Il pensiero di Adriano Tilgher - Giodi.it

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03.06.2013 Views

particolare, ma “come io generale, universale, astratto, indeterminato”. Più complesso è il discorso intorno a quello che viene definito il “piano dell’amore” e più convincente la ricerca della genesi e la rappresentazione di quello “stile” di vita morale che è la santità. Fatto è che, alla figura del santo, Tilgher stesso confessa di guardare con maggior simpatia 1 e questo è indubbiamente un segno di quella tendenza mistica cui prima si accennava. Originale è certamente la distinzione – su cui si fondano tutte le considerazioni intorno all’amore – fra desiderio e amore. Desiderio e amore hanno per Tilgher origini diverse e procedono per diverse strade, anche se poi ad un certo punto si incontrano e sembrano perciò affini o addirittura identici. Sia il desiderio che l’amore sono riconoscimento dell’”altro”, cioè posizione di un “altro” come diverso da sé; tuttavia, mentre desiderare significa tendere all’altro per assoggettarlo all’io, amore significa porre nell’ “altro” il centro della propria vita. Il desiderio comporta perciò un senso di insufficienza che si aspira a colmare, l’amore invece dà un senso di tranquillità e di pace proprio perché chi ama non desidera più nulla per sé in quanto ha trovato nella vita dell’ “altro”, una volta per sempre, il centro e la ragione della sua propria vita. E’ chiaro che una tale concezione dell’amore inteso come riposo nell’ “altro”, come gioia dell’ amare per l’amare nasce da una visione religiosa dell’amore che naturalmente porta verso quella apoteosi dell’amore che è la santità. Il santo è colui che ha trasferito il centro della propria vita non in un altro essere particolare, ma in tutti gli altri esseri, nel “prossimo”; e così, avendo abolito sé come centro, conquista l’umiltà che è non 1 In un saggio contenuto in “Moralità” (Roma, 1943, pag. 140) l’autore rispondendo a Giuseppe Renzi , il quale in una recensione alla “Filosofia delle morali” aveva mostrato di credere che la figura dell’eroe fosse da lui prediletta, dice: “Credevo che si capisse che pur ponendoli, in sede di pura teoria, tutti e quattro ( l’Eroe, l’Asceta, il Santo e il Saggio) sullo stesso piano di valore le mie preferenze e simpatie personali più vive andassero al tipo del Santo”. 42

dolore ma letizia, non limitazione ed immeschinamento, ma “libertà da tutte le catene del desiderio, da tutte le limitazioni dell’io, gioia e felicità, dolcezza e pace”. 1 La santità è amore senza dolore, senza tristezza – se non quella che può dare dal non sentirsi abbastanza santo – è attività, è sforzo di realizzare il bene diffondendo l’amore. Un punto particolarmente delicato ed interessante è quello ove si tratta dei rapporti fra santità e religione. Per Tilgher la santità non è affatto legata a quelli che egli chiama i miti teologici, come Dio, il cielo, l’aldilà. Sono questi, i miti, che nascono dalla santità e non questa da quelli. Egli ammette pertanto una santità laica, una santità atea. Malgrado questa ammissione, è evidente però che tutta la sua concezione dell’amore e della santità sembra ispirata dagli analoghi concetti del Cristianesimo. Lo notò subito il Buonaiuti il quale interpretò il pensiero di Tilgher proprio in senso cristiano, 2 considerato che è il Cristianesimo che santifica il desiderio in amore. Ma Tilgher non crede di essere proprio sullo stesso piano del Cristianesimo, in quanto, se è vero che col Cristianesimo si giunge alla più chiara coscienza della distinzione fra desiderio e amore, non è men vero che quella distinzione è un “dato embrionale e naturale dell’umanità”. 3 Il dissidio col Buonaiuti nasce evidentemente dal fatto che per quest’ultimo la morale cristiana è quella eterna e perciò l’unica possibile, e lo slancio e la viva partecipazione con cui parla della santità e del “piano dell’amore” sarebbe per Buonaiuti la prova che Tilgher non è lontano da questa “verità”. Per Tilgher, invece, resta sempre fermo il principio che nessuna morale, nemmeno quella altissima del Cristianesimo, può essere accettata come l’unica storicamente possibile, come quella definitiva. 1 Tilgher: “filosofia delle morali”, pag. 123 2 cfr. la rivista “Religio”, Roma, marzo 1937 3 Tilgher: “Moralità”, pag. 139 43

particolare, ma “come io generale, universale, astratto,<br />

indeterminato”.<br />

Più complesso è il <strong>di</strong>scorso intorno a quello che viene defin<strong>it</strong>o il<br />

“piano dell’amore” e più convincente la ricerca della genesi e la<br />

rappresentazione <strong>di</strong> quello “stile” <strong>di</strong> v<strong>it</strong>a morale che è la sant<strong>it</strong>à. Fatto<br />

è che, alla figura del santo, <strong>Tilgher</strong> stesso confessa <strong>di</strong> guardare con<br />

maggior simpatia 1 e questo è indubbiamente un segno <strong>di</strong> quella<br />

tendenza mistica cui prima si accennava.<br />

Originale è certamente la <strong>di</strong>stinzione – su cui si fondano tutte<br />

le considerazioni intorno all’amore – fra desiderio e amore.<br />

Desiderio e amore hanno per <strong>Tilgher</strong> origini <strong>di</strong>verse e<br />

procedono per <strong>di</strong>verse strade, anche se poi ad un certo punto si<br />

incontrano e sembrano perciò affini o ad<strong>di</strong>r<strong>it</strong>tura identici.<br />

Sia il desiderio che l’amore sono riconoscimento dell’”altro”,<br />

cioè posizione <strong>di</strong> un “altro” come <strong>di</strong>verso da sé; tuttavia, mentre<br />

desiderare significa tendere all’altro per assoggettarlo all’io, amore<br />

significa porre nell’ “altro” il centro della propria v<strong>it</strong>a. <strong>Il</strong> desiderio<br />

comporta perciò un senso <strong>di</strong> insufficienza che si aspira a colmare,<br />

l’amore invece dà un senso <strong>di</strong> tranquill<strong>it</strong>à e <strong>di</strong> pace proprio perché chi<br />

ama non desidera più nulla per sé in quanto ha trovato nella v<strong>it</strong>a dell’<br />

“altro”, una volta per sempre, il centro e la ragione della sua propria<br />

v<strong>it</strong>a. E’ chiaro che una tale concezione dell’amore inteso come riposo<br />

nell’ “altro”, come gioia dell’ amare per l’amare nasce da una visione<br />

religiosa dell’amore che naturalmente porta verso quella apoteosi<br />

dell’amore che è la sant<strong>it</strong>à.<br />

<strong>Il</strong> santo è colui che ha trasfer<strong>it</strong>o il centro della propria v<strong>it</strong>a non<br />

in un altro essere particolare, ma in tutti gli altri esseri, nel “prossimo”; e<br />

così, avendo abol<strong>it</strong>o sé come centro, conquista l’umiltà che è non<br />

1 In un saggio contenuto in “Moral<strong>it</strong>à” (Roma, 1943, pag. 140) l’autore rispondendo a Giuseppe<br />

Renzi , il quale in una recensione alla “Filosofia delle morali” aveva mostrato <strong>di</strong> credere che la<br />

figura dell’eroe fosse da lui pre<strong>di</strong>letta, <strong>di</strong>ce: “Credevo che si capisse che pur ponendoli, in sede <strong>di</strong><br />

pura teoria, tutti e quattro ( l’Eroe, l’Asceta, il Santo e il Saggio) sullo stesso piano <strong>di</strong> valore le mie<br />

preferenze e simpatie personali più vive andassero al tipo del Santo”.<br />

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