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la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...

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Se in spagnolo il tamburino immagina con sod<strong>di</strong>sfazione che “<strong>la</strong> cosecha iba de grul<strong>la</strong>”, in<br />

italiano prevede “una buona colletta”, mantenendo il campo semantico del<strong>la</strong> raccolta ma non<br />

quello del<strong>la</strong> mietitura.<br />

L’espressione colloquiale, impiegata dal cane, “de mi santiscario” doveva suonare bizzarra o<br />

un po’ b<strong>la</strong>sfema già ai lettori secenteschi, se lo scrittore, o meglio il narratore Berganza, sente<br />

<strong>la</strong> necessità <strong>di</strong> far<strong>la</strong> seguire dal<strong>la</strong> giustificazione “como <strong>di</strong>cen”, <strong>di</strong> fronte al<strong>la</strong> quale <strong>Montale</strong><br />

non fa altro che semplificare in “li eseguivo del mio meglio”, senza inserire corrispondenti<br />

espressioni ricercate o tipiche del par<strong>la</strong>to che non sarebbero certo mancate.<br />

Il traduttore aggiunge invece <strong>di</strong> sua iniziativa un paio <strong>di</strong> parole <strong>di</strong> spiegazione al termine<br />

“trenta leghe”, che risulterebbe forse incomprensibile ai suoi lettori senza <strong>la</strong> successiva<br />

annessione “<strong>di</strong> strada”.<br />

Dopo una così folta lista <strong>di</strong> manipo<strong>la</strong>zioni, tagli e cambiamenti ra<strong>di</strong>cali, c’è da notare una<br />

partico<strong>la</strong>re fedeltà nel trascrivere i nomi delle città che rimangono, come nell’originale,<br />

“Ciudad Real, San Martin e Ribadavia”, soluzione alquanto sorprendente rispetto al<strong>la</strong> scelta <strong>di</strong><br />

italianizzare in “Siviglia” o “Granata” le città più note, soprattutto se si considera che anche il<br />

nome del<strong>la</strong> piazza del<strong>la</strong> capitale era <strong>di</strong>ventata “San Francesco”.<br />

In questo episo<strong>di</strong>o <strong>Montale</strong>, come al solito, si barcamena tra rese letterali e traduzioni<br />

approssimative, senza perdere però mai <strong>di</strong> vista <strong>la</strong> comprensibilità imme<strong>di</strong>ata del suo scritto e<br />

<strong>la</strong> resa del senso del testo, anche se variamente reinterpretato.<br />

4.3.g Brujas, magas y hechiceras<br />

L’episo<strong>di</strong>o che i critici considerano centrale per <strong>la</strong> novel<strong>la</strong> è quello del<strong>la</strong> strega Cañizares, che<br />

si trova giusto al centro del racconto e che assume profondo significato per questa narrazione<br />

se non per l’intera raccolta.<br />

Il tamburino, nel pieno del suo spettacolo, ha <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ugurata idea <strong>di</strong> nominare “<strong>la</strong> famosa<br />

hechicera que <strong>di</strong>cen que hubo en este lugar” [<strong>la</strong> famosa incantatrice che <strong>di</strong>cono che visse in<br />

questo posto], ma a queste parole appare una vecchia a<strong>di</strong>rata che comincia a sbraitare che non<br />

esiste alcuna fattucchiera, e che l’unico motivo per cui <strong>la</strong> gente crede a questa <strong>di</strong>ceria è una<br />

“ley de encaje”, termine giuri<strong>di</strong>co che <strong>Montale</strong> traduce “legge male applicata”, a<br />

<strong>di</strong>mostrazione fin dalle prime battute del<strong>la</strong> varietà del vocabo<strong>la</strong>rio <strong>di</strong> questo nuovo<br />

personaggio.<br />

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