la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...

la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ... la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...

03.06.2013 Views

In generale, paragonando le diverse versioni, si può osservare come alcune manipolazioni del testo fossero diffuse tra i traduttori, quali la trasformazione della punteggiatura e delle strutture sintattiche per adattare l’opera al gusto contemporaneo, ed alcuni adattamenti di elementi culturali e specifici. Si nota però, particolarmente nel lavoro del Bertini, una forte preoccupazione di presentare al lettore un testo fedele, grazie a una traduzione piuttosto letterale e a un apparato di note esplicative per chiarire alcune parole ed esplicitare alcuni aspetti dell’epoca nella quale venne scritta. Rispetto a questa attenzione prevalentemente contenutistica e filologica, la Nordio dimostra una maggiore concentrazione sulla forma del brano, sacrificando a volte la letteralità a favore di particolari soluzioni stilistiche, forse anche per l’influenza del lavoro di Montale andato alle stampe due anni prima del suo. Frutto di una poetica e di una visione assolutamente originale del proprio compito risulta l’opera di Montale, nella scelta di modificare spesso radicalmente il testo, operare frequenti elisioni o aggiunte e manipolazioni. Alcune tendenze, come la preferenza per la variatio rispetto alla ripetizione, si notano anche negli altri traduttori, ma in Montale vengono rese vere e proprie regole e portate avanti con estrema coerenza pur intaccando elementi specifici del tessuto dell’originale. Nonostante questi scrittori optino nei casi messi in evidenza per soluzioni diverse, li accomuna in generale il problema che sta alla base della traduzione di un testo nato in un periodo e in un luogo diverso dal loro. Come abbiamo visto, spesso i dilemmi non nascono solo dalla possibilità o meno di rendere in italiano una determinata parola, ma dalla volontà di restituire al lettore un intero orizzonte culturale e mentale percepito come distante. Abbiamo osservato come, di fronte alla scelta di Montale di modernizzare il dettato per renderlo più accessibile al destinatario contemporaneo, gli altri due traduttori, Bertini in particolare, si sforzino di mantenere il più possibile inalterato il brano per conservarne numerosi aspetti originali. Il dubbio che sorge riguarda la reale possibilità di compiere una tale operazione, e quali siano gli ostacoli di fronte ai quali il traduttore in veste di filologo e storico (in caso ad esempio desideri inserire spiegazioni nelle note al margine) sia comunque costretto a cedere a causa del numero illimitato di sfaccettature di un testo. 133

Se considerando il lessico abbiamo potuto notare un particolare impegno da parte di Bertini per mantenere alcune sfumature di distanza temporale nel lavoro di traduzione, già nell’ambito dei proverbi e della profezia si è potuta osservare la rinuncia alla conservazione di decisivi aspetti formali. Ciò che, evidentemente, risulta più difficile mantenere, in una traduzione, non sono le singole parole, ma la visione del mondo dell’originale, cioè il modo in cui quelle parole definiscono una percezione dell’universo tipica di un tempo e di un luogo. Questi dettagli sono certo i più problematici da rendere e soprattutto da rendere comprensibili a un pubblico composto non da storici o da eruditi ma da lettori eterogenei. Tra le numerose espressioni colloquiali usate dal cane Berganza nel suo narrare e dai suoi personaggi, vorrei soffermarmi a mo’ di esempio su un particolare gruppo di espressioni che fanno riferimento ad uno degli aspetti che più radicalmente potrebbero separare il lettore secentesco da quello del ventesimo secolo e cioè la vicinanza al mondo agricolo. Per quanto le novelle di Cervantes non fossero di certo destinate all’intrattenimento dei contadini, il mondo delle città della Spagna del tempo manteneva ancora una stretto vincolo con la campagna circostante, basti vedere la rapidità con cui il cane passi da un ambiente all’altro durante le sue fughe. Le piazze delle città erano luogo di smercio dei prodotti degli appezzamenti circostanti e i nobili stessi trascorrevano lunghi periodi nelle loro magioni in mezzo ai campi. Di conseguenza elementi e parole della coltivazione impregnavano il linguaggio quotidiano e colloquiale di tutti, dai braccianti ai loro signori e in più casi anche nel Colloquio incontriamo l’uso del riferimento al raccolto. Proprio all’inizio della novella Scipione, in una delle sue dichiarazioni più incisive, osserva che “el hacer mal viene de natural cosecha”, indicando con queste parole l’istintiva tendenza dei cani (e degli uomini) al male. Montale evita il riferimento alla mietitura con l’espressione “il male è spontaneo in noi”, ma si può osservare come anche gli altri traduttori elidano il modo di dire dell’originale senza lasciarne traccia. Bertini infatti lo rende “il male ci deriva dal nostro naturale”, espressione peraltro piuttosto oscura, mentre la Nordio scrive “il mal fare è un’inclinazione di natura”. Più avanti, durante l’episodio del tamburino, Berganza racconta come il suo padrone fosse reso più spavaldo dalla certezza che “la cosecha iba de grulla”, espressione questa direttamente tratta dal mondo contadino per esprimere un anno di ricco raccolto. Montale, nuovamente scansando il rimando, scrive che il padrone si rallegrava “prevedendo una buona colletta”, ma anche Bertini evita il modo di dire e rende “prevedendo un buon guadagno”, 134

In generale, paragonando le <strong>di</strong>verse versioni, si può osservare come alcune manipo<strong>la</strong>zioni del<br />

testo fossero <strong>di</strong>ffuse tra i traduttori, quali <strong>la</strong> trasformazione del<strong>la</strong> punteggiatura e delle<br />

strutture sintattiche per adattare l’opera al gusto contemporaneo, ed alcuni adattamenti <strong>di</strong><br />

elementi culturali e specifici. Si nota però, partico<strong>la</strong>rmente nel <strong>la</strong>voro del Bertini, una forte<br />

preoccupazione <strong>di</strong> presentare al lettore un testo fedele, grazie a una <strong>traduzione</strong> piuttosto<br />

letterale e a un apparato <strong>di</strong> note esplicative per chiarire alcune parole ed esplicitare alcuni<br />

aspetti dell’epoca nel<strong>la</strong> quale venne scritta.<br />

Rispetto a questa attenzione prevalentemente contenutistica e filologica, <strong>la</strong> Nor<strong>di</strong>o <strong>di</strong>mostra<br />

una maggiore concentrazione sul<strong>la</strong> forma del brano, sacrificando a volte <strong>la</strong> letteralità a favore<br />

<strong>di</strong><br />

partico<strong>la</strong>ri soluzioni stilistiche, forse anche per l’influenza del <strong>la</strong>voro <strong>di</strong> <strong>Montale</strong> andato alle<br />

stampe <strong>due</strong> anni prima del suo.<br />

Frutto <strong>di</strong> una poetica e <strong>di</strong> una visione assolutamente originale del proprio compito risulta<br />

l’opera <strong>di</strong> <strong>Montale</strong>, nel<strong>la</strong> scelta <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare spesso ra<strong>di</strong>calmente il testo, operare frequenti<br />

elisioni o aggiunte e manipo<strong>la</strong>zioni. Alcune tendenze, come <strong>la</strong> preferenza per <strong>la</strong> variatio<br />

rispetto al<strong>la</strong><br />

ripetizione, si notano anche negli altri traduttori, ma in <strong>Montale</strong> vengono rese vere e proprie<br />

regole e portate avanti con estrema coerenza pur intaccando elementi specifici del tessuto<br />

dell’originale.<br />

Nonostante questi scrittori optino nei casi messi in evidenza per soluzioni <strong>di</strong>verse, li<br />

accomuna in generale il problema che sta al<strong>la</strong> base del<strong>la</strong> <strong>traduzione</strong> <strong>di</strong> un testo nato in un<br />

periodo e in un luogo <strong>di</strong>verso dal loro. Come abbiamo visto, spesso i <strong>di</strong>lemmi non nascono<br />

solo dal<strong>la</strong> possibilità o meno <strong>di</strong> rendere in italiano una determinata paro<strong>la</strong>, ma dal<strong>la</strong> volontà <strong>di</strong><br />

restituire al lettore un intero orizzonte culturale e mentale percepito come <strong>di</strong>stante.<br />

Abbiamo osservato come, <strong>di</strong> fronte al<strong>la</strong> scelta <strong>di</strong> <strong>Montale</strong> <strong>di</strong> modernizzare il dettato per<br />

renderlo più accessibile al destinatario contemporaneo, gli altri <strong>due</strong> traduttori, Bertini in<br />

partico<strong>la</strong>re, si sforzino <strong>di</strong> mantenere il più possibile inalterato il brano per conservarne<br />

numerosi aspetti originali.<br />

Il dubbio che sorge riguarda <strong>la</strong> reale possibilità <strong>di</strong> compiere una tale operazione, e quali siano<br />

gli ostacoli <strong>di</strong> fronte ai quali il traduttore in veste <strong>di</strong> filologo e storico (in caso ad esempio<br />

desideri inserire spiegazioni nelle note al margine) sia comunque costretto a cedere a causa<br />

del numero illimitato <strong>di</strong> sfaccettature <strong>di</strong> un testo.<br />

133

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!