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<strong>Press</strong> <strong>Report</strong> <strong>Europe</strong> <strong>WSF</strong> <strong>2009</strong><br />
nell'Amazzonia brasiliana quale sede della nona edizione del Forum sociale mondiale.<br />
L'Amazzonia rappresenta uno dei luoghi dove il conflitto tra due idee di mondo contrapposte appare<br />
più crudo e decisivo per il futuro. Da un lato multinazionali e grandi istituzioni finanziarie che<br />
guardano al polmone della Terra come a una risorsa per fare profitti, dall'altra popoli indigeni<br />
impegnati con la forza delle idee e della propria cosmovisione a difendere quel patrimonio<br />
indisponibile che chiamano Madre Terra. «Il nostro mondo non è in vendita», si gridava negli anni<br />
'90 e dopo per combattere l'imposizione delle privatizzazioni e degli accordi commerciali.<br />
Nell'ultimo decennio i movimenti, specie in America latina, su questi temi hanno ottenuto<br />
straordinarie vittorie, «obbligando» istituzioni e governi a mettere al centro dell'agenda la difesa dei<br />
beni comuni e la sostenibilità socio-ambientale. I movimenti non hanno solo cacciato<br />
multinazionali, promosso manifestazioni, imposto una nuova idea di politica, solidarietà e<br />
partecipazione ma hanno costruito democrazia e relazioni sociali dal basso che hanno reso possibili<br />
le sole vittorie contro il modello neo-liberista.<br />
A distanza di otto anni dalla sua prima edizione, l'Fsm di Belem dimostra come questo sia ancora<br />
l'unico luogo della politica capace di parlare a tutti, di costruire speranze e di rappresentare<br />
concretamente l'alternativa al modello capitalista. L'Fsm non è e non sarà una Quinta internazionale<br />
come proponevano alcuni intellettuali nel 2005, proprio perché la cultura dell'Fsm non riconosce la<br />
presa del potere istituzionale come motore del «cambiamento». Questo non significa negarne<br />
l'importanza, né gli effetti positivi che possono avere alcuni governi vicini ai movimenti.<br />
Sicuramente il ruolo dei governi di Venezuela, Bolivia ed Ecuador è un fatto molto positivo. Ma è<br />
proprio questo a dimostrare come siano i movimenti il vero motore del cambiamento e la base da<br />
cui partire per modificare, anche in alto, le cose. Se oggi le costituzioni di questi paesi riconoscono<br />
per la prima volta diritti umani come l'acqua e la pluri-nazionalità, se garantiscono non solo<br />
l'economia di mercato ma anche quelle comunitaria e pubblica, lo si deve all'azione rifondatrice del<br />
movimento dei movimenti, alle sue battaglie, alle sue idee. Lo stesso linguaggio oggi utilizzato<br />
dalla politica sarebbe privo di concetti e pratiche quali democrazia partecipativa, difesa dei beni<br />
comuni, riforma degli organismi sovranazionali e altri di cui i movimenti sono stati portatori.<br />
Non solo. La trasformazione del lavoro e la crescente marginalizzazione della forma-stato hanno<br />
prodotto lo svuotamento e la dissoluzione dello «spazio pubblico». Che i movimenti sono impegnati<br />
da anni a ricostruire nel tentativo di ristabilire connessioni e legami sociali, senza cui il capitalismo<br />
travolgerebbe tutto e tutti. E' per continuare a lavorare in questa direzione che il forum di Belem<br />
registra la presenza massiccia e attiva dei movimenti indigeni e del loro apporto culturale,<br />
indispensabile per una maggiore comprensione della situazione attuale. Sono stati infatti per primi i<br />
movimenti indigeni a mettere in discussione non solo il modello di sviluppo ma l'idea stessa di<br />
sviluppo inteso solo come crescita del pil. È questo l'elemento di grande novità al centro del forum.<br />
Non solo la contrapposizione alla globalizzazione neo-liberista ma la necessità di comprendere<br />
finalmente come sia proprio la crescita economica, insieme alla privatizzazione dei servizi di base e<br />
dei beni comuni, il principale paradigma attraverso cui il capitalismo si riproduce, accelerando la<br />
distruzione ambientale. Il fallimento dell'ultimo vertice G-20 sulla crisi e sul cambio climatico, lo<br />
scorso luglio a Sapporo, dimostra l'incapacità di una vecchia politica, in grado solo di riproporre le<br />
stesse ricette che hanno provocato il disastro sotto gli occhi di tutti. Discutere l'idea della crescita<br />
implicherebbe mettere in discussione il capitalismo e la presunta supremazia dell'occidente. Ecco<br />
perché questa critica non arriverà mai dalla vecchia politica.<br />
Belem segna questo salto in avanti nelle nostre analisi e proposte, consapevoli della enormità della<br />
sfida ma anche del fatto che non ci sono scorciatoie e che non c'è più tempo da perdere.<br />
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