la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...
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Scipione, rimproverando come di consueto Berganza per essersi soffemato troppo sui particolari della sua storia, gli dice che “no hagas soga, por no decir cola, de tu historia” che Montale traduce piuttosto fedelmente, con espressione idiomatica italiana “non dar troppa corda, per non dir coda, al tuo racconto”. In questa occasione il traduttore ha reso letteralmente i due termini “soga” e “cola” del testo, ma così facendo ha creato un evidente richiamo fonico che non c’era nell’originale. Se non avesse voluto aggiungere questa sfumatura, Montale avrebbe potuto usare ad esempio il termine “dar spago”, ugualmente funzionale alla resa del significato, ma il poeta ha preferito mantenere il gioco linguistico per quanto innecessario. Ci sono casi in cui il chiarimento di un’espressione è dato non dalla sua esplicitazione, ma dal cambiamento della struttura del periodo sintattico. Osserviamo ad esempio la complessità del seguente brano in cui Berganza fa riferimento ai falsi dotti “…y quisiera que a estos tales los pusieran en una prensa, y a fuerza de vueltas les sacaran el jugo de lo que saben, porque no anduviesen engañando el mundo con el orpel de su greguescos rotos y sus latines falsos, como hacen los portugueses con los negros de Guinea” [e vorrei che a questi tali li mettessero in una pressa, e a forza di giri estraessero il sugo di ciò che sanno, perchè non andassero ingannando il mondo con l’orpello dei loro grecismi rotti e dei loro falsi latini, come fanno i portoghesi con i negri di Guinea]. In questo caso Montale fraintende la comparazione, ritenendo che Cervantes volesse legare il riferimento ai portoghesi alla violenza della punizione e non al loro erroneo senso di superiorità, per cui il traduttore sposta la similitudine subito dopo l’indicazione della tortura, ma mantiene inalterata la metafora centrale “…e vorrei che questi tali li mettessero al torchio come fanno i portoghesi coi negri di Guinea, e a forza di strette ne spremessero fuori il sugo di ciò che sanno, perché non vadano in giro ingannando con l’orpello di queste grecherie e latinerie da un soldo” . La sentenziosità dei cani parlanti si esprime spesso in frasi brevi e concise che hanno il sapore della saggezza tradizionale e del modo di dire. Parlando dei doni della serva che sono riusciti a corrompere Berganza, egli, quasi giustificandosi, dichiara che “muchos pueden las dádivas”, e per ricalcare l’affermazione la ripete identica “vuelvo a decir que mucho pueden las dádivas”, e ancora una volta la enuncia uguale Scipione rispondendogli. Montale, dopo aver concesso a Berganza la prima ripetizione, la esclude dalla battuta di Scipione sostituendola col pronome clitico “lo”. Allo stesso modo elimina l’aggiuntiva caratterizzazione negativa del termine nella frase successiva, in cui in spagnolo “malas dádivas” crea un contrasto col “buenas intenciones” 81
appena precedente, opposizione che Montale non riproduce traducendo “la mia rettitudine (“buenas intenciones”) respinse i doni (“malas dádivas”) della negra.” 4.3.e Una locandiera sguaiata Una volta riuscito a sfuggire dal mercante e dalla serva nera che voleva ucciderlo per potersi incontrare in segreto col suo innamorato, Berganza, alla ricerca di un nuovo padrone, viene riconosciuto, per le strade di Siviglia, da un amico del suo primo padrone Nicola il Remo. Questo nuovo personaggio non viene chiamato mai per nome, ma viene presentato attraverso la sua funzione pubblica, definita col termine spagnolo “alguacil” in corsivo. La resa delle professioni, di cui la città offre una così vasto campionario, è una delle difficoltà che Montale deve superare, per l’assenza talvolta di corrispondenze in italiano e per la difficoltà di evitare la ripetizione. Il nuovo padrone è chiamato in genere “poliziotto” o “sbirro”, termine la cui connotazione negativa è giustificata dalla corruttela dell’uomo. Amico del poliziotto è un “escribano”, parola per la quale Montale alterna la traduzione di “cancelliere” a quella di “scrivano”. Il padrone è accompagnato da due ufficiali di rango inferiore, in spagnolo “corchetes”, che Montale traduce “sgherri” per la loro funzione di delinquenti, ma quando Berganza definisce anche se stesso al servizio del nuovo impiego “corchete”, è tradotto “birro”. La funzione di “cane de ayuda” invece viene tradotta poco letteralmente “cane da guardia”, ruolo che egli non ricopriva al mattatoio. I due corrotti amici vengono definiti “amancebedos”, termine che il traduttore elide, non riportando in questo modo il gioco di parole con l’accusa con la quale i due funzionari vogliono incastrare la loro preda e cioè proprio quella di “amancebedo”, che in italiano è reso “illeciti costumi”. Simili problemi causano in quest’episodio gli indumenti, in particolare un paio di “follados” cioè, spiega la nota critica, “calzones huecos y arrugados” che vengono tradotti “brache”, “calzoni” e poi “pantaloni” perdendo in ogni caso la specificità del taglio considerato ridicolo per le ampie tasche. Anche i gradi dell’esercito causano una certa difficoltà, che Montale risolve traducendo “governatore” per “asistente” e “vice governatore” per “teniente de asistente”. Oltre alla scala gerarchica militare in Spagna era fortemente gerarchizzata anche la società, per cui tutti gli appartenenti ad una classe nobiliare erano riconosciuti con titoli che ne 82
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<strong>Montale</strong> traduce piuttosto fedelmente, con espressione i<strong>di</strong>omatica italiana “non dar troppa<br />
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letteralmente i <strong>due</strong> termini “soga” e “co<strong>la</strong>” del testo, ma così facendo ha creato un evidente<br />
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quanto innecessario.<br />
Ci sono casi in cui il chiarimento <strong>di</strong> un’espressione è dato non dal<strong>la</strong> sua esplicitazione, ma dal<br />
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hacen los portugueses con los negros de Guinea” [e vorrei che a questi tali li mettessero in<br />
una pressa, e a forza <strong>di</strong> giri estraessero il sugo <strong>di</strong> ciò che sanno, perchè non andassero<br />
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portoghesi con i negri <strong>di</strong> Guinea].<br />
In questo caso <strong>Montale</strong> fraintende <strong>la</strong> comparazione, ritenendo che <strong>Cervantes</strong> volesse legare il<br />
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superiorità, per cui il traduttore sposta <strong>la</strong> similitu<strong>di</strong>ne subito dopo l’in<strong>di</strong>cazione del<strong>la</strong> tortura,<br />
ma mantiene inalterata <strong>la</strong> metafora centrale “…e vorrei che questi tali li mettessero al torchio<br />
come fanno i portoghesi coi negri <strong>di</strong> Guinea, e a forza <strong>di</strong> strette ne spremessero fuori il sugo<br />
<strong>di</strong> ciò che sanno, perché non vadano in giro ingannando con l’orpello <strong>di</strong> queste grecherie e<br />
<strong>la</strong>tinerie da un soldo” .<br />
La sentenziosità dei cani par<strong>la</strong>nti si esprime spesso in frasi brevi e concise che hanno il sapore<br />
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a corrompere Berganza, egli, quasi giustificandosi, <strong>di</strong>chiara che “muchos pueden <strong>la</strong>s dá<strong>di</strong>vas”,<br />
e per ricalcare l’affermazione <strong>la</strong> ripete identica “vuelvo a decir que mucho pueden <strong>la</strong>s<br />
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concesso a Berganza <strong>la</strong> prima ripetizione, <strong>la</strong> esclude dal<strong>la</strong> battuta <strong>di</strong> Scipione sostituendo<strong>la</strong><br />
col pronome clitico “lo”.<br />
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successiva, in cui in spagnolo “ma<strong>la</strong>s dá<strong>di</strong>vas” crea un contrasto col “buenas intenciones”<br />
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