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Press Report Europe WSF 2009 - OpenFSM!

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<strong>Press</strong> <strong>Report</strong> <strong>Europe</strong> <strong>WSF</strong> <strong>2009</strong><br />

Il Forum, come hanno dimostrato anche gli incontri organizzati dai presidenti latinoamericani ieri, secondo Meena<br />

Menon, «ha costruito un'autorevolezza per i movimenti che lo partecipano che nessuna rete nella sua autonomia era mai<br />

riuscita a raggiungere». Il movimento, tuttavia, secondo Michael Hardt, «non puoò e non deve arrendersi alla tentazione<br />

della forzatura all'unitarismo. Deve rimanere uno spazio aperto per una nuova molteplicità, che attribuisca leadership ai<br />

movimenti senza ridurli». E' il momento, insomma "della rete delle reti - secondo Francois Houtard - perché 15 milioni di<br />

persone in più che muoiono ogni anno per la crisi alimentare, ecologica, politica e non solo finanziaria che ci colpisce,<br />

aspettano che questo movimento, che ha saputo connettersi, garantire loro risposte concrete, partecipazione, spazio<br />

politico, faccia un passo in avanti. Sia nuovo soggetto politico, oltre la classe operaia, verso una nuova radicalità<br />

plurale».<br />

Delirio multinazionale. Ma ora tocca ai popoli (Liberazione)<br />

1/02/<strong>2009</strong><br />

Monica Di Sisto<br />

Belèm<br />

C'è chi resiste, come il popolo Surui, fino all'ultimo giorno, per mantenere al centro alla Dichiarazione finale di Belem<br />

<strong>2009</strong> la questione indigena e le sue tante necessità. Ma c'è anche chi, come il popolo Tembé, non ce la fa più. Troppa la<br />

fatica per adattarsi a questi giorni in città. Troppa la delusione di aver visto ben 12 ministri del Governo federale sfilare<br />

nei diversi seminari del Forum a parlare di interventi pubblici, di responsabilità, di impegno sociale, ma senza alcuna<br />

proposta concreta per risolvere i problemi di povertà, di salute, di sopravvivenza dei popoli indigeni dell'Amazzonia. Se<br />

ne vanno dal Forum, mentre un altro gruppo di circa 50 indigeni sceglie di invadere la Sala stampa del Ginnasio<br />

dell'UFPA per denunciare dei media sull'epidemia di epatite che nei villaggi sta falcidiando in questi mesi migliaia di<br />

persone senza che nessuno stia intervenendo in alcun modo.<br />

D'altronde Lula, con un piede sull'aereo per Brasilia, lo ha ribadito senza giri di parole: «C'e' molta gente che palpita per<br />

l'Amazzonia nel mondo, ma deve sapere che li' abitano circa 25 milioni di persone che vogliono lavorare, avere accesso<br />

ai beni materiali e che, pertanto, non desiderano proprio che diventi un santuario dell'umanità». E che il Brasile non sia<br />

trattato con particolare riguardo lo si capisce dai racconti degli stessi leader indigeni. Che denunciano, per di più, come<br />

Welton Surui e Teri Surui, che le diverse etnie ricevono trattamenti differenziati a secondo del territorio: «Per quelli che<br />

vivono lungo le ferrovie e le principali strade ci sono investimenti pubblici e servizi sanitari, per gli altri niente, e non<br />

sappiamo perché. Forse perché vogliono convincerci a non creare problemi solo quando ci sono interessi da difendere -<br />

ha ipotizzato Welton - ma è arrivato il momento di dire basta».<br />

La storia è vecchia quanto l'arrivo delle fabbriche delle grandi transnazionali nella Regione. Sin da quando, ad esempio,<br />

a Manaus si è installata la prima "zona franca" nel 1967, la città ha conosciuto un processo di crescita urbana<br />

accelerata, con un grave impatto sulla popolazione dei bordi della foresta. E' da allora che si ragiona per risanare i<br />

quartieri marginali: nel 1997, poi, la prima rivolta in città e le prime promesse. Nel 2003 le proposte, prima rigettate<br />

dall'esecutivo, poi accolte sotto la pressione dell'opinione pubblica. E' sempre di quell'anno il primo finanziamento da 200<br />

milioni di reais del Banco Interamericano di sviluppo (Bid) al Programma sociale ed ambientale delle periferie di Manaus<br />

(Prosamim).<br />

Il progetto era strutturato in tre grandi aree: infrastrutture sanitarie, recupero ambientale e sostenibilità sociale delle<br />

politiche urbane, per garantire nuova integrazione ai gruppi più poveri. Marcos Roberto Brito de Carvalho, che coordina<br />

una di queste comunità di Manaus, lo spiega con rassegnazione: «Tutte queste lotte sotto il sole e la pioggia, durate tutti<br />

questi anni, non hanno migliorato la vita di nessuna di noi. Al contrario». Una storia per tutte, quella della signora Marilda<br />

Teles Cardoso, 56 anni, che vive da 16 nella periferia della Cachoeirinha, raccolta dall'ong Redebrasil. Scacciata senza<br />

essere aver ricevuto in cambio nessuna altra sistemazione, tutti i giorni pellegrina fino agli uffici della Prosamim e viene<br />

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