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Che fine ha fatto il futuro? Note a margine di un saggio di ... - Carducci

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<strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>?<br />

<strong>Note</strong> a <strong>margine</strong> <strong>di</strong> <strong>un</strong> <strong>saggio</strong> <strong>di</strong> M. Augé *<br />

<strong>di</strong> Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini**<br />

Chi siamo? Da dove veniamo? Dove an<strong>di</strong>amo?<br />

<strong>Che</strong> cosa ci aspettiamo? E che cosa ci aspetta?<br />

Molti si sentono soltanto confusi. Il terreno vac<strong>il</strong>la,<br />

e non sanno perché e per che cosa. Una<br />

con<strong>di</strong>zione d’angoscia, la loro, che <strong>di</strong>viene paura<br />

se assume più precisi contorni. 1<br />

Queste parole, che Ernst Bloch scrisse già sessant’anni fa, rimangono<br />

ancora attuali e ritornano alla mente <strong>di</strong> fronte all’argomento<br />

che Marc Augé <strong>ha</strong> voluto trattare in questo suo ultimo lavoro.<br />

Marc Augé, nato a Poitiers nel 1935, è antropologo ed è stato<br />

a l<strong>un</strong>go Presidente dell’École des Hautes Études en Sciences<br />

Sociales <strong>di</strong> Parigi. Uno dei suoi lavori precedenti a questo, intitolato<br />

Nonluoghi. Introduzione a <strong>un</strong>a antropologia della surmodernità,<br />

uscito in Francia nel 1992 e pubblicato in Italia, da Elèuthera<br />

l’anno successivo, lo rese famoso al vasto pubblico. In quel testo<br />

Augé in<strong>di</strong>viduava alc<strong>un</strong>e trasformazioni intervenute a livello<br />

antropologico. Egli le definiva sotto la categoria dell’eccesso,<br />

intesa rispetto al tempo e alla nostra percezione <strong>di</strong> esso, rispetto<br />

allo spazio, e in<strong>fine</strong> rispetto alla figura dell’ego, dell’in<strong>di</strong>vidualità.<br />

Queste tre caratteristiche davano vita, secondo lui, a quella<br />

* AUGÉ M., <strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>? Dai nonluoghi al nontempo, Elèuthera, M<strong>il</strong>ano<br />

2009, p. 110.<br />

** Docente <strong>di</strong> storia e f<strong>il</strong>osofia.<br />

1 BLOCH E., Il principio speranza, voll. 3, Garzanti, M<strong>il</strong>ano 1994 (1953), vol. I,<br />

p. 5.<br />

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Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini<br />

che definiva la “surmodernità”. Questa con<strong>di</strong>zione surmoderna<br />

è quin<strong>di</strong> caratterizzata dalla sovrabbondanza degli avvenimenti,<br />

dalla sovrabbondanza spaziale e dalla sovrabbondanza<br />

dell’in<strong>di</strong>vidualizzazione degli avvenimenti. 2<br />

La surmodernità a questo p<strong>un</strong>to è produttrice <strong>di</strong> nonluoghi<br />

che, a <strong>di</strong>fferenza dei luoghi antropologici (i quali sono segnati<br />

dalla storia e dalla memoria, e sono creatori <strong>di</strong> <strong>un</strong> sociale organico),<br />

vanno intesi invece come creatori <strong>di</strong> <strong>un</strong>a contrattualità<br />

solitaria. Infatti essa non integra in sé i luoghi antichi ma al contrario,<br />

questi, nella surmodernità app<strong>un</strong>to, vengono classificati,<br />

e promossi come “luoghi della memoria”.<br />

I nonluoghi sono i p<strong>un</strong>ti <strong>di</strong> transito, <strong>di</strong> occupazioni provvisorie,<br />

come a <strong>di</strong>re<br />

le catene alberghiere e le occupazioni abusive, i club <strong>di</strong> vacanze,<br />

i campi profughi, le bidonv<strong>il</strong>le destinate al crollo o ad <strong>un</strong>a perennità<br />

putrefatta, in cui si sv<strong>il</strong>uppa <strong>un</strong>a fitta rete <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> trasporto<br />

che sono anche spazi abitati, in cui gran<strong>di</strong> magazzini, <strong>di</strong>stributori<br />

automatici e carte <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to riannodano i gesti <strong>di</strong> <strong>un</strong><br />

commercio “muto”, <strong>un</strong> mondo promesso alla in<strong>di</strong>vidualità solitaria,<br />

al pas<strong>saggio</strong>, al provvisorio e all’effimero. 3<br />

È per questo che lo spazio del nonluogo «non crea né identità<br />

singola, né relazione, ma solitu<strong>di</strong>ne e sim<strong>il</strong>itu<strong>di</strong>ne» 4 .<br />

2 Cioè della percezione in<strong>di</strong>vidualizzata degli avvenimenti. Questi sono sempre<br />

meno ricondotti ad <strong>un</strong>a loro esistenza oggettiva e sempre più “sentiti” in<br />

forma soggettiva. Confronta a tale proposito <strong>il</strong> bel <strong>saggio</strong> <strong>di</strong> PERNIOLA M.,<br />

Del sentire, Einau<strong>di</strong>, Torino 1992, che anche se <strong>un</strong> po’ datato non <strong>ha</strong> perso<br />

ancora nulla della sua luci<strong>di</strong>tà interpretativa.<br />

3 AUGÉ M., Nonluoghi. Introduzione a <strong>un</strong>a antropologia della surmodernità, Elèuthera,<br />

M<strong>il</strong>ano 1993, p. 73.<br />

4 Ivi, p. 95. Da tener presente anche la lettura che della postmodernità fa<br />

Zygm<strong>un</strong>t Bauman. In particolare, a tal proposito ve<strong>di</strong> La solitu<strong>di</strong>ne del citta<strong>di</strong>no<br />

globale, Feltrinelli, M<strong>il</strong>ano 2000.


<strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>?<br />

L’estensione dei nonluoghi, concludeva in quel testo Augé,<br />

«<strong>ha</strong> già battuto in velocità la riflessione dei politici, i quali <strong>ha</strong>nno<br />

finito con <strong>il</strong> non chiedersi più dove vanno, perché sanno sempre<br />

meno dove si trovano» 5 .<br />

Si può <strong>di</strong>re che è da questo p<strong>un</strong>to che Augé riprende la sua<br />

riflessione sulla “con<strong>di</strong>zione surmoderna”. Lo fa a partire dalla<br />

riflessione sul concetto <strong>di</strong> <strong>futuro</strong>.<br />

Può esser ut<strong>il</strong>e, afferma l’autore, «riprendere la categoria <strong>di</strong><br />

tempo per interrogare nuovamente le false evidenze dell’attuale<br />

ideologia del presente» 6 . Ideologia che egli poco più sopra affermava<br />

essere segnata dalla società dei consumi.<br />

Tale società produce ad esempio <strong>un</strong> effetto perverso che<br />

consiste nel <strong>fatto</strong> che venga cancellata impercettib<strong>il</strong>mente la frontiera<br />

tra realtà e finzione, infatti<br />

la televisione opera per lo più nel senso <strong>di</strong> questa cancellazione,<br />

perché crea <strong>un</strong> mondo artificiale con persone reali... nel quale si<br />

ritrovano in<strong>di</strong>fferentemente, in <strong>un</strong>a specie <strong>di</strong> Olimpo cato<strong>di</strong>co,<br />

personalità politiche, stelle del varietà, attori, presentatori, campioni<br />

sportivi e altre celebrità. Nei telespettatori nasce pian piano<br />

la sensazione che apparire sullo schermo sia la prova ultima<br />

<strong>di</strong> <strong>un</strong>’esistenza riuscita. 7<br />

È in questo senso che «i me<strong>di</strong>a svolgono oggi <strong>il</strong> ruolo che <strong>un</strong><br />

tempo spettava alle cosmologie» 8 , perché i me<strong>di</strong>a<br />

strutturano <strong>il</strong> nostro tempo quoti<strong>di</strong>ano, stagionale e annuale. La<br />

vita politica, artistica, sportiva non è più concepib<strong>il</strong>e senza l’intromissione<br />

dei me<strong>di</strong>a, che cambiano la nostra relazione con lo<br />

5 AUGÉ M., op. cit., p. 105.<br />

6 Ivi, p. 12.<br />

7 Ivi, p. 39.<br />

8 Ivi, p. 40.<br />

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Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini<br />

spazio e con <strong>il</strong> tempo, imponendoci, con la forza delle immagini,<br />

<strong>un</strong>a certa idea del bello, del vero e del bene, e anche <strong>un</strong>a certa<br />

idea dell’abituale, del solito e, a conti fatti, della norma; in altre<br />

parole, <strong>un</strong>’idea del consumo che continuano a riprodurre essendo<br />

essi stessi beni <strong>di</strong> consumo. Sono totalitari per essenza. La<br />

cosmotecnologia spiega tutto, racconta tutto e si rivolge a tutti.<br />

Come le altre cosmologie, aliena chi<strong>un</strong>que la prenda alla lettera. 9<br />

È per tale motivo che pensare <strong>il</strong> tempo <strong>di</strong>venta oggi, oltre<br />

che <strong>un</strong>a sfida, anche <strong>un</strong>a necessità, perché<br />

ogni cosa ci suggerisce o vuole farci credere che viviamo in <strong>un</strong><br />

sistema che si colloca definitivamente fuori della storia. 10<br />

Oggi ci stiamo sempre più abituando a consumare le immagini,<br />

le parole, i messaggi. Secondo Augé, che cita J.-P. Vernant,<br />

siamo sempre più schiavi <strong>di</strong> quella che può esser definita la “ragione<br />

retorica”, «la quale non fa altro che giustificare l’esistente<br />

così com’è», mentre «rin<strong>un</strong>ciamo alla parte migliore della tra<strong>di</strong>zione<br />

del paganesimo nella versione greca e più precisamente<br />

ateniese: la capacità <strong>di</strong> introspezione intellettuale, l’attitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

spostare i confini, la vocazione a restare nella storia senza immolarsi<br />

alle <strong>il</strong>lusioni del sistema» 11 .<br />

Questa “ragione retorica” non fa altro che <strong>di</strong>vinizzare <strong>il</strong> presente<br />

dando vita ad <strong>un</strong>a ideologia dell’adesso (Life is now) tutta<br />

tesa a rendere inut<strong>il</strong>i e sorpassati gli insegnamenti del passato e<br />

nel contempo ad annullare qualsiasi desiderio <strong>di</strong> immaginare <strong>il</strong><br />

<strong>futuro</strong>.<br />

L’eterno presente nel quale l’attuale sistema <strong>di</strong> produzione,<br />

sistema <strong>di</strong> produzione dello spettacolo e del consumo, ci <strong>ha</strong><br />

9 Ivi, p. 41.<br />

10 Ivi, p. 45.<br />

11 Ivi, p. 71.


<strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>?<br />

gettati, ci impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> affrontare <strong>un</strong> qualsiasi argomento che<br />

possa esser svincolato dalla “presentità” del presente. Tutto rimanda<br />

al presente, tutto è relativo al presente, <strong>il</strong> presente va<br />

prodotto continuamente e continuamente consumato, in <strong>un</strong><br />

vortice me<strong>di</strong>atico che, questo sì, sta <strong>di</strong>ventando sempre più totalitario,<br />

nella sua forma e nella sua sostanza. Questa ideologia<br />

del presente paralizza ogni sforzo teso a pensare <strong>il</strong> <strong>di</strong>verso, la<br />

<strong>di</strong>versità. Tutto vuole invece assorbire, inglobare, assumere, rendere<br />

omogeneo e <strong>un</strong>i-forme, proprio nel senso <strong>di</strong> avere <strong>un</strong>a<br />

forma e <strong>un</strong>a soltanto. Augé sostiene che <strong>il</strong> presente,<br />

da <strong>un</strong>o o due decenni, è <strong>di</strong>ventato egemonico. Agli occhi del com<strong>un</strong>e<br />

mortale, non deriva più dalla lenta maturazione del passato<br />

e non lascia più trasparire i lineamenti <strong>di</strong> possib<strong>il</strong>i futuri, ma si<br />

impone come <strong>un</strong> <strong>fatto</strong> compiuto, schiacciante, <strong>il</strong> cui improvviso<br />

emergere offusca <strong>il</strong> passato e satura l’immaginazione del <strong>futuro</strong>. 12<br />

Di “questo” presente, scriveva già Simone We<strong>il</strong> quando affermava:<br />

Il presente è <strong>un</strong>o <strong>di</strong> quei perio<strong>di</strong> in cui svanisce quanto normalmente<br />

sembra costituire <strong>un</strong>a ragione <strong>di</strong> vita e, se non si vuole<br />

sprofondare nello smarrimento o nell’incoscienza, tutto va rimesso<br />

in questione. Solo <strong>un</strong>a parte del male <strong>di</strong> cui soffriamo è da<br />

attribuire al <strong>fatto</strong> che <strong>il</strong> trionfo dei movimenti autoritari e nazionalisti<br />

<strong>di</strong>strugge <strong>un</strong> po’ dov<strong>un</strong>que la speranza che uomini onesti<br />

avevano riposto nella democrazia e nel pacifismo; esso è ben più<br />

profondo e ben più vasto. Ci si può chiedere se esista <strong>un</strong> àmbito<br />

della vita pubblica o privata dove le sorgenti stesse dell’attività e<br />

della speranza non siano avvelenate dalle con<strong>di</strong>zioni nelle quali<br />

viviamo. Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa<br />

<strong>di</strong> essere ut<strong>il</strong>i, ma con <strong>il</strong> sentimento um<strong>il</strong>iante e angosciante<br />

<strong>di</strong> possedere <strong>un</strong> priv<strong>il</strong>egio concesso da <strong>un</strong> favore passeggero<br />

12 Ivi, p. 88.<br />

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Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini<br />

della sorte, <strong>un</strong> priv<strong>il</strong>egio dal quale si escludono parecchi esseri<br />

umani per <strong>il</strong> <strong>fatto</strong> stesso <strong>di</strong> goderne, in breve <strong>un</strong> posto. Gli stessi<br />

impren<strong>di</strong>tori <strong>ha</strong>nno perso quella credenza ingenua in <strong>un</strong> progresso<br />

economico <strong>il</strong>limitato che faceva loro supporre <strong>di</strong> avere<br />

<strong>un</strong>a missione. Il progresso tecnico sembra aver <strong>fatto</strong> fallimento,<br />

poiché <strong>ha</strong> apportato alle masse, in luogo del benessere, la miseria<br />

fisica e morale in cui le ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>battersi; del resto non sono<br />

più ammesse innovazioni tecniche in ness<strong>un</strong> campo, o quasi, salvo<br />

nelle industrie belliche. Quanto al progresso scientifico, non<br />

si vede bene a che cosa possa servire accatastare ulteriormente<br />

conoscenze su <strong>un</strong> ammasso già fin troppo vasto per poter essere<br />

abbracciato dal pensiero stesso degli specialisti; e l’esperienza<br />

mostra che i nostri antenati si sono ingannati credendo nella <strong>di</strong>ffusione<br />

dei lumi, poiché non si può <strong>di</strong>vulgare fra le masse che<br />

<strong>un</strong>a miserab<strong>il</strong>e caricatura della cultura scientifica moderna, caricatura<br />

che, l<strong>un</strong>gi dal formarne la capacità <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio, le abitua<br />

alla credulità. L’arte stessa subisce <strong>il</strong> contraccolpo dello smarrimento<br />

generale, che la priva in parte del suo pubblico, e con ciò<br />

stesso lede l’ispirazione. In<strong>fine</strong> la vita fam<strong>il</strong>iare è <strong>di</strong>ventata solo<br />

ansietà, a partire dal momento in cui la società si è chiusa ai<br />

giovani. Proprio quella generazione per la quale l’attesa febbr<strong>il</strong>e<br />

dell’avvenire costituisce la vita intera vegeta in tutto <strong>il</strong> mondo con<br />

la consapevolezza <strong>di</strong> non avere alc<strong>un</strong> avvenire, che per essa non<br />

c’è alc<strong>un</strong> posto nel nostro <strong>un</strong>iverso. Del resto questo male, al giorno<br />

d’oggi, se è più acuto per i giovani, è com<strong>un</strong>e a tutta l’umanità.<br />

Viviamo <strong>un</strong>’epoca priva <strong>di</strong> avvenire. L’attesa <strong>di</strong> ciò che verrà non è<br />

più speranza, ma angoscia. 13<br />

Una delle caratteristiche dominanti <strong>di</strong> “questo” presente è<br />

per esempio quella della velocità. Anche a questo riguardo appare<br />

senz’altro profetica, oltre che carica <strong>di</strong> significato per l’oggi,<br />

la riflessione sul concetto <strong>di</strong> Veloziferische che Goethe esponeva,<br />

in <strong>un</strong>a lettera del 7 giugno 1825 a Zelter, e cioè che:<br />

13 WEIL S., Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Adelphi, M<strong>il</strong>ano<br />

1994 (1955), p. 11.


<strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>?<br />

Tutto [...] è ora ultra, tutto trascende irresistib<strong>il</strong>mente, nel pensiero<br />

come nell’azione. Ness<strong>un</strong>o si conosce più, ness<strong>un</strong>o afferra più l’elemento<br />

in cui si muove e agisce, la sostanza che elabora. [...] I giovani<br />

vengono troppo spesso eccitati e travolti in questo vortice: ricchezza<br />

e velocità è ciò che desta la meraviglia del mondo e per cui<br />

ciasc<strong>un</strong>o lotta: ferrovie, battelli a vapore e tutte le possib<strong>il</strong>i fac<strong>il</strong>itazioni<br />

nelle com<strong>un</strong>icazioni sono quello a cui le persone <strong>di</strong> cultura<br />

tendono, per superarsi e superistruirsi, e proprio con ciò persistono<br />

nella loro me<strong>di</strong>ocrità. E questo sarà anche <strong>il</strong> risultato generale,<br />

che <strong>un</strong>a cultura me<strong>di</strong>a <strong>di</strong>verrà com<strong>un</strong>e. Veramente questo è <strong>il</strong> secolo<br />

<strong>di</strong> uomini pratici che afferrano tutto al volo, che, data <strong>un</strong>a<br />

loro certa <strong>di</strong>sinvoltura, sentono la loro superiorità sulla massa sebbene<br />

essi non siano particolarmente dotati. 14<br />

Pare allora che questo, e soltanto questo, possa essere <strong>il</strong> motivo<br />

che fa <strong>di</strong>re a due autori, quali Edgar Morin e Anne Kern,<br />

negli stessi anni <strong>di</strong> Postman, che:<br />

La nostra civ<strong>il</strong>tà è malata <strong>di</strong> velocità. Urge prendere coscienza<br />

della corsa folle, del rischio <strong>di</strong> impazzire. Occorre frenare, rallentare,<br />

per fare avvenire <strong>un</strong> altro <strong>di</strong>venire. 15<br />

Questa particolare forma del presente venne definita con <strong>il</strong><br />

termine “tecnopolio” da Postman già negli anni Novanta del<br />

secolo scorso. Il tecnopolio, secondo tale autore, che si rifà al<br />

pensiero <strong>di</strong> Aldous Huxley del Brave New World, <strong>ha</strong> contribuito<br />

a rendere<br />

ogni alternativa non <strong>il</strong>legale, né immorale e nemmeno impopolare,<br />

ma semplicemente invisib<strong>il</strong>e, e quin<strong>di</strong> irr<strong>il</strong>evante... ride<strong>fine</strong>ndo<br />

i nostri concetti <strong>di</strong> religione, arte, famiglia, politica, storia,<br />

verità, privatezza, intelligenza, in modo da farli coincidere con le<br />

14 Cit. in LÖWITH K., Storia e fede, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 163.<br />

15 MORIN E.-KERN A.B., Terra-Patria, R. Cortina, M<strong>il</strong>ano 1994, p. 155.<br />

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Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini<br />

nuove esigenze. In altre parole, <strong>il</strong> tecnopolio è la tecnocrazia totalitaria.<br />

16<br />

Il tecnopolio, secondo <strong>il</strong> Postman, <strong>ha</strong> ingaggiato già da molto<br />

tempo <strong>un</strong>a lotta, anzi <strong>un</strong>a vera e propria guerra con la cultura,<br />

vincendola.<br />

Ciò per altro lo possono constatare ogni giorno coloro i quali<br />

si trovano, per dovere o per necessità, a confrontarsi con <strong>il</strong><br />

mondo della cultura, dell’istruzione e dell’educazione. Molto<br />

significativa appare la descrizione <strong>di</strong> questa situazione, fatta app<strong>un</strong>to<br />

da questo autore. 17<br />

Perché <strong>il</strong> tecnopolio <strong>ha</strong> vinto questa guerra e si è imposto?<br />

Perché, risponde Postman, si è spezzato quel legame tra infor-<br />

16 POSTMAN N., Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri,<br />

Torino 1993 (1992), p. 49.<br />

17 «Nella scuola due gran<strong>di</strong> tecnologie si scontrano, senza possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> compromesso,<br />

per conseguire <strong>il</strong> controllo dei cervelli degli studenti. Da <strong>un</strong>a parte<br />

sta <strong>il</strong> mondo della parola stampata che p<strong>un</strong>ta sulla logica, i rapporti <strong>di</strong><br />

successione, la storia, l’esposizione, l’obiettività, <strong>il</strong> <strong>di</strong>stacco e la <strong>di</strong>sciplina.<br />

Dall’altra sta <strong>il</strong> mondo della televisione, imperniato sulla fantasia, <strong>il</strong> racconto,<br />

la contemporaneità, la simultaneità, l’intimità, la gratifica imme<strong>di</strong>ata e la rapida<br />

risposta emotiva. I bambini, quando vanno a scuola, sono già profondamente<br />

con<strong>di</strong>zionati dalla televisione. A scuola fanno conoscenza con <strong>il</strong> mondo<br />

della parola stampata e si instaura <strong>un</strong>a specie <strong>di</strong> guerra psichica, in cui i<br />

feriti sono molti: i bambini che non possono o non vogliono imparare a<br />

leggere, i bambini che non riescono a organizzare <strong>il</strong> pensiero nemmeno nella<br />

struttura logica <strong>di</strong> <strong>un</strong>a semplice frase, i bambini che non sono capaci <strong>di</strong> seguire<br />

<strong>un</strong>a lezione o <strong>un</strong>a spiegazione verbale per più <strong>di</strong> pochi minuti. Sono <strong>un</strong><br />

<strong>di</strong>sastro, ma non perché sono stupi<strong>di</strong>. Sono <strong>un</strong> <strong>di</strong>sastro perché è in corso <strong>un</strong>a<br />

guerra dei me<strong>di</strong>a e loro sono dalla parte sbagliata, almeno per <strong>il</strong> momento.<br />

Chi può <strong>di</strong>re come saranno le scuole fra venticinque, cinquant’anni? Allora <strong>il</strong><br />

tipo <strong>di</strong> studente che oggi è considerato <strong>un</strong> <strong>di</strong>sastro sarà probab<strong>il</strong>mente giu<strong>di</strong>cato<br />

<strong>un</strong> genio, mentre lo studente che oggi stu<strong>di</strong>a con profitto sarà giu<strong>di</strong>cato<br />

<strong>un</strong> allievo <strong>ha</strong>n<strong>di</strong>cappato, lento nei riflessi, troppo <strong>di</strong>staccato, privo <strong>di</strong> emozioni,<br />

incapace <strong>di</strong> creare immagini mentali della realtà» (ivi, p. 22).


<strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>?<br />

mazione e finalità umana. L’informazione è infatti totalmente<br />

in<strong>di</strong>scriminata, non è <strong>di</strong>retta a ness<strong>un</strong>o in particolare, è estremamente<br />

veloce e non <strong>ha</strong> alc<strong>un</strong> rapporto con ness<strong>un</strong>a teoria o<br />

significato. Sembra abbia la stessa caratteristica che la tecnica<br />

assume nel pensiero <strong>di</strong> Emanuele Severino. 18 Essa vuole in sostanza<br />

soltanto se stessa.<br />

È per questo che, secondo <strong>il</strong> Postman, l’obiettivo dell’informazione<br />

non è<br />

la <strong>di</strong>minuzione dell’ignoranza, della superstizione e della sofferenza<br />

bensì quello <strong>di</strong> adeguarci ai requisiti delle nuove tecnologie<br />

[... perché ...] <strong>il</strong> tecnopolio è <strong>un</strong>a con<strong>di</strong>zione culturale e<br />

mentale consistente nella deificazione della tecnologia. Il che<br />

significa che la cultura ricerca nella tecnologia la propria giustificazione,<br />

trova sod<strong>di</strong>sfazione nella tecnologia e prende or<strong>di</strong>ni<br />

dalla tecnologia. 19<br />

Alc<strong>un</strong>e riflessioni <strong>di</strong> questo autore, nel campo della pedagogia,<br />

riflessioni risalenti a circa vent’anni fa, sarebbero per altro<br />

da riprendere ed approfon<strong>di</strong>re. 20<br />

18 «Questo infinito incremento è ormai, o <strong>ha</strong> già incominciato ad essere, <strong>il</strong><br />

supremo scopo planetario. Ogni altro scopo è più o meno consapevolmente,<br />

più o meno <strong>di</strong>rettamente subor<strong>di</strong>nato a questo scopo supremo: la crescita<br />

infinita della potenza; che ormai non può più prodursi al <strong>di</strong> fuori dell’apparato<br />

della tecnica. In tale subor<strong>di</strong>nazione consiste la dominazione della tecnica<br />

nel nostro tempo, la sua destinazione al dominio» (SEVERINO E., Il destino della<br />

tecnica, Rizzoli, M<strong>il</strong>ano 1998, p. 11). Il problema della tecnica è <strong>un</strong>o dei temi<br />

centrali della riflessione <strong>di</strong> questo f<strong>il</strong>osofo.<br />

19 POSTMAN N., op. cit., p. 70. L’inciso in parentesi quadre è <strong>di</strong> chi scrive.<br />

20 «Pren<strong>di</strong>amo ad esempio <strong>il</strong> campo dell’istruzione. Nel tecnopolio si migliora<br />

l’istruzione dei giovani migliorando le cosiddette “tecnologie <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento”.<br />

Attualmente si considera necessario introdurre nelle classi i computers,<br />

così come <strong>un</strong> tempo si riteneva necessario portarci la televisione a circuito<br />

chiuso e <strong>il</strong> f<strong>il</strong>m. Alla domanda: “Perché dobbiamo farlo?” la risposta è:<br />

“Per rendere l’appren<strong>di</strong>mento più efficiente e interessante”. Tale risposta è<br />

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74<br />

Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini<br />

Forse è possib<strong>il</strong>e che noi oggi, anche a causa <strong>di</strong> ciò, si stia<br />

vivendo quella con<strong>di</strong>zione storica che Koselleck aveva intravisto<br />

e commentato <strong>un</strong> quarto <strong>di</strong> secolo fa, e cioè che<br />

<strong>il</strong> <strong>futuro</strong> proprio <strong>di</strong> questo progresso è caratterizzato da due<br />

momenti: dall’accelerazione con cui ci arriva addosso, e dal <strong>fatto</strong><br />

<strong>di</strong> essere ignoto. Il tempo accelerato, ossia la nostra storia, abbrevia<br />

infatti gli spazi <strong>di</strong> esperienza, li priva della loro stab<strong>il</strong>ità e<br />

in tal modo mette continuamente in gioco nuovi elementi ignoti;<br />

così, a causa della complessità <strong>di</strong> questi <strong>fatto</strong>ri sconosciuti persino<br />

<strong>il</strong> presente si sottrae alla nostra esperienza. 21<br />

A cercare <strong>di</strong> fare <strong>un</strong>a riflessione sul presente si può infatti<br />

esser d’accordo con ciò che ci ricorda <strong>il</strong> Koselleck e cioè che<br />

due fenomeni stanno caratterizzando <strong>il</strong> nostro tempo: <strong>un</strong> restringimento<br />

dell’area dell’esperienza e contemporaneamente <strong>un</strong><br />

abbassamento dell’orizzonte delle attese.<br />

Particolarmente significativa è la presenza <strong>di</strong> queste due con<strong>di</strong>zioni<br />

nel mondo della scuola. Lo si r<strong>il</strong>eva continuamente con<br />

le nuove generazioni che paiono vivere sempre più in <strong>un</strong> mondo<br />

nel quale fanno evidente fatica a collocarsi in <strong>un</strong>a <strong>di</strong>mensione<br />

spazio-temporale che non sia quella che <strong>il</strong> sistema della produzione<br />

e del consumo <strong>ha</strong> già deciso per loro.<br />

Augé, alla <strong>fine</strong> del suo lavoro, <strong>di</strong>chiara senza mezzi termini che<br />

considerata pienamente adeguata, visto che nel tecnopolio l’efficienza e l’interesse<br />

non <strong>ha</strong>nno bisogno <strong>di</strong> giustificazione. Ragion per cui <strong>di</strong> solito non ci<br />

si rende conto del <strong>fatto</strong> che questa risposta non si riferisce alla domanda:<br />

“Quali sono gli scopi dell’appren<strong>di</strong>mento?” “Efficienza e interesse” è <strong>un</strong>a<br />

risposta <strong>di</strong> carattere tecnico, che non riguarda <strong>il</strong> <strong>fine</strong>, ma i mezzi, e non lascia<br />

alc<strong>un</strong>o spazio a considerazioni <strong>di</strong> f<strong>il</strong>osofia educativa. Anzi, preclude la strada<br />

a tale considerazione in quanto comincia con <strong>il</strong> chiedersi come, e non perché,<br />

dovremmo procedere» (op. cit., p. 157).<br />

21 KOSELLECK R., Futuro passato. Per <strong>un</strong>a semantica dei tempi storici, Marietti, Genova<br />

1986, p. 25.


<strong>Che</strong> <strong>fine</strong> <strong>ha</strong> <strong>fatto</strong> <strong>il</strong> <strong>futuro</strong>?<br />

la vera democrazia passa per <strong>un</strong>a chiara definizione delle relazioni<br />

egualitarie tra tutti gli in<strong>di</strong>vidui, tra tutti gli <strong>un</strong>i, chi<strong>un</strong>que siano, e<br />

tutti gli altri, chi<strong>un</strong>que siano. Oggi ne siamo ancora ben lontani. 22<br />

Questo concetto della democrazia nelle relazioni egualitarie,<br />

applicato alla cultura, <strong>di</strong>venta <strong>un</strong> contenuto-<strong>fine</strong>. Bloch, nelle<br />

sue tesi sul progresso, ne aveva scritto, de<strong>fine</strong>ndolo così:<br />

Non è qualcosa <strong>di</strong> già definito, ma <strong>di</strong> non ancora manifesto, <strong>un</strong><br />

umano concreto-utopistico. Soltanto così <strong>il</strong> rapporto al presente,<br />

che opera in profon<strong>di</strong>tà, in relazione al quale i <strong>di</strong>versi<br />

corsi storici sono or<strong>di</strong>nati, <strong>di</strong>venta rappresentab<strong>il</strong>e come <strong>un</strong>a<br />

profon<strong>di</strong>tà tanto ampia che in <strong>un</strong>a cronologia riccamente strutturata<br />

trovano posto i processi evolutivi <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong> mondo. Per<br />

l’umano che erompe dall’interno, ultimo, preminente p<strong>un</strong>to<br />

d’arrivo del progresso, tutte quante le culture della terra, insieme<br />

al loro sostrato ere<strong>di</strong>tario sono esperimenti e testimonianze<br />

in vario modo importanti. Esse non convergono perciò in <strong>un</strong>a<br />

cultura già presente in qualche luogo, sia pure <strong>un</strong>a cultura “dominante”,<br />

<strong>di</strong> importanza “classica”, che per la sua qualità (pur<br />

sempre soltanto sperimentale) sarebbe “canonica”. Le passate,<br />

presenti e future civ<strong>il</strong>tà convergono soltanto in <strong>un</strong> umano in<br />

ness<strong>un</strong> luogo ancora sufficientemente manifesto, ma certo sufficientemente<br />

anticipab<strong>il</strong>e. 23<br />

Questa, e soltanto questa, presa <strong>di</strong> coscienza può riuscire, in<br />

qualche modo, a combattere ciò che ormai appare in tutta evi-<br />

22 AUGÉ M., <strong>Che</strong> <strong>fine</strong>, cit., p. 105.<br />

23 BLOCH E., Sul progresso, Guerini e Associati, M<strong>il</strong>ano 1990 (1963), p. 64. Si<br />

potrebbe riandare con la mente alla famosa frase che Marx scrive a Ruge, e<br />

cioè «apparirà chiaro […] come da tempo <strong>il</strong> mondo possieda <strong>il</strong> sogno <strong>di</strong> <strong>un</strong>a<br />

cosa della quale non <strong>ha</strong> che da possedere la coscienza, per possederla realmente.<br />

Apparirà chiaro come non si tratti <strong>di</strong> tirare <strong>un</strong>a linea retta tra passato<br />

e <strong>futuro</strong>, bensì <strong>di</strong> realizzare i pensieri del passato» (cfr. MARX K., Un carteggio<br />

del 1843 e altri scritti giovan<strong>il</strong>i, E<strong>di</strong>tori Ri<strong>un</strong>iti, Roma 1954, pp. 40-41).<br />

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Paolo Em<strong>il</strong>io Biagini<br />

denza, e cioè che, nonostante tutti gli sforzi nel campo della com<strong>un</strong>icazione<br />

e dell’informazione, l’ignoranza sia in crescita. Tale<br />

aumento è evidente analizzando lo scarto tra i saperi specialistici<br />

<strong>di</strong> chi li possiede e la cultura me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> chi non li possiede.<br />

Da sempre l’uomo ricerca per sé e per <strong>il</strong> prossimo quel qualcosa<br />

che lo possa rendere felice. Quel cosiddetto “Etwas fehlt” 24 ,<br />

ovvero “qualcosa manca” che spinge l’uomo ad andare avanti<br />

per terreni inesplorati alla ricerca del posseduto-perduto. Per<br />

Augé, questo “qualcosa” potrebbe essere sicuramente raggi<strong>un</strong>to<br />

attraverso <strong>un</strong> atteggiamento atto a<br />

governare in vista del sapere, <strong>di</strong> assegnarsi <strong>il</strong> sapere come <strong>fine</strong><br />

in<strong>di</strong>viduale e collettivo. Quin<strong>di</strong>, finalmente, <strong>di</strong> ritornare a <strong>un</strong> pensiero<br />

del tempo... 25 .<br />

24 BLOCH E., Il principio speranza, op. cit., vol. I, p. XXVI.<br />

25 Cit., p. 110.

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