensiero e<br />

sembrava che in quel luogo qualcosa si fosse compiuto definitivamente. <strong>Il</strong><br />

Palazzo <strong>di</strong> Cristallo è la prefigurazione dell’armonia finale, che organizza<br />

in un “unico formicaio” gli antropofagi utilitaristi fino a convertirli in<br />

“unico gregge”. Per Dostoesvkij, la borghesia non avrebbe dovuto avere<br />

paura del proletariato, perché gli operai erano “proprietari nell’anima”: la<br />

società del tornaconto e della felicità forzata sarebbe stata omologante nel


13<br />

senso <strong>di</strong> Thanatos, quale <strong>di</strong>struzione della personalità. <strong>Il</strong> Palazzo <strong>di</strong><br />

Cristallo è una fosca fantasmagoria della civiltà e la sua trasparenza è<br />

oscura: <strong>di</strong>etro l’apparente trasparenza dell’utopia utilitaristica si cela il<br />

subuomo del sottosuolo, il “topo” egoista e raziocinante con il suo aspetto<br />

terrificante. Sia in Note invernali su impressioni estive, sia in Ricor<strong>di</strong> dal<br />

sottosuolo Dostoevskij svela il “principio antropologico” dell’età<br />

dell’<strong>Apocalisse</strong> politica e infrastorica. <strong>Il</strong> titanismo dell’e<strong>di</strong>ficazione del<br />

Palazzo <strong>di</strong> Cristallo sarebbe sfociato nel “ristagno d’or<strong>di</strong>ne” borghese,<br />

considerato da Dostoevskij sub specie aeternitatis, quale sta<strong>di</strong>o definitivo<br />

del “globo terrestre”.<br />

8. La Polis del Grande Inquisitore<br />

Sia per Voegelin sia per Sandoz l’<strong>Apocalisse</strong> politica secondo<br />

Dostoevskij si rivela in tutta la sua evidenza nella Leggenda del Grande<br />

Inquisitore. La Leggenda articola una visione apocalittica del tempo<br />

presente considerata come la penultima fase della storia della tra<strong>di</strong>zione<br />

cristiana: il regno dell’Anticristo. La Polis del Grande Inquisitore va<br />

considerata, perciò, sia nella sua prospettiva escatologica, sia come mito<br />

contemporaneo che è assurto ad archetipo al pari del mito della caverna<br />

<strong>di</strong> Platone. Secondo Voegelin, nella Polis del Grande Inquisitore il pane<br />

quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong>venta l’ideale <strong>di</strong> coloro che sono dominati perché deboli:<br />

nell’ideologia monastico-sa<strong>di</strong>ca dell’Inquisitore, la massa ha bisogno <strong>di</strong><br />

protezione, mentre la libertà è per pochi eletti. La Leggenda del Grande<br />

Inquisitore è il poema “pensato” e non scritto <strong>di</strong> Ivan Karamazov: egli ne<br />

illustra il contenuto a suo fratello Alëša nel corso <strong>di</strong> un colloquio in un<br />

bettola. <strong>Il</strong> colloquio si incentra sul rifiuto <strong>di</strong> un mondo che offre lo<br />

spettacolo della “sofferenza inutile” inflitta agli innocenti: <strong>di</strong> fronte a


14<br />

questo orrendo spettacolo è meglio restituire a Dio il “proprio biglietto<br />

d’ingresso”. Nella Leggenda del Grande Inquisitore, tale questione viene<br />

posta in una prospettiva metastorica, a partire dalle “questioni ultime”.<br />

Secondo quanto afferma Dostoevskij in una lettera del maggio 1869<br />

inviata da Firenze ad Apollon Majkov, il poema avrebbe dovuto essere una<br />

“pietra preziosa originaria” tratta dalla “possente sostanza della vita”.<br />

Delineando un “quadro ardente” del XVI secolo in Europa, il “rovente<br />

pensiero” <strong>di</strong> Dostoevskij si proietta nella visione dei “quadri fantastici del<br />

futuro”. Dostoevskij vede i “due secoli”successivi al XIX come<br />

compimento del tramonto dell’Occidente, destinato a “perire” dal<br />

momento in cui il Papa avrebbe “snaturato” del tutto Cristo e l’ateismo e il<br />

nichilismo avrebbero fatto sprofondare la civiltà europea nelle sue tenebre,<br />

inverando l’apoftegma “se Dio non esiste, tutto è permesso”. La Leggenda<br />

del Grande Inquisitore è una versione satirica sia delle sacre<br />

rappresentazioni me<strong>di</strong>evali che facevano <strong>di</strong>scendere le potenze celesti sulla<br />

terra, sia dell’utopia moderna. A Siviglia, nel “periodo più terribile”<br />

dell’Inquisizione quando “ogni giorno ardevano i roghi a gloria <strong>di</strong> Dio”,<br />

ritorna Cristo per rivedere i suoi “figli” per un “istante”. Tale “istante” è<br />

una sorta <strong>di</strong> arresto mistico-messianico del tempo che permette <strong>di</strong><br />

antivedere l’estremo approdo dell’età moderna, quale <strong>Apocalisse</strong><br />

“infrastorica”. <strong>Il</strong> Grande Inquisitore fa imprigionare Cristo in un’angusta<br />

cella del palazzo del Santo Uffizio e nella soffocante notte sivigliana si<br />

presenta al cospetto del Prigioniero che rimane muto. <strong>Il</strong> Grande<br />

Inquisitore condanna Cristo a bruciare sul rogo come il “peggiore degli<br />

eretici”, perché il suo ritorno sulla terra “<strong>di</strong>sturba” l’opera della Chiesa. <strong>Il</strong><br />

visionario Grande Inquisitore intravede oltre i bagliori del “gran<strong>di</strong>oso


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autodafè”, allestito quello stesso giorno per bruciare in “una volta”<br />

centinaia <strong>di</strong> eretici, un “quadro fantastico del futuro”, per giustificare<br />

quella sofferenza “dolce” e redentrice inflitta all’umanità riottosa: la<br />

crudeltà “artistica” e “raffinata” dell’Inquisizione è una forza filantropica<br />

volta a liberare l’umanità dalla “sofferenza inutile” della coscienza per<br />

trasformarla nel piacere ebete della sazietà. <strong>Il</strong> Grande Inquisitore è un<br />

vegliardo novantenne, che, dopo aver condotto una vita ascetica nel<br />

deserto è tornato tra gli uomini, “esseri imperfetti e incompiuti, creati per<br />

derisione”, per instaurare un nuovo or<strong>di</strong>ne sociale. Per molti secoli Cristo<br />

ha tormentato l’umanità, insegnandole ad essere libera; l’uomo è nato<br />

“ribelle”, ma non può vivere sempre in rivolta. La Chiesa è stata costretta a<br />

correggere l’opera <strong>di</strong> Cristo, accentando ciò che a lui è stato offerto dal<br />

<strong>di</strong>avolo nell’episo<strong>di</strong>o evangelico delle tre tentazioni nel deserto. La<br />

“sfrenata fantasia” del Grande Inquisitore opera una sincrisi tra Cristo e il<br />

<strong>di</strong>avolo e annuncia il quinto Vangelo della “sazietà universale”. Mentre<br />

Cristo ha <strong>di</strong>feso la libertà anteponendola alla necessità materiale, il Grande<br />

Inquisitore, quale ideologo del potere, sostiene che la liberà può essere<br />

comprata con il pane, perché gli uomini sono deboli ribelli che non<br />

sopportano il peso della libertà e della rivolta: essi si lasciano soggiogare<br />

da chi sod<strong>di</strong>sfa le loro esigenze materiali e impone loro la “gastrolatria”,<br />

liberandoli dai tormenti della coscienza. La massa ha bisogno solo <strong>di</strong><br />

“comunione nell’adorazione”; Cristo, invece, ha “moltiplicato” la libertà,<br />

ingenerando inquietu<strong>di</strong>ne e scompiglio. Per il Grande Inquisitore solo tre<br />

forze possono garantire l’or<strong>di</strong>ne sociale e la felicità della massa: il<br />

“miracolo”, il “mistero”, e l’”autorità”. Sfamando gli uomini e rendendoli<br />

felici come “bambini innocenti”, il potere prende su <strong>di</strong> sé il peso


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tormentoso della libertà e della coscienza, inaugurando una nuova età<br />

dell’oro. Dal canto suo, la massa, pur essendo stata creata ribelle, ama il<br />

servile entusiasmo e non le inquietu<strong>di</strong>ni della coscienza, che si ad<strong>di</strong>cono <strong>di</strong><br />

più ad una minoranza evoluta. Se Cristo avesse accettato i suggerimenti<br />

del demonio, avrebbe realizzato i desideri dell’umanità, che ha bisogno <strong>di</strong><br />

vivere unita in un solo formicaio “comune e concorde”. Questo desiderio<br />

<strong>di</strong> “unione forzata universale” è una costante della storia e anche se ci<br />

saranno ancora secoli “<strong>di</strong> orgia del libero pensiero”, <strong>di</strong> dominio<br />

incontrastato della scienza che sfoceranno nell’”antropofagia”, alla fine<br />

gli uomini si piegheranno sempre alla forza misteriosa del mito e del<br />

simbolo, perché solo su <strong>di</strong> essa si può fondare il regno millenario della<br />

pace e della “dolce felicità infantile”. <strong>Il</strong> Grande Inquisitore si presenta<br />

come un benefattore dell’umanità impaziente <strong>di</strong> decretare la fine della<br />

storia e <strong>di</strong> prospettare l’assetto definitivo della società basato<br />

sull’”ammirazione e la paura” nei confronti <strong>di</strong> coloro che saranno riusciti a<br />

pacificare il “tumultuoso” gregge umano. L’umanità vive nella nostalgia<br />

della perduta armonia originaria e desidera che ritorni questa felicità<br />

immemorabile. <strong>Il</strong> Grande Inquisitore è un utopista deluso che sogna<br />

ancora l’avvento dell’armonia universale: egli in passato ha creduto nella<br />

bontà della natura umana, ma si è accorto che dai “miseri ribelli non<br />

usciranno dei giganti”. Tuttavia l’Inquisitore non rinuncia al suo antico<br />

ideale ma, per realizzarlo, rifiuta la verità <strong>di</strong> Cristo e accetta la menzogna<br />

della “segreta alleanza” tra i potenti.<br />

9. L’<strong>Apocalisse</strong> politica dell’ “ultimo uomo”<br />

Diversamente da quanto sostiene Carl Schmitt (Cattolicesimo<br />

romano e forma politica), La leggenda del Grande Inquisitore non è


17<br />

l’espressione più compiuta del “sentimento” e del “terrore” antiromano;<br />

Dostoevskij avrebbe proiettato sulla Chiesa cattolica il “proprio potenziale<br />

ateismo”e, mosso da un “istinto anarchico”, avrebbe voluto <strong>di</strong>mostrare che<br />

ogni potere è qualcosa <strong>di</strong> “malvagio e <strong>di</strong> inumano”. L’Inquisizione non è<br />

solo un epifenomeno del “cattolicesimo senza cristianesimo”, ma anche<br />

l’epitome <strong>di</strong> quell’<strong>Apocalisse</strong> eudemonistica che, nella ricerca della<br />

felicità ad ogni costo, impone, come soluzione religiosa, la sofferenza<br />

redentrice e il sacrificio <strong>di</strong> quegli incorreggibili eretici che non vogliono<br />

essere condotti nel recinto edenico dell’ebetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> massa. <strong>Il</strong> Grande<br />

Inquisitore è il profeta chiliastico dell’<strong>Apocalisse</strong> eudemonistica e crea un<br />

mito <strong>politico</strong> “polifonico” che non può essere ridotto all’unica <strong>di</strong>mensione<br />

dell’anticipazione della prassi totalitaria come teocrazia rovesciata.<br />

L’<strong>Apocalisse</strong> eudemonistica è una prefigurazione del Palazzo <strong>di</strong> Cristallo<br />

dell’universale sazietà, che e<strong>di</strong>fica la propria trasparente oscurità su<br />

quella violazione delle coscienze da parte <strong>di</strong> “psicologi, <strong>di</strong>alettici e<br />

confessori” che ha il suo archetipo nell’Inquisizione. La parusia<br />

immanentizzata non si è <strong>di</strong>ssolta con quello che Voegelin ha definito<br />

“clima totalitario”: non <strong>di</strong>versamente da quanto afferma Voegelin a<br />

proposito <strong>di</strong> Comte, gli ideologi della fine della storia, quale <strong>Apocalisse</strong><br />

eudemonistica, interpretano il declino della civiltà occidentale come un<br />

progresso e un trionfo. Nella Leggenda del Grande Inquisitore <strong>di</strong><br />

Dostoevskij e nel Breve Racconto dell’Anticristo <strong>di</strong> Solov’ëv il<br />

presentimento della fine della storia è considerato alla luce della<br />

“coscienza apocalittica”. <strong>Il</strong> racconto <strong>di</strong> Solov’ëv ha un’intenzione<br />

polemica ed è una previsione del XXI secolo quale trionfo dell’elemento<br />

mongolico dell’impersonalità che è penetrato nella civiltà occidentale sub


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specie massificazione livellatrice. Tale unifomità livellatrice è imposta<br />

dagli ideologi della fine della storia e dell’impero globale come legge<br />

intrascen<strong>di</strong>bile, non <strong>di</strong>ssimile da quegli “or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> sottomissione” imposti,<br />

nel XIII secolo, dai mongoli alle potenze europee e stu<strong>di</strong>ati da Voegelin.<br />

<strong>Il</strong> panmongolismo è il nome “selvaggio” <strong>di</strong> una civiltà che ha raggiunto il<br />

suo sta<strong>di</strong>o più raffinato <strong>di</strong> sviluppo. <strong>Il</strong> progresso accelerato, per<br />

Dostoevskij e Solov’ëv, è un sintomo della fine e l’ <strong>Apocalisse</strong> infrastorica<br />

è la nemesi <strong>di</strong> una civiltà non più minacciata da “popoli alieni e<br />

sconosciuti”, ma dalle “locuste” dell’insaziabile sazietà che popolano la<br />

“notte oscura” dell’impersonalità globalizzata: panmongolismo, la parola<br />

selvaggia suona ormai melo<strong>di</strong>osa e civile alle orecchie dell’inebetito<br />

“ultimo uomo”.

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