la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...
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Se considerando il lessico abbiamo potuto notare un partico<strong>la</strong>re impegno da parte <strong>di</strong> Bertini<br />
per mantenere alcune sfumature <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza temporale nel <strong>la</strong>voro <strong>di</strong> <strong>traduzione</strong>, già<br />
nell’ambito dei proverbi e del<strong>la</strong> profezia si è potuta osservare <strong>la</strong> rinuncia al<strong>la</strong> conservazione <strong>di</strong><br />
decisivi aspetti formali.<br />
Ciò che, evidentemente, risulta più <strong>di</strong>fficile mantenere, in una <strong>traduzione</strong>, non sono le singole<br />
parole, ma <strong>la</strong> visione del mondo dell’originale, cioè il modo in cui quelle parole definiscono<br />
una percezione dell’universo tipica <strong>di</strong> un tempo e <strong>di</strong> un luogo.<br />
Questi dettagli sono certo i più problematici da rendere e soprattutto da rendere comprensibili<br />
a un pubblico composto non da storici o da eru<strong>di</strong>ti ma da lettori eterogenei.<br />
Tra le numerose espressioni colloquiali usate dal cane Berganza nel suo narrare e dai suoi<br />
personaggi, vorrei soffermarmi a mo’ <strong>di</strong> esempio su un partico<strong>la</strong>re gruppo <strong>di</strong> espressioni che<br />
fanno riferimento ad uno degli aspetti che più ra<strong>di</strong>calmente potrebbero separare il lettore<br />
secentesco da quello del ventesimo secolo e cioè <strong>la</strong> vicinanza al mondo agricolo.<br />
Per quanto le <strong>novelle</strong> <strong>di</strong> <strong>Cervantes</strong> non fossero <strong>di</strong> certo destinate all’intrattenimento dei<br />
conta<strong>di</strong>ni, il mondo delle città del<strong>la</strong> Spagna del tempo manteneva ancora una stretto vincolo<br />
con <strong>la</strong> campagna circostante, basti vedere <strong>la</strong> rapi<strong>di</strong>tà con cui il cane passi da un ambiente<br />
all’altro durante le sue fughe. Le piazze delle città erano luogo <strong>di</strong> smercio dei prodotti degli<br />
appezzamenti circostanti e i nobili stessi trascorrevano lunghi perio<strong>di</strong> nelle loro magioni in<br />
mezzo ai campi.<br />
Di conseguenza elementi e parole del<strong>la</strong> coltivazione impregnavano il linguaggio quoti<strong>di</strong>ano e<br />
colloquiale <strong>di</strong> tutti, dai braccianti ai loro signori e in più casi anche nel Colloquio incontriamo<br />
l’uso del riferimento al raccolto.<br />
Proprio all’inizio del<strong>la</strong> novel<strong>la</strong> Scipione, in una delle sue <strong>di</strong>chiarazioni più incisive, osserva<br />
che “el hacer mal viene de natural cosecha”, in<strong>di</strong>cando con queste parole l’istintiva tendenza<br />
dei cani (e degli uomini) al male.<br />
<strong>Montale</strong> evita il riferimento al<strong>la</strong> mietitura con l’espressione “il male è spontaneo in noi”, ma<br />
si può osservare come anche gli altri traduttori elidano il modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re dell’originale senza<br />
<strong>la</strong>sciarne traccia. Bertini infatti lo rende “il male ci deriva dal nostro naturale”, espressione<br />
peraltro piuttosto oscura, mentre <strong>la</strong> Nor<strong>di</strong>o scrive “il mal fare è un’inclinazione <strong>di</strong> natura”.<br />
Più avanti, durante l’episo<strong>di</strong>o del tamburino, Berganza racconta come il suo padrone fosse<br />
reso più spavaldo dal<strong>la</strong> certezza che “<strong>la</strong> cosecha iba de grul<strong>la</strong>”, espressione questa<br />
<strong>di</strong>rettamente tratta dal mondo conta<strong>di</strong>no per esprimere un anno <strong>di</strong> ricco raccolto. <strong>Montale</strong>,<br />
nuovamente scansando il rimando, scrive che il padrone si rallegrava “prevedendo una buona<br />
colletta”, ma anche Bertini evita il modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re e rende “prevedendo un buon guadagno”,<br />
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