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Anestetismi musicali. Breve saggio sull'utilizzo ideologico ... - Carducci

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<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong>. <strong>Breve</strong> <strong>saggio</strong><br />

sull’utilizzo <strong>ideologico</strong> della musica<br />

di Daniele Stroppolo *<br />

1. Due cugini a confronto<br />

Questo scritto è il prodotto di una riflessione che procede, a<br />

strappi e pause, da molti anni, cioè da quando ero occupato<br />

nella redazione della mia tesi di laurea che intendeva comprendere<br />

in che modo le teorie estetiche e musicologiche di Theodor<br />

Wiesengrund Adorno avessero influenzato la produzione<br />

musicale italiana. A margine di quel lungo lavoro di catalogazione<br />

di articoli, interviste e biografie di musicisti e critici italiani, si<br />

è radicata in me l’idea che le riflessioni di quel pensatore intimamente<br />

legato agli strumenti d’indagine del reale tipici del marxismo,<br />

ormai così demodé, fossero tutt’altro che obsolete e che anzi<br />

il suo approccio ai prodotti <strong>musicali</strong> di consumo fosse terribilmente<br />

attuale; così ho approfittato dell’occasione di questo secondo<br />

numero dei “Dialoghi” per sfogliare nuovamente un paio<br />

di quei saggi e per redigere uno scritto più o meno ordinato<br />

sull’argomento. L’intento è quello di provare a osservare il grande<br />

insieme della produzione musicale odierna e della sua fruizione<br />

con uno sguardo influenzato dall’approccio critico che Adorno<br />

aveva applicato alla sua realtà sin dalla pubblicazione del fonda-<br />

* Docente di italiano e latino.<br />

11


12<br />

Daniele Stroppolo<br />

mentale <strong>saggio</strong> Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell’ascolto 1 ,<br />

pubblicato nel 1938.<br />

Il testo adorniano viene redatto in risposta allo scritto del<br />

suo cugino e collega di studi Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca<br />

della sua riproducibilità tecnica, 2 nel quale il filosofo tedesco<br />

propone una riflessione sul cambio di qualità della fruizione<br />

artistica dovuto al diffondersi di alcune tecnologie industriali<br />

applicabili all’arte stessa. Benjamin delinea un fenomeno estetico<br />

che egli definisce «perdita dell’aura»: l’opera d’arte, grazie<br />

alle possibilità tecnologiche della fedele riproduzione seriale è<br />

destinata a emanciparsi dal proprio elemento sacrale, strettamente<br />

vincolato alla sua unicità:<br />

Le opere d’arte più antiche sono nate, com’è noto, al servizio di<br />

un rituale, dapprima magico, poi religioso. Ora, riveste un significato<br />

decisivo il fatto che questo modo di esistenza, avvolto da<br />

un’aura particolare, non possa mai staccarsi dalla sua funzione<br />

rituale. In altre parole: il valore unico dell’opera d’arte autentica<br />

trova una sua fondazione nel rituale, nell’ambito del quale ha<br />

avuto il suo primo e originario valore d’uso. Questo fondarsi,<br />

per mediato che sia, è riconoscibile, nella forma di un rituale<br />

secolarizzato, anche nelle forme più profane della bellezza. [...]<br />

La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte emancipa per la prima<br />

volta nella storia del mondo quest’ultima dalla sua esistenza<br />

parassitaria nell’ambito del rituale. L’opera d’arte riprodotta di-<br />

1 ADORNO TH. W., Über den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des<br />

Hörens, in “Zeitschrift für Sozialforschung”, Paris 1938. Tale rivista era emanazione<br />

dell’Institut für Sozialforschung di Francoforte. Il testo del <strong>saggio</strong> fu poi<br />

ripubblicato nel volume Dissonanzen. Musik in der verwalteten Welt, Göttingen<br />

1956; trad. it. Dissonanze, Feltrinelli, Milano 1959.<br />

2 BENJAMIN W., Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, in<br />

“Zeitschrift für Sozialforschung”, Paris 1936, poi in Das Kunstwerk im Zeitalter<br />

seiner technischen Reproduzierbarkeit, Frankfurt am Main 1955; trad. it. L’opera<br />

d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

venta in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera<br />

d’arte predisposta alla sua riproducibilità. 3<br />

Secondo Benjamin, tale fatto implica una trasformazione dei<br />

parametri estetici tout court paragonabile a quella avvenuta in<br />

ambito letterario con l’invenzione della stampa:<br />

Gli enormi mutamenti che la stampa, cioè la riproducibilità tecnica<br />

della scrittura, ha suscitato nella letteratura sono noti. Ma<br />

essi costituiscono soltanto un caso, benché certo particolarmente<br />

importante, del fenomeno che qui viene considerato sulla scala<br />

della storia mondiale. 4<br />

Infatti, a suo modo di vedere, la riproducibilità tecnica consente<br />

di creare un rapporto totalmente diverso tra opera e fruitore:<br />

Mentre l’autentico mantiene la sua piena autorità di fronte alla riproduzione<br />

manuale, che di regola viene da esso bollata come un falso,<br />

ciò non accade nel caso della riproduzione tecnica. Essa può, per<br />

esempio mediante la fotografia, rilevare aspetti dell’originale che sono<br />

accessibili soltanto all’obiettivo, che è spostabile e in grado di scegliere<br />

a piacimento il suo punto di vista, ma non all’occhio umano,<br />

oppure, con l’aiuto di certi procedimenti, come l’ingrandimento o la<br />

ripresa al rallentatore, può cogliere immagini che si sottraggono interamente<br />

all’ottica naturale. È questo il primo punto. Essa può inoltre<br />

introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che all’originale<br />

stesso non sono accessibili. In particolare, gli permette di andare<br />

incontro al fruitore, nella forma della fotografia oppure del<br />

disco. La cattedrale abbandona la sua ubicazione per essere accolta<br />

nello studio di un amatore d’arte; il coro che è stato eseguito in un<br />

auditorio oppure all’aria aperta può venir ascoltato in una camera. 5<br />

3 BENJAMIN W., L’opera d’arte, cit., pp. 24-25.<br />

4 Ivi, p. 20.<br />

5 Ivi, pp. 22-23.<br />

13


14<br />

Daniele Stroppolo<br />

Ecco quindi che si delineano due fondamentali questioni circa<br />

le possibilità di fruizione dell’opera d’arte attraverso le sue riproduzioni:<br />

innanzitutto è da considerare che l’indagine analitica<br />

su un’opera può rendersi più approfondita grazie agli strumenti<br />

tecnologici che permettono non solo di crearne copie<br />

fedeli, ma anche di decifrarne particolari altrimenti difficilmente<br />

percepibili. Secondariamente, l’opera perde parte della sua<br />

unicità “andando incontro” al fruitore attraverso le proprie fedeli<br />

riproduzioni. È la «perdita dell’aura»:<br />

L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che, fin<br />

dall’origine di essa, può venir tramandato, dalla sua durata materiale<br />

alla sua virtù di testimonianza storica. Poiché quest’ultima è<br />

fondata sulla prima, nella riproduzione, in cui la prima è sottratta<br />

all’uomo, vacilla anche la seconda, la virtù di testimonianza della<br />

cosa. Certo, non soltanto questa; ma ciò che così prende a vacillare<br />

è l’autorità della cosa. Ciò che vien meno è insomma quanto<br />

può essere riassunto con la nozione di “aura”; e si può dire: ciò<br />

che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è l’“aura”<br />

dell’opera d’arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda<br />

al di là dell’ambito artistico. La tecnica della riproduzione,<br />

così si potrebbe formulare la cosa, sottrae il riprodotto all’ambito<br />

della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone<br />

al posto di un evento unico una serie quantitativa di eventi. E<br />

permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne<br />

fruisce nella sua particolare situazione, attualizza il prodotto. 6<br />

Tale perdita si configura quindi come un’emancipazione dell’arte<br />

dal senso sacrale che ha sempre accompagnato ciascuna<br />

opera proprio in virtù delle sue autenticità e unicità; la sottrae alla<br />

sua «esistenza parassitaria nell’ambito rituale» 7 inducendo il pub-<br />

6 Ivi, p. 23.<br />

7 Ivi, p. 27.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

blico a fruirne attraverso la distrazione, intesa sia come svago o<br />

divertissement, sia come percezione distratta, scarsamente concentrata:<br />

la riproduzione di un’opera non richiede quel rispetto che è<br />

invece indotto dalla veneranda autorità dell’originale.<br />

Benjamin intende leggere tali dinamiche in un’ottica ottimistica:<br />

il grande pubblico, soprattutto attraverso quelle forme d’arte<br />

nate già nell’alveo della riproducibilità e grazie a essa stessa<br />

(la fotografia e ancor più il cinema), tramite una fruizione epidermica<br />

e fors’anche distratta, ma emotivamente partecipata delle<br />

opere, avrà modo di sviluppare un atteggiamento valutativo che<br />

mobiliterà le coscienze delle masse.<br />

Adorno, invece, nel suo <strong>saggio</strong> ribalta tale assunto e intende<br />

dimostrare che la riproducibilità tecnica, se non altro in ambito<br />

musicale, ha prodotto risultati devastanti sul piano della capacità<br />

critica del pubblico, al punto da rendere del tutto privi di<br />

significato i tradizionali criteri di gusto: l’arte, nell’epoca della<br />

società di massa, non può più sottostare a criteri meramente<br />

estetici, ma deve invece rispondere a esigenze etiche; è necessario<br />

quindi che la categoria del giusto sostituisca quella del piacevole.<br />

Questo in virtù del fatto che il soggetto moderno non è<br />

più in grado di stabilire che cosa gli piaccia e che cosa non gli<br />

piaccia, e il piacere che egli trae dalla musica risiede nel solo<br />

fatto di riconoscere strutture o motivi già noti o equivalenti a<br />

quelli noti. In un mondo in cui l’offerta è standardizzata, il criterio<br />

della preferenza diviene arbitrario. Il senso critico è ottuso<br />

dalla continua stimolazione attraverso composizioni superficialmente<br />

piacevoli, ma incapaci di fornire un’autentica attrattiva<br />

musicale rispettosa di criteri significativi; oppure dalla riproduzione<br />

di brani, di estratti da opere di ampio respiro che vengono<br />

ridotti a orecchiabili e insignificanti frammenti:<br />

Il piacere dell’attimo e quello della facciata variopinta diventano<br />

un pretesto per sgravare l’ascoltatore dal pensiero del tutto,<br />

sempre presente e necessario in un ascolto esatto, e l’ascoltato-<br />

15


16<br />

Daniele Stroppolo<br />

re viene mutato in compratore convinto sulla linea della minima<br />

opposizione. I momenti parziali non hanno più una funzione<br />

critica di fronte a un tutto preordinato, ma sospendono la<br />

critica che la vera totalità estetica esercita nei confronti della<br />

totalità incrinata della società. Viene insomma sacrificata loro<br />

l’unità sintetica, ed essi non ne producono più una che sostituisca<br />

quella reificata, ma si mostrano condiscendenti proprio<br />

verso questa. I momenti isolati di fascino sensoriale si dimostrano<br />

inconciliabili con la costituzione immanente dell’opera<br />

d’arte e sacrificano ciò che innalza l’opera d’arte a conoscenza<br />

vincolante: essi non sono cattivi di per se stessi ma per la loro<br />

funzione smorzatrice. Servi del successo, si spogliano di quel<br />

tratto di insubordinazione loro inerente, e si vincolano alla connivenza<br />

con tutto ciò che l’attimo isolato è in grado di offrire a<br />

un individuo che è a sua volta isolato e da tempo non è nemmeno<br />

più un individuo. Nell’isolamento gli stimoli si ottundono<br />

e producono clichés tratti dal patrimonio corrente. 8<br />

La musica leggera e quella colta, quella definita comunemente<br />

“classica”, finiscono quindi per assumere la stessa alienante funzione<br />

di intrattenimento meramente epidermico. Ciò non solo<br />

per il fatto che tale fruizione è connaturata nella musica leggera e<br />

può facilmente essere applicata anche all’ascolto di arie famose o<br />

estratti celebri da opere più strutturate, ma soprattutto perché<br />

l’ascoltare, opportunamente addestrato dalla radio, anche all’ascolto<br />

di una composizione completa, non è in grado di mettere in<br />

funzione gli strumenti critici necessari per decodificare l’opera<br />

nella sua interezza. L’ampio respiro di ogni sinfonia, di ogni opera<br />

lirica finisce per ridursi ad una serie spezzata di brevi spasmi<br />

più o meno orecchiabili, e quindi più o meno piacevoli.<br />

Rimane estranea a tale meccanismo la musica colta moderna,<br />

quella che oggi noi definiremmo d’avanguardia, la quale ha<br />

scientemente rinunciato a ogni traccia di eufonia, di piacevolez-<br />

8 ADORNO TH. W., Dissonanze, cit., p. 13.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

za, in nome dello smascheramento della realtà, in nome della<br />

riproduzione in suono dell’alienazione dell’io nella società moderna.<br />

Tale fatto, però, non le permette di penetrare con efficacia<br />

nell’orecchio ormai deteriorato dell’ascoltatore:<br />

L’unità delle due sfere della musica è l’unità della contraddizione<br />

insoluta. Il loro rapporto non va inteso nel senso che la musica<br />

inferiore costituisca una sorta di propedeutica popolare per quella<br />

superiore, o che quest’ultima possa riacquistare dalla prima la forza<br />

collettiva ormai perduta; il tutto non può essere ricostituito addizionando<br />

semplicemente le due metà separate con violenza, ma<br />

in ciascuna di esse compaiono, sia pure in prospettiva, le modificazioni<br />

dell’insieme, che si muove esclusivamente entro la contraddizione.<br />

Nel momento in cui la fuga dal banale si fa definitiva e in<br />

cui la smerciabilità della produzione seria, a causa delle sue esigenze<br />

reali, si riduce a nulla, nel campo della musica inferiore la standardizzazione<br />

del successo fa sì che non sia più possibile un successo<br />

alla vecchia maniera, ma solo la totale connivenza. Tra incomprensibilità<br />

ed inevitabilità non esiste un terzo anello: lo stato<br />

delle cose si è polarizzato agli estremi che ormai realmente si toccano.<br />

Tra questi due poli non c’è posto per l’“individuo”, le cui<br />

esigenze, ammettendo che ancora ne abbia, sono solo apparenti,<br />

cioè ricalcate sugli standard stessi: la liquidazione dell’individuo è<br />

il vero suggello del nuovo stadio della musica. 9<br />

La produzione disinteressata, colta, non commerciale produce<br />

quindi l’incomprensibile, l’imponderabile nel quale l’ascoltatore<br />

moderno non è in grado di entrare. D’altra parte non ha<br />

neppure alcun interesse nel tentare di farlo, dal momento che i<br />

suoi gusti sono stati debitamente appianati sullo standard dal<br />

lavorio dell’offerta musicale di consumo. L’ascoltatore non è<br />

più un individuo con i suoi gusti personali, ma un cliente che si<br />

muove tra prodotti preconfezionati e che si illude di avere liber-<br />

9 Ivi, p. 17.<br />

17


18<br />

Daniele Stroppolo<br />

tà di scelta, mentre non può far altro che aderire alle imposizioni<br />

della grande industria scegliendo esclusivamente entro i confini<br />

di ciò che essa offre.<br />

A fronte di questo ascolto sordo si sviluppa nell’ascoltatore<br />

un tipo di fruizione musicale alienato e feticistico che investe<br />

ogni ambito della produzione musicale: l’adorazione delle star,<br />

siano esse cantanti di musica leggera o maestri d’orchestra, il<br />

rispetto imbalsamato e fiacco per le grandi composizioni classiche,<br />

il culto del suono di uno Stradivari, il collezionismo di dischi,<br />

l’adorazione per cantanti d’opera dalla voce particolarmente<br />

brillante (indipendentemente dalla qualità dell’interpretazione)<br />

e così via. Tutto ciò che dovrebbe essere periferico diviene centrale,<br />

in quanto facilmente mercificabile e vendibile. La sostanza<br />

musicale, invece, rimane estranea, neppure sfiorata, oppure<br />

banalizzata attraverso una percezione inefficace.<br />

D’altra parte in una situazione così compromessa, anche l’intenditore,<br />

l’esperto, il musicologo e persino l’esecutore filologico<br />

finiscono per contribuire al compimento di questa enorme<br />

degradazione dell’ascolto:<br />

Il feticismo coinvolge anche l’attività musicale che vorrebbe essere<br />

seria e che mobilita contro la musica leggera elevata il pathos<br />

della distanza. La purezza e la fedeltà con cui essa presenta<br />

le opere si dimostra spesso altrettanto ostile alla causa quanto la<br />

depravazione dell’arrangiamento, 10 e l’ideale ufficiale delle esecuzioni<br />

<strong>musicali</strong>, diffusosi in tutto il mondo in seguito alla straordinaria<br />

opera di Toscanini, è un nuovo ausilio a sanzionare e<br />

convalidare uno stato di cose che, con le parole di Eduard Steuermann,<br />

può ben essere detto «barbarie della perfezione». È vero<br />

10 Adorno si riferisce qui al fatto, enucleato nei precedenti paragrafi del suo<br />

scritto, che molto spesso i mezzi espressivi della musica colta vengono raccolti<br />

e banalizzati negli arrangiamenti della musica leggera, divenendo così<br />

strumenti volti ad un’enfasi precalcolata e falsa.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

che qui non vengono più trasformati in feticcio i pochi nomi<br />

delle opere più famose, anche se quelle meno famose che trovano<br />

posto nei programmi farebbero desiderare una simile delimitazione;<br />

è vero che qui non vengono più sbandierate ai quattro<br />

venti le «idee <strong>musicali</strong>», che i grandi crescendi dinamici non hanno<br />

lo scopo di provocare una determinata fascinazione, e che vi<br />

domina una disciplina ferrea: ma è appunto una disciplina ferrea.<br />

Il nuovo feticcio è l’apparato in sé, che funziona con perfezione<br />

e risplende come metallo, nel quale tutte le rotelline combaciano<br />

con tale regolarità che non resta più nemmeno uno spiraglio<br />

per il vero senso dell’insieme. L’esecuzione musicale oggi impostasi,<br />

perfetta e senza macchia, conserva l’opera al prezzo di reificarla<br />

definitivamente. [...] Nel momento stesso in cui un’opera viene<br />

fissata a scopo di conservazione, essa soccombe proprio a questo<br />

processo di fissazione. L’estremo feticismo che afferra la cosa<br />

la soffoca, e l’assoluta fedeltà all’opera smentisce l’opera stessa e la<br />

fa scomparire con indifferenza dietro l’apparato. 11<br />

L’opera, fissata nella propria immagine perfetta, nella dinamica<br />

studiata minuziosamente, risuona come un blocco statico<br />

e già dato, bene culturale privo di vitalità.<br />

Al feticismo del mezzo, di qualsiasi mezzo, corrisponde un<br />

regresso dell’ascolto. Il regresso non si attua a confronto di una<br />

precedente situazione dello stesso individuo, né sarebbe possibile<br />

parlare di una decadenza del livello complessivo, dal momento<br />

che la situazione moderna di massificazione non è paragonabile<br />

alle epoche precedenti. Il regresso dell’ascolto si compie invece<br />

nel senso che il consumatore di musica ha una capacità di fruizione<br />

simile a quella di un individuo regredito, bloccato coercitivamente<br />

allo stadio infantile. L’assimilazione acritica di prodotti privi<br />

di significato e ridotti a slogan atomizzati in brevissime dimensioni<br />

ne è il sintomo più evidente. Si consuma un’adesione al prodotto<br />

al fine di sentirlo proprio nonostante la sua estraneità, men-<br />

11 Ivi, pp. 29-30.<br />

19


20<br />

Daniele Stroppolo<br />

tre il meccanismo di immedesimazione con il divo popolare, irraggiungibile<br />

e al tempo stesso sempre vicino grazie alla sua onnipresente<br />

visibilità, allevia ogni senso di frustrazione nei confronti<br />

della propria impotenza sul mondo.<br />

Il modo di ascolto imposto dal prodotto, al tempo stesso<br />

promosso per una sua maggiore efficacia e necessario per la<br />

sua riuscita, è quello della deconcentrazione. Pochi particolari,<br />

evidenziati a proposito, distinguono brani estremamente<br />

simili gli uni agli altri e sempre uguali a se stessi, al punto che<br />

un ascolto concentrato risulterebbe insopportabile. L’ascolto<br />

atomizzato, che frammenta la musica superiore degradandola<br />

ai suoi singoli elementi, è invece l’unico possibile nella musica<br />

leggera, che è già frammentata in sé. L’aspetto che maggiormente<br />

colpisce l’ascoltatore alienato, incapace di cogliere l’essenza<br />

musicale, è quello del timbro, sintesi perfetta del feticcio<br />

del materiale, in questo caso lo strumento, e della ricezione<br />

facile, assimilabile a quella di un infante che predilige gli<br />

oggetti particolarmente colorati.<br />

Al piacere effimero dell’ascolto atomizzato corrisponde un<br />

immediato senso di nausea, riscontrabile nel fatto che l’ascoltatore<br />

di musica leggera necessita continuamente di nuovi brani<br />

in grado di fornirgli stimoli rinnovati, ma al tempo stesso sempre<br />

uguali a quelli precedenti. Vi è anzi un odio, un’ostilità marcatissima<br />

nei confronti di ogni novità sostanziale, che non può<br />

essere tollerata in alcun modo. Addirittura spesso si ricorre a<br />

citazioni di brani già noti affinché la novità possa risultare tale<br />

senza richiedere alcuno sforzo.<br />

Adorno chiude il proprio <strong>saggio</strong> con alcune considerazioni<br />

dedicate all’autentica nuova musica, all’avanguardia e in particolare<br />

alla scuola di Vienna che aveva ideato la tecnica di composizione<br />

dodecafonica. La produzione musicale di Schönberg o<br />

Webern risulta insopportabile al pubblico alienato non perché sia<br />

incomprensibile, ma al contrario perché esprime in maniera fin<br />

troppo diretta l’angoscia e lo spavento per una situazione cata-


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

strofica alla quale l’individuo integrato si può sottrarre esclusivamente<br />

regredendo. La musica di tali autori, definita dalla critica<br />

conservatrice “individualistica”, è in realtà in rapporto dialettico<br />

con le forze oggettive atte alla distruzione dell’individuo.<br />

2. A complemento: On Popular Music<br />

Gli studi di Theodor Adorno sulla musica di consumo proseguono<br />

in un altro breve <strong>saggio</strong>, pubblicato per la prima volta<br />

negli Stati Uniti nel 1941: Sulla popular music. 12 In questo nuovo<br />

scritto vengono approfonditi alcuni aspetti specifici, più strettamente<br />

musicologici, che riguardano la struttura stessa della canzone<br />

commerciale. In particolare Adorno si sofferma sulle differenze<br />

che si evidenziano nel rapporto tra il particolare e la<br />

totalità del brano nella musica di consumo rispetto a quella colta,<br />

che egli preferisce chiamare “seria”:<br />

Nella buona musica seria in generale – non siamo interessati qui<br />

alla musica seria cattiva, che può essere rigida e meccanica come<br />

la popular music – il dettaglio contiene virtualmente il tutto e porta<br />

all’esposizione del tutto, mentre, allo stesso tempo, esso è generato<br />

dalla concezione dell’insieme. Nella musica popular la relazione<br />

è invece accidentale. Il dettaglio non ha influenza su una<br />

qualche totalità, che si presenta qui come uno schema generale<br />

ad esso estraneo. Così, il tutto non è mai modificato dall’evento<br />

singolo e perciò rimane, per così dire, lontano, imperturbabile,<br />

inosservato per tutto il pezzo. Al contempo, il dettaglio è mutilato<br />

da un meccanismo che non può mai influenzare e modificare,<br />

cosicché esso resta privo di conseguenze. Un dettaglio musicale<br />

12 On Popular Music, in “Studies in Philosophy and Social Science”, vol. 9,<br />

New York 1941; trad. it. Sulla popular music, a cura di Marco Santoro, Armando,<br />

Roma 2004.<br />

21


22<br />

Daniele Stroppolo<br />

cui non è permesso di svilupparsi diventa una caricatura delle<br />

sue stesse potenzialità. 13<br />

Secondo Adorno, quindi, ciò che nella musica colta è funzionale<br />

e consequenziale, nella musica di consumo diventa aleatorio<br />

e arbitrario. Nei richiami tra macrostruttura e microstruttura<br />

musicale si racchiude, secondo Adorno, lo spessore artistico<br />

di un brano. La sua configurazione complessiva deve dialogare<br />

con le sue melodie, con le sue scelte armoniche, con l’arrangiamento,<br />

con la dinamica. Tutto ciò, a suo modo di vedere,<br />

viene annullato nella musica di consumo, che si struttura secondo<br />

forme standardizzate e rigide, riconoscibili anche nel momento<br />

in cui vi vengano applicate in modo posticcio forme<br />

estrinseche di complessità, con precise ricadute sulla sua percezione<br />

da parte del fruitore e di conseguenza sul significato che<br />

la musica assume:<br />

L’ascolto della musica popular è consapevolmente trasformato, non<br />

solo dai suoi promotori ma per così dire dalla natura intrinseca di<br />

questa musica, in un sistema di meccanismi reattivi totalmente<br />

antagonistici all’ideale di individualità in una società libera e liberale.<br />

Questo non ha nulla a che vedere con la semplicità e la complessità.<br />

Nella musica seria, ogni elemento musicale, anche il più<br />

semplice, è proprio “lui”, e più l’opera è altamente organizzata,<br />

meno possibilità vi sono di sostituzione dei singoli dettagli. Nella<br />

musica di successo commerciale, invece, la struttura sottostante al<br />

pezzo è astratta, esistendo indipendentemente dallo specifico sviluppo<br />

musicale. [...] L’orecchio tratta le difficoltà della musica di<br />

successo facendo sostituzioni minime derivate dalla conoscenza<br />

dei modelli. L’ascoltatore, quando è alle prese con il complicato,<br />

ode in realtà solo il semplice che esso rappresenta e percepisce il<br />

complicato solo come una distorsione parodistica del semplice. 14<br />

13 ADORNO TH. W., Sulla popular music, cit., p. 73.<br />

14 Ivi, p. 75.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

Così la musica di consumo si configura come il frutto di una<br />

tensione duale: da una parte strutture conosciute e rassicuranti<br />

con la loro costante presenza, strutture che il fruitore finisce<br />

per ritenere connaturate alla musica in sé; dall’altra una serie di<br />

variazioni di superficie che creano l’illusione del nuovo e che<br />

danno all’ascoltatore/cliente l’idea di poter scegliere liberamente<br />

tra brani/prodotto diversi tra loro, ma che in realtà sono intimamente<br />

identici.<br />

In condizioni così degradate d’ascolto, il successo di un brano<br />

rispetto a un altro dipende soprattutto dal suo plugging, ovvero<br />

da quanto esso sia “spinto” attraverso i media: il suo riconoscimento<br />

indotto diviene lo strumento principe per decretarne<br />

ascolto, gradimento e vendita. Naturalmente, aggiunge Adorno,<br />

anche nella musica seria il riconoscimento è un pas<strong>saggio</strong><br />

fondamentale per la fruizione della musica: il riconoscimento di<br />

determinati temi e di certe strutture permette di individuare le<br />

connessioni delle singole parti di una composizione con il tutto,<br />

e della composizione con il suo genere d’appartenenza, con il<br />

suo contesto di produzione e così via. Insomma, il riconoscimento<br />

è presupposto per la comprensione, al fine di far emergere<br />

il nuovo, la novità intrinseca al brano. Nella musica di consumo,<br />

invece, riconoscimento e comprensione coincidono, perché<br />

la profonda novità è bandita, e accolte sono invece esclusivamente<br />

quelle modulazioni che permettono di confermare<br />

strutture già note. In questo modo viene promosso e rafforzato<br />

un tipo di ascolto distratto e disattento, che diviene anche l’unico<br />

possibile per riuscire ad accettare la monotonia della popular<br />

music senza incorrere nel tedio. Tale fatto implica precise ricadute<br />

sociali tutt’altro che innocue:<br />

Nella nostra società attuale le masse sono intrise dello stesso<br />

modo di produzione nascosto dietro il materiale manufatto che<br />

viene loro rifilato. I clienti dell’intrattenimento musicale sono<br />

essi stessi oggetti o, in effetti, prodotti dello stesso meccanismo<br />

23


24<br />

Daniele Stroppolo<br />

che determina la produzione della popular music. Il loro tempo<br />

libero serve solo a riprodurre la loro capacità lavorativa. È un<br />

mezzo invece che un fine. Il potere del processo di produzione si<br />

estende sugli intervalli di tempo che in superficie appaiono essere<br />

“liberi”. Essi vogliono beni standardizzati e pseudo-individualizzazione,<br />

perché il loro riposo è una fuga dal lavoro e allo stesso<br />

tempo è plasmato da quegli atteggiamenti psicologici ai quali<br />

il loro mondo quotidiano del lavoro li abitua in modo esclusivo.<br />

[...] Essi cercano il nuovo, ma la tensione e la noia associate al<br />

lavoro reale induce ad evitare qualunque sforzo in quel tempo<br />

libero che offre l’unica possibilità per esperienze realmente nuove.<br />

Come surrogato, essi chiedono insistentemente qualcosa di<br />

stimolante. La popular music viene ad offrirlo. Le sue stimolazioni<br />

si incontrano con l’incapacità di fare qualche sforzo nel sempreidentico.<br />

Questo significa ancora noia. È un cerchio che rende<br />

impossibile la fuga. L’impossibilità della fuga produce il diffuso<br />

atteggiamento di disattenzione verso la popular music. Il momento<br />

del riconoscimento è quello di una sensazione senza fatica. La<br />

subitanea attenzione associata a questo momento si brucia all’istante<br />

e relega l’ascoltatore in un regno di disattenzione e distrazione.<br />

Da un lato, il dominio della produzione e del plugging<br />

presuppone la distrazione e, dall’altro, la produce. 15<br />

Non si deve però presupporre che l’ascoltatore di musica di<br />

consumo sia totalmente inconsapevole rispetto ai meccanismi<br />

produttivi e psicologici appena delineati; viceversa, il fruitore di<br />

popular music è ben cosciente dell’intrinseca vacuità dei brani radiofonici<br />

e del loro mero scopo commerciale. Ed è proprio grazie<br />

a tale coscienza e al sentimento ambivalente suscitato da<br />

essa che la sottomissione alla musica di consumo si attua al livello<br />

più profondo: accettarne le regole, accettarne la natura<br />

significa vincere una resistenza interna nei confronti della consuetudine<br />

imposta:<br />

15 Ivi, pp. 107-108.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

Quando la popular music viene ripetuta ad un livello tale da non<br />

sembrare più uno stratagemma ma un elemento intrinseco del<br />

mondo naturale, la resistenza assume un diverso aspetto perché<br />

l’unità dell’individuo comincia a frantumarsi. Questo naturalmente<br />

non significa l’eliminazione completa della resistenza.<br />

Ma essa viene sospinta negli strati sempre più profondi della<br />

struttura psicologica. L’energia psicologica deve essere direttamente<br />

investita allo scopo di vincere la resistenza. Perché<br />

questa resistenza non scompare del tutto cedendo a forze esterne,<br />

ma resta viva entro l’individuo e ancora sopravvive anche<br />

nel momento dell’accettazione. Qui fa la sua drastica comparsa<br />

il risentimento. [...] Per essere accettato, il materiale musicale<br />

ha bisogno di questo risentimento. Il suo carattere di merce, la<br />

sua predominante standardizzazione, non è così nascosta da<br />

non essere percepibile. Esso richiede un’azione psicologica da<br />

parte dell’ascoltatore. La passività da sola non basta. L’ascoltatore<br />

deve sforzarsi di accettarlo. 16<br />

Così ascoltare musica commerciale diviene un atteggiamento<br />

parallelo a quello di coloro che sostengono di guardare programmi<br />

televisivi di infimo livello pur riconoscendone perfettamente<br />

la pessima qualità. O meglio, proprio in nome di essa:<br />

una fruizione che permette e anzi invoglia la distrazione, lo sguardo<br />

disattento, l’assopimento graduale e rassicurante. La distrazione<br />

fino all’incoscienza come risposta alla noia delle proprie<br />

attività obbligate.<br />

3. Obsolescenza?<br />

Potrebbe sembrare del tutto inattuale riproporre uno studio sulla<br />

produzione musicale degli anni Trenta del Ventesimo secolo,<br />

con relativo compendio di poco successivo, e sulle capacità<br />

16 Ivi, pp. 118-120.<br />

25


26<br />

Daniele Stroppolo<br />

d’ascolto del pubblico di quell’epoca distante quasi un secolo<br />

dal nostro presente. Eppure nella durissima analisi proposta da<br />

Theodor Adorno si evidenziano problemi che non solo non<br />

sono stati superati, ma si sono infinitamente esacerbati a causa<br />

del progresso tecnologico; il quale, sosteneva Adorno stesso,<br />

comporta non solo costanti miglioramenti in alcuni aspetti oggettivi<br />

dell’esistenza, ma implica anche continue rinunce sul piano<br />

soggettivo e individuale, a causa del suo inevitabile portato di<br />

violenza e di reificazione 17 .<br />

Sotto il profilo della fruizione musicale è indubbio che all’ampliamento<br />

dell’offerta di apparecchi d’ascolto e al moltiplicarsi<br />

degli strumenti di registrazione e riproduzione sia corrisposta<br />

una mutazione, in negativo, sempre più radicale e irreversibile<br />

delle capacità di concentrazione e di penetrazione da<br />

parte dell’ascoltatore nel testo musicale. Affinché queste affermazioni,<br />

però, non sembrino aleatorie, pregiudiziali o addirittura<br />

nostalgiche rispetto a un passato che, peraltro, è ormai estraneo<br />

all’esperienza diretta di ogni pubblico attuale, è opportuno<br />

che l’argomento sia affrontato sul piano concreto.<br />

Esiste un’affermazione, una frase particolarmente fortunata,<br />

tanto da essere diventata una sorta di moderno proverbio e<br />

che spietatamente riassume l’odierno rapporto tra musica e ascolto:<br />

«Music is the soundtrack of your life.» È solitamente attribuita<br />

a un tale Dick Clark, uomo di spettacolo statunitense, speaker<br />

radiofonico e presentatore televisivo. Al di là della paternità di<br />

tale frase, è sicuramente interessante il fatto che essa abbia incontrato<br />

una tale popolarità da divenire una sorta di verità acquisita<br />

per ciascun ascoltatore di musica commerciale. Il termi-<br />

17 Riguardo all’approfondimento di queste tesi è opportuno rimandare alla<br />

lettura di ADORNO TH. W.-HORKHEIMER M., Dialektik der Aufklärung.<br />

Philosophische Fragmente, Amsterdam 1947; trad. it. Dialettica dell’illuminismo,<br />

Einaudi, Torino 1966.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

ne che connette music con life è soundtrack, ovvero colonna sonora.<br />

Accompagnamento. Sottofondo. E in effetti è questo il ruolo<br />

che la musica ha assunto nella società di massa: accompagnare<br />

il soggetto nel corso delle sue attività quotidiane; soprattutto<br />

nel tempo libero, ma in taluni casi anche durante la propria attività<br />

produttiva. Ciò comporta una serie di implicazioni necessarie:<br />

la prima è che la musica trova un numero infinito di collocazioni.<br />

Una radio o una selezione musicale sono presenti nella<br />

maggior parte degli ambienti commerciali, dove esse non siano<br />

sostituite dalla televisione, la quale emette anch’essa una costante<br />

“colonna sonora” composta dall’insieme dei motivi e dei jingle<br />

che scandiscono la programmazione e la commentano. D’altra<br />

parte anche nelle abitazioni private tendenzialmente si fa uso<br />

degli stessi strumenti di compagnia: televisori e, meno diffusamente,<br />

radio o lettori <strong>musicali</strong>; con le stesse implicazioni. A ciò<br />

si aggiunge il fatto che negli ultimi due decenni si è diffuso l’utilizzo<br />

sempre più frequente di apparecchi d’ascolto portatili (a<br />

partire dagli obsoleti mangiacassette, per giungere ai lettori<br />

multimediali ora in commercio, con l’aggiunta ulteriore degli<br />

smartphone con le loro versatili applicazioni) che garantiscono al<br />

soggetto un adeguato supporto sonoro in tutte le occasioni in<br />

cui le attività non sono socializzate: 18 un viaggio su un mezzo<br />

pubblico, una passeggiata, una sessione di sport individuale. Non<br />

di rado gli utenti più giovani utilizzano tali dispositivi anche come<br />

strumento di socializzazione: una cuffia auricolare a testa e si<br />

possono condividere le emozioni di un ascolto comune senza<br />

arrecare alcun disturbo a chiunque altro si trovi nello stesso<br />

ambiente. Poco importa se la compressione digitale delle tracce<br />

18 E naturalmente anche in tutte le occasioni in cui il soggetto intende diminuire<br />

il proprio grado di socializzazione rispetto all’attività svolta: indossare<br />

le cuffie auricolari significa spesso porre un volontario ed evidente limite<br />

all’interazione altrui.<br />

27


28<br />

Daniele Stroppolo<br />

e l’utilizzo di materiale scadente nella costruzione dei dispositivi<br />

di riproduzione e di amplificazione abbia tendenzialmente<br />

fatto scemare la qualità del segnale d’ascolto: l’importante è la<br />

diffusione sempre più capillare, con lo scopo che la nostra soundtrack<br />

personalizzata lasci sempre meno spazio al silenzio.<br />

La costante presenza di una musica di sottofondo implica<br />

una riduzione dell’attenzione su un doppio piano: quello dell’ascolto<br />

e quello della percezione del reale. Ad auricolari inseriti<br />

ci si muove immersi nella propria selezione musicale, e la realtà<br />

viene colorata, filtrata dalla musica; ogni tappa in bus diviene<br />

la brutta copia di un film on the road, una corsa nel parco è la<br />

riproduzione del massacrante allenamento di un prodigio nascente<br />

grazie all’American dream; e la dimensione del reale si riverbera<br />

di finzioni e citazioni, sbiadendo l’hic et nunc contingente<br />

e individuale in una dimensione standard e condivisa. Al tempo<br />

stesso la musica non può che essere sottofondo: il suo ruolo<br />

è sempre relegato a quello di coro, di commento; la sua fruizione<br />

è puramente epidermica e sempre in relazione con un immaginario<br />

extramusicale che a sua volta colora e profuma la musica<br />

con toni e sfumature che non le appartengono. L’ascolto<br />

concentrato, emancipato, non automatizzato diventa l’eccezione.<br />

E diventando eccezione, finisce per essere in costante dialogo<br />

con la fruizione da colonna sonora: chi decide di dedicare<br />

parte del proprio tempo libero a un ascolto attento e non distratto<br />

deve in ogni caso forzarsi rispetto all’ascolto da sottofondo<br />

al quale è stato sicuramente ammaestrato attraverso la<br />

presenza incessante di soundtrack nei luoghi pubblici e nei mass<br />

media, quand’anche non sia tra i volontari fruitori di musica da<br />

auricolare. E oltre all’influenza individualizzata rispetto al suo<br />

personale modo di ascolto, il soggetto si trova anche in condizione<br />

di dover contrastare un ascolto ormai accettato come<br />

modus principe di approccio alla musica dal punto di vista collettivo.<br />

La cultura odierna della musica è la cultura massificata,<br />

standardizzata e volta alla fruizione di cornice.


4. Le musiche leggere<br />

<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

Si potrebbe obiettare che l’analisi di Adorno potesse essere valida<br />

alla metà del secolo scorso e non più oggi: la musica leggera<br />

si è diversificata in un numero elevatissimo di generi e sottogeneri;<br />

esistono culture sotterranee e antagoniste che hanno fatto<br />

proprio lo strumento della canzone, o della canzonetta, per esprimere<br />

messaggi di protesta e di denuncia del tutto non allineati<br />

rispetto ai grandi poteri economici. L’industria musicale non è<br />

più in mano a pochi grandi marchi generalisti, i quali addirittura<br />

si trovano a fronteggiare una crisi di mercato che invece non<br />

riguarda i prodotti <strong>musicali</strong> meno smaccatamente popular; i dischi<br />

si registrano e si stampano in piccoli laboratori; la distribuzione<br />

via Internet non comporta alcuna spesa e raggiunge immediatamente<br />

un mercato pressoché illimitato.<br />

Ora, si tratta di obiezioni ragionevoli e sensate; tuttavia ciò<br />

che non è cambiato è il prodotto musicale nella sua essenza, e di<br />

conseguenza la sua funzione di ammaestramento allo standard.<br />

Innanzitutto è opportuno sviluppare la questione sul piano strettamente<br />

musicale. In base ai propri gusti un ascoltatore è portato<br />

a preferire un brano rispetto a un altro, che può trovare noioso,<br />

indifferente o addirittura disturbante o rumoroso. Tale fatto<br />

è notorio ormai da decenni, a partire dalla promozione di generi<br />

<strong>musicali</strong> quali il beat e il rock’n’roll, ritenuti poco orecchiabili<br />

dal pubblico più conservatore e invece energici e vitali da quello<br />

giovanile o giovanilistico. Credo che non sia necessario dilungarsi<br />

sul fatto che entrambi i generi citati non abbiano introdotto<br />

nulla di particolarmente innovativo rispetto alla musica commerciale<br />

precedente; fondamentalmente si tratta di un leggero<br />

inasprimento dei timbri utilizzati e una moderata accelerazione<br />

del ritmo di base; dal punto di vista vocale, soprattutto nel<br />

rock’n’roll, vi è una minore presenza del controcanto in favore di<br />

una linea melodica più asciutta, ma sempre perfettamente intelligibile<br />

nel suo andamento diatonico.<br />

29


30<br />

Daniele Stroppolo<br />

Dal solo rock’n’roll si sono sviluppati diversi approcci alla<br />

canzone, talvolta con esiti molto aggressivi sul piano timbrico:<br />

hard rock, progressive rock, heavy metal, punk rock, grunge, hard<br />

core, grind core e così via. Elencare tutti i nomi che sono stati<br />

assegnati a ciascun tipo di variazione diventerebbe quasi impossibile,<br />

oltre che tedioso; analizzarli in modo sistematico<br />

secondo le caratteristiche di ognuno sarebbe compito più di<br />

un’enciclopedia che di un articolo. È quindi necessario sottoporre<br />

la questione a una qualche forma di generalizzazione<br />

che, spero, verrà compresa e giustificata.<br />

Sul piano armonico la musica leggera si muove fondamentalmente<br />

all’interno della diatonia, in una scala maggiore o minore<br />

ben definita e facilmente intelligibile dall’inizio alla fine del pezzo.<br />

Praticamente assenti i cambi di tonalità, tranne per qualche semplicissimo<br />

escamotage quale l’innalzamento di un tono rispetto alla<br />

scala di partenza alla terza o quarta ripresa del ritornello o poco<br />

altro. 19 Se l’armonia presenta accordi particolarmente carichi o<br />

complessi, tale ricchezza si dimostra puramente posticcia, in quanto<br />

l’andamento generale del brano censurerà qualsiasi variazione<br />

significativa rispetto al modello diatonico. A queste rigide norme<br />

si rifanno anche generi considerati particolarmente rumorosi, quali<br />

l’heavy metal o il punk: la loro aggressività è puramente timbrica,<br />

mai strutturale. La dissonanza è bandita.<br />

Quanto all’uso della voce, sul piano melodico sono ammesse<br />

ampie escursioni, a patto che siano evitate tensioni e dissonanze<br />

rispetto alla base musicale e che il cantante gestisca gli<br />

intervalli, per quanto ampi, in modo tecnicamente ineccepibile<br />

(non è tollerata un’imperizia che denoti sforzo o disagio, tranne<br />

19 È ad esempio tollerato il pas<strong>saggio</strong> da una scala minore alla corrispondente<br />

maggiore nel pas<strong>saggio</strong> da strofa a ritornello, ma si tratta di espedienti<br />

tipici di alcune tradizioni (come la canzone melodica napoletana),<br />

che in virtù di questo fatto vengono solitamente confinati nei rispettivi<br />

generi d’appartenenza.


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

che in rari casi) 20 . Sul piano timbrico il discorso si fa più articolato:<br />

vi è ampio margine di tolleranza rispetto all’approccio canoro.<br />

Accanto a voci impostate e sicure da crooner si possono<br />

ascoltare agili timbri tenorili, canti dimessi al limite del sussurrato,<br />

andamenti soavi e gole roche e consumate. Vi è un’apparente<br />

libertà in tutto ciò, che presuppone però un fatto che riguarda<br />

nell’insieme ciascuna voce ritenuta vendibile: il timbro dev’essere<br />

pieno, completo nei suoi armonici. Le voci più graffianti<br />

e “sporche”, come quella dell’italiano Vasco Rossi, o del<br />

defunto Kurt Cobain dei Nirvana o ancora di Chester Bennington<br />

dei Linkin Park mantengono intatto il proprio spettro armonico<br />

anche nei momenti in cui esprimono il massimo livello<br />

di rabbia: il loro “grido” dev’essere ben modulato e risultare<br />

sempre perfettamente in focus rispetto alla nota emessa. Non<br />

sono ammesse sbavature che denotino una mancanza di controllo<br />

o la perdita della maschera da cantante consumato: la performance<br />

non deve uscire dallo specchio della rappresentazione,<br />

il grido dev’essere l’immagine melodica di un grido.<br />

Sul piano ritmico l’andamento della canzone è regolare, scandito<br />

da un metronomo che relega eventuali rallentamenti o accelerazioni<br />

nel rango dell’abbellimento di cornice, usato esclusivamente<br />

in un eventuale finale particolarmente a effetto o in<br />

simili funzioni periferiche. Le misure generalmente utilizzate<br />

sono quella di 4/4 e quella di 3/4, sulle quali si possono proporre<br />

accenti diversi a seconda del tenore che si intende fornire al<br />

pezzo. Quasi sempre il ritmo è scandito in modo molto netto e<br />

chiaro da qualche strumento percussivo, acustico o elettronico.<br />

20 Ancora una volta è necessario ribadire che le componenti in stretta minoranza<br />

rispetto a tendenze costituite e consolidate non esistono in quanto tali,<br />

ma solo in rapporto al tutto: così il cantante pop imperfetto o leggermente<br />

stonato è tollerato solo come variazione rispetto alla regola che presuppone<br />

voci sempre piene e cariche di armonici, mai in difficoltà nell’esecuzione.<br />

31


32<br />

Daniele Stroppolo<br />

Quanto ai testi, sarebbe impossibile riassumerne i contenuti<br />

secondo una qualche forma di semplificazione; certo, esiste naturalmente<br />

una quantità incommensurabile di canzonette d’amore,<br />

ma è pur vero che esistono brani che riguardano gli argomenti<br />

più disparati. È interessante, invece, cercare di comprendere<br />

in che modo il testo interagisca con una musica siffatta.<br />

Ribadendo che le strutture della musica leggera sono atte all’ottundimento<br />

dovuto a un ascolto distratto, disattento e paralizzato<br />

nello standard, diventa chiaro che un testo “impegnato”<br />

viene sconfessato nel momento stesso in cui tenta di essere veicolato<br />

dalla forma-canzone. Cantare di utopie, di pacifismo o<br />

di diritti delle minoranze nella forma del jingle musicale o della<br />

hit da classifica significa mercificare e quindi reificare il mes<strong>saggio</strong><br />

stesso, che proprio in virtù del suo tramite viene svilito e<br />

irriso. La canzone impegnata è la parodia di una canzone impegnata;<br />

l’effetto anestetico dell’apparato musicale esonda dal puro<br />

suono per coprire il valore semantico della parola.<br />

5. Mondi alternativi<br />

Eppure, si potrebbe obiettare, non tutta la musica leggera rientra<br />

in questo quadro; esistono le autoproduzioni e le distribuzioni<br />

gratuite, che rifuggono in ogni modo dall’idea di profitto.<br />

Esistono canzoni in cui il grido è vero grido e in cui la diatonia<br />

o la regolarità dei due ritmi dominanti non è affatto rispettata.<br />

Che succede di tutto quel movimento “alternativo” che tenta<br />

autenticamente di resistere alle tendenze totalizzanti della musica<br />

di consumo? È opportuno affrontare questo punto con la<br />

dovuta attenzione, dal momento che la questione è complessa e<br />

articolata. Innanzitutto sarebbe opportuno fare chiarezza rispetto<br />

al termine “alternativo”. Alternativo a che cosa? Moltissime band,<br />

moltissimi cantanti mainstream vengono definiti alternativi dai<br />

mass media, e scalano le classifiche grazie all’appoggio di qualche


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

grande marchio internazionale e a qualche buon contratto di<br />

sponsorizzazione. Non è di questo tipo di musica che può essere<br />

interessante discutere nei termini espressi: in questo caso si<br />

tratta semplicemente di un’etichetta di genere come può esserlo<br />

qualunque altra, e il prodotto musicale rientra perfettamente<br />

negli standard descritti precedentemente. Esiste poi un grande<br />

movimento che si autodefinisce alternativo perché costretto<br />

dall’industria musicale a rimanere ai margini: il confinamento<br />

dovuto a scarsi mezzi economici o a performance non professionalizzate<br />

diviene oggetto di rivendicazione, ma la verità è che<br />

tale movimento esiste solo in quanto retropalco dell’industria<br />

dell’intrattenimento, la quale attinge da esso per trarne i prodotti<br />

più vendibili. Si tratta quindi di un circuito parallelo a<br />

quello principale, con gli stessi intenti e lo stesso approccio,<br />

ma che funziona secondo un sistema di investimenti ridotto;<br />

nella speranza o meglio nella prospettiva che qualche suo ingranaggio<br />

possa essere raccolto e utilizzato entro il meccanismo<br />

di ordine maggiore.<br />

Esistono infine musicisti che non possiedono alcuna velleità<br />

di professionalizzarsi, che scrivono, eseguono e producono i<br />

propri brani senza lo scopo del profitto, e che intendono muoversi<br />

con assoluta libertà rispetto ai canoni della smerciabilità<br />

del proprio prodotto. Alcuni di essi, oltre che nelle intenzioni,<br />

sanno distaccarsi dai parametri standardizzati della canzone commerciale<br />

anche nei fatti. Con quali esiti?<br />

Naturalmente il primo problema è che l’esclusione dal grande<br />

circuito permette di utilizzare mezzi di esecuzione, registrazione<br />

e distribuzione di gran lunga inferiori rispetto a quelli a<br />

disposizione dell’industria dell’intrattenimento. Ciò comporta<br />

un livello di produzione molto spesso amatoriale e di scarsa rilevanza<br />

artistica. Ma tale fatto non costituisce una regola e si può<br />

ammettere che una produzione di alto livello tecnico possa avvenire<br />

anche al di fuori del circuito mainstream. E in effetti in<br />

alcuni dei brani composti ed eseguiti al di fuori del circuito com-<br />

33


34<br />

Daniele Stroppolo<br />

merciale si riscontrano sostanziali differenze rispetto alle rigide<br />

regole che governano la produzione allineata.<br />

Per quel che concerne l’aspetto armonico si può riscontrare<br />

una disinvolta emancipazione dalla diatonia e in molti brani vengono<br />

utilizzate anche dissonanze non risolte, con valore funzionale<br />

e non puramente accessorio. Sotto il profilo ritmico è<br />

lasciato spazio a misure diverse da 4/4 e 3/4; talvolta si<br />

avvicendano variazioni di misura significative durante il brano e<br />

non mancano tempi composti e poliritmie. Riguardo alla vocalità,<br />

si possono evidenziare fondamentalmente due distinti esiti del<br />

canto: un canto melodico e uno gridato. Il canto gridato consiste<br />

in un’emissione vocale che non fa risuonare una nota in particolare,<br />

ma si risolve in una sorta di recitazione ritmica dai toni<br />

esasperati. Esistono vari stili, catalogati con nomi diversi, per<br />

questo tipo di vocalità; essa tenta di esprimere in modo diretto e<br />

immediato uno sfogo di fronte al negativo. L’operazione, però,<br />

sembra scontrarsi con la natura stessa della musica, che in quanto<br />

arte presuppone una mediazione tra quanto viene espresso<br />

nell’opera e l’opera stessa. Il grido in sé non può essere musica<br />

nella stessa misura in cui non può esserlo un qualsiasi suono<br />

spontaneo e non mediato. Questa contraddizione non riguarda<br />

solamente l’aspetto teorico della questione, ma anche le sue caratteristiche<br />

concrete. In particolare il suo andamento ritmico,<br />

la sua cadenza musicale contraddice istantaneamente il suo tentativo<br />

di essere libero e liberatorio. Si tratta anche in questo caso<br />

dell’immagine sonora di un grido e non di un grido in quanto<br />

tale, e il suo tentativo mimetico rispetto a un’emissione spontanea<br />

ne evidenzia in modo inequivocabile il fallimento. Anche<br />

sul piano timbrico la soluzione sembra insoddisfacente: al fine<br />

di conservare la propria integrità fisica, il cantante che intende<br />

eseguire il canto gridato deve sfruttare alcune tecniche di respirazione<br />

e di emissione che ne deformano la sonorità in una direzione<br />

facilmente percepibile come artificiosa e innaturale; di<br />

conseguenza il grido non viene percepito come sfogo sponta-


<strong>Anestetismi</strong> <strong>musicali</strong><br />

neo, ma come l’imitazione parodistica di uno sfogo, un tentativo<br />

di riproduzione che oscilla in modo totalmente scisso tra<br />

l’esternazione spontanea e una sua primitiva figurazione. Quanto<br />

al canto melodico, nella musica leggera non commerciale il<br />

suo andamento non si distacca molto dalla canzonetta; e molto<br />

spesso è proprio la linea melodica vocale a semplificare la comprensione<br />

armonica e strutturale del pezzo dimostrando il suo<br />

diatonismo anche a fronte di qualche soluzione d’arrangiamento<br />

complessa e articolata. Infatti le dissonanze non risolte non<br />

sono contemplate nell’andamento vocale, e dove esse sono presenti<br />

nella base strumentale la voce si fa da parte rimanendo in<br />

silenzio o affidandosi a soluzioni puramente ritmiche (come<br />

quelle del grido) o di commento attraverso una qualche forma<br />

di recitato. Da questo punto di vista, quindi, le soluzioni della<br />

musica underground più che sconfessare quelle della musica da<br />

classifica sembrano confermarle per sottrazione.<br />

Al di là degli esiti estetici in sé, sembra importante tentare di<br />

comprendere se queste forme <strong>musicali</strong> non allineate promuovano<br />

un tipo di ascolto diverso da quello che viene inculcato<br />

dalla musica commerciale; se, insomma, il loro insieme sonoro<br />

esca effettivamente dagli standard imposti all’orecchio del<br />

fruitore di musica popular inducendolo a un grado di attenzione<br />

e di concentrazione maggiore; o se, invece, sia anch’esso appiattito<br />

nel ruolo di soundtrack dell’esistenza.<br />

Ebbene, se anche alcuni aspetti della musica leggera non<br />

commerciale si allontanano da alcuni logori aspetti di quella da<br />

classifica, ve ne sono altri che invece conducono il fruitore a<br />

schemi d’ascolto stereotipati: passività, distrazione, uso di<br />

sottofondo. Vi sono infatti alcune componenti della musica non<br />

colta che le sono, almeno allo stato degli sviluppi attuali, del<br />

tutto connaturate: la diatonia nelle parti melodiche e l’uso di un<br />

beat, di una regolarità ritmica che schematizza ogni metro in una<br />

uniformità di fondo per cui l’uso di tempi composti, poliritmie<br />

e tempi dispari (anche nei casi non frequenti in cui sono utiliz-<br />

35


36<br />

Daniele Stroppolo<br />

zati) finisce per ridursi a una sorta di variazione attorno alle<br />

pulsazioni sentite come necessarie e immanenti, ovvero il 4/4 o<br />

in alternativa il 3/4. Questi elementi concedono all’ascoltatore<br />

di non concentrarsi sulla musica, perché il suo fluire procede<br />

con andamento rassicurante e all’interno di schemi armonici<br />

riconoscibili, in modo che i suoi esiti non si emancipino mai<br />

dalle aspettative standardizzate del fruitore.<br />

Vi è inoltre un ulteriore aspetto non trascurabile della musica<br />

leggera nel suo insieme, che penetra strutturalmente anche<br />

nelle canzoni underground: il cliché di genere. Si tratta di scelte<br />

timbriche e di costruzione dei brani, o anche di una determinata<br />

prevalenza di certi intervalli <strong>musicali</strong> nelle armonie e nelle<br />

melodie, o ancora dell’utilizzo di brevi fraseggi chitarristici<br />

che fungono da unità minima del pezzo, i cosiddetti riff; questi<br />

elementi introducono il fruitore in un sistema conosciuto, nel<br />

quale le novità sono sempre puro contorno rispetto all’essenza<br />

del brano stesso. È in questo modo che si creano ascoltatori<br />

specializzati, frequentatori di determinati generi nei quali<br />

essi si muovono a proprio agio riconoscendo stilemi precisi<br />

che corrispondono perfettamente alle aspettative del fruitore:<br />

un meccanismo di autorafforzamento che oscilla tra il rassicurante<br />

territorio conosciuto e l’introduzione periferica di novità<br />

marginali; lo stesso automatismo della musica da classifica,<br />

con analoghi risultati sul piano dell’ammaestramento allo<br />

standard conoscitivo.

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