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Relativismo epistemologico e persona umana - Edizioni Studium

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494 Marco Buzzoni<br />

conoscitivo in genere e di quello scientifico in particolare, di rappresentare<br />

le cose come esse propriamente sono. La pretesa di<br />

rappresentare o (con buona pace di Rorty) di «rispecchiare» le cose<br />

come esse sono è inevitabile, poiché ogni atto che intendesse<br />

negarla non potrebbe che riasserirla come pretesa di validità di<br />

questa stessa negazione, ed è per questo che essa si ripresenta di<br />

fatto negli autori della svolta relativistica e sociologistica in epistemologia<br />

sotto mentite spoglie, nella forma cioè di un’altra e opposta<br />

assolutizzazione, altra e opposta rispetto a quella neopositivistica:<br />

non è più il valore assoluto della scienza naturale ad essere<br />

acriticamente presupposto, bensì quello dell’indagine storiografica<br />

e delle scienze umane in generale, i cui «dati» dovrebbero<br />

costituire la base sicura per costruire un’immagine affidabile dell’impresa<br />

scientifica (una tesi neopositivistica, si potrebbe dire, all’interno<br />

d’una epistemologia che si vorrebbe radicalmente antineopositivistica).<br />

È importante tuttavia notare che, nella sfera conoscitiva<br />

in generale, nel suo sforzo di far emergere le cose reali<br />

come esse effettivamente sono, il soggetto <strong>persona</strong>le compare per<br />

così dire in negativo, nel suo sforzo o impegno, propriamente morale,<br />

di far campeggiare l’oggetto, di non interferire col modo in<br />

cui stanno o si svolgono le cose (non importa in quale misura ciò<br />

possa poi davvero riuscire), che è al tempo stesso condizione di<br />

possibilità d’un accordo intersoggettivo con i suoi simili. Lo scienziato<br />

deve cercare di porre in atto ogni possibile accorgimento o<br />

procedimento metodico, affinché il suo sapere esprima soltanto<br />

contenuti che egli non vi ha surrettiziamente o involontariamente<br />

introdotto, contenuti cioè come necessariamente debbono apparire<br />

a non importa quale altra <strong>persona</strong> dotata di ragione.<br />

Si potrebbe obiettare – ed è stato di fatto spesso obiettato da<br />

parte del cosiddetto «pensiero debole» o, più in particolare, da<br />

autori come Feyerabend o Rorty – che un’epistemologia che si appelli<br />

alla verità come testimonianza del modo in cui le cose sono<br />

effettivamente contiene un’implicita negazione di valori come la<br />

tolleranza, la libertà della ricerca, la solidarietà, ecc. Rorty ad<br />

esempio, criticando le pretese di dominio del discorso scientifico<br />

in quanto discorso che tende a dire come le cose sono in se stesse<br />

(come pretesa d’una Verità che s’imporrebbe al soggetto e gli toglierebbe<br />

ogni potere di autodeterminazione e di critica), contrappone<br />

al valore dell’oggettività quello della «solidarietà»:

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