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Il pensiero di Adriano Tilgher - Giodi.it

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Kant e ai kantiani, vi è certamente riusc<strong>it</strong>o: la sua tesi può infatti<br />

considerarsi il capovolgimento della “Cr<strong>it</strong>ica della Ragion pratica”.<br />

<strong>Il</strong> kantismo nella “Filosofia delle morali” non è nominato,<br />

nominato invece è l’util<strong>it</strong>arismo dal quale <strong>Tilgher</strong> ci tiene<br />

particolarmente a <strong>di</strong>stinguere la concezione da lui esposta<br />

analizzando il piano “del Desiderio e della Volontà”. L’errore <strong>di</strong> ogni<br />

dottrina util<strong>it</strong>aristica o eudemonistica consisterebbe per <strong>Tilgher</strong> nel<br />

porre la felic<strong>it</strong>à e il piacere come fine <strong>di</strong> ogni azione umana.<br />

Affermando ciò, da una parte si considera che ogni attiv<strong>it</strong>à tende ad<br />

un fine, dall’altra che questo fine sarebbe il piacere, il quale<br />

genererebbe il desiderio.<br />

Ora <strong>Tilgher</strong> sostiene che non ogni attiv<strong>it</strong>à tende ad un fine;<br />

esiste l’attiv<strong>it</strong>à fine a se stessa, l’attiv<strong>it</strong>à per l’attiv<strong>it</strong>à. Inoltre non è vero,<br />

egli <strong>di</strong>ce, che il desiderio nasca dal piacere, perché, viceversa, il<br />

piacere è il risultato <strong>di</strong> un desiderio appagato. <strong>Il</strong> rapporto originario<br />

non è, per <strong>Tilgher</strong>, piacere–desiderio, bensì desiderio– piacere. Solo<br />

dopo che è stato sperimentato come piacere, il desiderio può porsi<br />

come fine consapevole dell’attiv<strong>it</strong>à. L’util<strong>it</strong>arismo, invece, non riesce<br />

ad intendere né l’attiv<strong>it</strong>à per l’attiv<strong>it</strong>à, né la <strong>di</strong>fferenza tra il desiderio<br />

come spontane<strong>it</strong>à e il piacere come fine cosciente da realizzare, e<br />

perciò finisce col considerare il piacere in<strong>di</strong>viduale come la molla <strong>di</strong><br />

ogni azione, finisce, cioè, col porre l’egoismo alla base dell’agire. Ma<br />

da questo punto <strong>di</strong> vista non sarebbero spiegabili le azioni<br />

<strong>di</strong>sinteressate ed eroiche, che pure sono frequenti, anche se non<br />

comuni fra gli uomini. Né vale per <strong>Tilgher</strong> ricorrere, come fa Stuart Mill,<br />

alla teoria associazionistica per spiegare l’eroismo, al modo stesso in<br />

cui si spiega l’avarizia, ossia come uno spostamento della coscienza<br />

dal fine al mezzo, cioè come una illusione che nasce dallo scambiare<br />

la originaria tendenza al proprio egoistico interesse per la tendenza<br />

altruistica a realizzare il bene altrui. Una volta posti, però, sullo stesso<br />

piano l’avarizia e l’egoismo, spiegati come effetti <strong>di</strong> una analoga<br />

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