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la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...

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jifera”, con un aggettivo che in italiano viene reso dal traduttore nel suo valore ampio <strong>di</strong><br />

depravazione, spostando <strong>la</strong> connotazione gergale al sostantivo e dando luogo al<strong>la</strong> creativa<br />

espressione “su<strong>di</strong>cia ganza”. Si nota come il traduttore enuclei il valore dell’espressione e ne<br />

sottolinei aspetti <strong>di</strong>versi a seconda del contesto.<br />

Il mondo del mattatoio <strong>di</strong> Siviglia è reso con forte espressività al fine <strong>di</strong> dare l’idea <strong>di</strong> un<br />

universo sottratto al controllo delle istituzioni monarchiche, all’interno del quale regna <strong>la</strong><br />

legge del più forte, tra uomini che ammazzano un collega tanto facilmente quanto una vacca e<br />

si appropriano <strong>di</strong> ciò che vogliono. Costoro dettano legge nel mondo senza legge del<br />

mattatoio e sono definiti dunque i “ministros de aquel<strong>la</strong> confusión”, con un ‘espressività che<br />

<strong>Montale</strong> enfatizza con spiccata infedeltà nel suo “gran<strong>di</strong> arruffoni <strong>di</strong> quel<strong>la</strong> Babilonia”, e tra<br />

cui si trova il primo padrone <strong>di</strong> Berganza, uno <strong>di</strong> questi delinquenti che si chiama “Nicolás el<br />

Romo”.<br />

Mentre il nome proprio viene italianizzato da <strong>Montale</strong> in “Nico<strong>la</strong>”, il soprannome <strong>di</strong>venta<br />

“Remo”, ma il traduttore si vede costretto ad inserire una nota a piè <strong>di</strong> pagina per spiegare che<br />

“Romo in spagnolo vuol <strong>di</strong>re mulo, e allo stesso tempo caparbio, ottuso”, mentre il testo<br />

critico da me usato lo spiega come “de nariz chata”[dal naso schiacciato]. In questo caso il<br />

nostro scrittore preferisce mantenere il nome spagnolo ed esplicitarne il significato in nota per<br />

permettere al lettore <strong>di</strong> comprendere i riferimenti attraverso il paratesto, usando una<br />

soluzione partico<strong>la</strong>rmente notevole perché si tratta dell’unica nota dell’intera novel<strong>la</strong>.<br />

Una scelta <strong>di</strong>versa avrebbe potuto portarlo a usare un termine come “mulo” che però in<br />

italiano si arricchirebbe <strong>di</strong> ulteriori riferimenti connotativi assenti nel prototesto.<br />

Il cane definisce l’uomo in questione “robusto, dob<strong>la</strong>do y colérico, como lo son todos todos<br />

aquellos que ejercitan (appunto) <strong>la</strong> jifería”, che <strong>Montale</strong> traduce “robusto, atticciato e <strong>di</strong><br />

natura collerica com’è quel<strong>la</strong> <strong>di</strong> tutti i macel<strong>la</strong>i”. “Dob<strong>la</strong>do”, espressione ormai sparita dallo<br />

spagnolo corrente, tant’è vero che l’e<strong>di</strong>zione critica ne riporta in nota il significato, viene reso<br />

con una paro<strong>la</strong> altrettanto ricercata. Dell’ultimo termine abbiamo già detto, ma osserviamo<br />

come in questa occasione <strong>la</strong> facilità ad infuriarsi del personaggio nel testo originale sembra<br />

essere conseguenza del <strong>la</strong>voro, mentre nel<strong>la</strong> <strong>traduzione</strong> pare essere <strong>la</strong> causa che spinge gli<br />

in<strong>di</strong>vidui a scegliere tale professione. Se leggiamo <strong>la</strong> nota critica, scopriamo però che il tratto<br />

“colérico” è “uno de los humores que según <strong>la</strong> me<strong>di</strong>cina clásica determinaba el caracter de <strong>la</strong><br />

persona”, per cui <strong>la</strong> <strong>traduzione</strong> <strong>di</strong> <strong>Montale</strong> risulta partico<strong>la</strong>rmente adatta a rendere questa<br />

concezione <strong>di</strong> antica tra<strong>di</strong>zione dell’immutabilità del carattere.<br />

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