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<strong>Press</strong> <strong>Report</strong> <strong>Europe</strong> <strong>WSF</strong> <strong>2009</strong><br />
I presidenti della sinistra latinoamericana festeggiano al Forum sociale (Liberazione)<br />
30/01/<strong>2009</strong><br />
Monica Di Sisto<br />
Belem<br />
«L'Amazzonia può svilupparsi anche senza essere distrutta». Il presidente Lula, tra i padri fondatori del forum sociale<br />
mondiale, alla fine non ha accettato l'invito dei Sem terra e di Via campesina ad un confronto aperto, uno scambio vero<br />
di passioni e critiche tra politica emergente e movimenti nella palestra dell'università di Stato del Parà. Ha scelto il<br />
Liberal , il quotidiano moderato tra i più diffusi a Belem, per una intervista esclusiva, molto istituzionale e freddina. Solo<br />
qualche anno fa a Porto Alegre entrava nei campi dei Sem terra in trionfo, stringeva mani, faceva foto con i bambini. Suo<br />
l'ordine di regalare ai movimenti il Jingle di Porto Alegre «per un altro mondo possibile», un tormentone che ancora<br />
scalda il cuore ai veterani del forum e gli fa squillare il cellulare. Si è perso il meglio Lula, preferendo intervenire alla<br />
conferenza a domande (poche) e risposte bloccate dell'Hangar, dove i giornalisti, ma soprattutto il pubblico, sono stati<br />
selezionati tra buoni e cattivi, tra amici e "nunca mas". Si è perso il collega ecuadoregno Correa che a voce spiegata e<br />
chitarra cantava con tutto il pubblico dal vivo la "Querida" presenza del comandante Che Guevara. Si è perso l'altro<br />
collega paraguaiano Lugo, più timido meno intonato, che cantando, comunque, ingannava sommessamente l'attesa<br />
della grande entrata di Chavez e dell'boliviano Morales, in un'unica esplosione di folla e di guardie del corpo che per<br />
poco non travolge il leader storico dei semterra Joao Pedro Stedile. E poi tutti insieme ad ascoltare il rap melodico dei<br />
Barrios, e lo spettacolo teatrale dei più giovani dei semterra che raccontano la propria liberazione intonando<br />
l'immancabile "Pueblo unido", e prendendo il ritmo da Chavez e Correa che continuavano imperterriti a fare festa.<br />
«Quando la sinistra vince, ha bisogno di tornare alle radici», diceva ieri il poeta brasiliano Pedro Tierra mentre piantava<br />
nel campus del forum alberi di caucciù in memoria di Chico Mendez, leader siringhero che per primo guidò i suoi<br />
compagni in una strenua lotta contro le imprese che cominciavano vent'anni fa a far sparire a colpi di dollari la foresta<br />
dell'Amazzonia, e che per questo è stato ucciso a fucilate nella veranda di casa sua. Anche Lula ha rischiato più volte di<br />
rimanere ucciso per colpa loro, quando lottava per i diritti dei suoi operai del Pt e dei suoi contadini ma ieri a Belem, a<br />
raccogliere, da presidente, il testimone di queste lotte, lui non c'era. I suoi colleghi, nel frattempo, hanno rilanciato il<br />
proprio impegno di costruire, come contrappeso al trattato di libero scambio con gli Stati Uniti Alca, una nuova Alba, un<br />
accordo popolare di collaborazione e di sostegno politico ed economico tra i nuovi leader dell'America Latina. Il buen<br />
vivir, che gli indigeni contrappongono al benessere dei gringos, deve vincere, hanno sottolineato lanciando frecciate<br />
ironiche contro i tristi sconfitti di Tavos. Lula, invece, non c'è stato. «Il Brasile non è un'isola - diceva infatti a Liberal -<br />
nessun paese al mondo lo è. La crisi che ha colpito gli Stati Uniti e l'Europa si riflette, in maggiore o minore misura, in<br />
tutte le economie. Stiamo adottando tutte le misure per ridurre al minimo gli effetti e siamo in condizioni migliori di tanti<br />
altri, senza dover diventare protezionisti». Lula abbandona l'idea lanciata nei giorni scorsi di mettere in campo misure di<br />
protezione economica dopo le proteste delle imprese internazionali per le risorse e per l'agrobusiness che hanno<br />
comprato in questi anni gran parte della terra del Brasile. Il presidente continua a ripetere quelle stesse ricette che in<br />
queste stesse ore perdono colpi a Tavos: finanza a gonfie vele, esportazioni senza precedenti, nuova leadership globale.<br />
Per lanciare un segnale di distensione agli ex amici del forum Lula aggiunge che d'ora in poi il Brasile darà più spazio al<br />
mercato interno per farlo crescere e rafforzarlo. Sul tema delle infrastrutture, però, nessun passo indietro rispetto al<br />
piano nazionale che rischia di distruggere quel poco di foresta che ancora strenuamente i suoi popoli difendono, la<br />
chiusura è completa. Entro il 2010 tra cemento, rotaie, trattori e nuove strade il governo investirà 636 milioni di reais il 18<br />
per cento di quali cadrà sulla testa dello Stato di Belem che in questi giorni ne discute spaventata con gli esperti arrivati<br />
in città per il forum. Un'altra America Latina è possibile dicono gli altri presidenti. Ma forse a Lula tutto questo non<br />
importa più.<br />
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