la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...

I due decidono dunque di andare “al Espolón”, ma il lettore italiano non sapendo essere quello
il nome di un giardino, forse non capirebbe l’intenzione degli amici se il traduttore non
scrivesse “a passeggiare sull’Espolon”. Peralta dichiara che lo scopo dell’escursione sarà
“recrear los ojos del cuerpos pues ya he recreado los del entendimiento” [a ricreare gli occhi
del corpo dato che ho già ricreato quelli dell’intendimento], sancendo un parallelismo tra il
piacere di un bel paesaggio e quello di una buona lettura, ma il traduttore, che per tutta la
novella si è lambiccato per evitare le ripetizioni, anche in questo caso non viene meno alla sua
poetica scrivendo “per ricreare gli occhi del corpo dopo aver rallegrato quelli dello spirito”.
Per quanto una novella possa avere una struttura equilibrata e sia ricca di rimandi, vi sono dei
punti critici che hanno un’importanza fondamentale e ai quali è importante prestare
particolare attenzione, ed essi sono l’incipit e l’excipit. La frase iniziale e finale di un racconto
o di un romanzo racchiudono sempre una pregnanza di spicco proprio in relazione alla loro
posizione, per cui non si può supporre che la loro scelta sia casuale, soprattutto nel Coloquio
de los perros, la cui conclusione, essendo l’ultima novella della raccolta, non è solo il finale
del racconto, ma anche dell’intero volume e si carica dunque di un’ulteriore valenza.
La frase con cui termina la novella è estremamente incisiva, e dato che Cervantes era stato
scrittore di commedie, mi sbilancerei a definirla teatrale, dato che dopo i racconti
rocamboleschi dei vagabondaggi e delle esperienze di Berganza, dopo una panoramica
sull’intera società spagnola, arricchita di commenti e morali, i due ultimi attori rimasti sulla
scena non fanno altro che abbandonare il proprio pubblico ed andarsene, lasciando alle
proprie spalle la stanza dei racconti, della lettura e del sonno, vuota ma piena di questioni
irrisolte.
“Vamos” dijo el alferéz.
Y con esto se fueron”
Montale, che per tutta la traduzione ha esercitato il suo spirito di libera interpretazione del
testo, anche in questo caso pare del tutto indifferente alla resa letterale dell’espressione
dell’originale per quanto puntuale ed incisiva e per nulla ambigua.
In questo caso non è la sintesi a preoccupare lo scrittore ligure, né la comprensibilità del testo,
ma probabilmente ritenne che il finale originale non si adattasse al gusto del proprio pubblico,
e questa considerazione ci riporta a riflettere ancora una volta sul rapporto tra una traduzione
e l’orizzonte letterario nel quale viene pubblicata.
Che fosse per gusto personale o per accontentare i lettori, Montale si concede un ultimo colpo
di mano dichiarandosi ancora una volta prima scrittore e poi traduttore, e scrive:
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