la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...
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avanzò in me <strong>la</strong> fame], mentre <strong>Montale</strong> che preferisce non usare costruzioni così barocche<br />
traduce “il poeta non venne più e io mi trovai ancora affamato”.<br />
Berganza, dunque, racconta <strong>di</strong> essere andato in città, dove incontra il suo <strong>di</strong>sgraziato<br />
benefattore all’uscita dal convento <strong>di</strong> “San Jerónimo”, che in italiano inspiegabilmente si<br />
converte in San Gero<strong>la</strong>mo, forse santo più conosciuto in ambiente nostrano.<br />
Il poeta tira fuori i soliti tozzi <strong>di</strong> pane, ma questa volta <strong>la</strong> complessa azione <strong>di</strong> estrarli dalle<br />
tasche dove erano custo<strong>di</strong>ti come preziosi è resa da un’immagine molto visiva attraverso il<br />
verbo “desambau<strong>la</strong>r”, come se li estraesse ad<strong>di</strong>rittura da una cassa, che <strong>Montale</strong> traduce<br />
“gettarmi”, cui segue un’altra bel<strong>la</strong> immagine, data dal<strong>la</strong> mancanza <strong>di</strong> ispirazione del poeta<br />
poichè egli precipita ancor più nel suo misero mondo dato che “tenía <strong>la</strong>s musas<br />
vergonzantes”, ma <strong>Montale</strong> lo salva dallo sdegno delle dee e scrive solo come esse “non<br />
fossero più in buone con lui”.<br />
Nonostante l’in<strong>di</strong>genza, il povero <strong>di</strong>avolo non smette <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre il proprio poco cibo col<br />
cane, <strong>di</strong>mostrando <strong>la</strong> falsità del proverbio che “más da el duro que el desnudo”, che <strong>Montale</strong><br />
parafrasa con “da più il tirchio del povero”.<br />
“De <strong>la</strong>nce en <strong>la</strong>nce” riprende Berganza, che <strong>Montale</strong> rende “Gira e rigira”, lo scrittore arriva a<br />
dec<strong>la</strong>mare <strong>la</strong> sua opera ad un “autor de come<strong>di</strong>as”, che in italiano suona “capocomico”, ma <strong>la</strong><br />
composizione è così mal scritta che causa <strong>la</strong> rovina del “mismo poeta”, che <strong>Montale</strong>,<br />
considerando <strong>la</strong> compassione del cane per il povero sventurato, trasforma in un solidale<br />
“nostro poeta”.<br />
L’opera è così <strong>di</strong>sastrosa che gli attori cominciano a picchiare l’autore, e non <strong>la</strong> smetterebbero<br />
più se non intervenisse il capocomico con <strong>la</strong> sua “autoridad, llena de ruegos y voces” [autorità<br />
piena <strong>di</strong> preghiere e richiami], cioè, con un ulteriore contrad<strong>di</strong>zione, un’autorità garantita<br />
dalle suppliche, permettendo così al poveraccio <strong>di</strong> salvarsi, ma facendogli perdere il cane, che<br />
attratto dalle carezze del capocomico decide <strong>di</strong> rimanere con lui, entrando così nel corrotto<br />
mondo del teatro, e <strong>Montale</strong> e noi con lui.<br />
Tra i personaggi che calcano le scene vi è l’ “entremesista”, ciò l’ “attore <strong>di</strong> intermezzi” , ma<br />
al cane tocca <strong>la</strong>vorare come “gran farsante”, che in ambito italiano è, secondo <strong>Montale</strong>, il<br />
“gran buffo”.<br />
Anche questa esperienza <strong>di</strong>sgusta però il nostro mastino che ormai <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere quasi giunto<br />
al<strong>la</strong> fine del suo racconto e <strong>di</strong> stare per concludere. Anche <strong>Montale</strong> sembra ormai preoccupato<br />
<strong>di</strong> chiudere in fretta <strong>la</strong> novel<strong>la</strong> e in queste ultime pagine si de<strong>di</strong>ca sistematicamente al<strong>la</strong><br />
sintesi.<br />
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