la traduzione di Montale di due novelle di Cervantes - Bruno Osimo ...
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4.3.h Ai margini del<strong>la</strong> società<br />
Dopo l’incontro con <strong>la</strong> strega, il cane riprende il suo vagabondaggio, e <strong>di</strong> conseguenza <strong>la</strong> sua<br />
esplorazione e descrizione delle molteplici realtà che compongono <strong>la</strong> società spagno<strong>la</strong><br />
contemporanea.<br />
Il viaggio <strong>di</strong> Berganza, iniziato tra i bassifon<strong>di</strong> del mattatoio <strong>di</strong> Siviglia e proseguito tra <strong>la</strong><br />
rozzezza dei pastori, passato in mezzo agli agi del<strong>la</strong> casa del mercante, <strong>la</strong> corruzione del<strong>la</strong><br />
polizia e <strong>la</strong> poca serietà dell’esercito, aveva portato infine il cane, assieme col lettore, a<br />
considerare l’emarginazione delle donne considerate streghe.<br />
La panoramica del<strong>la</strong> società finora ritratta rappresenta una serie <strong>di</strong> situazioni fra loro molto<br />
<strong>di</strong>verse, ma che con<strong>di</strong>vidono il senso <strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> un’ingiustizia che attraversa tutti i personaggi,<br />
tranne forse solo i gesuiti, che si <strong>di</strong>mostrano però troppo severi e che comunque allontanano<br />
anch’essi il povero Berganza.<br />
In mezzo a tanta depravazione <strong>di</strong> furti e <strong>di</strong> inganni, e soprattutto <strong>di</strong> ipocrisia, in cui l’unico<br />
scopo del<strong>la</strong> gente è quello <strong>di</strong> mascherare nel miglior modo possibile le proprie meschinità o<br />
apparire ciò che non è, il personaggio del<strong>la</strong> fattucchiera non costituisce altro che un ennesimo<br />
tassello <strong>di</strong> tale mosaico, tanto da destare al<strong>la</strong> fine più rammarico per <strong>la</strong> sua impossibilità <strong>di</strong><br />
sfuggire al male che o<strong>di</strong>o.<br />
Questo dato è interessante da considerare perché al tempo in cui scriveva <strong>Cervantes</strong> <strong>la</strong><br />
persecuzione delle streghe era ancora molto in voga, per quanto si desse più <strong>la</strong> caccia agli<br />
indemoniati che alle donne ritenute <strong>di</strong>aboliche. Desta stupore che proprio il lungo monologo<br />
del<strong>la</strong> megera si <strong>di</strong>fferenzi dal resto del<strong>la</strong> novel<strong>la</strong> per lo stile control<strong>la</strong>to e <strong>la</strong> profon<strong>di</strong>tà degli<br />
argomenti, paragonabili solo alle dotte considerazioni <strong>di</strong> Scipione, e che proprio al centro<br />
delle parole del<strong>la</strong> vecchia si trovi un nesso col prologo dell’opera, e dunque un misterioso<br />
rimando ad un senso nascosto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile accesso.<br />
Dopo le parole del<strong>la</strong> maga, quasi timoroso che il lettore, come era accaduto al cane, rimanga<br />
ingannato dal <strong>di</strong>scorso del<strong>la</strong> donna che con <strong>la</strong> sua ambiguità, così come il caprone, ha <strong>la</strong><br />
capacità <strong>di</strong> stregare (appunto) il suo u<strong>di</strong>torio, lo scrittore sente <strong>la</strong> necessità <strong>di</strong> richiamare il<br />
pubblico al<strong>la</strong> realtà.<br />
Compie questa operazione attraverso le parole del saggio Scipione, il quale avverte il proprio<br />
compagno del rischio <strong>di</strong> essere sedotto da idee che non possono che essere false e, con<br />
un’ulteriore rimando al prologo, spiega come non possa trattarsi che <strong>di</strong> un gioco.<br />
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